“TRUSK”:UN MOMENTO DI DISVELAMENTO DELLA MODERNITA’

La storia culturale della Modernità è piena di paradossi, che derivano in ultima sintesi dal contrasto fra, da una parte, la pretesa trionfalistica di avere superato, grazie alle “idee chiare e distinte”, l’interminabile era del mito, e, dall’altro, l’incapacità di definire in modo soddisfacente un qualunque termine del mondo dell’esistenza: soggetto, oggetto, ragione, verità, mondo…


1.Dalla Dialettica dell’Illuminismo al Nichilismo
Da quell’ incapacità deriva un susseguirsi spasmodico di intuizioni, affermazioni e ipotesi, in cui l’unico aspetto costante è la ferma volontà di occultare in ogni modo, sotto il velo della apparente logica, della pretesa verità, della falsa obiettività, del metodo “scientifico”, dei “valori non negoziabili”, l’assoluta inconoscibiltà del mondo, e perfino dell’Io.
Nel corso dei secoli, solo alcuni,pochi, autori, come Eraclito, Pirrone, Tertulliano, al-Ghazzali, Hume, Leopardi, Nietzsche, Wittgenstein, Heisenberg, De Finetti e Feyerabend, hanno osato rivelare appieno questo meccanismo, che non soltanto scardina tutti i sistemi religiosi, filosofici e politici, ma, addirittura, paralizza la capacità di progettare (il “nichilismo”).Eppure, questa situazione è ben presente all’interno di ciascuno di noi, sì che chiunque deve affrontarla e gestirla, oggi come sempre.
Nonostante la crescente complessità e raffinatezza dei miti (trasformatisi gradualmente in lingua, religione, storia, politica, diritto, filosofia, arte), la loro debolezza e precarietà non cessa di rivelarsi nelle diverse epoche storiche; e compito primario delle classi dirigenti è sempre stato, ed è ancor sempre, quello di coprire con nuove creazioni le crepe delle narrazioni dominanti per evitare crisi culturali, e quindi politiche. Proprio da quest’ esigenza ininterrotta di “Riparazione del mondo” (“Tikkun ha-Olam”) deriva l’asprezza delle guerre culturali, che, anziché arrestarsi con l’avvento dell’ attuale era ipertecnologica, s’intensificano vieppiù, come dimostra l’attuale lotta per l’egemonia culturale e per il dominio sui mezzi di comunicazione.


2.Dai paradossi della Modernità al contrattacco MAGA
All’ interno del processo di disvelamento, il presente potrebbe costituire un momento di presa di coscienza, da una parte del mondo politico e culturale, circa la conflittualità del progetto occidentale con gl’ideali umanistici e in larga misura conservatori che pure animano il discorso pubblico di buona parte dell’ establishment europeo.
E’ il cosiddetto “scossone” per l’ Europa auspicato,tra gli altri, dall’ex-Commissario Gentiloni, anche se non si vede proprio quale potrebbe essere il soggetto attivato da questo scossone, visto che ancor oggi nessuno è capace, ma neanche desideroso, di assumere un ruolo di autentica “leadership” europea. Siamo innanzitutto di fronte a un effetto intimidatorio di lungo periodo, sulle classi dirigenti, delle vicende Olivetti, Chu, Mattei e Moro, che hanno dimostrato che chiunque fa veramente gl’interessi dell’ Italia e dell’ Europa viene comunque punito; poi, del risultato degli sforzi sistematici del sistema educativo di formare caratteri deboli e menti confuse,..
Inoltre, non è affatto detto che modeste innovazioni istituzionali (come il voto a maggioranza o l’aumento delle risorse proprie) possano supplire alla mancanza di identità e di leadership.
Certo, dovrebbero fare sobbalzare gli Europei il preventivato contratto italiano con Starlink, il sostegno di Musk agli elementi più estremi dell’UKIP e all’ AfD, la rivendicazione, da parte di Trump, di Groenlandia, Canada e Panama, oltre che l’innalzamento della richiesta di aumento delle spese militari, dal 2% al 5%. Richieste che, se accettate, comporterebbero la distruzione dell’economia europea e lo smantellamento delle seppur modeste parvenze di politiche europee commerciali e di difesa. Ma che, soprattutto, mettono comunque in evidenza quali siano gli obiettivi bipartisan americani, al di là dei veli ideologici , siano questi anti-woke, siano essi progressisti. La realtà è che, come prevedeva Morozov(ne “I Signori del Silicio”), le classi dirigenti dell’ Occidente, e soprattutto degli USA, si preparano a difendere con l’informatica le loro posizioni di privilegio (cfr. “The New Digital Age”), e questo, non potendo toccare, né la Cina, né l’ India, né l’Iran, viene fatto accrescendo ai danni degli alleati -innanzitutto europei-(“mettere fuori mercato il mondo intero”, cfr.l’”Inflation Reduction Act”).

Droni assassini

3.Le debolezze del discorso “occidentale” e l’incapacità di usarle.
La contropartita negativa, per gli USA, di questo gioco allo scoperto, sarebbe che diviene per essi sempre più difficile utilizzare le loro usuali retoriche del “mondo libero”, del libero mercato, della concorrenza e dell’indipendenza nazionale, quando invece il potere americano (statuale e informatico) si comporta in modo così specularmente e platealmente opposto, licenziando via tweet governi e magistrati indipendenti, rivendicando territori stranieri per pure esigenze di sicurezza nazionale, imponendo all’ Europa cambiamenti radicali della propria legislazione. Come fare a sostenere che gli USA si ispirano a regole obiettive nell’ interesse dell’Umanità, quando non rispettano i principi ch’essi stessi hanno imposto (democraticità, reciprocità, autodeterminazione, antitrust, rispetto dei trattati)? I fatti dimostrano anche che non si tratta qui solo di una scelta tattica e soggettiva, legata a questo o quel presidente, ma del comportamento sistemico di un Paese che applica in tutto il mondo tariffe discriminatorie, sanzioni ed altri tipi di “coercion” che allo stesso tempo dichiara totalmente vietati. Un ennesimo caso di “double standard”, che s’inquadra perfettamente nel panorama di nascondimento generalizzato che caratterizza la Modernità (che, a questo punto, s’identifica con l’ipocrisia puritana).
Ebbene, per i motivi che abbiamo sopra evidenziato, nei fatti, quello “scossone” di cui avevamo parlato all’ inizio non c’è, nei fatti e neppure nelle coscienze. Ci si limita a descrivere con un poco più di realismo del solito i fenomeni in corso, con i quali l’establishment è evidentemente del tutto intenzionato a convivere senza reagire.Anche perché si tratta della roiproposizione, in termini più aggressivi, di idee che giravano da tempo.
L’idea che le società informatiche (i GAFAM) dovessero guidare l’America alla conquista del mondo era stata espressa da Schmidt e Cohen già nel 2005 nel loro “The New Digital Age”, ed attuata in pratica con la “NSCAI” NATIONAL SECURITY COMMISSION ON ARTIFICIAL INTELLIGENCE , che redasse, sotto la guida di Schmidt, e fece approvare dal Congresso, il CHIPS and Science Act e l’Inflation Reduction Act, volti a “mettere il mondo stesso fuori mercato”, oltre a gettare le basi per altri 9 provvedimenti legislativi a favore dell’ AI americana. Oggi, furoreggia, inoltre, la singolare idea che gli Stati esteri debbano “ridurre il surplus commerciale con gli USA”, quando tale surplus deriva solo dal fatto che, grazie al signoraggio del dollaro, gli Americani possono comprare gratis qualunque merce in tutto il mondo. L’unico vero modo per eliminare il deficit commerciale americano sarebbe quindi eliminare il signoraggio del dollaro, con la “de-dollarizzazione”; invece, gli USA e i filo-americani d’Europa (come Christine Lagarde e Ursula von der Leyen), vorrebbero che tale surplus venisse eliminato comprando in America prodotti antieconomici di cui gli Europei non hanno alcun bisogno.
Ci si potrebbe stupire del fatto che molti osservatori ritengano che Europa e America tendano a divergere, quando, di fatto, quel che si vede in superficie è una sempre maggiore acquiescenza degli Europei agli Americani, e perfino l’erosione di una delle ultime isole di resistenza, l’estrema destra, cooptata così facilmente da Musk. Invece, la divaricazione è nei fatti stessi, nell’ atteggiamento oramai platealmente ostile del potere americano nei confronti degli Europei, e giungerà all’ estremo dei paradossi se, per ipotesi, gli Europei accettassero di aumentare al 5% del PIL le loro spese di difesa. Ciò vorrebbe dire una spesa annua di 850 miliardi di Euro, cioè pari a quella americana. Ma, se ciò fosse, non avrebbe proprio più alcun senso che gli USA dominassero la NATO, Con 850 miliardi l’anno, l’Europa dovrebbe potersi permettere un servizio segreto europeo, un sistema missilistico, spaziale e nucleare, europeo, dei missili ipersonici, oltre che una potentissima industria “duale”. Inoltre, se l’America persisterà a voler annettere territori, come la Groenlandia, che sono “territori d’oltremare” di uno Stato Europeo, l’Europa dovrebbe considerare, nella sua “percezione delle minacce”, anche e soprattutto gli USA. In pratica, la dottrina gaulliana della “Force de Frappe Tous les Azimuts”, cioè i missili puntati su Washington. Cosa che invece è ovviamente assente nel più recente documento europeo, il “Rapporto Niinistoe”.

Jack Ma, oggi in esilio


4.Il “Sistema Informatico-Digitale “al potere
Soprattutto, attraverso l’inedita simbiosi fra Musk e Trump (che Giannini ha chiamato “Trusk”), si è evidenziato che il progetto di Schmitt e Cohen era tutt’altro che una chimera, ma, anzi, ha vinto in tutto l’ Occidente. Come scrive Cacciari: “La tecnica domina il dover essere dell’umanità e ne è diventata, in tutta evidenza, la nuova religione.””La Macchina, Macchina divenuta intelligente, ‘spirituale’, rappresenta il fattore fondamentale della nostra vita. E i suoi padroni ne sono quindi, di necessità, i sovrani”“Si sono affermate nel corso degli ultimi decenni culture politiche che hanno assecondato un tale processo e che nulla hanno a che fare con destre e sinistre del Novecento.” Fra queste (a nostro avviso): la cultura della cosiddetta algoretica, sotto l’influenza di Teilhard de Chardin, e il “Movimento 5 Stelle”, creato da un informatico come Casaleggio, che ha alimentato l’illusione di una democrazia digitale (che abbiamo visto essere insostenibile).
Ma in realtà sono i GAFAM nel loro complesso ad avere preso il sopravvento sull’Amministrazione americana: Musk come porta-parola ufficiale; Zuckerberg come agitatore aggressivo; Schmidt come lobbista parlamentare; Kurzweil come teorico e teologo.

Il totalitarismo è legato al millenarismo religioso


5.Il totalitarismo del XXI Secolo
In definitiva, come scrive Giannini, “il muskismo è una teoria totalitaria dell’ umano tanto quasi quanto lo fu il marxismo”, e questo è ovvio se si pensa al precursore Saint- Simon (che voleva affidare agl’industriali “il potere spirituale”), se non addirittura alle radici gnostiche dei totalitarismi secondo lo schema di Voegelin (Il mito del Mondo Nuovo). Più precisamente, il “Muskismo” è addirittura l’”inveramento” del comunismo(deperimento dello Stato più anarchismo), e, quindi, come scrive Cacciari, una religione fondamentalistica, ennesima riedizione della “Réligion de l’Humanité” di Saint-Simon, già presente un po’ in tutte le culture e le società moderne (Garibaldi ne teneva sempre con sé un esemplare).
A questo punto. l’unico serio ostacolo alla creazione di un fondamentalistico Stato Mondiale dei GAFAM (come quello profetizzato da Juenger) è costituito, a oggi dall’alleanza fra Russia e Cina, perché questi due Paesi hanno avuto il coraggio di affrontare di petto il Sistema Informatico-Militare, come si è fatto in Cina con il “Crackdown sui BAATX” e in Russia con il superamento delle tecnologie militari USA.
Ed è per questo che il Sistema Informatico-militare incalza la politica americana, a partire da Trump, perché, secondo essi, lo Stato americano non ha fatto abbastanza per coordinare l’espansionismo delle imprese e imbrigliare i partner in accordi commerciali esclusivi (che non accettino la Cina).
Secondo quanto scrive Massimo Giannini su “La Repubblica”, il progetto totalitario occidentale consisterebbe ora nel “somigliare alle autocrazie, ibridando tecnica e politica”. In realtà, questo parallelismo regge solo fino a un certo punto. Intanto, come abbiamo visto, l’idea della “creazione di una nuova società organica” sul modello dell’ Ancien Regime, ma con “il potere spirituale nelle mani degl’industriali”, era già presente in Saint-Simon, fu elaboratanei minimi dettagli dal Cosmismo russo e dal Trockismo, e infine espressa in modo mirabile da Kurzweil (oltre ad avere cultori in Garibaldi e in Juenger). Tutto ciò molto prima della recente svolta centralistica in Cina e in Russia, nata, questa sì, dalla rivalità mimetica con l’ America -con il disciplinamento degli oligarchi ai tempi di Khodorkovskij, con la rinazionalizzazione delle imprese strategiche dopo l’exploit dei GAFAM, e con la necessità di contrastare le spinte separatiste tibetana, uighura e di Hong Kong, fomentate dagli USA-.Inoltre, perché tanto in Cina, quanto in Russia, il potere degli oligarchi è subordinato a quello dello Stato (come dimostrano i casi di Khodorkovskij e di Jack Ma), mentre negli USA gli oligarchi fanno ciò che vogliono.
L’emersione a Est e a Ovest di sempre nuove società illiberali costituisce certamente un ulteriore dato di fatto, a causa soprattutto della guerra culturale in corso fra “Democrazie” e “Autocrazie”, e in particolare, della centralità, in quest’ultima, dell’informatica: si tratta infatti di un’economia di guerra, dove nessuno spazio può essere lasciato ai nemici, siano essi interni o esterni.
Chi ha imitato gli altri in campo informatico è stata in ultima analisi la Cina: innanzitutto, ha forgiato i propri BAATX proprio come l’ARPA ha forgiato i GAFAM, e secondo il modello di questi ultimi, poi, mentre l’Europa ha preteso assurdamente di nascondere la propria impotenza sotto una pletora di grida manzoniane, la Cina ha semplicemente tradotto in Cinese le nostre grida, applicandole immediatamente e integralmente ai suoi BAATX, comminando ad essi migliaia di sanzioni, e giungendo, coerentemente, ad espropriare Jack Ma. E’ ciò che i GAFAM vogliono evitare accada anche in Occidente (lo “spezzatino” dei GAFAM sul modello Standard Oil e AT&T, ed è per questo che sono saltati rapidissimamente sul carro di Trump, “tirandolo per la giacchetta”, come sta facendo in primis Zuckerberg.


6.Le rivendicazioni di Zuckerberg contro l’ Unione Europea

Zuckerberg con la Commissaria Jourovà


L’Europa, che ha preteso a lungo di costituire, con la sua legislazione sul web, il “Trendsetter of the Worldwide Debate”, è stata sonoramente sementita dai fatti:
-l’Europa non può legiferare su imprese che esistono solo in USA, e vivono in simbiosi con l’Esercito Americano, che le protegge;
-queste imprese sono più forti dei Governi europei, e i più credono che ora siano più forti perfino di Trump, il quale non riesce ad opporsi a Musk;
-le stesse Istituzioni Europee violano, per complicità con i GAFAM, le norme ch’esse hanno adottato, perché, nella vita concreta, tutto in Europa è così strettamente connesso con le forze armate americane, con la Intelligence Community, con le fondazioni, università e imprese USA, che il trasferimento di dati dalla UE agli USA è ininterrotto, ed essenziale per il funzionamento stesso dell’Europa, anche se il Parlamento Europeo, il diritto europeo e la Corte di Giustizia ne richiedono l’interruzione;
-un siffatto “decoupling” (effettivamente preparato, ma ancora non messo in atto, in Russia e in India), richiederebbe infatti una fortissima volontà politica e una lunga preparazione tecnica ed economica, che in Europa non ci sono.
Intanto, Zuckerberg sta aprendo un nuovo fronte:il rifiuto dell’applicazione extraterritoriale del diritto europeo ::“The U.S. government under incoming President Donald Trump should intervene to stop the EU from fining American tech companies for breaching antitrust rules and committing other violations”.
Non soltanto, quindi, in America l’antitrust è stato praticamente cancellato per non danneggiare i GAFAM, ma addirittura Zuckerberg pretende che l’Europa disapplichi completamente (almeno nei confronti degli Americani), il proprio intero pacchetto di tutela, di cui essa va fiera. Anche se avevamo visto lo stesso Zuckerberg stringere la mano della Commissaria Jourovà dopo aver concordato tale pacchetto. Sempre secondo Giannini”, “le smunte comparse di quel che resta del teatrino comunitario provano a resistere”.
In effetti, la Presidente von der Leyen aveva sempre vantato i presunti successi della Commissione nel controllo mondiale sul digitale, mentre oggi si rivela che l’unica seria discepola della Commissione (con il preteso ”effetto Bruxelles”) è stata la Cina.
Intorno all’ attacco comntro la UE, Zuckerberg sta elaborando un’intera ideologia contro gl’interventi della UE sui GAFAM, descritti come un asset americano da difendere:”I think it’s a strategic advantage for the United States that we have a lot of the strongest companies in the world, and I think it should be part of the U.S. strategy going forward to defend that,”
Zuckerberg continua così:”If some other country was screwing with another industry that we cared about, the U.S. government would probably find some way to put pressure on them, but I think what happened here is actually the complete opposite” .
Ecco che cosa s’intende in pratica con “Make America Great Again”, e ciò contro cui gli attuali politici europei non hanno il coraggio di muoversi.

DA CHI PRENDONO ORDINI I NOSTRI POLITICI?Al di là delle polemiche “destra vs. sinistra”, costruire l’”Europa Post-Americana”.

L’obsolescenza degli Stati nazionali era stata descritta da più di un secolo, da autori diversissimi come Nietzsche, Lenin, Coudenhove-Kalergi, Schmitt, Mussolini e Hitler, ed era stata dimostrata praticamente dalla 2° Guerra Mondiale. Ciò non significa per altro la fine delle identità collettive, bensì invece il loro potenziamento grazie all’emergere, fra i vari livelli di aggregazione politica, del Grandi Spazi di cui parlava Carl Schmitt(gli “Stati-Civiltà”).
Quell’obsolescenza è stata accelerata esponenzialmente dall’ emergere dei “Complessi informatico-digitali” propri di alcune potenze, che proiettano il loro potere ben al di là delle loro frontiere. Il fatto che, come confessato quotidianamente dai grandi opinionisti dell’ “establishment”(p.es, Ezio Mauro, Massimo Giannini, Sergio Fabbrini, Carlo Galli..) , essi non avessero capito che ciò stava accadendo costituisce un colossale fallimento dell’ attuale blocco di potere e della sua cultura autodefinentisi “progressista”. Noi, invece, avevamo capito questo fino dalla nascita della “ideologia californiana” quale follow-up del sessantottismo, e dall’ affermarsi, nei più diversi ambienti, di teorici post-umanisti quali Teilhard de Chardin, Ray Kurzweil, Donna Haraway e Eric Schmitt e del potere teologico, culturale, spionistico, poliziesco, finanziario, accademico, militare e tecnologico di lobbies dello stesso segno. Avevamo anche lanciato, inascoltati, un’ ininterrotta campagna per contrastare questo fenomeno.
Ciò che i teorici dell’”establishment” hanno ignorato, e continuano ad ignorare, o a fingere di ignorare, è che l’attuale passaggio, come scrive Giorgio Galli, “dal progressismo al futurismo”, non è limitato alla sfera politica, bensì ha carattere esistenziale ed era insito nel DNA del movimento progressista. Bastava leggere “l’Educazione dell’ Umanità” di Lessing, il “Primo Programma Sistemico dell’idealismo tedesco”, la “Religione dell’ Umanità” di Saint-Simon, la “Filosofia del compito comune” di Fiodorov, “il Mondo Nuovo” di Huxley, le opere di Asimov, di Teilhard de Chardin, di Kurzweil.
Abolire il potere dell’ uomo sull’ uomo implica la necessità di conferire questo potere a qualcun altro, che, secondo certi chiliasti, sarebbe stato Dio, ma che, in pratica, si è rivelato essere la macchina: “Deus ex Machina”.
L’uomo è “antiquato” (Anders), e perciò anela ad essere sostituito dalle macchine, molto più perfette di lui. Questa sostituzione può essere fermata solo da una controspinta di carattere spirituale, che si incarni nelle forme adeguate nella politica.
A questa realtà, si tende ancora sempre a sovrapporre un’ antiquata logica economicistica, che pone alla base di tutto ciò le trame del “capitalismo”, mentre invece la motivazione profonda di Kurzweil, Schmitt e Musk è religiosa: la realizzazione sulla terra delle promesse escatologiche delle religioni, come teorizzato da Lessing, Sant-Simon, Marx, Fiodorov, Lunacharskij e Teilhard de Chardin.

La “Torre di Tatlin”, simbolo del Cosmismo russo


1.Gli “Stati Nazionali” subordinati agli Stati-Civiltà
Già nel XX° secolo, come in passato, solo blocchi di una certa dimensione come il Sacro Romano Impero, dell’ Austria-Ungheria, degl’ imperi russo, ottomano e anglo-indiano, dotati di una pretesa universale, potevano avere un peso nell’ arena internazionale. Per questo erano stati pensati l’Unione Sovietica, Paneuropa, la “Sfera Asiatica di Co-prosperità”, l’”Impero” d’Etiopia e perfino il “Reich” per antonomasia, quello hitleriano.
Di converso, gli Stati nazionali erano stati sempre più condannati, come previsto, per esempio, da Djilas, a “prendere ordini” da altri, come era accaduto con la decadenza di Francia e Inghilterra (crisi di Suez), e gl’interventi sovietici in Germania, Ungheria e Cecoslovacchia, nel nome dell’ideologia dei rispettivi “Stati-guida” (autodeterminazione dei popoli e/o difesa del socialismo). In effetti, il moderno “nation building” del Secoli 19° e 20° aveva avuto luogo per l’influenza neanche troppo coperta di potenze transnazionali come la Fratellanza Morava (cfr. il “Testamento della Madre Morente” di Comenio), il “Progetto Greco” di Caterina II, la Repubblica Cisalpina, la Loggia Ausonia di Cavour, i 14 Punti di Wilson, la “politica delle nazionalità” di Lenin e Stalin, ecc.., che partivano dall’idea che le “nazioni” (e/o “nazionalità”) fossero tutt’altro che sovrane, bensì dovessero seguire le orme dei rispettivi Paesi-guida (Boemia hussita, Province Unite olandesi, Inghilterra puritana, Stati Uniti, Impero napoleonico, Inghilterra, Unione Sovietica, Germania..), realizzando così le rispettive “missioni”(Cfr. Comenio, Herder, Mazzini, Kipling).
Lo “Stato nazionale sovrano”, borghese o socialista, è sempre stato dunque concepito come elemento di una “missione” sovraordinata (termine religioso di origine militare: Progresso, Socialismo, Democrazia, Pace….)-e, oggi, in Occidente, semplicemente come una provincia dell’Impero Americano, di cui è chiamato ad assumere una “missione”. Quella assegnata all’ Europa assomiglia a quella della SACEUR, il comando europeo della NATO(cfr. Brzezinski, La Grande Scacchiera). Nel caso dell’ Italia, è quella che i politici chiamano “euromediterranea”, cioè garantire gl’interessi dell’ America verso Sud e verso Est (in competizione con la Francia).
La pretesa di “universalità” delle grandi ideologie moderne maschera in effetti la volontà di ciascuno Stato-civiltà di trasformare la propria sfera d’influenza in un impero mondiale (l’”egocentrismo romano-germanico” di cui parlava Trubeckoj).Ma, invece, l’instaurazione di un reale “federalismo mondiale multilaterale” non può prescindere da un equilibrio fra le sfere d’influenza dei vari Stati-Civiltà. Ciò che è stato chiamato Panamerica (o Organizzazione degli Stati Americani), Panafrica (o Organizzazione degli Stati Africani), Paneuropa (o Federazione Europea), o Nuove Vie della Seta, sono stati, e sono, tentativi di strutturare la terra “per continenti”, in modo da rendere possibile un’organizzazione equilibrata del mondo (un nuovo “Nomos della Terra”).
Ne consegue che compito primario del federalismo mondiale (e, di riflesso, di quello europeo), è quello di costringere l’espansionismo mondiale americano entro i limiti dello spazio vitale nordamericano.
L’attuale situazione di subordinazione al “centro” americano delle nazioni occidentali all’ interno di un’area più vasta è evidente da tempo. Possiamo risalire alla partecipazione di Cavour alla Società Americana dei Molini e alla lettera di Mazzini a Lincoln, con cui il rivoluzionario genovese offriva agli USA la leadership dell’Europa purché questa guidasse i repubblicani nella lotta contro le monarchie. Dai tempi delle Leggi Razziali, Mussolini era stato ridotto talmente a un fantoccio di Hitler, da costringere alla fuga suoi accaniti sostenitori, come Margherita Sarfatti ed Enrico Fermi, e condannare a morte, pur di compiacere la Germania, persino suo cognato. Poi fu la volta dei comunisti: la “Svolta di Salerno” fu “concordata” fra Stalin e Togliatti in una notte al Cremlino, dopo di che il leader del PCI fu trasportato d’urgenza a comunicarla agl’Italiani. Nello stesso modo, De Gasperi si era assentato subdolamente dal Parlamento quando fece approvare il trattato (fondamentale) che ha concesso (a tempo indeterminato?) centinaia di basi agli USA con condizioni, economiche e di extraterritorialità, inaudite e uniche nel mondo.
Alcuni (come per esempio il gaullismo) avevano tentato di “vendere” le Comunità Europee come un percorso per affrancarsi da questa sudditanza postbellica, ma si comprese in seguito che questi progetti non venivano perseguiti con sufficiente forza. Il successivo tentativo di Gorbachev e di Mitterrand di costruire una “Confederazione Europea” si era dissolto fin dal principio, con l’invito a Carter al Congresso di Praga.
Questa sudditanza a 360° dei politici italiani si è conservata intatta fino ad oggi, con la partecipazione a semplice richiesta alle missioni in Somalia, Libano, Irak, Afghanistan, Ucraina, e, ora perfino in Cina e nel Mar Rosso. Anche più recentemente, tutti coloro che hanno avuto ruoli istituzionali, anche se oggi ostentano velleità sovraniste, non possono essere stati esenti da una storia di servilismo. Ad esempio, Sinigallia cita, su L’Antidiplomatico, il generale Vannacci: “Vannacci partecipa come tenente all’intervento militare in Somalia tra 1992 e 1994 nell’ambito della Missione Ibis, durante la quale il personale militare italiano commetterà documentati crimini di guerra ai danni della popolazione locale e di prigionieri, tra cui violenze sessuali e torture.” “..in Afghanistan è al comando della famigerata ‘Task Force 45’, …ricevendo per il suo servizio a favore degli USA una Stella di Bronzo nel 2014. Nel 2018 è nominato capo del contingente terrestre italiano dell’Operazione Prima Parthica, parte della campagna anti-ISIS in Iraq, …. venendo poi premiato con l’onorificenza statunitense ‘Legion of Merit’.”

La conquista dello spazio: un’idea bolscevica

A partire dalla caduta del Muro di Berlino, vi è stata una tendenza sfrenata, da parte del “complesso informatico-digitale”, di estendere la propria area d’influenza al mondo intero americano (cfr. Massimo Giannini su “La Repubblica”), così realizzando quella missione egocentrica dell’”Occidente romano-germanico”(Nikolaj Trubeckoj, “Europa e Umanità”).In un certo momento, questa ambizione era sembrata realizzarsi, con il controllo centralizzato del Presidente americano sulle “covert operations” e sulle 16 agenzie americane di “intelligence”, non solo sugli USA, ma su tutto l’”Occidente”(la “Presidenza Imperiale”).
Ciò che è nuovo oggi, e che ha fatto oggetto per la prima volta di una levata di scudi perfino in Parlamento, è la palese sottomissione, neppure più allo Stato Americano, bensì alla sua più importante impresa, titolare di un monopolio mondiale in tutti i settori strategici della vita contemporanea, interveniente incessantemente nella vita politica interna di tutti i Paesi (a cominciare dagli USA, per arrivare all’Italia e alla Germania), nel nome dell’ interpretazione più totalitaria possibile del progetto post-umanistico (con la gestione diretta di importanti asset militari e spaziali, gl’impianti cerebrali, gli androidi, i social network): “Il complesso militare-digitale controlla la Casa Bianca, il Congresso, la Corte Suprema, e non rende conto a nessuno.”(cfr. Giannini si “La Repubblica”)
Non che i governi precedenti a quello Meloni, a cominciare da quelli democristiani che distrussero la Olivetti, per finire con la Commissione Europea sotto Barroso, Juncker e von Der Leyen, non fossero succubi dell’ America (basti pensare ai misteri che ancora gravano sulle “stragi di Stato” e sulla fine dell’ Olivetti, e all’ inosservanza delle sentenze Schrems della Corte di Giustizia europea), ma oggi constatiamo proprio una difesa preconcetta e a oltranza degl’interessi americani contro quelli europei: ostilità “senza se e senza ma” verso i BRICS; isolamento dei nostri mercati dai ricchissimi mercati eurasiatici (molto più promettenti di quelli occidentali, cfr. Lagarde e von der Leyen); accettazione incondizionata delle ingerenze dei GAFAM; ostilità verso la riappacificazione con la Russia, anche a costo di urtarsi con la Presidenza Musk.
In pratica, nel momento in cui lanciamo il “Piano Olivetti” e i “Piano Mattei”, stiamo invece portando a compimento i piani dei nemici di Olivetti e Mattei: il controllo del mondo da parte delle multinazionali americane dell’informatica e del petrolio. Olivetti e Mattei restano gli eroi fondatori dell’ attuale progetto di mondo pluricentrico e poliedrico, a cui occorrerebbe ispirarsi ben più autenticamente.
Paradossalmente, l’unico che sta combattendo attualmente la supremazia di Musk sembra essere proprio il suo alleato Trump, che, a capo del Department of Government Efficiency (D.o.g.e.), gli ha affiancato l’Indiano Vivek Ramaswamy (suscitando le reazioni dei nazionalisti più accaniti).
Su “Truth Social”, Trump ha anche attaccato la proroga, da parte di Biden, della section 702 du Foreign Intelligence Surveillance Act (FISA), che ha permesso di spiare la sua campagna presidenziale, e ancor oggi può costituire uno strumento di ricatto anche nei suoi confronti. Aggiunta nel 2008 al Fisa, questa sezione 702 permette alla NSA et all’ FBI di sorvegliare senza mandato le comunicazioni, in particolare la posta dei cittadini stranieri all’ estero (per esempio, fra Europei).
Tutto ciò potrebbe però avere solo un carattere omeopatico, per fingere di agire ignorando la richiesta, diffusa negli USA, di fare, dei GAFAM, uno spezzatino come l’Antitrust aveva fatto, un secolo fa, con la Standard Oil e con la AR&T.
Per altro, anche Trump è convinto, come Musk, di poter imporre qualunque cosa ai propri alleati, come dimostra un suo recentissimo post su “Truth” in cui dà praticamente per scontata l’annessione di Canada e Groenlandia : “Also, to Governor Justin Trudeau of Canada, whose Citizens’ Taxes are far too high, but if Canada was to become our 51st State, their Taxes would be cut by more than 60%, their businesses would immediately double in size, and they would be militarily protected like no other Country anywhere in the World.
Likewise, to the people of Greenland, which is needed by the United States for National Security purposes and, who want the U.S. to be there, and we will!”
Ma neanche con gli Europei Trump scherza: l’effetto congiunto dell’aumento al 5% della spesa militare, dei nuovi dazi e dell’obbligo di acquistare il gas liquefatto dagli USA comporterà forse il definitivo declassamento dell’ Europa a Paese in via di sviluppo, di cui si hanno le prime avvisaglie nella deindustrializzazione e nell’importazione di manodopera a buon mercato. Infatti, secondo molti, come Lavrov, ministro degli Esteri russo, gli USA considerano anche l’Europa come un rivale da sminuire e abbattere:“The United States seeks to weaken any competitor, be it Russia, China, or Europe.They have long proclaimed the principle that no country around the world may be stronger than the United States. Clearly, life is tougher than statements or declarations, but in order to realise the inevitability of adopting different behaviour, the United States still has a long way to go.”

La Commissaria Vera Jourovà dopo avere concordato con Zuckerberg il contenuto del DGPR


2.Il controllo sugli Europei
Grazie al paragrafo 702 del FISA, NSA e FBI possono fare le intercettazioni dei cittadini europei senza neppure avvisare (come successo ai tempi del Datagate), mentre, per fare le stesse intercettazioni, le autorità nazionali europee devono percorrere complessi e incerti iter burocratici. Inoltre, intercettazioni per ipotesi distrutte per ordine del nostro Presidente della Repubblica (come quelle sulle trattative Mafia-Stato di Napolitano) sono invece state conservate dalla NSA e dalla FBI, che possono usarle per ricattare i politici europei. Che tutti considerino normale questo controllo poliziesco costante su ogni cittadino o istituzione in Europa rivela come minimo il livello elevatissimo di decadenza dell’autocoscienza degli Europei stessi. Come se non bastassero le intercettazioni, Musk intende impiantare nella maggior parte dei cervelli dell’Umanità le chip di Neuralink, in modo da fare di tutti un’unica “Megamacchina”(i “Cervelli all’ ammasso”), realizzando così il sogno occulto di tutti i “progressisti” di tutti i credi (cfr. lo “Spirito Assoluto” di Hegel o il “comunismo” di Marx). E’ per questo che “il progetto liberal della tarda modrtnità, vittorioso su quello comunista, si è affidato alla tecnica e all’ economia capitalistaica nella speranza di essere in grado di controllarne la potenza e di indirizzarle verso finalità umanistiche- di uguaglianza, emancipazione, civilizzazione-, ma è rimasta soccombente davanti ai propri strumenti..”(Carlo Galli, La Repubblica).
Di converso, la durezza del dibattito in corso America sul FISA mette ancor più in evidenza, per contrasto, la leggerezza con cui la Commissione von der Leyen ha firmato, nell’ ambito dello “scambio di dati” fra gli Stati Uniti et la UE, il “Data Privacy Framework (DPF) 2023”, con il quale si è aggirato per la terza volta il preciso dettato delle Sentenze Schrems della Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Con il che, la Commissione, che non smette di proclamarsi paladina dello Stato di Diritto e di criticare altri Stati, anche membri della UE, per averlo violato, in realtà è in stato di permanente e ostinata violazione del principio della “privacy” quale affermato nel GDPR e nelle sentenze vincolanti della Corte di Giustizia. Non per nulla l’11 maggio 2023 il Parlamento aveva chiesto (inutilmente) alla Commissione di rinegoziare l’accordo con gli Stati Uniti perchè «il quadro UE-Stati Uniti sulla privacy non garantisce un livello di protezione sostanzialmente equivalente », perché i servizi segreti americani hanno accesso senza difficoltà ai dati degli Europei, così frustrando l’insieme delle politiche europee in materia di ICT. Di fatto, rispettare il GDPR pur trasferendo i dati in America è impossibile perché gli USA rifiutano di disapplicare l’art.702 del FISA ai dati trasferiti dalla UE agli USA, mentre le imprese europee rifiutano di accettare il vero e proprio blocco dei dati verso l’ America, che paralizzerebbe l’economia europea, a meno che essa non creasse un proprio “web sovrano” come quello cinese.
Adesso, i nostri Governi hanno trovato due nuovi metodi per allinearsi automaticamente con l’America:
a)le sempre più numerose maggioranze di destra, plaudono (per una forma di solidarietà ideologica) a qualunque cosa faccia la presidenza americana, e soprattutto a qualsiasi cosa chieda Musk, come se si trattasse di vittorie del conservatorismo, così silenziando le tradizionali perplessità europee (per lo più di segno conservatore) contro il progetto post-umanista, di cui Musk non è che la punta di diamante, e che oggi pretende di presentarsi come conservatore, ma che, fino a ieri, si annidava nella maggioranza di Biden (cfr. p.es. Eric Schmidt), e che ancora sostiene le principali agende “progressiste”(come la “Megamacchina”);
b)essendo in corso una guerra che è, di fatto, fra Paesi eurasiatici (Russia, Bielorussia e Corea del Nord), e Paesi occidentali (l’Ucraina più i suoi alleati),l’accesso agevolato ai dati europei da parte dei servizi segreti americani viene “venduto” (p.es., da Wewiòrowski) come un’esigenza militare, mentre, invece, è proprio di una situazione bellica che gli Stati divengano particolarmente gelosi della gestione dei propri dati, anche e soprattutto nei confronti degli alleati.
Purtroppo, questa “cattura”, da parte americana, dei partiti di “destra” è facilitata dal fatto che le correnti di “destra” sono state di fatto perseguitate per un secolo un secolo, non solo a est (p.es., la “Nave dei filosofi”, Florenskij, Cvetajeva, i due Gumilev, Sol’zhenitsin); ma anche a Ovest (Gentile, Brasillach, Céline, Pound,Evola, Guareschi), e ora, nell’ entusiasmo di essere passate dalla parte del potere americano, stanno abbandonando le loro tradizionali obiezioni contro la modernità, la democrazia, l’America e il suo materialismo mercantile.
Si tratta dell’ennesimo caso di “appropriazione culturale”, da parte degli USA, delle tradizioni altrui. In questo caso, si tratta di dare, con uno “Slancio mitico-futurista” (Carlo Galli), una curvatura “transumanista” alla sotterranea tradizione nietzscheana che innerva tutte le sub-culture europee (dal cosmismo russo al neo-positivismo, dal futurismo al dannunzianesimo, dal marxismo-leninismo ai fascismi, dal federalismo europeo alle “teologie materialistiche”, dal turbo-capitalismo alla cultura “gender”): “la dimensione oltre-umana della tecnica e dell’economia, …fare della loro pericolosa illimitatezza una sfida entusiasmante”(come facevano già Fiodorov, Tsiolkovskij e i “costruttori di Dio” bolscevichi).
In ogni caso, oggi la posizione degli Europei su questioni fondamentali come la guerra nucleare, la fine dell’Umanità e la Singolarità non può essere rispecchiata meno che mai da vecchie etichette come “Destra” e “Sinistra”, sempre più superate, mentre s’impone la nascita di un fronte pan-europeo contro il dominio sulle macchine intelligenti (cfr. nostri post precedenti), non solo e non soltanto per le sue conseguenze totalitarie, ma anche e soprattutto per l’impatto distruttivo sulla libertà umana, sulla solidità del carattere, sul conformismo….
Pertanto, non crediamo che abbia alcun senso la formula “Tech Right” lanciata da Musk, che mira a dirottare a proprio svantaggio il legittimo senso di frustrazione che porta in tutto il ondo la maggioranza a contestare radicalmente l’attuale sistema culturale, sociale e politico e, per ora, si è espresso soprattutto attraverso i “partiti sovranisti”. Contestare, come vorrebbe Musk, la cultura “woke” con il transumanesimo è quanto di più contraddittorio ci possa essere, in quanto entrambi sono espressioni del moderno nichilismo. Questo porta certamente acqua al mulino dell’Islam politico e del “Russkij Mir”.
Il dominio delle Macchine Intelligenti è presente per altro anche nei Paesi della Maggioranza Mondiale (i “BRICS”), seppure non con lo stesso livello d’intensità. In Cina, Jack Ma aveva assunto atteggiamenti “alla Musk”, ma è stato per questo esiliato e privato di ogni influenza politica. Per questo, i GAFAM temono soprattutto la Cina. Purtroppo, nessuno ha elaborato, neanche nei BRICS, un proprio percorso concettuale per controllare sistemicamente le Macchine Intelligenti (che non si limiti ad applicare rigorosamente, come fa la Cina, le norme della UE, che qui da noi sono divenute invece una burletta), ma, ciononostante, la loro forza d’urto complessiva potrebbe almeno debilitare il sistema informatico-militare occidentale, aprendo così la possibilità di fare emergere in Europa nuove idee e nuovi poteri.
Tra l’altro, l’attuale incombere di una Terza Guerra Mondiale, che si deciderà in gran parte in base alle capacità impiegate dai combattenti nel campo dell’ IA (Iron Dome, Oreshnik) renderebbe più che mai imprescindibile una Regolamentazione Internazionale dell’ IA di carattere multilaterale (cfr. Kissinger), non già bilaterale come potrebbe sembrare probabile in applicazione alla strategia internazionale di Trump (cfr. il nostro”La Regolamentazione Internazionale dell’ Intelligenza Artificiale”).Non per nulla, il “Deep State” ha scatenato contemporaneamente (per esempio, su “Foreign Affairs”), una campagna contro tale regolamentazione, nel nome della corsa agli armamenti.

Jack Ma, spodestato dal CPC per aver seguito le orme di Musk
  1. “Tech Right”
    La polemica fra la Premier Meloni e l’opposizione in occasione dello Scandalo SOGEI/Starlink è dunque in definitiva strumentale, in quanto, come abbiamo visto, tutti i Governi italiani sono stati succubi degli Stati Uniti, e, da quando esistono i GAFAM, anche di questi ultimi. I modesti tentativi di autonomizzare l’Europa, com’è stato il caso di GAIA-X, co-sponsorizzata dall’ Italia, e della Huawei italiana nel quadro delle Nuove Vie della Seta, sono finiti miseramente (per colpa di un po’ tutti i Governi).
    Anzi, quella polemica è utile soltanto, come tutte le finte diatribe ufficiali, a porre in secondo piano un problema vero, quello che, cioè, “La Singolarità è più vicina”, come dice il nuovo libro di Kurzweil. Di fronte alla sostituzione degli uomini con le macchine, che cosa sono mai le colpe di questo o quel governante?
    Anziché partecipare, quindi, alla costruzione di sterili graduatorie del grado di servilismo governativo dei vari partiti, o imbarcarci in un’illogica “Tech Right”, preferiamo, come abbiamo fatto fino ad ora, compiere un’opera di studio, informazione e divulgazione, in modo che, quando ne giungerà veramente l’occasione, gli Europei possano decidere con la propria testa e a ragion veduta.
    Nel fare ciò, un’attenzione particolare dovrebbe essere prestata agli argomenti del postumanesimo, che non va certo accettato senza neppure conoscerlo (come stanno facendo la UE, i Governi e le Chiese), ma non va neppure demonizzato, perché la pretesa di opporgli un “Umanesimo Digitale” è stata solo uno slogan, e nessuno sta valutando seriamente le implicazioni concrete dell’”Antiquatezza dell’ Uomo”(Guenther Anders), né proponendo soluzioni per superarla. Secondo Giannini, “Siamo noi, cittadini smarriti, che dobbiamo usare la rete senza esserne usati”. Sì, ma fare ciò veramente sarebbe un’opera eroica, e anzi, ciclopica, degna di antichi semidei, come Gilgamesh, Eracle o Rama, non già degli “homunculi” dell’attuale società.
    In questo senso potrebbe avere un senso una “Tecnodestra” che puntasse sulla cultura alta, sul carattere creaturale dell’uomo, sulla formazione del carattere, sulle eccellenze etiche e epistemiche, sul “governo degli uomini” contrapposto al “governo degli algoritmi”, sulle “radici” in quanto contrapposte all’appiattimento del mondo -insomma, su una vera “Europa post-americana”, per seguire il, neologismo coniato da Adriana Castagnoli su “Il Sole 24 Ore”-.

2024 BUON NATALE, Merry Christmas

Auguri

UN “COMITATO PANEUROPEO DI RESISTENZA E RESILIENZA”?

1.PERCHE’ NON ESISTE UNA STATUALITA’ EUROPEA?
Il Movimento Europeo aveva sostenuto fin dall’ inizio che una Federazione Europea non si sarebbe potuta costituire attraverso accordi fra gli Stati, bensì solo attraverso un atto fondativo rivoluzionario del Popolo Europeo. Nel Manifesto di Ventotene si era accennato addirittura che questo momento rivoluzionario avrebbe potuto avere inizio addirittura con un movimento armato, erede della Resistenza.
Anche l’idea che, per realizzare una “Federazione Europea”, si passasse attraverso a un “Congresso del Popolo Europeo” e a un referendum paneuropeo era stata proposta da Spinelli, ma però mai perseguita seriamente.
Il Prof. Cardini l’ha qualificata giustamente come “irrealizzabile”.Concordiamo per due motivi:
-in primo luogo perché nessuno dei numerosi grandi predecessori aveva mai veramente, né pensato, né proposto, una vera statualità europea in sostituzione dei dispersivi eredi dell’Impero Romano(Sacro Romano Impero, Bisanzio, Impero Ottomano,Impero Francese…) , né tantomeno una vera “civiltà paneuropea”, alternativa tanto all’ Occidente quanto ai grandi Stati-Civiltà, bensì solo elementi altrettanto sparsi, attinenti ora a questo, ora a quell’aspetto(militare, giuridico, culturale, politico, religioso..). Non i primi teorici di crociata; non i primi progetti fra sovrani, non Novalis, non Mazzini, non Coudenhove-Kalergi, neppure Ribbentrop, Spinelli o Schuman; neppure Napoleone o la Santa Alleanza. Anche la pretesa “Costituzione Europea” bocciata dagli elettori francesi e olandesi era solo un collage di trattati. Forse il solo progetto organico era stato la Costituzione Italiana ed Europea di Galimberti, anche se priva di una base culturale adeguata. Che cosa avrebbe dunque potuto ratificare il referendum paneuropeo?
-in secondo luogo perché, nonostante le pretese ideologiche “democratiche”, la politica è oggi più elitaria che mai nella storia. Le stesse emozioni fondamentali dei popoli, a cominciare dalle loro pretese idiosincrasie “di pancia” (l’ opposizione all’ “Oriente”, per passare ai cosiddetti “diritti di ultima generazione”, fino ad arrivare all’ idea del “popolo-nazione” e ai “valori non negoziabili”) sono semplicemente l’effetto di ben orchestrate campagne occulte che partono dal sistema educativo, continuano nella politica e nei media e si concretizzano in movimenti pretesi “spontanei”, come per esempio il ‘68, gli Anni di Piombo, Tangentopoli, le “Rivoluzioni Colorate”, i “populismi”, ecc…Perfino i migliori intellettuali cadono vittime di quelle “mode intellettuali”. Quindi, se nessuno organizza sotterraneamente un’esplosione di Identità Europea (così come le “Nazioni” furono organizzate a suo tempo dalle Grandi Potenze e dalla Massoneria), non si vedrà nascere nessun movimento “spontaneo” a favore dell’Europa.
L’esemplificazione più plastica si questa inanità si è vista recentemente con la “Conferenza sul Futuro dell’ Europa”, a cui non ha fatto seguito alcun movimento politico concreto.
Si tratta invece di raccattare i pezzi sparsi presenti in Ippocrate e in Platone, in San Paolo e in Dante, in Podiebrad e in Sully, in St-Pierre e nella Santa Alleanza, in Novalis e in Nietzsche, in Dostojevskij e in Coudenhove-Kalergi, in Ivanov e in Simone Weil, in Galimberti e in Spinelli, per creare un nuovo quadro organico e operativo, che non si chiamerà, né Impero, né Repubblica, né Federazione, né Confederazione, né Stato, né Nazione. Forse, “Stato-Civiltà Europeo”.
Il professor Cardini ha proposto a qusto scopo la creazione di un apposito comitato pan-europeo, che chiameremo qui “Comitato Paneuropeo di Resistenza e Resilienza”. Noi, con questo articolo, tentiamo di disegnarne i tratti distintivi.

2.PERCHE’ ABBIAMO BISOGNO ANCHE NOI DI UN NOSTRO “STATO CIVILTA”?
Nonostante ciò, la trasformazione dell’Europa, da un coacervo disorganizzato di Stati-Nazione, in uno Stato-Civiltà” come la Cina, l’India e gli Stati Uniti è oramai improrogabile per: (i) guidare il nostro Continente fuori dalla Terza Guerra Mondiale; (ii) farlo tornare veramente protagonista delle grandi scelte mondiali, in particolare quelle sul Post-Umano.
Infatti:
-La “guerra mondiale a pezzi” si è oramai trasformata in una vera guerra mondiale, sui fronti ucraino, siriano, libanese, palestinese, saheliano, sì che sono saltate tutte le strategie novecentesche basate sull’ipotesi della “Pace Perpetua”, sostituite da una battaglia all’ interno dell’Apocalisse;
-Con l’elezione di Trump, si è realizzata la fusione fra lo Stato Americano e i GAFAM (Musk, Thiel, Zuckerberg), i quali ultimi saranno gli unici possibili vincitori di una guerra giocata sulle armi autonome, sui droni assassini, sulla cyber-intelligence, sui trolls e sugli androidi resistenti alla guerra Nucleare, Chimica e Batteriologica (NBC). Innanzitutto perché, come scritto nell’ ultimo numero di Foreign Affairs, è la rapidità delle attuali guerre totali a rendere imprescindibile, contrariamente a quanto sostenuto da Kissinger nell’ ultima fase della sua vita, il comando delle operazioni dei vari contendenti da parte dell’ Intelligenza Artificiale, e, quindi, impossibile una regolamentazione pervasiva della stessa, che riguardi anche gli usi bellici.
Questa guerra costituisce dunque, a meno di un’azione rapida e incisiva, il momento cruciale della presa di potere da parte del “Philum Macchinco”, come l’ha chiamato Manuel De Landa.
L’Europa, intesa, non quale complesso giuridico incompiuto e intrinsecamente debole, bensì come un’ élite portatrice di una visione del mondo, potrebbe e dovrebbe intervenire:
-sia come guida morale dei popoli lasciati senza progetto in mezzo a nuove stragi come quelle dell’Ucraina e del Medio Oriente;
-sia quale catalizzatrice di un percorso olistico di ricostruzione che parta dalla filosofia e dalla storia per arrivare alla teologia e alla scienza, alla politica e alla società, alla tecnologia e all’ economia, alla cultura e alla difesa del nostro Stato-Civiltà, fino alla regolamentazione dell’ Intelligenza Artificiale. Quello che un tempo l’Europa pretendeva di essere (per esempio, con il Manifesto di Ventotene) come modello di civiltà, o almeno quale “Trendsetter of the Worldwide Debate”.


3.GLI STATI-CIVILTA’
Uno Stato-Civiltà è un’aggregazione geopolitica caratterizzata da una continuità storica millenaria, da uno scacchiere specifico di dibattiti e di conflitti, da un centro e da delle periferie, e da un’organizzazione atta a permetterle d’influire sulle scelte del mondo.
Per esempio, la Cina, nata con gl’Imperatori Mitici e gli Stati Combattenti, caratterizzata dai caratteri “Hanzi” e dall’ egemonia congiunta dei “San Jiao” (“Le Tre Scuole”=Taoismo, Confucianesimo e Buddhismo), dalla coesistenza degli Han (i“Figli del Fiume Giallo”) con 56 diverse “nazionalità”, e dall’egemonia del Partito Comunista Cinese, si propone come potenza anti-millenaristica (un nuovo Katèchon?), ponendosi un obiettivo storico apparemente modesto, vale a dire lo “Xiaokang” (“una società moderatamente prospera”). Sua lingua unificante: il Mandarino
L’India, fondata sulla sintesi fra induismo, buddhismo e islam, è caratterizzata dal pluralismo etnico, linguistico, religioso e cetuale intorno agli Hindustani della valle del Gange, circondati da altri popoli indo-ariani (kashmiri, punjabi, gujarati, marathi, oriya e assamesi) e dravidici (tamil, malayali, telugu, kannada), e caratterizzati dal ritorno, propugnato da Modi, allo Yoga e alla devozione al (semi)dio Rama. Sua lingua unificante, il Sanscrito.
Gli Stati Uniti, nati, secondo Huntington, dalla “Dissidenza nel Dissenso”(la Congregazione di Scrooby), sarebbero caratterizzati, secondo Dan Brown, dall’ egemonia congiunta di puritanesimo, massoneria e liberalismo, e fanno oggi oggetto di un conflitto fra suprematismo bianco (“WASP”) e cultura “woke”. Loro lingua unificante: l’ Inglese.
Non hanno (ancora) un loro Stato-Civiltà, l’Islam, l’Africa, il Pacifico e l’America Latina.
I mitici protagonisti del “federalismo mondiale” sono proprio gli Stati-Civiltà, che di fatto disputano sul futuro del mondo, non certo i 200 Stati-Nazione sperduti nel mare magnum dell’assemblea Generale delle Nazioni Unite.
Uno “Stato-civiltà” europeo capace di dialogare alla pari con gli altri tre (otto) dovrebbe anch’esso ricercare non solo le sue radici (come si dice oggi)in Roma, Atene e Gerusalemme, ma, al di là di ciò, concepire la propria identità permanente nella sintesi fra Est ed Ovest (“respirare con i due polmoni”di Viaceslav Ivanov). Infatti, buona parte della storia e cultura europee sono a Oriente: in Anatolia, in Mesopotamia, in Egitto (l’”Atena Nera”), nelle steppe pontiche (gli Yamnaya, i Goti, i Bulgari, i Turchi, i Magiari, i Cosacchi), nei Balcani (i Greci, Bisanzio), in Russia (Gogol, Chechov, Ciaikowski, Dostojevski, Stravinski, Sol’zhenitsyn). Anche la questione della lingua dovrebbe fare oggetto di uno sforzo di ricerca e di sintesi, poiché l’Europa possiede più lingue storiche di cultura, dal Greco, al Latino allo Slavo Ecclesiastico (oltre all’ Ebraico e all’ Arabo).L’Europa è uno Stato-civiltà incompiuto. Pur avendo, come la Cina, una sua continuità millenaria, questa continuità (la “Translatio Imperii”) è più frazionata di quella cinese(un po’ come quella indiana), partendo essa dall’Egitto, dalla Mesopotamia, per passare alla Persia e Israele, e, di qui, agl’imperi romano, romano-germanico, ottomano, inglese, francese, russo e inglese. In fondo, anche USA, Russia, Turchia e Israele pretenderebbero tutti di rappresentare l’ultimo avatar della Translatio Imperii.
Ricostruire questa continuità è stato da sempre una sfida defatigante per storici e politici. Oggi, questo compito è reso più possibile dallo sviluppo della comparazione fra le culture, ed è diventato una priorità (cfr. Riccardo Lala, 10.000 anni d’identità europea).
Gli Stati-civiltà vivono oggi immersi in un universo tecnologico, comprendente il Post-Umano e le guerre tecnologiche. La Cina ha sfidato l’Occidente sul piano dell’innovazione tecnologica ed economica e del controllo politico sulle grandi piattaforme (il “Crackdown sui BAATX”). L’India è divenuta il Paese più popoloso del Pianeta e un’area di punta del settore ICT. Gli Stati Uniti tentano in tutti i modi di preservare ed accrescere la loro egemonia, attraverso il complesso informatico-militare, le “covert operations”, le guerre per procura, i dazi e le sanzioni.


4.IL PERCORSO PER COSTRUIRE IL NOSTRO STATO-CIVILTA’
L’Europa si trova ad affrontare insieme tutte queste sfide. Perciò, non potrà divenire uno Stato-civiltà se non gradualmente, trasformando, eventualmente, in un’opportunità la sfida costituita dalla guerra dell’Occidente contro la “Maggioranza del Mondo” (“Mirovoe Bol’shinstvo”).Infatti, le grandi guerre costituiscono da sempre un momento di riorganizzazione degli equilibri mondiali. Questa, in particolare, sta già conseguendo vari risultati, come ad esempio l’epifania di tendenze di lungo periodo, come il ribaltamento dei rapporti di forza fra est e ovest, la ri-nazionalizzazione, la redistribuzione delle culture politiche, una maggiore attenzione per discorsi innovativi…. Così come la Prima e la Seconda Guerra Mondiale, anche questa potrebbe portare a novità importanti, prima fra le quali una possibile inversione di fronti (come a suo tempo l’Italia dagl’Imperi Centrali all’ Intesa e dall’Asse alle Nazioni Unite, e, oggi, la convergenza fra islamismo e Occidente), e la nascita di nuovi soggetti politici (come, a suo tempo, gli Stati dell’
Europa Centrale e del Medio Oriente, e la stessa Unione Sovietica).
Lo sforzo per costruire lo Stato-Civiltà europeo potrebbe inserirsi appunto in un contesto simile.
3.UNA GUIDA NELLA FASE BELLICA
Nella guerra civile europea che sta ri-cominciando, il popolo europeo manca di una guida morale, capace di sorreggerlo in un periodo di grandi difficoltà.
In questa fase, un “Comitato Pan-europeo di Resistenza e Resilienza” avrebbe come primo compito quello di dare, al popolo europeo, la sicurezza psicologica derivante dal fatto di avere, alle proprie spalle, un cervello pensante, che, pur non disponendo di alcun potere, studiasse e proponesse soluzioni che, a termine, possano prevenire le origini di questa conflittualità e, in generale, della debolezza del’ Europa. Ciò che era mancato nelle due precedenti guerre mondiali, e continua a mancare per la debolezza dell’ Unione Europea.
In primissimo luogo, la maggioranza della popolazione nei vari Paesi è contraria alla prosecuzione della guerra, ma i meccanismi giuridici e politici sono tali, che essi non hanno modo di esprimere in concreto questa loro contrarietà, e neppure di sviluppare progetti alternativi. Innanzitutto, le decisioni concernenti la guerra sono centralizzate, sostanzialmente, nel Presidente degli Stati Uniti, mentre i governi europei le recepiscono senza discuterle. Ancor peggio, gli “establishment” hanno interiorizzato a tal punto l’ideologia “occidentalistica”, da operare con l’obiettivo di rendere difficili eventuali soluzioni pacifiche che fossero sostenute da Trump dopo il suo insediamento, e da rimangiarsi continuamente i timidi accenni alla pace fatti da questo o da quel politico.
Più che combattere per il conseguimento della pace, che, ammesso che arrivi, sarà dovuta soprattutto alle scelte della futura presidenza americana e/o alla superiorità militare russa, e/o all’ intervento della Cina e della Turchia, una guida europea servirebbe dunque per incanalare la partecipazione della popolazione disorientata verso la politica, anche e soprattutto nel caso in cui si impongano scelte drammatiche, come in quello di guerra campale sui nostri territori. Infine, la guerra potrebbe, e dovrebbe, costituire un momento di maturazione degli Europei sui temi della pace e della guerra, così come lo avvenne con Kant, Novalis, De Maistre, Coudenhove-Kalergi, Spinelli, Simone Weil, Galimberti e Drieu La Rochelle.
Tema centrale: la lotta ai condizionamenti culturali anti-europei, come il millenarismo materialistico, il Postumanesimo, la”cancel culture”, la russofobia e la sinofobia.
In particolare, occorrerebbe fare pressione affinché il richiesto maggiore contributo dell’Europa agli sforzi della NATO si traducesse in una maggiore influenza degli Europei, soprattutto investendo in attività che accrescano l’autonomia europea, per esempio in un’Accademia Militare e Strategica Europea, in un’Intelligence Europea, in un software duale europeo, in un’arma missilistica e spaziale europea.
Infine, a tendere, il ritorno all’ idea di una “Casa Comune Europea”, di cui le steppe pontiche, con il loro spirito “passionale” (Mickiewicz, Pushkin, Lermontov, Gogol, Herceg)tornino ad essere la cerniera, senza più guerre fratricide, ma, anzi, con un reciproco riconoscimento, come nelle “Danze Polovesiane”.

4.IN PREPARAZIONE DELLA STATUALITA’ EUROPEA
Come detto prima, l’obiettivo delle attività del Comitato si dovrebbero articolare in due fasi: la prima, durante la guerra, e, la seconda, dopo.
Questa seconda fase dovrebbe avere come obiettivo di costituire quella base umana, concettuale, organizzativa, che oggi manca agli Europei per poter creare la propria statualità
Essa dovrebbe rispondere innanzitutto a una serie di domande:
1)quali sono le sfide a cui sono esposti oggi tutti i Paesi del mondo?
2)quali di esse sono specifiche dell’Europa?
3)quali sono le possibili risposte?
4)in particolare, quali sono le trasformazioni nella teologia, nell’antropologia, nella filosofia, nella società, nella geopolitica, nell’economia, nella difesa e nella cultura indotte dall’ Intelligenza Artificiale?
5)quali sono il possibile contributo dell’ Europa e i suoi reali interessi?
6)quali sono le caratteristiche (rilevanti per quanto sopra) che accomunano l’ Europa con i grandi Stati-Civiltà?

7)Le risposte delle diverse culture possono convergere?
8)Cosa può esserci di comune, e quanto deve rimanere distinto?
9)Alla luce di quanto precede, le tendenze in corso nei diversi ambiti umani sono accettabili o debbono essere cambiate?
10)In che cosa sarebbe possibile cambiarle?
11)Come potrebbe l’Europa contribuire a cambiare queste tendenze?
12)Quale struttura dovrebbe darsi l’Europa per contribuire a quei cambiamenti? In campo culturale, politico, militare, economico?
13)In che modo le attuali organizzazioni sovrannazionali possono essere utilizzate come componenti di questa futura struttura dell’Europa?
14)Come pervenire a trasformare l’Europa in tale senso?
15)Come strutturare il Comitato?
Purtroppo, a oggi ci sembra che pochissimi intellettuali europei siano sensibili a questi temi, sicché pensiamo che il comitato dovrebbe essere inizialmente abbastanza ristretto, senza poter arrivare a una rappresentanza su base“nazionale”(anche perché le “nazioni” attuali non sempre sono molto rappresentative). Un’attenzione particolare dovrebbe essere dedicata a momenti seminariali, miranti a sviluppare una “scuola” di giovani europeisti “passionali”.

ALEPPO, ORESHNIK, TAVARES:Apocalypse Now

Dai tempi della caduta del Muro di Berlino, siamo oramai avvezzi a continui roboanti annunzi circa l’avvento di un “nuovo ordine mondiale”, radicalmente diverso da quelli passati.
Oggi, si può forse dire che questa trasformazione sia veramente in corso, perché le novità riguardano un po’ tutte le aree della competizione/conflitto fra “Occidente” e “Maggioranza del Mondo”,facendo oggetto di eventi spettacolari, fra cui le sempre nuove armi, i sempre nuovi fronti e gl’ininterrotti terremoti nell’economia europea. In queste condizioni, risulta sempre meno sopportabile, assistere alla televisione alle continue apologie dell’ esistente da parte di politici, giornalisti, imprenditori e intellettuali di tutti i colori, sorridenti, eleganti e imbellettati mentre parlano di stragi, guerre, crisi, ecc..
Quanto agli scenari di guerra, secondo Molinari (La Repubblica del 2 Dicembre), “all’ interno dei singoli paesi, in Nord America come in Europa e in Estremo Oriente non c’è consenso sulla comprensione della grande guerra d’attrito: a prevalere sono spinte nazionaliste, isolazioniste e populiste che preferiscono ignorare o sminuire le minacce per non dover affrontare le conseguenze che comportano”.
Quanto al rapporto fra guerra e tecnologie, quella in corso sta mettendo in evidenza le nuove realtà con cui fare i conti: il riallinearsi dei GAFAM (Zuckerberg) con lo Stato americano anche dopo l’elezione di Trump; la disponibilità, nelle mani della “Maggioranza del Mondo”, di tecnologie belliche potenti, spesso più avanzate di quelle occidentali, a partire dal missile sperimentale Oreshnik, che ha centrato dimostrativamente il grande complesso industriale Yuzhmash di Dnipro, il maggior costruttore ucraino di missili.
Infine, per ciò che concerne la crisi dell’economia moderna, la “Guerra senza Limiti” in corso accelera la decadenza del modello economico e sociale europeo del secondo Dopoguerra, fondato sulla trasformazione dell’economia di guerra del 2° conflitto mondiale in società affluente; sullo sfruttamento parassitico dell’egemonia americana per realizzare prodotti di consumo all’ ombra della NATO; sul patto sociale socialdemocratico realizzato semplicemente rivitalizzando le politiche sociali corporative dei fascismi; sul “capitalismo renano” fondato su una cogestione che oggi sembra non tenere il passo con i tempi; sulla centralità dell’ autoveicolistica come via maestra verso la società dei consumi…


1.Allargamento degli scenari di guerra
La “Guerra Mondiale a Pezzi” di cui parlava Papa Francesco si è oramai trasformata nella “Guerra Senza Limiti” teorizzata dai generali cinesi.
Il Rapporto del futuro commissario dell’Unione Europea Niinistö, riprendendo una pubblicistica oramai classica in Scandinavia, propugna la diffusione in tutta Europa di un manuale militare sul modello di quello da sempre esistente in Svezia, dedicato a consigli pratici alla popolazione per il caso di guerra. Si tratta di raccomandazioni (per lo più banali) di sicurezza passiva, volte alla salvaguardia della sopravvivenza individuale. La parte attiva dell’originale svedese, dedicata alla resistenza civile (“Inte Samarbejde”, “Non collaborate”), che completava l’opera quando la Svezia era un paese neutrale, è stata lasciata cadere, forse perché potrebbe ritorcersi innanzitutto contro la NATO, affidando ai cittadini compiti bellici importanti.
In realtà, prima della caduta del Muro anche la dottrina militare di altri Paesi d’Europa, come quelle svizzera, jugoslava e albanese, prevedevano una resistenza partigiana dopo l’eventuale invasione e sconfitta (difesa nazionale totale, in serbo Opštenarodna odbrana),che dava alla popolazione civile il compito di mobilitarsi in forze di difesa territoriale dotate di grande indipendenza operativa, le quali, sfruttando la conoscenza del terreno e le tattiche della guerriglia, si sarebbero trasformate in un esercito di resistenza che avrebbe condotto azioni militari, continuato la produzione bellica e mantenuto l’amministrazione dello Stato nelle zone occupate, proseguendo così una guerra di logoramento contro l’invasore.
Con il passare dei decenni, anche queste modeste velleità “sovraniste” sono andate perdute, con Svezia, Finlandia, Slovenia, Croazia, Montenegro ed Albania nella NATO, e la Svizzera non più genuinamente neutrale.
Intanto, lo scenario del conflitto si è esteso all’oblast russa di Kursk, all’ordine pubblico in Romania e Georgia, alla guerra civile siriana, al Libano, allo Yemen…


2.La “maturità” dei missili ipersonici rende più realistica una guerra totale
Il missile “sperimentale” Oreshnik presenta varie caratteristiche che ne fanno lo sbocco naturale delle esigenze strategiche nella Guerra senza Limiti quale teorizzata dai generali cinesi.
Esso non è intercettabile perché è in sostanza una navicella di rientro di un lanciatore riutilizzabile, e, quindi, raggiunge Mac 11; inoltre, compie una traiettoria casuale e sgancia grappoli di proiettili; ottiene effetti distruttivi complessivi pari a una bomba atomica di grande tonnellaggio pur non avendo neppure una carica esplosiva, ma solo coni di alluminio leggero che si comportano come piccoli meteoriti, provocando profondi crateri. Di conseguenza, evita la contaminazione nucleare, come pure lo stigma collegato all’ arma atomica.
Essendo tale, esso si presenta come l’arma tattica ideale, perfetta per rispondere ai missili a medio raggio che l’Occidente (e forse anche l’Ucraina in Yuzhmash) hanno ricominciato a costruire.
Questo è un ulteriore tassello dell’escalation in corso nella Terza Guerra Mondiale, che ci fa comprendere ancor più quanto il nostro futuro sia sospeso a un filo, e quanto poco noi Europei e Italiani possiamo influenzarlo, soprattutto perché nessuno sembra curarsi della nostra particolare posizione geografica e, in particolare, del fatto che l’Italia ospiti più di 100 basi americane, che contengono, fra l’altro, varie decine di testate nucleari.
Solo un’azione culturale profonda, che smonti molti degli attuali riflessi pavloviani, potrebbe tirarci fuori dalla spirale bellicistica in corso, ricordando innanzitutto a tutti i nostri concittadini che i Russi, come tutti gli Slavi, sono culturalmente Europei, e che quindi non vi è alcuna ragione per condurre ininterrottamente una fratricida lotta (militare o di altro tipo) contro di loro, come invece stiamo continuando a fare a partire dalla Perestrojka (mentre quando c’era il PCUS andavamo, paradossalmente, d’amore e d’accordo).


3.Le dimissioni di Tavares pochi giorni prima di Barnier: ennesimo paradosso della vicenda FIAT.

Torino fu fondata da Giulio Cesare nel 58 a.C. Nel 1561, divenne la residenza di Emanuele Filiberto, il Duca di Savoia vincitore alla Battaglia di san Quintino. Nel 1713, divenne capitale del Regno di Sicilia, nel 1718, di quello di Sardegna; nel 1961, di quello d’ Italia.
Fra il 1888 e il 1889, ospitò Nietzsche fino al momento della sua pazzia: qui scrisse L’Anticristo, Il crepuscolo degli idoli ed Ecce Homo . Dal 29 aprile al 19 novembre 1911, si tenne a Torino l’ Esposizione internazionale dell’industria e del lavoro, Nel 1907, il politologo tedesco Roberto Michels, il grande teorico dei partiti politici, grazie all’intercessione di Einaudi e di Loria, ottenne una cattedra all’Università di Torino, dove insegnò Economia Politica e Sociologia Economica.
Torino era quindi una capitale politica e culturale europea già prima della FIAT, e avrebbe potuto benissimo prosperare senza di essa.
Tuttavia, essa vi dedicò tutte le sue forze, dalla costruzione del Lingotto e di Mirafiori, all’occupazione delle fabbriche diretta da Gramsci ed esaltata da Gobetti, e al primo contratto collettivo in Italia, alla costruzione delle infrastrutture militari per le due Guerre Mondiali, sotto lo slogan “Terra, Mare, Cielo”, fino al lavoro sotto i bombardamenti, all’Autunno Caldo e alla Marcia dei Quarantamila. Il quartier generale della società era a Torino, fra il Lingotto, Corso Marconi e Mirafiori, ma il Gruppo, con i suoi 188 stabilimenti, in cui erano occupati più di 190 000 dipendenti, era presente in 50 paesi del mondo e intratteneva rapporti commerciali con clienti in oltre 190 nazioni.
Produceva beni e servizi in almeno 12 differenti settori, dalla finanza all’editoria, dalla formazione alla consulenza, dalla ricerca all’industria di base, dall’autoveicolistico alle ferrovie, all’ aviazione, ai motori marini, agli elettrodomestici, dalla chimica agli armamenti, allo spazio. Gravitavano intorno ad essi famiglie, azionisti, fornitori, clienti, professionisti, che rappresentavano almeno mezzo milioni di persone in tutti i Paesi del mondo.
Un vero impero economico, capace di esprimere, nella sua dismisura, tutti i lati, positivi e negativi, della Modernità, e che ha richiesto l’impegno assillante di almeno cinque generazioni di Torinesi.
Nel 1974 Torino aveva raggiunto il record di 1.202.846 , mentre oggi ne sono rimasti soltanto 890.000.
Così come la FIAT è nata con la Modernità, non vi è dubbio che, con la fine della Modernità, essa sarebbe venuta meno. Cosa che si è puntualmente verificata, visto che Stellantis non ha praticamente più nulla in comune con FIAT: non il gruppo di controllo, che è francese, non la sede, che è a Parigi, non le fabbriche, dove l’unica torinese, Mirafiori, è praticamente chiusa.
Non possiamo passare il tempo a rimpiangere questo stato di fatto, che era praticamente ineluttabile, vista l’analoga sorte della Chrysler, della Leyland, della Saab e di altre, ma possiamo, e dobbiamo, invece, polemizzare su come ciò è avvenuto e sulle prospettive per il futuro. La fuoriuscita dall’ auto non è avvenuta mediante una strategia intelligente e concordata fra politica, impresa e lavoratori, bensì trasferendo surrettiziamente tutta l’eredità della FIAT, originata prima di tutto dagli sforzi e dai sacrifici dei Torinesi, e, poi, dagli aiuti dello Stato italiano, allo Stato francese e ai tre fratelli Elkann, i quali l’hanno reinvestita altrove, perfino in spregio al nostro diritto, costituendo uno dei massimi patrimoni privati del mondo e lasciando a Torino solo fabbriche obsolete e inquinanti e operai in cassa integrazione. Tutto ciò con la benedizione e la connivenza di tutti i Governi italiani e regionali, dei sindaci di Torino, dei partiti e dei sindacati (senza contare, a suo tempo, i Sovietici e Obama, fra i maggiori artefici delle fortune del gruppo di controllo).
Ora, le dimissioni di Tavares aggiungono a tutto ciò un ulteriore tocco di surrealismo. Un amministratore delegato di un’impresa controllata dallo Stato francese che guadagna centinaia di volte più di un operaio, che chiude fabbriche dovunque licenziando migliaia e migliaia di persone, e, alla fine, licenziato a sua volta per aver mandato in rovina la Stellantis (non solo quella italiana), ottiene dall’ azionista (lo Stato) una “buonauscita” miliardaria.
Certo, il caso della Stellantis non è unico, perché, contemporaneamente, sono in crisi tutti i grandi gruppi europei, tant’è vero che la UE sta già pensando a una nuova stagione di aiuti, ma anche questo non è un disastro naturale, bensì il risultato di una serie di errori politici.


4.La crisi Volkswagen
Infatti, le crisi degli altri gruppi, in primis quella della VW, potevamo vederla già a partire dal 2015, quando l’Agenzia statunitense per la protezione dell’ambiente aveva accusato la multinazionale tedesca di avere progettato i propri motori diesel Turbocharged Direct Injection (Tdi) in modo tale che attivassero i sistemi di controllo delle emissioni solamente durante i test di controllo.
Giacché la Casa di Wolfsburg non era la sola a truccare in tal modo i dati, molti osservatori ritengono che, dietro la deflagrazione delle accuse e dello scandalo mediatico che travolsero quell’unico marchio (lo stesso, guarda caso, finito spesso bersaglio delle critiche di Donald Trump), vi erano motivazioni politiche. Comunque sia, lo scandalo Dieselgate contribuì a mettere in moto quelle politiche green che hanno portato all’attuale crisi finanziaria del principale gruppo europeo.
Volkswagen, probabilmente proprio per scrollarsi di dosso l’onta del Dieselgate, è stata infatti tra le Case del Vecchio continente ad aver abbracciato con convinzione le nuove motorizzazioni elettriche, con una mossa tipica del mondo industriale tedesco, che spesso ha avuto la presunzione di mettere fuori mercato la concorrenza grazie alle sue scelte innovative. Molte Case erano invece rimaste a guardare, ritardando l’elettrificazione dei propri marchi: “VW si è ritrovata con una gamma di nuove auto elettriche che erano molto costose da acquistare senza che nessuno le volesse per davvero”. A ciò non sono certo estranee le politiche americane miranti ad accerchiare l’Europa:
-guerra in Ucraina e conseguente blocco dell’ importazione di idrocarburi a basso prezzo dalla Russia;
-boicottaggio delle Nuove Vie della Seta con conseguenti difficoltà nelle esportazioni e negli investimenti in Cina;
-dazi sempre più pesanti tanto verso la Cina quanto l’ Europa.
Tutto ciò mentre alle porte dell’Europa bussano ormai le rivali cinesi: “Per un milione di ovvie ragioni le auto elettriche possono essere prodotte in Cina a un prezzo molto più basso rispetto all’Europa”.
Tutto ciò è paradossale perché la Volkswagen è sempre stata altamente politicizzata, e, quindi, fortemente sensibile alle grandi trasformazioni del proprio tempo. Fondata da Hitler e da Porsche contro la volontà dell’imprenditoria tedesca, e perciò affidata al sindacato nazista (la prima grande azienda autogestita), poté sopravvivere dopo la guerra grazie al governatore inglese della Germania del Nord, e realizza nel modo più radicale il concetto tedesco di “cogestione”, che, nel suo caso, assomiglia all’ autogestione, perché l’azienda è protetta da un regime speciale detto “Volkswagengesetz”, che ne garantisce il controllo al Land della Bassa Sassonia.
Ora, è in corso uno sciopero durissimo contro la chiusura di varie fabbriche. La Presidentessa del Consiglio di fabbrica, Cavallo, figlia di un emigrato italiano, ha chiamato l’Amministratore Delegato “Vergogna della Nazione”.


5.Insufficienza delle politiche nazionali ed europee
La scelta dell’elettrico per garantirsi l’indipendenza economica ha senso per la Cina, che può permettersi di fare scelte autonome di lungo periodo, comprendenti tra l’altro la motorizzazione di centinaia di milioni di nuovi consumatori, le “smart cities”, le auto a guida autonoma e il dominio del solare eolico, non già un’Europa soggetto ai capricci degli USA, priva di terre rare e di deserti dove installare i pannelli solari, e tagliata fuori dal mercato della guida autonoma. Per un’Europa siffatta, purtroppo, il “time to market” è fondamentale, e può diventare fatale.
Anche in questo campo, o ci trasformiamo in uno Stato-Civiltà con centinaia di milioni di abitanti, con un budget enorme e la capacità di fare investimenti decennali, oppure saremo condannati ad uscire anche dall’ industria auto.
Come afferma il sito della Coface (assicurazione francese dei rischi export) il Governo cinese, investendo nell’auto elettrica più di 231 miliardi di dollari, ha fatto sì che, 2023, BYD abbia superato Tesla.
Secondo la Coface,i dazi all’ import decisi dall’ UE non bastano, anche perché, nell’ attuale situazione geo-politica, una UE sempre più debole (vedi dimissioni di Barnier) non ha un peso contrattuale sufficiente per negoziare con la Cina, gli USA e gli aggressivi gruppi multinazionali.

DALL’EGIZIO AL MUSEO DELL’ EUROPA verso Torino Capitale Europea della Cultura 2033

Nella prefazione al libro “La Memoria è il nostro futuro”, ispirato all’ idea-chiave della “Memoria Culturale” di Ian Assmann, il direttore del Museo Egizio di Torino, Christian Greco, ha sviluppato un approfondito discorso sul ruolo che i musei potrebbero, e dovrebbero, avere, nel dibattito contemporaneo circa le identità culturali – un dibattito a nostro avviso determinante per le sorti della pace e della libertà nel mondo-.Discorso ulteriormente allargato con “La cultura è di tutti”, scritto con Paola Dubini, Egea,Milano, 2014.
Nel contempo, il Sindaco di Torino ha lanciato un tavolo di lavoro per la candidatura della Città a Capitale Europea della Cultura nel 2033. Il discorso sui musei s’inserisce perfettamente in questa prospettiva, che rientra, a sua volta, a pieno titolo, nella missione e nella storia dell’Associazione Diàlexis.


1.Contro la moderna follia
Nessun momento avrebbe potuto essere più appropriato di questo, in cui assistiamo, per usare un termine attualissimo, a una Guerra Senza Limiti (cfr. Liang Qiao , Xiangsui Wang, e al.),fra, da un lato, il blocco culturale, politico e militare “occidentale”, che, pure fra le apparenti divergenze (fra “cultura Woke”, “Cancel Culture”, Politicamente Corretto, Singularity, turbocapitalismo, “progressismo da ZTL”, sovranismo e “Make America Great Again”), condivide l’idea di una missione superiore attribuita all’Occidente, e, dall’ altro, la molteplicità delle infinite culture del resto del mondo (pre-alfabetiche, animistiche, politeistiche, patriarcali, epistocratiche, religiose, comunitarie, conservatrici, monarchiche o ancestrali), a lungo spregiate e perseguitate in quanto barbariche e arretrate (cfr., per esempio, la conquista delle Americhe, la Tratta Atlantica, lo schiavismo, il Trail of Tears, l’ imperialismo, il neo-colonialismo, i genocidi, l’islamofobia, la russofobia, l’”esportazione della democrazia”), ma le quali infine, grazie ad una sorta di “Lunga Marcia” (indipendenza di Cina, India, Vietnam e altri Paesi afro-asiatici; rilancio delle “tigri asiatiche”; miracolo cinese) hanno oramai raggiunto un livello di parità culturale, politica, economica e militare con il “Primo Mondo”, il che che permette loro di esprimere il loro punto di vista circa i grandi temi dell’ Umanità.
Qualora si assumano questi diversi orientamenti culturali e storici come un qualcosa di fisso e assoluto, l’“escalation” verso la Terza Guerra Mondiale, in corso in Ucraina, nel Levante e nel Mar della Cina, è inevitabile. Se, invece, come a noi pare più sensato, si vanno a cercare le radici comuni delle diverse culture del mondo, quali esse apparivano per esempio all’ inizio dell’ Epoca Assiale (cfr. Jaspers, Eisenstadt e Assmann), uno “Scontro di Civiltà” sembra più lontano. Visto che qui si parla innanzitutto del Museo Egizio, non vi è chi non veda le similitudini fra l’Antico Egitto e le società ad esso coeve, come in particolare quelle mesopotamiche e anatoliche, con lo stesso ruolo attribuito ai sovrani di diritto divino, le loro mitologie addirittura “traducibili”, come nel trattato di Qadesh, l’etica professionale dei guerrieri montati su carri (pensiamo a Mozi o al Bhagavadgita), il principio di “humanitas” (“ren”仁), che traspare dalla “Regula Aurea”, l’indistinguibilità fra etica e diritto, spezzato dal positivismo giuridico delle poleis (cfr. Antigone)…
Anche avvicinandoci nel tempo, i poemi omerici e Gilgamesh, il Mahabharata e il Ramayana sono collocati in una stessa atmosfera etica e letteraria, caratterizzata dall’interazione fra gli uomini e gli dei, dal culto dell’eroe, dal senso del destino, che incombe sugli eroi e sugli stessi dei: un’atmosfera che ha permeato tutte le letterature successive (pensiamo all’Ifigenia di Goethe, ai Sepolcri, a Carlyle, ad Anouilh, alla Cassandra di Christa Wolf, all’ “Eschile, l’éternel perdant” di Kadaré).
Infine, i pensatori che hanno gettato le basi del pensiero mondiale, da Mosè a Jina, da Laotse a Confucio, da Zhuangzi a Mozi, da Eraclito a Parmenide, da Socrate a Platone, da Budda ad Aristotele, da Epicuro a Lucrezio, da San Paolo a Sant’Agostino, hanno affrontano tutti, seppure con diversi metodi e linguaggi, le stesse questioni, a partire dall’ indeterminatezza della realtà (Rgveda, Protagora, Socrate, Confucio).
Soprattutto il Cristianesimo testimonia l’eredità dei popoli primitivi e medio-orientali (cfr. Rees,Cristianesimo e antiche radici) a cominciare dal tema del Giardino Terrestre (il “Gan Eden” con un chiaro riferimento all’area sud-arabica); per passare al Diluvio Universale, così simile a ciò che si è detto e fantasticato su Atlantide, la Lemuria, Doggerland e Kumari Kandam; per poi venire al Figlio di Dio, alla Resurrezione, alla Trinità, agli Angeli, Arcangeli, Troni e Dominazioni, al Salvatore, all’Aldilà, all’ Apocalisse, all’ascetismo e al monachesimo. I Re Magi che adorano il Bambino non compiono lo stesso rito dei Lama che ancor ora selezionano il Piccolo Budda in giro per il Tibet? E il ricordo di Cristo e i suoi apostoli non è ancora vivissimo nei monasteri del Kashmir e nelle grotte di Chennai?
Solo negli ultimi mille anni il pensiero “occidentale”, con Averroè eal-Ghazzali, Hume e Hegel, Marx e Nietzsche, Freud e Jung, Wittgenstein e Heisenberg, De Finetti e Feyerabend, è sembrato allontanarsi dalle basi lato sensu umanistiche dell’Epoca Assiale, per tingersi spesso con il colori del “sospetto”. Sospetto talvolta del tutto giustificato, ma che più spesso rimanda alla “nostalgia” per quelle radici comuni (greche o cristiane, buddiste o zoroastriane).Contemporaneamente emergeva, con la Qabbalà e Newton, St-Simon e Marx, Rostow e Kurzweil, una visione teo-tecnocratica che pretende di cancellare le antiche culture in nome di una pretesa “obiettività” fondata sulla tecnica, vera “sostanza” del mondo e pensiero di Dio : visione che è oggi dominante nella Teoria dello Sviluppo e nella Singularity Tecnologica.


  1. Nostalgia dell’ avvenire
    Come scrive Greco, “Divenire consapevoli della relatività della visione contemporanea può rappresentare un primo passo per avvicinarsi al passato con la stessa cura e la stessa attenzione che un giorno speriamo venga dedicata alle nostre azioni e ai nostri pensieri..” Ma per noi è ancora di più. E’ lo strumento principe per bloccare la deriva della Modernità verso un mondo senza umanità dominato dagli algoritmi, in cui non vi sarebbe futuro per l’eredità dell’ Epoca Assiale.
    La contemplazione del passato non costituisce quindi una motivazione per l’immobilismo. I popoli più antichi già anticipavano aspetti della postmodernità, se non della futurologia, anche se li inserivano in una visione più vasta dell’ Uomo. Gli antichi libri sacri e i muri dei templi sono pieni di descrizioni di macchine volanti e di tute spaziali; i protagonisti degli affreschi egizi e cretesi sono multiculturali; l’idea dell’ibernazione quale premessa per la resurrezione è tipicamente egizia; ma neppure la fluidità di genere era certo sconosciuta, anche se con risvolti che certo non sono più ben accetti alla Cancel Culture…
    L’ethos dei popoli antichi può costituire anche un modello per quelli odierni, anzi, può aiutare a costruire una forza che eviti quella dissoluzione della società che spiana la strada al governo delle macchine intelligenti. La cultura che tutti abbiamo assorbito è l’erede diretta dell’educazione aristocratica, la “paideia” dei Greci, che accomunava, come concetto, i guerrieri spartani e le fanciulle dei “thiasoi”:il “gymnazein kai philosophein”, così come lo Yoga e il Bushido, sono la base della formazione “integrale” del cittadino “optimo jure”, che accoppia cultura fisica e pensiero critico. Non per nulla, “cultura” si diceva, in Greco Antico, “Paideia”, e si dice, in Neoellenico, “Politismòs”. Per questo, è importante la “storia della memoria” (“mnemostoria” di cui parla Dubini), a cui i coniugi Ian e Aleida Assmann hanno dedicato tutta la loro vita scientifica. Abbiamo appena assistito alle Fonderie Teatrali Limone di Moncalieri a una splendida rappresentazione di “Tragùdia”, un’opera in Grecanico calabrese che rivisita in modo innovativo le tragedie classiche del ciclo tebano, dimostrandone la perenne attualità.
    Ciò che vale per le culture antiche vale anche per le società contemporanee non occidentali. Secondo Lévi-Strauss, la filologia classica costituisce la forma primaria dell’antropologia. E’ noto come i Gesuiti, edificando su una base culturale classica e cristiana, siano divenuti i massimi esperti di Cina, traendone insegnamenti anche per l’Occidente, e diffondendoli in Europa con le loro “Lettres Amusantes et Curieuses”, a cui si abbeverarono gl’Illuministi, e grazie alle quali furono introdotti in Europa concetti fondamentali come quelli dello Stato minimo e dei concorsi pubblici per i funzionari. Ancora questa setytimana il Presidente Mattarella, citando indirettamente l’omonima opera in Cinese di Matteo Ricci, basata sul “De Amicitia” di Cicerone, ha citato l’amicizia quale chiave di volta di un mondo poliedrico, di cui evidentemente Cina e Italia dovrebbero essere protagoniste.
    Quanto valeva nei secoli XVII e XVIII dovrebbe valere a maggior ragione anche oggi. Lo studio comparato delle culture dovrebbe costituire un freno ai fanatismi, permettendo anche di capire come certe caratteristiche che noi attribuiamo erroneamente e polemicamente agli altri Continenti siano soprattutto un effetto indotto dell’incontro con l’Occidente, come il “socialismo con caratteristiche cinesi” (derivato in parte dal marxismo europeo), il “nazionalismo” russo (discendente dal romanticismo tedesco), il puritanesimo islamico (imitazione di quello anglosassone), il culto esclusivistico del dio/eroe/signore Rama (frutto della “rivalità mimetica” con la jiahad islamica e con la figura di Maometto), e la “nazione palestinese” dall’incontro-scontro degli Arabi con il “Popolo d’Israele”. Ma, soprattutto, la centralizzazione indotta dalla società della comunicazione di massa, e, in particolare, dalla transizione digitale, che, dell’era delle comunicazioni, costituisce il culmine – un fenomeno che parte dalla Presidenza Imperiale americana, dal Complesso Informatico-militare e dalla Società dell’ 1%, ma si è esteso al resto del mondo, dove però viene stigmatizzato come “autocrazia”-.
    In conclusione, lo studio del passato può e deve essere la fonte per la costruzione del futuro, così come la ricostruzione del Regno di Salomone era l’obiettivo del messianesimo, o gli “aurea saecula” il modello per il “principatus” augusteo, o “le urne dei forti” la scaturigine di una nuova generazione eroica di Italiani.


3.Favorire la poliedricità dei musei
L’ignoranza, da parte degli Europei, delle culture degli altri Continenti e delle periferie dell’Europa è abissale, ma grave è anche la censura selettiva della nostra stessa storia. Il compito di chi volesse veramente colmare questo abisso non sarebbe certo facile, richiedendosi il concorso di cultura, Chiese, Europa, Stati, tecnologie ed Istituzioni.
Cominciamo, per esempio, dalla parallela ignoranza delle civiltà precolombiane e di quella danubiana. Continuiamo con la Persia e in generale le radici dell’identità europea. Arriviamo infine alle cristianità orientali (malabarica, etiope, monofisita, ariana, nestoriana) e ai popoli dell’ Est Europa (Uralo-Altaici, Unni, Avari, Slavi, Bulgari, Caucasici, Ottomani, Karaiti, Askhenzaziti, Sefarditi). Per concludere poi con i primi secoli della storia americana (dalla Leggenda Nera a quella bianca, dalle colonizzazioni spagnola, olandese, francese e russa, alla tratta atlantica, al “Trail of Tears”, al Trattato di Guadalupe Hidalgo ;cfr.Aleksandar Hemon su “La Stampa”), alla classificazione razziale degl’Italiani (Lombroso,Sergi ), all’Eccezionalismo Americano e i progetti di integrazione europea (Dubois, Podiebrad, Sully, St-Pierre, Santa Alleanza, Trockij, Coudenhove Kalergi, Fulbright, Galimberti, von Ribbentrop…).
Tutto ciò potrebbe, e dovrebbe, fare oggetto di un’intensa attività culturale, e, in particolare, museale, incurante delle contrapposte egemonie culturali.
Una perspicua esemplificazione di quest’impellente esigenza è costituita proprio dal Museo dell’ Europa, di cui da tempo molti lamentano la mancanza, ma del quale si è riusciti, dopo molti sforzi, soltanto a realizzare una forma quanto mai incompleta, la Casa della Storia Europea di Bruxelles, sotto l’egida del Parlamento Europeo.
Orbene, questo museo non risponde purtroppo minimamente alle esigenze di conoscenza evocate dal paragrafo precedente, e, in primo luogo, quella di dare spazio al cosiddetto “patrimonio dissonante”di cui parla Dubini:”l’insieme delle vestigia del passato attorno alle quali diversi gruppi presentano narrazioni fortemente discordanti e spesso in conflitto”. Ricordiamo, come parte del “Patrimonio Dissonante”: le varie nozioni di genealogia dei popoli; la patria originaria degli Indo-europei; le influenze afro-asiatiche;il millenarismo; il Barbaricum; l’Ancien Régime; la Leggenda Bianca e la Leggenda Nera; il colonialismo; i grandi imperi; la nascita delle “nazioni”;l’America; il post-umanesimo; i totalitarismi..
Al contrario, si pretende d’imporre una cosiddetta “Memoria Condivisa”,cioè una serie di luoghi comuni cementati dalla propaganda, in cui i Greci sono i “Buoni” e i Persiani i “Cattivi”; gli Unni sono “Barbari”; i Comuni sono “Borghesi”; gli Anglosassoni costituiscono “un’Avanguardia”; l’Europa Orientale e l’Asia sono “arretrate”, e così via…
La Casa della Storia Europea, confondendo Europa con Unione Europea, parte assurdamente solo dalla Rivoluzione Francese, come se non facessero parte della storia europea Goebekli Tepe e la Bibbia, le Piramidi e le Zigurrat, , il mondo greco-romano, l’Euro-Islam, le “Tre Rome”, i Progetti d’integrazione europea (Dubois, Podiebrad, Sully, St-Pierre,la Santa Alleanza, Coudenhove Kalergi, Spinelli, Galimberti, Gorbaciov… ). Quel museo costituisce dunque la plastica rappresentazione dell’incapacità degli Europei di rappresentare la propria identità, per una serie di vizi intrinseci dell’Europa attuale: insufficienza della capacità cognitive e creative della classe dirigente; diktat ideologici; gretti particolarismi…
Con quel tentativo, di per sé meritorio, si è almeno evidenziata ed esemplificata un’ enorme lacuna nel panorama museale europeo, che va comunque colmata con un’azione congiunta dell’intelligentija, della politica, dell’ Unione, delle Istituzioni, degli specialisti, delle scuole, dei musei…Senza un’azione siffatta, è impossibile quel rilancio dell’Europeismo che da molti viene invocato, ma per lo più abbinato a concetti, come quello di “Memoria Condivisa”, che ne inficiano l’efficacia, provocando un senso di inautenticità e così tarpando le ali al necessario entusiasmo.
La decisione del Sindaco di Torino Lorusso di candidare Torino a Capitale Europea 2033 riapre una discussione da noi avviata da ben 14 anni, prendendo spunto dall’allora proposta candidatura della città per il 2019, a cui avevamo dedicato ben 2 libri.Allora come ora, la nostra proposta era quella che la candidatura non dovesse esaurirsi nella promozione puntuale di un grande evento, bensì costituire un momento determinante di trasformazione del tessuto culturale e sociale del nostro Territorio. In concreto, suggerivamo di compiere una intesi ragionata delle più vitali tradizioni della Città: editoria impegnata, alta tecnologia ed Europa.
Tutto ciò si era tradotto in 200 progetti di 50 associazioni riunite nel Comitato della Società Civile per Torino Capitale,e con il sito Torino 2019, che hanno fatto oggetto di un’apposita opera editoriale e di una serie di manifestazioni di accompagnamento presso il Comune. Purtroppo, come noto, il Sindaco aveva deciso allora di non candidare la Città. Tuttavia, l’esperienza acquisita rimane, e può essere utilizzata per la prossima candidatura.
Il Museo dell’ Europa (o almeno una mostra a questo proposito) può costituire un elemento centrale del progetto di candidatura, partendo fin da subito con un percorso di avvicinamento. Se il progetto sarà dedicato all’ Europa nel suo complesso, e non solo all’ Unione Europea, esso potrà essere ben accolto anche nel clima di critica dell’ Unione che si sta diffondendo.
Senza ovviamente addentrarci qui nei contenuti precisi del progetto, siamo per altro in grado di suggerire almeno i grandi filoni conduttori, che potrebbero tradursi in eventuali sezioni (e/o esposizioni). Essa potrebbe collocarsi in palazzi storici aventi una forte connotazione evocativa, accanto al Museo Egizio e quello del Risorgimento, oppure accanto al Museo di Arte Orientale, che testimoniano le tradizioni culturali europee e internazionali di Torino.

4.Un’ipotesi di Museo
Pur con la necessaria provvisorietà e indeterminatezza, ci sentiamo di delineare qui le linee essenziali di un possibile museo dell’ Europa, che potrebbero divenire le sezioni di un museo, e/o oggetto di mostre specifiche durante l’anno di Capitale Europea della Cultura:
-le meraviglie d’Europa (dall’ Artico all’ Asia Centrale, i fiordi e il Mediterraneo, le Alpi e le isole);
-le origini degli Europei(“Out of Africa”, Neanderthal, neolitico, cacciatori- raccoglitori, agricoltori, il cavallo, il Medio Oriente);
-l’Europa nelle scienze umane (geologia, etnografia, linguistica, genetica, teologia, geografia, storia, antropologia, dottrine politiche, scienze strategiche, arte, filosofia, letteratura, architettura,economia, diritto, sociologia, tecnologia);
-la “Memoria Culturale” (da Gilgamesh alla Bibbia; da Omero a Orazio; dal Nuovo Testamento al Corano; dalle Crociate ai Progetti d’integrazione; dall’Umanesimo alla Modernità)

-il predecessori (Mesopotamia, Egitto, Anatolia;il mondo greco-romano; Israele; il Barbaricum; il Cristianesimo;l’Euroislam; Bisanzio; i Progetti di Crociata;le grandi esplorazioni (europee ed afroasiatiche);
-le tracce delle civiltà (da Cnosso a Stonehenge, da Micene a Delfi, dal Partenone a Pompei, da Santa Sofia a Granada, da Venezia a San Pietroburgo, da Versailles alla nuova Berlino);
-i progetti d’ integrazione europea (Saint-Pierre;Saint-Simon; Santa Alleanza; Paneuropa; Ventotene, Galimberti, Fulbright, Schuman);
-la “Dekadenz”(Nietzsche, Dostojevskij, Spengler, Guénon, Huxley) e la “Distruzione dell’ Europa” (Benda, Lukàcs, Hillgruber);
-il mondo di Yalta (Est e Ovest;Guerra Fredda e Coesistenza Pacifica) e la caduta del Muro (il Dissenso; Gorbachev);
-l’Unione Europea (dal Federalismo all’ Unione; vittorie e sconfitte; Brexit);
-la Guerra senza Limiti (alla ricerca di un Nuovo Ordine Mondiale; la Società delle Macchine Intelligenti);
-il “patrimonio dissonante” (progressismo e perennialismo; Oriente e Occidente; Nord e Sud; Nazioni e Stati-Civiltà).

D.O.G.E. : UNA VITTORIA DELL’ IDEOLOGIA CALIFORNIANA

Il progressivo sovrapporsi della vittoria di Musk a quella di Trump costituisce l’immagine plastica di una mutazione epocale in corso in tutto il mondo, definita genericamente “crisi della democrazia”:

-nell’Impero Americano, il più grande guru dell’ informatica, un finanziere che già domina tutti i mercati strategici, preme (apparentemente, con successo) per essere nominato capo di un progettato “Department of Goverment Efficiency” (“D.O.G.E.”), destinato a porre l’intero Stato americano, che domina il mondo intero,sotto la tutela del Gruppo Musk;

-in Cina, la digitalizzazione si spinge fino a controllare ogni azione dei cittadini, la loro salute, i loro spostamenti;

-in Israele, l’intero popolo palestinese è controllato ininterrottamente dai vari sistemi digitali dell’Esercito e dei servizi segreti, e i ministri possono essere “licenziati” senza motivazione e senza alcun impatto sull’appoggio dei partiti al Governo; inoltre, il Paese, divenuto, grazie a quanto sopra, il massimo esperto mondiale di tecnologie di controllo, rivende queste ultime a tutti i Paesi del mondo;

-in Russia, gli organi governativi sono perennemente riuniti in una tele-conferenze con il Presidente, e perfino le loro relazioni individuali al Presidente sono trasmesse in diretta: il trionfo del “Talk Show”;

-nella UE, si sta preparando una sorta di “mobilitazione generale”(“Rapporto Niinistö),civile e militare,  e vige una censura generale pan-europea contro chiunque non sia allineato sul “politicamente corretto”(il “Digital Services Act”);

-in Ucraina, sono stati sciolti 11 partiti politici ed espropriata la maggior parte delle Chiese, colpevoli di essere restate fedeli al Patriarcato di Mosca.

E si potrebbe andare avanti all’ infinito…

In questo intervento, cercheremo di analizzare le ragioni di questo trend, con particolare riguardo al ruolo di Elon Musk nella nuova costellazione di potere conseguente alla vittoria di Trump.

1.Brave New Word (ll mondo nuovo)

Rivivono in Musk certi aspetti del bolscevismo originario, come il cosmismo (la “colonizzazione dello spazio di Tsiolkovskij,  di Vernadskij , di Bogdanov e del movimento ingegneristico kievano “Do Marsa”= “su Marte”).

Dovunque, l’accresciuta conflittualità fra il progetto  post-modernista incarnato dai GAFAM (le Grandi Piattaforme americane) e quello conservatore (rappresentato dai BRICS) -conflittualità ramificata attraverso tutti gli Stati del mondo-, ha generato una situazione di guerra strisciante e di preparazione bellica permanente fra i grandi Paesi, che rende inevitabile la centralizzazione di tutti i poteri intorno al rispettivo leader e al suo “cerchio magico”, per essere sicuri della rapidità della mobilitazione bellica, per mantenere intatta la retorica ufficiale, per evitare ogni “infiltrazione” ostile, per razionalizzare un’economia sinistrata in vista di una guerra prolungata, per contrastare le catastrofi derivanti dalla crisi ecologica…Questa centralizzazione si appoggia sulle nuove tecnologie digitali di controllo capillare della popolazione, che finiranno per risultare le uniche vere vincitrici di questo confronto, come scritto profeticamente da Manuel De Landa nel suo “La guerra nell’ era delle macchine intelligenti”.

In queste condizioni, che senso ha ripetere stancamente le retoriche della libertà individuale, della separazione fra Stato e Chiesa, della divisione dei poteri, della libertà di opinione, della “privacy” che avevano caratterizzato il XX° secolo? Qui si fa solo più a gara a chi abolisce più libertà, considerandosi ogni realtà indipendente come un focolaio di pericolo, in quanto è possibile che venga conquistato da un “nemico”, e usato per “destabilizzarci”.

L’insistere a tentare di spiegare tutto ciò con gli stereotipi del XX° Secolo è non solo inutile, ma anche sospetto, in quanto è molto probabile che si voglia nascondere in mala fede la realtà delle cose, e in particolare il fallimento di una cultura irrealistica (i “parametri utopico-liberali” di cui parla Giovanni Ursina), che per altro ha sostenuto le carriere di intere generazioni d’intellettuali e di politici.

Quando si attaccano,  con l’accusa di “democrazia illiberale”, alcuni Paesi dell’Unione Europea (Ungheria, Slovacchia) o della NATO (Turchia), in realtà si vuole condannare non già la loro pretesa illibertà, bensì la loro eccessiva indipendenza, che permette loro di non schierarsi al 100% con l’ America, divenendo così a loro volta un pericolo per il controllo centralizzato e militarizzato,da parte  da parte della stessa, degli “alleati” occidentali. Tuttavia, questi Stati  non fanno che ripetere in piccolo quello che già succede in grande nelle grandi potenze (a cominciare dagli Stati Uniti), e anticipando quello che accadrà ancora in tanti altri Stati. Essi debbono centralizzarsi per resistere ai potentissimi condizionamenti del Complesso Informatico-Digitale occidentale (di cui Musk è il tipico esempio)..

D’altronde, le contraddizioni della Modernità che stanno esplodendo ora, e, in particolare, quelle della “democrazia” occidentale, erano già iscritte fin dall’ inizio nel suo DNA. Per esempio, pur parlando di democrazia, lo stessoGeorge Washington ne criticava già,  in nome del “Repubblicanesimo”,  gli aspetti fondamentali: i partiti, il voto popolare e lo spirito di parte.

Il punto è che la democrazia è per sua natura illiberale. Mentre il liberalismo è un’ideologia tipica dell’ aristocrazia del ‘700 che lottava contro lo Stato assoluto inneggiando alla “liberalità” dei signori (pensiamo a Rochefoucauld), la democrazia è quella deriva delle antiche Poleis, denunziata fin da Omero (Tersite), per passare a Socrate, Aristotele e lo “Pseudo-Senofonte”, che le aveva portate ad essere dominate da un pathos plebeo, dalla demagogia, dall’“oclocrazia”(l’”apistos demos” di Aristotele), e, infine, dalla tirannide (i Trenta Tiranni). E che altro è il “trumpismo” (o il “populismo”:la “pancia” del popolo), se non lo spirito plebeo elevato a virtù civica, in quanto la più pura espressione del “popolo” tanto esaltato negli ultimi 200 anni?

“Democrazia illiberale” è un termine assolutamente equivoco, sia se usato in senso dispregiativo, sia usato in senso elogiativo, perché, nell’attuale gergo americaneggiante, tanto “democrazia” quanto “liberale” designano il contrario di quanto avevano significato per almeno mezzo secolo in Europa (per esempio, in “Democrazia Cristiana” e “Partito Liberale”). D’altronde, la traduzione del l’omonimo libro di Zakaria parla giustamente di “democrazia senza libertà”, che ben si attaglia a praticamente tutti gli Stati attuali. Sarebbe forse meglio parlare di  “sistema carismatico-rappresentativo”, in quanto esso  tenta di conciliare l’esigenza di un leader, provocata dalla mobilitazione generale mondiale, con le forme giuridiche della democrazia rappresentativa (così come, nel Principatus augusteo, l’esigenza di un principe provvidenziale veniva conciliata con le forme tradizionali del cursus honorum repubblicano)

Del resto, vi è sempre stato un legame fra “mobilitazione generale” e idolatria del “popolo”, che è quello che, come ben studiato da Jünger, aveva portato ai totalitarismi del 20° Secolo. L’unico modo per por fine alla mentalità da mobilitazione generale è far finire la Terza Guerra Mondiale, rendendo nuovamente possibile, all’interno di ciascuno dei blocchi concorrenti, una forma di pluralismo, non più accusabile di “intelligenza con il nemico”. Vediamo se Trump ne sarà veramente capace.

Questa situazione smentisce in modo definitivo la credenza che, nel XXI° secolo, possano avere ancora una qualche utilità le categorie di “Destra” e di “Sinistra”, ma anche di “Democrazia” e “Autocrazia”, essendo restata in campo solo la distinzione fra “governo degli algoritmi” (come quello che si è instaurato in America grazie alla convergenza delle azioni di Eric Schmidt e di Elon Musk) e il (almeno più “umano”) “governo del leader” (come quelli di Cina, Russia, India, Turchia..).

In questo contesto, l’Europa, disabituata a pensare dall’egemonia del “pensiero unico”, non sa più come orientarsi. Perfino coloro che, per un motivo o per l’altro, amerebbero defilarsi dal Governo delle Macchine Intelligenti, dell’America e della NATO, sono in seria difficoltà, visto che c’è una corsa sfrenata da parte di tutti ad accattivarsi la coppia, ormai onnipotente, “Trump-Musk”, mentre le effettive intenzioni di Trump non sono ancora neppure note. Come ha affermato sprezzantemente Putin, “ciò che manca all’ Europa sono i cervelli”.

La vicenda Trump-Musk dimostra almeno quanto siano ancora diverse l’Europa e l’America.

2.Il ruolo di Elon Musk nell’amministrazione Trump

Come anticipato, vogliamo qui concentrarci però su quella che appare come la vera novità del secondo mandato di Trump, il quale forse ha vinto in questo modo schiacciante non già per l’appoggio di nuove correnti di opinione o all’ “endorsement” di autorevoli “opinion leader”, bensì grazie a un impero finanziario e tecnologico -quello di Musk- che già domina l’Occidente, sui mercati dei media, delle biotecnologie, dell’ intelligenza artificiale, dello spazio,  dell’ autoveicolistica,  delle telecomunicazioni, essendo così in grado di pilotare l’intera società americana e di mettere in ombra gli stessi GAFAM “minori”. E, difatti, Musk ha messo a disposizione di Trump un congruo numero di miliardi, di cui una quota precisa dedicata al voto di scambio, oltre che l’accesso senza limiti e senza censura alla piattaforma “X”, quella che era stata un tempo Twitter, e che Musk ha comprato. Gli mancava solo il timbro di “Direttore tecnico degli Stati Uniti”,cosa che oramai sembrerebbe avere. Infine, è lui il migliore intermediario con Zelenskij, perché buona parte dell’ esito della guerra dipende dalla disponibilità, o meno, della rete Starlink.

Si è superato perfino il concetto marxiano di “Comitato d’affari della borghesia”: l’Amministrazione americana è il dominio privato di due imprenditori-soci, dei quali l’uno, il Presidente e il “junior partner”, anche se rappresenta formalmente lo Stato, ma l’altro, da “CEO”, controlla l’intera società, realizzando così il sogno tecnocratico di Saint-Simon. Altro che “conflitto di interessi”!

Il gigante aerospaziale SpaceX e Tesla di Musk sono entrambe tra le aziende che valgono di più al mondo al mondo. SpaceX è la seconda più grande azienda privata al mondo, con una valutazione di 210 miliardi di dollari. La società di veicoli elettrici Tesla è la decima società quotata, con una capitalizzazione di mercato di oltre 900 miliardi di dollari.

Musk ha una quota del 42% in SpaceX e una quota del 13% in Tesla, e ha anche quote di controllo in X, la piattaforma precedentemente nota come Twitter, e nella startup di intelligenza artificiale generativa xAI. Musk è di gran lunga la persona più ricca del mondo, con un patrimonio netto di circa 280 miliardi di dollari, più di 60 miliardi di dollari in più rispetto al secondo uomo più ricco, il fondatore di Amazon Jeff Bezos.

Ma, soprattutto, Musk incarna nel modo più trasgressivo la “hybris” del Postumanesimo, nei suoi aspetti più inquietanti: l’Intelligenza Artificiale Generativa, le microchip nel cervello, i twitter senza alcuna moderazione, la colonizzazione privata dello spazio, la disoccupazione tecnologica, la maternità surrogata.

In effetti, il progetto di Musk, cioè quello di ufficializzare il controllo dei GAFAM sullo Stato americano, e, con ciò, sull’ Occidente,  non è nuovo. Esso era stato teorizzato da Schmidt e Cohen nel loro libro “The New Digital Age”, concepito dai due autori nel 2003, nella Baghdad ridotta in cenere ed occupata dall’ esercito americano, in cui si suggeriva che Google avrebbe dovuto sostituire la Lockheed nel guidare l’America alla conquista del mondo (“Googleization of the World”). Ed è stato criticato da Evgeny Morozov  quale ultimo tentativo, da parte di una civiltà fallimentare, per bloccare l’esito della Storia, che, di per sé, starebbe voltando le spalle all’ Occidente.

Sempre Schmidt aveva incominciato a mettere in pratica quel progetto, con la creazione di NSCAI, la commissione incaricata dal Congresso di elaborare una strategia per contrastare il superamentodegli USA da parte della Cina, da cui nacque l’Inflation Reduction Act, con cui il Senatore Schumer si proponeva di “mettere fuori mercato il mondo intero”.

Ora, è stata colmata una lacuna nel progetto,  perché Musk (anche se aborre la California, preferendole il Texas) sta non soltanto teorizzando, bensì incarnando nella propria persona, la “ideologia californiana”, che fonde cultura nichilista e intelligenza artificiale, politica tecnocratica e monopolio universale.

Facendo ciò, egli ha dato un significato concreto all’ ideologia M.A.G.A., oscillante vagamente fra l’isolazionismo e il nazionalismo.

3.Il “programma di governo” di Musk

Musk, nonostante che provenga dal campo progressista e abbia sostenuto Trump solo da luglio, ne è divenuto ormai il compagno inseparabile, perfino nei colloqui con Zelenskij, anche se è improbabile che assuma un ruolo ufficiale. Egli ha, inoltre, affermato che “non è necessario alcun compenso, alcun titolo, alcun riconoscimento” per i suoi servizi (ampiamente compensati evidentemente dalla possibilità di difendere dall’ alto i propri interessi), guidando un “Dipartimento per l’efficienza governativa” (D.O.G.E.) che Trump ha pubblicizzato come  “Segretariato per la riduzione dei costi”, con l’obiettivo di tagliare da 2.000 miliardi di dollari o più dal bilancio federale (evidentemente subappaltando funzioni pubbliche alle multinazionali del web, e, in primis, a quelle di Musk, che è già l’insostituibile fornitore dell’ Amministrazione). In un’intervista al podcast Joe Rogan Experience ha detto che spera di “sgomberare il ponte” da regolamenti e agenzie federali indebiti e “ridurre le agenzie [federali] per renderle molto più piccole….assicurarsi che …si attengano a ciò che il Congresso ha autorizzato”.

D’altra parte, le aziende di Musk sono al lavoro anche in Italia per darsi assegnare (vedi scandalo S.O.G.E.I.) delle commesse strategiche, nell’outsourcing dei servizi pubblici, con le quali anche il nostro Paese diventerà dipendente da Musk per il funzionamento stesso dello Stato, così come stafacendo in America, e come avevano già fatto le Istituzioni europee con Microsoft.

Quali siano le sue intenzioni lo ha dimostrato ancora il 13 novembre, con un post sulla sua piattaforma dedicato alle sentenze dei giudici italiani (ed europei) circa i “paesi sicuri”. La forma e il contenuto del post costituiscono un esempio ineguagliato delo stile  di Musk, che interviene non sollecitato su una vicenda giudiziaria italiana ed europea, indicando una soluzione, le dimissioni dei giudici, che è agli antipodi, non solo dell’ ordinamento italiano, ma anche sull’ “ordine giuridico basato sulle regole” di cui l’ America si fa vanto. Per quanto sia pericoloso, e/o sgradito, essere sommersi da immigranti che porteranno anche da noi l’insanabile contraddizione americana fra “Whites” e “Non-Whites”, ancor peggio è essere governati contra legem da Washington da un informatico sud-africano, quasi fossimo un “bantustan” qualunque. Questo dimostra plasticamente che cosa dovrebbe impedire l’ “autonomia strategica” italiana ed europea.

Musk ha affermato inoltre  che, dopo queste elezioni, non ha alcuna  intenzione di smettere di pesare sulla politica. Il suo super comitato di azione “continuerà dopo queste elezioni e si preparerà per le elezioni di medio termine e per eventuali elezioni intermedie”, evidentemente tentando anche di interferire nelle politiche interne degli “alleati”, come faceva già Bannon. Fortunatamente, Trump si era presto stancato di quell’ alleato scomodo.

4. Musk e l’Antitrust

L’idea che il più grande monopolista del mondo sia incaricato dal Presidente di ristrutturare lo Stato americano mette  una fine definitiva dell’illusione  che la “destra” sia favorevole al libero mercato. E’ come incaricare il lupo di guidare una mandria di agnelli. Il che è per altro logico, perché la “destra” trumpiana non è liberista, bensì interventista nell’ economia, ma nell’ ottica attuale della mobilitazione bellica, secondo il collaudato modello del “keynesismo militare”, applicato negli Stati Uniti di Roosevelt, nella Germania nazista e oggi nella Russia di Putin. Il ruolo degli imprenditori è quello di “oligarchi”, fedelissimi del “leader” che possiedono le imprese, ma le gestiscono secondo le esigenze della programmazione bellica (pensiamo per esempio alla programmazione di Todt e di Speer e alle Reichswerke Hermann Göring).

Come ovvio, Musk si è scontrato spesso con i regolatori dell’amministrazione Biden. La FTC guidata da Khan ha colpito X, allora nota come Twitter, con una multa di 150 milioni di dollari, e ha ordinato restrizioni sui metodi di raccolta dati per la pubblicità della società di social media per la pubblicità. La SEC guidata da Gensler si è scontrata con Musk per il suo uso di Twitter nel contesto del suo ruolo in Tesla, risalente a un controverso tweet del 2018 in cui Musk ha affermato di aver ottenuto i fondi necessari per rendere privata la Tesla.

Ci sono poi una serie di cause legali in sospeso e indagini governative contro Musk e le sue aziende,  che  naturalmente apprezzerebbe il clima normativo più leggero lanciato da Trump. Tra le questioni legali e normative che Musk deve affrontare ci sono un appello per ripristinare il suo bonus da 50 miliardi di dollari in azioni Tesla, annullato da un giudice del Delaware a gennaio, un’indagine sui sistemi di guida autonoma di Tesla da parte della National Highway Traffic Safety Administration e un avvertimento segnalato dal Dipartimento di Giustizia sui premi da 1 milione di dollari dell’American PAC ad alcuni elettori di stati indecisi.

Tesla, che rappresenta la maggior parte della ricchezza di Musk rispetto a qualsiasi altra sua azienda, sta già ricevere una formidabile spinta dalle proposte economiche di Trump che probabilmente danneggerebbero i suoi concorrenti di veicoli elettrici, un vantaggio che si è tradotto nel rally delle sue azioni mercoledì, fatto che ha già fatto aumentare il valore delle azioni di Tesla fino a un trilione di dollari.

Al diavolo il conflitto di interessi!

Eppure, la resa incondizionata degli Stati  ai guru dell’informatica non sarebbe in teoria affatto inevitabile. Lo dimostra il caso della Cina.

5.Il precedente di Jack Ma

Ricordiamo che uno scenario analogo si era prodotto recentemente in Cina, dove esistono multinazionali digitali che, seppure presenti solo in quel Paese, hanno dimensioni analoghe a quelle americane (i “BAATX”). Questo è uno degli aspetti più appariscente della presunta defezione della Cina verso il capitalismo, sulla quale non concordiamo, perché, tecnicamente, il socialismo non è la statizzazione di tutta l’economia, bensì “il controllo sociale sui mezzi di produzione”, che è ciò che si sta realizzando in Cina attraverso meccanismi giuridici complessi, comprendenti anche il mercato.

Anche  Jack Ma aveva creato un impero privato simile a quello di Musk (oltre ad assumere atteggiamenti spettacolari ricalcati su Musk, come quando si era presentato ai dipendenti vestito come Michael Jackson.).

Nel frattempo, la Cina aveva approvato a tempo di record una serie di leggi sull’ ICT ispirate a quelle europee, ma più concrete e applicabili, in base alle quali tutte le multinazionali cinesi si sono viste esposte a una pioggia di sanzioni, in quanto, come le loro colleghe occidentali, intralciano continuamente la concorrenza, trascurano la privacy, ecc…(il “Crackdown sui BAATX”).

Quando Ma aveva lanciato una campagna di stampa contro il sistema bancario cinese, che gli negava quel sostegno finanziario che invece Musk ha in Occidente, per trasformare il suo impero industriale e tecnologico cinese in un impero finanziario mondiale, è stato arrestato e detenuto per alcuni mesi, finché ha rinunziato ai ruoli operativi nelle sue società, trasferendosi all’ estero e limitandosi a incassare i dividendi dovutigli in quanto socio di minoranza delle società stesse.

7.Trump e i conservatori

Un altro “miracolo” di Trump è stato quello di trasformare i conservatori, da sempre considerati “dei pariah” della politica, specie europea, in protagonisti ambiti delle politiche nazionali e della UE.

Grazie a ciò, l’”accoppiata” Trump-Musk  ha indebolito con una duplice mossa  un probabile ostacolo al dominio mondiale dei GAFAM: la resistenza in nome dell’umano al “Governo degli algoritmi” di Musk,  così simile al “Governo delle Regole” tanto caro al liberalismo di sinistra. Questa resistenza non potrà venire se non da ambienti “lato sensu” conservatori, come per esempio le Chiese. Probabilmente, la coppia Trump-Musk spera che, essendole essi grati per averli fatti uscire dai loro ghetti, vari tipi di “conservatori”  lascino per un momento da parte le loro legittime ragioni ideali, che concettualmente li opporrebbero al “governo delle macchine” – chi per orgoglio nazionale, chi per umanesimo, che per difesa della libertà-…, e “lavorino” come si dice oggi, con la coppia Trump-Musk e con gli altri grandi soggetti geopolitici modo da non contrastare, bensì da agevolare, il progetto della “Singularity Tecnologica”. Ricordiamoci che Musk, come persona, tiene comportamenti ricalcati sui grandi transumanisti, come Ray Kurzweil e l’iraniano Fereidun Esfandiari. Quest’ultimo (il cui nome originario era la traduzione in Farsi, di quello del Salvatore dell’ Avesta, Thraetona) aveva fatto modificare all’ anagrafe il proprio nome e cognome in  FM-2030, anno in cui, secondo i transumanisti, sarebbero state curate certe malattie, come quella al pancreas di cui egli sarebbe morto dopo poco, e, contestualmente, s’ era fatto ibernare. Ebbene, anche Musk, oltre a fare ricosto alla gestazione surrogata,  ha chiamato il proprio figlio “X Æ xii” (quasi fosse un nuovo modello di macchina).

La battaglia politica che, fino ad oggi, si era svolta essenzialmente all’ interno  dei “parametri utopico-liberali” di Ursina (anche la Democrazia Cristiana, e perfino il Fascismo, erano a loro modo  stregati dal  mito del Progresso), oggi lo spazio  concettuale entro cui si combatte per l’egemonia politica mondiale è sostanzialmente “conservatore” (dall’interpretazione delle varie religioni e tradizioni nazionali a quella del mito moderno del Superuomo, fino ai critici moderni  della Modernità: Ricci, Ibn Khaldun, Nietzsche, Dostojevskij, Huxley, Dumont, Teilhard de Chardin, Burgess, Compagnon).

Come scrive sempre Orsina, “l’ordine utopico-liberale  non abbia saputo  mantenere le sue promesse e … il suo fallimento ne abbia fatto emergere  chiaramente i consistenti tratti di disumanità, l’affidarsi a un esistente essere umano e astratto. Disincantato, decontestualizzato, perfettamente morale e perfettamente razionale”. In sostanza, si è compiuta la Dialettica dell’ Illuminismo descritta da Horkheimer e Adorno.

E’ all’ interno di quest’ ampio spazio politico e culturale (l’unico rimasto oggi relativamente vivo al di fuori del postumanesimo) che si può, e si deve, ora, lanciare una battaglia sulla preservazione dell’ Umano, sulla libertà minacciata, sulla pace nel mondo, sul ruolo delle classi sociali, dei popoli e dei Continenti…). Se necessario, contro tanti falsi “conservatori” che operano come apripista per la Singularity Tecnologica e per il “Governo degli Algoritmi”. Tale critica al progetto post-umanista non dev’essere preconcetta, bensì partire dalle sue (per quanto discutibili) radici storiche :il Mistero dell’ Incarnazione, l’“Antiquatezza dell’Uomo”, il mito dell’ Eterno Ritorno...

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YOUNG, George M., I cosmisti russi: il futurismo esoterico di Nikolai Fedorov e dei suoi seguaci , Tre Editori, Roma, 2017,

ZAKARIA, Fareed, Democrazia senza libertà, in America e nel resto del mondo,trad. Lorenza Di Lella, Rizzoli, Milano, 2003

EUROPA HA GIA’ PERSO, INDIPENDENTEMENTE DAL FATTO CHE ABBIA VINTO TRUMP

Lo diceva la rivista online POLITICO October 31, 2024 :”It doesn’t matter if Trump or Harris win. Europe has already lost.”di  Nicholas Vinocur

Secondo quell’Autore, il momento del massimo splendore dei rapporti transatlantici (“Peak America”), era stato raggiunto il June 6, 1994, con la celebrazione dei 50 anni dello Sbarco in Normandia.

1L’età dell’oro dell’ egemonia americana

A quell’ epoca, l’egemonia “culturale” degli USA era incontrovertibile nello sport, nell’entertainment (“EuroDisney — a sort of American colony”); i giornali americani erano fortemente presenti in Europa. Oggi, invecve, gli USA hanno ridimensionato la loro presenza i Europa, salvo che nel settore digitale (per altro intimidito dalla legislazione europea), e le truppe americane nel nostro Continente sono state ridotte da 450.000 a meno di 100.000.

L’inizio di questo disinteresse americano coincise con la presidenza di Barack Obama e con il  suo “Pivot to Asia”.

Secondo Ben Hodges, ex comandante americano in  Europa,  il costo di mantenere tanti soldati ha generato vantaggi proporzionali:  “It was always mystifying to me that people didn’t see what a huge advantage we have with our leadership inside NATO and our relationship with European countries,”

2. Senza gli Stati Uniti, l’Europa sarà persa, oppure sarà salvata?

 La Commissione si sta preparando a un ridimensionamento dell’ impegno americano, ma è divisa quanto alla configurazione dell’ “autonomia strategica europea” .

L’ex Primo ministro finlandese Niniisto ha presentato un rapporto dettagliato sullo stato di preparazione bellica e per la difesa civile L’ Europa non è preparata ad una guerra mondiale, per cui il primo compito sarebbe quello di spiegare ai cittadini europei come sopravvivere nelle prime 72 ore del conflitto. Qualcosa che la Svezia stava facendo 5o anni fa, con la diffusione capillare degli opuscoli “Om kriget komer” (“se viene la guerra”) e “Inte samarbejde”(“non collaborare”). E’ grottesco che vengano riproposte soluzioni  così invecchiate, senza tener conto del mutato scenario tecnologico e geopolitico. La “military preparedness” (EU Preparedness Law) è divenuto un termine corrente nel linguaggio brussellese.stiamo programmando, con folle ritardo e senza un piano concreto, un’economia di guerra.

3.Autonomia strategica e autonomia culturale

 Nicolas Tenzer ha scritto:“Without the United States, Europe is lost

In realtà, l’Europa che “è già perduta” sono gli “Stati Uniti d’ Europa”, cioè il progetto di fare, dell’ Europa, un clone degli Stati Uniti, a questi ultimi subordinato. Al momento del dunque, quando gli USA stanno considerando di usare veramente il loro inaudito arsenale culturale, sociale, tecnologoco, poliziesco, politico, accumulato, per imporre l’accettazione, da parte di tutto il mondo, del Modello Incompiuto della Modernità, non tutti sembrano accettare a scatola chiusa questa decisione, né di qua, né di là dell’ Atlantico.

Come avevano illustrato alcuni Autori, come Simone Weil, Pierre drieu la Rochelle e Pietro Barcellona, l’Europa rappresenta oggi, dal punto di vista culturale, il Katechon di paolina memoria, quella forza che trattiene il mondo dall’Apocalisse (rappresentata dal chiliasmo americano). Essa ha combattuto da secoli contro l’ansia millenaristica della “Dissidence of Dissent” (Huntington), per esempio con le critiche di Sant’Agostino al manicheismo, con le prediche di Lutero contro gli Anabattisti, con la dissertazione di Rousseau per l’accademia di Digione, con “Les Soirées de Saint Petersbourg” di De Maistre, con “La crise de la modernité” di Guénon e la “Rivolta contro il mondo moderno” di Evola, con le opere di Dostojevskij, Soloviov, Leontijev, Trubeckoj , Gumilev, Solzhenitsin.

L’Europa costituisce così l’unica vera alternativa al Progetto della Modernità, ed è per questo che, da quando gli USA hanno l’egemonia mondiale, si fa di tutto per sminuirla: finanziando gli “opposti estremismi”; liquidando le imprese come l’ Eni e l’ Olivetti, che avrebbero potuto contestarne la primazia; ricoprendola di basi militari e di testate nucleari che la espongono a rappresaglie russe; obbligandola a guerre intestine e a sanzionare mezzo mondo…

Non ostante tutto ciò, non è  affatto detto che, nella Terza Guerra Mondiale, l’Europa starà dalla parte degli USA. Ricordiamoci che l’indipendenza degli USA fu imposta all’ Inghilterra dalla Francia vincitrice, con l’aiuto della Spagna. Similmente, non è improbabile che un’autonomia europea risulti da una nuova e diversa ripartizione delle sfere di influenza mondiali.

E’ a questo che l’Europa dev’essere preparata: ad assumere, attraverso la cultura, il controllo di quell’apparato politico, militare e tecnologico che si sta preparando con ben divere intenzioni.

STATO, NAZIONE, EUROPA,  IMPERO, STATO-CIVILTA’

Di fronte ai conflitti mortali che attanagliano l’Umanità, la disputa su Stato e Nazione ingaggiata in questi giorni con Giorgia Meloni da alcuni giornalisti, come Ezio Mauro, appare addirittura surreale.

1.Stato o nazione, una falsa alternativa

Mentre le critiche contro l’attuale premier ruotano intorno ad un’accusa di criptofascismo, l’idea della nazione che prevale sullo Stato (di cui Mauro accusa la Meloni) è esattamente il contrario della tradizionale critica fascista (mussoliniana e gentiliana) verso il nazionalismo, in quanto, per essi, non era la nazione che creava lo Stato, bensì lo Stato che creava la nazione (“Nation Building”). E, comunque, l’impero aveva oramai superato Stato e nazione, come risulta più che mai evidente oggi, quando assistiamo ad un conflitto generalizzato fra le grandi aree del mondo.

2.Un  mondo dominato dai GAFAM e dalle Macchine Intelligenti

Ambedue quelle teorie sono infatti fuori tempo massimo di fronte alla realtà dei fatti di un mondo macchinico che assedia, tanto gli Stati, quanto le Nazioni, e minaccia perfino l’Europa, l’Impero americano e lo Stato-Civiltà cinese. Quando Elon Musk dialoga alla pari con Trump, Putin e Xi Jinping sulla guerra in Ucraina e sul futuro di Taiwan, rischiando di scatenare in America una nuova guerra civile. Quanto gli “spioni” di tutto il mondo, ma prima di tutto americani, hanno costituito dossiers su tutti noi, e in particolare sui nostri politici, per ricattarli e fare scattare scandali a orologeria quando non rispettino le direttive atlantiche.

Con Musk (e con gli “spioni”)possono dialogare alla pari solo la Cina e, forse, gli Stati Uniti e la Russia.I difensori di uno status quo ammantato di retorica “democratica” (è il caso di Mauro) si preoccupano del “nazionalismo democratico” di Meloni che avrebbe la colpa di tracciare i propri limiti  sulla base di “tradizione”, “pratica religiosa”, “famiglia”, “identità culturale”, non già sul “patriottismo costituzionale”. Invece, non si rendono conto  che, né l’uno, né l’altro, può sopravvivere in un mondo governato centralmente dai GAFAM secondo meccanismi tecnici impersonali.Né lo Stato nazionale italiano, né la “nazione” italiana, hanno neppure le risorse intellettuali per partecipare a questo dibattito. Un dibattito che, senza Ippocrate, Cartesio, Pascal, Lessing, Voltaire, Kant, Hegel, de Maistre, Kierkegaard,Dostojevskij,  Nietzsche, Freud, Coudenhove Kalergi, Saint-Exupéry,Drieu La Rochelle, non può neppure iniziare.

Chi spadroneggia nel mondo è l’”Impero nascosto” americano con i suoi GAFAM, a cui possono opporsi soltanto altri imperi di pari spessore.

Seguendo due opposte, ma convergenti, scuole di pensiero, i politici di sinistra e di destra vivono invece in simbiosi con i GAFAM, ne accettano le lusinghe, delegano loro importantissime funzioni pubbliche e di sicurezza, disattendendo sistematicamente sentenze come quelle Schrems, e teorizzando addirittura questo loro comportamento, come ha fatto il garante europeo della privacy, il polacco Wewiòrowski, in base al fatto che“è meglio condividere le informazioni con chi ha gli stessi nostri valori”. Certo, la nostra privacy è in ottime mani.

Abbiamo l’impressione che gli uni e gli altri facciano deliberatamente a gara nel “parlare di altro” per distrarre l’attenzione dell’ opinione pubblica, delle Autorità e delle Forze Armate, dal vero e urgente pericolo che siamo correndo: quello di una guerra mondiale tecnologica combattuta, sul territorio europeo, dalle Macchine Intelligenti dei due blocchi, senza che l’Europa si possa difendere, ma, anzi, essendo invasa da bombe atomiche e droni assassini altrui, attirati dalle basi NATO e dalle testate nucleari che queste contengono. Peggio che ai tempi della Guerra Fredda, la cui definizione ufficiale era “coesistenza pacifica”, ed era davvero più “pacifica” dell’ attuale “Terza Guerra Mondiale”.

Da questa prospettiva non ci può salvare, né lo Stato nazionale italiano, semplice “clone” dello standard “occidentale”, né la “nazione” moderna, espressione, secondo le idee di Fichte, Herder e Mazzini, del generale moto verso il “Progresso”, che ci hanno invece portati alla “Guerra nell’ Era delle Macchine Intelligenti”. Ci vuole un’ Europa che, come l’India e la Cina, ricostruisca, in modo moderno, gli antichi Imperi in cui si erano incarnate le sue variegate tradizioni, divenendo essa stessa uno “Stato-Civiltà”, e dando così il proprio contributo, originale ma non egemonico, alla definizione del futuro del mondo.

PERSIA, PALESTINA,DONBASS: GUERRE ETERNE?

Ha suscitato giustamente scalpore il fatto che Israele  abbia attaccato ripetutamente e deliberatamente le basi UNIFIL sotto il comando italiano, provocando tra l’altro gravi ferimenti di Caschi Blu – un’azione che il Ministro della Difesa Crosetto ha giustamente definito come “crimine di guerra”-.

Questo scalpore è giustificato soprattutto dal fatto che la “Guerra Mondiale a Pezzi”, oramai non più tanto a pezzi, sta scalfendo una gran quantità di luoghi comuni impostici da decenni dai media occidentali. Fra questi, il più pernicioso è stato quello relativo alla presunta  “imminenza della Pace Perpetua”, veicolato dalla retorica delle Organizzazioni Internazionali e dell’ Unione Europea.

Mentre le Nazioni Unite  hanno appena fatto il punto sulla loro pretenziosa Agenda 2030, esse si vedono addirittura attaccate militarmente da uno dei propri membri, che l’accusa di essere troppo imparziali nel conflitto con i Palestinesi, mentre invece, secondo Israele, questi ultimi sarebbero  dei “terroristi”, da sterminarsi semplicemente, senza curarsi del diritto internazionale umanitario. I Caschi Blu dovrebbero quindi farsi da parte in seguito a semplici intimazioni dell’Esercito Israeliano (che, tra l’altro, non si capisce perché improvvisamente sia diventato per tutti “IDF”, all’Americana, anziché, in Ebraico, “Tsahal”), e, in caso contrario, rassegnarsi ad essere cannoneggiati. Come se non bastasse, lo stesso Segretario Generale dell’ ONU viene praticamente messo al bando da Israele, immemore del fatto che la sua stessa creazione era stata opera dell’ ONU.

Non che le critiche di Israele siano del tutto infondate. L’inasprirsi della crisi dimostra la debolezza della funzione di “Peace-Keeping” internazionale, ma ciò non è ”colpa” di nessuno:  è la Post-Modernità che, qui come altrove, mette a nudo le contraddizioni della Modernità, due fra le quali riguardano, tra l’altro, proprio Israele e l’ ONU. Su Israele c’è da chiedersi se sia veramente, come pretendeva Herzl, uno “Stato laico”, nel qual caso non si comprenderebbe tutta quest’ansia di ristabilire i confini biblici (Yisrael ha-Shelomah), di ricostruire il Tempio e di usare la Torah come unica vera Costituzione. D’altronde, visto che Israele non è una “razza” bensì un “popolo” etno-culturale,  esso non esisterebbe nemmeno se non ci fossero la Bibbia e la sua lingua. Di converso, i Neturei Karta combattono l’idea di uno Stato ebraico nel tempo presente (tempo che ritengono ancora di esilio), poiché ritengono contrario all’autentica tradizione religiosa ebraica lo  stabilirlo senza aspettare che Erets Israel venga esplicitamente donata dall’Altissimo.  Pertanto, la pretesa sionista di costituire uno “Stato ebraico laico” sarebbe semplicemente l’ennesima  “hybris” di alcuni eresiarchi, né più né meno di quella dei “Costruttori di Dio” cristiani o dei Baha’i persiani (che, guarda caso, hanno sede proprio in Israele): un’ennesima manifestazione di quella “religione secolarizzata” che è al centro della Modernità.

Queste religioni secolarizzate, che, con Lessing, pretendono di realizzare sulla terra le promesse escatologiche delle religioni tradizionali, paradossalmente, in ossequio all’Eterogenesi dei Fini, mentre propugnano la Pace Perpetua, stanno trasformando le religioni in strumenti di lotta fra le diverse parti del mondo (Singularity contro  Tradizione; Hindutva contro Shari’a), perché, abbandonate le pretese di salvezza individuale,  sono divenute semplicemente la divinizzazione della volontà di potenza dei singoli Stati-Civiltà. Del resto, anche il Puritanesimo è una versione secolarizzata del Protestantesimo, così come la il “socialismo islamico” lo è dell’Islam. L’ accusa di “integralismo”rivolta tradizionalmente alle versioni “conservatrici” (“quietiste”) delle singole religioni, si rivela invece adeguata solo alle loro emulazioni laicistiche, come la “religione dell’ umanità di Saint Simon, il Sionismo e la “Nazione dell’ Islam”, camuffamenti dell’espansionismo di popoli che si pretendono “superiori”.

Di qui anche la sterilità delle Chiese ufficiali ( succubi neppur troppo copertamente di quelle religioni secolarizzate), le quali continuano a predicare la pace senza più trovare argomenti concreti a favore della stessa.

Ma  contraddittoria è anche la natura stessa dell’ ONU, nata proprio dalla pretesa del progressismo puritano, espressa alla sua fondazione da Eleanor Roosevelt, di imporre la Pace Perpetua. Tale pace perpetua avrebbe costituito il suggello del progetto messianico americano quale espresso da Winthrop, Cotton Mather, Emerson, Whitman, Friske e Wilkie. Non per nulla il Palazzo di Vetro è situato nel cuore di Manhattan, sotto il completo controllo dell’America. La Seconda Guerra Mondiale sarebbe stata l’ ultima delle guerre perchè poi tutto il mondo sarebbe stato diretto dalla “ragnatela delle istituzioni dirette da Washington”(cfr. Ikenberry).

Sono stati i fatti stessi a ribellarsi a questa proteiforme “hybris”. I conflitti attualmente in corso non sono nati ieri, bensì parecchi millenni fa, e continuano a riproporsi sempre negli stessi termini: l’uno, lungo fra il Don, il Donetz e il Dniepr, fra i popoli indo-europei e turcici dei Kurgan e delle steppe, e, l’altro, fra “Il Fiume d’ Egitto” e l’Eufrate, fra popoli semitici e hamitici dei deserti. Dietro a tutto ciò ci sono, da un lato, la “Distinzione mosaica” (fra Vero e Falso, cfr. Jan Assmann), dall’ altro la pretesa di tutti i contendenti d’incarnare una divina volontà di pace e giustizia, che trae le proprie radici dal mondo antico, e precisamente da quella Persia (Eranshahr) che è oggi il vero antagonista di Israele (perché entrambi perseguono la stessa utopia).  Ed è fra Egitto, Persia e Palestina che nasce la pretesa millenarista. Questi destini sono stati configurati dalla geografia: sono  collocati ai punti di passaggio obbligati fra l’Asia e, da un lato, l’Europa, e, dall’ altro l’Africa, che tutti i contendenti pretendono di tenere sotto il proprio controllo. Le illusioni postmoderne di risolverli “con una bacchetta magica” in base a formule astratte sta scontrandosi con la realtà, e la sta perfino peggiorando.

La sopravvivenza dell’Umanità è stata uno degli obiettivi di base di ogni cultura. Nel mondo moderno iperconnesso, quest’obiettivo richiede uno sforzo congiunto di tutti i popoli. Nel mondo ipertecnologico delle Macchine Intelligenti, senza questo sforzo è assicurata la Fine dell’Uomo: come aveva riconosciuto Kant, la Pace Perpetua si rivela come un grande cimitero.

Per questo, a partire dal Sacro Romano Impero e dal re hussita  Podiebrad, e poi via via attraverso Postel, Crucé, Saint-Pierre, Pufendorf, Novalis, Nicola II, Coudenhove Kalergi, Wilson,  Spinelli, si è venuta configurando una teoria delle organizzazioni internazionali. Teoria che comunque non indica  alcun antidoto all’ incombente mortalità del cosmo, dell’ Umanità e delle civiltà. Anche alla luce dell’ esperienza, occorre ora perciò un approccio più realistico, secondo cui la Storia non finirà con un evento taumaturgico, bensì presumibilmente con il suicidio dell’ Umanità (vedi bomba atomica, Singularity, Terza Guerra Mondiale, surriscaldamento atmosferico, denatalità), e perciò il nostro compito ragionevole è, nella migliore delle ipotesi, “salvare il Cosmo”, almeno  finché sarà possibile (il Katèchon), e per il resto attendere la Fine, che, secondo la tradizione cristiana, “verrà come un ladro nella notte”. L’ebraismo ha un’eccezionale espressione a questo proposito: “Tikkun ha-Olam” (“riparare il mondo”), che non è l’impossibile “Raddrizzare il legno storto dell’ Umanità” (Kant, Berlin), bensì si apparenta a quella quotidiana ricostruzione del Divino attraverso i Riti di cui parla anche Eliade.

1.Il Paese degli Ariani (Iran)

L’eternità delle guerre in corso è dimostrato dalle vicende (pre-istoriche, storiche e post-istoriche) delle tre aree in questione: la Persia, la  Palestina e le Steppe Pontiche.

Una delle opere  che più hanno inciso sulla formazione della cultura postmoderna è il “Così parlò Zarathustra” di Nietzsche, sconcertante, da un lato, perché è talmente ben costruito, da poter rappresentare, letterariamente, e perfino linguisticamente, quasi un “sequel” del  Zand i Bahman Yasn, il principale libro sacro zoroastriano, ma, dall’ altro, perché costituisce una sorta d’implicita ritrattazione della dottrina zoroastriana di una lotta cosmica fra un Dio del Male e un Dio del Bene, quest’ultimo rappresentato sulla terra dal sovrano achemenide.

Lo zoroastrismo rappresenterà così il modello prototipico del messianesimo ebraico e degl’imperi provvidenziali  cristiani e islamici successivi. Non per nulla la nascita di Cristo è salutata, per primi, “nella pienezza dei Tempi”, dai Re Magi. I Persiani zoroastriani sconfiggeranno  e imprigioneranno l’imperatore romano Valeriano, per poi essere a loro volta sconfitti dalle armate islamiche. C’è  anche da chiedersi in che misura l’idea di Jihad, così centrale nell’ Islam, non sia che un’eredità della guerra santa dell’imperatore persiano contro Angra Mayniu. Del resto, uno dei compagni di Maometto era il “Principe di Persia”. La Persia ha mantenuto il proprio spirito  antagonistico alimentando sette islamiche rivoluzionarie, come gli Shi’iti, i Carmati e gli Assassini, e varie religioni post-zoroastriane, come il Manicheismo, il Mazdakisno e il Paulicianesimo (poi reincarnatosi in Europa nel Bogumilismo e nel Catarismo) Più recentemente, la Persia ha generato nuove sette molto inclini al Technological Sublime, come i Baha’i, e, dentro l’Islam, gli Hojjatiyye.

I Persiani continueranno a costituire un elemento di disordine nel Medio Oriente, poiché, memori  di quelle antiche glorie, ambiscono ancor sempre a dominarlo, se non altro culturalmente, con la loro letteratura e le influenze delle loro lingue, e perciò non accettano l’egemonia culturale, né dell’ Occidente, né degli Arabi, né dei Sunniti, né di Israele. La rivoluzione khomeinista, che si presentò come alternativa al mondo islamico sunnita, continua dunque la tradizione messianica e rivoluzionaria dello zoroastrismo, per altro ancora vivo e vegeto nel Paese, e spesso richiamato dai dissidenti anti-khomeinisti.

Ma i veri eredi dello Zoroastrismo sono i progressisti occidentali, i quali hanno trasfuso nel progressismo laicista l’enfasi posta dai Persiani nell’Apocalisse, intesa come conquista del mondo da parte di un Salvatore (Shaoshant) sotto la guida di Ahura Mazda, e la conseguente vittoria del Bene Assoluto sul Male Assoluto. D’altronde, gli Hojjatiyye considerano l’invenzione di Internet come un segno dell’avvicinarsi dell’avvento del Mahdi.

Invece, le cosiddette “autocrazie”, nemiche dell’ Occidente progressista, sono  i veri epigoni culturali degli antichi Greci, in quanto culture tragiche, belliciste e aristocratiche sul modello degli Spartani delle Termopili, a cui  sembrano ispirati i vari al-Qaida, ISIS, Hamas e Hezbollah, con i loro leaders che cercano la morte gloriosa in battaglia. Significativamente, come racconta Erodoto, il generale persiano Mardonio, dopo avere represso la rivolta della Ionia, impone alle poleis locali d’instaurare governi democratici in sostituzione di quelli aristocratici che si erano ribellati alla Persia.

2.Peleset, Peleshtim, Filastin

Sin dall’antichità l’egemonia degli Hyksos venne identificata con il soggiorno in Egitto degli Ebrei, e, in particolare, con le storie bibliche di Giuseppe e Mosè. Gli Hyksos (Heka khasut, cioè “i capi di un Paese straniero” )giunsero in Egitto  attorno al 1700 a.C.,  portandovi il   cavallo e il carro da guerra.

Dopo l’Esodo dall’Egitto, cominciava la conquista di Cana’an da parte del popolo ebraico. I “Revisionisti Israeliani” (p.es., Finkielkraut) sostengono che una vera e propria “Conquista di Canaan” intesa come grande campagna militare, non è mai avvenuta, e si è invece trattato di un graduale spostamento di popoli, dalle rive del Mare Mediterraneo, alle colline della Palestina. Sia come sia, si era sviluppata comunque di una guerriglia continua, a cui ben si confanno le descrizioni contenute in tutta la Bibbia, per altro facilmente sovrapponibili a quelle attuali di Gaza, della Cisgiordania e del Libano:“due dei figli di Giacobbe, Simeone e Levi, fratelli di Dina, presero ciascuno la propria spada, assalirono la città che si riteneva sicura, e uccisero tutti i maschi.” – “Passarono a fil di spada anche Camor e suo figlio Sichem, presero Dina dalla casa di Sichem, e uscirono.” – “I figli di Giacobbe si gettarono sugli uccisi e saccheggiarono la città, perché la loro sorella era stata disonorata” – “presero le loro greggi, i loro armenti, i loro asini, quanto era nella città e nei campi.” – “Portarono via come bottino tutte le loro ricchezze, tutti i loro bambini, le loro mogli e tutto quello che si trovava nelle case….“

Queste vicende ricalcano inoltre quella della Guerra di Troia, narrata dalla letteratura greca, e quelle documentate nei monumenti dei sovrani mesopotamici e nei poemi ittiti, hurritici e mitannici.

Il meccanismo è sempre lo stesso: Dio, attraverso i profeti, incita il popolo ebraico a conquistare le diverse città di Canaan, sterminandone gli abitanti. La scena si ripete all’ infinito. Vengono menzionati infiniti popoli e città: Amalek; Og; Sicon; Madian;Gerico ; Ai; Gabaon; Machedda; Libna;Eglon; Ebron;Debir;i Ferezei;Gerusalemme;Sefat;Moav;Succot;Lais; i Filistei;Ammon;Galgala;gli Aramei;i Siriani;Tifsach…

Tutto ciò è confermato dalle Lettere di Tell el-Amarna, che dimostrano come le città cananee si lamentassero con il Faraone degli attacchi di popolazioni barbare, che essi definivano come “Habiru” o “Jahu.”

Sulla Stele di Merneptah ( 1200 circa a.C.), è narrato l’esito vittorioso di una spedizione militare, al seguito della quale :”Ysyrỉ3r fk.t;bn      pr.t =f” (“Ysrỉr è desolato;il seme suo non c’è”)

Da vari studiosi moderni, Ysrỉr viene identificato con Israele. Si tratterebbe pertanto della prima testimonianza storica relativa al popolo ebraico. Il nome Ysrỉr non è accompagnato, come accade per le città o stati presenti nella lista, dall’ideogramma raffigurante tre montagne stilizzate indicante un regno. L’ideogramma associato invece, un uomo e una donna, indica una popolazione di natura nomade.Invece, i Palestinesi (Filistei, Peleset, Peleshtim, Filastin), sono spesso identificati con uno dei  Popoli del Mare che vediamo sbarcare sulla parete del tempio di Medinet Habu , Sherden, Sheklesh, Ekwesh .

Questa conflittualità ricorrente  ricorda i tentativi egemonici attribuiti dalla Bibbia ai regni di Davide e Salomone, le invasioni babilonesi, assire, persiane e macedoni, fino alle Guerre Giudaiche e all’inizio della Diaspora.

Di non minore importanza, per il Levante, le, questa volta documentatissime, Crociate volte a riconquistare la Terra Santa dal dominio islamico, le quali che durarono circa 600 anni. La prima (1096-1099) permise di istituire i primi quattro Stati crociati: la Contea di Edessa, il Principato di Antiochia, il Regno di Gerusalemme e la Contea di Tripoli. A livello popolare, essa scatenò un’ondata di rabbia cattolica che si espresse nei massacri degli ebrei  e il violento trattamento dei cristiani ortodossi “scismatici” dell’est.

La protezione dei Cristiani in Terrasanta costituì poi il pretesto per la Guerra di Crimea, e il Libano è stato anch’esso oggetto di violente dispute fra comunità religiose, che hanno portato a varie guerre civili (cfr. infra).

Infine, la stessa  nascita dello Stato di Israele si inserisce in un piano di destabilizzazione del Medio Oriente dopo la sconfitta dell’Impero Ottomano, posto in essere da Francia e Inghilterra con gli Accordi Sykes/Picot, piano che non ha ancora cessato di esercitare i suoi effetti perversi.

3.Le steppe pontiche (u-Krajine=sulla frontiera)

La cultura “Jamnaja” (“delle tombe a pozzo”)  si colloca fra una fase tarda dell’età del rame e l’inizio  dell’età del bronzo, nella regione  fra il Bug e il Dnestr e gli Urali (la steppa pontica), in un periodo che va dal XXXVI al XXIII secolo a.C.. Si ritiene che gli Jamnaja siano stati i primi domesticatori di cavalli per uso di trasporto cavaliere e di carri con ruote, che avevano facilitato gli spostamenti e diffuso questa tecnologia. I resti del più arcaico carro con ruote trainato da cavalli, sono stati trovati nel kurgan della “Storožova mohyla” (Dniepropetrovsk, oggi Dniprò”), in Ucraina. Il sito sacrificale di Luhansk (Lugansk, nel Donbass, al centro degli attuali combattimenti) recentemente scoperto, è stato descritto come un santuario collinare dove si praticavano sacrifici umani..

Anche grazie ai cavalli, gli Jamnaja furono un popolo particolarmente guerriero e conquistatore (gli “Ariani”), che si espanse rapidamente tanto in Europa, quanto in Asia. Dopo di essi, attraversarono le steppe pontiche Sciti, Sarmati, Unni, Avari, Bulgari, Khazari, Peceneghi .Questi ultimi sono i  Polovesiani (Polovcy), di cui narra il Canto del Principe Igor (anno 1080)e a cui sono dedicate le “Danze Polovesiane”.

Dopo secoli di combattimenti che coinvolsero  molti popoli dell’ area -Bizantini, Bulgari, Rus’ di Kiev, Cazari e Magiari-,nel XIII Secolo,l’Impero Mongolo conquistò, fa le altre cose, le attuali Ucraina e Russia. Una delle principali battaglie per la liberazione delle stesse fu la Battaglia di Kulikovo, sul Don, sotto la guida di Dmitri Donskoj, nel 1378.

L’Ucraina fece poi parte di quella serie di fortificazioni al confine con l’ Impero Ottomano (che andavano dell’ Impero austriaco, della Polonia e della Russia) dette Krajine (confini). Esse furono custodite da guerrieri di origini internazionali (Giannizzeri, Granicari, Graenzer, Serbi, Hajduk, Honved, Karaim, Lipka Tatarlar). Nell’ attuale Ucraina, essi si chiamarono Cosacchi, da un termine turco che significa “cavalieri delle steppe”, e la Krajina polacca e russa si chiamò “Ukrajina”. Il suo cuore era costituito dalle fortezze sul Dniepr (Zaporishkaja Sich). Si combatté in quest’area fra Cosacchi, Turchi, Polacchi, Svedesi e Russi. Vi furono anche due importanti rivolte di Cosacchi: quella di Stenka Razin e quella di Pugaciov.

La Guerra di Crimea costituì uno snodo fondamentale della storia europea, come testimonia il suo ruolo  nella unificazione italiana, vedendo essa la nascita di una coalizione antirussa a cui partecipò il Regno di Sardegna, anticipatrice dell’ attuale “Kollektiv Zapada”, che contende alla Russia l’egemonia sulla Europa Orientale.

Durante la Guerra Civile Russa, l’Oriente dell’ Ucraina fu sede della repubblica di Kharkiv,  dell’ effimero Stato “bianco” di Denikin, della repubblica anarchica di Makhnò e di quelle sovietiche del Donbass e Krivoj Rog. Successivamente alla vittoria sovietica, quelle regioni patirono in modo particolare l’Holodomor (la carestia nella Russia Meridionale), e la “campagna di dekulakizzazione”.

L’invasione e la spartizione della Polonia dopo il Patto Molotov Ribbentrop comportò lo scatenamento della guerra in tutta la regione pontica. Bandera e l’UPA, addestrati a Praga sotto l’egida di Rosenberg,  entrarono a Leopoli in divise naziste, proclamando lo Stato indipendente ucraino, a cui si riallaccia l’attuale narrativa “nazionale” ucraina.

La battaglia di Stalingrado, decisiva per le sorti del conflitto, si svolse precisamente all’ incontro fra Don e Volga. L’area fra il Dniepr e il Volga fu il centro di fondamentali combattimenti fra l’Esercito Tedesco, spalleggiato da truppe italiane, rumene, ungheresi, francesi, slovacche, croate, e scandinave e da volontari anticomunisti di tutta Europa, dei Paesi arabi, dell’Asia Centrale e dell’India, e, dall’ altra, l’Armata Rossa.

La resa di von Paulus a Stalingrado e la “ritirata di Russia” delle truppe dell’Asse segnarono l’inizio della sconfitta di Hitler.

Su tutto questo si può consultare il nostro libro “Ucraina no a un’inutile strage”.

Per tutto quanto precede, ci sembra che sarebbe impossibile stupirsi dell’attuale guerra, che, a sua volta, dura oramai da 10 anni.Ha suscitato giustamente scalpore il fatto che Israele  abbia attaccato ripetutamente e deliberatamente le basi UNIFIL sotto il comando italiano, provocando tra l’altro gravi ferimenti di Caschi Blu – un’azione che il Ministro della Difesa Crosetto ha giustamente definito come “crimine di guerra”-.

questi, il più pernicioso è stato quello relativo alla presunta  “imminenza della Pace Perpetua”, veicolato dalla retorica delle Organizzazioni Internazionali e dell’ Unione Europea.

Mentre le Nazioni Unite  hanno appena fatto il punto sulla loro pretenziosa Agenda 2030, esse si vedono addirittura attaccate militarmente da uno dei propri membri, che l’accusa di essere troppo imparziali nel conflitto con i Palestinesi, mentre invece, secondo Israele, questi ultimi sarebbero  dei “terroristi”, da sterminarsi semplicemente, senza curarsi del diritto internazionale umanitario. I Caschi Blu dovrebbero quindi farsi da parte in seguito a semplici intimazioni dell’Esercito Israeliano (che, tra l’altro, non si capisce perché improvvisamente sia diventato per tutti “IDF”, all’Americana, anziché, in Ebraico, “Tsahal”), e, in caso contrario, rassegnarsi ad essere cannoneggiati. Come se non bastasse, lo stesso Segretario Generale dell’ ONU viene praticamente messo al bando da Israele, immemore del fatto che la sua stessa creazione era stata opera dell’ ONU.

Non che le critiche di Israele siano del tutto infondate. L’inasprirsi della crisi dimostra la debolezza della funzione di “Peace-Keeping” internazionale, ma ciò non è ”colpa” di nessuno:  è la Post-Modernità che, qui come altrove, mette a nudo le contraddizioni della Modernità, due fra le quali riguardano, tra l’altro, proprio Israele e l’ ONU. Su Israele c’è da chiedersi se sia veramente, come pretendeva Herzl, uno “Stato laico”, nel qual caso non si comprenderebbe tutta quest’ansia di ristabilire i confini biblici (Yisrael ha-Shelomah), di ricostruire il Tempio e di usare la Torah come unica vera Costituzione. D’altronde, visto che Israele non è una “razza” bensì un “popolo” etno-culturale,  esso non esisterebbe nemmeno se non ci fossero la Bibbia e la sua lingua. Di converso, i Neturei Karta combattono l’idea di uno Stato ebraico nel tempo presente (tempo che ritengono ancora di esilio), poiché ritengono contrario all’autentica tradizione religiosa ebraica lo  stabilirlo senza aspettare che Erets Israel venga esplicitamente donata dall’Altissimo.  Pertanto, la pretesa sionista di costituire uno “Stato ebraico laico” sarebbe semplicemente l’ennesima  “hybris” di alcuni eresiarchi, né più né meno di quella dei “Costruttori di Dio” cristiani o dei Baha’i persiani (che, guarda caso, hanno sede proprio in Israele): un’ennesima manifestazione di quella “religione secolarizzata” che è al centro della Modernità.

Queste religioni secolarizzate, che, con Lessing, pretendono di realizzare sulla terra le promesse escatologiche delle religioni tradizionali, paradossalmente, in ossequio all’Eterogenesi dei Fini, mentre propugnano la Pace Perpetua, stanno trasformando le religioni in strumenti di lotta fra le diverse parti del mondo (Singularity contro  Tradizione; Hindutva contro Shari’a), perché, abbandonate le pretese di salvezza individuale,  sono divenute semplicemente la divinizzazione della volontà di potenza dei singoli Stati-Civiltà. Del resto, anche il Puritanesimo è una versione secolarizzata del Protestantesimo, così come la il “socialismo islamico” lo è dell’Islam. L’ accusa di “integralismo”rivolta tradizionalmente alle versioni “conservatrici” (“quietiste”) delle singole religioni, si rivela invece adeguata solo alle loro emulazioni laicistiche, come la “religione dell’ umanità di Saint Simon, il Sionismo e la “Nazione dell’ Islam”, camuffamenti dell’espansionismo di popoli che si pretendono “superiori”.

Di qui anche la sterilità delle Chiese ufficiali ( succubi neppur troppo copertamente di quelle religioni secolarizzate), le quali continuano a predicare la pace senza più trovare argomenti concreti a favore della stessa.

Ma  contraddittoria è anche la natura stessa dell’ ONU, nata proprio dalla pretesa del progressismo puritano, espressa alla sua fondazione da Eleanor Roosevelt, di imporre la Pace Perpetua. Tale pace perpetua avrebbe costituito il suggello del progetto messianico americano quale espresso da Winthrop, Cotton Mather, Emerson, Whitman, Friske e Wilkie. Non per nulla il Palazzo di Vetro è situato nel cuore di Manhattan, sotto il completo controllo dell’America. La Seconda Guerra Mondiale sarebbe stata l’ ultima delle guerre perchè poi tutto il mondo sarebbe stato diretto dalla “ragnatela delle istituzioni dirette da Washington”(cfr. Ikenberry).

Sono stati i fatti stessi a ribellarsi a questa proteiforme “hybris”. I conflitti attualmente in corso non sono nati ieri, bensì parecchi millenni fa, e continuano a riproporsi sempre negli stessi termini: l’uno, lungo fra il Don, il Donetz e il Dniepr, fra i popoli indo-europei e turcici dei Kurgan e delle steppe, e, l’altro, fra “Il Fiume d’ Egitto” e l’Eufrate, fra popoli semitici e hamitici dei deserti. Dietro a tutto ciò ci sono, da un lato, la “Distinzione mosaica” (fra Vero e Falso, cfr. Jan Assmann), dall’ altro la pretesa di tutti i contendenti d’incarnare una divina volontà di pace e giustizia, che trae le proprie radici dal mondo antico, e precisamente da quella Persia (Eranshahr) che è oggi il vero antagonista di Israele (perché entrambi perseguono la stessa utopia).  Ed è fra Egitto, Persia e Palestina che nasce la pretesa millenarista. Questi destini sono stati configurati dalla geografia: sono  collocati ai punti di passaggio obbligati fra l’Asia e, da un lato, l’Europa, e, dall’ altro l’Africa, che tutti i contendenti pretendono di tenere sotto il proprio controllo. Le illusioni postmoderne di risolverli “con una bacchetta magica” in base a formule astratte sta scontrandosi con la realtà, e la sta perfino peggiorando.

La sopravvivenza dell’Umanità è stata uno degli obiettivi di base di ogni cultura. Nel mondo moderno iperconnesso, quest’obiettivo richiede uno sforzo congiunto di tutti i popoli. Nel mondo ipertecnologico delle Macchine Intelligenti, senza questo sforzo è assicurata la Fine dell’Uomo: come aveva riconosciuto Kant, la Pace Perpetua si rivela come un grande cimitero.

Per questo, a partire dal Sacro Romano Impero e dal re hussita  Podiebrad, e poi via via attraverso Postel, Crucé, Saint-Pierre, Pufendorf, Novalis, Nicola II, Coudenhove Kalergi, Wilson,  Spinelli, si è venuta configurando una teoria delle organizzazioni internazionali. Teoria che comunque non indica  alcun antidoto all’ incombente mortalità del cosmo, dell’ Umanità e delle civiltà. Anche alla luce dell’ esperienza, occorre ora perciò un approccio più realistico, secondo cui la Storia non finirà con un evento taumaturgico, bensì presumibilmente con il suicidio dell’ Umanità (vedi bomba atomica, Singularity, Terza Guerra Mondiale, surriscaldamento atmosferico, denatalità), e perciò il nostro compito ragionevole è, nella migliore delle ipotesi, “salvare il Cosmo”, almeno  finché sarà possibile (il Katèchon), e per il resto attendere la Fine, che, secondo la tradizione cristiana, “verrà come un ladro nella notte”. L’ebraismo ha un’eccezionale espressione a questo proposito: “Tikkun ha-Olam” (“riparare il mondo”), che non è l’impossibile “Raddrizzare il legno storto dell’ Umanità” (Kant, Berlin), bensì si apparenta a quella quotidiana ricostruzione del Divino attraverso i Riti di cui parla anche Eliade.

1.Il Paese degli Ariani (Iran)

L’eternità delle guerre in corso è dimostrato dalle vicende (pre-istoriche, storiche e post-istoriche) delle tre aree in questione: la Persia, la  Palestina e le Steppe Pontiche.

Una delle opere  che più hanno inciso sulla formazione della cultura postmoderna è il “Così parlò Zarathustra” di Nietzsche, sconcertante, da un lato, perché è talmente ben costruito, da poter rappresentare, letterariamente, e perfino linguisticamente, quasi un “sequel” del  Zand i Bahman Yasn, il principale libro sacro zoroastriano, ma, dall’ altro, perché costituisce una sorta d’implicita ritrattazione della dottrina zoroastriana di una lotta cosmica fra un Dio del Male e un Dio del Bene, quest’ultimo rappresentato sulla terra dal sovrano achemenide.

Lo zoroastrismo rappresenterà così il modello prototipico del messianesimo ebraico e degl’imperi provvidenziali  cristiani e islamici successivi. Non per nulla la nascita di Cristo è salutata, per primi, “nella pienezza dei Tempi”, dai Re Magi. I Persiani zoroastriani sconfiggeranno  e imprigioneranno l’imperatore romano Valeriano, per poi essere a loro volta sconfitti dalle armate islamiche. C’è  anche da chiedersi in che misura l’idea di Jihad, così centrale nell’ Islam, non sia che un’eredità della guerra santa dell’imperatore persiano contro Angra Mayniu. Del resto, uno dei compagni di Maometto era il “Principe di Persia”. La Persia ha mantenuto il proprio spirito  antagonistico alimentando sette islamiche rivoluzionarie, come gli Shi’iti, i Carmati e gli Assassini, e varie religioni post-zoroastriane, come il Manicheismo, il Mazdakisno e il Paulicianesimo (poi reincarnatosi in Europa nel Bogumilismo e nel Catarismo) Più recentemente, la Persia ha generato nuove sette molto inclini al Technological Sublime, come i Baha’i, e, dentro l’Islam, gli Hojjatiyye.

I Persiani continueranno a costituire un elemento di disordine nel Medio Oriente, poiché, memori  di quelle antiche glorie, ambiscono ancor sempre a dominarlo, se non altro culturalmente, con la loro letteratura e le influenze delle loro lingue, e perciò non accettano l’egemonia culturale, né dell’ Occidente, né degli Arabi, né dei Sunniti, né di Israele. La rivoluzione khomeinista, che si presentò come alternativa al mondo islamico sunnita, continua dunque la tradizione messianica e rivoluzionaria dello zoroastrismo, per altro ancora vivo e vegeto nel Paese, e spesso richiamato dai dissidenti anti-khomeinisti.

Ma i veri eredi dello Zoroastrismo sono i progressisti occidentali, i quali hanno trasfuso nel progressismo laicista l’enfasi posta dai Persiani nell’Apocalisse, intesa come conquista del mondo da parte di un Salvatore (Shaoshant) sotto la guida di Ahura Mazda, e la conseguente vittoria del Bene Assoluto sul Male Assoluto. D’altronde, gli Hojjatiyye considerano l’invenzione di Internet come un segno dell’avvicinarsi dell’avvento del Mahdi.

Invece, le cosiddette “autocrazie”, nemiche dell’ Occidente progressista, sono  i veri epigoni culturali degli antichi Greci, in quanto culture tragiche, belliciste e aristocratiche sul modello degli Spartani delle Termopili, a cui  sembrano ispirati i vari al-Qaida, ISIS, Hamas e Hezbollah, con i loro leaders che cercano la morte gloriosa in battaglia. Significativamente, come racconta Erodoto, il generale persiano Mardonio, dopo avere represso la rivolta della Ionia, impone alle poleis locali d’instaurare governi democratici in sostituzione di quelli aristocratici che si erano ribellati alla Persia.

2.Peleset, Peleshtim, Filastin

Sin dall’antichità l’egemonia degli Hyksos venne identificata con il soggiorno in Egitto degli Ebrei, e, in particolare, con le storie bibliche di Giuseppe e Mosè. Gli Hyksos (Heka khasut, cioè “i capi di un Paese straniero” )giunsero in Egitto  attorno al 1700 a.C.,  portandovi il   cavallo e il carro da guerra.

Dopo l’Esodo dall’Egitto, cominciava la conquista di Cana’an da parte del popolo ebraico. I “Revisionisti Israeliani” (p.es., Finkielkraut) sostengono che una vera e propria “Conquista di Canaan” intesa come grande campagna militare, non è mai avvenuta, e si è invece trattato di un graduale spostamento di popoli, dalle rive del Mare Mediterraneo, alle colline della Palestina. Sia come sia, si era sviluppata comunque di una guerriglia continua, a cui ben si confanno le descrizioni contenute in tutta la Bibbia, per altro facilmente sovrapponibili a quelle attuali di Gaza, della Cisgiordania e del Libano:“due dei figli di Giacobbe, Simeone e Levi, fratelli di Dina, presero ciascuno la propria spada, assalirono la città che si riteneva sicura, e uccisero tutti i maschi.” – “Passarono a fil di spada anche Camor e suo figlio Sichem, presero Dina dalla casa di Sichem, e uscirono.” – “I figli di Giacobbe si gettarono sugli uccisi e saccheggiarono la città, perché la loro sorella era stata disonorata” – “presero le loro greggi, i loro armenti, i loro asini, quanto era nella città e nei campi.” – “Portarono via come bottino tutte le loro ricchezze, tutti i loro bambini, le loro mogli e tutto quello che si trovava nelle case….“

Queste vicende ricalcano inoltre quella della Guerra di Troia, narrata dalla letteratura greca, e quelle documentate nei monumenti dei sovrani mesopotamici e nei poemi ittiti, hurritici e mitannici.

Il meccanismo è sempre lo stesso: Dio, attraverso i profeti, incita il popolo ebraico a conquistare le diverse città di Canaan, sterminandone gli abitanti. La scena si ripete all’ infinito. Vengono menzionati infiniti popoli e città: Amalek; Og; Sicon; Madian;Gerico ; Ai; Gabaon; Machedda; Libna;Eglon; Ebron;Debir;i Ferezei;Gerusalemme;Sefat;Moav;Succot;Lais; i Filistei;Ammon;Galgala;gli Aramei;i Siriani;Tifsach…

Tutto ciò è confermato dalle Lettere di Tell el-Amarna, che dimostrano come le città cananee si lamentassero con il Faraone degli attacchi di popolazioni barbare, che essi definivano come “Habiru” o “Jahu.”

Sulla Stele di Merneptah ( 1200 circa a.C.), è narrato l’esito vittorioso di una spedizione militare, al seguito della quale :”Ysyrỉ3r fk.t;bn      pr.t =f” (“Ysrỉr è desolato;il seme suo non c’è”)

Da vari studiosi moderni, Ysrỉr viene identificato con Israele. Si tratterebbe pertanto della prima testimonianza storica relativa al popolo ebraico. Il nome Ysrỉr non è accompagnato, come accade per le città o stati presenti nella lista, dall’ideogramma raffigurante tre montagne stilizzate indicante un regno. L’ideogramma associato invece, un uomo e una donna, indica una popolazione di natura nomade.Invece, i Palestinesi (Filistei, Peleset, Peleshtim, Filastin), sono spesso identificati con uno dei  Popoli del Mare che vediamo sbarcare sulla parete del tempio di Medinet Habu , Sherden, Sheklesh, Ekwesh .

Questa conflittualità ricorrente  ricorda i tentativi egemonici attribuiti dalla Bibbia ai regni di Davide e Salomone, le invasioni babilonesi, assire, persiane e macedoni, fino alle Guerre Giudaiche e all’inizio della Diaspora.

Di non minore importanza, per il Levante, le, questa volta documentatissime, Crociate volte a riconquistare la Terra Santa dal dominio islamico, le quali che durarono circa 600 anni. La prima (1096-1099) permise di istituire i primi quattro Stati crociati: la Contea di Edessa, il Principato di Antiochia, il Regno di Gerusalemme e la Contea di Tripoli. A livello popolare, essa scatenò un’ondata di rabbia cattolica che si espresse nei massacri degli ebrei  e il violento trattamento dei cristiani ortodossi “scismatici” dell’est.

La protezione dei Cristiani in Terrasanta costituì poi il pretesto per la Guerra di Crimea, e il Libano è stato anch’esso oggetto di violente dispute fra comunità religiose, che hanno portato a varie guerre civili (cfr. infra).

Infine, la stessa  nascita dello Stato di Israele si inserisce in un piano di destabilizzazione del Medio Oriente dopo la sconfitta dell’Impero Ottomano, posto in essere da Francia e Inghilterra con gli Accordi Sykes/Picot, piano che non ha ancora cessato di esercitare i suoi effetti perversi.

3.Le steppe pontiche (u-Krajine=sulla frontiera)

La cultura “Jamnaja” (“delle tombe a pozzo”)  si colloca fra una fase tarda dell’età del rame e l’inizio  dell’età del bronzo, nella regione  fra il Bug e il Dnestr e gli Urali (la steppa pontica), in un periodo che va dal XXXVI al XXIII secolo a.C.. Si ritiene che gli Jamnaja siano stati i primi domesticatori di cavalli per uso di trasporto cavaliere e di carri con ruote, che avevano facilitato gli spostamenti e diffuso questa tecnologia. I resti del più arcaico carro con ruote trainato da cavalli, sono stati trovati nel kurgan della “Storožova mohyla” (Dniepropetrovsk, oggi Dniprò”), in Ucraina. Il sito sacrificale di Luhansk (Lugansk, nel Donbass, al centro degli attuali combattimenti) recentemente scoperto, è stato descritto come un santuario collinare dove si praticavano sacrifici umani..

Anche grazie ai cavalli, gli Jamnaja furono un popolo particolarmente guerriero e conquistatore (gli “Ariani”), che si espanse rapidamente tanto in Europa, quanto in Asia. Dopo di essi, attraversarono le steppe pontiche Sciti, Sarmati, Unni, Avari, Bulgari, Khazari, Peceneghi .Questi ultimi sono i  Polovesiani (Polovcy), di cui narra il Canto del Principe Igor (anno 1080)e a cui sono dedicate le “Danze Polovesiane”.

Dopo secoli di combattimenti che coinvolsero  molti popoli dell’ area -Bizantini, Bulgari, Rus’ di Kiev, Cazari e Magiari-,nel XIII Secolo,l’Impero Mongolo conquistò, fa le altre cose, le attuali Ucraina e Russia. Una delle principali battaglie per la liberazione delle stesse fu la Battaglia di Kulikovo, sul Don, sotto la guida di Dmitri Donskoj, nel 1378.

L’Ucraina fece poi parte di quella serie di fortificazioni al confine con l’ Impero Ottomano (che andavano dell’ Impero austriaco, della Polonia e della Russia) dette Krajine (confini). Esse furono custodite da guerrieri di origini internazionali (Giannizzeri, Granicari, Graenzer, Serbi, Hajduk, Honved, Karaim, Lipka Tatarlar). Nell’ attuale Ucraina, essi si chiamarono Cosacchi, da un termine turco che significa “cavalieri delle steppe”, e la Krajina polacca e russa si chiamò “Ukrajina”. Il suo cuore era costituito dalle fortezze sul Dniepr (Zaporishkaja Sich). Si combatté in quest’area fra Cosacchi, Turchi, Polacchi, Svedesi e Russi. Vi furono anche due importanti rivolte di Cosacchi: quella di Stenka Razin e quella di Pugaciov.

La Guerra di Crimea costituì uno snodo fondamentale della storia europea, come testimonia il suo ruolo  nella unificazione italiana, vedendo essa la nascita di una coalizione antirussa a cui partecipò il Regno di Sardegna, anticipatrice dell’ attuale “Kollektiv Zapada”, che contende alla Russia l’egemonia sulla Europa Orientale.

Durante la Guerra Civile Russa, l’Oriente dell’ Ucraina fu sede della repubblica di Kharkiv,  dell’ effimero Stato “bianco” di Denikin, della repubblica anarchica di Makhnò e di quelle sovietiche del Donbass e Krivoj Rog. Successivamente alla vittoria sovietica, quelle regioni patirono in modo particolare l’Holodomor (la carestia nella Russia Meridionale), e la “campagna di dekulakizzazione”.

L’invasione e la spartizione della Polonia dopo il Patto Molotov Ribbentrop comportò lo scatenamento della guerra in tutta la regione pontica. Bandera e l’UPA, addestrati a Praga sotto l’egida di Rosenberg,  entrarono a Leopoli in divise naziste, proclamando lo Stato indipendente ucraino, a cui si riallaccia l’attuale narrativa “nazionale” ucraina.

La battaglia di Stalingrado, decisiva per le sorti del conflitto, si svolse precisamente all’ incontro fra Don e Volga. L’area fra il Dniepr e il Volga fu il centro di fondamentali combattimenti fra l’Esercito Tedesco, spalleggiato da truppe italiane, rumene, ungheresi, francesi, slovacche, croate, e scandinave e da volontari anticomunisti di tutta Europa, dei Paesi arabi, dell’Asia Centrale e dell’India, e, dall’ altra, l’Armata Rossa.

La resa di von Paulus a Stalingrado e la “ritirata di Russia” delle truppe dell’Asse segnarono l’inizio della sconfitta di Hitler.

Su tutto questo si può consultare il nostro libro “Ucraina no a un’inutile strage”.

Questo scalpore è giustificato soprattutto dal fatto che la “Guerra Mondiale a Pezzi”, oramai non più tanto a pezzi, sta scalfendo una gran quantità di luoghi comuni impostici da decenni dai media occidentali. Fra questi, il più pernicioso è stato quello relativo alla presunta  “imminenza della Pace Perpetua”, veicolato dalla retorica delle Organizzazioni Internazionali e dell’ Unione Europea.

Mentre le Nazioni Unite  hanno appena fatto il punto sulla loro pretenziosa Agenda 2030, esse si vedono addirittura attaccate militarmente da uno dei propri membri, che l’accusa di essere troppo imparziali nel conflitto con i Palestinesi, mentre invece, secondo Israele, questi ultimi sarebbero  dei “terroristi”, da sterminarsi semplicemente, senza curarsi del diritto internazionale umanitario. I Caschi Blu dovrebbero quindi farsi da parte in seguito a semplici intimazioni dell’Esercito Israeliano (che, tra l’altro, non si capisce perché improvvisamente sia diventato per tutti “IDF”, all’Americana, anziché, in Ebraico, “Tsahal”), e, in caso contrario, rassegnarsi ad essere cannoneggiati. Come se non bastasse, lo stesso Segretario Generale dell’ ONU viene praticamente messo al bando da Israele, immemore del fatto che la sua stessa creazione era stata opera dell’ ONU.

Non che le critiche di Israele siano del tutto infondate. L’inasprirsi della crisi dimostra la debolezza della funzione di “Peace-Keeping” internazionale, ma ciò non è ”colpa” di nessuno:  è la Post-Modernità che, qui come altrove, mette a nudo le contraddizioni della Modernità, due fra le quali riguardano, tra l’altro, proprio Israele e l’ ONU. Su Israele c’è da chiedersi se sia veramente, come pretendeva Herzl, uno “Stato laico”, nel qual caso non si comprenderebbe tutta quest’ansia di ristabilire i confini biblici (Yisrael ha-Shelomah), di ricostruire il Tempio e di usare la Torah come unica vera Costituzione. D’altronde, visto che Israele non è una “razza” bensì un “popolo” etno-culturale,  esso non esisterebbe nemmeno se non ci fossero la Bibbia e la sua lingua. Di converso, i Neturei Karta combattono l’idea di uno Stato ebraico nel tempo presente (tempo che ritengono ancora di esilio), poiché ritengono contrario all’autentica tradizione religiosa ebraica lo  stabilirlo senza aspettare che Erets Israel venga esplicitamente donata dall’Altissimo.  Pertanto, la pretesa sionista di costituire uno “Stato ebraico laico” sarebbe semplicemente l’ennesima  “hybris” di alcuni eresiarchi, né più né meno di quella dei “Costruttori di Dio” cristiani o dei Baha’i persiani (che, guarda caso, hanno sede proprio in Israele): un’ennesima manifestazione di quella “religione secolarizzata” che è al centro della Modernità.

Queste religioni secolarizzate, che, con Lessing, pretendono di realizzare sulla terra le promesse escatologiche delle religioni tradizionali, paradossalmente, in ossequio all’Eterogenesi dei Fini, mentre propugnano la Pace Perpetua, stanno trasformando le religioni in strumenti di lotta fra le diverse parti del mondo (Singularity contro  Tradizione; Hindutva contro Shari’a), perché, abbandonate le pretese di salvezza individuale,  sono divenute semplicemente la divinizzazione della volontà di potenza dei singoli Stati-Civiltà. Del resto, anche il Puritanesimo è una versione secolarizzata del Protestantesimo, così come la il “socialismo islamico” lo è dell’Islam. L’ accusa di “integralismo”rivolta tradizionalmente alle versioni “conservatrici” (“quietiste”) delle singole religioni, si rivela invece adeguata solo alle loro emulazioni laicistiche, come la “religione dell’ umanità di Saint Simon, il Sionismo e la “Nazione dell’ Islam”, camuffamenti dell’espansionismo di popoli che si pretendono “superiori”.

Di qui anche la sterilità delle Chiese ufficiali ( succubi neppur troppo copertamente di quelle religioni secolarizzate), le quali continuano a predicare la pace senza più trovare argomenti concreti a favore della stessa.

Ma  contraddittoria è anche la natura stessa dell’ ONU, nata proprio dalla pretesa del progressismo puritano, espressa alla sua fondazione da Eleanor Roosevelt, di imporre la Pace Perpetua. Tale pace perpetua avrebbe costituito il suggello del progetto messianico americano quale espresso da Winthrop, Cotton Mather, Emerson, Whitman, Friske e Wilkie. Non per nulla il Palazzo di Vetro è situato nel cuore di Manhattan, sotto il completo controllo dell’America. La Seconda Guerra Mondiale sarebbe stata l’ ultima delle guerre perchè poi tutto il mondo sarebbe stato diretto dalla “ragnatela delle istituzioni dirette da Washington”(cfr. Ikenberry).

Sono stati i fatti stessi a ribellarsi a questa proteiforme “hybris”. I conflitti attualmente in corso non sono nati ieri, bensì parecchi millenni fa, e continuano a riproporsi sempre negli stessi termini: l’uno, lungo fra il Don, il Donetz e il Dniepr, fra i popoli indo-europei e turcici dei Kurgan e delle steppe, e, l’altro, fra “Il Fiume d’ Egitto” e l’Eufrate, fra popoli semitici e hamitici dei deserti. Dietro a tutto ciò ci sono, da un lato, la “Distinzione mosaica” (fra Vero e Falso, cfr. Jan Assmann), dall’ altro la pretesa di tutti i contendenti d’incarnare una divina volontà di pace e giustizia, che trae le proprie radici dal mondo antico, e precisamente da quella Persia (Eranshahr) che è oggi il vero antagonista di Israele (perché entrambi perseguono la stessa utopia).  Ed è fra Egitto, Persia e Palestina che nasce la pretesa millenarista. Questi destini sono stati configurati dalla geografia: sono  collocati ai punti di passaggio obbligati fra l’Asia e, da un lato, l’Europa, e, dall’ altro l’Africa, che tutti i contendenti pretendono di tenere sotto il proprio controllo. Le illusioni postmoderne di risolverli “con una bacchetta magica” in base a formule astratte sta scontrandosi con la realtà, e la sta perfino peggiorando.

La sopravvivenza dell’Umanità è stata uno degli obiettivi di base di ogni cultura. Nel mondo moderno iperconnesso, quest’obiettivo richiede uno sforzo congiunto di tutti i popoli. Nel mondo ipertecnologico delle Macchine Intelligenti, senza questo sforzo è assicurata la Fine dell’Uomo: come aveva riconosciuto Kant, la Pace Perpetua si rivela come un grande cimitero.

Per questo, a partire dal Sacro Romano Impero e dal re hussita  Podiebrad, e poi via via attraverso Postel, Crucé, Saint-Pierre, Pufendorf, Novalis, Nicola II, Coudenhove Kalergi, Wilson,  Spinelli, si è venuta configurando una teoria delle organizzazioni internazionali. Teoria che comunque non indica  alcun antidoto all’ incombente mortalità del cosmo, dell’ Umanità e delle civiltà. Anche alla luce dell’ esperienza, occorre ora perciò un approccio più realistico, secondo cui la Storia non finirà con un evento taumaturgico, bensì presumibilmente con il suicidio dell’ Umanità (vedi bomba atomica, Singularity, Terza Guerra Mondiale, surriscaldamento atmosferico, denatalità), e perciò il nostro compito ragionevole è, nella migliore delle ipotesi, “salvare il Cosmo”, almeno  finché sarà possibile (il Katèchon), e per il resto attendere la Fine, che, secondo la tradizione cristiana, “verrà come un ladro nella notte”. L’ebraismo ha un’eccezionale espressione a questo proposito: “Tikkun ha-Olam” (“riparare il mondo”), che non è l’impossibile “Raddrizzare il legno storto dell’ Umanità” (Kant, Berlin), bensì si apparenta a quella quotidiana ricostruzione del Divino attraverso i Riti di cui parla anche Eliade.

1.Il Paese degli Ariani (Iran)

L’eternità delle guerre in corso è dimostrato dalle vicende (pre-istoriche, storiche e post-istoriche) delle tre aree in questione: la Persia, la  Palestina e le Steppe Pontiche.

Una delle opere  che più hanno inciso sulla formazione della cultura postmoderna è il “Così parlò Zarathustra” di Nietzsche, sconcertante, da un lato, perché è talmente ben costruito, da poter rappresentare, letterariamente, e perfino linguisticamente, quasi un “sequel” del  Zand i Bahman Yasn, il principale libro sacro zoroastriano, ma, dall’ altro, perché costituisce una sorta d’implicita ritrattazione della dottrina zoroastriana di una lotta cosmica fra un Dio del Male e un Dio del Bene, quest’ultimo rappresentato sulla terra dal sovrano achemenide.

Lo zoroastrismo rappresenterà così il modello prototipico del messianesimo ebraico e degl’imperi provvidenziali  cristiani e islamici successivi. Non per nulla la nascita di Cristo è salutata, per primi, “nella pienezza dei Tempi”, dai Re Magi. I Persiani zoroastriani sconfiggeranno  e imprigioneranno l’imperatore romano Valeriano, per poi essere a loro volta sconfitti dalle armate islamiche. C’è  anche da chiedersi in che misura l’idea di Jihad, così centrale nell’ Islam, non sia che un’eredità della guerra santa dell’imperatore persiano contro Angra Mayniu. Del resto, uno dei compagni di Maometto era il “Principe di Persia”. La Persia ha mantenuto il proprio spirito  antagonistico alimentando sette islamiche rivoluzionarie, come gli Shi’iti, i Carmati e gli Assassini, e varie religioni post-zoroastriane, come il Manicheismo, il Mazdakisno e il Paulicianesimo (poi reincarnatosi in Europa nel Bogumilismo e nel Catarismo) Più recentemente, la Persia ha generato nuove sette molto inclini al Technological Sublime, come i Baha’i, e, dentro l’Islam, gli Hojjatiyye.

I Persiani continueranno a costituire un elemento di disordine nel Medio Oriente, poiché, memori  di quelle antiche glorie, ambiscono ancor sempre a dominarlo, se non altro culturalmente, con la loro letteratura e le influenze delle loro lingue, e perciò non accettano l’egemonia culturale, né dell’ Occidente, né degli Arabi, né dei Sunniti, né di Israele. La rivoluzione khomeinista, che si presentò come alternativa al mondo islamico sunnita, continua dunque la tradizione messianica e rivoluzionaria dello zoroastrismo, per altro ancora vivo e vegeto nel Paese, e spesso richiamato dai dissidenti anti-khomeinisti.

Ma i veri eredi dello Zoroastrismo sono i progressisti occidentali, i quali hanno trasfuso nel progressismo laicista l’enfasi posta dai Persiani nell’Apocalisse, intesa come conquista del mondo da parte di un Salvatore (Shaoshant) sotto la guida di Ahura Mazda, e la conseguente vittoria del Bene Assoluto sul Male Assoluto. D’altronde, gli Hojjatiyye considerano l’invenzione di Internet come un segno dell’avvicinarsi dell’avvento del Mahdi.

Invece, le cosiddette “autocrazie”, nemiche dell’ Occidente progressista, sono  i veri epigoni culturali degli antichi Greci, in quanto culture tragiche, belliciste e aristocratiche sul modello degli Spartani delle Termopili, a cui  sembrano ispirati i vari al-Qaida, ISIS, Hamas e Hezbollah, con i loro leaders che cercano la morte gloriosa in battaglia. Significativamente, come racconta Erodoto, il generale persiano Mardonio, dopo avere represso la rivolta della Ionia, impone alle poleis locali d’instaurare governi democratici in sostituzione di quelli aristocratici che si erano ribellati alla Persia.

2.Peleset, Peleshtim, Filastin

Sin dall’antichità l’egemonia degli Hyksos venne identificata con il soggiorno in Egitto degli Ebrei, e, in particolare, con le storie bibliche di Giuseppe e Mosè. Gli Hyksos (Heka khasut, cioè “i capi di un Paese straniero” )giunsero in Egitto  attorno al 1700 a.C.,  portandovi il   cavallo e il carro da guerra.

Dopo l’Esodo dall’Egitto, cominciava la conquista di Cana’an da parte del popolo ebraico. I “Revisionisti Israeliani” (p.es., Finkielkraut) sostengono che una vera e propria “Conquista di Canaan” intesa come grande campagna militare, non è mai avvenuta, e si è invece trattato di un graduale spostamento di popoli, dalle rive del Mare Mediterraneo, alle colline della Palestina. Sia come sia, si era sviluppata comunque di una guerriglia continua, a cui ben si confanno le descrizioni contenute in tutta la Bibbia, per altro facilmente sovrapponibili a quelle attuali di Gaza, della Cisgiordania e del Libano:“due dei figli di Giacobbe, Simeone e Levi, fratelli di Dina, presero ciascuno la propria spada, assalirono la città che si riteneva sicura, e uccisero tutti i maschi.” – “Passarono a fil di spada anche Camor e suo figlio Sichem, presero Dina dalla casa di Sichem, e uscirono.” – “I figli di Giacobbe si gettarono sugli uccisi e saccheggiarono la città, perché la loro sorella era stata disonorata” – “presero le loro greggi, i loro armenti, i loro asini, quanto era nella città e nei campi.” – “Portarono via come bottino tutte le loro ricchezze, tutti i loro bambini, le loro mogli e tutto quello che si trovava nelle case….“

Queste vicende ricalcano inoltre quella della Guerra di Troia, narrata dalla letteratura greca, e quelle documentate nei monumenti dei sovrani mesopotamici e nei poemi ittiti, hurritici e mitannici.

Il meccanismo è sempre lo stesso: Dio, attraverso i profeti, incita il popolo ebraico a conquistare le diverse città di Canaan, sterminandone gli abitanti. La scena si ripete all’ infinito. Vengono menzionati infiniti popoli e città: Amalek; Og; Sicon; Madian;Gerico ; Ai; Gabaon; Machedda; Libna;Eglon; Ebron;Debir;i Ferezei;Gerusalemme;Sefat;Moav;Succot;Lais; i Filistei;Ammon;Galgala;gli Aramei;i Siriani;Tifsach…

Tutto ciò è confermato dalle Lettere di Tell el-Amarna, che dimostrano come le città cananee si lamentassero con il Faraone degli attacchi di popolazioni barbare, che essi definivano come “Habiru” o “Jahu.”

Sulla Stele di Merneptah ( 1200 circa a.C.), è narrato l’esito vittorioso di una spedizione militare, al seguito della quale :”Ysyrỉ3r fk.t;bn      pr.t =f” (“Ysrỉr è desolato;il seme suo non c’è”)

Da vari studiosi moderni, Ysrỉr viene identificato con Israele. Si tratterebbe pertanto della prima testimonianza storica relativa al popolo ebraico. Il nome Ysrỉr non è accompagnato, come accade per le città o stati presenti nella lista, dall’ideogramma raffigurante tre montagne stilizzate indicante un regno. L’ideogramma associato invece, un uomo e una donna, indica una popolazione di natura nomade.Invece, i Palestinesi (Filistei, Peleset, Peleshtim, Filastin), sono spesso identificati con uno dei  Popoli del Mare che vediamo sbarcare sulla parete del tempio di Medinet Habu , Sherden, Sheklesh, Ekwesh .

Questa conflittualità ricorrente  ricorda i tentativi egemonici attribuiti dalla Bibbia ai regni di Davide e Salomone, le invasioni babilonesi, assire, persiane e macedoni, fino alle Guerre Giudaiche e all’inizio della Diaspora.

Di non minore importanza, per il Levante, le, questa volta documentatissime, Crociate volte a riconquistare la Terra Santa dal dominio islamico, le quali che durarono circa 600 anni. La prima (1096-1099) permise di istituire i primi quattro Stati crociati: la Contea di Edessa, il Principato di Antiochia, il Regno di Gerusalemme e la Contea di Tripoli. A livello popolare, essa scatenò un’ondata di rabbia cattolica che si espresse nei massacri degli ebrei  e il violento trattamento dei cristiani ortodossi “scismatici” dell’est.

La protezione dei Cristiani in Terrasanta costituì poi il pretesto per la Guerra di Crimea, e il Libano è stato anch’esso oggetto di violente dispute fra comunità religiose, che hanno portato a varie guerre civili (cfr. infra).

Infine, la stessa  nascita dello Stato di Israele si inserisce in un piano di destabilizzazione del Medio Oriente dopo la sconfitta dell’Impero Ottomano, posto in essere da Francia e Inghilterra con gli Accordi Sykes/Picot, piano che non ha ancora cessato di esercitare i suoi effetti perversi.

3.Le steppe pontiche (u-Krajine=sulla frontiera)

La cultura “Jamnaja” (“delle tombe a pozzo”)  si colloca fra una fase tarda dell’età del rame e l’inizio  dell’età del bronzo, nella regione  fra il Bug e il Dnestr e gli Urali (la steppa pontica), in un periodo che va dal XXXVI al XXIII secolo a.C.. Si ritiene che gli Jamnaja siano stati i primi domesticatori di cavalli per uso di trasporto cavaliere e di carri con ruote, che avevano facilitato gli spostamenti e diffuso questa tecnologia. I resti del più arcaico carro con ruote trainato da cavalli, sono stati trovati nel kurgan della “Storožova mohyla” (Dniepropetrovsk, oggi Dniprò”), in Ucraina. Il sito sacrificale di Luhansk (Lugansk, nel Donbass, al centro degli attuali combattimenti) recentemente scoperto, è stato descritto come un santuario collinare dove si praticavano sacrifici umani..

Anche grazie ai cavalli, gli Jamnaja furono un popolo particolarmente guerriero e conquistatore (gli “Ariani”), che si espanse rapidamente tanto in Europa, quanto in Asia. Dopo di essi, attraversarono le steppe pontiche Sciti, Sarmati, Unni, Avari, Bulgari, Khazari, Peceneghi .Questi ultimi sono i  Polovesiani (Polovcy), di cui narra il Canto del Principe Igor (anno 1080)e a cui sono dedicate le “Danze Polovesiane”.

Dopo secoli di combattimenti che coinvolsero  molti popoli dell’ area -Bizantini, Bulgari, Rus’ di Kiev, Cazari e Magiari-,nel XIII Secolo,l’Impero Mongolo conquistò, fa le altre cose, le attuali Ucraina e Russia. Una delle principali battaglie per la liberazione delle stesse fu la Battaglia di Kulikovo, sul Don, sotto la guida di Dmitri Donskoj, nel 1378.

L’Ucraina fece poi parte di quella serie di fortificazioni al confine con l’ Impero Ottomano (che andavano dell’ Impero austriaco, della Polonia e della Russia) dette Krajine (confini). Esse furono custodite da guerrieri di origini internazionali (Giannizzeri, Granicari, Graenzer, Serbi, Hajduk, Honved, Karaim, Lipka Tatarlar). Nell’ attuale Ucraina, essi si chiamarono Cosacchi, da un termine turco che significa “cavalieri delle steppe”, e la Krajina polacca e russa si chiamò “Ukrajina”. Il suo cuore era costituito dalle fortezze sul Dniepr (Zaporishkaja Sich). Si combatté in quest’area fra Cosacchi, Turchi, Polacchi, Svedesi e Russi. Vi furono anche due importanti rivolte di Cosacchi: quella di Stenka Razin e quella di Pugaciov.

La Guerra di Crimea costituì uno snodo fondamentale della storia europea, come testimonia il suo ruolo  nella unificazione italiana, vedendo essa la nascita di una coalizione antirussa a cui partecipò il Regno di Sardegna, anticipatrice dell’ attuale “Kollektiv Zapada”, che contende alla Russia l’egemonia sulla Europa Orientale.

Durante la Guerra Civile Russa, l’Oriente dell’ Ucraina fu sede della repubblica di Kharkiv,  dell’ effimero Stato “bianco” di Denikin, della repubblica anarchica di Makhnò e di quelle sovietiche del Donbass e Krivoj Rog. Successivamente alla vittoria sovietica, quelle regioni patirono in modo particolare l’Holodomor (la carestia nella Russia Meridionale), e la “campagna di dekulakizzazione”.

L’invasione e la spartizione della Polonia dopo il Patto Molotov Ribbentrop comportò lo scatenamento della guerra in tutta la regione pontica. Bandera e l’UPA, addestrati a Praga sotto l’egida di Rosenberg,  entrarono a Leopoli in divise naziste, proclamando lo Stato indipendente ucraino, a cui si riallaccia l’attuale narrativa “nazionale” ucraina.

La battaglia di Stalingrado, decisiva per le sorti del conflitto, si svolse precisamente all’ incontro fra Don e Volga. L’area fra il Dniepr e il Volga fu il centro di fondamentali combattimenti fra l’Esercito Tedesco, spalleggiato da truppe italiane, rumene, ungheresi, francesi, slovacche, croate, e scandinave e da volontari anticomunisti di tutta Europa, dei Paesi arabi, dell’Asia Centrale e dell’India, e, dall’ altra, l’Armata Rossa.

La resa di von Paulus a Stalingrado e la “ritirata di Russia” delle truppe dell’Asse segnarono l’inizio della sconfitta di Hitler.

Su tutto questo si può consultare il nostro libro “Ucraina no a un’inutile strage”.

4.Urgenza della riforma delle Organizzazioni Internazionali

Come scrivevamo, la pace e la Fine della Storia erano state da sempre al centro degli sforzi per la creazione di un’ organizzazione internazionale, a partire dal trattato per la “Pax Aeterna” fra l’Impero romano e quello partico, per passare al “Landfridt” della Dieta di Worms, continuando con il Nouveau Cynée di Emeric Crucé e il Trattato per la Pace Perpetua di Saint-Pierre, con i suoi commenti da parte dei grandi illuministi, fino alla Santa Alleanza e alle conferenze per  la Pace di fine ‘800. Tutti questi movimenti non arrestarono minimamente le moltissime guerre degli ultimi due millenni. Men che mai a ciò servirono la Società delle Nazioni e le Nazioni Unite.

Infatti, premesso che un certo grado di conflittualità è inevitabile se si vuole  evitare un totalitario potere mondiale (lo Stato Mondiale di Juenger), un certo qual controllo di tale conflittualità è possibile solo se : (i) si accetta un certo grado di imperfezione delle cose umane; (ii)si mettono sul tavolo le reali cause dei conflitti.

Non per nulla l’attuale situazione è nata dal fallimento della pretesa internazionalistica del bolscevismo, e dalla conseguente sostituzione dell’URSS con la Comunità di Stati Indipendenti (tutt’ora viva e vegeta).

Orbene, oggi, quelle due condizioni non sembrano soddisfatte.

Quanto alla prima, tutti, compresi i promotori di un nuovo ordine mondiale (tranne la Cina), si propongono quali portatori di un’idea salvifica millenaristica di ordinamento internazionale, quand’anche differente tanto da quella sovietica, quanto  da quella americana.

Quanto alla seconda, nessuno sta  considerando che la reale causa dei conflitti, seppure parziali, in corso, risale alla pretesa occidentale di creare un potere mondiale unitario, pretesa contestata dalle altre parti del mondo. Prima di iniziare l’Operazione Militare Speciale, la Russia e la Cina avevano espresso chiaramente questo loro obiettivo di sventare il progetto americano di “Fine della Storia” attraverso la creazione di nuovi “paesi satelliti”, come l’Ucraina e Taiwan, destinati a corrodere l’identità di Russia e Cina, per sostituirle con piccoli Stati teleguidati dall’ Occidente (come accaduto per esempio con i Baltici o con l’Iraq “cantonalizzato”).

Andare incontro alle esigenze di tutti significa invece riconoscere Cina, Russia, Iran, Corea del Nord (ma anche India, Brasile, Cuba), come interlocutori pienamente legittimi e “di pari grado”, senza progettare la loro distruzione e sostituzione con nuovi Stati “rivoluzionari”, come faceva a suo tempo l’URSS.

Più in generale, i conflitti nel mondo si potranno almeno attutire quando tutte le grandi aree del mondo possederanno un loro ecosistema digitale autonomo, corrispondente alla loro specifica identità, e non potranno più, di conseguenza, essere controllati centralmente a distanza da Salt Lake City, dalla Silicon Valley o da Langley.

L’allargamento  dei BRICS a inizio 2024 verso Iran, Etiopia, Egitto ed EAU e il vertice dei BRICS, attualmente in corso a Kazan’, iniziano a configurare, nella pratica, la visione cinese di una coalizione di stati capaci di sfidare l’egemonia occidentale. Oggigiorno, i BRICS rappresentano il 45 percento della popolazione mondiale e una quota del Pil (PPP) che supera quella del G7. Nonostante che i BRICS, su carta, ben supportino l’agenda di Pechino,  la Cina è consapevole che, all’interno del gruppo, continuano a sussistere tensioni che potrebbero andare ad inficiare la coesione del progetto e il raggiungimento di obiettivi comuni. Paesi come India e Brasile, soprattutto, seppur partecipino attivamente alla vita dei BRICS, non mantengono le medesime posizioni anti-occidentali di Cina e Russia.

Manca però ancora un discorso culturale unificante, in grado di cogliere, pur salvaguardando la “poliedricità” del mondo, dei punti di incontro, per esempio, fra il socialismo con caratteristiche cinesi, il conservatorismo russo, il terzomondismo tradizionale, il panislamismo e l’hindutva, alla luce della transizione verso l’era delle Macchine Intelligenti.

Per questo, nessuno è stato ancora in grado di formulare proposte motivate circa la fine dei conflitti in corso, o almeno per una tregua.Per quanto riguarda il caso ucraino, avevamo indicato che una soluzione potrebbe venire dal riconoscimento del carattere europeo di Russia e Turchia, il che porterebbe automaticamente a un ruolo centrale dell’ Ucraina, e conseguentemente al venir meno della conflittualità fra questi tre poli.

Qualcosa di analogo potrebbe avvenite anche con Israele, nell’ ambito di una “Magna Europa” fondata, non già come l’Occidente attuale, sulle religioni secolarizzate, bensì sul ritorno all’humus culturale comune dell’ “Epoca Assiale” (cfr. Simone Weil, Saint-Exupéry, Eisenstadt, Eliade, Assmann, Frankopan).

 
 
 
 
 
 

4.Urgenza della riforma delle Organizzazioni Internazionali

Come scrivevamo, la pace e la Fine della Storia erano state da sempre al centro degli sforzi per la creazione di un’ organizzazione internazionale, a partire dal trattato per la “Pax Aeterna” fra l’Impero romano e quello partico, per passare al “Landfridt” della Dieta di Worms, continuando con il Nouveau Cynée di Emeric Crucé e il Trattato per la Pace Perpetua di Saint-Pierre, con i suoi commenti da parte dei grandi illuministi, fino alla Santa Alleanza e alle conferenze per  la Pace di fine ‘800. Tutti questi movimenti non arrestarono minimamente le moltissime guerre degli ultimi due millenni. Men che mai a ciò servirono la Società delle Nazioni e le Nazioni Unite.

Infatti, premesso che un certo grado di conflittualità è inevitabile se si vuole  evitare un totalitario potere mondiale (lo Stato Mondiale di Juenger), un certo qual controllo di tale conflittualità è possibile solo se : (i) si accetta un certo grado di imperfezione delle cose umane; (ii)si mettono sul tavolo le reali cause dei conflitti.

Non per nulla l’attuale situazione è nata dal fallimento della pretesa internazionalistica del bolscevismo, e dalla conseguente sostituzione dell’URSS con la Comunità di Stati Indipendenti (tutt’ora viva e vegeta).

Orbene, oggi, quelle due condizioni non sembrano soddisfatte.

Quanto alla prima, tutti, compresi i promotori di un nuovo ordine mondiale (tranne la Cina), si propongono quali portatori di un’idea salvifica millenaristica di ordinamento internazionale, quand’anche differente tanto da quella sovietica, quanto  da quella americana.

Quanto alla seconda, nessuno sta  considerando che la reale causa dei conflitti, seppure parziali, in corso, risale alla pretesa occidentale di creare un potere mondiale unitario, pretesa contestata dalle altre parti del mondo. Prima di iniziare l’Operazione Militare Speciale, la Russia e la Cina avevano espresso chiaramente questo loro obiettivo di sventare il progetto americano di “Fine della Storia” attraverso la creazione di nuovi “paesi satelliti”, come l’Ucraina e Taiwan, destinati a corrodere l’identità di Russia e Cina, per sostituirle con piccoli Stati teleguidati dall’ Occidente (come accaduto per esempio con i Baltici o con l’Iraq “cantonalizzato”).

Andare incontro alle esigenze di tutti significa invece riconoscere Cina, Russia, Iran, Corea del Nord (ma anche India, Brasile, Cuba), come interlocutori pienamente legittimi e “di pari grado”, senza progettare la loro distruzione e sostituzione con nuovi Stati “rivoluzionari”, come faceva a suo tempo l’URSS.

Più in generale, i conflitti nel mondo si potranno almeno attutire quando tutte le grandi aree del mondo possederanno un loro ecosistema digitale autonomo, corrispondente alla loro specifica identità, e non potranno più, di conseguenza, essere controllati centralmente a distanza da Salt Lake City, dalla Silicon Valley o da Langley.

L’allargamento  dei BRICS a inizio 2024 verso Iran, Etiopia, Egitto ed EAU e il vertice dei BRICS, attualmente in corso a Kazan’, iniziano a configurare, nella pratica, la visione cinese di una coalizione di stati capaci di sfidare l’egemonia occidentale. Oggigiorno, i BRICS rappresentano il 45 percento della popolazione mondiale e una quota del Pil (PPP) che supera quella del G7. Nonostante che i BRICS, su carta, ben supportino l’agenda di Pechino,  la Cina è consapevole che, all’interno del gruppo, continuano a sussistere tensioni che potrebbero andare ad inficiare la coesione del progetto e il raggiungimento di obiettivi comuni. Paesi come India e Brasile, soprattutto, seppur partecipino attivamente alla vita dei BRICS, non mantengono le medesime posizioni anti-occidentali di Cina e Russia.

Manca però ancora un discorso culturale unificante, in grado di cogliere, pur salvaguardando la “poliedricità” del mondo, dei punti di incontro, per esempio, fra il socialismo con caratteristiche cinesi, il conservatorismo russo, il terzomondismo tradizionale, il panislamismo e l’hindutva, alla luce della transizione verso l’era delle Macchine Intelligenti.

Per questo, nessuno è stato ancora in grado di formulare proposte motivate circa la fine dei conflitti in corso, o almeno per una tregua.Per quanto riguarda il caso ucraino, avevamo indicato che una soluzione potrebbe venire dal riconoscimento del carattere europeo di Russia e Turchia, il che porterebbe automaticamente a un ruolo centrale dell’ Ucraina, e conseguentemente al venir meno della conflittualità fra questi tre poli.

Qualcosa di analogo potrebbe avvenite anche con Israele, nell’ ambito di una “Magna Europa” fondata, non già come l’Occidente attuale, sulle religioni secolarizzate, bensì sul ritorno all’humus culturale comune dell’ “Epoca Assiale” (cfr. Simone Weil, Saint-Exupéry, Eisenstadt, Eliade, Assmann, Frankopan).