Archivi tag: VIA DELLA SETA

PERSIA, PALESTINA,DONBASS: GUERRE ETERNE?

Ha suscitato giustamente scalpore il fatto che Israele  abbia attaccato ripetutamente e deliberatamente le basi UNIFIL sotto il comando italiano, provocando tra l’altro gravi ferimenti di Caschi Blu – un’azione che il Ministro della Difesa Crosetto ha giustamente definito come “crimine di guerra”-.

Questo scalpore è giustificato soprattutto dal fatto che la “Guerra Mondiale a Pezzi”, oramai non più tanto a pezzi, sta scalfendo una gran quantità di luoghi comuni impostici da decenni dai media occidentali. Fra questi, il più pernicioso è stato quello relativo alla presunta  “imminenza della Pace Perpetua”, veicolato dalla retorica delle Organizzazioni Internazionali e dell’ Unione Europea.

Mentre le Nazioni Unite  hanno appena fatto il punto sulla loro pretenziosa Agenda 2030, esse si vedono addirittura attaccate militarmente da uno dei propri membri, che l’accusa di essere troppo imparziali nel conflitto con i Palestinesi, mentre invece, secondo Israele, questi ultimi sarebbero  dei “terroristi”, da sterminarsi semplicemente, senza curarsi del diritto internazionale umanitario. I Caschi Blu dovrebbero quindi farsi da parte in seguito a semplici intimazioni dell’Esercito Israeliano (che, tra l’altro, non si capisce perché improvvisamente sia diventato per tutti “IDF”, all’Americana, anziché, in Ebraico, “Tsahal”), e, in caso contrario, rassegnarsi ad essere cannoneggiati. Come se non bastasse, lo stesso Segretario Generale dell’ ONU viene praticamente messo al bando da Israele, immemore del fatto che la sua stessa creazione era stata opera dell’ ONU.

Non che le critiche di Israele siano del tutto infondate. L’inasprirsi della crisi dimostra la debolezza della funzione di “Peace-Keeping” internazionale, ma ciò non è ”colpa” di nessuno:  è la Post-Modernità che, qui come altrove, mette a nudo le contraddizioni della Modernità, due fra le quali riguardano, tra l’altro, proprio Israele e l’ ONU. Su Israele c’è da chiedersi se sia veramente, come pretendeva Herzl, uno “Stato laico”, nel qual caso non si comprenderebbe tutta quest’ansia di ristabilire i confini biblici (Yisrael ha-Shelomah), di ricostruire il Tempio e di usare la Torah come unica vera Costituzione. D’altronde, visto che Israele non è una “razza” bensì un “popolo” etno-culturale,  esso non esisterebbe nemmeno se non ci fossero la Bibbia e la sua lingua. Di converso, i Neturei Karta combattono l’idea di uno Stato ebraico nel tempo presente (tempo che ritengono ancora di esilio), poiché ritengono contrario all’autentica tradizione religiosa ebraica lo  stabilirlo senza aspettare che Erets Israel venga esplicitamente donata dall’Altissimo.  Pertanto, la pretesa sionista di costituire uno “Stato ebraico laico” sarebbe semplicemente l’ennesima  “hybris” di alcuni eresiarchi, né più né meno di quella dei “Costruttori di Dio” cristiani o dei Baha’i persiani (che, guarda caso, hanno sede proprio in Israele): un’ennesima manifestazione di quella “religione secolarizzata” che è al centro della Modernità.

Queste religioni secolarizzate, che, con Lessing, pretendono di realizzare sulla terra le promesse escatologiche delle religioni tradizionali, paradossalmente, in ossequio all’Eterogenesi dei Fini, mentre propugnano la Pace Perpetua, stanno trasformando le religioni in strumenti di lotta fra le diverse parti del mondo (Singularity contro  Tradizione; Hindutva contro Shari’a), perché, abbandonate le pretese di salvezza individuale,  sono divenute semplicemente la divinizzazione della volontà di potenza dei singoli Stati-Civiltà. Del resto, anche il Puritanesimo è una versione secolarizzata del Protestantesimo, così come la il “socialismo islamico” lo è dell’Islam. L’ accusa di “integralismo”rivolta tradizionalmente alle versioni “conservatrici” (“quietiste”) delle singole religioni, si rivela invece adeguata solo alle loro emulazioni laicistiche, come la “religione dell’ umanità di Saint Simon, il Sionismo e la “Nazione dell’ Islam”, camuffamenti dell’espansionismo di popoli che si pretendono “superiori”.

Di qui anche la sterilità delle Chiese ufficiali ( succubi neppur troppo copertamente di quelle religioni secolarizzate), le quali continuano a predicare la pace senza più trovare argomenti concreti a favore della stessa.

Ma  contraddittoria è anche la natura stessa dell’ ONU, nata proprio dalla pretesa del progressismo puritano, espressa alla sua fondazione da Eleanor Roosevelt, di imporre la Pace Perpetua. Tale pace perpetua avrebbe costituito il suggello del progetto messianico americano quale espresso da Winthrop, Cotton Mather, Emerson, Whitman, Friske e Wilkie. Non per nulla il Palazzo di Vetro è situato nel cuore di Manhattan, sotto il completo controllo dell’America. La Seconda Guerra Mondiale sarebbe stata l’ ultima delle guerre perchè poi tutto il mondo sarebbe stato diretto dalla “ragnatela delle istituzioni dirette da Washington”(cfr. Ikenberry).

Sono stati i fatti stessi a ribellarsi a questa proteiforme “hybris”. I conflitti attualmente in corso non sono nati ieri, bensì parecchi millenni fa, e continuano a riproporsi sempre negli stessi termini: l’uno, lungo fra il Don, il Donetz e il Dniepr, fra i popoli indo-europei e turcici dei Kurgan e delle steppe, e, l’altro, fra “Il Fiume d’ Egitto” e l’Eufrate, fra popoli semitici e hamitici dei deserti. Dietro a tutto ciò ci sono, da un lato, la “Distinzione mosaica” (fra Vero e Falso, cfr. Jan Assmann), dall’ altro la pretesa di tutti i contendenti d’incarnare una divina volontà di pace e giustizia, che trae le proprie radici dal mondo antico, e precisamente da quella Persia (Eranshahr) che è oggi il vero antagonista di Israele (perché entrambi perseguono la stessa utopia).  Ed è fra Egitto, Persia e Palestina che nasce la pretesa millenarista. Questi destini sono stati configurati dalla geografia: sono  collocati ai punti di passaggio obbligati fra l’Asia e, da un lato, l’Europa, e, dall’ altro l’Africa, che tutti i contendenti pretendono di tenere sotto il proprio controllo. Le illusioni postmoderne di risolverli “con una bacchetta magica” in base a formule astratte sta scontrandosi con la realtà, e la sta perfino peggiorando.

La sopravvivenza dell’Umanità è stata uno degli obiettivi di base di ogni cultura. Nel mondo moderno iperconnesso, quest’obiettivo richiede uno sforzo congiunto di tutti i popoli. Nel mondo ipertecnologico delle Macchine Intelligenti, senza questo sforzo è assicurata la Fine dell’Uomo: come aveva riconosciuto Kant, la Pace Perpetua si rivela come un grande cimitero.

Per questo, a partire dal Sacro Romano Impero e dal re hussita  Podiebrad, e poi via via attraverso Postel, Crucé, Saint-Pierre, Pufendorf, Novalis, Nicola II, Coudenhove Kalergi, Wilson,  Spinelli, si è venuta configurando una teoria delle organizzazioni internazionali. Teoria che comunque non indica  alcun antidoto all’ incombente mortalità del cosmo, dell’ Umanità e delle civiltà. Anche alla luce dell’ esperienza, occorre ora perciò un approccio più realistico, secondo cui la Storia non finirà con un evento taumaturgico, bensì presumibilmente con il suicidio dell’ Umanità (vedi bomba atomica, Singularity, Terza Guerra Mondiale, surriscaldamento atmosferico, denatalità), e perciò il nostro compito ragionevole è, nella migliore delle ipotesi, “salvare il Cosmo”, almeno  finché sarà possibile (il Katèchon), e per il resto attendere la Fine, che, secondo la tradizione cristiana, “verrà come un ladro nella notte”. L’ebraismo ha un’eccezionale espressione a questo proposito: “Tikkun ha-Olam” (“riparare il mondo”), che non è l’impossibile “Raddrizzare il legno storto dell’ Umanità” (Kant, Berlin), bensì si apparenta a quella quotidiana ricostruzione del Divino attraverso i Riti di cui parla anche Eliade.

1.Il Paese degli Ariani (Iran)

L’eternità delle guerre in corso è dimostrato dalle vicende (pre-istoriche, storiche e post-istoriche) delle tre aree in questione: la Persia, la  Palestina e le Steppe Pontiche.

Una delle opere  che più hanno inciso sulla formazione della cultura postmoderna è il “Così parlò Zarathustra” di Nietzsche, sconcertante, da un lato, perché è talmente ben costruito, da poter rappresentare, letterariamente, e perfino linguisticamente, quasi un “sequel” del  Zand i Bahman Yasn, il principale libro sacro zoroastriano, ma, dall’ altro, perché costituisce una sorta d’implicita ritrattazione della dottrina zoroastriana di una lotta cosmica fra un Dio del Male e un Dio del Bene, quest’ultimo rappresentato sulla terra dal sovrano achemenide.

Lo zoroastrismo rappresenterà così il modello prototipico del messianesimo ebraico e degl’imperi provvidenziali  cristiani e islamici successivi. Non per nulla la nascita di Cristo è salutata, per primi, “nella pienezza dei Tempi”, dai Re Magi. I Persiani zoroastriani sconfiggeranno  e imprigioneranno l’imperatore romano Valeriano, per poi essere a loro volta sconfitti dalle armate islamiche. C’è  anche da chiedersi in che misura l’idea di Jihad, così centrale nell’ Islam, non sia che un’eredità della guerra santa dell’imperatore persiano contro Angra Mayniu. Del resto, uno dei compagni di Maometto era il “Principe di Persia”. La Persia ha mantenuto il proprio spirito  antagonistico alimentando sette islamiche rivoluzionarie, come gli Shi’iti, i Carmati e gli Assassini, e varie religioni post-zoroastriane, come il Manicheismo, il Mazdakisno e il Paulicianesimo (poi reincarnatosi in Europa nel Bogumilismo e nel Catarismo) Più recentemente, la Persia ha generato nuove sette molto inclini al Technological Sublime, come i Baha’i, e, dentro l’Islam, gli Hojjatiyye.

I Persiani continueranno a costituire un elemento di disordine nel Medio Oriente, poiché, memori  di quelle antiche glorie, ambiscono ancor sempre a dominarlo, se non altro culturalmente, con la loro letteratura e le influenze delle loro lingue, e perciò non accettano l’egemonia culturale, né dell’ Occidente, né degli Arabi, né dei Sunniti, né di Israele. La rivoluzione khomeinista, che si presentò come alternativa al mondo islamico sunnita, continua dunque la tradizione messianica e rivoluzionaria dello zoroastrismo, per altro ancora vivo e vegeto nel Paese, e spesso richiamato dai dissidenti anti-khomeinisti.

Ma i veri eredi dello Zoroastrismo sono i progressisti occidentali, i quali hanno trasfuso nel progressismo laicista l’enfasi posta dai Persiani nell’Apocalisse, intesa come conquista del mondo da parte di un Salvatore (Shaoshant) sotto la guida di Ahura Mazda, e la conseguente vittoria del Bene Assoluto sul Male Assoluto. D’altronde, gli Hojjatiyye considerano l’invenzione di Internet come un segno dell’avvicinarsi dell’avvento del Mahdi.

Invece, le cosiddette “autocrazie”, nemiche dell’ Occidente progressista, sono  i veri epigoni culturali degli antichi Greci, in quanto culture tragiche, belliciste e aristocratiche sul modello degli Spartani delle Termopili, a cui  sembrano ispirati i vari al-Qaida, ISIS, Hamas e Hezbollah, con i loro leaders che cercano la morte gloriosa in battaglia. Significativamente, come racconta Erodoto, il generale persiano Mardonio, dopo avere represso la rivolta della Ionia, impone alle poleis locali d’instaurare governi democratici in sostituzione di quelli aristocratici che si erano ribellati alla Persia.

2.Peleset, Peleshtim, Filastin

Sin dall’antichità l’egemonia degli Hyksos venne identificata con il soggiorno in Egitto degli Ebrei, e, in particolare, con le storie bibliche di Giuseppe e Mosè. Gli Hyksos (Heka khasut, cioè “i capi di un Paese straniero” )giunsero in Egitto  attorno al 1700 a.C.,  portandovi il   cavallo e il carro da guerra.

Dopo l’Esodo dall’Egitto, cominciava la conquista di Cana’an da parte del popolo ebraico. I “Revisionisti Israeliani” (p.es., Finkielkraut) sostengono che una vera e propria “Conquista di Canaan” intesa come grande campagna militare, non è mai avvenuta, e si è invece trattato di un graduale spostamento di popoli, dalle rive del Mare Mediterraneo, alle colline della Palestina. Sia come sia, si era sviluppata comunque di una guerriglia continua, a cui ben si confanno le descrizioni contenute in tutta la Bibbia, per altro facilmente sovrapponibili a quelle attuali di Gaza, della Cisgiordania e del Libano:“due dei figli di Giacobbe, Simeone e Levi, fratelli di Dina, presero ciascuno la propria spada, assalirono la città che si riteneva sicura, e uccisero tutti i maschi.” – “Passarono a fil di spada anche Camor e suo figlio Sichem, presero Dina dalla casa di Sichem, e uscirono.” – “I figli di Giacobbe si gettarono sugli uccisi e saccheggiarono la città, perché la loro sorella era stata disonorata” – “presero le loro greggi, i loro armenti, i loro asini, quanto era nella città e nei campi.” – “Portarono via come bottino tutte le loro ricchezze, tutti i loro bambini, le loro mogli e tutto quello che si trovava nelle case….“

Queste vicende ricalcano inoltre quella della Guerra di Troia, narrata dalla letteratura greca, e quelle documentate nei monumenti dei sovrani mesopotamici e nei poemi ittiti, hurritici e mitannici.

Il meccanismo è sempre lo stesso: Dio, attraverso i profeti, incita il popolo ebraico a conquistare le diverse città di Canaan, sterminandone gli abitanti. La scena si ripete all’ infinito. Vengono menzionati infiniti popoli e città: Amalek; Og; Sicon; Madian;Gerico ; Ai; Gabaon; Machedda; Libna;Eglon; Ebron;Debir;i Ferezei;Gerusalemme;Sefat;Moav;Succot;Lais; i Filistei;Ammon;Galgala;gli Aramei;i Siriani;Tifsach…

Tutto ciò è confermato dalle Lettere di Tell el-Amarna, che dimostrano come le città cananee si lamentassero con il Faraone degli attacchi di popolazioni barbare, che essi definivano come “Habiru” o “Jahu.”

Sulla Stele di Merneptah ( 1200 circa a.C.), è narrato l’esito vittorioso di una spedizione militare, al seguito della quale :”Ysyrỉ3r fk.t;bn      pr.t =f” (“Ysrỉr è desolato;il seme suo non c’è”)

Da vari studiosi moderni, Ysrỉr viene identificato con Israele. Si tratterebbe pertanto della prima testimonianza storica relativa al popolo ebraico. Il nome Ysrỉr non è accompagnato, come accade per le città o stati presenti nella lista, dall’ideogramma raffigurante tre montagne stilizzate indicante un regno. L’ideogramma associato invece, un uomo e una donna, indica una popolazione di natura nomade.Invece, i Palestinesi (Filistei, Peleset, Peleshtim, Filastin), sono spesso identificati con uno dei  Popoli del Mare che vediamo sbarcare sulla parete del tempio di Medinet Habu , Sherden, Sheklesh, Ekwesh .

Questa conflittualità ricorrente  ricorda i tentativi egemonici attribuiti dalla Bibbia ai regni di Davide e Salomone, le invasioni babilonesi, assire, persiane e macedoni, fino alle Guerre Giudaiche e all’inizio della Diaspora.

Di non minore importanza, per il Levante, le, questa volta documentatissime, Crociate volte a riconquistare la Terra Santa dal dominio islamico, le quali che durarono circa 600 anni. La prima (1096-1099) permise di istituire i primi quattro Stati crociati: la Contea di Edessa, il Principato di Antiochia, il Regno di Gerusalemme e la Contea di Tripoli. A livello popolare, essa scatenò un’ondata di rabbia cattolica che si espresse nei massacri degli ebrei  e il violento trattamento dei cristiani ortodossi “scismatici” dell’est.

La protezione dei Cristiani in Terrasanta costituì poi il pretesto per la Guerra di Crimea, e il Libano è stato anch’esso oggetto di violente dispute fra comunità religiose, che hanno portato a varie guerre civili (cfr. infra).

Infine, la stessa  nascita dello Stato di Israele si inserisce in un piano di destabilizzazione del Medio Oriente dopo la sconfitta dell’Impero Ottomano, posto in essere da Francia e Inghilterra con gli Accordi Sykes/Picot, piano che non ha ancora cessato di esercitare i suoi effetti perversi.

3.Le steppe pontiche (u-Krajine=sulla frontiera)

La cultura “Jamnaja” (“delle tombe a pozzo”)  si colloca fra una fase tarda dell’età del rame e l’inizio  dell’età del bronzo, nella regione  fra il Bug e il Dnestr e gli Urali (la steppa pontica), in un periodo che va dal XXXVI al XXIII secolo a.C.. Si ritiene che gli Jamnaja siano stati i primi domesticatori di cavalli per uso di trasporto cavaliere e di carri con ruote, che avevano facilitato gli spostamenti e diffuso questa tecnologia. I resti del più arcaico carro con ruote trainato da cavalli, sono stati trovati nel kurgan della “Storožova mohyla” (Dniepropetrovsk, oggi Dniprò”), in Ucraina. Il sito sacrificale di Luhansk (Lugansk, nel Donbass, al centro degli attuali combattimenti) recentemente scoperto, è stato descritto come un santuario collinare dove si praticavano sacrifici umani..

Anche grazie ai cavalli, gli Jamnaja furono un popolo particolarmente guerriero e conquistatore (gli “Ariani”), che si espanse rapidamente tanto in Europa, quanto in Asia. Dopo di essi, attraversarono le steppe pontiche Sciti, Sarmati, Unni, Avari, Bulgari, Khazari, Peceneghi .Questi ultimi sono i  Polovesiani (Polovcy), di cui narra il Canto del Principe Igor (anno 1080)e a cui sono dedicate le “Danze Polovesiane”.

Dopo secoli di combattimenti che coinvolsero  molti popoli dell’ area -Bizantini, Bulgari, Rus’ di Kiev, Cazari e Magiari-,nel XIII Secolo,l’Impero Mongolo conquistò, fa le altre cose, le attuali Ucraina e Russia. Una delle principali battaglie per la liberazione delle stesse fu la Battaglia di Kulikovo, sul Don, sotto la guida di Dmitri Donskoj, nel 1378.

L’Ucraina fece poi parte di quella serie di fortificazioni al confine con l’ Impero Ottomano (che andavano dell’ Impero austriaco, della Polonia e della Russia) dette Krajine (confini). Esse furono custodite da guerrieri di origini internazionali (Giannizzeri, Granicari, Graenzer, Serbi, Hajduk, Honved, Karaim, Lipka Tatarlar). Nell’ attuale Ucraina, essi si chiamarono Cosacchi, da un termine turco che significa “cavalieri delle steppe”, e la Krajina polacca e russa si chiamò “Ukrajina”. Il suo cuore era costituito dalle fortezze sul Dniepr (Zaporishkaja Sich). Si combatté in quest’area fra Cosacchi, Turchi, Polacchi, Svedesi e Russi. Vi furono anche due importanti rivolte di Cosacchi: quella di Stenka Razin e quella di Pugaciov.

La Guerra di Crimea costituì uno snodo fondamentale della storia europea, come testimonia il suo ruolo  nella unificazione italiana, vedendo essa la nascita di una coalizione antirussa a cui partecipò il Regno di Sardegna, anticipatrice dell’ attuale “Kollektiv Zapada”, che contende alla Russia l’egemonia sulla Europa Orientale.

Durante la Guerra Civile Russa, l’Oriente dell’ Ucraina fu sede della repubblica di Kharkiv,  dell’ effimero Stato “bianco” di Denikin, della repubblica anarchica di Makhnò e di quelle sovietiche del Donbass e Krivoj Rog. Successivamente alla vittoria sovietica, quelle regioni patirono in modo particolare l’Holodomor (la carestia nella Russia Meridionale), e la “campagna di dekulakizzazione”.

L’invasione e la spartizione della Polonia dopo il Patto Molotov Ribbentrop comportò lo scatenamento della guerra in tutta la regione pontica. Bandera e l’UPA, addestrati a Praga sotto l’egida di Rosenberg,  entrarono a Leopoli in divise naziste, proclamando lo Stato indipendente ucraino, a cui si riallaccia l’attuale narrativa “nazionale” ucraina.

La battaglia di Stalingrado, decisiva per le sorti del conflitto, si svolse precisamente all’ incontro fra Don e Volga. L’area fra il Dniepr e il Volga fu il centro di fondamentali combattimenti fra l’Esercito Tedesco, spalleggiato da truppe italiane, rumene, ungheresi, francesi, slovacche, croate, e scandinave e da volontari anticomunisti di tutta Europa, dei Paesi arabi, dell’Asia Centrale e dell’India, e, dall’ altra, l’Armata Rossa.

La resa di von Paulus a Stalingrado e la “ritirata di Russia” delle truppe dell’Asse segnarono l’inizio della sconfitta di Hitler.

Su tutto questo si può consultare il nostro libro “Ucraina no a un’inutile strage”.

Per tutto quanto precede, ci sembra che sarebbe impossibile stupirsi dell’attuale guerra, che, a sua volta, dura oramai da 10 anni.Ha suscitato giustamente scalpore il fatto che Israele  abbia attaccato ripetutamente e deliberatamente le basi UNIFIL sotto il comando italiano, provocando tra l’altro gravi ferimenti di Caschi Blu – un’azione che il Ministro della Difesa Crosetto ha giustamente definito come “crimine di guerra”-.

questi, il più pernicioso è stato quello relativo alla presunta  “imminenza della Pace Perpetua”, veicolato dalla retorica delle Organizzazioni Internazionali e dell’ Unione Europea.

Mentre le Nazioni Unite  hanno appena fatto il punto sulla loro pretenziosa Agenda 2030, esse si vedono addirittura attaccate militarmente da uno dei propri membri, che l’accusa di essere troppo imparziali nel conflitto con i Palestinesi, mentre invece, secondo Israele, questi ultimi sarebbero  dei “terroristi”, da sterminarsi semplicemente, senza curarsi del diritto internazionale umanitario. I Caschi Blu dovrebbero quindi farsi da parte in seguito a semplici intimazioni dell’Esercito Israeliano (che, tra l’altro, non si capisce perché improvvisamente sia diventato per tutti “IDF”, all’Americana, anziché, in Ebraico, “Tsahal”), e, in caso contrario, rassegnarsi ad essere cannoneggiati. Come se non bastasse, lo stesso Segretario Generale dell’ ONU viene praticamente messo al bando da Israele, immemore del fatto che la sua stessa creazione era stata opera dell’ ONU.

Non che le critiche di Israele siano del tutto infondate. L’inasprirsi della crisi dimostra la debolezza della funzione di “Peace-Keeping” internazionale, ma ciò non è ”colpa” di nessuno:  è la Post-Modernità che, qui come altrove, mette a nudo le contraddizioni della Modernità, due fra le quali riguardano, tra l’altro, proprio Israele e l’ ONU. Su Israele c’è da chiedersi se sia veramente, come pretendeva Herzl, uno “Stato laico”, nel qual caso non si comprenderebbe tutta quest’ansia di ristabilire i confini biblici (Yisrael ha-Shelomah), di ricostruire il Tempio e di usare la Torah come unica vera Costituzione. D’altronde, visto che Israele non è una “razza” bensì un “popolo” etno-culturale,  esso non esisterebbe nemmeno se non ci fossero la Bibbia e la sua lingua. Di converso, i Neturei Karta combattono l’idea di uno Stato ebraico nel tempo presente (tempo che ritengono ancora di esilio), poiché ritengono contrario all’autentica tradizione religiosa ebraica lo  stabilirlo senza aspettare che Erets Israel venga esplicitamente donata dall’Altissimo.  Pertanto, la pretesa sionista di costituire uno “Stato ebraico laico” sarebbe semplicemente l’ennesima  “hybris” di alcuni eresiarchi, né più né meno di quella dei “Costruttori di Dio” cristiani o dei Baha’i persiani (che, guarda caso, hanno sede proprio in Israele): un’ennesima manifestazione di quella “religione secolarizzata” che è al centro della Modernità.

Queste religioni secolarizzate, che, con Lessing, pretendono di realizzare sulla terra le promesse escatologiche delle religioni tradizionali, paradossalmente, in ossequio all’Eterogenesi dei Fini, mentre propugnano la Pace Perpetua, stanno trasformando le religioni in strumenti di lotta fra le diverse parti del mondo (Singularity contro  Tradizione; Hindutva contro Shari’a), perché, abbandonate le pretese di salvezza individuale,  sono divenute semplicemente la divinizzazione della volontà di potenza dei singoli Stati-Civiltà. Del resto, anche il Puritanesimo è una versione secolarizzata del Protestantesimo, così come la il “socialismo islamico” lo è dell’Islam. L’ accusa di “integralismo”rivolta tradizionalmente alle versioni “conservatrici” (“quietiste”) delle singole religioni, si rivela invece adeguata solo alle loro emulazioni laicistiche, come la “religione dell’ umanità di Saint Simon, il Sionismo e la “Nazione dell’ Islam”, camuffamenti dell’espansionismo di popoli che si pretendono “superiori”.

Di qui anche la sterilità delle Chiese ufficiali ( succubi neppur troppo copertamente di quelle religioni secolarizzate), le quali continuano a predicare la pace senza più trovare argomenti concreti a favore della stessa.

Ma  contraddittoria è anche la natura stessa dell’ ONU, nata proprio dalla pretesa del progressismo puritano, espressa alla sua fondazione da Eleanor Roosevelt, di imporre la Pace Perpetua. Tale pace perpetua avrebbe costituito il suggello del progetto messianico americano quale espresso da Winthrop, Cotton Mather, Emerson, Whitman, Friske e Wilkie. Non per nulla il Palazzo di Vetro è situato nel cuore di Manhattan, sotto il completo controllo dell’America. La Seconda Guerra Mondiale sarebbe stata l’ ultima delle guerre perchè poi tutto il mondo sarebbe stato diretto dalla “ragnatela delle istituzioni dirette da Washington”(cfr. Ikenberry).

Sono stati i fatti stessi a ribellarsi a questa proteiforme “hybris”. I conflitti attualmente in corso non sono nati ieri, bensì parecchi millenni fa, e continuano a riproporsi sempre negli stessi termini: l’uno, lungo fra il Don, il Donetz e il Dniepr, fra i popoli indo-europei e turcici dei Kurgan e delle steppe, e, l’altro, fra “Il Fiume d’ Egitto” e l’Eufrate, fra popoli semitici e hamitici dei deserti. Dietro a tutto ciò ci sono, da un lato, la “Distinzione mosaica” (fra Vero e Falso, cfr. Jan Assmann), dall’ altro la pretesa di tutti i contendenti d’incarnare una divina volontà di pace e giustizia, che trae le proprie radici dal mondo antico, e precisamente da quella Persia (Eranshahr) che è oggi il vero antagonista di Israele (perché entrambi perseguono la stessa utopia).  Ed è fra Egitto, Persia e Palestina che nasce la pretesa millenarista. Questi destini sono stati configurati dalla geografia: sono  collocati ai punti di passaggio obbligati fra l’Asia e, da un lato, l’Europa, e, dall’ altro l’Africa, che tutti i contendenti pretendono di tenere sotto il proprio controllo. Le illusioni postmoderne di risolverli “con una bacchetta magica” in base a formule astratte sta scontrandosi con la realtà, e la sta perfino peggiorando.

La sopravvivenza dell’Umanità è stata uno degli obiettivi di base di ogni cultura. Nel mondo moderno iperconnesso, quest’obiettivo richiede uno sforzo congiunto di tutti i popoli. Nel mondo ipertecnologico delle Macchine Intelligenti, senza questo sforzo è assicurata la Fine dell’Uomo: come aveva riconosciuto Kant, la Pace Perpetua si rivela come un grande cimitero.

Per questo, a partire dal Sacro Romano Impero e dal re hussita  Podiebrad, e poi via via attraverso Postel, Crucé, Saint-Pierre, Pufendorf, Novalis, Nicola II, Coudenhove Kalergi, Wilson,  Spinelli, si è venuta configurando una teoria delle organizzazioni internazionali. Teoria che comunque non indica  alcun antidoto all’ incombente mortalità del cosmo, dell’ Umanità e delle civiltà. Anche alla luce dell’ esperienza, occorre ora perciò un approccio più realistico, secondo cui la Storia non finirà con un evento taumaturgico, bensì presumibilmente con il suicidio dell’ Umanità (vedi bomba atomica, Singularity, Terza Guerra Mondiale, surriscaldamento atmosferico, denatalità), e perciò il nostro compito ragionevole è, nella migliore delle ipotesi, “salvare il Cosmo”, almeno  finché sarà possibile (il Katèchon), e per il resto attendere la Fine, che, secondo la tradizione cristiana, “verrà come un ladro nella notte”. L’ebraismo ha un’eccezionale espressione a questo proposito: “Tikkun ha-Olam” (“riparare il mondo”), che non è l’impossibile “Raddrizzare il legno storto dell’ Umanità” (Kant, Berlin), bensì si apparenta a quella quotidiana ricostruzione del Divino attraverso i Riti di cui parla anche Eliade.

1.Il Paese degli Ariani (Iran)

L’eternità delle guerre in corso è dimostrato dalle vicende (pre-istoriche, storiche e post-istoriche) delle tre aree in questione: la Persia, la  Palestina e le Steppe Pontiche.

Una delle opere  che più hanno inciso sulla formazione della cultura postmoderna è il “Così parlò Zarathustra” di Nietzsche, sconcertante, da un lato, perché è talmente ben costruito, da poter rappresentare, letterariamente, e perfino linguisticamente, quasi un “sequel” del  Zand i Bahman Yasn, il principale libro sacro zoroastriano, ma, dall’ altro, perché costituisce una sorta d’implicita ritrattazione della dottrina zoroastriana di una lotta cosmica fra un Dio del Male e un Dio del Bene, quest’ultimo rappresentato sulla terra dal sovrano achemenide.

Lo zoroastrismo rappresenterà così il modello prototipico del messianesimo ebraico e degl’imperi provvidenziali  cristiani e islamici successivi. Non per nulla la nascita di Cristo è salutata, per primi, “nella pienezza dei Tempi”, dai Re Magi. I Persiani zoroastriani sconfiggeranno  e imprigioneranno l’imperatore romano Valeriano, per poi essere a loro volta sconfitti dalle armate islamiche. C’è  anche da chiedersi in che misura l’idea di Jihad, così centrale nell’ Islam, non sia che un’eredità della guerra santa dell’imperatore persiano contro Angra Mayniu. Del resto, uno dei compagni di Maometto era il “Principe di Persia”. La Persia ha mantenuto il proprio spirito  antagonistico alimentando sette islamiche rivoluzionarie, come gli Shi’iti, i Carmati e gli Assassini, e varie religioni post-zoroastriane, come il Manicheismo, il Mazdakisno e il Paulicianesimo (poi reincarnatosi in Europa nel Bogumilismo e nel Catarismo) Più recentemente, la Persia ha generato nuove sette molto inclini al Technological Sublime, come i Baha’i, e, dentro l’Islam, gli Hojjatiyye.

I Persiani continueranno a costituire un elemento di disordine nel Medio Oriente, poiché, memori  di quelle antiche glorie, ambiscono ancor sempre a dominarlo, se non altro culturalmente, con la loro letteratura e le influenze delle loro lingue, e perciò non accettano l’egemonia culturale, né dell’ Occidente, né degli Arabi, né dei Sunniti, né di Israele. La rivoluzione khomeinista, che si presentò come alternativa al mondo islamico sunnita, continua dunque la tradizione messianica e rivoluzionaria dello zoroastrismo, per altro ancora vivo e vegeto nel Paese, e spesso richiamato dai dissidenti anti-khomeinisti.

Ma i veri eredi dello Zoroastrismo sono i progressisti occidentali, i quali hanno trasfuso nel progressismo laicista l’enfasi posta dai Persiani nell’Apocalisse, intesa come conquista del mondo da parte di un Salvatore (Shaoshant) sotto la guida di Ahura Mazda, e la conseguente vittoria del Bene Assoluto sul Male Assoluto. D’altronde, gli Hojjatiyye considerano l’invenzione di Internet come un segno dell’avvicinarsi dell’avvento del Mahdi.

Invece, le cosiddette “autocrazie”, nemiche dell’ Occidente progressista, sono  i veri epigoni culturali degli antichi Greci, in quanto culture tragiche, belliciste e aristocratiche sul modello degli Spartani delle Termopili, a cui  sembrano ispirati i vari al-Qaida, ISIS, Hamas e Hezbollah, con i loro leaders che cercano la morte gloriosa in battaglia. Significativamente, come racconta Erodoto, il generale persiano Mardonio, dopo avere represso la rivolta della Ionia, impone alle poleis locali d’instaurare governi democratici in sostituzione di quelli aristocratici che si erano ribellati alla Persia.

2.Peleset, Peleshtim, Filastin

Sin dall’antichità l’egemonia degli Hyksos venne identificata con il soggiorno in Egitto degli Ebrei, e, in particolare, con le storie bibliche di Giuseppe e Mosè. Gli Hyksos (Heka khasut, cioè “i capi di un Paese straniero” )giunsero in Egitto  attorno al 1700 a.C.,  portandovi il   cavallo e il carro da guerra.

Dopo l’Esodo dall’Egitto, cominciava la conquista di Cana’an da parte del popolo ebraico. I “Revisionisti Israeliani” (p.es., Finkielkraut) sostengono che una vera e propria “Conquista di Canaan” intesa come grande campagna militare, non è mai avvenuta, e si è invece trattato di un graduale spostamento di popoli, dalle rive del Mare Mediterraneo, alle colline della Palestina. Sia come sia, si era sviluppata comunque di una guerriglia continua, a cui ben si confanno le descrizioni contenute in tutta la Bibbia, per altro facilmente sovrapponibili a quelle attuali di Gaza, della Cisgiordania e del Libano:“due dei figli di Giacobbe, Simeone e Levi, fratelli di Dina, presero ciascuno la propria spada, assalirono la città che si riteneva sicura, e uccisero tutti i maschi.” – “Passarono a fil di spada anche Camor e suo figlio Sichem, presero Dina dalla casa di Sichem, e uscirono.” – “I figli di Giacobbe si gettarono sugli uccisi e saccheggiarono la città, perché la loro sorella era stata disonorata” – “presero le loro greggi, i loro armenti, i loro asini, quanto era nella città e nei campi.” – “Portarono via come bottino tutte le loro ricchezze, tutti i loro bambini, le loro mogli e tutto quello che si trovava nelle case….“

Queste vicende ricalcano inoltre quella della Guerra di Troia, narrata dalla letteratura greca, e quelle documentate nei monumenti dei sovrani mesopotamici e nei poemi ittiti, hurritici e mitannici.

Il meccanismo è sempre lo stesso: Dio, attraverso i profeti, incita il popolo ebraico a conquistare le diverse città di Canaan, sterminandone gli abitanti. La scena si ripete all’ infinito. Vengono menzionati infiniti popoli e città: Amalek; Og; Sicon; Madian;Gerico ; Ai; Gabaon; Machedda; Libna;Eglon; Ebron;Debir;i Ferezei;Gerusalemme;Sefat;Moav;Succot;Lais; i Filistei;Ammon;Galgala;gli Aramei;i Siriani;Tifsach…

Tutto ciò è confermato dalle Lettere di Tell el-Amarna, che dimostrano come le città cananee si lamentassero con il Faraone degli attacchi di popolazioni barbare, che essi definivano come “Habiru” o “Jahu.”

Sulla Stele di Merneptah ( 1200 circa a.C.), è narrato l’esito vittorioso di una spedizione militare, al seguito della quale :”Ysyrỉ3r fk.t;bn      pr.t =f” (“Ysrỉr è desolato;il seme suo non c’è”)

Da vari studiosi moderni, Ysrỉr viene identificato con Israele. Si tratterebbe pertanto della prima testimonianza storica relativa al popolo ebraico. Il nome Ysrỉr non è accompagnato, come accade per le città o stati presenti nella lista, dall’ideogramma raffigurante tre montagne stilizzate indicante un regno. L’ideogramma associato invece, un uomo e una donna, indica una popolazione di natura nomade.Invece, i Palestinesi (Filistei, Peleset, Peleshtim, Filastin), sono spesso identificati con uno dei  Popoli del Mare che vediamo sbarcare sulla parete del tempio di Medinet Habu , Sherden, Sheklesh, Ekwesh .

Questa conflittualità ricorrente  ricorda i tentativi egemonici attribuiti dalla Bibbia ai regni di Davide e Salomone, le invasioni babilonesi, assire, persiane e macedoni, fino alle Guerre Giudaiche e all’inizio della Diaspora.

Di non minore importanza, per il Levante, le, questa volta documentatissime, Crociate volte a riconquistare la Terra Santa dal dominio islamico, le quali che durarono circa 600 anni. La prima (1096-1099) permise di istituire i primi quattro Stati crociati: la Contea di Edessa, il Principato di Antiochia, il Regno di Gerusalemme e la Contea di Tripoli. A livello popolare, essa scatenò un’ondata di rabbia cattolica che si espresse nei massacri degli ebrei  e il violento trattamento dei cristiani ortodossi “scismatici” dell’est.

La protezione dei Cristiani in Terrasanta costituì poi il pretesto per la Guerra di Crimea, e il Libano è stato anch’esso oggetto di violente dispute fra comunità religiose, che hanno portato a varie guerre civili (cfr. infra).

Infine, la stessa  nascita dello Stato di Israele si inserisce in un piano di destabilizzazione del Medio Oriente dopo la sconfitta dell’Impero Ottomano, posto in essere da Francia e Inghilterra con gli Accordi Sykes/Picot, piano che non ha ancora cessato di esercitare i suoi effetti perversi.

3.Le steppe pontiche (u-Krajine=sulla frontiera)

La cultura “Jamnaja” (“delle tombe a pozzo”)  si colloca fra una fase tarda dell’età del rame e l’inizio  dell’età del bronzo, nella regione  fra il Bug e il Dnestr e gli Urali (la steppa pontica), in un periodo che va dal XXXVI al XXIII secolo a.C.. Si ritiene che gli Jamnaja siano stati i primi domesticatori di cavalli per uso di trasporto cavaliere e di carri con ruote, che avevano facilitato gli spostamenti e diffuso questa tecnologia. I resti del più arcaico carro con ruote trainato da cavalli, sono stati trovati nel kurgan della “Storožova mohyla” (Dniepropetrovsk, oggi Dniprò”), in Ucraina. Il sito sacrificale di Luhansk (Lugansk, nel Donbass, al centro degli attuali combattimenti) recentemente scoperto, è stato descritto come un santuario collinare dove si praticavano sacrifici umani..

Anche grazie ai cavalli, gli Jamnaja furono un popolo particolarmente guerriero e conquistatore (gli “Ariani”), che si espanse rapidamente tanto in Europa, quanto in Asia. Dopo di essi, attraversarono le steppe pontiche Sciti, Sarmati, Unni, Avari, Bulgari, Khazari, Peceneghi .Questi ultimi sono i  Polovesiani (Polovcy), di cui narra il Canto del Principe Igor (anno 1080)e a cui sono dedicate le “Danze Polovesiane”.

Dopo secoli di combattimenti che coinvolsero  molti popoli dell’ area -Bizantini, Bulgari, Rus’ di Kiev, Cazari e Magiari-,nel XIII Secolo,l’Impero Mongolo conquistò, fa le altre cose, le attuali Ucraina e Russia. Una delle principali battaglie per la liberazione delle stesse fu la Battaglia di Kulikovo, sul Don, sotto la guida di Dmitri Donskoj, nel 1378.

L’Ucraina fece poi parte di quella serie di fortificazioni al confine con l’ Impero Ottomano (che andavano dell’ Impero austriaco, della Polonia e della Russia) dette Krajine (confini). Esse furono custodite da guerrieri di origini internazionali (Giannizzeri, Granicari, Graenzer, Serbi, Hajduk, Honved, Karaim, Lipka Tatarlar). Nell’ attuale Ucraina, essi si chiamarono Cosacchi, da un termine turco che significa “cavalieri delle steppe”, e la Krajina polacca e russa si chiamò “Ukrajina”. Il suo cuore era costituito dalle fortezze sul Dniepr (Zaporishkaja Sich). Si combatté in quest’area fra Cosacchi, Turchi, Polacchi, Svedesi e Russi. Vi furono anche due importanti rivolte di Cosacchi: quella di Stenka Razin e quella di Pugaciov.

La Guerra di Crimea costituì uno snodo fondamentale della storia europea, come testimonia il suo ruolo  nella unificazione italiana, vedendo essa la nascita di una coalizione antirussa a cui partecipò il Regno di Sardegna, anticipatrice dell’ attuale “Kollektiv Zapada”, che contende alla Russia l’egemonia sulla Europa Orientale.

Durante la Guerra Civile Russa, l’Oriente dell’ Ucraina fu sede della repubblica di Kharkiv,  dell’ effimero Stato “bianco” di Denikin, della repubblica anarchica di Makhnò e di quelle sovietiche del Donbass e Krivoj Rog. Successivamente alla vittoria sovietica, quelle regioni patirono in modo particolare l’Holodomor (la carestia nella Russia Meridionale), e la “campagna di dekulakizzazione”.

L’invasione e la spartizione della Polonia dopo il Patto Molotov Ribbentrop comportò lo scatenamento della guerra in tutta la regione pontica. Bandera e l’UPA, addestrati a Praga sotto l’egida di Rosenberg,  entrarono a Leopoli in divise naziste, proclamando lo Stato indipendente ucraino, a cui si riallaccia l’attuale narrativa “nazionale” ucraina.

La battaglia di Stalingrado, decisiva per le sorti del conflitto, si svolse precisamente all’ incontro fra Don e Volga. L’area fra il Dniepr e il Volga fu il centro di fondamentali combattimenti fra l’Esercito Tedesco, spalleggiato da truppe italiane, rumene, ungheresi, francesi, slovacche, croate, e scandinave e da volontari anticomunisti di tutta Europa, dei Paesi arabi, dell’Asia Centrale e dell’India, e, dall’ altra, l’Armata Rossa.

La resa di von Paulus a Stalingrado e la “ritirata di Russia” delle truppe dell’Asse segnarono l’inizio della sconfitta di Hitler.

Su tutto questo si può consultare il nostro libro “Ucraina no a un’inutile strage”.

Questo scalpore è giustificato soprattutto dal fatto che la “Guerra Mondiale a Pezzi”, oramai non più tanto a pezzi, sta scalfendo una gran quantità di luoghi comuni impostici da decenni dai media occidentali. Fra questi, il più pernicioso è stato quello relativo alla presunta  “imminenza della Pace Perpetua”, veicolato dalla retorica delle Organizzazioni Internazionali e dell’ Unione Europea.

Mentre le Nazioni Unite  hanno appena fatto il punto sulla loro pretenziosa Agenda 2030, esse si vedono addirittura attaccate militarmente da uno dei propri membri, che l’accusa di essere troppo imparziali nel conflitto con i Palestinesi, mentre invece, secondo Israele, questi ultimi sarebbero  dei “terroristi”, da sterminarsi semplicemente, senza curarsi del diritto internazionale umanitario. I Caschi Blu dovrebbero quindi farsi da parte in seguito a semplici intimazioni dell’Esercito Israeliano (che, tra l’altro, non si capisce perché improvvisamente sia diventato per tutti “IDF”, all’Americana, anziché, in Ebraico, “Tsahal”), e, in caso contrario, rassegnarsi ad essere cannoneggiati. Come se non bastasse, lo stesso Segretario Generale dell’ ONU viene praticamente messo al bando da Israele, immemore del fatto che la sua stessa creazione era stata opera dell’ ONU.

Non che le critiche di Israele siano del tutto infondate. L’inasprirsi della crisi dimostra la debolezza della funzione di “Peace-Keeping” internazionale, ma ciò non è ”colpa” di nessuno:  è la Post-Modernità che, qui come altrove, mette a nudo le contraddizioni della Modernità, due fra le quali riguardano, tra l’altro, proprio Israele e l’ ONU. Su Israele c’è da chiedersi se sia veramente, come pretendeva Herzl, uno “Stato laico”, nel qual caso non si comprenderebbe tutta quest’ansia di ristabilire i confini biblici (Yisrael ha-Shelomah), di ricostruire il Tempio e di usare la Torah come unica vera Costituzione. D’altronde, visto che Israele non è una “razza” bensì un “popolo” etno-culturale,  esso non esisterebbe nemmeno se non ci fossero la Bibbia e la sua lingua. Di converso, i Neturei Karta combattono l’idea di uno Stato ebraico nel tempo presente (tempo che ritengono ancora di esilio), poiché ritengono contrario all’autentica tradizione religiosa ebraica lo  stabilirlo senza aspettare che Erets Israel venga esplicitamente donata dall’Altissimo.  Pertanto, la pretesa sionista di costituire uno “Stato ebraico laico” sarebbe semplicemente l’ennesima  “hybris” di alcuni eresiarchi, né più né meno di quella dei “Costruttori di Dio” cristiani o dei Baha’i persiani (che, guarda caso, hanno sede proprio in Israele): un’ennesima manifestazione di quella “religione secolarizzata” che è al centro della Modernità.

Queste religioni secolarizzate, che, con Lessing, pretendono di realizzare sulla terra le promesse escatologiche delle religioni tradizionali, paradossalmente, in ossequio all’Eterogenesi dei Fini, mentre propugnano la Pace Perpetua, stanno trasformando le religioni in strumenti di lotta fra le diverse parti del mondo (Singularity contro  Tradizione; Hindutva contro Shari’a), perché, abbandonate le pretese di salvezza individuale,  sono divenute semplicemente la divinizzazione della volontà di potenza dei singoli Stati-Civiltà. Del resto, anche il Puritanesimo è una versione secolarizzata del Protestantesimo, così come la il “socialismo islamico” lo è dell’Islam. L’ accusa di “integralismo”rivolta tradizionalmente alle versioni “conservatrici” (“quietiste”) delle singole religioni, si rivela invece adeguata solo alle loro emulazioni laicistiche, come la “religione dell’ umanità di Saint Simon, il Sionismo e la “Nazione dell’ Islam”, camuffamenti dell’espansionismo di popoli che si pretendono “superiori”.

Di qui anche la sterilità delle Chiese ufficiali ( succubi neppur troppo copertamente di quelle religioni secolarizzate), le quali continuano a predicare la pace senza più trovare argomenti concreti a favore della stessa.

Ma  contraddittoria è anche la natura stessa dell’ ONU, nata proprio dalla pretesa del progressismo puritano, espressa alla sua fondazione da Eleanor Roosevelt, di imporre la Pace Perpetua. Tale pace perpetua avrebbe costituito il suggello del progetto messianico americano quale espresso da Winthrop, Cotton Mather, Emerson, Whitman, Friske e Wilkie. Non per nulla il Palazzo di Vetro è situato nel cuore di Manhattan, sotto il completo controllo dell’America. La Seconda Guerra Mondiale sarebbe stata l’ ultima delle guerre perchè poi tutto il mondo sarebbe stato diretto dalla “ragnatela delle istituzioni dirette da Washington”(cfr. Ikenberry).

Sono stati i fatti stessi a ribellarsi a questa proteiforme “hybris”. I conflitti attualmente in corso non sono nati ieri, bensì parecchi millenni fa, e continuano a riproporsi sempre negli stessi termini: l’uno, lungo fra il Don, il Donetz e il Dniepr, fra i popoli indo-europei e turcici dei Kurgan e delle steppe, e, l’altro, fra “Il Fiume d’ Egitto” e l’Eufrate, fra popoli semitici e hamitici dei deserti. Dietro a tutto ciò ci sono, da un lato, la “Distinzione mosaica” (fra Vero e Falso, cfr. Jan Assmann), dall’ altro la pretesa di tutti i contendenti d’incarnare una divina volontà di pace e giustizia, che trae le proprie radici dal mondo antico, e precisamente da quella Persia (Eranshahr) che è oggi il vero antagonista di Israele (perché entrambi perseguono la stessa utopia).  Ed è fra Egitto, Persia e Palestina che nasce la pretesa millenarista. Questi destini sono stati configurati dalla geografia: sono  collocati ai punti di passaggio obbligati fra l’Asia e, da un lato, l’Europa, e, dall’ altro l’Africa, che tutti i contendenti pretendono di tenere sotto il proprio controllo. Le illusioni postmoderne di risolverli “con una bacchetta magica” in base a formule astratte sta scontrandosi con la realtà, e la sta perfino peggiorando.

La sopravvivenza dell’Umanità è stata uno degli obiettivi di base di ogni cultura. Nel mondo moderno iperconnesso, quest’obiettivo richiede uno sforzo congiunto di tutti i popoli. Nel mondo ipertecnologico delle Macchine Intelligenti, senza questo sforzo è assicurata la Fine dell’Uomo: come aveva riconosciuto Kant, la Pace Perpetua si rivela come un grande cimitero.

Per questo, a partire dal Sacro Romano Impero e dal re hussita  Podiebrad, e poi via via attraverso Postel, Crucé, Saint-Pierre, Pufendorf, Novalis, Nicola II, Coudenhove Kalergi, Wilson,  Spinelli, si è venuta configurando una teoria delle organizzazioni internazionali. Teoria che comunque non indica  alcun antidoto all’ incombente mortalità del cosmo, dell’ Umanità e delle civiltà. Anche alla luce dell’ esperienza, occorre ora perciò un approccio più realistico, secondo cui la Storia non finirà con un evento taumaturgico, bensì presumibilmente con il suicidio dell’ Umanità (vedi bomba atomica, Singularity, Terza Guerra Mondiale, surriscaldamento atmosferico, denatalità), e perciò il nostro compito ragionevole è, nella migliore delle ipotesi, “salvare il Cosmo”, almeno  finché sarà possibile (il Katèchon), e per il resto attendere la Fine, che, secondo la tradizione cristiana, “verrà come un ladro nella notte”. L’ebraismo ha un’eccezionale espressione a questo proposito: “Tikkun ha-Olam” (“riparare il mondo”), che non è l’impossibile “Raddrizzare il legno storto dell’ Umanità” (Kant, Berlin), bensì si apparenta a quella quotidiana ricostruzione del Divino attraverso i Riti di cui parla anche Eliade.

1.Il Paese degli Ariani (Iran)

L’eternità delle guerre in corso è dimostrato dalle vicende (pre-istoriche, storiche e post-istoriche) delle tre aree in questione: la Persia, la  Palestina e le Steppe Pontiche.

Una delle opere  che più hanno inciso sulla formazione della cultura postmoderna è il “Così parlò Zarathustra” di Nietzsche, sconcertante, da un lato, perché è talmente ben costruito, da poter rappresentare, letterariamente, e perfino linguisticamente, quasi un “sequel” del  Zand i Bahman Yasn, il principale libro sacro zoroastriano, ma, dall’ altro, perché costituisce una sorta d’implicita ritrattazione della dottrina zoroastriana di una lotta cosmica fra un Dio del Male e un Dio del Bene, quest’ultimo rappresentato sulla terra dal sovrano achemenide.

Lo zoroastrismo rappresenterà così il modello prototipico del messianesimo ebraico e degl’imperi provvidenziali  cristiani e islamici successivi. Non per nulla la nascita di Cristo è salutata, per primi, “nella pienezza dei Tempi”, dai Re Magi. I Persiani zoroastriani sconfiggeranno  e imprigioneranno l’imperatore romano Valeriano, per poi essere a loro volta sconfitti dalle armate islamiche. C’è  anche da chiedersi in che misura l’idea di Jihad, così centrale nell’ Islam, non sia che un’eredità della guerra santa dell’imperatore persiano contro Angra Mayniu. Del resto, uno dei compagni di Maometto era il “Principe di Persia”. La Persia ha mantenuto il proprio spirito  antagonistico alimentando sette islamiche rivoluzionarie, come gli Shi’iti, i Carmati e gli Assassini, e varie religioni post-zoroastriane, come il Manicheismo, il Mazdakisno e il Paulicianesimo (poi reincarnatosi in Europa nel Bogumilismo e nel Catarismo) Più recentemente, la Persia ha generato nuove sette molto inclini al Technological Sublime, come i Baha’i, e, dentro l’Islam, gli Hojjatiyye.

I Persiani continueranno a costituire un elemento di disordine nel Medio Oriente, poiché, memori  di quelle antiche glorie, ambiscono ancor sempre a dominarlo, se non altro culturalmente, con la loro letteratura e le influenze delle loro lingue, e perciò non accettano l’egemonia culturale, né dell’ Occidente, né degli Arabi, né dei Sunniti, né di Israele. La rivoluzione khomeinista, che si presentò come alternativa al mondo islamico sunnita, continua dunque la tradizione messianica e rivoluzionaria dello zoroastrismo, per altro ancora vivo e vegeto nel Paese, e spesso richiamato dai dissidenti anti-khomeinisti.

Ma i veri eredi dello Zoroastrismo sono i progressisti occidentali, i quali hanno trasfuso nel progressismo laicista l’enfasi posta dai Persiani nell’Apocalisse, intesa come conquista del mondo da parte di un Salvatore (Shaoshant) sotto la guida di Ahura Mazda, e la conseguente vittoria del Bene Assoluto sul Male Assoluto. D’altronde, gli Hojjatiyye considerano l’invenzione di Internet come un segno dell’avvicinarsi dell’avvento del Mahdi.

Invece, le cosiddette “autocrazie”, nemiche dell’ Occidente progressista, sono  i veri epigoni culturali degli antichi Greci, in quanto culture tragiche, belliciste e aristocratiche sul modello degli Spartani delle Termopili, a cui  sembrano ispirati i vari al-Qaida, ISIS, Hamas e Hezbollah, con i loro leaders che cercano la morte gloriosa in battaglia. Significativamente, come racconta Erodoto, il generale persiano Mardonio, dopo avere represso la rivolta della Ionia, impone alle poleis locali d’instaurare governi democratici in sostituzione di quelli aristocratici che si erano ribellati alla Persia.

2.Peleset, Peleshtim, Filastin

Sin dall’antichità l’egemonia degli Hyksos venne identificata con il soggiorno in Egitto degli Ebrei, e, in particolare, con le storie bibliche di Giuseppe e Mosè. Gli Hyksos (Heka khasut, cioè “i capi di un Paese straniero” )giunsero in Egitto  attorno al 1700 a.C.,  portandovi il   cavallo e il carro da guerra.

Dopo l’Esodo dall’Egitto, cominciava la conquista di Cana’an da parte del popolo ebraico. I “Revisionisti Israeliani” (p.es., Finkielkraut) sostengono che una vera e propria “Conquista di Canaan” intesa come grande campagna militare, non è mai avvenuta, e si è invece trattato di un graduale spostamento di popoli, dalle rive del Mare Mediterraneo, alle colline della Palestina. Sia come sia, si era sviluppata comunque di una guerriglia continua, a cui ben si confanno le descrizioni contenute in tutta la Bibbia, per altro facilmente sovrapponibili a quelle attuali di Gaza, della Cisgiordania e del Libano:“due dei figli di Giacobbe, Simeone e Levi, fratelli di Dina, presero ciascuno la propria spada, assalirono la città che si riteneva sicura, e uccisero tutti i maschi.” – “Passarono a fil di spada anche Camor e suo figlio Sichem, presero Dina dalla casa di Sichem, e uscirono.” – “I figli di Giacobbe si gettarono sugli uccisi e saccheggiarono la città, perché la loro sorella era stata disonorata” – “presero le loro greggi, i loro armenti, i loro asini, quanto era nella città e nei campi.” – “Portarono via come bottino tutte le loro ricchezze, tutti i loro bambini, le loro mogli e tutto quello che si trovava nelle case….“

Queste vicende ricalcano inoltre quella della Guerra di Troia, narrata dalla letteratura greca, e quelle documentate nei monumenti dei sovrani mesopotamici e nei poemi ittiti, hurritici e mitannici.

Il meccanismo è sempre lo stesso: Dio, attraverso i profeti, incita il popolo ebraico a conquistare le diverse città di Canaan, sterminandone gli abitanti. La scena si ripete all’ infinito. Vengono menzionati infiniti popoli e città: Amalek; Og; Sicon; Madian;Gerico ; Ai; Gabaon; Machedda; Libna;Eglon; Ebron;Debir;i Ferezei;Gerusalemme;Sefat;Moav;Succot;Lais; i Filistei;Ammon;Galgala;gli Aramei;i Siriani;Tifsach…

Tutto ciò è confermato dalle Lettere di Tell el-Amarna, che dimostrano come le città cananee si lamentassero con il Faraone degli attacchi di popolazioni barbare, che essi definivano come “Habiru” o “Jahu.”

Sulla Stele di Merneptah ( 1200 circa a.C.), è narrato l’esito vittorioso di una spedizione militare, al seguito della quale :”Ysyrỉ3r fk.t;bn      pr.t =f” (“Ysrỉr è desolato;il seme suo non c’è”)

Da vari studiosi moderni, Ysrỉr viene identificato con Israele. Si tratterebbe pertanto della prima testimonianza storica relativa al popolo ebraico. Il nome Ysrỉr non è accompagnato, come accade per le città o stati presenti nella lista, dall’ideogramma raffigurante tre montagne stilizzate indicante un regno. L’ideogramma associato invece, un uomo e una donna, indica una popolazione di natura nomade.Invece, i Palestinesi (Filistei, Peleset, Peleshtim, Filastin), sono spesso identificati con uno dei  Popoli del Mare che vediamo sbarcare sulla parete del tempio di Medinet Habu , Sherden, Sheklesh, Ekwesh .

Questa conflittualità ricorrente  ricorda i tentativi egemonici attribuiti dalla Bibbia ai regni di Davide e Salomone, le invasioni babilonesi, assire, persiane e macedoni, fino alle Guerre Giudaiche e all’inizio della Diaspora.

Di non minore importanza, per il Levante, le, questa volta documentatissime, Crociate volte a riconquistare la Terra Santa dal dominio islamico, le quali che durarono circa 600 anni. La prima (1096-1099) permise di istituire i primi quattro Stati crociati: la Contea di Edessa, il Principato di Antiochia, il Regno di Gerusalemme e la Contea di Tripoli. A livello popolare, essa scatenò un’ondata di rabbia cattolica che si espresse nei massacri degli ebrei  e il violento trattamento dei cristiani ortodossi “scismatici” dell’est.

La protezione dei Cristiani in Terrasanta costituì poi il pretesto per la Guerra di Crimea, e il Libano è stato anch’esso oggetto di violente dispute fra comunità religiose, che hanno portato a varie guerre civili (cfr. infra).

Infine, la stessa  nascita dello Stato di Israele si inserisce in un piano di destabilizzazione del Medio Oriente dopo la sconfitta dell’Impero Ottomano, posto in essere da Francia e Inghilterra con gli Accordi Sykes/Picot, piano che non ha ancora cessato di esercitare i suoi effetti perversi.

3.Le steppe pontiche (u-Krajine=sulla frontiera)

La cultura “Jamnaja” (“delle tombe a pozzo”)  si colloca fra una fase tarda dell’età del rame e l’inizio  dell’età del bronzo, nella regione  fra il Bug e il Dnestr e gli Urali (la steppa pontica), in un periodo che va dal XXXVI al XXIII secolo a.C.. Si ritiene che gli Jamnaja siano stati i primi domesticatori di cavalli per uso di trasporto cavaliere e di carri con ruote, che avevano facilitato gli spostamenti e diffuso questa tecnologia. I resti del più arcaico carro con ruote trainato da cavalli, sono stati trovati nel kurgan della “Storožova mohyla” (Dniepropetrovsk, oggi Dniprò”), in Ucraina. Il sito sacrificale di Luhansk (Lugansk, nel Donbass, al centro degli attuali combattimenti) recentemente scoperto, è stato descritto come un santuario collinare dove si praticavano sacrifici umani..

Anche grazie ai cavalli, gli Jamnaja furono un popolo particolarmente guerriero e conquistatore (gli “Ariani”), che si espanse rapidamente tanto in Europa, quanto in Asia. Dopo di essi, attraversarono le steppe pontiche Sciti, Sarmati, Unni, Avari, Bulgari, Khazari, Peceneghi .Questi ultimi sono i  Polovesiani (Polovcy), di cui narra il Canto del Principe Igor (anno 1080)e a cui sono dedicate le “Danze Polovesiane”.

Dopo secoli di combattimenti che coinvolsero  molti popoli dell’ area -Bizantini, Bulgari, Rus’ di Kiev, Cazari e Magiari-,nel XIII Secolo,l’Impero Mongolo conquistò, fa le altre cose, le attuali Ucraina e Russia. Una delle principali battaglie per la liberazione delle stesse fu la Battaglia di Kulikovo, sul Don, sotto la guida di Dmitri Donskoj, nel 1378.

L’Ucraina fece poi parte di quella serie di fortificazioni al confine con l’ Impero Ottomano (che andavano dell’ Impero austriaco, della Polonia e della Russia) dette Krajine (confini). Esse furono custodite da guerrieri di origini internazionali (Giannizzeri, Granicari, Graenzer, Serbi, Hajduk, Honved, Karaim, Lipka Tatarlar). Nell’ attuale Ucraina, essi si chiamarono Cosacchi, da un termine turco che significa “cavalieri delle steppe”, e la Krajina polacca e russa si chiamò “Ukrajina”. Il suo cuore era costituito dalle fortezze sul Dniepr (Zaporishkaja Sich). Si combatté in quest’area fra Cosacchi, Turchi, Polacchi, Svedesi e Russi. Vi furono anche due importanti rivolte di Cosacchi: quella di Stenka Razin e quella di Pugaciov.

La Guerra di Crimea costituì uno snodo fondamentale della storia europea, come testimonia il suo ruolo  nella unificazione italiana, vedendo essa la nascita di una coalizione antirussa a cui partecipò il Regno di Sardegna, anticipatrice dell’ attuale “Kollektiv Zapada”, che contende alla Russia l’egemonia sulla Europa Orientale.

Durante la Guerra Civile Russa, l’Oriente dell’ Ucraina fu sede della repubblica di Kharkiv,  dell’ effimero Stato “bianco” di Denikin, della repubblica anarchica di Makhnò e di quelle sovietiche del Donbass e Krivoj Rog. Successivamente alla vittoria sovietica, quelle regioni patirono in modo particolare l’Holodomor (la carestia nella Russia Meridionale), e la “campagna di dekulakizzazione”.

L’invasione e la spartizione della Polonia dopo il Patto Molotov Ribbentrop comportò lo scatenamento della guerra in tutta la regione pontica. Bandera e l’UPA, addestrati a Praga sotto l’egida di Rosenberg,  entrarono a Leopoli in divise naziste, proclamando lo Stato indipendente ucraino, a cui si riallaccia l’attuale narrativa “nazionale” ucraina.

La battaglia di Stalingrado, decisiva per le sorti del conflitto, si svolse precisamente all’ incontro fra Don e Volga. L’area fra il Dniepr e il Volga fu il centro di fondamentali combattimenti fra l’Esercito Tedesco, spalleggiato da truppe italiane, rumene, ungheresi, francesi, slovacche, croate, e scandinave e da volontari anticomunisti di tutta Europa, dei Paesi arabi, dell’Asia Centrale e dell’India, e, dall’ altra, l’Armata Rossa.

La resa di von Paulus a Stalingrado e la “ritirata di Russia” delle truppe dell’Asse segnarono l’inizio della sconfitta di Hitler.

Su tutto questo si può consultare il nostro libro “Ucraina no a un’inutile strage”.

4.Urgenza della riforma delle Organizzazioni Internazionali

Come scrivevamo, la pace e la Fine della Storia erano state da sempre al centro degli sforzi per la creazione di un’ organizzazione internazionale, a partire dal trattato per la “Pax Aeterna” fra l’Impero romano e quello partico, per passare al “Landfridt” della Dieta di Worms, continuando con il Nouveau Cynée di Emeric Crucé e il Trattato per la Pace Perpetua di Saint-Pierre, con i suoi commenti da parte dei grandi illuministi, fino alla Santa Alleanza e alle conferenze per  la Pace di fine ‘800. Tutti questi movimenti non arrestarono minimamente le moltissime guerre degli ultimi due millenni. Men che mai a ciò servirono la Società delle Nazioni e le Nazioni Unite.

Infatti, premesso che un certo grado di conflittualità è inevitabile se si vuole  evitare un totalitario potere mondiale (lo Stato Mondiale di Juenger), un certo qual controllo di tale conflittualità è possibile solo se : (i) si accetta un certo grado di imperfezione delle cose umane; (ii)si mettono sul tavolo le reali cause dei conflitti.

Non per nulla l’attuale situazione è nata dal fallimento della pretesa internazionalistica del bolscevismo, e dalla conseguente sostituzione dell’URSS con la Comunità di Stati Indipendenti (tutt’ora viva e vegeta).

Orbene, oggi, quelle due condizioni non sembrano soddisfatte.

Quanto alla prima, tutti, compresi i promotori di un nuovo ordine mondiale (tranne la Cina), si propongono quali portatori di un’idea salvifica millenaristica di ordinamento internazionale, quand’anche differente tanto da quella sovietica, quanto  da quella americana.

Quanto alla seconda, nessuno sta  considerando che la reale causa dei conflitti, seppure parziali, in corso, risale alla pretesa occidentale di creare un potere mondiale unitario, pretesa contestata dalle altre parti del mondo. Prima di iniziare l’Operazione Militare Speciale, la Russia e la Cina avevano espresso chiaramente questo loro obiettivo di sventare il progetto americano di “Fine della Storia” attraverso la creazione di nuovi “paesi satelliti”, come l’Ucraina e Taiwan, destinati a corrodere l’identità di Russia e Cina, per sostituirle con piccoli Stati teleguidati dall’ Occidente (come accaduto per esempio con i Baltici o con l’Iraq “cantonalizzato”).

Andare incontro alle esigenze di tutti significa invece riconoscere Cina, Russia, Iran, Corea del Nord (ma anche India, Brasile, Cuba), come interlocutori pienamente legittimi e “di pari grado”, senza progettare la loro distruzione e sostituzione con nuovi Stati “rivoluzionari”, come faceva a suo tempo l’URSS.

Più in generale, i conflitti nel mondo si potranno almeno attutire quando tutte le grandi aree del mondo possederanno un loro ecosistema digitale autonomo, corrispondente alla loro specifica identità, e non potranno più, di conseguenza, essere controllati centralmente a distanza da Salt Lake City, dalla Silicon Valley o da Langley.

L’allargamento  dei BRICS a inizio 2024 verso Iran, Etiopia, Egitto ed EAU e il vertice dei BRICS, attualmente in corso a Kazan’, iniziano a configurare, nella pratica, la visione cinese di una coalizione di stati capaci di sfidare l’egemonia occidentale. Oggigiorno, i BRICS rappresentano il 45 percento della popolazione mondiale e una quota del Pil (PPP) che supera quella del G7. Nonostante che i BRICS, su carta, ben supportino l’agenda di Pechino,  la Cina è consapevole che, all’interno del gruppo, continuano a sussistere tensioni che potrebbero andare ad inficiare la coesione del progetto e il raggiungimento di obiettivi comuni. Paesi come India e Brasile, soprattutto, seppur partecipino attivamente alla vita dei BRICS, non mantengono le medesime posizioni anti-occidentali di Cina e Russia.

Manca però ancora un discorso culturale unificante, in grado di cogliere, pur salvaguardando la “poliedricità” del mondo, dei punti di incontro, per esempio, fra il socialismo con caratteristiche cinesi, il conservatorismo russo, il terzomondismo tradizionale, il panislamismo e l’hindutva, alla luce della transizione verso l’era delle Macchine Intelligenti.

Per questo, nessuno è stato ancora in grado di formulare proposte motivate circa la fine dei conflitti in corso, o almeno per una tregua.Per quanto riguarda il caso ucraino, avevamo indicato che una soluzione potrebbe venire dal riconoscimento del carattere europeo di Russia e Turchia, il che porterebbe automaticamente a un ruolo centrale dell’ Ucraina, e conseguentemente al venir meno della conflittualità fra questi tre poli.

Qualcosa di analogo potrebbe avvenite anche con Israele, nell’ ambito di una “Magna Europa” fondata, non già come l’Occidente attuale, sulle religioni secolarizzate, bensì sul ritorno all’humus culturale comune dell’ “Epoca Assiale” (cfr. Simone Weil, Saint-Exupéry, Eisenstadt, Eliade, Assmann, Frankopan).

 
 
 
 
 
 

4.Urgenza della riforma delle Organizzazioni Internazionali

Come scrivevamo, la pace e la Fine della Storia erano state da sempre al centro degli sforzi per la creazione di un’ organizzazione internazionale, a partire dal trattato per la “Pax Aeterna” fra l’Impero romano e quello partico, per passare al “Landfridt” della Dieta di Worms, continuando con il Nouveau Cynée di Emeric Crucé e il Trattato per la Pace Perpetua di Saint-Pierre, con i suoi commenti da parte dei grandi illuministi, fino alla Santa Alleanza e alle conferenze per  la Pace di fine ‘800. Tutti questi movimenti non arrestarono minimamente le moltissime guerre degli ultimi due millenni. Men che mai a ciò servirono la Società delle Nazioni e le Nazioni Unite.

Infatti, premesso che un certo grado di conflittualità è inevitabile se si vuole  evitare un totalitario potere mondiale (lo Stato Mondiale di Juenger), un certo qual controllo di tale conflittualità è possibile solo se : (i) si accetta un certo grado di imperfezione delle cose umane; (ii)si mettono sul tavolo le reali cause dei conflitti.

Non per nulla l’attuale situazione è nata dal fallimento della pretesa internazionalistica del bolscevismo, e dalla conseguente sostituzione dell’URSS con la Comunità di Stati Indipendenti (tutt’ora viva e vegeta).

Orbene, oggi, quelle due condizioni non sembrano soddisfatte.

Quanto alla prima, tutti, compresi i promotori di un nuovo ordine mondiale (tranne la Cina), si propongono quali portatori di un’idea salvifica millenaristica di ordinamento internazionale, quand’anche differente tanto da quella sovietica, quanto  da quella americana.

Quanto alla seconda, nessuno sta  considerando che la reale causa dei conflitti, seppure parziali, in corso, risale alla pretesa occidentale di creare un potere mondiale unitario, pretesa contestata dalle altre parti del mondo. Prima di iniziare l’Operazione Militare Speciale, la Russia e la Cina avevano espresso chiaramente questo loro obiettivo di sventare il progetto americano di “Fine della Storia” attraverso la creazione di nuovi “paesi satelliti”, come l’Ucraina e Taiwan, destinati a corrodere l’identità di Russia e Cina, per sostituirle con piccoli Stati teleguidati dall’ Occidente (come accaduto per esempio con i Baltici o con l’Iraq “cantonalizzato”).

Andare incontro alle esigenze di tutti significa invece riconoscere Cina, Russia, Iran, Corea del Nord (ma anche India, Brasile, Cuba), come interlocutori pienamente legittimi e “di pari grado”, senza progettare la loro distruzione e sostituzione con nuovi Stati “rivoluzionari”, come faceva a suo tempo l’URSS.

Più in generale, i conflitti nel mondo si potranno almeno attutire quando tutte le grandi aree del mondo possederanno un loro ecosistema digitale autonomo, corrispondente alla loro specifica identità, e non potranno più, di conseguenza, essere controllati centralmente a distanza da Salt Lake City, dalla Silicon Valley o da Langley.

L’allargamento  dei BRICS a inizio 2024 verso Iran, Etiopia, Egitto ed EAU e il vertice dei BRICS, attualmente in corso a Kazan’, iniziano a configurare, nella pratica, la visione cinese di una coalizione di stati capaci di sfidare l’egemonia occidentale. Oggigiorno, i BRICS rappresentano il 45 percento della popolazione mondiale e una quota del Pil (PPP) che supera quella del G7. Nonostante che i BRICS, su carta, ben supportino l’agenda di Pechino,  la Cina è consapevole che, all’interno del gruppo, continuano a sussistere tensioni che potrebbero andare ad inficiare la coesione del progetto e il raggiungimento di obiettivi comuni. Paesi come India e Brasile, soprattutto, seppur partecipino attivamente alla vita dei BRICS, non mantengono le medesime posizioni anti-occidentali di Cina e Russia.

Manca però ancora un discorso culturale unificante, in grado di cogliere, pur salvaguardando la “poliedricità” del mondo, dei punti di incontro, per esempio, fra il socialismo con caratteristiche cinesi, il conservatorismo russo, il terzomondismo tradizionale, il panislamismo e l’hindutva, alla luce della transizione verso l’era delle Macchine Intelligenti.

Per questo, nessuno è stato ancora in grado di formulare proposte motivate circa la fine dei conflitti in corso, o almeno per una tregua.Per quanto riguarda il caso ucraino, avevamo indicato che una soluzione potrebbe venire dal riconoscimento del carattere europeo di Russia e Turchia, il che porterebbe automaticamente a un ruolo centrale dell’ Ucraina, e conseguentemente al venir meno della conflittualità fra questi tre poli.

Qualcosa di analogo potrebbe avvenite anche con Israele, nell’ ambito di una “Magna Europa” fondata, non già come l’Occidente attuale, sulle religioni secolarizzate, bensì sul ritorno all’humus culturale comune dell’ “Epoca Assiale” (cfr. Simone Weil, Saint-Exupéry, Eisenstadt, Eliade, Assmann, Frankopan).

 
 
 
 
 
 

DALL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE ALL’ UCRAINA: LA GUERRA CIVILE TECNOLOGICA

Uno dei pochi pregi di  questi Anni ’20 del XXI° Secolo è stato quello di aver portato in superficie le contraddizioni dell’età postmoderna, e, questo, soprattutto, nella nostra Europa:

-Prima contraddizione- la neutralità della tecnica, demitizzata dalla politicizzazione dell’ informatica

-Seconda contraddizione- la Fine della Storia, demitizzata dalla “Guerra senza Limiti”

-Terza contraddizione- la Pace Perpetua, demitizzata dalla guerra ormai millenaria in Palestina

Alla fine del secolo precedente ,era stata diffusa l’idea che l’economia sarebbe stata la forza trainante della politica, e ciò avrebbe reso la vita di tutti più semplice e pacifica. Ciò era stato interpretato,  al tempo dell’ “egemonia culturale della sinistra”, come equivalente ad un preteso “carattere irreversibile del socialismo”, in quanto il marxismo avrebbe risolto in senso materialistico l’”Enigma della Storia”; poi, dopo la caduta del Muro, come il convergere di tutto il mondo sul modello consumistico (l’”Uomo a una Dimensione”), e, infine, dopo le Guerre del Golfo, come il sigillo del prevalere definitivo del sistema occidentale: la “Fine della Storia” teorizzata dal primo Fukuyama.

Negli ultimi decenni, si è visto invece che la storia, lungi dall’essere terminata, si è messa a correre più che mai, con  l’Islam politico, la Società del Controllo Totale, il multipolarismo, i GAFAM, le guerre in Irak, Afghanistan, Georgia, Siria, Libia, Yemen, Ucraina, la Via della Seta….In questa storia rinnovata, l’informatica svolge non casualmente un ruolo centrale, con la Transizione Verde, i Droni, i Missili ipersonici, l’Intelligenza Artificiale, Echelon, Prism, Snowden, Assange, l’invasione di campo nella politica da parte di Kurzweil, Zuckerberg, Schmidt, Musk, Jack Ma…

In particolare, il  Ventunesimo si annunzia, non già come la Pace Perpetua, bensì come un secolo di conflitti immani. Avevamo infine subito per tutto questo tempo un indottrinamento martellante circa il fatto che, grazie alla IIa Guerra Mondiale, all’Alleanza Atlantica e all’ Unione Europea, saremmo alfine pervenuti a quell’era fortunata, profetizzata nell’ Apocalisse e laicizzata da Kant e da Hegel, in cui, finiti tutti i conflitti, l’unico fatto rilevante per il divenire umano sarebbe stato lo sviluppo della scienza e della tecnica (la “Posthistoire” di Kojève e di Gehlen). Invece, non solo i conflitti ancestrali, come quelli palestinese-israeliano (che ha radici nella Bibbia), indo-pakistano (dei tempi delle invasioni islamiche) e greco-turco (che risale alla caduta di Costantinopoli), non hanno cessato d’infuriare in sempre nuove forme, ma perfino nel cuore dell’Europa si è riacceso ora più che mai, prima in Transnistria e in Georgia, e,  poi in Ucraina,  uno scontro fra la Russia e l’ Occidente, che rischia, secondo le stesse dichiarazioni dei protagonisti,  di degenerare in una Terza Guerra Mondiale combattuta con armi atomiche.

Si tratta di una trasversale “guerra di religione”, fra i seguaci di un’interpretazione immanentistica e deterministica dell’Apocalisse e i sostenitori di una concezione “aperta” della storia, che si apparenta alla Seconda Lettera di San Paolo ai Tessalonicesi, ma anche alle concezioni cicliche della storia, indica e sinica. Essa può anche essere definita, come avevano scritto dei generali cinesi, come una “Guerra Senza Limiti”, combattuta in tutti i campi della convivenza umana: teologia, cultura, società, scienza, tecnica, politica, economia…ma anche “sul campo di battaglia” (per usare un termine tornato drammaticamente di moda).

Sul  “fronte europeo”  di questa guerra combattono, dunque, da un lato, l’”ideologia californiana”, sintesi fra provvidenzialismo puritano e transumanesimo (incarnatasi nella NATO e nella UE), e, dall’ altro, l’idea paolina del Katèchon, tramandataci da Ottone di Frisinga, Timoteo di Pskov, von Baader, Dostojevskij, Soloviov, Schmitt , Pietro Barcellona,  e, per ultimi, Dugin e il Patriarcato di Mosca. Esso si presenta dunque qui come una Guerra Civile, anzi, la prosecuzione  (in termini più radicali) delle due Guerre Mondiali, già definite appunto, da Ernst Nolte, come “Guerra Civile Europea”. Infatti, sono europei tanto la Russia, quanto l’Ucraina, tanto i filo-americani, quanto i “sovranisti europei”. Anche ideologicamente, vengono mobilitati Cosacchi e Chiese ortodosse, la Terza Roma e l’Europa delle Nazioni, l’ebraismo internazionale e il Parlamento europeo….

Questa paradossale coincidenza fra le due parti in conflitto, che addirittura si confondono e si scambiano i ruoli, rende questa vicenda particolarmente dolorosa. Basti ricordare come le opere letterarie classiche (Nestore di Kiev, il Canto della Schiera del Principe Igor, Mazeppa, la Fontana di Bahcisaray, Taras Bul’ba, l’Armata a Cavallo..) non facciano alcuna distinzione fra i due Paesi in guerra oggi in guerra. Oppure guardare qualche puntata del serial “Sluga Naroda”, che ha costituito la singolare “campagna elettorale” dello Zelenskij attore comico. Nel serial, tutti, a cominciare da Zelenskij stesso, allora esclusivamente russofono e perfino ignaro dell’ Ucraino, parlavano russo, e, quando qualcuno si azzardava anche soltanto a parlare con accento ucraino, veniva sbeffeggiato da tutti nella sala del Consiglio dei Ministri di Kiev.

Quella dolorosa sensazione è ancor più acuita dalla confusione che si è riscontrata all’ Europarlamento sulla votazione circa l’autorizzazione all’ Ucraina all’uso delle armi occidentali contro il territorio russo, che ha dimostrato ancora una volta, qualora ce ne fosse bisogno, che, sulle grandi questioni storiche, l’”establishment” non ha un progetto per l’ Europa, e si lascia guidare, chi dal servilismo verso gli USA, chi da un ben motivato timore per le basi americane in Italia che custodiscono bombe nucleari, chi, infine, da riflessi condizionati del tempo della Guerra Fredda.

1.Fine degli  equivoci europei

Il crollo dei tre miti, quello dell’egemonia dell’economia, quello della Fine della Storia e quello della Pace Perpetua, ha comportato automaticamente  la perdita di credibilità delle Retoriche dell’Europa quali consolidatesi dopo la caduta del Muro di Berlino. Il progetto di integrazione europea quale delineatosi nell’ immediato Dopoguerra conteneva in effetti un elevato grado di ambiguità. Da un lato, la tradizione europeistica “alta” risalente a Ippocrate, Erodoto, Strabone, Eginardo, Dante, Dubois, Podiebrad, Sully, Saint-Pierre e Coudenhove-Kalergi, che vedeva l’ Europa unita come un’esigenza permanente di carattere geopolitico (una “Translatio Imperii” parallela a quelle della Cina e dell’ India, incarnantasi nell’”Ancienne Constitution Européenne” di Tocqueville). Dall’altra, l’ideologia della Fine della Storia, incarnatasi nel messianismo persiano ed ebraico, nel provvidenzialismo imperiale romano, nel gioachimismo, nella “Dissidence of Dissent” protestante  (Anabattismo, Komensky, Puritanesimo),nella filosofia tedesca ( Kant, Hegel, Marx, Nietzsche), nel One-Worldism di Willkie e di  Benda, nella teologia materialistica di Teilhard de Chardin, nel funzionalismo di Mitrany e di Haas, nello storicismo di Kojève e perfino nel federalismo di  Spinelli e, soprattutto, di Albertini.

In una prima fase, che va dalla fondazione di Paneuropa da parte d Coudenhove Kalergi (1923) fino alla Dichiarazione di Copenhaghen del 1973 sull’Identità Europea, caratterizzato dall’ opera di Coudenhove Kalergi, Simone Weil, Duccio Galimberti, Altiero Spinelli, De Gaulle, Schuman.., le due tradizioni si erano equilibrate in un modo che tutto sommato corrispondeva alla “Ragion di Stato europea” delle Comunità Europee, stretta fra ortodossia atlantica e “modello sociale renano”.

Invece a partire dagli Anni Novanta, sotto l’influenza congiunta della “Lunga Marcia attraverso le Istituzioni” del Sessantottismo, teorizzata da Rudy Dutschke, dell’ Ideologia Californiana e del massiccio afflusso di reduci dal Socialismo Reale (come la stessa Merkel), s’impose sempre più la visione della costituenda  nuova Unione Europea quale Fine della Storia, una visione parallela all’ideologia americana della Singularity Tecnologica, ambedue eredi dell’egemonia culturale marxista, che non poteva però più coniugarsi con il blocco del Socialismo Reale.

Il confluire di queste tendenze nichilistiche stava (e sta) portando l’Umanità, e comunque, l’Occidente, verso l’autodistruzione, generata dalla sostituzione dell’uomo con le macchine, passando per il nichilismo, il moralismo, il razionalismo, l’egualitarismo, la burocrazia, il Worldwide Web, Prism, l’ideologia gender, il Manifesto Cyborg, la Società del Controllo Totale, il Pensiero Unico, il Politically Correct, la bioingegneria…Sembrava certo che, come profetizzato  da Kurzweil, l’”Ultimo Uomo” nietzscheano avrebbe passato le consegne alle “Macchine Spirituali”, vero “Uebermensch”, e queste avrebbero “deciso il destino dell’ Universo”, come scriveva, appunto, Kurzweil. Solo alcuni, isolati, autori (come Simone Weil e Pietro Barcellona ), avevano visto invece ”, sulla scia di Dostojevskij, l’ Europa quale punto di partenza per un rovesciamento della prospettiva modernistica (l’”Europa quale Katèchon).Una base, ahimè, troppo ristretta per fondarvi un vero movimento politico o anche culturale. In generale, prevaleva il pessimismo culturale (il “Mito Incapacitante”: Huxley, Asimov, Heidegger, Anders, Guénon, Evola, Zolla), finché, dal “di Fuori”, per dirla con Roberto Esposito, non sono venute le spinte che stanno sconvolgendo i termini della questione.

Il richiamo, fatto da Giorgia Meloni alla consegna del Global Citizen Award, al “Tramonto dell’ Occidente” è  quindi anacronistico. Quel celeberrimo libro di Spengler si riferiva in realtà alla fine dell’ Occidente Europeo,  che coincideva con l’inizio dell’ Occidente Americano, quale celebrato nel curriculum della Columbia University sui “Western Studies”. Il declino di oggi è invece quello dell’Occidente Americano, che, come diremo in conclusione, potrebbe essere una splendida occasione per la rinascita dell’ Occidente Europeo. Non è che gli Europei, contrariamente agli Americani,  “si vergognino delle loro tradizioni”: essi si rendono semplicemente conto che queste (eccellenza, cultura alta, differenza) non sono le stesse dell’America (egualitarismo, “midbrow”, omologazione). Mentre il “patriottismo europeo” è un sentimento costruttivo e necessario (per quanto raro, e, quasi, casuale), il preteso “patriottismo occidentale” di nuovissimo conio è una trappola, che permette agli omologatori e alle Macchine Intelligenti di calpestare le nostre identità. Quello italiano infine, non può “funzionare” nella storia se non è parte di quello europeo.

2.Le metamorfosi del “Sud del Mondo”

Nel periodo che va dalla Conquista dell’ America alla creazione dell’Unione Indiana e della Repubblica Popolare Cinese (nel 1949), i popoli del Sud del Mondo, e, più in generale, quelli “non occidentali”, avevano subito la storia in modo essenzialmente passivo, dalla festa avvelenata ordita da Pizarro contro gl’Incas (cfr. Blas Valera, Exsul Immeritus), alla Tratta Atlantica, alla distruzione delle Reducciones, al Trail of Tears, alle Guerre dell’ Oppio, all’Assedio di Delhi, allo Stato Libero del Congo, alla dissoluzione degl’imperi ottomano e russo, fino alle bombe di Hiroshima e Nagasaki.

Oggi invece essi si pongono quale elemento propulsivo della cultura e dell’economia mondiale.

E’ vero che i “14 Punti” di Wilson, la Conferenza di Baku dell’ Internazionale Comunista e la “Sfera Asiatica di Co-prosperità” del Giappone avevano già affermato il principio della decolonizzazione, ma si trattava sempre e soltanto di spinte “umanitarie” dei nuovi Stati emergenti del Nord del Mondo, per portare dalla loro parte i popoli coloniali, sostituendo, al “colonialismo” classico, il “neo-colonialismo”.

Invece, con la creazione della Unione Indiana, della Repubblica Popolare Cinese e, perché no, anche di Israele, e con il classico “Dialettica dell’ Illuminismo” di Horkheimer e Adorno,  iniziava ad affermarsi il principio della “Teshuvà” (Leo Strauss), del “ritorno” alle civiltà tradizionali. Il Mahatma Gandhi era vestito come un Sadhu dell’ India Meridionale, e usava l’arcolaio (oggi sulla bandiera dell’ India), metafora del “Cakravartin”, l’imperatore universale Hindu. La sua evoluzione ideologica era iniziata dalla lettura del Bhagavad Gita (il “Canto dell’ Illuminato” del Mahabharata); la sua prima opera programmatica, “Hind Swaraj”(“L’Indipendenza dell’ India”) partiva dal rifiuto della civiltà occidentale moderna..Anche l’inno della RPC incomincia con le parole 起来!不愿做奴隶的人= alzatevi voi che non volete essere schiavi!”

Inizia così la fase storica della vera e propria “decolonizzazione”, che avrà, come punti salienti, le rivoluzioni nazionali arabe e africane. Alla Conferenza di Bandoeng, il Sud del Mondo si identifica con i “Paesi non Allineati” e con la Cina. Tuttavia, questo movimento è ancora caratterizzato dall’ essere quei Paesi “in Via di Sviluppo”, per cui vi si destinavano programmi internazionali, appunto, di aiuto allo sviluppo. E’ solo con il crollo dell’Unione Sovietica che la Cina assurge a modello privilegiato per i Paesi non occidentali, e che la Russia intraprende un percorso di trasformazione, che la spinge,  alla fine, a porsi come  vertice ideologico del movimento di opposizione alla modernizzazione, riallacciandosi così alle tesi  di Roma “Terza Roma” e alle profezie di Soloviov sull’ Anticristo. Nello stesso tempo, l’ascesa delle “Tigri Asiatiche”, e, poi, le “Nuove della Via della Seta” promuovono il sorpasso dell’Asia sull’ America quale centro economico e tecnologico del mondo, sospingendola alla ricerca di “Valori Asiatici” comuni quale contrappeso a quelli “Occidentali”.

C’è solo da chiedersi  (come affermava alla TV russa Viaceslav Nikonov) se non sia un po’ paradossale che la Russia, il Paese nordico per eccellenza, si proponga come leader del Sud del Mondo.

La guerra generalizzata in corso in Ucraina, Medio Oriente e Sahel, che rischia in ogni momento di estendersi al Mar della Cina, e, quindi, al mondo intero, costituisce l’occasione in cui i ciascuno dei due contendenti: la NATO e il Sud Globale,  rivelano in modo palese (anche se tutt’altro che esaustivo) le loro rispettive motivazioni, che vengono ricondotte soprattutto alla “lotta per il riconoscimento”. Il “Sud Globale” contesta all’ Occidente (e soprattutto agli Stati Uniti), di pretendere,  pur rappresentando poco più del 10% della popolazione mondiale , di negare, in teoria come in pratica, ogni  legittimità alla gran varietà di culture del mondo( fra cui anche l’ Europa), considerate semplice “preistoria” dell’ America. A sua volta, l’”Occidente”, nelle sua due varianti -imperial-progressista e isolazionista-populista- insiste nel suo “eccezionalismo”(che si traduce nell’ “eccezionalimo americano”). Le “regole” tanto invocate dall’ Occidente, si rivelano essere quelle che tutelano, come ha detto Boris Johnson, l’egemonia occidentale, e vengono perciò regolarmente disattese quando a fruirne  potrebbero essere gli “altri”: pensiamo ad esempio all’ “autodeterminazione” dell’Europa dall’ America, della Catalogna dalla Spagna, del Donbass dalla Russia, della Palestina da Israele, che viene respinta quali lesione dell’ integrità territoriale di Stati sovrani nell’ ambito dell’ intoccabile Ordine Mondiale postbellico, mentre simili concetti non sono valsi per gli Stati Uniti nei confronti dell’ Inghilterra, degli Stati italiani pre-unitari invasi dal Regno di Sardegna, del Kossovo  sottratto alla Serbia, di Timor Leste e del Sudan Meridionale. Del resto, l’intero diritto internazionale si regge sulla consuetudine e, in sostanza, sul diritto del più forte (“ex facto oritur ius”). La maggior parte degli Stati del mondo è di costruzione recente, frutto di compromessi fra le Grandi Potenze e/o di atti fondativi quanto meno equivoci. Dedurne l’esistenza di altrettante “Nazioni” con una loro autonoma missione nella Storia è quindi fuorviante. Si pensi all’ indipendenza degli USA, dovuta in gran parte all’influenza della Francia di Luigi XIV, o a quella della Grecia, concordata fra Russia, Inghilterra e Stati tedeschi, e ambedue fondate su quella “sostituzione etnica” che i pretesi “sovranisti” dicono di voler oggi evitare come il fumo negli occhi.

3.La lotta per l’Intelligenza Artificiale

Della contrapposizione fra “The West and the Rest”, teorizzata già da Huntington in “Clash of Civilisations” non viene posta tuttavia in evidenza la natura più profonda: questa Guerra di Religione fra due ideologie (“democrazie” e “autocrazie”) è in realtà solo l’aspetto exoterico di un conflitto più profondo ed esistenziale, fra, da un lato,  l’Intelligenza Artificiale, e , dall’ altro le culture dell’ epoca assiale (San Jiao, Sanata Karma, cultura classica europea, Religioni del Libro, filosofie dei popoli pre-alfabetici). Infatti, l’Intelligenza Artificiale pretende oramai di costituire l’avvenire stesso del mondo, sostituendo  il mondo umano, e riallacciandosi così alle sette apocalittiche e all’ idea di un Intelletto Attivo/Spirito Assoluto/Superuomo/Punto Omega, secondo cui “L’Uomo è qualcosa che va superato”. Mentre l’”Occidente” (Teilhard de Chardin, Kurzweil) saluta questa sostituzione come il compimento di antiche profezie le varie culture del mondo non intendono affatto  essere “superate”, perché hanno, della storia, una visione ciclica (gli Eoni,il  DaTong), quando proprio non ignorano addirittura (Cinese, Giapponese) il futuro grammaticale, oppure si attengono all’ idea paolina che la Parusìa “verrà come un ladro”, e non va “accelerata”.

Giacché, come affermato da gran tempo da Vladimir Putin, “chi controlla l’intelligenza artificiale controlla il mondo”, è ovvio che questa “guerra di religione” si combatta, in modo sempre più evidente, intorno all’ Intelligenza Artificiale. Già i progetti Echelon e Prism consistevano nel tentativo dell’Intelligence Community americana di avvolgere il mondo intero in una rete digitale capace di controllare ogni singolo movimento dell’ Umanità. Con i Social Networks, questo controllo si era diffuso a livello capillare attraverso le 6 grandi multinazionali americane dell’ informatica (i GAFAM). Come reazione, da un lato la Cina aveva creato le proprie multinazionali (i BAATX, di dimensioni ancor maggiori di quelle americane), e, dall’ altro, l’Unione Europea aveva tentato di mascherare la propria assenza con la pretesa efficacia extraterritoriale del proprio diritto dell’ informatica (il GDPR, l’Artificial Intelligence Act e il Digital Service Act), che però, come hanno dimostrato le sentenze Schrems, non può funzionare    verso i GAFAM per la connivenza delle Autorità europee e nazionali con quelle americane. Del resto, il primo che abbia tentato di applicare in modo extraterritoriale il Digital Services Act una norma (per quanto assurda) del Digital Services Act (il Commissario Breton), si è dovuto dimettere nel giro di pochi giorni  denunziando un preteso complotto contro di lui di Ursula von der Leyen.

I lodevoli principi (difesa della privacy, controllo umano sull’ AI) tradotti così male nella pratica dal legislatore europeo, sono stati invece recepiti in toto dalla legislazione cinese, con la sola differenza che, giacché la legge cinese è applicabile direttamente senza sconti alle multinazionali di quel Paese, ha portato immediatamente ad un’ondata di sanzioni (il “Crackdown sui BAATX”), fino a giungere all’ arresto di Jack Ma, il carismatico guru dell’informatica cinese, ridotto a un “silent partner” dell’impero da lui creato.

A questo punto, la lotta per il controllo dell’ AI si è frazionata in molti rivoli, confondendosi da un lato con la politica interna americana (con Musk che sostiene Trump e la Commissione Europea che pretende di censurare la sua creatura X), e con la guerra in Ucraina (con Musk che prima concede Starlink all’ Ucraina, poi gliela nega), e, dall’ altra, con la politica europea (la campagna, attualmente in corso su pressione delle multinazionali e capeggiata da Mario Draghi, per alleggerire le  ,già inefficaci, norme sull’Intelligenza Artificiale, e l’ennesimo ,ma infruttuoso, rilancio, per esempio, da parte di Roberta Bria, della proposta di creare delle imprese informatiche europee –come se non esistessero già le inefficienti QWANT e GAYA-X, che occorrerebbe intanto far funzionare-).

Oggi, i GAFAM scendono nell’ arena politica  “a gamba tesa”, con Schmidt che dirige ufficialmente la loro lobby al Congresso, Altman in bilico fra gli Arabi e Macron, e Musk che “premia” Giorgia Meloni a Washington, in attesa che Trump gli affidi un incarico di governo. E ne hanno ben d’ondevisto che c’è, una qualche timida mossa da parte dell’antitrust americano che agita per l’ennesima volta lo spuntato spauracchio dello “spezzatino” di Google (cosa che si sarebbe dovuta fare da decenni). Peccato che a nessuno venga in mente di fare un vero “spezzatino” come quello attuato dalla Cina, dove, per ogni servizio reso in Occidente dai GAFAM, c’è un analogo servizio cinese reso da uno o più BAATX, ma con un maggior numero di utenti e con più concorrenza.

La Russia, anche in considerazione delle diverse dimensioni del mercato e della diversità delle lingue, ha percorso un iter intermedio.Già a partire dalla metà degli anni Novanta, essa aveva proposto agli Stati Uniti una bozza di trattato internazionale sulla sicurezza delle informazioni che fu però rifiutata da Washington, in quanto – secondo gli Americani – implicava un controllo statale sui dati nel web (cosa che per altro negli USA è continua, da parte della NSA, come sanno Snowden e Schrems). La Russia propose poi, senza successo, la stessa nozione di sicurezza delle informazioni in seno alle Nazioni Unite (da sempre schierate a fianco dei GAFAM).

Nel 2014, la Russia ha adottato una legge che obbliga tutte le aziende che operano online a mantenere e gestire i dati dei cittadini russi su server locati sul territorio nazionale.. La legge dimostra anche il crescente allineamento politico tra Russia e Cina, dopo la firma di accordi bilaterali che delineano una visione condivisa per il futuro di internet. Uno di questi è l’accordo di cooperazione sulla sicurezza internazionale delle informazioni del 2015: già allora si sottolineò l’importanza di diffondere l’idea di un “internet sovrano”.

Nel 2019,è  entrata in vigore anche una legge che vieta la diffusione online di “fake news” da parte di mezzi di comunicazione di massa e singoli cittadini, simile a quella europea che Breton ha improvvidamente tentato di applicare a Musk e a Trump. Questa stretta legislativa sulla libertà d’espressione può essere spiegata come tentativo per arginare le manifestazioni di dissenso popolare Tuttavia, la guerra in corso dimostra che il controllo su Internet serve, più che ad arginare proteste popolari, ad impedire alle piattaforme ostili di utilizzare i dati degli utenti nazionali, che sono, innanzitutto, una risorsa commerciale determinante, ma, soprattutto, forniscono dati fondamentali sulla preparazione bellica (andamento della popolazione e dell’ economia, consumo di energia e materie prime…, orientamenti dell’ opinione pubblica.. ), che permettono di orientare le azioni belliche nella guerra in corso.

Nonostante questo, la legge russa non prevede ,come quella cinese,  l’isolamento totale dell’ internet nazionale da quello occidentale (e questa può essere la ragione di varie “débacles” nell’ Operazione Militare Speciale, dovute alla cooperazione delle intelligence occidentali), bensì si limita a porre in essere le condizioni per staccarsene in caso di emergenza. Paradossalmente, questa completa frattura non si è ancora verificata, forse perché (anche a causa delle dimensioni del mercato) le piattaforme russe non sono in grado di soddisfare tutte le esigenze degli utenti locali. La collaborazione con la Cina potrebbe colmare questa lacuna.

4.Le Grandi Piattaforme (GAFAM e BAATX) non sono imprese, bensì Stati totalitari

Nei giorni scorsi, il “team” di Facebook ha rimosso un articolo pubblicato sul sito “Nessun dorma” di Franco Cardini e, appunto, condiviso sulla sua pagina social. Franco Cardini ha risposto che “La motivazione iniziale – ‘il post non rispetta gli standard della community’ – risponde al solito refrain di una piattaforma che spesso non si fa scrupoli nel rimuovere contenuti “scomodi” che non rispondono al pensiero unico ma all’opinione individuale, “libera”, espressa altresì in modo civile. Forse nessuno di noi ha ancora veramente capito in cosa consistano ‘gli standard della community’ e quali siano le circumnavigazioni algoritmiche che decidono di rimuovere un contenuto senza troppi complimenti. “

Sul fatto che le piattaforme digitali siano un fenomeno abnorme, che stravolge tutti i concetti sui quali si sono basati fino ad oggi diritto ed economia, sono oramai d’accordo tutti, perfino l’FMI, che suggerisce agli USA di dare più spazio all’ antitrust, imbavagliato da quando, essendo caduto, nel 1989, il Muro di Berlino, i GAFAM hanno potuto esercitare senza limiti (anche e soprattutto a vantaggio della NSA) i loro poteri esorbitanti.

Come ha scritto su Milano Finanza Emilio Cavano, “abbiamo creato mostri. E’ tempo di arginarli.”

Nessuno, per altro, si è curato di descrivere nel dettaglio tutti i settori in cui l’informatica è determinante, e quindi i tipi di diritto con cui dovrebbe venire in contatto, e da cui dovrebbe, ma non viene , essere regolato. Tentiamo qui di farlo noi:

AREE DI ATTIVITA UMANERUOLO ATTUALE DEI GAFAMDIRITTO APPLICABILE
ReligioneLa religione della tecnologia si è sostituita, come previsto da Saint-Simon e Teilhard de Chardin, a quelle tradizionaliDiritto costituzionale. Diritto ecclesiastico
CulturaL’Intelligenza Artificiale si è sostituita a quella umanaDiritto dei mezzi di comunicazione
PoliticaIl web è il principale canale di dibattitoDiritto costituzionale
DifesaL’IT è essenzialmente spionaggioDiritto sul segreto militare Diritto penale militare
EconomiaI GAFAM sono le imprese con il maggior livello di capitalizzazioneLegislazione di banca e borsa Antitrust
FiscalitàI GAFAM sfuggono quasi completamente al fiscoDiritto fiscale internazionale
Liberà di espressioneIl web, divenuto il più importante mezzo di comunicazione, condiziona pesantemente l’opinione pubblicaLegislazione sulla stampa, la censura e le elezioni

E’ impressionante che tutti i politici europei e nazionali intrattengano rapporti strettissimi con i guru dei GAFAM, che palesemente sfruttano il mercato europeo senza dare nulla in cambio, sottraendo all’ Europa  miliardi di dati dei cittadini europei, senza mai neanche porsi la questione che invece si pongono a ragione le autorità cinesi e perfino americane, vale a dire che quei guru contano molto più di loro e hanno assoggettato i loro Stati ad una vera e propria tutela. Una tutela totalitaria, perché essa non ammette concorrenza: si infiltrano nelle nostre menti, le controllano e le censurano, e, comunque, spostano inimmaginabili flussi finanziari fuori dai nostri Paesi.

L’idea che la tecnica sia “neutra” è smentita dai fatti: i guru dell’ informatica sono  dichiaratamente partigiani di una visione del mondo millenaristica, e costituiscono, con le loro idee, le loro alleanze, i loro soldi, le loro lobbies, le loro macchine, dei portatori potentissimi delle ideologie postumanistiche.

5.L’obiettivo dell’ Europa, ma anche delle Nazioni Unite, non può essere la Pace Perpetua

L’esperienza storica dimostra che il conflitto è coessenziale all’Umanità, come affermavano già Eraclito, Bertran de Borns, De Maistre, Nietzsche e Freud. Abolire l’alterità equivale ad abolire l’Umanità, come ben sapeva lo stesso Kant, a torto indicato come il cantore della “Pace Perpetua”. Infatti, come scriveva lo stesso Kant, non si può “raddrizzare il legno storto dell’ Umanità” (Isaiah Berlin). Proprio questo costituisce infatti la Hybris, fonte prima dell’ Eterogenesi dei Fini (Wolff), in forza della quale i comportamenti umani sortiscono normalmente l’effetto opposto a quello perseguito dai loro autori. Ciò che i Greci chiamavano “fthonos ton theon”(“invidia degli Dei”), la stessa che, nella mitologia mesopotamica e nella Bibbia, aveva provocato il Diluvio Universale, e che oggi si manifesta nelle nevrosi, nella disoccupazione tecnologica, nelle Macchine Intelligenti e nella minaccia atomica. Esempio tipico, il tentativo di Serse, descritto da Erodoto nelle sue Storie, di portare la Persia, con la conquista dell’intera Europa, a “confinare con il regno degli Dei”. Una pretesa millenaristica  del mazdeismo ereditata, in Europa, non già dalle culture classiche, bensì dalle eresie delle Religioni del Libro, alle quali si è riallacciata la Modernità.

Per questo motivo, il “Patto per il Futuro” delle Nazioni Unite, appena adottato al Palazzo di Vetro con l’opposizione della Russia e dei suoi alleati e con l’astensione della Cina, suona come l’ennesima kafkiana “grida manzoniana” in un momento in cui centinaia di migliaia di soldati combattono su sempre nuovi fronti e gragnuole di missili, droni e altre armi intelligenti radono al suolo interi Paesi (come la Palestina, il Libano e il Donbass), mentre le potenze nucleari si minacciano reciprocamente l’uso dell’ arma nucleare. Basti, per convincersene, scorrere alcuni paragrafi del documento allegati al presente post.Questo, in palese contrasto con quanto affermato da Giorgia Meloni, che le organizzazioni internazionali non devono costituire un club dove si redigono “documenti inutili”.

Le Organizzazioni Internazionali, e perfino le Chiese, non raggiungeranno nessuno dei loro obiettivi fintantoché seguiranno la retorica di un mondo perfetto, mentre potranno invece essere determinanti se si renderanno conto che, oggi più che mai,  l’obiettivo primario, comune a tutti, è quello di sopravvivere (alla fame, alle bombe, alle macchine intelligenti): obiettivo per altro brillantemente conseguito per molti millenni grazie alle culture tradizionali, e che rischia di andare perduto a causa della frenesia perfettistica imperante, che andrebbe stroncata alla base, con una dottrina totalmente opposta.

6.L’Europa  deve passare dal campo dei fanatici millenaristi a quello della preservazione del Cosmo

Dalla più tenera infanzia, eravamo stati educati a credere a una Grande Narrazione occidentale che partiva dalla centralità del materialismo volgare rivestito di un moralismo ipocrita (la Prima Repubblica, le Comunità Europee); ci spiegava che la Storia è un faticoso percorso dalla scimmia al Superuomo (la “Teoria dello Sviluppo”); che i popoli antichi ed extraeuropei erano arretrati (Fukuyama); che i Moderni e gli Americani sono superiori (Huntington), e che il futuro dell’ Umanità sarebbe stato radioso (Teilhard de Chardin, Kurzweil). Se ci si provava ad obiettare che , mentre noi oggi siamo divenuti incapaci di creare (in tutti i sensi)perché le macchine ci hanno sostituiti,   gli antichi avevano le piramidi e Gilgamesh, il Partenone e Omero, la Bibbia e il Colosseo, l’esercito di Terracotta e il Genji Monogatari, l’Alhambra e la Divina Commedia, l’Ermitage e i Sepolcri, tutti ti “saltavano addosso” in nome del Progresso. Ora, un po’ meno.

Oggi, questa Grande Narrazione si presenta nella sua forma più pura, quella dello “Scontro di Civiltà” teorizzato nel secolo scorso da Samuel Huntigton. Un blocco di parole d’ordine ”auf  nichts gestellt”, per dirla con Goethe,cioè di  assai dubbio significato, messe insieme e ripetute maniacalmente per dare una fittizia illusione di realtà e coerenza: Centralità dell’ Uomo, Libertà, Democrazia, Governo delle Regole, Nazione, Autodeterminazione, Integrità Territoriale, Comunità Internazionale, Multilateralismo.

Ammesso che  avessero originariamente un senso reale, l’hanno perduto con la Guerra Fredda, il crollo dell’ URSS, l’informatica, le Covert Operations…

Oggi, invece, l’”establishment” dovrebbe addirittura esercitare una radicale autocritica, constatando che la scienza moderna ha distrutto la fede nel mondo obiettivo (Wittgenstein, Heisenberg, De Finetti, Feierabend); che lo sviluppo della cultura comporta anche la crescita della violenza (Auschwitz, Hiroshima, Nagasaki); che la tecnologia non sa più come ovviare ai suoi “effetti collaterali” (surriscaldamento atmosferico); che Internet  ci rende stupidi (Nicholas Carr); che l’obiettivo dell’ Intelligenza Artificiale è la distruzione dell’ Umanità (Bill Joy, Martin Rees). Contrariamente a quanto scrive Ezio Mauro su “La Repubblica”, non solo, nel “sistema occidentale”, non siamo mai stati liberi, ma tanto meno lo siamo ora nell’ Era delle Macchine Intelligenti. E’ vero che, come scrive Mauro, l’Intelligenza Artificiale e la guerra stanno anche stravolgendo concetti che parevano consolidati – nel caso specifico, quello di libertà-. Ma questo stravolgimento era in corso da gran tempo nella cultura “mainstream”, per esempio con l’attribuzione di  una connotazione di libertà a delle Rivoluzioni Atlantiche violente e genocidarie (pensiamo al colonnello Lynch, alle stragi di Lione); a movimenti nazionali non condivisi ed invece eterodiretti, per esempio dal Governo inglese, dalla Loggia Ausonia, dai finanziamenti occidentali a Mussolini…

A partire dalla Rivoluzione Americana e fino ad oggi,  veniva considerato ovvio che qualunque impegno civico, a sinistra come a destra, fosse volto verso una “società ideale”, con più etica, più cultura, più scienza, più tecnica, più benessere per tutti (il “mondo migliore” a cui ha fatto riferimento ancor ieri a Washington Giorgia Meloni). Oggi, l’impegno civico presuppone invece una scelta, pro o contro un “nuovismo” privo di logica e di progetto, e comunque deve dare la priorità alla reale preservazione del cosmo, senza retoriche “gride manzoniane” che nascondono soltanto una generale complicità con l’avanzata della Società del Controllo Totale.

Giustamente, Giorgia Meloni ha affermato che occorre invece agire. Combattere per la libertà europea è cetamente, oggi,più necessario che mai, ma ciò non significa certo appiattirsi sugli ordini da Occidente per fare la “guerra contro le autocrazie”, bensì elaborare una strategia con cui l’Europa possa uscire da questa guerra come indipendente da tutte le potenze esterne, divenendo essa stessa un autonomo Stato-Civiltà, capace di dare il proprio contributo, innanzitutto intellettuale, alla lotta mondiale attualmente in corso per il controllo sulle Macchine Intelligenti e, quindi, per la sopravvivenza dell’ Umanità.

ALLEGATO

ESTRATTO DAL “PATTO PER IL FUTURO”DELLE NAZIONI UNITE

“Action 21. We will adapt peace operations to better respond to existing

challenges and new realities.

42. United Nations peace operations, understood as peacekeeping

operations and special political missions, are critical tools to maintain

international peace and security. They face increasingly complex challenges

and urgently need to adapt, taking into account the needs of all Member States

and troop- and police-contributing countries, and the priorities and

responsibilities of host countries. Peace operations can only succeed when

political solutions are actively pursued and they have predictable, adequat e

and sustained financing. We reaffirm the importance of enhanced

collaboration between the United Nations and regional and subregional

organizations, in particular the African Union, including their peace support

operations and peace enforcement authorized by the Security Council to

maintain or restore international peace and security. We decide to:

(a) Call on the Security Council to ensure that peace operations are

anchored in and guided by political strategies, deployed with clear, sequenced

and prioritized mandates that are realistic and achievable, exit strategies and

viable transition plans, and as part of a comprehensive approach to sustaining

peace in full compliance with international law and the Charter;

(b) Request the Secretary-General to undertake a review on the future

of all forms of United Nations peace operations, taking into account lessons

learned from previous and ongoing reform processes, and provide strategic

and action-oriented recommendations for the consideration of Member

States on how the United Nations toolbox can be adapted to meet evolving

needs, to allow for more agile, tailored responses to existing, emerging and

future challenges;

18

(c) Ensure that peace operations engage at the earliest possible stage

in planning transitions with host countries, the United Nations country team

and relevant national stakeholders;

(d) Take concrete steps to ensure the safety and security of the

personnel of peace operations and improve their access to health facilities,

including mental health services;

(e) Ensure that peacekeeping operations and peace support

operations, including peace enforcement, authorized by the Security Council

are accompanied by an inclusive political strategy and other non -military

approaches and address the root causes of conflict;

(f) Encourage the Secretary-General to convene regular high-level

meetings with relevant regional organizations to discuss matters pertaining

to peace operations, peacebuilding and conflicts;

(g) Ensure adequate, predictable and sustainable financing for African

Union-led peace support operations mandated by the Security Council in line

with Security Council resolution 2719 (2023) of 21 December 2023.

Action 22. We will address the serious impact of threats to maritime

security and safety.

43. We recognize the need to address the serious impact of threats to

maritime security and safety. All efforts to address threats to maritime

security and safety must be carried out in accordance with international law,

including particularly as reflected in the principles embodied in the Charter of

the United Nations and the 1982 United Nations Convention on the Law of the

Sea,13 taking into account other relevant instruments that are consistent with

the Convention. We decide to:

(a) Enhance international cooperation and engagement at the global,

regional, subregional and bilateral levels to combat all threats to maritime

security and safety, in accordance with international law;

(b) Promote information-sharing among States and capacity-building

to detect, prevent and suppress such threats in accordance with international

law.

Action 23. We will pursue a future free from terrorism.

44. We strongly condemn terrorism in all its forms and manifestations

committed by whomever, wherever, whenever. We reaffirm that all terrorist

acts are criminal and unjustifiable regardless of their motivation or how their

perpetrators may seek to justify them. We highlight the importance of putting

measures in place to counter the dissemination of terrorist propaganda,

preventing and suppressing the flow of financing and material means for

terrorist activities, as well as recruitment activities of terrori st organizations.

We reaffirm that terrorism and violent extremism conducive to terrorism

cannot and should not be associated with any religion, civilization or ethnic

group. We will redouble our efforts to address the conditions conducive to the

spread of terrorism, prevent and combat terrorism, build States’ capacity to

prevent and combat terrorism and strengthen the role of the United Nations

system. The promotion and protection of international law, including

international humanitarian law and international human rights law, and

respect for human rights for all and the rule of law are the fundamental basis

__________________

13 United Nations, Treaty Series, vol. 1833, No. 31363.

19

of the fight against terrorism and violent extremism conducive to terrorism.

We decide to:

(a) Implement a whole-of-government and whole-of-society approach

to prevent and combat terrorism and violent extremism conducive to

terrorism, including by addressing the drivers of terrorism, in accordance with

international law;

(b) Address the threat posed by the misuse of new and emerging

technologies, including digital technologies and financial instruments, for

terrorist purposes;

(c) Enhance coordination of the United Nations counter -terrorism

efforts and cooperation between the United Nations and relevant regional and

subregional organizations to prevent and combat terrorism in accordance

with international law, while considering revitalizing efforts towards the

conclusion of a comprehensive convention on international terrorism.

Action 24. We will prevent and combat transnational organized crime and

related illicit financial flows.

45. Transnational organized crime and related illicit financial flows can pose

a serious threat to international peace and security, human rights and

sustainable development, including through the possible links that can exist

in some cases between transnational organized crime and terrorist groups.

We decide to:

(a) Scale up efforts in addressing transnational organized crime and

related illicit financial flows through comprehensive strategies, including

prevention, early detection, investigation, protection and law enforcement,

tackling the drivers, and engagement with relevant stakeholders;

(b) Strengthen international cooperation to prevent and combat

transnational organized crime in all its forms, including when committed

through the use of information and communications technology systems, and

we welcome the elaboration of the draft United Nations Convention against

Cybercrime.

Action 25. We will advance the goal of a world free of nuclear weapons.

46. A nuclear war would visit devastation upon all humankind and we must

make every effort to avert the danger of such a war, bearing in mind that “a

nuclear war cannot be won and must never be fought”. We will uphold our

respective obligations and commitments. We reiterate our deep concern over

the state of nuclear disarmament. We reaffirm the inalienable right of all

countries to develop research, production and use of nuclear energy for

peaceful purposes without discrimination, in conformity with their r espective

obligations. We decide to:

(a) Recommit to the goal of the total elimination of nuclear weapons;

(b) Recognize that, while the final objective of the efforts of all States

should continue to be general and complete disarmament under effective

international control, the immediate goal is elimination of the danger of a

nuclear war and implementation of measures to avoid an arms race and clear

the path towards lasting peace;

(c) Honour and respect all existing security assurances undertaken,

including in connection with the treaties and relevant protocols of nuclear –

weapon-free zones and their associated assurances against the use or threat

of use of nuclear weapons;

20

(d) Commit to strengthening the disarmament and non-proliferation

architecture and work to prevent any erosion of existing international norms

and take all possible steps to prevent nuclear war;

(e) Seek to accelerate the full and effective implementation of

respective nuclear disarmament and non-proliferation obligations and

commitments, including by adhering to relevant international legal

instruments and through the pursuit of nuclear-weapon-free zones to enhance

international peace and security and the achievement of a nuclear -weaponfree

world.

Action 26. We will uphold our disarmament obligations and commitments.

47. We express our serious concern at the increasing number of actions that

are contrary to existing international norms and non -compliance with

obligations in the field of disarmament, arms control and non -proliferation.

We will respect international law that applies to weapons, means and methods

of warfare, and support progressive efforts to effectively eradicate the illicit

trade in arms. We recognize the importance of maintaining and strengthening

the role of the United Nations disarmament machinery. An y use of chemical

and biological weapons by anyone, anywhere and under any circumstances is

unacceptable. We call for full compliance with and implementation of relevant

treaties. We reaffirm our shared determination to exclude completely the

possibility of biological agents and toxins being used as weapons and to

strengthen the Convention on the Prohibition of the Development, Production

and Stockpiling of Bacteriological (Biological) and Toxin Weapons and on

Their Destruction.14 We decide to:

(a) Revitalize the role of the United Nations in the field of disarmament,

including by recommending that the General Assembly pursue work that could

support preparation of a fourth special session devoted to disarmament

(SSOD-IV);

(b) Pursue a world free from chemical and biological weapons and

ensure that those responsible for any use of these weapons are identified and

held accountable;

(c) Address emerging and evolving biological risks through improving

processes to anticipate, prevent, coordinate and prepare for such risks,

whether caused by natural, accidental or deliberate release of biological

agents;

(d) Identify, examine and develop effective measures, including

possible legally binding measures, to strengthen and institutionalize

international norms and instruments against the development, production,

acquisition, transfer, stockpiling, retention and use of biological agents and

toxins as weapons;

(e) Strengthen measures to prevent the acquisition of weapons of

mass destruction by non-State actors;

(f) Redouble our efforts to implement our respective obligations under

relevant international instruments to prohibit or restrict conventional weapons

due to their humanitarian impact and take steps to promote all relevant

aspects of mine action;

(g) Strengthen our national and international efforts to combat, prevent

and eradicate the illicit trade in small arms and light weapons in all its aspects;

__________________

14 Ibid., vol. 1015, No. 14860.

21

(h) Address existing gaps in through-life conventional ammunition

management to reduce the dual risks of unplanned conventional ammunition

explosions and the diversion and illicit trafficking of conventional ammunition

to unauthorized recipients, including to criminals, organized criminal groups

and terrorists.

Action 27. We will seize the opportunities associated with new and

emerging technologies and address the potential risks posed by their

misuse.

48. We recognize that rapid technological change presents opportunities

and risks to our collective efforts to maintain international peace and security.

International law, including the Charter, will guide our approach to addressing

these risks. We decide to:

(a) Advance further measures and appropriate international

negotiations to prevent an arms race in outer space in all its aspects, which

engage all relevant stakeholders, consistent with the provisions of the Treaty

on Principles Governing the Activities of States in the Exploration and Use of

Outer Space, including the Moon and Other Celestial Bodies; 15

(b) Advance with urgency discussions on lethal autonomous weapons

systems through the Group of Governmental Experts on Emerging

Technologies in the Area of Lethal Autonomous Weapons Systems with the

aim to develop an instrument, without prejudging its nature, and other possible

measures to address emerging technologies in the area of lethal autonomous

weapons systems, recognizing that international humanitarian law continues

to apply fully to all weapons systems, including the potential development and

use of lethal autonomous weapons systems;

(c) Enhance international cooperation and capacity-building efforts in

order to bridge the digital divides and ensure that all States can safely and

securely seize the benefits of digital technologies;

(d) Continue to assess the existing and potential risks associated with

the military applications of artificial intelligence and the possible

opportunities throughout their life cycle, in consultation with relevant

stakeholders;

(e) Request the Secretary-General to continue to update Member

States on new and emerging technologies through the report of the Secretary-

General on current developments in science and technology and their

potential impact on international security and disarmament efforts.

III. Science, technology and innovation and digital cooperation

49. Science, technology and innovation have the potential to accelerate the

realization of the aspirations of the United Nations across all three pillars of its

work. We will only realize this potential through international cooperation to

harness the benefits and take bold, ambitious and decisive steps to bridge the

growing divide within and between developed and developing countries and

accelerate progress on the 2030 Agenda. Billions of people, especially in

developing countries, do not have meaningful access to critical life-changing

technologies. If we are to make good on our promise to leave no one behind,

sharing science, technology and innovation is essential. Innovations and

scientific breakthrough that can make our planet more sustainable and our

__________________

15 Ibid., vol. 610, No. 8843.

22

countries more prosperous and resilient should be affordable and accessible to

all.

50. At the same time, we must responsibly manage the potential risks posed

by science and technology, in particular the ways in which science, technology

and innovation can perpetuate and deepen divides, in particular the gender

gap and patterns of discrimination and inequality within and between

countries and adversely impact the enjoyment of human rights and progress

on sustainable development. We will deepen our partnerships with relevant

stakeholders, especially the international financial institutions, the private

sector, the technical and academic communities and civil society, and we will

ensure that science, technology and innovation is a catalyst for a more

inclusive, equitable, sustainable and prosperous world for all, in which all

human rights are fully respected.

51. Digital and emerging technologies, including artificial intelligence, play a

significant role as enablers of sustainable development and are dramatically

changing our world. They offer huge potential for progress for the benefit of

people and planet today and in the future. We are determined to realize this

potential and manage the risks through enhanced international cooperation,

engagement with relevant stakeholders, and by promoting an inclusive,

responsible and sustainable digital future. We have an nexed a Global Digital

Compact to this Pact in this regard.

Action 28. We will seize the opportunities presented by science, technology

and innovation for the benefit of people and planet.

52. We will be guided by the principles of equity and solidarity, and promote

the responsible and ethical use of science, technology and innovation. We

decide to:

(a) Foster and promote an open, fair and inclusive environment for

scientific and technological development and cooperation worldwide,

including through actively building trust in science and global collaboration on

innovation;

(b) Increase the use of science, scientific knowledge and scientific

evidence in policymaking and ensure that complex global challenges are

addressed through interdisciplinary collaboration;

(c) Encourage talent mobility and circulation, including through

educational programmes, and support developing countries to retain talent

and prevent a brain drain while providing suitable educational and working

conditions and opportunities for the workforce.”

IL NUOVO MEMORANDUM ITALIA-CINA

E IL CONGRESSO DI FILOSOFIA DI ROMA

Una volta si chiamava “la politica dei due forni”, quella che il Governo italiano adottava con l’America e con l’Europa. Assecondando l’una o l’altra a seconda dei casi. Oggi, quando la UE, abbandonate le velleità golliste, giscardiane, mitterrandiane e macroniane “prima maniera”, si è allineata completamente con gli USA, il “secondo forno” è costituito sempre più dalla Cina, I rapporti con la quale sono soggetti ai molteplici umori della politica americana, e, di riflesso, europea. Invece, una politica europea di largo respiro verso la Cina non la coltiva nessuno. D’altronde, questo ha radici lontane, dall’ esaurirsi delle missioni in Cina del Patriarca Rabban, di Giovanni di Montecorvino, dei  Gesuiti, che denotano tutte un’incapacità, una carenza, a pensare in grande.

La recente visita di Giorgia Meloni a Pechino, per “ricucire lo strappo con la Cina” si colloca in quella collaudata tradizione italiana (e democristiana). La quale ha fatto scuola in Europa e nel mondo, tanto che si può dire che il “sovranismo” s’identifichi sempre più con questo atteggiamento. Ungheria e Turchia, ma anche Brasile, India, Argentina, Arabia Saudita e Filippine, si distinguono in questo gioco, l’unico che, in un mondo dominato dalle grandi potenze, possa dare un po’ a tutti la possibilità di far valere le proprie ragioni. Ed è questo, per oggi, in pratica, il maggior vantaggio del multipolarismo.

Tuttavia, nel caso dell’ Italia, l’oscillazione in corso, fra il rigetto della Via della Seta e il rinnovato attivismo filo-cinese, è stata veramente repentina e inaspettata.

1.Lo “spirito della Via della Seta”

Lo  “Spirito della Via della Seta”, citato la Li Qiang e Xi Jinping   negl’incontri della settimana scorsa coincide sostanzialmente con il multipolarismo. Su casi concreti, come l’auto elettrica, significa mantenere in piedi  l’apertura dei commerci fra Est e Ovest, quella  che aveva portato alla creazione del WTO e all’ adesione, allo stesso, di Russia e Cina.

Esso non coincide, come invece ha detto qualcuno, con “un progetto di espansione mondiale della Cina”. Infatti, la “Via della Seta” o come veniva chiamata in un lontano passato (“Via Regia” o “Periplum Maris Indici”) non era mai stata un’esclusiva della Cina, bensì coinvolgeva altrettanto le Repubbliche Marinare italiane, gl’ imperi Persiano e  Bizantino, i potentati mussulmani ed indiani, l’Asia Centrale e il Sud-Est Asiatico (tutte le terre visitate da Marco Polo e dai Gesuiti, oltre che da tanti altri viaggiatori cristiani, buddisti, manichei, mussulmani e  cinesi), sì che i suoi punti centrali erano Damasco, Samarcanda, Musiris, Mahabalipuram, Malacca….

Tra parentesi, ai nostri giorni, l’idea di una “Nuova Via della Seta” l’aveva lanciata Hillary Clinton nel 2010.Tuttavia, essa era stata lasciata cadere poco dopo dall’ America, e la Cina se n’era quindi impossessata con gran fragore e grandi investimenti, a partire da un famoso discorso di Xi Jinping nel 2013.

Il concetto centrale delle “Nuove Vie della Seta” è che, dopo lo stallo conseguente all’invasione occidentale, nell’ Ottocento,  di Siberia, India e Cina, l’asse centrale del commercio mondiale  dovrebbe tornare a posizionarsi, nel XXI° secolo,  in Asia, dove viveva (e ancor vivono) i 2/3 della popolazione mondiale. Di questo si erano accorti appunto gli Americani, e per questo avevano abbandonato l’idea della Via della Seta e scoraggiato i loro alleati a parteciparvi, perché uno spostamento dell’asse dei commerci internazionali, da chiunque realizzato,  non potrà non comportare anche un mutamento dei rapporti di forza fra modernità occidentale, nuovo confucianesimo, hindutva e islam. L’allontanarsi dell’Asia dal Marxismo non ha comportato, come sperato in Occidente,  l’accettazione dell’egemonia americana, bensì la rinascita delle rispettive culture pre-rivoluzionarie, cosa che invece l’Europa non ha potuto conseguire perché ingabbiata nell’ Occidente.

 Di qui il primo voltafaccia italiano (l’abbandono del primo Memorandum con la Cina), che oggi viene a sua volta rinnegato.

La giustificazione ufficiosa era stata che, mentre il progetto dell’Occidente, alla caduta del Muro di Berlino, era quello di “assorbire” gradualmente l’ex blocco socialista, paese per paese, fino a inglobare la Cina nel sistema di potere americano-centrico, ci si era presto accorti che l’introduzione, nel sistema cinese, di elementi occidentali, lungi dallo scardinarlo, lo rafforzava. Le trattative fra i vertici degli Stati potevano essere condotte meglio da un Paese a partito unico che da un sistema decentrato come l’Occidente; le enormi imprese cinesi potevano competere molto efficacemente sui mercati mondiali con le multinazionali americane;  gli start-upper cinesi avevano più sostegno da parte del PCC di quanto ne avessero quelli americani dall’ ARPA e dalla finanza di Wall Street; c’erano più intellettuali anglo-americani affascinati dal confucianesimo che intellettuali cinesi filo-americani; infine, la Cina ha un mercato in crescita di un miliardo e mezzo di lavoratori e  consumatori, il cui accesso è diventato un’esigenza vitale per le imprese occidentali.

Questo è ciò che Americani e Europei chiamano “concorrenza sleale”. Ma perché mai, se un Paese ha un sistema più efficiente nel commercio internazionale, dovrebbe modificarlo per rendersi impotente nella competizione mondiale? E perché l’Italia avrebbe dovuto risentirsi di questo tipo di concorrenza, che danneggia semmai l’economia americana, ma non la nostra?

Oggi, si accusa la Cina di una nuova colpa che tale non è: la sovrapproduzione. La Cina produrrebbe di più di quanto essa sia in grado di consumare. Ma ciò è sempre stato, perché essa è, come l’Italia, un Paese esportatore. E c’è di più. La sovracapacità della Cina è semplicemente l’effetto del “signoraggio del dollaro”. Essendo (ancora) il dollaro la valuta internazionale di riserva e di scambio, nulla di più facile per il Governo americano che stampare sempre più dollari per permettere agli Americani di comprare sempre più merci dai Paesi esportatori, e, in primis, dalla Cina, mantenendo, così, a spese degli altri Paesi, un tenore di vita particolarmente dispendioso, e non sostenuto dalla loro economia reale. Inoltre, il deficit commerciale degli USA è un comodo strumento di ricatto verso i Paesi esportatori, perché un’eventuale riduzione di questo deficit significa indebolimento delle economie dei Paesi esportatori. La via di uscita dal deficit commerciale degli Stati Uniti verso la Cina (e il resto del mondo) sta comunque già delineandosi: è la “de-dollarizzazione”, che, togliendo al dollaro il signoraggio, ridurrà gli Usa a un Paese fra gli altri, costringendo il suo Governo a una politica di austerità e gli Americani a una drastica riduzione del loro tenore di vita, con il corrispondente innalzamento di quello dei partner commerciali degli USA, che potranno finalmente permettersi di comprare le sovracapacità dei Paesi esportatori. Di qui la radicalizzazione della politica americana, non avvezza a “tirare una coperta troppo corta”.

2.Dazi e sanzioni non funzionano

Da quando, all’inizio di questo secolo, si era vista quella formidabile espansione dell’economia cinese, era partita una corsa per ideare e imporre soluzioni di vertice atte a frenare la naturale espansione delle idee, delle politiche, dell’economia e delle imprese cinesi, mediante il “decoupling”, il “re-shoring” e il “friend-shoring”. Si era incominciato ipotizzando di  scavalcare il WTO, organizzazione universale delle Nazioni Unite, con due minori associazioni “regionali”, il TFF per l’Occidente e il TIFF per l’Asia-Pacifico, che lasciassero fuori la Cina e la Russia. Quelle due organizzazioni, imposte con trattative segrete, furono bocciate, prima ancora che dai Cinesi, dal mondo imprenditoriale occidentale, che non accettava di vedere la propria libertà di commercio coartata per ambizioni geopolitiche.

Si passò allora ai dazi. Tuttavia, le concomitanti crisi georgiana e ucraina, con le loro sanzioni nei confronti della Russia, offrirono in realtà enormi spazi di mercato alla Cina, per la vendita di beni di consumo, gli investimenti e l’importazione di materie prime, in sostituzione di quelli occidentali.

Adesso, ci si sta rendendo conto che frenare l’ascesa, almeno economica, di un Paese di un miliardo e mezzo di abitanti, non travolto dalle continue crisi che coinvolgono buona parte del mondo, non è materialmente possibile. Ma poi perché la si dovrebbe frenare? Ammesso e non concesso che ne abbiano qualche vantaggio gli Americani, che vantaggio ne avremmo noi Europei, che, da quando siamo prigionieri del nostro cantuccio atlantico, siamo in un’ interminabile fase di sostanziale stagnazione?

Quindi, nuova corsa: questa volta, a riaprire il dialogo.

3.Un nuovo orientamento dell’ Italia?

Così, bene sta facendo il Governo a “ricucire” ciò che aveva esso stesso strappato (cioè il Memorandum sulla Via della Seta). Tanto più che ne è andato di mezzo il nostro sistema industriale, che non ha mai accettato l’esclusione dalla nostra rete delle tecnologie 6G, quasi-monopolio di aziende cinesi, e che si sta sforzando di attirare un investimento cinese nell’automotive per compensare le défaillances di Stellantis. La quale a sua volta ha appena iniziato l’ importazione delle auto elettriche della partner cinese Leapmotors.

Si tratterebbe di uno stabilimento in grado di realizzare 100mila auto in un anno, il primo completamente cinese in Italia (aggirando così i dazi e i divieti europei di incentivi).E, quasi come una beffa, questo produttore sarebbe un (quasi ex) socio di Stellantis, che potrebbe rilevare l’ex stabilimento Maserati di Grugliasco, o insediarsi nella ex Olivetti dell’italo-cinese Professor Chu. Dongfeng è un’azienda a totale capitale pubblico cinese, di Wuhan, ed è fra i partner dell’italiana DR (De Risio), che rimarchia e commercializza auto cinesi in Europa (di recente anche con il marchio Tiger). Ma soprattutto, è socia di Stellantis. Dieci anni fa, difatti, la Dongfeng (una forza produttiva di un paio di milioni di veicoli in patria) fu fra i protagonisti della ricapitalizzazione di PSA Peugeot, arrivando ad averne il 14%. Quota poi ridottasi con Stellantis, ma tutt’ora esistente anche se a poco più dell’1,5%. Per il riacquisto delle sue azioni Stellantis ha già pagato un miliardo e c’era l’intenzione, con l’ultimo buyback in corso, di liberarsi dell’ingombrante partner, soprattutto avendo ormai in corso la Joint Venture con Leapmotor.

In realtà, gli Europei avrebbero tutto l’interesse a non associarsi alla suicida politica americana dei dazi sulle auto elettriche, e a  favorire la propria crescita attraverso imprese congiunte con i Cinesi (che è stata la politica tradizionale dei grandi marchi tedeschi).

Inoltre, restano più vivi che mai tutti i legami storici e culturali, da Marco Polo a Matteo Ricci, ma anche da Leibniz a Voltaire, fra Italia (ed Europa) e Cina,  due antichi imperi aventi tutto l’interesse a ricreare un nuovo multipolarismo di civiltà tradizionali, come ai tempi della Via della Seta. Il termine non piace in Occidente proprio per questo: perché si richiama a un tempo in cui gli Stati Uniti neppure erano concepibili, e invece Cina e India, Islam e Europa, dominavano la scena internazionale.

Sembra che ora, nell’ incertezza dei rapporti con gli USA e con la UE,  il Governo italiano si stia orientando proprio in tal senso, proponendo perfino l’Italia,  sulla scia di Orbàn, quale “ponte” fra la UE e la Cina. Il che, nell’interpretazione dei Cinesi, equivale a una partecipazione informale alla Via della Seta. Ma allora, come lamenta Giuseppe Conte, perché è stato abbandonato il vecchio Memorandum che diceva le stesse cose? Oggi, l’Italia ha portato a casa una serie di accordi bilaterali funzionali al business ma rischiosi per tutti quei settori che da sempre sono considerati più sensibili nel rapporto tra Italia e Stati Uniti, oggetto di attenzioni speciali dell’UE, e più in generale nelle relazioni atlantiche. Il nuovo Memorandum, che sostituisce quello lasciato cadere, parla infatti di cose altrettanto, se non più, concrete, come l’automotive  e l’intelligenza artificiale (i BAATX).Solo attraverso una cooperazione con la Cina potrebbero nascere delle multinazionali a base italiana ed europea nel campo dell’ informatica, che gli USA temono come la peste, come dimostrato dal caso Olivetti, il cui braccio destro, il Professor Chu, era, guarda caso, italo-cinese. Inutilmente la Commissione, per frenare le avances italiane, richiama la competenza europea in materia di commercio con l’estero, quando essa non ha fatto che eseguire i diktat degli Stati Uniti, e nessuno, tanto meno la Francia e la Germania, ha accettato sue ingerenze nei loro rapporti con la Cina.

Purtroppo, sono proprio quei Paesi, grandi investitori in Cina, a dover ora implementare, loro malgrado, le imposizioni europee sui dazi. Il che ne renderà la realizzazione impossibile.

Pe questo, in realtà, i messaggi dall’incontro Xi-Meloni valgono per tutti gli Europei, che non potranno rilanciare la loro economia se non con delle joint ventures paritetiche con le multinazionali cinesi, come da noi a  suo tempo suggerito con “L’Europa corre sulle Vie della Seta”.Proprio per questo, insieme alla premier, sono andati in Cina i leader delle maggiori imprese italiane, ben intenzionate a sfruttare questa finestra di opportunità.

Si sta forse realizzando quanto da noi suggerito con il volume Da Qin?

Come ha detto Xi Jinping, occorrerebbe però, da parte italiana, una maggiore sincerità. Infatti, le cose scritte in questo articolo le sanno tutti, o almeno nel mondo politico e nei ministeri, ma invece si preferisce trincerarsi dietro bugie diplomatiche, quali quelle della “concorrenza sleale” e della “sovracapacità”.

In particolare, le collaborazioni industriali con la Cina dovrebbero partire dal riconoscimento dell’arretratezza tecnologica europea derivante dalle forme attuali di collaborazione all’interno del sistema economico occidentale (e in primis nel settore digitale, e in generale nella alte tecnologie), che potrà essere superato solo con una reale volontà di fare concorrenza alle multinazionali americane.

4.Il Congresso Mondiale di Filosofia a Roma  e la Via della Seta Culturale

Come ha commentato alla televisione l’ambasciatore italiano a Pechino, Ambrosetti,  in occasione della mostra di Pechino su Marco Polo inaugurata dalla premier, se si vuole commerciare, bisogna innanzitutto intendersi. Si impone dunque innanzitutto una Via della Seta Culturale, che è la più difficile da realizzare, perché equivale alla negazione del sistema concettuale dell’ Occidente.

In questo campo, l’arretratezza degli Europei è abissale. Non solo per via dell’ignoranza generalizzata sulla storia, la geografia, le culture e le lingue dell’ Asia, bensì anche per l’arroganza che ha sempre caratterizzato l’”establishment” occidentale, dall’ “Esquisse” di Condorcet, alla Fenomenologia dello Spirito di Hegel,  alle “Leaves of Grass” di Whitman,  fino all’idea del primo Fukuyama di una  “Fine della Storia” con la vittoria finale dell’American Creed – tutte fondate sull’ idea hegeliana che le culture medio-orientali, indiane e cinesi rappresentino delle fasi “superate” della “Storia Universale”-.

Non a caso il Congresso Internazionale di Filosofia, che si è aperto (guarda caso) a Roma ha per titolo”La filosofia attraverso i confini”, partendo dal documento “Convivialità e dialogo fra i popoli. Termine, “Convivialità” , che ricorda da vicino la “Sobornost’”, che è lo slogan del cristianesimo ortodosso russo. ”(cfr. Solomon e Higgins, From Africa to Zen).

Tuttavia, anche gl’intellettuali “mainstream” che inneggiano alla multiculturalità non sono immuni da profondi retaggi dell’”arroganza romano-germanica” (cfr.Trubeckoj, “Europa e Umanità”), quali, ad esempio, la sostanziale riduzione della realtà al mondo empirico, la pretesa di una logica universale, che in realtà è ricalcata su quella, rigidissima, delle lingue occidentali ribattezzate da qualcuno come “nostratiche”, la centralità della politica, che riduce la filosofia ad ideologia, il mito del progresso…Intanto, la “cancel culture” che era partita come  un attacco all’ egemonia WASP nella cultura americana, sta finendo  per colpire anche la cultura europea, e addirittura, a ben guardare, quelle afro-asiatiche, accusate di misticismo, patriarcato, autoritarismo. In tale modo, non si riesce in alcun modo a mettersi nei panni degli altri, bensì si continua ad ergersi sul proprio piedestallo ideologico.

Al contrario, l’insegnamento stesso della filosofia non potrebbe più farsi se non in stretta connessione con la filologia generale e comparata. Infatti, una cosa è il pensiero fondato su sistemi alfabetici, che riproducono i suoni, e altro è una filosofia fondata su una scrittura pittografica, che passa immediatamente dal simbolo al concetto, scavalcando le questioni di grammatica, sintassi e pronunzia, potendo così accomunare le logiche di civiltà così diverse come quelle cinese, coreana, giapponese e vietnamita. Quindi, occorrerebbe invertire le basi stesse dello studio “delle filosofie”, partendo, per esempio, dai “Jiaguwen”, i 230 “radicali” che rappresentano le “idee primordiali” delle civiltà siniche e costituiscono gli elementi costitutivi dei 30.000 caratteri cinesi.

Giustamente Roberto Esposito ha criticato su La Stampa anche l’utilizzo ormai assorbente dell’ Inglese anche nella filosofia comparata (che porta ad un’ulteriore banalizzazione del fatto linguistico).Ma la soluzione non è, a nostro avviso,  un utilizzo indiscriminato della traduzione, che sta diventando per necessità traduzione automatica, bensì nel dovuto accoppiamento fra una cultura linguistica comparata e l’uso intelligente della traduzione automatica resa possibile dall’ Intelligenza Artificiale, che renderà inutile una “lingua veicolare” e rivaluterà tutte le grandi lingue storiche di cultura (Latino, Greco, Ebraico, Arabo, Persiano, Sanscrito, Tamil, Ge’ez, Cinese Classico, Giapponese Classico), nelle quali gl’intellettuali potranno ricominciare a scrivere e a parlare, disponendo di linguaggi più adeguati per i concetti astratti.

Non c’ è dunque una sola “storia della filosofia” (come si insegna nei nostri licei), bensì un “grappolo” di storie della filosofia (quelle “occidentali”: greco-cristiana-moderna, ebraica, islamiche, russo-ortodosse, americane;  quelle “siniche”-le “San Jiao” taoista, confuciana, buddhista-; quelle “indiche”: buddhist e indù; quelle “africane”; quelle pre-colombiane e indigenistiche; quelle pre-alfabetiche).

Quando la cultura europea ha voluto esprimere la sua disperazione per il vuoto creato dagli eccessi del progressismo, essa si è sempre rivolta all’ Oriente (“Il Vero Significato del Signore del Cielo” di Matteo Ricci, i “Novissima Sinica” di Leibniz, il “Rescrit de l’Empereur de la Chine” di Voltaire, il “Westöstlicher Diwan” di Goethe, il “Mondo come Volontà e Rappresentazione” di Schopenhauer, la “ Crisi del Mondo moderno ” di Guénon, la “Waste Land” di Eliot, il “Cammino del Cinabro” di Evola, la “Citadelle” di Saint-Exupéry). I “Conservatori Europei” di oggi, se vogliono costruire credibilmente un’“altra Europa”, non possono certo ignorare questa realtà, che, storicamente, i loro antenati erano stati i primi a individuare. A buon senso, non si può pretendere ch’ essi avallino oltre un certo limite la “cancel culture” della “sinistra bianca” (“Bai Zuo”, cfr:: “La falsa moralità della sinistra bianca occidentale e gli scienziati patriottici”, su “Renren”), che ha trovato espressione, per esempio, nell’ inaugurazione dei Giochi Olimpici di Parigi, mettendosi, con ciò, contro la cultura confuciana dell’ordine, quella indiana delle gerarchie, quella islamica della religione, quella africana e sudamericana della natura.

La riapertura del dialogo con la Cina dovrebbe servire  quindi anche e soprattutto per uscire dall’attuale crisi esistenziale dell’ Umanità (che ha come epicentri convergenti l’egemonia dei GAFAM (messa in evidenza per ultimo dalla sentenza Google e dall’invasione dell’ arena politica da parte di Musk), la “Terza Guerra Mondiale (a Pezzi”?) e la “Cancel Culture”(o “Cultura Woke”), così come raccomandato, prima di morire, da Henry Kissinger, e, più recentemente, dal Papa. In questo, l’Italia potrebbe fungere veramente da “ponte” culturale, al di là dei limiti burocratici dei Trattati Europei, anch’essi da riscriversi per esprimere la vera Identità Europea e i veri interessi dell’ Europa e del mondo (cfr. il libro “Da Qin”, da noi pubblicato nel 2018).

MAKE EUROPE GREAT AGAIN?

Avviato il Semestre Ungherese dell’ Unione.

La tanto discussa presidenza ungherese dell’ Unione per il secondo semestre del 2024 ha scelto, come proprio simbolo, il cubo di Rubik e, come slogan, il simil-trumpiano “Make Europe Great Again”. Non si vede in ciò, né nel programma per il semestre ungherese, nulla di anti-europeo, come invece vorrebbero in tanti. Anzi, sembrerebbe che il Governo ungherese voglia condurre delle tradizionali politiche europeiste, come quella per la pace, quella per la competitività globale, quella per le identità culturali e le minoranze, con pari, se non maggiore, determinazione, di altre, precedenti, presidenze.

D’altro canto, l’Ungheria ha tradizioni di “europeità” non inferiori a quelle di nessun altro Paese. Tradizionalmente, una monarchia multietnica, comprensiva di Slovacchi, Rumeni, Szekler, Turchi, Cumani, Peceneghi, Alani, Croati, Bosniaci, Dalmati, Valacchi, Ruteni, Tedeschi, Ebrei, governata da dinastie europee come gli Anjou e gli Asburgo, ha dato all’ Europa apporti culturali importanti, come Liszt e Herczeg, e ha contribuito alla caduta del sistema sovietico con la rivolta del 1956 e con le riforme del 1989.

Anche la fondazione al Parlamento Europeo di un nuovo gruppo politico sovranista con Austriaci, Sloveni e Slovacchi, da Capodistria a Uzhgorod, evoca le tradizioni pan-europee dell’ Austria-Ungheria.

“I Pagani” di Ferenc Herczeg

1.L’Europa-alternativa all’ America-

In un momento in cui gli USA difendono con le unghie e con i denti il loro eccezionalismo, la Cina pretende di divenire la prima potenza mondiale e la Russia sta combattendo da due anni una guerra fratricida pur di non essere tagliata fuori dal “Grande Gioco”, sembra assolutamente illogico che nessuna forza politica o Stato membro (salvo, solo inizialmente, Macron) abbia innalzato il vessillo di un  sovranismo europeo.

Si conferma sempre più l’impressione che l’integrazione europea, votata per primo dal Senato Americano (senatore Fulbright) e finanziata dall’ ACUE (vicino alla CIA), avesse veramente per obiettivo quello di fare accettare in modo soft il declassamento dell’Europa, soprattutto rispetto agli Stati Uniti, un declassamento profetizzato da Washington, Whitman, Mazzini, Kipling e Trockij, e realizzato in pratica con il Piano Marshall, il Sessantottismo e, in ultimo, con i GAFAM. Uno degli anelli della “ragnatela” di istituzioni guidate dall’ America (Ikenberry). La pretesa di “avere realizzato ottant’anni di pace” sarebbe dunque solo una metafora per dire che abbiamo accettato di diventare  innocui, rinunziando a una nostra propria identità.

Il problema è che non è affatto vero che l’Identità Europea sia solo una brutta copia di quella americana, così come, in fondo, ci si vorrebbe far credere. Al contrario, è l’America ad essersi allontanata nel ‘700 dal “mainstream” della millenaria cultura europea, con la sua “passione per l’ eguaglianza”, così temuta da Tocqueville, con la “Super-soul” di Emerson, anticipatrice della Singularity Tecnologica e controbilanciata dall’ Uerbermensch nietzscheano, con la sua massificazione condannata da Kafka e da Céline, con la censura ideologica smascherata da Sol’zhenitzin e da Kadaré (oggi, il Politicamente Corretto, la Cancel Culture e la cultura Woke).

D’altronde, come ricordato da Luciana Castellina in “50 anni d’Europa”, il “capitalismo europeo” si distingue da quello americano per essersi formato, come già osservava Marx nei “Grundrisse”, in un contesto non già capitalistico, bensì feudale.Nessuna contraddizione fra questa dimensione “comunitaria” e il rifiuto di quell’ approccio utopico che, mirando solo a distruggere i parametri esistenti, ha per effetto la distruzione della stessa coesione sociale.Esempio tipico, l’approccio sindacale fondato su una pretesa  “autonomia di classe”, che ha portato, in Italia, all’assenza di una solida partecipazione dei lavoratori, e, come conseguenza, alla spoliazione, da parte degli azionisti, della nostra base industriale (cfr. casi FIAT e Alitalia)

Sarebbe dunque ora che si parlasse maggiormente della sovranità europea, certo in termini militari, ma, prima ancora, in termini culturali, sociali, politici, ideologici, finanziari ed economici. Purtroppo, fino ad ora i pochi che hanno tentato questa strada, da Coudenhove Kalergi a Olivetti, da De Gaulle a  Servan-Schreiber,  hanno dovuto sempre abbandonare le loro ambizioni.

Pan-Europa del conte austro-ungarico Coudenhove Kalergi

3.Orban vs. Macron

Ciò detto, esiste una strategia orbaniana per “Make Europe Great Again”, più efficace del progetto macroniano, che sta così miseramente naufragando, e sostitutiva dello stesso? O non si tratta anche qui dell’ennesimo patetico sforzo di pochi volenterosi che si sacrificano inutilmente per una causa immaginaria, come i Ragazzi della Via Pàl?

Il programma del Secondo Semestre fa giustamente riferimento al Cubo di Rubik, che, secondo il Governo magiaro , è significativo dell’abilità ungherese nel risolvere problemi complicati (pensiamo anche alla “penna Birò”). Tuttavia, il problema è che la debolezza europea ha radici più lontane, nel rapporto irrisolto fra la “poliedricità” etnica e sociale europea (Papa Francesco) e una “Translatio Imperii” ben più evanescente del corrispondente “Tian Ming” cinese. Ancor oggi, l’eredità imperiale europea è contesa, come dopo Diocleziano,  fra l’”Impero Nascosto” americano, la Terza Roma russa, il “Mavi Vatan” turco, la pretesa di egemonia culturale “romano-germanica” di Bruxelles, e, non ultima, l’ambizione del Vaticano di rappresentare un potere universale. Per giunta, il Patriarca greco di Costantinopoli ha usato il termine “Konstantiniyye” al posto di “Istanbul”e firmando il progetto di pace ucraino usando il simbolo imperiale dell’ aquila bicipite.

Come si vede, questioni ben al di sopra delle attuali beghe fra i partiti “sovranisti” al Parlamento Europeo, che, anzi, anche per opera di Orbàn, sono oramai frammentati in ben quattro gruppi in competizione fra di loro. Come scrive La Repubblica,In questo modo svanisce il sogno di costituire un “supergruppo” di destra cui aspirava anche la premier italiana. E l’inquilina di Palazzo Chigi proverà ancora oggi a evitare la quadrupla spaccatura. Sta facendo buon viso a cattiva sorte cogliendo qualche aspetto positivo. In primo luogo allontanare il sospetto di poter essere associata al “putinismo” di Orbán. Pericolo che comprometterebbe l’unica vera bussola di Fdi in politica estera durante questi due anni, l’atlantismo.

E poi potrebbe marcare l’idea che i Conservatori essere definiti di estrema destra visto che alla loro destra ci sono altri due gruppi. Ma è solo una autoassoluzione. Resta il fatto che i sovranisti stanno perdendo la prova dell’unità e presentandosi così divisi non rappresentano nemmeno potenzialmente una alternativa.”

In realtà, l’idea stessa del “sovranismo europeo” è viziata dal richiamo a un’era mitica, che non è mai esistita. Se è chiaro che “l’America era grande” nel mondo unipolare subito dopo la caduta del Muro di Berlino, e la Cina “era grande” al tempo dell’Impero, quand’è che “l’Europa era stata grande”? Forse nella Belle Epoque, quando essa era travagliata dalle Guerre Balcaniche, la Spagna veniva sconfitta dagli USA e la Russia dal Giappone? Oppure al tempo del Maccartismo, quando semplicemente si trasformò l’industria militare dell’ Asse in industria produttrice di beni di consumo?

La nostra grandezza, se ci sarà, sarà nel futuro.

L’identità europea non è cominciata ieri

4.Le dialettiche storiche dell’ Europa

D’altronde, l’affermazione di un eccezionalismo europeo, per esempio in Nietzsche e in  Coudenhove Kalergi, è stata sempre limitata e aleatoria. Una buona base di riflessione, un punto di partenza. Certo, non un punto di arrivo. Il “Partito della Vita” di Nietzsche si perse per strada a causa della follia sopravvenuta del suo ideatore, mentre  Paneuropa perdette ogni credibilità dopo la Seconda Guerra Mondiale, venendo scavalcata dal progetto “funzionalistico” dei Governi, abilmente appropriatosi della retorica federalistica.

Una seria riaffermazione dell’Identità Europea presupporrebbe una riflessione  approfondita sulle dialettiche storiche  dell’Europa prima dell’ integrazione post-bellica, fra le radici orientali (nelle steppe e nel Medio-Oriente), e le tradizioni autoctone  dei Cacciatori-Raccoglitori e del Barbaricum, fra le “Migrazioni di Popoli” e i monoteismi mediterranei, fra la Pasionarnost’ orientale e il messianesimo occidentale.

Purtroppo, questa riflessione, avviata, nel corso del tempo, da una serie di autori, non ha avuto fino ad oggi seguito, né fra l’Intelligentija, né fra i politici, né nell’ opinione pubblica.

Kadaré ha sviluppato il rapporto fra Eschilo e l’identità europea

5.Kadaré e l’identità europea

Ad esempio, il primo giorno della presidenza ungherese è morto, quasi inosservato,  uno degli scrittori che più hanno contribuito al dibattito sull’ Identità Europea, l’albanese  Ismail Kadaré, autore, oltre che di tanti romanzi, anche di saggi come “L’identità europea degli Albanesi “ e “Eschilo il gran perdente” che ha come obiettivo quello di rintracciare la continuità fra lo spirito tragico della Grecità e la cultura popolare albanese, incentrata sui valori “tribali” della Besa (“fiducia”) e del Kanun (“legge tradizionale”).  

Si tratta di temi essenziali per l’identità europea, a cui avevamo dedicato anche il nostro libro “De Moesia et Illirico”, incentrato sulla ricerca di un’Identità Balcanica quale parte integrante ed essenziale di quella europea.

A causa del suo rapporto non facilissimo con il regime di Enver Hoxha, Kadaré era stato, e viene  tuttora descritto, come un “dissidente”, quando si dovrebbe parlare piuttosto di “emigrazione interna” come nel caso di Juenger. La realtà è che egli aveva espresso benissimo (per esempio in “Chi ha riportato Doruntina?” e “l’Inverno”) la cultura sostanzialmente nazionalista e tradizionalista della società comunista albanese, non dissimile per altro da quella di tutti gli altri regimi dell’ex blocco sovietico.

Quando Kadaré era venuto a Torino, gli avevo chiesto, paragonandolo a Sol’zhenitzin, perché, finito il socialismo reale, fossero finiti i grandi letterati dell’ Est. Nessuna risposta.

Purtroppo, il “Mainstream” attuale riesce a vedere tutti i fatti sociali solo attraverso le lenti deformanti dell’ideologia progressista-democratica, secondo cui esisterebbero  sempre e ovunque due sole posizioni: quella progressista, che vede ogni fatto umano come inserito in un progresso indefinito, dalla naturale irrazionalità,  a una fase finale retta dal razionalismo utilitaristico, che porterebbe alla fine di tutti i conflitti, ma, in realtà, consiste nel trasferimento del potere agli algoritmi, e quella dei “Conservatori”, che si sforzano inutilmente di rallentarlo, ma  alla fine restano sempre sconfitti. Tutti gli altri valori e punti di vista sono irrilevanti, e vengono schedati solo sulla base di quel metro. Così, non si comprendono i fenomeni più rilevanti della storia culturale, come, appunto, Kadaré. Il quale aveva reagito giustamente al colonialismo culturale delle critiche per la sua partecipazione al Parlamento albanese e all’ Associazione degli Scrittori.

Tanto i pretesi “Progressisti” quanto i pretesi “Conservatori” sono danneggiati da questo circolo vizioso, che non permette loro di conseguire nessuno degli obiettivi che essi sembrano proporsi, perdendo così sempre più di credibilità nei confronti degli elettori, che trovano, nell’ astensione, l’unico strumento per manifestare il loro desiderio di alternative radicali.

Come sempre, invitiamo i nostri quattro lettori a guardare al di là di questo schema semplificatore, cercando di vedere la reale complessità delle tradizioni culturali europee, come per esempio quella dei popoli pre-alfabetici, ancora presenti nelle aree uralica ed artica; dei popoli delle steppe, ai margini della Russia, dell’Ungheria, dell’ Ucraina, della Turchia; quella cattolica-romana; quella slavo-ortodossa; quella euro-islamica; quella mitteleuropea; quelle atlantica e iberica…

Alla luce di questa prospettiva, le forze che a torto o a ragione vengono considerate alternative allo stato attuale delle cose dovrebbero preoccuparsi su come divenirlo davvero, esprimendo veramente le tendenze più profonde dei nostri popoli, delusi dalle promesse di pace e prosperità dell’Occidente (l’”Alba Bugiarda”di Grey)così come dall’utopia irrealizzabile del comunismo (“il Dio che ha fallito”di Silone).

Non per riesumare, come dice il “mainstream”, il “nazifascismo”, bensì per permettere finalmente alla cultura europea di esprimere liberamente le proprie aspirazioni proibite, come nelle visioni geopolitiche eurasiatiche dei Gesuiti e di Leibniz (i “Novissima Sinica”); nella critica di Nietzsche e di Simone Weil contro la deculturazione dell’Occidente; nelle idee sociali di Toniolo, d’ Annunzio e Ugo Spirito concretizzatesi nel “Modello Renano” teorizzato da Michel Albert(la “partecipazione” , la “cogestione”)…Vedi il nostro libro “Verso le elezioni europee”.

+

Tutte cose che c’erano negli originali progetti europei, e che sono andate misteriosamente perdute per quella colpevole “Eterogenesi dei Fini”,  che dobbiamo smettere di tollerare.

IL PAPA AL G7:

l’INTELLIGENZA ARTIFICIALE: “FASCINANS ET TREMENDUM”

Il tanto atteso intervento del Papa al G7 si è mosso, almeno parzialmente, nella giusta direzione, soprattutto là dove ha abbandonato la finta neutralità dell’”establishment”, anche ecclesiale, circa l’ “algoretica”, chiarendo, al contrario,  che l’Intelligenza Artificiale è “Fascinans et tremendum”, carattere che Rudolf Otto aveva attribuito come caratteristica specifica al “Sacro”. Quindi, è emerso, anche se implicitamente, che il Papa considera l’Intelligenza Artificiale una nuova religione. Secondo il “Primo Progetto Sistemico dell’ Idealismo Tedesco (attribuito a Hoelderlin, Hegel e Schelling) la “nuova scienza” costituirebbe addirittura la trama occulta della Modernità – contendendo esso, spesso vittoriosamente, come scriveva Saint-Simon (“la Réligion de l’Humanité”) –, il ruolo ch’era stato, per molti millenni, proprio delle “religioni tradizionali”(e in primis del Cristianesimo), che avevano al loro centro una salvezza “spirituale” e individuale, non già materiale e collettiva.

In ciò consiste la “dignità di ogni singola persona”.

Oggi più che mai, alla “vulgata” del “Pensiero Unico” è sottinteso che le singole religioni (come le altre concezioni del mondo) possono coesistere pacificamente fra di loro e con la dominante “religione civile” del Progresso perché sono dei vuoti simulacri, mentre la “vera” religione della Modernità è l’adorazione della Singularity Tecnologica, il “Dio veniente” costruito dagli uomini (i “Bogostriteli” cari al primo Bolscevismo). Quando invece qualche religione, come per esempio l’Islam, pretende d’ informare di sé l’intero comportamento umano, allora scatta l’interdetto dei guardiani dell’ortodossia tecnocratica, e partono nuove guerre di religione.

Il Pontefice ha parlato del “paradigma tecnocratico” come di un pericolo, alimentato dall’ Intelligenza Artificiale, ma in realtà questo paradigma è già dominante almeno dal II° Dopoguerra, quando il mondo fu diviso fra due “blocchi” animati da due diverse, ma convergenti, ideologie materialistiche orientate allo sviluppo economico, che oggi si sono fuse nell’ ideologia “TINA” (“There is no Alternative”).

Certo, vi è un’implicita contraddizione fra il carattere deterministico delle ideologie marxista e liberista e una “dignità della persona” che presuppone il libero arbitrio della singola persona. Il pensiero cristiano, affermando come irrinunziabile la “dignità della persona”, prende  sostenzialmente posizione contro la soteriologia collettivistica e deterministica dominante , e, come tale, si espone all’interdetto dei “gatekeepers” della cultura “mainstream”.

Il Papa si pone in un certo senso ambiziosamente al centro di questo implicito conflitto,  aspirando ad esprimere alcuni principi comuni, che vadano al di là dei diversi sistemi di valori, che così possano coesistere senza confliggere fra di loro (la distinzione, fatta da Hans Kueng, per il suo Weltethos, fra “valori Spessi” e valori “Sottili”, che però restano distinti fra di loro e non si confondono con l’ossequio al determinismo tecnologico ). Concezione, quella esposta dal Papa,  che, a sua volta, costituisce il risvolto etico di quel “mondo poliedrico”, o multipolare, che paradossalmente è proprio quello contro cui il G7 di Borgo Egnazia è stato organizzato.

Quel sincretismo pontificio, per quanto equilibristico, è forse l’unica via di uscita dalla tenaglia che si è creata fra l’unica religione viva e vegeta, quella del progresso senza limiti, e la conflittualità senza fine indotta dall’assolutismo dei singoli, diversi, sistemi di valori (come accade per esempio fra islamici ed ebrei, indù e islamici e fra sunniti e sciiti).

Una precisazione doverosa ed urgente, che la cornice mondano-kitsch del G7 ha indebolito, perché, per forza di cose, il messaggio del Papa ha dovuto essere abbassato al livello degli interlocutori (non già “Grandi della Terra”, come qualcuno li aveva definiti, bensì, più appropriatamente,  “anatre azzoppate”, per dirla con l’espressione usata da pressoché tutti i commentatori). Vale la pena di ricordare il giudizio ancor più severo, per esempio, di Quirico su “La Stampa” del 15 giugno:“sono questi i Grandi della terra?Sono loro a cui affidiamo il compito di fermare il precipizio più cupo e terribile?Una Santa Alleanza di mediocri sopravvissuti all’ Ancien Régime?”Così li apostrofa, giustamente, Quirico.

L’unico che abbia portato al tavolo un problema serio, l’Intelligenza Artificiale, e lo abbia fatto in modo approfondi, è stato dunque il Papa. Ma, come dicevamo, ha dovuto misurare le parole e moderare i toni, e censurare molti temoi, per non stonare troppo nel contesto del G7.

Di conseguenza, fondamentali considerazioni sul carattere non neutrale della tecnica, nonché sulla natura  non “generativa”, bensì “imbalsamatoria” dell’ Intelligenza Artificiale, e, infine, sull’urgenza del pericolo delle armi autonome, che pure sono presenti nel discorso del Papa, non si sono potute sviluppare appieno, potendo dare agli osservatori superficiali l’impressione che si sia trattato di un’ennesima espressione delle retoriche della cultura “mainstream”, mentre questo non è stato il caso.

Ma andiamo con ordine, commentando uno per uno i punti salienti dell’intervento papale.

  1. Nessuna innovazione è neutrale (Heidegger)

Contrariamente al luogo comune secondo cui l’Intelligenza Artificiale, come ogni altra tecnologia, può essere usata tanto per il bene, quanto per il male, il Papa ha chiarito che per lui, come per Heidegger, “la Tecnica non è qualcosa di tecnico”, bensì “uno strumento sui generis”:

“La tecnologia nasce per uno scopo e, nel suo impatto con la società umana, rappresenta sempre una forma di ordine nelle relazioni sociali e una disposizione di potere, che abilita qualcuno a compiere azioni e impedisce ad altri di compierne altre. Questa costitutiva dimensione di potere della tecnologia include sempre, in una maniera più o meno esplicita, la visione del mondo di chi l’ha realizzata e sviluppata.”

Ne consegue che qualunque cosa diciamo o facciamo (o non facciamo) circa l’ Intelligenza Artificiale è una scelta politica, culturale e storica. Anche l’idea dei GAFAM di posticipare la regolamentazione internazionale, che, di fatto, equivale a permettere loro di porre gli Stati dinanzi a dei fatti compiuti determinanti sul futuro dell’ Umanità, a cominciare dalla creazione di ecosistemi bellici autonomi, di cui il Papa ha parlato espressamente. E, purtroppo, questa scelta è quella che presiede all’ andamento delle trattative sulle armi autonome, che, secondo i documenti del G7, sono state aggiornate fino al 2026.

2)Una rivoluzione ontologica

Contrariamente a quanto permesso dal contesto del G7, il Papa ha definito l’Intelligenza Artificiale come “Uno strumento affascinante e tremendo al tempo stesso ed impone una riflessione all’altezza della situazione” ponendola al centro del dibattito internazionale, e non subordinandola ad altri temi importanti ma meno urgenti, “Infatti, l’intelligenza artificiale sul futuro dell’umanità….influenzerà sempre di più il nostro modo di vivere, le nostre relazioni sociali e nel futuro persino la maniera in cui concepiamo la nostra identità di esseri umani”.

Ciò non significa che in passato l’uomo non fosse influenzato e plasmato dalle tecniche ch’egli andava creando. Secondo il Papa, che riecheggia, in ciò, il pensiero tecno-scettico di Weber, Heidegger, Anders, Gehlen (espressamente citato) e De Landa,“l’essere umano ha da sempre mantenuto una relazione con l’ambiente mediata dagli strumenti che via via produceva. Non è possibile separare la storia dell’uomo e della civilizzazione dalla storia di tali strumenti. Qualcuno ha voluto leggere in tutto ciò una sorta di mancanza, un deficit, dell’essere umano, come se, a causa di tale carenza, fosse costretto a dare vita alla tecnologia (l’uomo, quale “animale imperfetto”, cfr. Nietzsche)

In effetti, fino dalla prima antichità, gli ominidi si sono sempre distinti dai pitecantropi per la loro abilità nel costruirsi delle “protesi”, siano esse fisiche o concettuali, per confrontarsi con il mondo (cfr. Gehlen). Con il passare dei millenni, l’uomo è divenuto così ricco di protesi (utensili armi, abiti, abitazioni, linguaggi, leggi, immagini), dal divenire indistinguibile da essi (la “Gabbia di acciaio” di Weber, l’”Apparato” di Heidegger).

3. La  condizione tecno-umana

Ne consegue che, addirittura,”parlare di tecnologia è parlare di cosa significhi essere umani e quindi di quella nostra unica condizione tra libertà e responsabilità”.

Tuttavia, con l’”Intelligenza Artificiale” si crea un rapporto nuovo fra uomo e tecnica, che rende palese quanto profondamente la tecnica influenzi l’uomo: “mentre l’uso di un utensile semplice (come il coltello) è sotto il controllo dell’essere umano che lo utilizza e solo da quest’ultimo dipende un suo buon uso, l’intelligenza artificiale, invece, può adattarsi autonomamente al compito che le viene assegnato e, se progettata con questa modalità, operare scelte indipendenti dall’essere umano per raggiungere l’obiettivo prefissato.”Ciò significa che, in linea di principio, l’uomo potrebbe perdere il controllo del suo “strumento”.

4.L’Intelligenza Artificiale non è propriamente “generativa”, bensì “rafforzativa” delle situazioni esistenti.

C’è chi nega che l’Intelligenza Artificiale possa divenire veramente “autonoma”.Questa negazione persiste anche nei confronti dell’I.A. cosiddetta “generativa: “Quest’ultima, in verità, cerca nei big data delle informazioni e le confeziona nello stile che le è stato richiesto. Non sviluppa concetti o analisi nuove. Ripete quelle che trova, dando loro una forma accattivante. E più trova ripetuta una nozione o una ipotesi, più la considera legittima e valida. Più che “generativa”, essa è quindi ‘rafforzativa’, nel senso che riordina i contenuti esistenti, contribuendo a consolidarli, spesso senza controllare se contengano errori o preconcetti.”

Ma è proprio per questo ch’ essa implica il pericolo della fine dell’ umanità, perché quest’ultima ,caratterizzata dall’ imperfezione, tende sempre a qualcosa fuori di sé, mentre l’Intelligenza Artificiale tende a ripetere all’ infinito gl’ input iniziali.Il risultato è quello “di irrobustire il vantaggio di una cultura dominante, ma di minare altresì il processo educativo in nuce. L’educazione che dovrebbe fornire agli studenti la possibilità di una riflessione autentica rischia di ridursi a una ripetizione di nozioni, che verranno sempre di più valutate come inoppugnabili, semplicemente in ragione della loro continua riproposizione “.

Del resto, questo è il compito affidato alla cultura nella società post-moderna: quello di educare i cittadini al conformismo del “politically correct” ,dell’ “egemonia culturale”, della “memoria condivisa”. Come stupirci se anche l’Intelligenza Artificiale non fa che rafforzare i “bias”, i pregiudizi che essa trova nei materiali umani su cui viene “addestrata”? Perfino la legislazione che pretenderebbe di contrastare i “bias”, in realtà svolge una funzione censoria nei confronti dei punti di vista anticonformistici, rivelandosi così un potente strumento di omologazione.

Il Pontefice ne è chiaramente consapevole:“Non possiamo, quindi, nascondere il rischio concreto, poiché insito nel suo meccanismo fondamentale, che l’intelligenza artificiale limiti la visione del mondo a realtà esprimibili in numeri e racchiuse in categorie preconfezionate, estromettendo l’apporto di altre forme di verità e imponendo modelli antropologici, socio-economici e culturali uniformi.”In sostanza, l’Intelligenza Artificiale, estrapolando le soluzioni dall’ universo dato, con la sola correzione della censura imposta dagli Stati, finisce per appiattire l’umanità sul modello tecnocratico, che allinea ogni forma di conoscenza secondo categorie astratte e quantificabili, perdendo, in sostanza, l’”esprit de finesse” a vantaggio dell’ “esprit de géométrie” (Pascal).

C’è di più: essa tende anche a frustrare gli sforzi fatti da scienziati e filosofi di tener conto del superamento del materialismo volgare realizzato grazie al Principio d’Indeterminazione (cfr. Wittgenstein, Heisenberg, De Finetti, Feyerabend, Faggin).

5.No al paradigma tecnocratico

“Il paradigma tecnologico incarnato dall’intelligenza artificiale rischia allora di fare spazio a un paradigma ben più pericoloso, che ho già identificato con il nome di ‘paradigma tecnocratico’. Non possiamo permettere a uno strumento così potente e così indispensabile come l’intelligenza artificiale di rinforzare un tale paradigma, ma anzi, dobbiamo fare dell’intelligenza artificiale un baluardo proprio contro la sua espansione.”

Per questo, la disciplina dell’ I:A: costituisce il campo di battaglia di una inedita “guerra culturale”. A questo scopo serve la politica, che deve regolamentare l’ AI:“A ciò si aggiungono le strategie che mirano a indebolirla, a sostituirla con l’economia o a dominarla con qualche ideologia. E tuttavia, può funzionare il mondo senza politica? Può trovare una via efficace verso la fraternità universale e la pace sociale senza una buona politica?».

Il senso di quella regolamentazione è che“Di fronte ai prodigi delle macchine, che sembrano saper scegliere in maniera indipendente, dobbiamo aver ben chiaro che all’essere umano deve sempre rimanere la decisione, anche con i toni drammatici e urgenti con cui a volte questa si presenta nella nostra vita. Condanneremmo l’umanità a un futuro senza speranza, se sottraessimo alle persone la capacità di decidere su loro stesse e sulla loro vita condannandole a dipendere dalle scelte delle macchine. Abbiamo bisogno di garantire e tutelare uno spazio di controllo significativo dell’essere umano sul processo di scelta dei programmi di intelligenza artificiale: ne va della stessa dignità umana.”

Ma fare dell’ Intelligenza Artificiale un “baluardo” contro il “paradigma tecnocratico” significa che la Chiesa si schiera in questa “guerra culturale”, cercando di radunare intorno a se i fautori del libero arbitrio contro quelli del determinismo algoritmico.

6.Individuare  principi condivisi

In pratica, è fondata la preoccupazione, espressa da molti, che, anche grazie all’ Intelligenza Artificiale, cioè alla macchinizzazione del mondo, siamo giunti, come ha scritto Martin Reed, al Secolo Finale dell’ Umanità, perché, come voleva Guenther Anders, l’”Uomo è antiquato”. Il Papa, riallacciandosi, in ciò, alla corrente maggioritaria della tradizione cristiana, crede di doversi opporre a questa sorte (“frenare l’Apocalisse”, secondo la tradizione paolina  del “Katechon”), anche se sa che è difficile trovare un accordo su come evitarla. E, diremmo noi, anche sul se sia opportuno evitarla, come dimostrano le opere di Ray Kurzweil, e, in campo cattolico, di Teilhard de Chardin, che sono invece animate dall’ansia “chiliastica” di giungere al più presto alla Fine.

Il Papa vuole comunque tentare una conciliazione dei principi in questa materia propri alle diverse culture mondiali, partendo proprio dall’ accettazione della molteplicità delle culture (essendo fedele, in ciò, alle sue radici gesuitiche; si pensi a Matteo Ricci):“In un contesto plurale e globale, in cui si mostrano anche sensibilità diverse e gerarchie plurali nelle scale dei valori, sembrerebbe difficile trovare un’unica gerarchia di valori. Ma nell’analisi etica possiamo ricorrere anche ad altri tipi di strumenti”

Paradossalmente, in un momento e in contesto, come quello del G7, dove si continua ad affermare che i valori dominanti nel Nord-atlantico all’ inizio del  XXI siano “validi sempre e in ogni luogo”, affermare  che “possiamo ricorrere anche ad altri tipi di strumenti”è rivoluzionario

“Se facciamo fatica a definire un solo insieme di valori globali, possiamo però trovare dei principi condivisi con cui affrontare e sciogliere eventuali dilemmi o conflitti del vivere” (i “Valori spessi”, comuni a tutte le culture, che invece sono caratterizzate da quelli sottili”, cfr. Kueng).

Orbene, a nostro avviso, questo qualcosa che unisce l’Occidente dalle “radici giudaico-cristiane” con l’Islam in quanto “religione del  Libro”, così pure come con l’Asia sincretista (sciamanesimo, mazdeismo, religioni tradizionali popolari, buddhismo, induismo, taoismo, confucianesimo), e con i “popoli prealfabetici” sono le basi culturali dell’”Epoca Assiale” (Jaspers, Eisenstadt,Assmann): Lingua, scrittura, religione, città, gerarchia, imperi. Tutte le cose che definiscono “la civiltà” (perché quel che c’era prima delle lingue scritte è difficile da definire), e che sono messi in forse dalla post-modernità: culto della tecnologia, linguaggio-macchina, lettura del pensiero,  armi autonome, governo degli algoritmi, Stato mondiale.

E, difatti, fuori dell’ Occidente, si sta ricreando sotto i nostri occhi proprio un facsimile del mondo dell’ Età Assiale: “Tian Xia” in Estremo Oriente, Bharat in Asia Meridionale, Dar al-Islam in Medio Oriente, Unione Africana fra i popoli più antichi, “Patria Grande” fra i discendenti degl’Inca, dei Maya e degli Aztechi. Esse si interfacciano nel riconoscimento reciproco, come ai tempi della “Pax Aeterna” firmata nel 532 tra Giustiniano e l’imperatore persiano Cosroe, uniti, allora, salla vecchia, e, oggi,  dalle nuove vie della seta. Mancano all’ appello solo i discendenti dell’Impero Romano, divisi dalle  pretese di primato delle diverse Terze Rome: Washington, Mosca, Istanbul, forse anche Bruxelles… Il Sommo Pontefice avrebbe gli strumenti per porsi al di sopra  delle diverse versioni della “Translatio Imperii”, che sono alla base dei conflitti attualmente in corso.

Sapranno le Chiese, l’Italia, l’Europa e il mondo, allargarsi a una visione tanto ampia in questo momento di grande difficoltà, così come auspicavano già Pufendorf, Novalis e De Maistre?

6.Gli argomenti non trattati a Borgo Egnazia

Ci sono alcuni aspetti che il Papa non ha trattato o ha appena accennato, ma che sono, invece, centrali per comprendere la questione e delineare possibili soluzioni.

Innanzitutto, gl’impianti neurali, per i quali Elon Musk ha ottenuto di recente l’autorizzazione delle autorità americane, e che potrebbero portare al collegamento diretto del cervello umano con un’Intelligenza Artificiale Generale, dal quale “qualcuno” (per ora Musk, domani la NSA, dopodomani il PCC…),  potrà fare muovere l’intera Umanità come un teatro di burattini, finché questo gioco non sarà assunto definitivamente da un’”Intelligenza Artificiale Generativa” (“la Megamacchina”).

Questa innovazione annullerebbe già di per se tutto quanto è stato detto, pensato e fatto in  materia di umanità, perché, abolendo il libero arbitrio, abolirebbe anche la libertà, non solo di azione, ma perfino di pensiero. In tal modo, abolirebbe anche l’Umanità, trasformata in qualcos’altro.

In secondo luogo, le “Armi Autonome”, alle quali il Papa ha accennato, ma soltanto in modo generico, sottacendo i fatti più importanti, quelli che si sarebbero dovuti affrontare in un “G7”, o meglio in un’assise internazionale veramente rappresentativa.

In effetti, lo stesso giorno in cui si chiudeva il G7, il Governo Ucraino ha annunziato, per primo, la creazione di un esercito di automi, la FUS (“Forza dei sistemi senza umani”), al comando del colonnello Vadym Sukharevskyj.

Il problema numero uno per la regolamentazione internazionale dell’ Intelligenza Artificiale è proprio il fatto che questa viene impiegata innanzitutto a scopi bellici, ma il relativo trattato delle Nazioni Unite viene bloccato dalle Grandi Potenze con il pretesto che “Le armi Automome non esistono”- in sostanza perché, come abbiamo visto, l’Intelligenza Artificiale non è veramente “generativa”, bensì segue in ultima analisi un input umano, quand’anche molto lontano-. E, nel caso bellico, un “inpunt lontano” , come le famigerate “Leggi della Robotica” di Asimoov, equivarrebbe semplicemente a lasciare alle macchine di decidere in autonomia. Che cos’è, infatti, “il bene dell’ umanità”? E, questo, in un contesto bellico in cui, per definizione, occorre “colpire il nemico”? Come distinguere fra “armi letali” e “armi non letali”, “obiettivi legittimi” e “effetti collaterali”?

D’altronde, il massimo sistema d’ arma autonomo attualmente impiegato, il “Perimetr’” russo (in Inglese, “Dead Hand”), consiste semplicemente nell’ automatizzare il comando di distruzione totale nel caso di annientamento del comando russo. Questo sistema, lanciato dopo il fallimento del sistema semi-automatico OKO nel 1983, costituisce paradossalmente anche la maggiore remora allo scatenamento della guerra nucleare, perché garantisce ch’ essa non avrebbe vincitori (o, al massimo,  se gli USA non avessero un sistema simile vincerebbe la Russia).

In queste condizioni, come è possibile affermare che le armi autonome non esistono? Al contrario, il motivo per cui non le si vuole regolamentare è che esse svolgono una funzione essenziale nell’ equilibrio nucleare, e, per questo, paradossalmente, anche nel mantenimento della pace.

Se non si affronta questo problema, l’esistenza dell’umanità resta appesa a un filo. Per questo, Kissinger, prima di morire, aveva raccomandato a Biden e a Xi Jinping da incominciare a trattare su questo punto, perché da esso dipende l’equilibrio politico mondiale, e, di conseguenza, anche l’esito delle guerre in corso, che non finiranno fintantoché i due nuovi blocchi contrapposti che abbiamo visto a Ginevra e a Mosca non si accorderanno suuna nuova ripartizione del potere e della ricchezza a livello mondiale.

Le Nazioni Unite hanno richiesto, come previsto nelle ultime opere di Kissinger, la firma di un trattato internazionale onnicomprensivo sull’ Intelligenza Artificiale e la costituzione di un’apposita Agenzia, sul modello di quella per il disarmo nucleare..

L’ITALIA NON PUO “USCIRE DALLA VIA DELLA SETA”

(Perché ne è sempre stata parte integrante ed essenziale)

La recente notifica ufficiale, da parte dell’ Italia, dell’“uscita dell’Italia dalla Via della Seta” costituisce l’ennesimo caso di dichiarazione formale dei successivi Governi italiani che non ha avuto  alcuna portata pratica, ma è servita unicamente a scopi propagandistici (e per calmare le pressioni internazionali).

1.”YI DAI, YI LU” (“Una rotta, una Via”)

Intanto, la “Nuova Via della Seta” non è un organismo giuridico da cui si possa “uscire”, bensì una situazione di fatto, in cui, grazie all’ impegno della Cina, si stanno migliorando, dal 2013, le comunicazioni all’ interno del “Vecchio Mondo”, e, in particolare, all’ Eurasia, in modo da assecondare il rapido sviluppo delle economie est-asiatiche, con reciproco vantaggio per quelle di altre parti del mondo. Quest’ impegno della Cina, che fa parte delle politiche strategiche del Partito Comunista Cinese (che l’ha menzionato perfino nel suo statuto), non è chiamato, in Cinese, “Via della Seta”, termine inventato nell’800 dal barone prussiano von Richthofen ed utilizzato nel 2010 da Hilary Clinton per designare un progetto americano, bensì “Yi Dai, Yi Lu” (“Una Rotta, una Strada”: l’una marittima, l’altra terrestre).La Cina non nasconde gli obiettivi geopolitici del progetto, che fa parte del più articolato sforzo oggi in corso per la sostituzione, all’ attuale Ordine Mondiale incentrato sugli USA, di un nuovo ordine multipolare, intorno ai BRICS e alla Shanghai Cooperation Organisation.

Uno strumento giuridico specifico per realizzare il progetto però esiste, ed è costituito dalla Asian Infrastructure Investment Bank, con sede a Pechino, al cui capitale partecipano praticamente tutti i Paesi del mondo (ivi compresa l’Italia, e tranne gli Stati Uniti), e da cui nessuno è uscito, tanto meno l’Italia.

2.Il Memorandum of Understanding

Il Memorandum of Understanding firmato nel 2019 da Di Maio, e ora non rinnovato, aveva un contenuto puramente programmatico, ed era simile a quelli firmati da buona parte dei Paesi del mondo, con la sola importante eccezione dei più stretti alleati degli USA. Per questo la firma italiana aveva suscitato tanto scandalo, essendo esso una delle rarissime “disobbedienze”, per quanto solo formali, ai desiderata USA, come l’ormai lontana operazione di Sigonella.

Di per sé, il MOU si limitava a indicare  alcuni generici progetti comuni, divenuti poi molto meno numerosi, e  meno interessanti, nel corso delle trattative, perché i progetti più seri, per esempio, nel settore delle nuove tecnologie, erano stati tolti, dall’ Italia, dal MOU, su pressione degli Stati Uniti. Oggi, è assurdo che coloro che attaccavano il protocollo perché “pericoloso” oggi lo critichino perché  non ha raggiunto risultati apprezzabili: in primo luogo perché non era orientato all’ export, bensì allo sviluppo globale della cooperazione, e, in secondo luogo, perché è stato boicottato proprio da quegli stessi che ora o criticano. Si noti che, contemporaneamente, altri Paesi occidentali (fra i primi, la Francia), pur senza firmare un MOU, avevano avviato programmi miliardari, molto concreti, come la vendita di molti Airbus alla Cina. Affari che sono tutt’ora in corso. La Germania ha con la Cina i rapporti economici più stretti visto che le sue maggiori imprese automobilistiche sono oramai proprietarie al 100% delle loro fabbriche cinesi, e realizzano in Cina la maggior parte del loro fatturato.

Più che l’”uscita dell’ Italia dalla Via della Seta”, sono stati disturbanti, per l’economia europea, gli ostacoli generali all’ interscambio euro-cinese, come il boicottaggio della tecnologia 5G, detenuta dalla Huawei, lo scombussolamento, apportato dal legislatore italiano, agli accordo con Huawei e ai patti fra Tronchetti Provera e il socio cinese di maggioranza nella Pirelli, l’indagine, in corso, della UE sugli aiuti di Stato all’ industria automobilistica cinese (che attualmente agevolano Mercedes, BMW e Volkswagen, fondamentali produttori cinesi,  e i componentisti italiani loro fornitori), e, che possono  preludere all’ abbandono di nuovi importanti investimenti cinesi in Italia.

3.La riduzione dell’ interscambio  con l’ Est: un pericolo mortale per l’economia europea

Gli ostacoli frapposti da sempre dal Governo americano all’ interscambio dell’Europa con l’Eurasia hanno provocato, e stanno provocando, effetti catastrofici per l’Europa, che si sono fatti sentire soprattutto con l’attuale crisi dell’industria tedesca, e, di riflesso, di quella italiana. Basti pensare che noi dell’ industria europea avevamo lavorato duramente  per ben 60 anni per costruire una nostra presenza nei Paesi ex comunisti, per vedercela poi distrutta in pochi anni dai diktat americani e dalla pusillanimità dei nostri governi. Tant’è vero che la Stellantis, controllata dal Governo francese, dopo essere stata costretta anch’essa a cedere praticamente gratis ai Russi la città-fabbrica di Togliatti, costruita dalla FIAT negli anni ’60, ha deciso  recentissimamente d’invertire la rotta sulla Cina: dopo avere disdetto un preesistente accordo, ha ora costituito una joint venture per la produzione e commercializzazione di auto elettriche (in modo da mettersi al sicuro contro possibili futuri dazi e sanzioni).

Il motivo per cui l’interscambio con l’Asia condiziona così pesantemente l’economia europea è la fossilizzazione dei mercati europei, stretti fra egemonia americana, ideologie rinunciatarie, retoriche liberistiche, crisi antropologica, denatalità, bassi salari, deindustrializzazione, crisi d’identità. In questa situazione, solo gli enormi sbocchi asiatici possono riportare  nel nostro mondo stagnante  un po’ di apertura delle menti, di stimolo all’ intraprendere, di occasioni di investimento,  di sbocchi d mercato, di tecnologie avanzate, di  rinnovamento delle classi dirigenti…

L’importanza dei rapporti economici con la Cina è vitale per l’Europa soprattutto per ciò che concerne i settori di alta tecnologia, da cui l’Europa è oramai in gran parte esclusa soprattutto per il boicottaggio americano dei progetti europei, di cui gli esempi più noti sono stati  le pressioni governative (già negli anni ’60 del ‘900) per la vendita alla General Electric della divisione elettronica dell’ Olivetti,  (negli anni ’90) per la non adesione dell’ Italia all’ EADS e, negli anni 10 di questo secolo,  per il boicottaggio della Huawei. Solo la Cina è infatti disponibile a condividere con gli Europei le nuove tecnologie in  cui essa è leader (come i 5G, i cui  brevetti sono stati realizzati in gran parte a Milano), mentre gli USA hanno sempre preteso che le imprese partner o controllate non abbiano accesso alle tecnologie-chiave delle multinazionali a base USA.

Il precedente tentativo americano di una sua” Via della Seta (nel 2010, al tempo dell’ occupazione dell’ Afghanistan), e l’attuale rilancio dello stesso insieme alla Ue (nella forma della EU Connectivity Initiative) non costituiscono una credibile alternativa, perché, lanciati solo per fare concorrenza a “Yi Dai, Yi Lu”, vanno in ogni caso a favore della strategia cinese del trasferimento verso Oriente del baricentro del mondo, favorito dallo sviluppo degli investimenti e delle infrastrutture in Asia Centrale e Meridionale. Per questo motivo, è poco prevedibile che gli Occidentali continuino a sostenere questa iniziativa, che, a prescindere dai suoi finanziatori, finisce per incrementare ancor di più le vie di comunicazioni fra Europa e Cina, favorendo la concorrenza asiatica, non solo dal punto di vista commerciale, ma anche da quello finanziario e da quello ideologico, facendo rivivere i fasti millenari del commercio eurasiatico.

4.Dagli Han Anteriori ai Gesuiti

Le vie di comunicazioni fra l’Est e l’Ovest dell’ Eurasia hanno costituito da sempre l’asse centrale della civiltà.

Gli “Agricoltori Medio Orientali”, il popolo Yamnaya, i Fenici, gli Ebrei, gli Unni, i Germani, gli Avari, gli Slavi, gli Arabi, i Bulgari, i Magiari, i Qipchak, i Mongoli, i Turchi,  si sono mossi per millenni dall’ Oriente verso l’ Europa. L’Impero Persiano ha costituito un formidabile ponte fra l’Europa e il nord della Cina, creando, con la Via Regia, la prima “Via della Seta”. Già gli Han e i Tang commerciavano, per mare e per terra,  con l’Impero Romano e quello bizantino, mentre Europa, India e Cina sono state governate in gran parte da popoli centro-asiatici immigrati (Unni, Avari, Eftaliti, Tuoba, Xianbei, Turchi, Magiari, Qidan, Mongoli, Mancesi). In particolare, i Mongoli avevano conquistato quasi tutta l’ Eurasia, facendone un’unica unità economica, come ben ci racconta il Milione di Marco Polo.

Soprattutto il Cristianesimo aveva attribuito da sempre il massimo interesse alle comunicazioni con l’Oriente. Innanzitutto, erano state le Chiese Orientali (e, in primo luogo, quella siriaca di San Tommaso e quella nestoriana) a convertire ampie aree dell’Oriente (dalla Persia, al Sud dell’ India, all’Asia Centrale, alla Cina Settentrionale). Poi, vennero le missioni verso i Mongoli, di Odorico da Pordenone, Giovanni da Pian del Carpine, Marco Polo e Giovanni da Montecorvino. Infine, i Gesuiti assunsero un ruolo determinante in India, nelle Filippine, in Giappone e in Cina, divenendo consiglieri dell’ Imperatore Cinese, sviluppatori della cultura scientifica  in Cina e promotori di un trend culturale filocinese, che si svilupperà fra le corti europee (Potsdam), e fra gl’illuministi (in primo luogo, Leibniz e Voltaire).

Anche i colonialismi spagnolo, portoghese, turco, olandese, inglese e russo contribuirono potentemente all’ interscambio est-ovest (basti pensare alla Compagnia delle Indie Orientali, alla teoria ariana di Jones, all’ Impero Anglo-Indiano, al Canale di Suez, alla Transiberiana, alle ferrovie indiane, allo Shanghai Express, al Partito Comunista Cinese..).

All’ interno di questo movimento, l’Italia ha avuto un ruolo determinante, con l’ Impero Romano, la Chiesa Cattolica, le Repubbliche Marinare, gli esploratori come Marco Polo e Matteo Ricci, considerati in Cina come degli eroi nazionali, e, infine, la Turandot.

Anticamente, si considerava che le antiche Vie della Seta partissero da Xi’an  e terminassero a Roma e Venezia: le Nuove Vie partono da molte città, a Est come a Ovest.

5.L’Europa e l’espansione dei BRICS

Attualmente, i rapporti fra Europa ed Estremo Oriente sono più stretti che mai, con l’alleanza fra Cina, Russia e Iran, con le linee ferroviarie che si protendono sempre più attraverso l’Eurasia, come  quelle che arrivano in Europa, con i porti, controllati dalla Cina, di  Duisburg, Pireo, Brema, Gwadar, Hanbantota, Leam; l’alleanza con la Russia; gl’investimenti reciproci; le Chinatowns; gl’Istituti Confucio; gli accordi con il Vaticano…

Nonostante gli sforzi incessanti dell’ America per soffocare l’Asia con la censura culturale, con i dazi vessatori, con le sanzioni a raffica, con sempre nuove coalizioni militari, questi rapporti sono destinati comunque ad ampliarsi nei prossimi anni grazie al tumultuoso sviluppo in corso delle società asiatiche (la ricchezza dei BRICS, la grande città saudiana nel deserto, l’espansione demografica dell’ India e l’”indizzazione” della sua cultura, l’avanzata della Cina nell’intelligenza artificiale, nell’ auto elettrica e nell’ industria verde).

Ovviamente, non si può pensare che, se si scatenasse un’ ennesima guerra nel Mar della Cina, questi fiorenti rapporti possano restarne totalmente indenni, anche se la vicenda delle sanzioni alla Russia dimostra che, da quando i rapporti di forza reali si sono oramai invertiti, ogni tentativo di discriminare il resto del mondo si ritorce, in realtà, come un boomerang, contro l’Occidente, che oggi paga, per esempio, direttamente o indirettamente, alla Russia, una fattura petrolifera più elevata che non prima delle sanzioni. Addirittura, il grande perdente della vicenda delle sanzioni alla Russia è stata proprio l’ Europa, che paga di più il gas e il petrolio russo triangolati dall’ India e il gas americano liquefatto, mentre la Russia si è appropriata gratuitamente delle imprese abbandonate dagli Europei per rispettare le sanzioni e gl’imprenditori russi si sono scatenati nell’ “import substitution” travolgendo la proprietà intellettuale degli Europei. Esempi tipici: i marchi del lusso e l’agroalimentare, riserve tradizionali degl’Italiani.

L’Europa ha mille e un motivo per essere fermamente ostile ai presenti e futuri conflitti in Eurasia. La principale ci sembra però il fatto che la crisi della civiltà mondiale, che ha avuto come epicentro l’Europa, e, oggi, l’ America, è andata di pari passo con l’egemonia culturale occidentale, che ha portato alla mediocrità, al conformismo, alla confusione mentale, al dubbio sistematico, alla politicizzazione, al moralismo, alla crisi della volontà. Le culture occidentali, espresse nella rigida logica indoeuropea e semitico-occidentale, non sono più in grado nemmeno di pensare l’attuale mondo della complessità (pensiamo anche soltanto al principio di indeterminazione e alla logica quantistica).Perciò, l’Europa non può più fare a meno delle culture orientali per rileggere la propria identità prima che sia troppo tardi. Lo dicevano già i Gesuiti, Fenollosa, Pannwitz, Jung, Pound, Guénon, Simone Weil ed  Evola, e oa lo dicono Panikkar e Frankopan. L’Europa deve apprendere dall’ Oriente l’arte del paradosso, dell’atemporalità, del sincretismo, dell’armonia.

Invece, gli autori e i politici del “mainstream”, che, a parole, esaltano il multiculturalismo, non solo alimentano l’isteria contro i “pericoli” islamico, russo e cinese, ma neppure hanno mai fatto il minimo sforzo per comprendere “dal di dentro” le singole culture dell’ Eurasia, che non possono essere valutate solo in base a formulette politiche. Non è semplicemente più ammissibile che ci parlino “ex cathedra” dell’ Islam, della Russia o della Cina personaggi che non ne sanno proprio nulla,  e ciononostante si permettono perfino di giudicarle, e addirittura di promuovere, in base ai loro pregiudizi, sempre nuovi,  catastrofici, conflitti.

Invece, solo con l’aiuto delle culture, e degli Stati, “orientali”, l’Europa potrebbe sottrarsi al destino, oggi segnato,  di soccombere  alla catastrofe che attende l’Occidente con la Terza Guerra Mondiale e l’avvento delle Macchine Intelligenti (cfr. il nostro libro “Da Qin”).

PROPOSTE DEL MOVIMENTO EUROPEO PER LA PACE IN UCRAINA

PROPOSTE DEL MOVIMENTO EUROPEO PER LA PACE IN UCRAINA

Riportiamo qui di seguito le proposte di cui sopra, con in seguito un nostro commento:

“Noi riteniamo che l’Unione europea, confermando il pieno sostegno all’Ucraina nella difesa della sua libertà e del diritto all’ inviolabilità del suo territorio insieme all’impegno alla ricostruzione del paese, dovrebbe iniziare a riflettere sulle ipotesi per un avvio di un dialogo indispensabile al raggiungimento di un “cessate il fuoco” e poi dell’inizio di un processo che porti ad una pace duratura ai suoi confini essendo chiaro che la definizione delle condizioni per un accordo appartengono in primo luogo alle autorità  dell’Ucraina e cioè al suo governo e al suo parlamento che sarà rinnovato nelle elezioni legislative che avranno luogo entro l’estate del 2024.

A nostro avviso le ipotesi per l’avvio del dialogo dovrebbero essere basate sui seguenti cinque elementi che potrebbero costituire un embrione di un “piano di pace” dell’Unione europea inserito nel quadro di una visione complessiva della cooperazione e della sicurezza sul continente che potrebbe assumere la forma di un accordo o di un trattato che si ispiri al metodo dei negoziati che condussero nel 1975 alla Dichiarazione di Helsinki e poi nel 1990 alla Carta di Parigi:

  –   La garanzia della integrità territoriale e della inviolabilità delle frontiere dell’Ucraina definite in occasione della sua indipendenza nel 1991 alla caduta dell’Unione Sovietica;

  –  L’attribuzione alle regioni di Donec’kLuhans’k e della Crimea dell’autonomia secondo un modello federale e ispirandosi all’esempio degli accordi De Gasperi-Gruber applicati all’Alto Adige con l’Accordo di Parigi del 5 settembre 1946;

  –   L’adesione dell’Ucraina all’Unione europea al termine dei negoziati di adesione, sulla base delle condizioni stabilite dall’art. 49 del Trattato sull’Unione europea e nel quadro del processo di allargamento ai paesi candidati dei Balcani Occidentali e dell’Europa orientale (Moldavia e Georgia) che prevede:

  • l’accettazione piena e integrale dei principi contenuti nel preambolo del Trattato di Lisbona ivi compreso il processo di una unione sempre più stretta le cui basi dovranno essere gettate entro la prossima legislatura europea superando lo stesso Trattato di Lisbona secondo un metodo democratico costituente,
  • il rispetto dei valori comuni definiti nell’art. 2 e dello Stato di diritto insieme al primato del diritto dell’Unione,
  • il principio della cooperazione leale previsto dall’art. 4 del Trattato sull’Unione europea e della solidarietà previsto dagli articoli 80 e 222 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea,
  • l’adesione alla Carta dei diritti fondamentali,
  • e l’applicazione dell’art. 42.7 che prevede l’aiuto e l’assistenza degli Stati membri ad uno Stato oggetto di una aggressione armata sul suo territorio conformemente all’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite.

  –   L’applicazione all’Ucraina delle stesse condizioni di neutralità adottate al tempo dell’adesione dell’Austria all’Unione europea nel 1995.

  –   In questo spirito e in questa logica la decisione di escludere l’adesione dell’Ucraina alla Organizzazione dell’Atlantico del Nord e alle sue strutture militari.

Questi elementi dovrebbero essere presentati dall’Alto Rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite secondo l’art. 34.2 del Trattato sull’Unione europea, al Vertice della Nato di Vilnius e al Vertice dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa associandoli alla richiesta di convocare una Conferenza ispirata agli Accordi di Helsinki del 1975 e alla Carta di Parigi del 1990.”

COMMENTI DELL’ ASSOCIAZIONE DIÀLEXIS

Intanto, complimenti al Movimento Europeo per avere ideato soluzioni fuori del coro, senza timore per l’impopolarità. Pur non essendo, ovviamente, soluzioni perfette (perchè concepite come proposte interlocutorie), potrebbero costituire un anticipo di soluzioni più complete e radicali (cfr. punto 2).Quest’idea non appare irrealistica dopo il conferimento da parte del Vaticano del mandato di mediatore a Monsignor Zuppi e con l’avvicinarsi delle elezioni americane.

1.I veri obiettivi delle parti in causa

Il problema è che, come affermato ufficialmente da Russia e Cina prima dell’ avvio dell’ “Operazione Speciale”, l’obiettivo di questa non era tanto o soltanto quello di difendere la Crimea e il Donbass, oggetto dal 2014 di un tentativo di recupero da parte dell’  Ucraina, territori  e che, dopo i referendum e l’incorporazione nella Federazione Russa, devono essere difesi per legge, bensì un nuovo sistema  globale di sicurezza mondiale, fuori dell’egemonia degli USA, che, a loro avviso, starebbero cercando di “strangolare” (con le sanzioni e con l’accerchiamento militare) i Paesi eurasiatici e di impedire le Nuove Vie della Seta in un momento in cui le dinamiche storiche, economiche e politiche, starebbero ponendole al centro della storia. Del resto, gli ultimatum scritti di Lavrov NON erano indirizzati all’Ucraina, bensì a USA e UE,  e vi si chiedeva di confermare per iscritto quelle garanzie “di non allargamento” che Baker  avrebbe promesso a Gorbaciov.

E’ difficile che Russia e Cina desistano dalla “guerra senza limiti”  per ridimensionare l’America, e per garantirsi così la libertà di passaggio negli stretti asiatici ed europei, vitale per il loro sviluppo economico. A meno che America e UE non firmino delle garanzie a questo proposito, come richiesto nel 2021.

Altrettanto difficile che l’America accetti senza colpo ferire di rinunziare alla sua attuale posizione privilegiata (la “Trappola di Tucidide”). Il vertice di Hiroshima non fa che “fotografare” questo scontro in tutta la sua intensità. Le dichiarazioni rese da di Giorgia Meloni sono illuminanti circa gli obiettivi occidentali al vertice.

Indubbiamente, s’imporrebbe anche, come richiesto dal Movimento Europeo,  la rivalutazione in grande scala del concetto di “neutralità” (di tipo “austriaco”, cioè garantita internazionalmente), che dovrebbe estendersi a tutti i territori controversi, ovunque si trovino (per esempio, ai Balcani Occidentali e Caucaso).

Per ciò che riguarda l’Ucraina, la questione delle autonomie territoriali e culturali dovrebbe coinvolgere, a nostro parere, l’intero territorio (come voleva il Partito delle Regioni di Janukovski, che non per nulla era stato deposto con la forza). Infatti, l’Ucraina, come e più degli altri Stati Europei, è una costruzione recente e artificiale (come ad esempio anche il Belgio e la Grecia). Pensiamo a quali forzature sono state fatte per creare la Grecia che conosciamo (di cui, secondo il Fallmerayer, nel 1821, la metà della popolazione non era greca, e fu grecizzata con la forza, così come l’Ucraina viene ora “ucrainizzata”  a viva forza).

L’Ucraina dovrebbe essere, come si diceva un tempo, “federalizzata” sul modello belga (comunità francofona, comunità fiamminga, comunità germanofona, Bruxelles capitale). Così, in Ucraina, vi sarebbero una comunità russofona, una ucrainofona, una rumena, una ungherese, una rutena, e una Kiev capitale…

Ma, più in generale, almeno un terzo dell’ Europa (dall’ Irlanda, alla Scozia, alla Spagna, al Benelux, ai Balcani, alla Turchia, per non parlare dell’ Europa Orientale) dovrebbe costituire una serie di “Territori Federali”, non aggregati a nessuno “Stato Nazionale”. Solo così si garantirebbe la vera identità di quei territori (la Celtia, la Franconia,  i Pirenei, la Macroregione Danubiana, quella baltica, quella caucasica).

Ancora più in generale, lo Stato Nazionale non è l’unità di base ideale di un’ Europa Unita, come ben vedeva per esempio il Federalismo Integrale. Le fantasmatiche “Macroregioni” ed “Euroregioni” corrisponderebbero molto meglio alle identità storiche degli Europei e a una distruzione razional delle competenze in una “multi-level governance”.

Poi, occorrerebbe ricomporre, con questi tasselli, il puzzle di un’ Europa veramente unita e forte sulla scena internazionale.

Infine, la UE dovrebbe concedere di più all’ Est Europa. Il Socialismo Reale non è stato abbattuto dalle Comunità Europee, né dalla NATO, né da Washington, bensì dai Talibani, da Solidarnosc, da Papa Wojtyla, da Gorbaciov e da Eltsin. I loro valori, diversi, debbono entrare a fare parte della cultura comune. I popoli europei orientali si sentono frustrati dall’ essere considerati come dei questuanti e degli eterni imputati. Per questo, si buttano sulle loro glorie passate.

Occorre anche trasferire un po’ di istituzioni a Est (in un domani anche a Kiev, Mosca e San Pietroburgo).

2.Una vera pace (o tregua) fra le Grandi Potenze, può essere basata solo sull’ equilibrio nella intelligenza artificiale.

Però, una vera pace (o almeno tregua),anche per l’Ucraina,  potrebbe farsi solo fra USA, Cina e Russia, e riguardare, come ha detto Kissinger, più che questioni territoriali (forse insolubili), innanzitutto la regolamentazione internazionale dell’Intelligenza Artificiale, che oramai comanda le armi nucleari e la gestione strategica delle guerre (“Hair Trigger Alert”, “Dead Hand”, militarizzazione dello spazio, Cyberguerra). Basti pensare al recentissimo scontro nei cieli di Kiev fra i missili “intelligenti” Patriot e Kinzhal, basato sulla capacità di intercettazione e/o distruzione del sistema avversario.

Come oramai affermano concordemente tutti i grandi esperti di informatica, bloccare l’intelligenza artificiale è il massimo  problema comune dell’ Umanità. La guerra è infatti  lo strumento di cui l’Intelligenza Artificiale si serve per subentrare agli uomini (Manuel de Landa).

Solo con un’azione culturale trasversale, passando attraverso persone come Kissinger o il Papa, si potrebbe arrivare a un accordo sul controllo dell’ intelligenza artificiale, e, con ciò stesso, al controllo sulla possibilità di scatenare una guerra.

Il problema per l’Europa è ch’essa non può partecipare autorevolmente a questo dialogo, perché, dopo la morte di Adriano Olivetti e del Professor Zhu, non ha mai più avuto la minima autonomia digitale, mancando di un proprio centro ideativo in campo informatico.

Se l’Europa vuole poter contare nella configurazione di un accordo siffatto, deve sviluppare al più presto le proprie competenze digitali, innanzitutto con la creazione di un’accademia europea dell’AI di un’accademia militare europea e di un  servizio segreto europeo, poi con l’”upgrrading” digitale dell’ intero sistema produttivo e di difesa: quello che, inascoltati come sempre, abbiamo proposto co i nostro libro “European Digital Agency””Restarting EU Economy” e “Istituto Italiano dell’ Intelligenza Artificiale di Torino”.

ATTUALITA’ NEL XXI SECOLO DI UN  POETA “POLIEDRICO”

Lettura a Torino del Canto IV di Ezra Pound

With usura hath no man a house of good stone
each block cut smooth and well fitting
[…]
with usura
hath no man a painted paradise on his church wall
[…]
no picture is made to endure nor to live with
but it is made to sell and sell quickly”

Annunziamo con piacere una manifestazione di studio su Pound che si terrà a Torino nei prossimi giorni:

EDUCATORIO DELLA PROVVIDENZA

Coso Trento 13 Torino

16 Novembre Ore 18

Luca Borrione: Pound Mitopoeta

Marcello Croce: Guida al IV Conto

Lettura in Inglese di Claudia Cara

Daniele Guoli: presenze poundiane nella letteratura italiana

Cogliamo l’occasione per ribadire l’attualità di questo autore, in un momento in cui:

-la Cina, oggetto dell’interesse primario di Pound,  si trova nuovamente ad essere, come vuole il suo nome,  il Paese centrale nel mondo;

-il primato mondiale della finanza (l’”usura” di Pound) è severamente scosso dalla necessità, da parte degli Stati e delle stesse Banche Centrali, di allentare, dopo il Covid e la guerra,  il morso delle “politiche della lesina”, cosa messa platealmente in evidenza dalla fine dei governi Draghi e Truss.

Pound fu un  poeta americano convinto, con un secolo di anticipo (insieme a Pannwitz, Spengler, Guénon, Eliot, Eliade, Toynbee  ed Evola), che la moderna civiltà occidentale, fondata sull’economia, avesse fatto il suo tempo, e che occorresse cercare ispirazione nelle culture medievali (come quelle dei Comuni italiani e della poesia cortese), e, ancor più, in quelle orientali (soprattutto quella cinese).

1.Il Confucianesimo oggi

Quando si chiedeva a Pound quale fosse la sua religione, egli rispondeva “Da Xue” (vale a dire il “Grande Insegnamento” confuciano). In campo estetico, egli fu un continuatore di Fenollosa, un altro Americano appassionato di letterature orientali (nel su caso, di quella giapponese, che, a suo dire, si prestava al poetare meglio delle lingue europee).

In campo poetico, fu sodale con Eliot, con cui compose “The Waste Land” (“La Terra Desolata”), che anticipa l’attuale visione della crisi ambientale e  del capitalismo della sorveglianza.

In campo politico, fu notoriamente impegnato a favore dell’Asse, e, per questo, soffrì pesanti persecuzioni nel suo Paese d’origine.

2.Le “Cento Scuole”

Quello per cui oggi può essere interessante rileggere Pound è, in primo luogo, la sua capacità e volontà di fare rivivere in Occidente la cultura cinese classica, che, ai suoi tempi, per quanto studiata dai “Nuovi Confuciani”, sembrava in declino nelle Due Cine (pensiamo allo slogan della Rivoluzione Culturale “Pi Kong, Pi Li”: “Criticate Confucio, criticate Lin Piao”).

Oggi, il ruolo, non solo del Confucianesimo, bensì di tutte le “Cento Scuole” cinesi è sempre più riconosciuto, per cominciare, dallo stesso Xi Jinping, sicché si pone urgentemente la questione di conoscerle, cosa ormai indispensabile per comprendere una contemporaneità in cui la Cina è centrale. Pensiamo all’ anticipazione della matematica booliana, su cui insistevano già il gesuita Bouvet, e poi Leibniz,  contenuta nell’ Yi Qing, che ne fanno il precursore dell’informatica. Pensiamo all’”Arte della Guerra” di Sun Zi, anticipatrice della “Guerra senza limiti” teorizzata dai generali cinesi (guerra culturale, digitale, propagandistica, tecnologica, economica, culturale, commerciale, come quella che si sta combattendo ora su tutti i fronti), e, in particolare, quello che sembrerebbe essere oggi l’ideale delle Grandi Potenze: “conquistare l’ecumene senza uccidere nessuno” .

3.Pound e la letteratura comparata

Al di là della Cina, Pound ha rivalutato molte culture europee, come quella provenzale, il Dolce Stil Nuovo, e, soprattutto, Cavalcanti e Dante, di cui volle essere un ideale continuatore già soltanto con la denominazione della sua opera, i Cantos.

Il “Caso Pound” ci pare essere un esempio avanzato di quel “comparatismo” che, secondo Nietzsche, avrebbe dovuto costituire la base del XX° Secolo, “die vergleichende Epoche”. Una gestione ragionevole del mondo devastato dalla 3a Guerra Mondiale (Papa Francesco) e dalle Macchine Intelligenti presuppone, a nostro avviso, una rafforzata cultura universale, al contempo umanistica e tecnica, ma, soprattutto linguistica (come quella di Pound e dei Ru cinesi a cui s’ispirava), per poter realizzare nei fatti quella “poliedricità” che è indispensabile per il dialogo interculturale (sempre Papa Francesco). A titolo di esempio, come comprendere Pound senza conoscere l’Inglese, il Latino, il Cinese classico, il Provenzale, l’Italiano e l’Italiano Medievale, di cui sono intessuti i Cantos?

4.La traduzione  letteraria nell’era del web

Alla perfezione crescente della traduzione automatica, che riduce la funzione dello studio delle lingue quale strumento di comunicazione pratica, fa riscontro un bisogno crescente di conoscere la filologia generale e comparata, nelle sue varie articolazioni e ramificazioni, ivi comprese la comparazione, la filologia storica, la retorica, la metrica, la terminologia. A titolo di esempio, per studiare Pound, non sarà più necessaria una  conoscenza approfondita delle lingue di cui sopra (ma chi l’ha mai avuta?), mentre, invece, sarà utile (e possibile) avere la sensibilità della struttura e della evoluzione delle lingue, in particolare del Cinese e dell’Occitano.

Lo stesso vale per l’Ebraico,  il Greco,  il Norreno, lo Slavo Ecclesiastico, che tanta parte hanno avuto  nell’ evoluzione culturale dell’ Europa, così pure come per l’Accadico, l’Arabo, il Persiano….

Nello stesso modo, non vi è praticamente soluzione migliore, per seguire le pirotecniche citazioni di cui i Cantos sono intessuti, che utilizzare al meglio le risorse della rete. Anche qui, tuttavia, si richiede oramai una base di competenze multiculturali di tutto rispetto, in quanto perfino su Wikipedia i contenuti relativi a temi così diversi come gli Analecta, le letterature greca, romana e medievale, così pure come la storia moderna e contemporanea, sono lacunose, frammentarie, criptiche, e, in ogni caso, poliglotte.

UNA GRANDE PAN-EUROPA, “TRENDSETTER” DELLA LOTTA CONTRO LA SOCIETA’ DEL CONTROLLO TOTALE

Commento agli articoli di Massimo Cacciari e di Vito Mancuso su “La Stampa” dell’11 Aprile 2022.

Come non condividere il disappunto di Massimo Cacciari per la mancata realizzazi+one delle promesse della Ostpolitik nel secolo scorso, che è sfociata nel suo opposto, l’attuale contrapposizione frontale fra Russia e “Occidente”? Chi può dirlo più di me, che ho dedicato parecchi anni della mia vita a tentare di realizzare investimenti europei in Europa Centrale e Orientale con l’obiettivo di realizzare una vera integrazione fra “i due polmoni” dell’ Europa?

Credo però che non ci si debba solo lamentare, bensì  che si richiedano quelle azioni concrete e immediate che invece l’”establishment” ha omesso da ben 40 anni.

1.Le ragioni di un fallimento

Il motivo ultimo  del  fallimento dell’ Europa, e, in particolare, della sua “Ostpolitik” è  un’innaturale l’interiorizzazione dell’antropologia americana, fondata su elementi estranei ed ostili all’ Europa: il millenarismo, il ressentissement verso il nostro Continente, il fondamentalismo e l’ipocrisia puritani, l’eccezionalismo, l’Impero Nascosto, l’esportazione della democrazia, la tecnocrazia,  il dominio della mediocrità, il “politicamente corretto”(cfr. Cotton Mather,il testamento politico di Washington, Emerson, Whitman, Rostow, Brzezinski, Huntington).

Prima dell’affermarsi dell’egemonia americana (cioè nella “Welt von Gestern” di Stefan Zweig), nell’atteggiamento mainstream  europeo (la “Patria Comune del Cuore”, ibidem)prevalevano il realismo di origine paolina, l’elitarismo, il pluralismo, l’egemonia delle culture classiche, la collaborazione fra le classi, il dibattito (e scontro) fra le concezioni del mondo (IIa Lettera ai Tessalonicesi, Machiavelli, Matteo Ricci, Montesquieu, i Grundrisse di Marx, la Paideia di Jaeger, i 9 partiti della 1a Repubblica italiana, il Modello Sociale Europeo).Non vi era ostilità nei confronti dell’ Europa Centrale e Orientale, ma, invece , la cultura mitteleuropea si era praticamente fusa con quella orientale (Leibniz, Diderot, Herder, De Maistre, Liszt, Pannwitz, Diaghilev, Gramsci, Stravinski, Malaparte…). Dopo l’imposizione anche  qui da noi del “politicamente corretto” americano, dominano oramai un moralismo da Esercito della Salvezza, l’esaltazione monocorde delle virtù dell’ America, lo strapotere dei GAFAM, il lassismo pedagogico, che, tutti insieme, portano diritto al “suicidio dell’Europa”(di cui vediamo già ora le non piccole nuove avvisaglie, nell’impotenza a fermare le stragi, nell’ autodistruttività delle cosiddette “sanzioni”, nell’ininterrotto declino economico, nel formarsi di gruppi contrapposti).

L’affermarsi di una tecnocrazia mondiale livellatrice (la “monotonizzazione del mondo”) l’aveva prevista sempre Zweig:”Lo spirito tecnico , che adesso agisce verso l’unità del mondo, è più un modo di pensare del genere umano che del singolo individuo. Questo spirito non ha patria, non ha linguaggio umano, pensa per formule, calcola in cifre, crea macchine, e queste macchine a loro volta – quasi contro il nostro volere – riplasmano noi uomini a sembianze esteriori sempre più simili.”

Una condotta coerente dell’Ostpolitik avrebbe richiesto invece come presupposto, fin dal 1985, una “politica del riconoscimento” delle diverse culture dell’Europa Orientale (come premessa, a sua volta, del riconoscimento del valore del resto del mondo). L’Europa da Lisbona a Vladivostok (voluta da de Gaulle e dalla destra francese e citata da Medvedev) è un territorio così vasto, che inevitabilmente comprende popoli molto diversi, dagli Jacuti (tirati impropriamente  in ballo per Buća) agli Yuppies londinesi, dai Tuvani (come il ministro russo Shojgu), agli Enarques come Macron, dai Ceceni agli Svizzeri, dai Cosacchi ai Napoletani, dai Turchi ai Tedeschi, dai Russi ai Polacchi…Orbene, non si può pensare, soprattutto in un momento storico dominato dall’equilibrio atomico, e, quindi, per definizione, molto teso e conflittuale, di riuscire a trovare, come giustamente richiede Cacciari, un sistema organico di accordi fra Est e Ovest, se non grazie al sommo rispetto e alla piena comprensione degli altri partners.

Questo atteggiamento di rispetto è stato sempre molto raro dovunque, ma particolarmente nell’ Europa Occidentale, caratterizzata dalle contrapposizioni “esistenziali” fra Greci/Romani  e barbari, Ebrei e Goim, Cristiani e Pagani, illuminati e arretrati, Occidentali e Orientali, “democrazie” e “autocraszie”…Pochi intellettuali e politici sono sfuggiti a queste schematiche contrapposizioni: Erodoto, Alessandro Magno, Tacito, Sant’Agostino, Wolfram von Eschenbach, Federico II, Matteo Ricci, Guénon, Saint-Exupéry, Simone Weil….In particolare, l’“Arroganza romano-germanica” (Trubeckoj) verso l’ Europa Orientale risale addirittura allo “Scisma d’Oriente”, si è rafforzata con l’arrivo degli Ottomani, è divenuta frenetica  contro la Santa Alleanza, e si è tramutata infine in maccartismo, russofobia ed islamofobia, saldandosi ora con il chiliasmo della “Fine della Storia” e della Singularity Tecnologica.

2.Il respingimento dell’Oriente e le relative reazioni

Il comportamento della politica europea “mainstream” è stato coerente, nella storia,  con questa impostazione conflittuale: la Guerra di Crimea, l’assalto alla Russia dopo la Ia Guerra Mondiale e al tempo dell’Asse; il rifiuto di ammettere l’URSS, e poi la Russia, nella NATO; la risposta di Prodi, secondo cui la Russia non potrebbe entrare nella UE “perché troppo grande”; le persecuzioni della Serbia e delle minoranze etniche russe; le sanzioni; la costruzione a tavolino  delle Rivoluzioni Colorate e dell’ Euromaidan secondo il manuale di Gene Sharp e agli ordini di Victoria Nuland; l’imposizione agli Europei orientali, prima di aderire alla UE, di far parte della NATO; le complicità con il colpo di Stato militare fomentato dall’America da Gülen…

L’atteggiamento della Russia, della Turchia  (e dell’Ungheria) è stato specularmente conflittuale: dall’alleanza con l’Occidente fino alla morte di Stalin, alla coesistenza pacifica andando da Khrusciov a Elcin, alla paziente sopportazione, fino al 2008, da parte di Putin, per passare alla sfida del 2014, e, nel caso di Erdogan, del 2017; ora, la guerra aperta della Russia (in realtà prima all’ America e alla NATO che non all’ Ucraina), come pure l’atteggiamento indipendente della Turchia e dell’ Ungheria nella crisi in corso.

Si è trattato di un eccesso di legittima difesa? Certamente Tuttavia, i comportamenti violenti e spesso paranoici di tutti i nostri vicini (Serbi e Russi, Turchi e islamici in generale) hanno tutti come minimo una loro ben precisa spiegazione storica, e non sono rivolti contro di noi, ma contro l’ America.

Nikolaj Trubeckoj, linguista eurasiatista

3.Che fare?

Purtroppo, sarà ben difficile, per l’Europa Occidentale, liberarsi da quel suo atteggiamento d’integralismo atlantico, fintantoché,  sul nostro territorio, stazioneranno centinaia di migliaia di soldati americani, e le comunicazioni sociali saranno totalmente controllate dai GAFAM e dalla NSA. Tuttavia, gl’intellettuali europei, e, in particolare, quelli che hanno il coraggio di sfidare, come Cacciari, almeno su qualche piccolo punto, il “Pensiero Unico”, avrebbero il dovere di non limitarsi alle loro continue lamentele, indicandoci anche una linea di azione concreta- prima, concettuale, e, poi, politica-.

Infatti, non è affatto vero che oramai, come afferma Cacciari, non si possa più fare nulla per la Ostpolitik. Intanto, si può e si deve riflettere sugli errori passati. Poi, si può studiare e dibattere, con l’obiettivo di definire un rapporto più paritario, che prescinda dall’ “Arroganza Romano-Germanica” verso i “Discendenti di Činggis Khan” (Trubeckoj), che non sono solo gli Slavi, ma anche i Turchi, gli Ungheresi e tutti coloro che li circondano.

Solo allora sarà possibile ripresentare, come auspica Cacciari e anche noi vorremmo, quel grandioso piano che avevano ideato Gorbaciov e Mitterrand nel 1989, e che oggi viene rimpianto con nostalgia dal Movimento Europeo: la Confederazione Europea, fra, da un lato, l’Unione Europea, e, dall’altro, un’Unione Eurasiatica. Un piano che oggi non può avere  come obiettivo quello di unire le nostre forze per fare avanzare, a livello mondiale, la lotta per la messa sotto controllo società delle macchine intelligenti: quel “crackdown sui BATX” che per ora solo la Cina  è riuscita a impostare vittoriosamente nei confronti delle stesse proprie multinazionali.

L’Unione Europea continua a ripetere che vuol essere il “Trendsetter del dibattito globale”, ma in realtà tiene il sacco ai GAFAM americani con i suoi paradisi fiscali, con la disapplicazione dell’ Antitrust, dell’ Internet Act e delle Sentenze Schrems, con l’outsourcing di tutte le attività delle Istituzioni a Microsoft, con l’egemonia dei GAFAM su GAIA-X e sui “cloud di Stato”, con il bando delle piattaforme russe…

Prendiamo atto che il Movimento Europeo difende questa impostazione, anche se non condividiamo l’idea che sia, a tal fine, necessario un “regime change” nel “Russkij Mir”. Ovvero, forse è proprio necessario, ma non più, e non prima,  di quanto lo sia in Europa Occidentale. Servono infatti idee assolutamente nuove, calibrate alle esigenze di un Umanesimo Digitale.

Shiva dà Pashupatastra
a Arjuna

4.Le logiche  dell’Ipermodernità portano alla distruzione dell’ Umanità

Se vi è un errore condiviso a Est e ad Ovest, questo è ignorare il centrale problema della distruttività della logica occidentale (Severino), girandovi continuamente intorno. Già fin dalla fine della IIa Guerra Mondiale, il più grande pericolo per il mondo veniva additato, da Horkheimer e Adorno,  con la loro “Dialettica dell’ Illuminismo”, nella Modernità; già per essi, il ritorno del mito (nel bene come nel male) era comunque  inevitabile.

Anche l’indipendenza dell’ India, nel 1947,  aveva dato un potente segnale di critica della cultura occidentale. Il vero pensiero di Gandhi a questo proposito è stato sfacciatamente deformato. Basti leggere il suo pamphlet in Gujarati “Hind Swaraj” (“L’Indipendenza dell’ India”), e il suo commento alla Bhagavad Gita, in cui delinea la sua critica allo spirito occidentale.

Fino dal 1962, il Club di Roma aveva avvertito contro la catastrofe ecologica, e, nel 1965, “Odissea nello Spazio” aveva ammonito contro la presa del potere da parte delle macchine intelligenti. Nel 1983, la vicenda del sistema OKO e del Tenente-Colonnello Petrov aveva dimostrato che l’equilibrio atomico non era adeguatamente garantito dai nuovi sistemi di controllo digitale.

Nel   1967 era stato firmato lo Outer Space Treaty, oggi desueto per via della militarizzazione dello spazio. Sulla base delle formulazioni di una Dichiarazione congiunta approvata  nel 1987, nel 1991 le superpotenze avevano adottato un trattato per la proibizione dei missili a medio raggio,  di cui ne vennero smaltiti quasi 2.700.Gli Usa, avevano lanciato le Guerre Stellari per distruggere l’URSS, e, negli anni successivi, avevano accusato più volte la Russia di avere violato l’accordo, sino all’autunno del 2018, quando il presidente Trump  ha annunciato il ritiro degli USA dal trattato. Dal 22 gennaio 2020 è entrato in vigore il Trattato ONU sul divieto di produrre, stoccare e testare le atomiche. Peccato che nessuno degli Stati nucleari, ivi compresa l’Italia, l’abbia firmato.

Tuttavia, l’assenza di adeguati trattati nucleari non costituisce neppure il massimo dei problemi. Nel frattempo, è proseguita la corsa all’ Intelligenza Artificiale, e i 165 codici di etica digitale approvati dagli Enti più diversi non sembrano, “prima facie” idonei a tenere sotto controllo la società delle macchine intelligenti. Si avvicina il momento della “Singularity Tecnologica”, o quanto meno il momento della presa del potere mondiale da parte dei guru dell’ informatica (Zuckerberg, Schmidt, Musk).

L’Europa, la più attiva nella produzione di norme in questo campo, mentre ne rivendica la leadership morale, è in realtà priva di qualsivoglia potere sull’ecosistema digitale e sull’arsenale nucleare detenuti dalle Grandi Potenze.

La Russia insiste sul fatto che, dopo il ripudio dei vari trattati sul disarmo da parte degli USA, e l’allargamento a Est della NATO, non esiste attualmente una soddisfacente architettura di sicurezza in Europa, per cui, nel 2021, aveva richiesto agli USA di negoziare sulla base di due bozze di trattato, che, respinte, sono state il “casus belli” per la guerra in Ucraina.

In realtà, il problema è ben più vasto, e dal punto di vista concettuale, e da quello geografico. Dal punto di vista concettuale, l’intero insieme di sviluppi dell’industria militare e duale (intelligenza artificiale, missili ipersonici, militarizzazione dello spazio), ci sta portando alla soglia della guerra nucleare. D’altro lato, i possibili punti di scontro non si limitano certo  all’ Europa Centrale, ma si estendono allo spazio, all’ Artico e al Mare della Cina, a cui gli USA vogliono estendere la NATO.

La pretesa degli USA di controllare il cosmo si fonde con le fantasie esoteriche di Kurzweil di “decidere che cosa fare dell’ Universo”.

Il vero fatto scatenante della guerra in Ucraina è però stato costituito dal temporaneo sorpasso, da parte di Russia e Cina, sugli Stati Uniti, nell’ area dei missili ipersonici, e dal parallelo sforzo, appena iniziato, da parte degli Stati Uniti, per recuperare la loro precedente superiorità tecnologica. Questo sforzo si sta traducendo nell’Unlimited Frontier Act, in discussione da tempo al Parlamento USA, ma oggetto di una violenta battaglia politica a causa del carattere eversivo del suo interventismo economico rispetto ai canoni tradizionali di un’economia di mercato, e ha generato una serie di documenti ufficiali americani che hanno addirittura reso pubblica questa temporanea debolezza, che soprattutto la Russia sta sfruttando per nulla velatamente.

Proprio i documenti americani hanno evidenziato una “finestra di opportunità” per eserciti avversari per colpire in questi anni.

Il Postumanesimo è una tentazione millenaria, che attraversa Oriente e Occidente. Anche l’attuale mondo missilistico è figlio più della cultura orientale (Cina, Mongolia, Turchia, Cosmismo, Bogostroitel’stvo) che di quella occidentale, dove fu “trapiantata” dal prigioniero von Braun, a sua volta discepolo occulto di Tsiolkowski. Invece, la logica cibernetica è figlia della cultura millenaristica americana, prendendo essa le mosse dalle “Conferenze Macy”. Il loro incontro ha generato la miscela esplosiva che si chiama “post-umanesimo” e l’attuale situazione di “Guerra Mondiale a pezzi”, come l’ha chiamata il Papa.

In pratica, si sta realizzando la profezia degl’inventori della Geopolitica (Mahan, Mackinder, Haushofer), della guerra fra la talassocrazia anglosassone (l’”America Mondo” di Valladao, l’”Impero Nascosto” di Immerhof, l’”Impero Sconosciuto” del Papa), e l’”Heartland” eurasiatico.

Di conseguenza, coloro i quali, come Quirico su “La Stampa” di ieri, ci trasmettono, giustamente, un’immagine feroce del futuro mondiale post-Ucraina, sbagliano, ma per difetto: si tratterà di gestire la “guerra al tempo delle macchine intelligenti” (de Landa), per la quale sarà inevitabile l’accentramento assoluto del comando, politico, economico e militare, come è stato fatto simultaneamente negli scorsi giorni in Russia e in Ucraina, e i robot assumeranno un potere sempre maggiore sotto il controllo, ma solo per ora per ora, dei rispettivi “comandanti in capo”.

Si richiede da subito una maggiore iniziativa da parte di tutti per la creazione di un nuovo sistema mondiale di sicurezza, basato su un umanesimo digitale condiviso a livello mondiale, su nuovi trattati internazionali e un sistema politico globale capace di conciliare il necessario coordinamento fra i popoli con le loro separate identità e con il loro pluralismo interno.

Sarebbe estremamente positivo se le auspicabili trattative per la fine della guerra in Ucraina si allargassero all’ intero spettro dei problemi aperti.

I cittadini di Istanbul difendono la Repubblica

5.L’Eurasia: perno dell’ umanesimo digitale

Come dimostrano i dibattiti in corso, solo gli “Stati Civiltà” si rivelano vocati ad occuparsi delle questioni dell’Umanesimo digitale, perché:

-solo grandi aggregati politici hanno le risorse per creare ecosistemi digitali completi, comprensivi di una cultura digitale, di una classe dirigente adeguata, di grandi reti autonome, di un complesso informatico-digitale e di una capacità negoziale a tutto tondo;

-incorporando, essi, nella loro stessa missione, la parola “civiltà”,  sono automaticamente portati a trasfondere, nello loro politiche, una forma di comprensione concettuale della storia: per esempio, per l’America, il messianismo immanente  dei guru dell’ informatica; per la Cina, una visione relativistica della governance mondiale, fondata sulla sua cultura sincretistica; per l’India, la continuità della concezione della tecnica al di là della faglia Modernità-Premodernità.

Tra parentesi, la  Singularity Tecnologica, nella sua versione distruttiva accennata da Kurzweil,  era stata già descritta, come Pashupatastra,  perfino nel Mahabharata:”Quell’ arma, lanciata da Mahadeva, può distruggere in un microistante (metà del battito di un ciglio) intero Universo, con tutto ciò ch’esso contiene. Nessuno, neppure Brahma, Visnu e le dee Lakshmi, Parvati e Sarasvati, è immune  dai suoi effetti ferali”

Infine l’Europa e il Ruskij Mir condividono la caratteristica di vivere una fase di transizine, in cui le loro identità sono tutt’altro che definite:

-Nel caso dell’Europa, l’ideologia “occidentale” le è stata imposta forzatemente. Come dice Alexander Rar,”gli  Americani le hanno asportato il cervello”, nel senso che essa continua a girare in tondo intorno a vecchie idee solo perché non è libera di cercarne altre (come dimostrano i casi di Olivetti e di Gorbaciov). In concreto, in Europa, l’establishment eterodiretto dai GAFAM, dalle lobbies globaliste, dall’ “America Mondo” ha ristretto la “Finestra di Overton” al punto di chiudersi in un “Pensiero unico”, sintesi del progressismo positivista e del moralismo puritano,  soffocando l’ampio spettro di tradizioni culturali che caratterizzavano l’ Europa e sostenevano la sua forma politica pluralistica tradizionale, impropriamente definita come “democratica” (lo sciamanesimo dei popoli delle steppe, il classicismo delle élites europee, i vari cristianesimi, ebraismi, islamismi, illuminismi, le varie  culture “nazionali” e “locali “ e  “di classe”,le diverse ideologie sette-ottocentesche…).

A sua volta,  nel Ruski Mir (allora, Impero Russo), abbiamo assistito, dall’ inizio del XX secolo, a un completo rovesciamento di fronti. A partire dalla scuola di partito bolscevica a Capri intorno a Gorkij,Lenin e Trockij, concentrata sul  “Bogostroitel’stvo”, la cultura russa (e ucraina) è passata, dal millenarismo dei primi Bolscevichi (come Lunačarskij, Bogdanov e Tatlin), al Socialismo reale, che tentava di conciliare il progressismo marxiano con le realtà nazionali e tradizionali, poi  a un nazional-comunismo spiritualista (come quello di Florenskij e di Gumiliov), fino ad approdare ora alla rivincita piena dell’ “anima russa” neo-zarista e cristiano-ortodossa.

Il nostro compito consiste proprio nell’ andare oltre a tutte queste posizioni di Est e  Ovest, riallacciandoci alle più profonde tradizioni europee: lo scetticismo della più antica filosofia greca (“sol sa chi sa che nulla sa”), le pedagogie classica e cristiana (Paideia, Askesis), la dottrina platonica e aristotelica delle costituzioni…In quelle tradizioni si riconoscono infatti  ambedue i filoni culturali sotterranei dominanti tanto dell’ Est (che si rifanno a Dostojevskij),  e quanto quelli dell’Ovest (che si rifanno a Nietzsche).

L’Europa deve smetterla di reagire pavlovianamente alle crisi indotte da altri, per divenire un soggetto attivo e creativo delle dialettiche mondiali.

I soldati di terracotta e l’unificazione dei popoli della Cina

6.Una ricerca senza limiti di frontiere.

Come si vede, dunque, nessun’area del mondo ha ancora maturato una strategia completa e definitiva per il controllo delle macchine intelligenti. A tutte manca, o la volontà politica, o la base culturale, o la forza tecnologica, o l’autonomia sociale, o la solidità politica. Inoltre, gli Stati Uniti, “santuario”, per volontà dei GAFAM, del progetto post-umano, stanno organizzando una militarizzazione universale, a Est, a Ovest, nello spazio e nell’ Artico (le nuove “Guerre stellari”), proprio per impedire quella messa sotto controllo, che frustrerebbe la loro alleanza con i GAFAM. S’impongono pesanti sforzi, tanto nazionali, quanto internazionali, per contrastare questa militarizzazione dell’ Universo.

Essi si dovrebbero indirizzare verso le direzioni seguenti:

-comprensione culturale delle trasformazioni in corso (l’”Era delle Macchine Intelligenti”);

-recupero delle basi antropologiche necessarie (le culture dell’ Epoca Assiale);

-trasformazione della società nel senso dell’ umanesimo digitale (paideia, askesis);

-rafforzamento dell’ecosistema digitale europeo (la cosiddetta “Sovranità digitale”);

-una strategia tempificata, che vada oltre l’attuale “Bussola Digitale” della UE, assolutamente inadeguata alle dimensioni della sfida;

-collegamento fra la trasformazione interna e le relazioni esterne(superamento dell’ attuale fallimentare PESC);

-riforma giuridica interna ed esterna (nuova Costituzione Europea; Organizzazione Internazionale per il Principio di Precauzione);

-educazione continentale (Accademia Europea).

Se l’ Europa vuole essere, come essa pretenderebbe, il “trendsetter del dibattito mondiale”, bene, si accomodi, troverà il suo bel daffare.

Ne avrebbe tutte le basi culturali (Ippocrate, Socrate, San Paolo, Matteo Ricci, Cartesio, Pascal, Hume, Leopardi, Foscolo, Nietzsche, Jaeger, Saint-Exupéry…), geopolitiche (la sua prossimità ad aree importanti come America, Russia, Medio Oriente), le sue dimensioni demografiche (più di 500 milioni), giuridiche (l’Unione Europea, il Consiglio d’Europa, l’OCSE).

Deve solo eliminare due “palle al piede”:il pensiero unico e l’ occupazione americana.

Come tutto ciò possa avvenire è, a oggi, difficilmente discernibile, anche perché, apparentemente, tanto l’indottrinamento del “Pensiero Unico”, quanto l’occupazione americana, stanno procedendo a ritmo di corsa. Tuttavia, la situazione, per lo meno, di confusione, che si è creata per effetto della guerra in Ucraina, sta rimescolando i vari fronti (la NATO, la destra, la sinistra) ponendo le condizioni preliminari per l’affermazione di direzioni di tipo nuovo, quali quelle a cui sopra accennavamo. Il fatto stesso che tutti riconoscano che gli equilibri preesistenti non possono essere ricostituiti costituisce già un importante punto di partenza.

Ma anche la divisione fra un fronte settentrionale (Inghilterra, Scandinavia e Intermarium) e di un fronte centro-meridionale (Francia, Germania, Serbia, Ungheria), farebbe sperare alla possibilità di spezzare l’unanimismo filo-atlantico.La Francia, e soprattutto la Germania, se messe di fronte alla loro economia dal blocco del gas russo, non potranno che prendere le distanze dal diktat americano, che ha come obiettivo precisamente la distruzione del concorrente europeo.

In tutto questo, il Russkij Mir giocherà comunque un ruolo centrale, sia che la leadership putiniana continui il suo progetto (con maggiore o minore efficacia), sia che in Russia emerga una nuova leadership (che per ora non si vede, e di cui è quindi impossibile prevedere i piani). In ogni caso, è temeraria l’idea americana che si possano ovunque realizzare progetti di esportazione violenta della democrazia come quella della Germania postbellica. Infatti, abbattuti i Talibani, questi sono ritornati più forti che mai. Abbattuto Saddam Hussein, sono arrivati gli Sciiti. Abbattuto Gheddafi, sono arrivati i Turchi e i Russi…Ucraina e Bielorussia sono anch’essi culle di “uomini forti”, che aspirano a guidare, in un modo o nell’ altro, il Russkij Mir, contrapponendolo all’ Occidente.

Tuttavia, la vera carta vincente sarebbe la “fusion” fra l’Europa e Russkij Mir, in uno “Stato Civiltà” sui generis (La Confederazione Europea), ispirato al tradizionale  particolarismo europeo, esaltato da Ippocrate e Strabone, Dante e Machiavelli, Althusius e Proudhon, Alexandre Marc e Jovan Djordjevich.In tutto questo, l’Ucraina avrebbe un ruolo centrale, trovandosi essa al centro geografico dell’ Europa continentale, e raccogliendo essa le vestigia culturali di molte delle più antiche civiltà.

La tentazione russa di unificare l’ Eurasia con il ferro e con il fuoco, sul modello bismarckiano, provocata dall’ espansionismo americano, è oggi più forte che mai. Dopo tutto, all’ Europa, per potersi chiamare “Stato Civiltà”, erano mancati a suo tempo , a causa del suo radicatissimo pluralismo, un Qin Shi Huang Di o un Ashoka. Anche Bismarck aveva scelto, in ultima analisi, di preservare fino all’ eccesso il pluralismo germanico, nel II Reich, in Austria Ungheria e nell’ Europa Orientale.

Come si potrebbe verificare, in fine una vera “fusione statuale” dell’ Europa? Il caso ucraino non lascia ben sperare sotto questo punto di vista.

Horkheimer, i primi critici della Modernità dopo la IIa Guerra Mondiale

7.Ripudiamo le Retoriche dell’Idea di Europa

I fatti hanno dimostrato che , nell’ attuale crisi ucraina, tutte le pretese “armi” dell’ Europa sono spuntate.

La difesa della pace da parte del Papa si è scontrata con la missione della Russia quale interpretata dal Patriarcato di Mosca, ma anche con il nazionalismo religioso del Governo ucraino e del Patriarca di Kiev.

La NATO è più che mai dominata dall’ agenda americana, e la Politica Estera e di Difesa si riduce a una sola persona, Borrell. Macron, oltre a dover ancora essere rieletto, è già stato liquidato da Putin come privo dei mandati necessari di UE e NATO. Steinmeier è stato declassificato da Zelenski a “potere ostile”.

La UE non ha una sua forza missilistico-nucleare, bensì solo bombe americane sui suoi aerei, e la Force de Frappe della Francia, agli ordini esclusivi del presidente pro-tempore di quest’ultima. Non ha neppure un proprio ecosistema digitale, bensì è controllata dai GAFAM e dalla NSA.

La sua posizione nei confronti dei fornitori di energia (Russia, ma anche Ucraina, Azerbaidjan, Algeria, Libia, Stati Uniti, Medio Oriente) è così subalterna che ogni mossa ch’essa faccia (sanzioni, embargo, messa in concorrenza dei fornitori) si è tradotta in un intollerabile aggravio di costi, in un ulteriore guadagno da parte di tutti i fornitori e in un’ulteriore dipendenza verso America, Russia e Cina.

I risultati di tutte queste debolezze si vedono. Tutti i tentativi d’intervento pacificatore sulla Russia, da parte di tutte le Autorità competenti, sono falliti, e l’Europa è divenuta perfino il capro espiatorio di Zelenski e di Biden.

Se non vuole veramente sparire, l’Europa deve darsi “una spina dorsale”, e questo può venire, proprio per la sua situazione disperata, solo dalla cultura. Innanzitutto, l’Europa deve ripudiare come suicide le “Retoriche dell’ idea di Europa” che sono state fino ad ora dominanti perchè sostenevano il nostro ruolo di succubi di Washington, e che hanno trovato una bella sintesi nell’ articolo di Vito Mancuso “Sacramenti e identità sessuale”.

Che c’entra Mancuso con la geopolitica? Lo dice lui stesso:”Vi è a mio avvio la convergenza di geopolitica e biopolitica……””. La questione nella sua essenza è la medesima, è quella che divide da un lato l’autodeterminazione nel nome della libertà e della sua irriducibile singolarità, e dall’altro la determinazione imposta dalla biologia o dalla tradizione. Che si tratti di un popolo o di un individuo, di geopolitica o di biopolitica, in entrambi i casi la sostanza è rappresentata dallo scontro tra cultura e natura, tra libertà e obbedienza, tra soggetto e istituzione, e dal decidere quale dei due poli abbia più valore. All’autodeterminazione di un popolo che non accetta più il secolare vassallaggio nei confronti di un altro popolo cui lungo i secoli la geopolitica l’aveva consegnato, corrisponde l’autodeterminazione di un singolo che non accetta l’altrettanto pesante vassallaggio cui la biologia da un lato e il costume sociale dall’altro l’avevano a loro volta consegnato. E nel nome dell’autodeterminazione, ovvero della libertà, un popolo e un singolo, il primo a livello geopolitico, il secondo a livello biopolitico, iniziano la loro marcia di liberazione …”

E’, in sostanza,  quella dipendenza del “romanticismo politico” (Carl Schmidt), basato sul “sapere aude” kantiano, denunziata come distruttiva nel  classico saggio “Nationalism” di Elie Kadurie: l’”autoaffermazione”(“Selbstbehauptung”) quale rifiuto della tradizione, che si traduce, oggi, nella subalternità al potere anonimo delle macchine intelligenti. Una tendenza storica sopravvalutata dagl’ ipermodernisti, ansiosi di darsi un “pedigree”, per quanto discutibile. Per esempio, è del tutto falso che il suo iniziatore fosse stato, come afferma Mancuso,  Lutero, che, anzi, fu un feroce avversario delle tendenze anarchiche, per esempio,  degli Anabattisti. Il suo “sola scriptura” non era un invito all’anarchismo, bensì alla tradizione.

La retorica individualistica dell’auto-affermazione costituisce in realtà uno strumento propagandistico del Complesso Informatico-Militare per spianare la strada al post-umanesimo. Gli uomini ridotti a monadi desideranti, aiutati dalla tecnica a trascendere la loro specificità, stanno diventando poco più di un database per il complesso informatico-digitale, che sta creando un’umanità artificiale.  Quel Complesso Informatico- Militare che governa la Mutua Distruzione Assicurata, i Database, le interferenze nelle elezioni, l’espansionismo americano, la cybersecurity, le fake news, i social networks, fino alla vita quotidiana,  mascherandosi  sotto l’etichetta  di “Occidente”. L’ipocrisia puritana copre, con il nome di “patria delle libertà”, la tirannide centralizzatrice dei GAFAM e della NSA.

E’ chiaro che, se l’Europa vuole avere un suo ruolo nel mondo, non può continuare ad essere assoggettata al 100% a questa mostruosa entità, ma deve cercare, come minimo, di separarsi da essa, per esempio, con gli strumenti utilizzati finora dalla Cina (il “crackdown sui giganti del web”).

E, a monte, deve domandarsi realisticamente che, contrariamente a quanto sostenuto dai sedicenti “ingenui” (ma in realtà bugiardi) zelatori della Pace Perpetua, come scrive Corrado Augias, “chi siamo noi per presumere che l’eterna legge del conflitto valida per tutte le passate generazioni non valga anche per la nostra?”

Certo, un compito di difficoltà diabolica. Eppure, solo allora saremmo in grado di difendere noi stessi e l’Umanità intera contro l’onnipotenza dell’Impero Mondiale.

CONTRO I RISCHI ESISTENZIALI DEL XXI SECOLO: COSTRUIRE UN MONDO POLIEDRICO

La costernazione generale dell’establishment per il fatto che gli Stati Uniti abbiano rimpatriato le proprie truppe dall’ Afghanistan ha fatto perdere di vista un aspetto ben più vasto e generalizzato: che, nonostante gli USA abbiano proprie basi militari in tutto il mondo, al punto da ricomprendere, appunto, il mondo intero nelle proprie regioni militari (da cui non è esclusa alcuna parte del globo), essi non coincidono affatto (come giustamente rilevato da Giovanni Paolo II), con le Nazioni Unite, bensì sono solo un “impero nascosto”(Immerwahr) non riconosciuto da nessuno, e la cui effettività è tutt’altro che assodata, ma, anzi, è contestata un po’ da tutti.

Come ha scritto giustamente Cacciari su l’Espresso, “abbiamo affrontato  le crisi medio-orientali e la tragedia afghana alla luce di un bagaglio ormai confuso di idee di democrazia, di costituzione, di procedure parlamentari, distinguendo le forze in campo in base alla  loro distanza dai nostri ’valori’”.

Peccato che poi anche il nostro filosofo dimostri una confusione ancor maggiore là dove parla di “egemonia esercitata (anche attraverso l’ URSS!) da oltre due millenni”. Ma quando mai, l’ “Occidente” ha esercitato un’egemonia sul resto del mondo   prima dell’Ottocento? Ai tempi degl’ Imperi Persiano, Maurya, Han, Tang, islamico, mongolo, ottomano, Qing? A quelli di Buddha, Confucio, Ashoka, Maometto, Averroè, Avicenna, Chinggis Khan, Marco Polo, Akbar?

La pretesa egemonia occidentale, e l’idea stessa di “Occidente” nascono solo con le violente aggressioni contro l’ Algeria, la Cina e l’ India del secolo 19°. Prima di Condorcet, Saint-Simon, Hegel, Marx, Hugo, Mazzini e Kipling, nessuno aveva mai pensato ad un’”egemonia occidentale” nel mondo, dato che gl’imperi cinese, russo e ottomano erano i più estesi, i più ricchi e i più colti, tant’è vero che il Cristianesimo, l’Islam, la Via della Seta, le scoperte tecniche e scientifiche, erano venuti dall’Oriente fino a un paio di secoli fa. D’altra parte, Kircher, Fresnais, Leibniz, Voltaire, Federico II, prendevano a modello la Cina, e Schopenhauer, Blavatskij e Guénon, l’India. Mentre gli Utopisti e Marx si sforzavano di comprendere come potesse essere fatta una società socialista, i Taiping l’avevano già realizzata.

Dirò di più. Il fatto d’ignorare l’influenza dello zoroastrismo, del buddhismo, dei popoli delle steppe, delle culture islamiche, di quelle siniche tramite i Gesuiti, del Sarmatismo e dell’ Eurasiatismo, sulla storia e sulla cultura europee (per esempio, sull’Ellenismo, su Roma, sul Cristianesimo, sul  Rinascimento e l’ Illuminismo, su concetti costituzionali come “dispotismo illuminato” e “Stato Minimo”), impedisce agl’intellettuali “mainstream” di cogliere l’essenza stessa della storia europea, che è stata da sempre parte integrante di una dialettica mondiale, e, in particolare, eurasiatica.

L’incapacità di comprendere il “Socialismo con caratteristiche cinesi”, la “Sovranità Digitale” e  gli “Stati-Civiltà” c’impedisce poi anche di capire dove stia andando la politica contemporanea.

Il periodo di egemonia occidentale non è durato neppure 200 anni. La sua fine, evidenziata in modo spettacolare dai fatti di Kabul, fa intendere anche ai più ottusi che l’enorme castello di finzioni su cui si fondava il preteso “Ordine Mondiale” era basato su un sistema quasi insuperabile di equivoci: presunta vittoria del “materialismo volgare”, quando l’informatica e la quantistica hanno dimostrato in modo plastico la dematerializzazione del mondo; presunta insuperabilità degli “Stati Nazionali”, della Costituzione americana,  dell’ordinamento europeo….

Carro da guerra della cultura di Sintashta

1.Il vero quadro geopolitico odierno

A oggi, esistono, nel mondo, almeno 11 diversi centri di aggregazione geopolitica, di cui 10 non si riconoscono nella pretesa egemonica, ma neppure nella cultura, dell’ America, e, quindi, dell’ “Occidente”.

L’importanza di questi centri tende ad accrescersi soprattutto per via dell’inaudita concentrazione di potere generata dal web, che ha fatto sì che le sorti del mondo vengano decise sempre più in soli 2-3 centri operativi, condivisi fra guru del web e servizi segreti, di  quei Paesi.

Ne consegue che le diverse civiltà del mondo sono vieppiù costrette, se non vogliono essere schiacciate, a dotarsi di organismi statali e industriali giganteschi, capaci di padroneggiare la balcanizzazione del Web. Questa è la vera ragione del fascino esercitato dalla Cina, l’unico Paese che abbia, nel contempo, una popolazione di più di un miliardo di abitanti e un’industria del web fiorente e completamente autonoma.

Tutti i sub-continenti del mondo dovrebbero organizzarsi in Stati-Civiltà come la Cina, detentori del potere culturale, digitale e militare, delegando ad Entità minori (Euroregioni, Repubbliche, Emirati), le questioni di minore impatto, come le politiche economiche e sociali. Anche la questione della democrazia  si comprende solo se si ragiona in relazione ai diversi livelli di governance. E’ chiaro che Biden e Ji Xinping non decidono democraticamente le questioni della pace e della guerra, e se ne vedono le conseguenze. Trump e  Biden non hanno consultato, sull’ Afghanistan, nemmeno gli alleati (e neppure l’opposizione americana). Certo, si possono, e si devono, decidere in modo democratico e partecipato  il bilancio, la programmazione territoriale, l’urbanistica, a livelli inferiori come quelli macroregionali, nazionali, euroregionali, regionali, provinciali, cittadino e di quartiere.

Tentiamo di riassumere  la situazione attraverso la tabella seguente:

nomi delle grandi aree del mondo e Teorici più rappresentativiNumero di abitantiCaratteristiche essenzialiMaggiori divergenze dall’ “Occidente”
1.Anglosfera (Huntington)400 milioni (USA; UK, Canzus)Materialismo Puritanesimo Democrazia Millenarismo 
2.Europa Occidentale (Koudenhove-Kalergi, Spinelli)350 milioni(Iberia, Francia,Scandinavia, Benelux,Germania DSvizzera, Austria, , Italia, Lituania)Pluralismo Elitarismo ComunitarismoMito della cultura “alta” Interventismo statale
3.Europa Orientale (Gumiliov, figlio di Anna Ahmatova)250 milioni (Slavi Orientali, “16+1”,CaucasoParticolarismo Passionalità ComunitarismoOrgoglio Gerarchia
4.Grande Medio Oriente  (Ibn Haldun)1.400 milioni (Turcofonia, mondo iranico, Lega Araba, Sahil, Corno d’Africa, Pakistan, Bangladesh, Asia Centrale, Indonesia)Religiosità Particolarismo PassionalitàAutoritarismo Machismo
5. Subcontinente indiano (Gandhi)1.400 milioni:India, Nepal, Sri LankaReligiosità Particolarismo CasteRaffinatezza Partito forte di governo
6.Cina (Zhang WeiWei, Bell)1.400 milioniSincretismo Tradizionalismo SocialismoPartito comunista Coordinamento centrale
7.Asia-Pacifico (Shiratori)700 milioni (Corea,Giappone, ASEAN,PolinesiaParticolarismo Autoritarismo Laboriosità  Pluralità di Stati  
8.Africa Subsahariana (Senghor)1.100 milioniParticolarismo Tribalismo Primitivismo“Black Privilege Tradizionalismo
9.America Latina (Urarte, inventore della “Patria Grande”)650 milioniParticolarismo Tradizionalismo SolidarismoPluralità di Stati Antimodernismo
10.Israele (Eisenstadt,autore di “Civiltà Ebraica”)10 milioniStato confessionale Costituzione parlamentare Ruolo centrale dell’ esercitoIntellettualismo Clericalismo   
11.Roccaforti comuniste200: Corea del Nord, Vietnam, Cuba, Venezuela)Dittatura Di partito Coordinamento centrale Isolamento intenazionaleRifiuto democrazia parlamentare Egualitarismo

Da questo semplice schizzo, si capisce quanto siano, ancor oggi, diverse le varie società del mondo, e quanto poco realistica sia la pretesa degli Americani (e di parte degli Europei) di voler trasformare tutte le altre parti del globo per adeguarle ai gusti di un’esigua maggioranza, che non raggiunge neppure l’1/% della popolazione mondiale (la “Società dell’ 1%”), con il cosiddetto “processo di Nation Building”, sul modello degli USA, della Grecia, dell’Italia, di Israele, dell’ India, del Pakistan, che, oltre ad essere obsoleto, è anche normalmente sanguinoso).

La civiltà del Gandhara

2.L’atteggiamento autenticamente “universalistico” .

Contrariamente alla retorica “mainsteam”, un autentico universalismo non potrebbe avere la pretesa di annientare le differenze culturali, bensì dovrebbe puntare a trovare ciò che unisce, senza sacrificare ciò che divide.

A questo punto, perché mai stupirsi se la pretesa del “Nation Building” all’ americana sia stata rifiutata nel modo più reciso dall’ Afghanistan, che aveva già respinto precedenti i tentativi di annessione, prima, nel Raj anglo-indiano (la celeberrima battaglia del Khyber Pass), poi, nel blocco sovietico? Con ciò, l’ Afghanistan ha dimostrato nei fatti di essere già non solo una nazione, ma addirittura uno Stato Civiltà, con un’identità culturale, una coesione politica e una volontà di libertà molto superiore a quelle della maggior parte dei Paesi del mondo.

Inoltre, l’Afghanistan appartiene, per cultura, per organizzazione sociale e per costumi, all’area medio-orientale: Islam, alfabeto arabo, abbigliamento, tribù…Ciò che costituisce il vero anacronismo del Medio Oriente nell’attuale società globalizzata (cfr. supra), è la sua tradizionale  frammentazione  confessionale, etnica e linguistica. Questa fa sì che inevitabilmente sorgano senza sosta movimenti rivoluzionari panislamici miranti alla costituzione in Medio Oriente di uno Stato-Civiltà delle dimensioni della Cina, dell’ India o dell’ Europa. In questo senso, il movimento dei Taliban non si distingue dal panarabismo, dal panislamismo, dalle internazionali Shi’ita e Wahabita, da al-Qaida, dall’Isis e perfino  dall’idea americana del Grande Medio Oriente. E’ quindi normale che un movimento indipendentista medio-orientale sia anche sovranista ed espansionista, e che, per questa ragione, sia condannato a scontrarsi con i sovranismi americano, europeo, israeliano, indiano e cinese, con punti di attrito quali le “guerre umanitarie”, il Sahel, la Palestina, il Caucaso, il Kashmir e il XinJiang. Nello stesso modo, il latino-americanismo si scontra con l’americanismo yankee a Cuba e in Venezuela, così come il sovranismo russo si scontra con quello europeo occidentale in Ucraina. E’ infatti impossibile stabilire in modo “obiettivo” se territori “di confine”, come l’Ucraina, la Somalia o il Kashmir appartengano all’ una o all’ altra area civilizzatoria. Eppure, de non altro per banali motivi organizzativi, questa questione va decisa. Inoltre, giacché un possibile Stato Civiltà medio-orientale sarebbe grande come la Cina, e molto più grande dell’ Europa e dell’ America, è del tutto spiegabile perché le attuali grandi potenze vogliano impedirne la nascita in ogni modo.

Infine, l’ Afghanistan è una delle aree del mondo di più antica civilizzazione. Basti ricordare che questa fu l’area attraversata dalle migrazioni indoeuropee verso l’ India (la “Cultura di Sintashta”, del 2000 a.C., D. W. Anthony, The Sintashta Genesis: The Roles of Climate Change, Warfare, and Long-Distance Trade, in B. Hanks e K. Linduff (a cura di), Social Complexity in Prehistoric Eurasia: Monuments, Metals, and Mobility, Cambridge University Press, 2009, pp. 47–73), tanto che, anticamente, esso fu chiamato semplicemente “Aria”, in quanto possibile patria originaria dei popoli indoeuropei; ch’ essa fu il centro degl’imperi del Gandhara ,macedone, Maurya e dei Khushana, e un centro importante d’irradiazione, prima, del Buddhismo, e, poi, dell’ Islam, e, infine, il baricentro degl’imperi Ghaznavide e Ghuride….Perciò, nonostante che gli Afghani a noi appaiano oggi miseri ed arretrati, essi si considerano giustamente i discendenti di quegli antichi popoli guerrieri, simili ai Greci e agli Sciti delle Guerre Persiane. I quali  avevano anch’essi costumi durissimi proprio per il carattere militare delle loro società (schiavitù, “agogé”, maschilismo…).

Essi si considerano anche tutt’altro che incolti, visto che la loro stessa autodefinizione fa riferimento al loro carattere di “studiosi”. La parola persiana “Taliban”, dall’Arabo “Talibuni” (participio presente plurale di “talaba”, “cercare”), significa “ricercatori”, e, per antonomasia, ricercatori della verità attraverso lo studio della teologia islamica. Del resto, l’Afghanistan ha dato i natali a intellettuali di valore universale, come Jalal ad-Din Rumi.

Difficilmente gli Afgani avrebbero potuto, dunque,  accettare di essere assoggettati a un potere lontano e così diverso…I loro stessi costumi estremamente aspri (si pensi alla questione del burqa) si spiegano in gran parte con lo stato di guerra permanente a cui sono stati sottoposti da secoli dai loro vicini, che non hanno mai esitato, per esempio, a rapire le loro donne, come facevano per esempio in modo sistematico i Mongoli.

Su questo, perfino i vari commentatori “mainstream”, di solito così offuscati da comportamenti ideologici viscerali, sono oramai completamente allineati: la motivazione emotiva, religiosa, filosofica o anche solo patriottica dei Talibani, è risultata più forte di qualunque apparato militare burocratizzato. E, soprattutto, l’inaudita “coalition of the willing” raccolta da Bush con l’avallo dell’ ONU era incredibilmente sconclusionata: l’ONU aveva votato in spregio della sua missione; gli USA perseguivano interessi concreti inconfessabili (spirito di vendetta alla cow-boy, boicottaggio della Via della Seta); la NATO stava operando in netto contrasto con il proprio statuto; l’Europa andava in guerra solo per servilismo, e l’”esercito regolare” afghano ha  semplicemente frodato gli Occidentali spillando aiuti enormi senza fare assolutamente nulla.

In particolare, l’ Europa ha violato grossolanamente la sua pur traballante dottrina di Politica Estera e di Difesa, secondo cui, diversamente dagli Stati Uniti, l’ Europa rifiuterebbe l’idea di esportare la democrazia con le armi, come invece si è tentato di fare in Afghanistan almeno a partire dalla morte di Bin Laden, quando si è cambiata senza alcuna motivazione la giustificazione originaria dell’ invasione: dalla cattura di Bin Laden stesso, alla “costruzione di uno Stato democratico”

Era quindi impensabile che quest’enorme Armata Brancaleone potesse sostenere l’attacco del piccolo, ma motivato (e, diciamolo pure, eroico) esercito talibano.

Gli Occidentali hanno cercato di conquistare l’Afghanistan
dal 1800

3.Le incredibili oscillazioni negli atteggiamenti verso i Talibani

Le grandi potenze hanno trattato dunque l’Afghanistan come una lontana provincia da assoggettare ai loro conflitti geopolitici e ideologici, senz’alcun rispetto per la libertà di scelta di quel popolo e per l’antichità della sua civiltà.

E’ così che il fiero popolo afghano è stato in guerra da ben 40 anni contro due diversi occupanti a lor modo “occidentali”: i Sovietici e gli Americani. Fra i motivi del crollo dell’ Unione Sovietica ci fu quasi sicuramente lo smacco subito in Afghanistan, con la conseguente perdita di credibilità dell’ URSS, che si sciolse pochi anni dopo. E’possibilissimo che la stessa cosa accada ora all’ America, visto il repentino cambiamento di atteggiamento di molti politici, non solo islamici, in genere allineati con gli USA. Basti pensare ai nostri Conte e Di Maio, passati, dall’entusiasmo per la Cina ai tempi del MOU, di Geraci e di Tria, al blocco degli accordi con la Huawei, e ora nuovamente ansiosi di dialogare con Cina, Russia, Turchia e Talibani. Basti pensare alla Merkel e a Draghi, ora tutti attenti a coinvolgere Russia e Cina.

Questo zig-zag è tutt’altro che nuovo. La rivolta dei Talibani non avrebbe potuto neppure nascere senza l’appoggio della Casa reale saudita, delle grandi famiglie arabe (come i Bin Laden)  del Governo pachistano, e, soprattutto, di quello americano. Addirittura, quando i Talibani  avevano cacciato i Sovietici, gli Americani avevano sperato per molto tempo ch’essi riuscissero ad infiltrare l’Iran, le Repubbliche ex sovietiche e perfino il Xin Jiang cinese.

Fu solo quando, nel 2001, al-Qaida colpì le Torri Gemelle e diede ospitalità a Bin Laden, che improvvisamente i Taliban divennero il nemico numero uno e gli Usa attaccarono frontalmente il Paese, costringendo una ventina di Paesi (compresa l’ Italia) a partecipare a una colossale guerra di occupazione, con i pretesto di catturare Bin Laden. In realtà, come si vide molti anni dopo, Bin Laden si trovava, non già in Afghanistan, bensì in Pakistan, protetto dai servizi segreti di quel Paese, dove egli venne ucciso dagli Americani senza processo e con i suoi familiari.

Dopo di che, l’America, anziché scusarsi per l’enorme danno provocato all’ Afghanistan occupandolo senza alcun motivo, rimase ancora per un decennio nel Paese, con il nuovo pretesto del “Nation Building”, cioè di trasformare quel Paese agricolo, particolaristico e guerriero, in un Paese moderno di stampo occidentale (cosa che tra l’altro aveva già tentato inutilmente l’ Unione Sovietica).

In realtà, l’obiettivo dell’ occupazione dell’ Afghanistan era quello di avviare il “Pivot to Asia” lanciato da Obama, cioè di circondare Russia e Cina con una catena di Stati dipendenti dagli USA, come Turchia, Kurdistan, Afghanistan, Mongolia, Corea del Sud, Giappone, Taiwan e Vietnam, possibilmente aggiungendovi, grazie all’ ETIM, organizzazione terroristica uighura, anche il Xinjiang. Tra ‘altro, c’ è una singolare concomitanza fra la presa di Kabul da parte dei Taliban e lo stop della campagna mediatica anglo-americana sugli Uighuri.

Fu in quel contesto che Hilary Clinton aveva lanciato l’idea della “Nuova Via della Seta”, che avrebbe dovuto collegare tutti questi nuovi alleati, per disgregare quel blocco di Stati che s’identificano nell’ Organizzazione di Cooperazione di Shanghai.

Come si sa, quest’obiettivo non era poi riuscito proprio per il perdurare delle guerre in Kurdistan, Siria, Nagorno-Karabagh e Afghanistan, e per lo scarso impegno profuso nel progetto dall’ America, poco interessata allo sviluppo di quei territori, naturalmente parte di un mondo eurasiatico potenzialmente concorrente.

Questa contraddizione dell’ America era stata subito rilevata dalla Cina, ben più interessata allo sviluppo socio-economico di tutta l’ Eurasia, la quale ha ripreso subito, con il discorso di Xi Jinping ad Astana nel 2013, l’idea della nuova Via della Seta (Belt and Road Initiative), investendovi fin da subito tutto quanto necessario. Restava ancora la spina nel fianco, ora eliminata, dell’Afghanistan, così come sono cessate le ostilità In Siria, Kurdistan e Nagorno-Karabagh. La Belt and Road Initiative potrà così svilupparsi indisturbata, come avevamo previsto in un nostro post di qualche mese fa.

La città di Arkaim è la meglio conservata nella Cultura di Sintashta

4.Un nuovo generale ripensamento

Il dissolversi in pochissimi giorni dell’ esercito afghano filo-occidentale, creato e sostenuto per 20 anni dalla coalizione occidentale, e l’incapacità della NATO di portare in salvo almeno i propri cittadini e le proprie armi segrete, se non anche i collaboratori locali, ha provocato dunque un po’ in tutti un’accelerazione di quel distanziamento dagli USA che, prima, era stato solo abbozzato.

 In un mondo di opportunisti, di fronte alla debolezza degli USA, si cerca appoggio altrove. Inoltre, l’eterno, e sempre inconcludente, appello alla Politica Estera e di Difesa Comune europea si fa sempre pressante. E, tuttavia, in questi 70 anni non sono mai stati sciolti i nodi di base della Politica Europea Comune: mancanza (voluta) di un’Identità europea autentica; mancanza di un “Commander -in-Chief” per le emergenze; timore reverenziale verso gli USA, il vero “rivale sistemico” dell’ Europa; mancanza di motivazione dell’opinione pubblica, delle classi dirigenti e del ceto militare.

La realtà è che un’ Europa concepita come l’ultimo avatar del millenarismo immanentistico non è in grado di difendersi dal fondamentalismo, né da quello islamico, né da quello americano, né da quello  di altri Paesi, perché è essa stessa l’erede di correnti minoritarie fondamentalistiche (estranee al “mainstream” europeo): i Pauliciani, i Catari, gli Anabattisti, i “democratici radicali”, i cosmisti, i futuristi, i trockisti,  sempre sconfitte nella storia europea, a seconda del momento,  dalle Monarchie Nazionali, dalla Chiesa cattolica, dai Luterani, dai liberali, perfino dai bolscevichi…

Di conseguenza, quando gl’islamisti, ma anche gli Americani, rivendicano le ragioni astratte ed estremistiche delle loro lotte, le élites europee non osano opporvisi, perché condividono esse stesse lo stesso paradigma: “ritorno” attraverso la lotta politica allo stato originario di perfezione edenica (la “Fine della Storia”) e l’uso “magico” della scienza (gli Hojjatiyyeh e i Bahai).

Per me, invece, l’ Europa non è l’erede di alcun “filone” unitario. Al contrario, essa nasce dall’ incontro fra i cacciatori-raccoglitori, gli agricoltori medio-orientali, i navigatori atlantici e i popoli  nomadi delle steppe. Gli “Europaioi” erano originariamente tribù indoeuroee e semitiche sedentarizzate, indipendenti e guerriere descritte da Ippocrate, che hanno adottato religione, costituzione politica ed alfabeto   dai popoli medio-orientali (come narrato da Erodoto).

Come anticipato da Svetonio e da Tacito, essi si sono fusi con i popoli del Barbaricum, dando vita all’ Europa Cristiana, con la sua lotta per l’eredità dell’ Impero (Macedonia, Roma, Bisanzio, Norimberga, Veliko Tarnovo, Madrid, Mosca, Istanbul, San Pietroburgo, Parigi, Berlino, Bruxelles..).

L’Europa post-cristiana è stata innanzitutto aristocratica (Rochefoucauld, Saint-Pierre, Voltaire, Alessandro I, Nietzsche, Coudenhove-Kalergi), poi relativista (Tilgher, Heysenberg, Pirandelo, De Finetti, Feyerabend), e, infine, elitaria (Spinelli, Galimberti, Olivetti). Nulla essa ha a che fare con l’attuale nichilismo “occidentale”, che nega ogni validità all’ eccellenza (la retorica minimalistica), alla cultura alta (cultura “mid-brow”) alle differenze (“cancel culture”). Come tale, essa non può pretendere di sostituirsi alla leadership americana delò “Progresso”semplicemente rialzando le bandiere dell’omologazione globalistica, dell’egualitarismo, del consumismo. Infatti, le sue vocazioni sono ben altre.

Tuttavia, forse, un qualche “Occidente” ha una sua ragion d’essere in quanto diverso dalle due altre grandi regioni storiche del mondo, l’ Oriente (Asu, Re Ben), con centro a Pechino), e il Sud  (Dar as-Sud, Sudan, con il suo centro intorno all’ Oceano Indiano: Chowduri) . I popoli dell’ “Occidente” hanno un grande senso della Storia, che manca, o è molto diverso, ad Est (l’eternità del mondo), e al Sud (l’infinità dei mondi). Ma, inteso in questo senso esteso, l’ Occidente va dalla Calotta Polare Artica al Mar della Cina, dalla California a Vladivostok. Il suo centro non è a New York, bensì dalle parti di Istanbul. L’Europa può aspirare a succedere nella leadership di questo “Occidente” solo se saprà incarnare questa centralità, fra il millenarismo tecnocratico americano, la religiosità medio-orientale e la “passionalità” dei Popoli delle Steppe (Gumiliov).

Perciò, ben vengano una Politica Estera di Difesa e una Autonomia Strategica dell’Europa, ma solamente se esse si fonderanno sulle premesse teoriche di cui sopra. Per poter realizzare queste premesse, è necessaria una vera rivoluzione culturale, sulla linea della Dialettica dell’ Illuminismo di Horkheimer e Adorno, che comprende tra gli altri Athanasius Kircher, Leibniz, Voltaire, Nietzsche, Coudenhove-Kalergi, Guénon, Eliade…

La Conferenza sul Futuro dell’ Europa avrebbe dovuto dedicarsi proprio a questo compito. Purtroppo, essa è stata deliberatamente “uccisa” da una congiura del silenzio, che ha fatto sì che non se ne parli, né nel mondo politico, né in campo mediatico, né fra gl’intellettuali, né nell’ opinione pubblica. Si teme troppo che questi temi vengano allo scoperto, sovvertendo la “grande narrazione” costruita con tanta fatica intorno all’ Unione Europea, ma che non sta in alcun modo funzionando.

Noi andiamo però avanti imperterriti, portando avanti le nostre istanze, confidenti nel fatto che, a forza d traumi sempre più profondi, l’attuale kafkiano menefreghismo generalizzato sul futuro dell’ Europa non potrà più reggere, venendo travolto dall’ ansia di trovare un significato, una risposta, una guida.

L’impero Ghaznavide

5.Studiare: la cultura europea; quelle extraeuropee; le nuove tecnologie

A causa di quella congiura del silenzio, gli Europei non sanno nulla di opere fondamentali come “Aria, acque e luoghi” di Ippocrate; “Le Costituzioni” di Aristotele; la “Germania” di Tacito; il “De Monarchia” di Dante; il “Discorso  sul Metodo” di Cartesio; “Novissima Sinica” di Leibniz; “Rescrit de l’ Empereur de la Chine” di Voltaire; “Christenheit oder Europa” di Novalis; le “Lettere ai Buoni Europei” di Nietzsche; “Paneuropa”, di Coudenhove-Kalergi; la “Costituzione italiana ed europea di Galimberti”.

Tanto meno si preoccupano di Gilgamesh, dell’ Avesta, dei Classici Confuciani, dell’ Itivuttaka, del Bhagavad Gita, del Corano, delle Muqaddimat, del Datong Shu di Kang You Wei, dell’ Hind Swaraj di Gandhi…Come pure delle arti marziali, dello Yoga, del socialismo con caratteristiche cinesi.

Ma, soprattutto, e sorprendentemente, ancora meno sanno dell’informatica, della cibernetica, del Web, dell’Intelligenza Artificiale, della computazione quantica, del 6G, dell’ economia del web, delle criptovalute…

Come si può pensare che, con questi handicap,  gli Europei possano, non diciamo essere, come pretende la Commissione, i “Trendsetter del Dibattito Mondiale”, ma almeno presenti sulla scena internazionale?

Quindi, ribadiamo, studiare, studiare e studiare, facendo dello studio e della ricerca la prima delle competenze e responsabilità  dell’ Unione Europea.