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LA SITUAZIONE IN UCRAINA CONFERMA LA CENTRALITA’ DEI NOSTRI DIBATTITI

Invito alla presentazione del 21/5/2022 al Salone del Libro

SALONE IN

21 maggio, Lingotto,

Sala Arancio,ore 12.15

UN PONTE FRA EST E OVEST 

Con: Virgilio Dastoli,Riccardo Lala, Marco Margrita Alessio Stefanoni, Enrico Vaccarino

PRESENTAZIONE DEL LIBRO: UCRAINA, NO A UN’INUTILE STRAGE 

RICCARDO LALA ti sta invitando a una riunione pianificata in Zoom.

Entra nella riunione in Zoom :
https://us06web.zoom.us/j/86298136839

ID riunione: 862 9813 6839 .Trova il tuo numero locale: https://us06web.zoom.us/u/kscAFeR7q

Un contributo sofferto, anche se indiretto, alla soluzione del problema più drammatico dell’oggi. 

L’opera affronta, con spirito costruttivo, un tema vessato quant’altro mai, in un’ottica poliedrica e anticonformistica, mostrando innanzitutto quanto le attuali controversie sull’ Ucraina siano la necessaria conseguenza della centralità geopolitica di quel Paese, da sempre punto d’incontro e di scontro delle più svariate tendenze etniche, culturali, politiche, religiose. Basti pensare ai Kurgan, alla Rus’ di Kiev, ai Cosacchi, al Cosmismo…

Dopo la battaglia del Principe Igor, fra Sloviansk e Izjum

1.La storia del volume 

Nel 2014, nel momento dell’Euromaidan e delle rivolte  nell’ Est e nel Sud dell’ Ucraina, avevamo raccolto fior d’ intellettuali per un dibattito, attraverso le pagine dei nostri “Quaderni di Azione Europeista”, circa la situazione conflittuale che si andava creando. Era nato così il volume n. 3-2014 dei nostri Quaderni di Azione Europeista (Ucraina 2014, no a un’inutile strage), Quaderni concepiti come  strumenti snelli per  un intervento corale su temi strategici per il futuro dell’ Europa, fuori, tanto dei consunti binari  del “mainstream”, che dei piagnistei inconcludenti degl’intellettuali che si pretendono “alternativi”.

Ricordiamo che l’organizzazione del Salone aveva annunziato di voler dedicare il Salone 2022 all’ Ucraina, ma, in realtà, il tema dell’ anno è stato definito come “Cuori Selvaggi”. Inoltre, nessuno tranne noi sta presentando un libro dedicato specificamente alla guerra in Ucraina.

Quanto il nostro “Quaderno” fosse profetico già nel 2014 dovrebbe risultare chiaro dal fatto che ci è bastato, sostanzialmente, togliere  l’indicazione dell’ anno 2014, per poter riproporre, sostanzialmente inalterata, un’opera che già allora aveva la non irrilevante ambizione di andare al di là del nascente conflitto, per guardare al futuro con uno sguardo ampio.

Già il titolo, “No a un’inutile strage”, con il suo richiamo all’arcinota frase con cui Benedetto XV° aveva stigmatizzato la 1° Guerra mondiale – una guerra contro l’Europa e le sue tradizioni-, era stato particolarmente profetico, in considerazione dell’interminabile conflitto ucraino, iniziato nel 2014, ulteriormente aggravatosi e che non sembra destinato a terminare a breve. Profetico soprattutto alla luce dell’esigenza, oggi sentita dalla maggior parte degli attori della politica, di trovare una via d’uscita alla guerra in corso.

Ma profetico soprattutto perché i punti di riferimento di fondo non sono cambiati rispetto al 2014.

La moschea di Roxana e Solimano a Mariupol

2.I contenuti

Basta, per comprenderlo, scorrere l’elenco degli articoli di cui quell’ opera si compone:

“Dall’ ‘allargamento’ al ‘completamento’ dell’ Unione”, introduzione dell’Associazione Diàlexis:    mette in luce la straordinaria convergenza, sull’ area ucraina, di una pluralità di tradizioni, culture, pretese, interessi, che ne ha fatto da sempre una delle aree più centrali dell’ Europa, la quale  avrebbe dovuto essere, in particolare, al centro della Confederazione Europea proposta, nel 1989, da Gorbaciov, Mitterrand e Giovanni Paolo II, mai attuata, ma oggi ripresa da molti, a cominciare dal Presidente pro-tempore del Consiglio Europeo, Macron, in occasione della seduta conclusiva della Conferenza sul Futuro d’ Europa;

-“Tra l’agitazione ucraina e la zona aerea d’identificazione cinese”, di Giovanni Martinetto: pone in evidenza già fin da allora la stretta connessione fra il conflitto ucraino e le tensioni fra Cina e Stati Uniti sul Mar della Cina, che rendevano, e rendono, vieppiù improrogabile,  una struttura coordinata fra USA, Europa e America, necessaria per partecipare attivamente alla gestione di un mondo dominato sempre più dagli stati-civiltà;

“Come impedire lo smembramento dell’ Ucraina”, di Lucio Levi: fa giustamente notare che un’ Ucraina “federalizzata” (come quella a cui aveva pensato il “Partito delle Regioni” avrebbe potuto essere il centro ideale dell’ auspicata Federazione Europea;

-“La restaurazione del Califfato?” di Franco Cardini: mette in evidenza uno dei principali elementi geopolitici al centro della crisi attuale-il ritorno della Turchia, o meglio del suo Impero- che si sta qualificando sempre più come un’autonoma potenza europea, capace di respingere le ingerenze americane, di moderare la Russia e l’ Ucraina, di utilizzare i suoi poteri sugli Stretti e nella NATO, di produrre efficaci tecnologie militari. Ricordiamo che, a Mariupol, si trova la Moschea di Roxana e Solimano, a ricordare l’origine ucraina dell’imperatrice ottomana, e dove si sono rifugiati, durante i combattimenti, i mussulmani presenti in città;

-“Una strategia dell’ Unione Europea per la crisi dell’ Ucraina”, di Alfonso Sabatino: invocava già allora un’inesistente azione diplomatica per creare un quadro europeo di sicurezza, che nessuno si è preoccupato, invece, di creare, mentre solamente la tardiva proposta “in quattro fasi” del nostro Governo alle Nazioni Unite sembra oggi riproporre;

-la Dichiarazione del Movimento Federalista Europeo sulla Crisi Ucraina: attribuiva all’ Unione Europea la massima responsabilità per la crisi, in quanto era stata la carenza di un’adeguata Politica Estera e di Difesa dell’ Europa ad avere aperto un vuoto, in cui si è inserita l’attuale destabilizzazione;

-la “European Charter for  regional or minority Languages”: approvata fin dal 1992, la sua applicazione avrebbe impedito la nascita stessa del problema delle minoranze linguistiche russofone in Ucraina, Moldova, Georgia e Paesi Baltici, e, di conseguenza, le guerre della Cecenia, della Transnistria, dell’ Abkhazia, dell’Ossezia e del Donbass.

Siamo nuovamente riuniti per discutere gli stessi temi di allora, avendo sotto gli occhi i risultati della mancata adozione di quanto da noi suggerito nel 2014, e non ci stanchiamo di sottoporre le nostre opere a chi ha poteri decisionali a questo proposito, nella speranza che, quand’anche in ritardo, i fatti stessi costringano tutti a prendere atto dell’ inevitabilità delle nostre proposte.

Intervenite numerosi, e aiutateci a diffondere, prima che sia troppo tardi, la consapevolezza di questi problemi!

L’UCRAINA QUALE “PONTE FRA EST E OVEST”

Considerazioni sulla conferenza internazionale proposta dal Movimento Europeo

Teleconference Macron, Scholz
Xi Jinping

Oggi, il Presidente Xi Jinping ha avuto una teleconference con Macron e Scholz, con cui questi hanno praticamente investitoo, i modo informale, il Presidente cinese del ruolo di mediatore per conto dell’Europa. Per quanto la cosa possa sembrare esorbitante sotto tutti i punti di vista (a che titolo parlano Macron e Scholz? Perché l’ Europa non può mediare da sola? Cosa ci sta a fare Borrell?), l’iniziativa  dovrebbe essere foriera di sviluppi molto positivi.

La cosa va letta come l’ultimo episodio di un’evoluzione avviatasi già nei giorni passati. Al termine dei colloqui fra il Segretario di Stato Blinken e il primo ministro cinese Wang Yi, l’agenzia di stampa Xinhua aveva emesso un comunicato, in cui, tra l’altro, “la Parte Cinese“ also encourages the United States, the North Atlantic Treaty Organization (NATO), and the European Union to engage in equal dialogue with Russia

E’ importante rilevare come, secondo la Cina, anche l’Unione Europea e la NATO debbono partecipare alle trattative in esito alla guerra in Ucraina, per una soluzione globale delle tensioni di lungo periodo nell’ area europea (“ face up to the frictions and problems accumulated over the years”), e, in particolare all’ allargamento a EST della NATO “pay attention to the negative impact of NATO’s continuous eastward expansion on Russia’s security”, e per costruire un nuovo meccanismo europeo di sicurezza: “ and seek to build a balanced, effective and sustainable European security mechanism in accordance with the “indivisibility of security” principle”.

In una successiva dichiarazione, Wang Yi ha anche affermato:” Relations with Russia and those with the European Union were two separate issues, ….China’s relationship with Europe was not dependent on or related to any third party.”

Insomma, la Cina non vuole, né trovarsi imbarazzata dalla sua amicizia con la Russia, né essere ostacolata, nei suoi rapporti con l’ Europa, da interferenze americane. Di fatto, è in una posizione ideale per mediare, tenendo conto dell’ interesse del mondo intero per un’Europa pacifica ma anche forte.

Infatti, ha annunziato un prossimo summit fra Cina e UE, ed ha affermato che “Beijing firmly supported Europe’s “strategic autonomy””.Autonomia che però, nonostante le dichiarazioni retoriche, le Istituzioni della UE di fatto non stanno affatto perseguendo in concreto, e che non sarà probabilmente conseguita senza un sostanzioso aiuto cinese.

Alle “avances” cinesi corrisponde infatti la richiesta del Movimento Europeo di convocare una Conferenza per la sicurezza in Europa.

Mentre tutti i commentatori si concentrano sugli aspetti apparentemente più macroscopici della guerra in corso, dall’enormità sostanziale del conflitto, alle confliggenti interpretazioni e versioni dello stesso favorite dai diversi Governi, ai devastanti impatti economici, noi desideriamo qui concentrarci invece su queste  trasformazioni desiderabili e possibili degli attuali assetti europei che si potrebbero, e dovrebbero, perseguire in occasione delle future trattative, per una soluzione in profondità e di lungo periodo dei  molti, gravissimi e urgenti problemi del mondo.

In effetti, l’”Operazione Speciale” in Ucraina non è certo la linea più diretta e auspicabile per affrontare la questione della sicurezza europea (che sarebbe ovviamente compito prioritario degli Europei, e non di altri, e che dovrebbe essere stata affrontata diversamente da gran tempo). Però, come al solito, “oportet ut scandala eveniant”.

E comunque la Russia e l’Ucraina non possono essere gli unici interlocutori di una questione che riguarda evidentemente anche e soprattutto l’Unione Europea e la NATO. I cui trattati istitutivi sono da anni giustamente soggetti a critiche, che questa crisi potrebbe e dovrebbe aiutare a superare. Ma riguarda altrettanto la Cina, che, con le sue Nuove Vie della Seta, rivendica per sé un ruolo attivo in tutte le vicende dell’Eurasia, che impattano profondamente sulla sua economia e sulla sua società, largamente dipendenti dagli scambi internazionali. Basti pensare alle ferrovie che attraversano la Russia, l’Ucraina, la Polonia….E difatti, anche Borrell ha espresso il desiderio che la Cina promuova un negoziato, e Wang Yi ha affermato chiaramente che essa si sta predisponendo a farlo.

Gli Stati Uniti, che si erano illusi di avere soffocato le Vie della Seta – con il terrorismo islamico, con i moti di Hong Kong, con le ingerenze con i Governi europei (e in primis quello italiano), con le sanzioni contro la Cina- se la vedono oggi rispuntare sotto forma di mediatrice necessaria nel conflitto ucraino.

Ed è  su questa svolta che si potrebbe innestare il discorso più vasto sull’architettura europea.

Mitterrand a Praga

1.La Confederazione paneuropea (Assise di Praga del 1989).

Infatti, oggi, il problema immediato sentito da tutti, ma finora irrisolto, è quello di proporre una soluzione della crisi ucraina che sia accettabile a tutte le parti, e dotata di una sua intima coerenza. Tuttavia, una siffatta proposta non avrebbe, né chances, né un seguito, se non poggiasse su una solida base di riflessione e una proposta di più ampio respiro.

E, innanzitutto,  occorre chiedersi perché l’unica soluzione lineare, quella proposta in passato, la Confederazione Europea di Mitterrand, discussa nel 1989 alle Assise di Praga, sia stata sempre scartata senza discussione, per le opposizioni degli Stati Uniti e delle classi dirigenti atlantiste:” à partir des accords d’Helsinki, je compte voir naître dans les années 1990 une Confédération européenne au vrai sens du terme qui associera tous les États de notre continent dans une organisation commune et permanente d’échanges, de paix et de sécurité.».

Si noti bene che le Assise di Praga erano un incontro non limitato ai politici, bensì aperto alla società civile di tutta Europa.

Fino a pochi anni fa (almeno fino al 2008), l’obiettivo di politica europea della Russia (sotto Gorbaciov, Elcin e Putin) sembrava rimasto appunto proprio quello di una strutturazione dell’Europa sulla base di una confederazione con l’Unione Europea, quale  già adombrata negli statuti del Consiglio d’ Europa e dell’ OCSE, (anche attesa l’indisponibilità della UE, espressa a Putin dal Presidente Prodi, ad una adesione della Russia alla UE, quale invece già richiesta da Elcin).

Invece, l’obiettivo dell’”establishment” occidentale era radicalmente diverso: “bloccare la storia” in modo da rendere irreversibile il suo”impero nascosto”  esteso a tutto il mondo: “La caduta del Muro di Berlino nel 1989 e la successiva dissoluzione dell’Unione Sovietica fecero emergere la falsa convinzione che la fine della guerra fredda e dell’imperialismo comunista avrebbe aperto la strada ad un mondo sostanzialmente unipolare nel quadro dell’egemonia degli Stati Uniti d’America e del libero mercato.I passi in avanti compiuti dal processo di integrazione europea, dall’Atto unico europeo del 1987 al Trattato di Lisbona del 2009 sono ben lontani dall’obiettivo degli Stati Uniti d’Europa ribadito nel 1984 su Le Monde e il mondo unipolare immaginato nel 1989 ha lasciato il posto ad un pianeta sempre più ingovernabile con tensioni crescenti fra Stati che rivendicano al loro interno il principio della sovranità assoluta e all’esterno il ruolo di attori internazionali.(P.V. Dastoli, “Est-ce qu’il faut une troisième guerre mondiale pour créer les Etats-Unis d’Europe ?”) .

Come conseguenza, di fronte al “muro di gomma” degli Europei (vedi dichiarazioni di Prodi) e all’invasività delle sempre rinnovate politiche americane (Guerra del Kossovo, Operazione “GUAAM”, Euromaidan, erosione delle tradizionali neutralità di Svizzera, Austria, Svezia e Finlandia), la Russia è stata costretta, nei decenni, anziché a procedere, come avrebbe voluto, sulla strada dell’integrazione paneuropea, a difendere in tutte le direzioni in modo sempre più aggressivo la propria autonomia politica attraverso tattiche negoziali e militari alternate (interventi in Transnistria, Kossovo, Ossetia, Abkhazia, Donbass), ora sfociate nella guerra con l’Ucraina, più acuta ed evidente delle precedenti, ma qualitativamente non diversa.

Nel frattempo, tradizioni giuridiche secolari e sancite da trattati internazionali, come l’ “Immerwaehrende Neutralitaet” svizzera e austriaca, venivano (e vengono) erose con cavilli formalistici dalla NATO e dalla UE.

Per molto tempo, in quegli anni, Putin aveva parlato e operato a favore della UE, della democrazia e del mercato, ma, dopo tante delusioni, la sua visione politica è cambiata radicalmente:”dopo tanti anni di politica estera e di incontri con tanti presidenti americani ho capito che mai con gli USA ci potrà essere vera pace perchè sono contro di noi per il semplice motivo che esistiamo”. Per questa convinzione, egli ha progressivamente militarizzato la Russia, nell’ ideologia, nella cultura, nel diritto, nella società…, come risulta particolarmente evidente in questi giorni.

Tutte le potenze che sono intervenute nel conflitto con ambizioni di mediazione hanno tentato, per ora inutilmente, di delineare un’ipotesi di strutturazione dell’area est-europea che soddisfi le esigenze di tutte le parti in causa, ivi comprese le ”legittime preoccupazioni della Russia”. Per quanto ci riguarda, la confederazione paneuropea resta però l’unica prospettiva che permetterebbe di uscire in modo stabile da una conflittualità che oggi appare senza rimedio, non solo sull’ Ucraina, ma anche per ciò che concerne tutta l’Europa, e una conferenza internazionale, quale quella proposta dal Movimento Europeo,  sembra l’unico strumento veramente adeguato.

Attraverso le diverse pubblicazioni della Casa Editrice Alpina e dell’Associazione Culturale Diàlexis (in particolare, Ucraina, no a un’inutile strage, del 2014) avevamo già tentato da circa un decennio di delineare uno scenario complessivo che avrebbe permesso di raggiungere questo risultato.

Proprio il fatto che trovare una soluzione politica non sia facile potrebbe costituire in realtà un’opportunità per la UE, la quale, desiderando (a quanto da essa stessa dichiarato) fondare una visione nuova, basata sulla “sovranità europea” di cui parla Wang ( ma per cui non oggi esistono sufficienti basi materiali e spirituali), non può che giovarsi di uno scenario mobile, che offra il destro di uscire dal “Pensiero Unico”. Senza una forte spinta dal basso (e dall’ esterno), l’Unione non sarà mai all’altezza di quell’ obiettivo.

Tra l’altro, la crisi ucraina sta infatti coincidendo temporalmente con la fase terminale della Conferenza per il Futuro dell’Europa, che non sembra abbia raggiunto alcuna conclusione operativa (per dirla con il Presidente Mattarella, si sta concludendo in modo “grigio”). In particolare, non c’è nessuna proposta concreta sulla politica estera e di difesa dell’ Europa, che, come si può vedere proprio nel caso dell’ Ucraina, non esiste, perché tutte le cose importanti (per esempio la “no flight zone”, la fornitura dei MIG, la linea di successione di Zelenski, la mediazione cinese…) vengono ancor sempre decise, in realtà, fra Stati Uniti, Russia e Cina. Come difficoltà aggiuntiva c’è il fatto che, in una materia così fluida come quella militare, ci si debba sempre consultare in 27.

Sarebbe il caso che il Movimento Europeo, stigmatizzando in modo energico l’assenza di idee nella Conferenza, si esprimesse molto più chiaramente per una ripresa della proposta di Mitterrand e di Gorbaciov. L’attuale svolgimento della Conferenza (burocratico, autoreferenziale, e privo di entusiasmo, dialettica e concretezza) è, infatti, quanto di più lontano dalle realtà di quest’Europa scossa dalla pandemia, dalle sanzioni, dalla crisi economica, dalla guerra).La stessa presidenza di turno, quella francese, stretta fra la guerra e le elezioni, non ha fatto praticamente nulla per l’Europa, salvo ora la videoconferenza con Xi Jinping.

E’ dunque chiaro che:

il primo messaggio all’ Europa, è: datevi un “comandante in capo” in grado di trattare con poteri corrispondenti a quelli di Biden, Putin e Xi Jinping;

-Il secondo messaggio è: datevi una forza nucleare veramente europea. Certo, c’ è già quella francese, ma, a parte la sua debolezza rispetto a quelle russa e americana, è ad esclusiva discrezionalità del Presidente francese, che non è in grado di usarla politicamente. La Presidenza francese dovrebbe mettere la Force de Frappe a disposizione dell’Europa, precisandone le condizioni, e l’Unione che dovrebbe dotarsi di un meccanismo di gestione delle crisi che garantisca il comando unico;

-Terzo messaggio: datevi un profilo chiaro (una dottrina strategica comune), in modo da poter formulare risposte univoche;

-Quarto messaggio: spendete meglio i vostri soldi, licenziando praticamente tutti gli alti ufficiali, la maggioranza degli ufficiali, metà dei sottoufficiali e molti soldati, e dotatevi, al loro posto, di analisti, agenti segreti, ingegneri informatici, nucleari e spaziali, addestratori di milizie civili, contractors, come hanno gli altri eserciti. Sviluppate computer quantici, missili ipersonici, “gliders”, ecc…

Mariupol, centro del conflitto del Donbass

2.Il ruolo dell’ Ucraina nel futuro dell’ Europa

Gorbačëv aveva parlato di una “Casa Comune Europea” ispirandosi al papa Enea Piccolomini , Elcin, Putin e Erdoğan hanno continuato a caldeggiare, oramai da un ventennio, e con una pazienza veramente encomiabile,  l’adesione alla UE dei rispettivi Paesi, ricevendone risposte evasive o sdegnate. La realtà è che, come si era lasciato sfuggire Prodi con Putin,  Russia e Turchia sono troppo grandi, e potrebbero dettare le loro condizioni, anziché accettare supinamente quelle della UE.

E non si dica che non sono “democratici”. La storia di questi ultimi decenni ci insegna che Solidarnosc, FIDESZ, AKP, Edinaja Rossija, sono nate dalle vittoriose rivendicazioni antitotalitarie contro regimi liberticidi, come i Partiti Comunisti dell’ Est e i militari polacchi e turchi. Se i loro leaders hanno dovuto incrementare, nel corso di questi decenni d’indipendenza,  i poteri propri e dei loro Governi, ciò è stato dovuto alle pesanti forme di destabilizzazione subite, nonostante le loro origini e i loro meriti,   da parte dall’ America e dalla UE, come per esempio  la colonizzazione dei media e della cultura di Polonia e Ungheria da parte di gruppi finanziari e lobbistici occidentali, le Rivoluzioni Colorate serba, georgiana e ucraina preparate a tavolino secondo il manuale di Gene Sharp e finanziate dall’ Endowment for Democracy; il colpo di stato sobillato dal telepredicatore islamista Gülen  con sede in USA.

In conclusione, una proposta europea per l’Ucraina potrebbe situarsi lungo cinque linee di azione:

un nuovo tipo di confederazione dell’Unione Europea, da un lato con l’Unione Eurasiatica, e, dall’ altra, con la Turchia, secondo la vecchia proposta di Mitterrand (utilizzando “come veicolo” il Consiglio d’ Europa e/o l’ OSCE?);

-la “federalizzazione” dell’ Ucraina (ma anche della Turchia), come prevista dagli Accordi di Minsk, utilizzando ad esempio le esperienze della Finlandia, del Belgio e della Svizzera, oltre che le già esistenti 12 Euroregioni dell’Ucraina. Ricordiamo che il Belgio ha una Comunità neerlandofona, una francofona e una germanofona, più una “Città Capitale” che è anche la “capitale” della UE e della NATO;

-la trasformazione dell’ Ucraina nel “territorio confederale”, e, di Kiev, nella sua “capitale”. Intanto, per rispetto verso  i nostri partners orientali, e, in secondo luogo, per dare, all’ Ucraina un ruolo, “una missione”, come quella che giustamente rivendicava la “Confraternita Cirillo-Metodiana”tanto amata dai nazionalisti ucraini, che non sia solo quella di “Antirussia”;

-la neutralizzazione del territorio ucraino, con adeguate garanzie internazionali reciproche (come proposto, fra gli altri, da personaggi come Kissinger e Brzezinski). Non si capisce perché ciò che si è fatto, e si continua a fare, per quasi la metà degli stati europei, membri (Irlanda, Svezia, Finlandia, Austria, Malta) dell’ UE, e non-membri (Svizzera, Liechtenstein, Serbia, Georgia , Azerbaidjan, Islanda, Moldova) non possa essere fatto anche per l’Ucraina;

-una collaborazione urgente fra l’ America, la Russia e l’Europa, su  un progetto generale di controllo degli armamenti, non limitato alle armi nucleari  e alle difese antimissilistiche, bensì allargato a un’applicazione generalizzata del Principio di Precauzione. Infatti, le “garanzie” dell’equilibrio degli armamenti sono, prima che giuridiche, tecniche: vale a dire trasparenza delle tecnologie, efficacia dei controlli,ecc …;

-il passaggio della “Force de Frappe” francese sotto il controllo europeo;

-uno scadenziario preciso di trasferimento delle competenze militari (ivi compresi gli acquisti di materiale militare e le attuali basi NATO e americane), dagli USA e dalla NATO alla UE. E non si dica che un Esercito Europeo non sarebbe in grado di difendere l’ Europa, quando perfino l’esercito ucraino si sta rivelando capace di sostenere l’assalto di quello russo. Gli Europei stanno spendendo già adesso il doppio dei Russi, ma stanno semplicemente sprecando i loro soldi. E poi, non avendo noi l’ambizione di dominare il mondo, non avremmo bisogno di spendere quanto gli Americani. Semmai, bisognerebbe spostare un certo numero di stanziamenti verso l’AI, l’intelligence, il missilistico e il nucleare.

Si tratterebbe insomma semplicemente di ritornare all’ impostazione originaria del Movimento Federalista Europeo, che considerava la CSI come una realtà federale positiva e utile, con cui collaborare nell’ambito del Federalismo Mondiale. 

Occorre  sottolineare che, a causa della grande varietà di tradizioni delle diverse parti dell’ Ucraina, un aspetto importante dell’ Ucraina è la sua vocazione naturale  al  federalismo. Pensiamo ad aree altamente omogenee sotto tanti punti di vista, come Galizia Orientale (Leopoli), Podlessia (Cernihiv), Regione Kievana, Donbass (Kharkiv), Novorossija-Zaporizzhia (Dnipro), Bessarabia (Odessa), Rutenia Transcarpatica (Uzhgorod). Volendo, anche Crimea (Simferopol).

La “federalizzazione” era stata invocata fin dalla creazione del nuovo Stato, e già parzialmente attuata in Crimea. Essa costituiva il nucleo del programma del Partito delle Regioni che aveva vinto le elezioni. Questo progetto è già perfino accettato, negli Accordi di Minsk II, ma mai concretizzato per l’opposizione dell’ Ucraina. Esso è anche consono allo spirito federalistico dell’ Unione Europea. Non per nulla, l’Ucraina aveva fatto oggetto della creazione, grazie alle sue successive amministrazioni,  delle sue 12 Euroregioni. Come in altre parti d’Europa, le Euroregioni dell’ Ucraina non funzionano, ed era stato proprio Jatseniuk a lamentarsene quando era stato Ministro degli Esteri.

Da dove vennero i primi Indoeuropei

3.L’Ucraina  cuore dell’ Europa

A noi pare che la  materia più  delicata del contendere sia proprio quella  simbolica: la pretesa di centralità rispetto a una tradizione condivisa: quella della Rus’ di Kiev. La Russia non può permettere che Kiev, suo mitico luogo di origine, cada in mano a forze antirusse (l’”Antirussia” contro cui si scaglia ancora il Presidente Putin). Ne verrebbe sconvolto lo  stesso equilibrio culturale e psicologico del Paese (che punta tutto sulla propria continuità storica da Rjurik ,se non dagli Sciti, a Putin, sicché gli Slavi Orientali dovrebbero essere per i Russi non già dei partners, più o meno affidabili, bensì dei “fratelli”=“bratjà”).  Di converso, i nazionalisti ucraini (e dei Paesi vicini), che finalmente, dopo molti secoli, sono riusciti, anche se in modo discutibile e in ritardo sugli altri Europei, a crearsi una loro “identità nazionale”, non vogliono neppur essi “mollare la presa”, lasciando ai “Moscoviti” (i “Moskali”) la leadership dello Slavismo, che, secondo la “Comunità Cirillo-Metodiana”, sarebbe spettata all’Ucraina. È un vecchio conflitto, quello fra “Ucrainofili” e “Russofili”, che, per quanto limitato nello spazio e nel tempo, aveva già fatto molte vittime, per esempio in Galizia durante e dopo la 1° Guerra Mondiale. Ci sembra grave che, invece, non vengano mai ricordate le altre importanti tradizioni culturali dell’ Ucraina (greco-romana, turco-tartara, Polacco-Lituana, Ungherese, Rutena, Askhenazi, Karai).

Quella che noi suggeriamo è un’ulteriore  contromossa . Per noi, il Maidan non è il centro dell’ Ucraina Occidentale, né dell’Ucraina in generale: è il cuore dell’ Europa. Fin dagli inizi, l’Europa è stata molteplice: non per nulla, già Diocleziano aveva diviso l’Impero Romano in quattro parti. In Europa, vi sono almeno tre, se non quattro, “Rome”: oltre che la “Roma” propriamente detta, ci sono Istanbul e Mosca. Nessuna di queste può essere “il” centro dell’Europa. Fisicamente, il “centro” si situerebbe  proprio in Ucraina Occidentale (forse, in Bucovina, vicino al Castello di Hotyn).Secondo John Anthony, l’area si origine dei Proto-Indoeuropei si situerebbe lungo il medio corso del Don, nell’ Oblast di Samara, da dove essi sarebbero poi migrati verso l’Ucraina e la Romania. Quindi, non più Kiev origine degli Slavi Orientali (la Rus’ di Kiev), bensì la Russia meridionale quale origine degli Indo-Europei.

In Kiev, parzialmente slava e ortodossa, parzialmente cattolica, parzialmente medio-orientale (di cui è simbolo la Chiesa Cattolico-Orientale), come dice lo stesso nome “Maidan” (Turco, Arabo, Persiano, Urdu, Hindi) si potrebbe stabilire il “centro” dell’Europa, intesa, non già come semplice Unione Europea, bensì come Confederazione fra UE, Comunità Eurasiatica e Turchia.

Tuttavia, per fare questo, occorrerebbe che, al di sopra delle identità regionali e nazionali, emergesse con chiarezza la natura dell’ Identità Europea quale espressione della Dialettica dell’ Illuminismo nell’ era delle Macchine Spirituali. Tale dialettica si configura, oggi, come tensione fra, da un lato, la Rivoluzione Biopolitica perseguita dal Complesso Informatico-Militare, e, dall’ altra, l’aspirazione al superamento della Modernità nel nome delle tradizioni culturali e religiose. Quest’aspirazione, che oggi trova la sua incarnazione soprattutto nel dialogo interculturale ed ecumenico, dovrebbe trovare espressione anche in un movimento politico internazionale volto al controllo degli abusi delle nuove tecnologie, siano esse civili o militari.

A quel punto, la “radice” non sarebbe più nella Rus’ di Kiev (il “Russkij Mir”), bensì nelle culture di Yamnaya e di Tripollie (origine degli Europei),da cui si sarebbe dipartita anche la “Cultura di Sintashta” (dove Anthony vede similitudini con la cultura vedica).

L’ Europa, la Russia e l’Ucraina, per il loro carattere di “ponte” fra le culture occidentali e orientali, dovrebbero divenire il supporto politico di questo movimento. Per fare ciò, esse devono però riconoscere le loro radici comuni (i “due Polmoni” di cui parlava Papa Wojtyła), sviluppando forme di sinergia e di associazioni che accrescano il loro peso in quanto polo di trasformazione della società mondiale.

Ci si obietterà che ciò è irrealistico, in quanto, oggi, si andrebbe piuttosto verso una conflittualità crescente fra Occidente ed Eurasia. Si osserverà anche che questo è il momento di un forte “revival” di ogni tipo di nazionalismo:

-campanilistico-economicistico , come quello del “Made in Italy”;

-geopolitico-finanziario,come quello dell’”austerità” tedesca;

-populisico volgare, come quello anti-immigrati e anti-euro;

-quello sciovinistico novecentesco, come quello “sovranista”;

-quello del “ressentissement”, come quelli dei “popoli senza storia” contro gli “Herrenvölker;

-quello piccolo-nazionale, come quelli basco, catalano, scozzese o Fiammingo;

-quello letterario e aulico, come quello delle grandi “nazioni aristocratiche”;

-quello  opportunistico e filo-NATO, come quelli degli establishment militari;

-quello neo imperiale, come quello russo.

Noi crediamo invece che, in una visione pluricentrica e pluriculturale, tutte le forme di identità, comprese quelle nazionali, possano trovare uno sbocco e una fioritura, purché si inquadrino nell’ obiettivo storico dell’ Europa del XXI Secolo.

Così, la Russia potrebbe perseguire il suo ruolo di catalizzatore delle infinite forze dell’Eurasia; il mondo nordico potrebbe  continuare a costituire il cuore economico dell’ Europa; quello mediterraneo la colonna vertebrale di una rinnovata Società della Conoscenza intesa come Società della Cultura e delle Fedi; quello Centro-Orientale, una “cerniera” intorno alla quale si muovono tutte queste altre realtà. E, ancora all’ interno di ciascuno di quei “mondi”, si possono inserire le Macroregioni Europee (baltica, atlantica, alpina, adriatica, danubiana, ecc…) , ciascuna con delle sue specificità (quale ecologica, quale marinare, quale turistica, quale multiculturale, quale storica…).E, poi, ancora, nazioni, regioni, città, in un’Europa delle Identità in cui ogni anello della catena ha una propria vita.

Tuttavia, senza una nuova classe dirigente che approfondisca, maturi, formalizzi, consolidi, concretizzi, diffonda e difenda questa visione, l’ Europa va inesorabilmente verso il declino, l’irrilevanza, il conflitto e la distruzione: Complesso Informatico-militare contro democrazia; NATO contro Russia; nazionalismo russo contro revanscismo baltico e ucraino; arroganza tedesca contro Paesi mediterranei; Stati Nazionali contro micronazionalismi; nazionalità titolari contro minoranze etniche…

E’ chiaro che questo non è fino ad ora avvenuto perché tutte le componenti dell’ establishment non vogliono perseguire quell’ obiettivo, vuoi perché non informate, vuoi perché non lo condividono, vuoi perché paralizzate da  un’opinione pubblica succube dei “media”, vuoi perché eterodirette dall’ America.

Il problema politico sarà dunque come fare a conseguire quegli obiettivi nonostante quest’ ambiente circostante ostile.

Per quanto la pace in Ucraina sia un obiettivo immediato e la federazione eurasiatica un obiettivo di medio termine, le strategie per conseguirlo non devono contraddirsi reciprocamente, e devono tenere conto dei vincoli del realismo.

La strage di Srebrenica, sotto gli occhi dei Caschi Blu

4. Il federalismo mondiale non è un mondo angelico

La nascita del federalismo europeo si confonde, fin dai più lontani precedenti, con quella delle organizzazioni internazionali. Esso le ha sempre  sostenute  lealmente, anche perché esse costituiscono, per essa, il canale privilegiato per esercitare il suo ruolo nel mondo. Coerentemente con le impostazioni classiche del federalismo, il completamento dell’integrazione europea dovrebbe permettere anche la realizzazione del federalismo mondiale.

Tutto ciò presuppone però, a monte, una rivoluzione culturale, in quanto, nel dibattito culturale e politico, non sono ancora stati approfonditi adeguatamente concetti essenziali per tale riforma, come per esempio “Superpotenza”, “Confederazione”, “Impero”, “Imperialismo”, “Grande Potenza”, “Federazione”, “Stato”, “Stato Nazionale”, “Nazionalismo”, “Stato Federale”, “Federalismo”, che, infatti, tanto nella letteratura specialistica, quanto nei media, sono utilizzati in modo assai promiscuo. Intanto, quando si parla di federalismo mondiale, si pensa spesso a uno scenario utopico: tutti concordi su un unico modello, senza conflitti: la Fine della Storia. Questa però non sarebbe una federazione mondiale, bensì un impero mondiale, se non, addirittura, una tirannide universale (Rousseau, Kant).

Perciò. Il federalismo mondiale, la confederazione fra UE e Eurasia e lo stesso federalismo europeo potranno funzionare solo se interiorizzeranno la critica anti-utopica.Perfino all’ interno di un solo Stato ci sono insurrezioni, rivoluzioni e guerre civile. Uno Stato mondiale in cui tutte queste fossero rese impossibili sarebbe la fine dell’uomo. Non per nulla i cultori dello Stato Mondiale sono anche gli zelatori della Fine della Storia e della Singularity Tecnologica.Al contrario, il federalismo mondiale si pone in contraddizione estrema con il modello attualmente vincente, quello della globalizzazione tecnocratica (che aspira, appunto, a un  impero mondiale, e/o universale). Secondo tale modello di globalizzazione, dovrebbe esistere un unico centro (il Complesso Informatico-Militare), che imporrebbe a tutti gli Stati il livellamento delle loro culture per obbedire a direttive unitarie, che mirano a un modello si sviluppo finalizzato alla egemonia della tecnica (standardizzazione, concentrazione, conformismo, atomizzazione).

Il federalismo mondiale invece, aspirando a far partecipare al governo del mondo tutte le parti dello stesso, si sforza, al contrario, di organizzare una pluralità di soggetti politici, e di aggregarli, per rafforzarli, all’ interno di grandi “contenitori”  continentali o semi-continentali, come l’ India, l’ Europa, l’Africa, le Americhe, il Medio e l’Estremo Oriente, ecc…Esso prende atto del fatto che esistono, nel mondo, molti modelli culturali e politici (Kupchan, De Masi). Per questo motivo costituisce non già, come pretendono taluni teorici, la fine di tutti i conflitti, bensì l’avvio di conflitti di nuovo tipo. La causa immediata delle attuali tensioni a livello mondiale (corsa agli armamenti, conflitti locali) è costituita per esempio dal fatto che le forze della globalizzazione, non accettando questo pluricentrismo, lo sottopongono a pressioni di ogni genere.

Nell’ambito di questo conflitto generalizzato, si collocano conflitti più localizzati, vertenti sulle modalità secondo cui si vorrebbero organizzare i singoli soggetti continentali e/o subcontinentali (p.es., Palestina, Ucraina, Kashmir, isole Daoyu). Questo “pensare per continenti” che prende l’avvio dalla “Dottrina Monroe”, si sviluppa con l’”eurasiatismo” e “Paneuropa” per sconfinare nell’imperialismo (vedi “la Grande Asia” giapponese o “il Grande Medio Oriente” di Bush).

Esso ha, certo, paradossalmente, una certa parentela con lo “Scontro di Civiltà” di Huntington, solo che l’obiettivo è diverso: là, si trattava di una grande coalizione per vincere la Terza Guerra Mondiale; qui di un accordo multilaterale fra tutti i maggiori attori, per disinnescare il rischio della guerra mondiale (Habermas). Basti pensare che Huntington voleva dividere l’ Europa al confine coll’Ortodossia (paradossalmente, qualcosa di simile alle attuali rivendicazioni russe).

Anche per fare ciò, i politici dovrebbero acquisire una visuale culturale più ampia, comprensiva di  un’eccezionale competenza culturale comparata, cercando di vedere come certe soluzioni riescano a conciliare esigenze obiettive e pulsioni identitarie di soggetti diversi. L’ostacolo principale al raggiungimento di questo obiettivo è la “colonizzazione culturale” dell’ Europa da parte dell’ideologia californiana, che sta tentando d’ imporre, come fosse l’“Identità Europea”, l’egemonia culturale transumanista, introducendo in Europa una “cancel culture” che si traduce in un “Cancel Europe”. E, infine, nel “Cancel Mankind”.Il caso della persecuzione della cultura russa in tutto il nostro Continente è più che eloquente.

La retorica byroniana copriva le stragi della Guerra di Liberazione greca

5.Le Nazioni Unite dovranno “cambiare pelle”

Sono nate come alleanza vincitrice della 2° Guerra Mondiale, e ne mantengono l’ impronta e l’ideologia (il “One-Worldism” diffuso dagli Stati Uniti all’ inizio della Seconda Guerra Mondiale). L’Europa vi è rappresentata da  uno Stato Membro, ma non ha un proprio seggio. Anche il suo nome è obsoleto, si richiama alla Guerra antinapoleonica e alla  Battaglia di Waterloo, alla  Seconda Guerra Mondiale e agli Stati Uniti, dov’essa ha sede: “Millions of tongues record thee, and anew/Their children’s lips shall echo them, and say,/’Here, where the sword united nations drew,/Our countrymen were warring on that day !’ (Lord Byron, Childe Harold’s Pilgrimage).

Infine, dovrebbero essere trasferite in un Paese neutrale. Non sembra infatti ammissibile che, come nel recente caso del team russo, gli Stati Uniti possano negare l’accesso alle Nazioni Unite ai rappresentanti degli Stati membri.

Anche le Organizzazioni specialistiche sono obsolete. Esse non riescono a svolgere loro funzioni più fondamentali che mai, come, in primo luogo, un’applicazione giuridicamente vincolante a livello mondiale del Principio di Precauzione e del Principio della difesa dell’Identità Culturale. Vanno fuse e coordinate fra di loro e con le Nazioni Unite.

L’incontro di Pratica di Mare fra Putin e Bush

6.La NATO e l’OCSE potrebbero costituire la base di una Alleanza  del Nord del Mondo

A nostro avviso, essendo attualmente la NATO e l’OCSE le organizzazioni dei Paesi del Nord-Ovest del mondo, esse potrebbero diventare, fondendosi, un regime-quadro federale dei rapporti fra Europa, America e Medio Oriente. Quest’affermazione non è, a nostro avviso, contraddetta, bensì rafforzata, dalle recenti vicende ucraine. Infatti, la rivalità russo-occidentale è stata creata artificialmente per giustificare la sopravvivenza della NATO stessa come tale, mentre  Gorbačëv e Elcin avevano deliberatamente smobilitato il Patto di Varsavia nella speranza di essere accolti subito in Europa, venendo però respinti.

Come ha affermato l’Arcivescovo Emerito di Torino, Monsignor Bettazzi, dopo lo scioglimento del Patto di Varsavia, la NATO stessa avrebbe dovuto essere sciolta, e sostituita da qualcosa di europeo.La NATO dovrà dunque mantenere solo i suoi compiti politici, abbandonando quelli militari, divenuti ormai obsoleti dopo la fine della Guerra Fredda e la creazione di una Politica Estera e di Difesa. Tra l’altro, i compiti dell’OCSE comprendono già precisamente il controllo degli armamenti, provvedimenti di sicurezza, diritti umani, minoranze etniche, democrazia, antiterrorismo e ambiente, anche se vengono in questo momento talvolta strumentalizzati.

Potrebbero essere membri della nuova organizzazione gli Stati Uniti, il Canada, il Consiglio d’Europa, la Conferenza degli Stati Islamici e Israele. E’ ovvio che ciascuno di questi soggetti potrebbe associarsi agli altri pur mantenendo la propria identità, ma abbandonandone le interpretazioni escatologiche ed assolutistiche. Compito principale: coordinare verso l’esterno le difese dell’area nord del mondo contro attacchi esterni (p.es., terroristici), e difesa antimissilistica. Svolgere una funzione arbitrale circa eventuali conflitti “interni” (p.es., il caso ucraino). Accordi ben precisi dovrebbero essere stabiliti fra questi organismi, le Nuove Vie della Seta e l’Organizzazione di Cooperazione di Shanghai.

Evitandosi (o, almeno, allontanandosi  dalla nostra area) la competizione fra i sistemi nucleari americano e russo, l’Europa potrebbe divenire veramente l’area più pacifica e sicura della terra, anche se ciò non eliminerebbe certo l’esigenza di un Esercito Europeo, e di una cooperazione di difesa con gli Stati Uniti e con il Medio Oriente, ma con finalità diverse da quelle attuali.

Questa autonomizzazione dell’Europa sarebbe facilitata da un sistema antimissilistico comune e dalla creazione di un Esercito Europeo capace di bilanciare quello russo, in attesa di integrarsi progressivamente con questo.

Roma, Costantinopoli, Mosca

7.Il Consiglio d’Europa potrebbe divenire la “Federazione delle Tre Europe”

Il Consiglio d’Europa è l’unica organizzazione che raggruppi tutti i Paesi d’Europa.  Potrebbe costituire l’ambito di cooperazione federale fra una ricostituita Comunità Europea, la costituenda Comunità Eurasiatica e una nuova auspicabile realtà federale anatolica o panturcica. In tal modo, senza scontentare gli oppositori di una più stretta integrazione europea di Russia e Turchia, si permetterebbe a questi due Stati di contare di più anche formalmente nelle politiche europee (cosa a cui fermamente essi aspirano, e che si è voluto fino ad ora ad essi negare). Si terrebbe così anche conto che le “tre Rome” eredi della Tetrarchia romana, quella “occidentale” (romana e germanica)  , quella balcanico-medio orientale (bizantino-turca), e quella “scitico-sarmatica” (Russia, Mar Nero, Siberia, Asia Centrale) costituiscono tutte insieme l’eredità storica dell’ Europa, senza che alcuna di esse possa vantarne il monopolio, così come Kaifeng, Xi’an, Nan Qing e Pechino condividono l’eredità del Tian Ming. Tutte insieme costituiscono il nostro Stato-Civiltà. Questo richiederebbe un ravvicinamento delle culture delle diverse aree. Volendo, si potrebbe anche pensare alle forme di partecipazione di una “Quarta Roma”, l’America. Certo, questo presupporrebbe un ulteriore cambiamento di cultura, quale quello auspicato a suo tempo dagli “Euroamericani” (Eliot, Pound, Dos Passos, Frantzen).

Modernità e post-modernità sono innervate dalla “lotta per il riconoscimento”: dal principio di eguaglianza presente nelle “carte atlantiche”, alla “Missione dei Popoli”, alla decolonizzazione, alle politiche di genere. Tuttavia, non è stato ancora dato un riconoscimento pieno alle tendenze culturali diverse dall’“Occidente”. Nel caso dell’Europa, alle tendenze “asiatiche” o “eurasiatiche”al suo interno(popoli delle steppe, ebraismo, Cristianesimo orientale, Euroislam, Costantinopoli, Slavismo), con l’abbandono, da parte dell’Europa e dell’ America, della cosiddetta “Arroganza Romano-Germanica” denunziata a suo tempo da Trubeckoj, e ancora aleggiante, tra l’altro,  nei programmi scolastici e in quelli dei partiti politici europei.

Quanto sta accadendo appunto con Russia e Turchia crea, certamente, dei nuovi ostacoli su questa strada. Da un lato, il Consiglio d’ Europa dovrà formulare  una sua nuova politica di partenariato con Russia e Turchia, che garantisca loro la partecipazione all’ Europa con un ruolo paritario e  la sicurezza, non solo nucleare, ma anche contro ogni forma di destabilizzazione. A quel punto, si vedrebbe che le questioni aperte, in primo luogo quelle dei missili e delle minoranze etniche, si risolverebbe automaticamente.

L’Unione ha perso qualcosa dell’ispirazione originale?

8.L’Unione Europea dovrebbe tornare a chiamarsi “Comunità Europea”.

Essa potrebbe articolarsi, al suo interno e verso l’alto, secondo il principio della “Multilevel Governance” (l’Europa a più Velocità, l’”Europa delle Regioni”). Barbara Spinelli ha auspicato che l’Europa divenga un “impero non imperialistico”. Espressione contorta per indicare l’atteggiamento di certi imperatori del passato, i quali deliberatamente avevano deciso, come Adriano,  di  rinunziare all’ espansionismo per concentrarsi sul governo dei propri territori. Questi “imperi non imperialisti” furono, in fin dei conti, la regola nel passato, in quanto ciascun impero (Sacro Romano Impero, Impero Russo, Ottomano, Mughal, Cinese) di fatto si concentrava su uno specifico “semicontinente”. Solo gl’imperi persiano ed islamico, e, oggi, quello “democratico”, avevano fatto dei  seri tentativi per divenire imperi mondiali. All’interno, gli Imperi sono caratterizzati dal carattere fluido delle diverse identità collettive (Città e Nazioni, Province ed Etnie, ecc..), che non vengono definite in senso rigido e gerarchico come nel caso degli attuali Stati Nazionali. Oggi, abbiamo a disposizione, per tutto questo,  l’espressione “Stato-Civiltà”

Come arrivare a questa soluzione?

Mitterrand e Gorbaciov a Praga

9.Le trattative per la fine della guerra ucraina: l’ occasione per una trattativa globale?

L’idea di una trattativa globale, che coinvolga anche gli Europei e le grandi potenze, sta oramai prendendo piede. Tutti sembrano rivolgersi alla Cina come possibile grande mediatore. Ora, non dobbiamo dimenticare che la Cina:

-ha come colonna portante della sua attuale politica le Nuove Vie della Seta”;

-ha come principale alleato la Russia;

-ha come importanti partner commerciali l’Ucraina e i Paesi di Visegràd (16+1);

-ha già espresso il suo desiderio che l’Europa sia più indipendente;

-è in attesa del prossimo meeting con la UE per rendere operativo il trattato finalizzato a fine 2021.

Agli Europei non resterebbe che inserirsi, in modo propositivo, creativo, indipendente ed energico, in questa dialettica.

Il Movimento Europeo propone giustamente una Conferenza Europea per la Pace e la Sicurezza, a favore della quale ci siamo già pronunziati nei nostri precedenti post:

“Si tratta di una questione essenziale per gli interessi strategici dell’Unione europea, che dovrebbe essere posta al centro delle prossime sessioni plenarie della Conferenza sul futuro dell’Europa i cui tempi e le cui modalità di decisione dovrebbero essere rivisti alla luce di quel che sta avvenendo in Ucraina”.

L’unico problema è che la nostra classe dirigente non è, né propositiva, né creativa, né indipendente, né energica, come dimostra il suo ininterrotto e monotono allineamento, culturale, militare, politico ed economico con i pregiudizi e gl’interessi americani. Si tratta perciò di costruire dal basso un’alternativa, fondata su una cultura veramente paneuropea e sovrana, capace di confrontarsi con quelle di tutto il mondo, senza demonizzare, né Confucio, né il Corano, né Dostojevskij.

DALL’ ARCO DI TRIONFO ALLE TRATTATIVE SULLA SICUREZZA

Continuano le umiliazioni della Francia (e dell’ Europa).

La bandiera europea all’ Arco di Trionfo

Il Presidente Macron avrebbe voluto fare, del Semestre Francese, una marcia trionfale verso la rielezione, facendo leva sull’ enfatizzazione della propria posizione europeistica, e, in particolare, sulla (sacrosanta) concezione  della “Sovranità Europea” ribadita a partire dal “Discorso della Sorbona”,  un’idea tipicamente francese, erede di quelle , gaulliana, di “Europa dall’ Atlantico agli Urali”, giscardiana, di ”Europe Puissance”e, mitterrandiana di confederazione con l’URSS (“Conferenza di Praga” e “Carta Europea”).

Purtroppo, i fatti stanno dimostrando che, nell’ Europa di oggi, né il clima culturale, né i rapporti di forza, sono (ancora) tali da permettere una politica di questo tipo. Anzi, nel corso dei decenni, ci siamo allontanati sempre di più da quest’ obiettivo. Del resto, neppure De Gaulle, né Giscard, né Mitterrand, erano riusciti a tenere fede alle loro promesse, perché nessuno li aveva seguiti su questa strada. Friedman aveva dato atto sul New York Times che “i gaullisti non avevano mai minacciato gl’interessi strategici americani”. Ed invece proprio ciò significherebbe un’eventuale “sovranità europea”, che scalfirebbe definitivamente il mito degli Stati Uniti quale “nazione necessaria”(Madeleine Albright). La “riprogettazione” dell’Europa avvenuta a Yalta era stata così radicale, da rendere difficilissimo discostarsene, anche per chi Yalta la contestava. Come aveva affermato, con grande scandalo di tutti, Alexander Rahr, “gli Americani ci hanno asportato il cervello”.

L’esempio più eclatante di questo eterno fallimento del sovranismo europeo è costituito proprio dal tentativo di De Gaulle si costruirsi una “force de frappe” autonoma, cioè “à tous les azimuts”, poi naufragata sotto Chirac con il rientro della Francia nella NATO. Un secondo esempio particolarmente evidente è stato, nel 1989, alla caduta del Muro di Berlino con e l’intesa fra Gorbačev e Papa Wojtyla (la “Casa Comune Europea”), il progetto di Confederazione europea di Mitterrand, subito bloccata dai Cecoslovacchi e dall’ America.

Lo stesso rischia di capitare ora a Macron, il cui piano di una “Politica Industriale UE”, fondamentalmente quella praticata a suo tempo da De Gaulle e teorizzata da Servan-Schreiber, è già stato declassato ad una semplice serie di “alleanze” di dubbie prospettive (e già presenti per altro nel programma del Rassemblement National), escludendo innanzitutto qualsiasi ipotesi di un “DARPA europeo” e di “GAFAM Europei” (due temi abbozzati a suo tempo dallo stesso Macron). Ciò anche e soprattutto alla luce della sconvolgente esperienza della prima di queste “alleanze” (GAIA-X), di cui abbiamo parlato in un precedente blog.

E’ quindi sempre più attuale la nostra proposta di un’ “Agenzia Tecnologica Europea”(“European Technology Agency”, di cui avevamo discusso, tra gli altri, con il Presidente Sassoli (cfr. precedente blog).

Quanto ora accaduto con la bandiera europea scacciata dall’Arco di Trionfo e con le trattative sull’ Ucraina rischia di confermare le più cupe previsioni circa l’irrilevanza dell’”europeismo sovranista” di Macron. Non parliamo poi del fatto che, dalle varie presentazioni del Semestre Francese, sono quasi completamente scomparsi i suoi due elementi essenziali: la Conferenza sul Futuro dell’ Europa e la Sovranità Tecnologica.

Adesso, abbiamo le campagne del Ministero della Pubblica Istruzione francese contro l’imperversare dell’ Inglese e per lo studio delle lingue classiche, che fa concorrenza alla campagna di Zemmour per l’abbandono dell’ Inglese nelle Istituzioni europee. Vedremo come vanno a finire anche queste campagne sovraniste dei Francesi, che, secondo me, poggiano anch’esse su basi troppo fragili.

L’Impero Francese sotto Napoleone era l’ Europa

1.La Sovranità Europea

Il problema della Sovranità Europea è innanzitutto una questione culturale.  Il ritardo nella creazione del primo embrione delle Comunità Economiche Europee, a ben 12 anni dalla creazione della NATO e del COMECON, dimostra lo scarso entusiasmo degli stessi Padri Fondatori (per non parlare degli altri), i quali, proprio in quegli anni, erano tutto tranne che sovrani (basi pensare alle vicende di Olivetti e di Mattei, nonché della concessione, da parte di De Gasperi, delle basi americane). Non parliamo poi della schiacciante documentazione oramai disponibile su come l’America abbia manipolato il Movimento Europeo, isolando i più ferventi sostenitori di un’Europa culturale e politica (Coudenhove Kalergi, Spinelli, Marc, Sandys e lo stesso Churchill), e mandando avanti dei mediocri  burocrati proni ai suoi voleri (Richard J. Aldrich,University of Nottingham,1 Marzo 1997).

Quando De Gaulle aveva lanciato la propria idea dell’Europa dall’ Atlantico agli Urali (coerente seguito della proposta di Chruśćev di adesione dell’ URSS alla NATO), era stato aggredito da tutti come “antieuropeo”, anche se in realtà era l’unico a progettare un futuro veramente “europeo”. L’idea che l’Europa potesse essere autonoma tanto dall’URSS quanto dagli Stati Uniti si presentava infatti allora, a sprazzi, oltre che nel Governo francese, solo in sparute minoranze giovanili di estrema destra e sinistra, le quali tutte si guardavano bene da dare un seguito coerente alle proprie proposte (per altro anch’esse carentemente motivate: l’“Europe Nation”).

Nell’ era della tecnica dispiegata, né le “nazioni borghesi” otto-novecentesche, né l’inedito “Occidente”, costituiscono oramai un sufficiente baluardo contro l’omologazione tecnocratica, che è oggi l’unico vero ostacolo alla libertà e alla stessa sopravvivenza dell’Umanità (il “rischio esistenziale”,cfr. De Landa, Joy,Hawking, Rees). S’impongono strutture più grandi, fondate non già su “ideologie” moderne di corto respiro, bensì su tendenze “di lunga durata” (Tian Ming, Translatio Imperii), capaci di sintetizzare e rivitalizzare la storia culturale d’ intere civiltà, mobilitandole nella lotta per il controllo sulla tecnica dispiegata. S’impone soprattutto un nuovo “Stato Civiltà” come l’ Europa, che, se profondamente rinnovata, potrebbe condurre sul serio una vera battaglia per l’“Umanesimo Digitale”, che oggi ancora non s’intravvede, nonostante le tonnellate di carta prodotte.

Queste esigenze erano già presenti dall’ inizio del ‘900, ma, in realtà, nessuno aveva mai voluto che si studiassero  a fondo le ragioni d’essere del “Denken für Kontinenten”, avviato dal tanto vituperato Haushofer, del “Paneuropeismo” di Coudenhove Kalergi, né del concetto cinese di “Stati-Civiltà”, presente già fin dal 1950 in tutti i libri  scolastici cinesi.Né, tanto meno, nessuno ha mai voluto, e continua a non volere, che si approfondiscano gli aspetti tecnico-militari della sicurezza europea, che passano attraverso le tecnologie digitale, spaziale e quantica, dove non risulta che l’Europa stia facendo un bel nulla (e gli stessi esperti brancolano nel buio, cfr.Marcello Spagnulo, L’Italia spaziale, da terzo grande a satellite di chi?, in Limes, 12/21).

Ricordo quando, al Parlamento Europeo, Pat Cox aveva addirittura negato la parola a Elcin, il presidente russo più filo-occidentale della storia. Tanta è stata da sempre la paura che la Russia chiedesse, come suo diritto, di far parte delle Istituzioni europee (con la conseguente rivoluzione delle rappresentanze nazionali). Orbene, è evidente che un’autentica sovranità europea non potrebbe essere possibile se non coll’ eliminazione delle tensioni fra Europa, Russia e Medio Oriente, oggi usate come leva per mantenere forzatamente gli Europei nella NATO. Già la “Casa Comune Europea” di Gorbaciov e Giovanni Paolo II presupponeva infatti, e ancora presuppone,  che la Paneuropa non resti l’area di confine fra due sistemi, bensì un unico sistema che riprenda i lati migliori di quelli che lo avevano preceduto. Come aveva affermato allora Giorgio Shevardnadze, “un sistema migliore di quelli capitalista, socialista e feudale”.

Il monumento a De Gaulle a Mosca

2.La bandiera europea sotto l’Arco di Trionfo

Poche vicende rivelano bene come questa la sostanza copertamente anti-sovranista, tanto del Rassemblement National, quanto della politica Macron.

Quanto al primo, anziché essere fiero del fatto che la Francia abbia la presidenza dell’Europa e possa perciò dare ancor più peso ai temi che le sono cari, ha presentato addirittura un ricorso giudiziario contro l’esposizione della bandiera europea sotto l’Arco di Trionfo, dimenticando che Napoleone, che aveva voluto quell’ arco, era sdtato, di fatto, l’Imperatore dell’Europa. Quanto al secondo, lungi dal possedere l’assertività, non diciamo di Napoleone, ma perfino di De Gaulle, si è fatto intimidire da una mediocre manovra causidico-propagandistica  della candidata  rivale.

L’uso dei micro-nazionalismi in chiave anti-europea è una trovata relativamente recente, da quando, con la caduta del Muro di Berlino,  si è manifestata una fondata aspettativa che l’Europa unificata possa costituire un’alternativa agli USA. A questo fine  erano tornati utili Farage e Le Pen, Lukašenka e Meloni , che un tempo non si volevano neppure sentir nominare.

Infatti, prima dell’ ‘89, né l’europeismo, né i micro-nazionalismi, avevano alcun peso, perché imperavano, da un lato, l’egemonia culturale marxista, e, dall’ altra, l’atlantismo maccartista, abbondantemente sufficienti, dal punto di vista dei poteri forti, per stroncare ogni velleità di autonomia paneuropea. Non per nulla, le Istituzioni vivacchiavano sotto la cappa dell’ideologia funzionalistica. Dal 1989 in poi, venuta meno la credibilità di quei due orientamenti geopolitici fintamente contrapposti, non si è trovato nulla di meglio che suscitare una falsa dialettica fra i sovranismi piccolo-nazionali e europeo. Con gran divertimento degli USA, e con la tentazione della Russia di “ricrearsi l’URSS”, vale a dire una realtà speculare all’ Impero Americano, ma che in realtà lo puntellava egregiamente.

Francois Mitterrand tentò di lanciare una Confederazione Europea con l’URSS

3.”Ricostituire l’ Unione Sovietica”?

Le vicende alle frontiere bielorussa e ucraina, e l’intervento alleato in Kazakhstan, dimostrano che il disegno di una “Yalta 2”  è in fase di attuazione, e che l’America e la NATO sarebbero ben felici che la Russia “ricreasse l’Unione Sovietica”, in modo da impedire ulteriormente la “Casa Comune Europea”(e da vendere all’ Europa il gas americano).

Secondo Putin, “coloro che non rimpiangono l’ Unione Sovietica sono senza cuore, ma coloro che vogliono ricostituirla sono senza cervello”. Quindi, l’associazione d’idee fra l’URSS e il “Russkij Mir” (concetto preferito da Putin) è arbitraria, perché la strategia attuale di Mosca non risponde affatto all’idea internazionalistica dell’ex URSS, bensì segue molto da vicino il progetto panrusso di Sol’zhenitzin (“Kak obostruit’ nam Rossiju”=”Come ristrutturare la nostra Russia”), di cui il lungo articolo di Putin del Luglio del ‘21(“Ob istoričeskom edinstve Russkih i Ukraintsev”=”Sull’unità storica fra Russi e Ucraini”) costituisce in gran parte un’esplicitazione. Sol’zhenitzin non voleva difendere l’Unione Sovietica, anzi fu colui che per primo ne propose la dissoluzione, ma opponendosi nettamente alla scissione fra i tre popoli slavi orientali: Russi, Ucraini e Bielorussi, e postulando la restaurazione del sistema di autogoverno locale (“zemstvo”), tipico degli ultimi anni dello zarismo. Un discorso a parte Sol’zhenitsin lo dedicava al Kazakhstan, nel nord del quale Stalin aveva trasferito, per motivi vari, milioni di Russi, Ucraini e Bielorussi, oltre a parti di popoli minori, come i Tedeschi del Volga, i Tatari di Crimea, i Ceceni e i Mescheti. Secondo Sol’zhenitsin, questa parte del Kazakhstan (intorno alla nuova capitale Astana, e con lingua veicolare il Russo) avrebbe dovuto rimanere con gli Slavi Orientali.

In parole povere, la visione della Russia di Sol’zhenitsin e di Putin (“Russkij Mir”) è speculare a quelle dei “Brexiteers” per l’arcipelago britannico, del Gruppo di Visegràd per i “nazionali” dell’ Europa Centrale, del “Neo-Ottomanesimo” per l’AKP: rinverdire l’identità degli antichi imperi , regni o Repubbliche, che avevano dominato l’ Europa per secoli. Il problema dell’Europa, se non vuole andare a pezzi, è quello di recuperare tutte le sue grandi “regioni” all’ interno di un disegno più vasto con una sua missione specifica (la “Casa Comune Europea”, la “Confederazione Europea”), tenendo conto soprattutto delle esigenze tecnologiche e di difesa. Quelli (insieme  all’ attuale “nocciolo duro carolingio”, e al “Grande Nord”) sono veri e propri “Stati membri”complessi dell’ Europa, che è qualcosa di molto più grande (geograficamente e concettualmente) dell’ Unione Europea, e va gestito con più ampio respiro. E’ fra quelle grandi “macroregioni europee” che va trovato un vitale equilibrio, mentre l’attuale Unione, federalizzata,  dovrebbe fungere da cuore pulsante dell’ intero sistema (la vera “Europa a cerchi concentrici”).

Il programma di Sol’zhenitsyn è stato ripreso da Putin

4. La “democrazia” quale strumento di discriminazione

E’paradossale che le discriminazioni nei confronti dei Paesi dell’Est Europa siano motivate, essenzialmente, dalla loro presunta mancanza di “democrazia” secondo un modello idealizzato degli USA, i quali  sono, invece, l’esempio più palese di non-democrazia proprio nei suoi elemento primari: il diritto di voto (da sempre soggetto a restrizioni di ogni tipo), la libertà di espressione (soggetta alla censura dei GAFAM e del “politically correct”); la libertà personale (Patriot Act, CLOUD Act).Anche il continuo richiamo a presunti “valori europei” che solo gli  altri starebbero violando non regge di fronte alle continue dimostrazioni dell’ incoerenza degli Europei,dove il richiamo formale a presunti valori condivisi (ripudio della guerra, libertà individuale e nazionale, pluralismo, misericordia) è  espressione d’ipocrisia e di “doppio standard” (pensiamo alle guerre neocoloniali ancora in corso; alle testate nucleari americane sul nostro territorio; alle “extraordinary renditions”;al trattamento di profughi, Catalani, russofoni; alla violazione  di fondamentali sentenze della Corte di Giustizia; alla disapplicazione del GDPR…).Tutto ciò delegittima anche l’ Unione Europea nel ruolo di fustigatrice per procura degli USA, ch’essa si arroga, della maggioranza degli altri Stati. Ciò che accomuna “i due Occidenti” è in sostanza l’ipocrisia puritana, di chi predica valori troppo sublimi in modo da mascherare le peggiori infamie.

Così stando le cose, non ci si venga a dire che certe parti d’ Europa non sono con noi compatibili perché hanno storie e tradizioni (parzialmente) diverse dalle nostre (limitatamente agli ultimi 2 secoli). C’è da chiedersiallorache cosa intende il nostro “mainstream” per “multiculturalismo”? Che tutti i Paesi, vicini e lontani, devono diventare come noi? Oppure che tutti quelli che non sono come noi devono starci lontani? Ma allora, che senso ha tutto (il -falso-) interesse dimostrato per gl’immigrati? Non sono questi (in genere) ancora più diversi dei Polacchi, dei Russi e dei Turchi? E anch’essi hanno o non hanno il diritto di rimanere diversi? In base a quale criterio la parte sud-occidentale dell’Europa si sente in diritto di giudicare ciò che sta a Nord, Est, a Sud-Est, e, soprattutto, a Sud? E, poi, si può dire che Solimano, Pushkin o Mickiewicz siano molto diversi da Lorenzo il Magnifico, Foscolo o Goethe?

L’”Occidente” si è sempre sforzato di negare e controbilanciare la naturale affinità e complementarietà fra Europa e Russia (che  comprende anche, fra l’altro, il boom di esportazioni italiane e tedesche e i due North Stream), per fare in modo che Europa Occidentale ed Orientale siano portate automaticamente (e innaturalmente) a respingersi, sicché l’ Europa non possa mai unificarsi veramente (“tenere i Tedeschi sotto, gli Americani dentro e i Russi fuori”). Lo stesso “trucco” usato con la Russia è stato usato anche con gli altri Paesi dell’Europa dell’ Est, dove il sostegno alle idiosincrasie micro-nazionalistiche (spesso attraverso emigrati in America), ha permesso di rinfocolare le rivalità fra Lituani e Russi, Polacchi e Bielorussi, Ungheresi e Slovacchi, e addirittura fra Bruxelles e gli Est Europei in generale, quando invece sono sempre state più importanti le affinità. In questo modo, diventa difficile non solo un sentimento paneuropeo, bensì perfino una solidarietà fra gli stessi Europei dell’Est. E dire che il pezzo forte dell’ideologia panslavista sempre stata costituita dall’origine eurasiatica degli Slavi (cosa comune ai Germanici e agli uralo-altaici); che la base del “Pensiero Russo” è il “Bizantinismo” costantinopolitano; che il pensiero di un  “Romanticismo Slavo” nasce con Böhme, Herder e Tommaseo; che il costituzionalismo polacco non è meno antico di quello inglese…

Questi continui rifiuti verso la Russia da parte dell’Europa (assolutamente immotivati) a partire dal 1991 hanno trasformato l’originario entusiasmo per l’apertura all’ Occidente in una (comprensibile) volontà di difendersi da calunnie, sanzioni, destabilizzazioni -e missili-), costringendo la Russia a consolidare il proprio spazio (culturale, politico, commerciale, militare) anche verso Est. Fenomeno non dissimile da quanto accaduto in Turchia, nel Regno Unito e, parzialmente, in Polonia, le quali, per poter sopravvivere come culture, sono state costrette ad opporsi ad una Bruxelles sempre più intollerante ed autoreferenziale. E si noti che, prima, esse tutte avevano fatto uno sforzo enorme di trasformazione legislativa per poter accedere all’ Unione. Basti riascoltare il discorso programmatico televisivo di Putin la notte di capodanno del 2000, in cui s’impegnava ad introdurre in Russia tutti i principi concordati con i Paesi Europei in sede OSCE, in totale contraddizione con l’immagine che ne hanno sempre dipinto i media occidentali.

Le “macroregioni europee” ricordano gli Stati del ‘600

5. Le attuali trattative sul sistema di sicurezza europeo

Questa settimana si sono svolti incontri USA-Russia, NATO-Russia e OCSE-Ucraina per discutere i due trattati proposti dalla Russia  sulla sicurezza in Europa (“Agreement on Measures to Ensure the Security of the Russian Federation and Member States of the North Atlantic Treaty Organization;  “Treaty between the United States of America and the Russian Federation on Security Guarantees), che ricalcano, da un lato, quelli vigenti fino a poco tempo fa e ripudiati dagli USA,  e, dall’ altro, quanto da più di 30 anni la Russia sostiene essere stati gli accordi verbali fra Baker e Gorbaciov, e si riallaccia, infine,  implicitamente, alla Conferenza di Praga e alla Carta europea di Mitterrand e Hàvel.

Naturalmente, le proposte russe non sono state neppure prese in considerazione dagli USA, con la conseguente escalation da parte dei Russi (si parla di testate ipersoniche posizionate nel continente americano, come i famosi missili di Cuba, grazie ai quali l’URSS aveva ottenuto l’allontanamento di quelli in Turchia).

In questo bailamme, il compito minimo dell’Unione Europea sarebbe ora quello di delineare un progetto condiviso da tutta l’Europa, proporlo ai singoli Stati, membri o non membri della UE, e, infine, costruire strade per realizzarlo. Se Putin ha potuto scrivere sul suo sito un articolo di 39 pagine sull’ unità fra Russi e Ucraini, e tutta la stampa dell’Europa Orientale ha potuto scrivere fior di controrepliche allo stesso, perché nell’ Unione non si sa produrre nulla sulle identità degli Europei? L’Europa, nell’ ambito della Conferenza sul Futuro dell’ uropa, avrebbe dovuto elaborare una sua posizione su questi temi.

Invece, un siffatto progetto manca completamente: non soltanto si è lasciata da 23 anni senza risposta la domanda di adesione della Turchia; non soltanto ci si è urtati sempre più (come si è visto) con la Russia, ma perfino il più modesto compito dell’adesione dei Balcani Occidentali, previsto nel “Piano Janša” proposto dalla presidenza slovena alla Conferenza di Lubiana del 2021 è rimasto senza seguito, arenatosi nelle rivalità fra Serbo-Bosniaci e Bosgnacchi e fra Bulgari e Macedoni. Il fatto è che gli Europei, pur essendo confusamente insofferenti dello “status quo”, sono incapaci perfino ad immaginarsi un futuro alternativo.

L’obiettivo occulto è destabilizzare l’Europa Orientale, spezzettando le maggiori formazioni per poi inglobare alle proprie condizioni i nuovi micro-Stati, come successe con la disgregazione degl’Imperi Centrali e di quello russo dopo la IIa Guerra Mondiale. E’ proprio questa tendenza di lungo periodo dell’ “Occidente” che si sta scontrando contro la resistenza della Russia, della Turchia e, in minor misura, della Polonia.

Ciò detto, chi arriva con delle proposte (buone o cattive che siano) al tavolo delle trattative sul futuro dell’ Europa Centrale e Orientale  è, ora come sempre, la  Russia,  e gli USA rispondono senza nemmeno consultare gli Europei. Sono  due Stati veramente sovrani, che hanno una loro politica estera e un loro completo arsenale nucleare, e, pertanto, si arrogano (non senza ragione)  il diritto di decidere sul futuro dell’ Europa. Altro che Conferenza!

Le due bozze di trattato sono dunque state elaborate dalla Russia e respinte senza discussione dall’America, senza che gli Europei abbiano detto nulla. Eppure, si tratta del nostro territorio, del nostro futuro, perfino del nostro gas! Se non è questa una questione di Sovranità Europea, quale altra lo è?Cosa intendiamo dunque per “sovranità europea”?

La realtà è che il nostro Continente è visto solo come un campo di battaglia, oggi per attacchi ibridi (come le rivoluzioni colorate, le Repubbliche secessioniste, le crisi migratorie); domani, per invasioni militari come in Kazakhstan; dopodomani, per guerre nucleari, chimiche e batteriologiche, senza che gli Europei possano farci nulla. C’è di più: oggi, in barba alle premesse pacifistiche del Diritto dello Spazio, le grandi potenze stanno militarizzando lo spazio siderale, senza che, di nuovo, l’ Europa possa farci nulla.

Noi abbiamo “delegato agli USA” semplicemente la gestione di tutti i rischi esistenziali del XXI° Secolo. Quindi, se “sovrano è chi decide sullo stato di eccezione” (Carl Schmidt), noi non siamo sovrani.

Possibile che l’Europa di Macron, che, pretenderebbe di darsi una politica estera e di difesa “sovrana”, non abbia nulla da proporre, e lasci la discussione agli eterni “federatori esterni”, USA e Russia? Così stando le cose, come fare a impedire che i cittadini prendano le distanze dall’ Unione? Come ha scritto nella sua newsletter il Movimento Europeo, “appare stupefacente il gap fra il desiderio di grandeur che traspare dal programma della presidenza francese e la parte assolutamente marginale che svolgerà Parigi durante i sei mesi di presidenza.

Nonostante il volontarismo del Presidente Macron – preannunciato nella Conferenza stampa di dicembre, reiterato nell’incontro dell’Epifania con la Commissione europea al Palazzo dell’Eliseo e certamente più marcato quando parlerà davanti al Parlamento europeo il 18 gennaio – sarà difficile immaginare che in sei mesi potranno essere raggiunti risultati concreti e definitivi”.

Eppure, ce ne sarebbero di cose da dire! Sui rischi di una nuova guerra mondiale, con le testate nucleari in casa nostra e la militarizzazione dello spazio. Sull’ unità di tutta l’Europa. Sulla regolamentazione internazionale del digitale. Sul ruolo delle grandi aree macroregionali, come quella nord-atlantica, quella latina, quelle centrale e orientale, quelle artica e balcanica…Purché si lasci parlare chi le idee le ha, e non si strozzi preliminarmente il dibattito, come accade sempre più frequentemente.