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D.O.G.E. : UNA VITTORIA DELL’ IDEOLOGIA CALIFORNIANA

Il progressivo sovrapporsi della vittoria di Musk a quella di Trump costituisce l’immagine plastica di una mutazione epocale in corso in tutto il mondo, definita genericamente “crisi della democrazia”:

-nell’Impero Americano, il più grande guru dell’ informatica, un finanziere che già domina tutti i mercati strategici, preme (apparentemente, con successo) per essere nominato capo di un progettato “Department of Goverment Efficiency” (“D.O.G.E.”), destinato a porre l’intero Stato americano, che domina il mondo intero,sotto la tutela del Gruppo Musk;

-in Cina, la digitalizzazione si spinge fino a controllare ogni azione dei cittadini, la loro salute, i loro spostamenti;

-in Israele, l’intero popolo palestinese è controllato ininterrottamente dai vari sistemi digitali dell’Esercito e dei servizi segreti, e i ministri possono essere “licenziati” senza motivazione e senza alcun impatto sull’appoggio dei partiti al Governo; inoltre, il Paese, divenuto, grazie a quanto sopra, il massimo esperto mondiale di tecnologie di controllo, rivende queste ultime a tutti i Paesi del mondo;

-in Russia, gli organi governativi sono perennemente riuniti in una tele-conferenze con il Presidente, e perfino le loro relazioni individuali al Presidente sono trasmesse in diretta: il trionfo del “Talk Show”;

-nella UE, si sta preparando una sorta di “mobilitazione generale”(“Rapporto Niinistö),civile e militare,  e vige una censura generale pan-europea contro chiunque non sia allineato sul “politicamente corretto”(il “Digital Services Act”);

-in Ucraina, sono stati sciolti 11 partiti politici ed espropriata la maggior parte delle Chiese, colpevoli di essere restate fedeli al Patriarcato di Mosca.

E si potrebbe andare avanti all’ infinito…

In questo intervento, cercheremo di analizzare le ragioni di questo trend, con particolare riguardo al ruolo di Elon Musk nella nuova costellazione di potere conseguente alla vittoria di Trump.

1.Brave New Word (ll mondo nuovo)

Rivivono in Musk certi aspetti del bolscevismo originario, come il cosmismo (la “colonizzazione dello spazio di Tsiolkovskij,  di Vernadskij , di Bogdanov e del movimento ingegneristico kievano “Do Marsa”= “su Marte”).

Dovunque, l’accresciuta conflittualità fra il progetto  post-modernista incarnato dai GAFAM (le Grandi Piattaforme americane) e quello conservatore (rappresentato dai BRICS) -conflittualità ramificata attraverso tutti gli Stati del mondo-, ha generato una situazione di guerra strisciante e di preparazione bellica permanente fra i grandi Paesi, che rende inevitabile la centralizzazione di tutti i poteri intorno al rispettivo leader e al suo “cerchio magico”, per essere sicuri della rapidità della mobilitazione bellica, per mantenere intatta la retorica ufficiale, per evitare ogni “infiltrazione” ostile, per razionalizzare un’economia sinistrata in vista di una guerra prolungata, per contrastare le catastrofi derivanti dalla crisi ecologica…Questa centralizzazione si appoggia sulle nuove tecnologie digitali di controllo capillare della popolazione, che finiranno per risultare le uniche vere vincitrici di questo confronto, come scritto profeticamente da Manuel De Landa nel suo “La guerra nell’ era delle macchine intelligenti”.

In queste condizioni, che senso ha ripetere stancamente le retoriche della libertà individuale, della separazione fra Stato e Chiesa, della divisione dei poteri, della libertà di opinione, della “privacy” che avevano caratterizzato il XX° secolo? Qui si fa solo più a gara a chi abolisce più libertà, considerandosi ogni realtà indipendente come un focolaio di pericolo, in quanto è possibile che venga conquistato da un “nemico”, e usato per “destabilizzarci”.

L’insistere a tentare di spiegare tutto ciò con gli stereotipi del XX° Secolo è non solo inutile, ma anche sospetto, in quanto è molto probabile che si voglia nascondere in mala fede la realtà delle cose, e in particolare il fallimento di una cultura irrealistica (i “parametri utopico-liberali” di cui parla Giovanni Ursina), che per altro ha sostenuto le carriere di intere generazioni d’intellettuali e di politici.

Quando si attaccano,  con l’accusa di “democrazia illiberale”, alcuni Paesi dell’Unione Europea (Ungheria, Slovacchia) o della NATO (Turchia), in realtà si vuole condannare non già la loro pretesa illibertà, bensì la loro eccessiva indipendenza, che permette loro di non schierarsi al 100% con l’ America, divenendo così a loro volta un pericolo per il controllo centralizzato e militarizzato,da parte  da parte della stessa, degli “alleati” occidentali. Tuttavia, questi Stati  non fanno che ripetere in piccolo quello che già succede in grande nelle grandi potenze (a cominciare dagli Stati Uniti), e anticipando quello che accadrà ancora in tanti altri Stati. Essi debbono centralizzarsi per resistere ai potentissimi condizionamenti del Complesso Informatico-Digitale occidentale (di cui Musk è il tipico esempio)..

D’altronde, le contraddizioni della Modernità che stanno esplodendo ora, e, in particolare, quelle della “democrazia” occidentale, erano già iscritte fin dall’ inizio nel suo DNA. Per esempio, pur parlando di democrazia, lo stessoGeorge Washington ne criticava già,  in nome del “Repubblicanesimo”,  gli aspetti fondamentali: i partiti, il voto popolare e lo spirito di parte.

Il punto è che la democrazia è per sua natura illiberale. Mentre il liberalismo è un’ideologia tipica dell’ aristocrazia del ‘700 che lottava contro lo Stato assoluto inneggiando alla “liberalità” dei signori (pensiamo a Rochefoucauld), la democrazia è quella deriva delle antiche Poleis, denunziata fin da Omero (Tersite), per passare a Socrate, Aristotele e lo “Pseudo-Senofonte”, che le aveva portate ad essere dominate da un pathos plebeo, dalla demagogia, dall’“oclocrazia”(l’”apistos demos” di Aristotele), e, infine, dalla tirannide (i Trenta Tiranni). E che altro è il “trumpismo” (o il “populismo”:la “pancia” del popolo), se non lo spirito plebeo elevato a virtù civica, in quanto la più pura espressione del “popolo” tanto esaltato negli ultimi 200 anni?

“Democrazia illiberale” è un termine assolutamente equivoco, sia se usato in senso dispregiativo, sia usato in senso elogiativo, perché, nell’attuale gergo americaneggiante, tanto “democrazia” quanto “liberale” designano il contrario di quanto avevano significato per almeno mezzo secolo in Europa (per esempio, in “Democrazia Cristiana” e “Partito Liberale”). D’altronde, la traduzione del l’omonimo libro di Zakaria parla giustamente di “democrazia senza libertà”, che ben si attaglia a praticamente tutti gli Stati attuali. Sarebbe forse meglio parlare di  “sistema carismatico-rappresentativo”, in quanto esso  tenta di conciliare l’esigenza di un leader, provocata dalla mobilitazione generale mondiale, con le forme giuridiche della democrazia rappresentativa (così come, nel Principatus augusteo, l’esigenza di un principe provvidenziale veniva conciliata con le forme tradizionali del cursus honorum repubblicano)

Del resto, vi è sempre stato un legame fra “mobilitazione generale” e idolatria del “popolo”, che è quello che, come ben studiato da Jünger, aveva portato ai totalitarismi del 20° Secolo. L’unico modo per por fine alla mentalità da mobilitazione generale è far finire la Terza Guerra Mondiale, rendendo nuovamente possibile, all’interno di ciascuno dei blocchi concorrenti, una forma di pluralismo, non più accusabile di “intelligenza con il nemico”. Vediamo se Trump ne sarà veramente capace.

Questa situazione smentisce in modo definitivo la credenza che, nel XXI° secolo, possano avere ancora una qualche utilità le categorie di “Destra” e di “Sinistra”, ma anche di “Democrazia” e “Autocrazia”, essendo restata in campo solo la distinzione fra “governo degli algoritmi” (come quello che si è instaurato in America grazie alla convergenza delle azioni di Eric Schmidt e di Elon Musk) e il (almeno più “umano”) “governo del leader” (come quelli di Cina, Russia, India, Turchia..).

In questo contesto, l’Europa, disabituata a pensare dall’egemonia del “pensiero unico”, non sa più come orientarsi. Perfino coloro che, per un motivo o per l’altro, amerebbero defilarsi dal Governo delle Macchine Intelligenti, dell’America e della NATO, sono in seria difficoltà, visto che c’è una corsa sfrenata da parte di tutti ad accattivarsi la coppia, ormai onnipotente, “Trump-Musk”, mentre le effettive intenzioni di Trump non sono ancora neppure note. Come ha affermato sprezzantemente Putin, “ciò che manca all’ Europa sono i cervelli”.

La vicenda Trump-Musk dimostra almeno quanto siano ancora diverse l’Europa e l’America.

2.Il ruolo di Elon Musk nell’amministrazione Trump

Come anticipato, vogliamo qui concentrarci però su quella che appare come la vera novità del secondo mandato di Trump, il quale forse ha vinto in questo modo schiacciante non già per l’appoggio di nuove correnti di opinione o all’ “endorsement” di autorevoli “opinion leader”, bensì grazie a un impero finanziario e tecnologico -quello di Musk- che già domina l’Occidente, sui mercati dei media, delle biotecnologie, dell’ intelligenza artificiale, dello spazio,  dell’ autoveicolistica,  delle telecomunicazioni, essendo così in grado di pilotare l’intera società americana e di mettere in ombra gli stessi GAFAM “minori”. E, difatti, Musk ha messo a disposizione di Trump un congruo numero di miliardi, di cui una quota precisa dedicata al voto di scambio, oltre che l’accesso senza limiti e senza censura alla piattaforma “X”, quella che era stata un tempo Twitter, e che Musk ha comprato. Gli mancava solo il timbro di “Direttore tecnico degli Stati Uniti”,cosa che oramai sembrerebbe avere. Infine, è lui il migliore intermediario con Zelenskij, perché buona parte dell’ esito della guerra dipende dalla disponibilità, o meno, della rete Starlink.

Si è superato perfino il concetto marxiano di “Comitato d’affari della borghesia”: l’Amministrazione americana è il dominio privato di due imprenditori-soci, dei quali l’uno, il Presidente e il “junior partner”, anche se rappresenta formalmente lo Stato, ma l’altro, da “CEO”, controlla l’intera società, realizzando così il sogno tecnocratico di Saint-Simon. Altro che “conflitto di interessi”!

Il gigante aerospaziale SpaceX e Tesla di Musk sono entrambe tra le aziende che valgono di più al mondo al mondo. SpaceX è la seconda più grande azienda privata al mondo, con una valutazione di 210 miliardi di dollari. La società di veicoli elettrici Tesla è la decima società quotata, con una capitalizzazione di mercato di oltre 900 miliardi di dollari.

Musk ha una quota del 42% in SpaceX e una quota del 13% in Tesla, e ha anche quote di controllo in X, la piattaforma precedentemente nota come Twitter, e nella startup di intelligenza artificiale generativa xAI. Musk è di gran lunga la persona più ricca del mondo, con un patrimonio netto di circa 280 miliardi di dollari, più di 60 miliardi di dollari in più rispetto al secondo uomo più ricco, il fondatore di Amazon Jeff Bezos.

Ma, soprattutto, Musk incarna nel modo più trasgressivo la “hybris” del Postumanesimo, nei suoi aspetti più inquietanti: l’Intelligenza Artificiale Generativa, le microchip nel cervello, i twitter senza alcuna moderazione, la colonizzazione privata dello spazio, la disoccupazione tecnologica, la maternità surrogata.

In effetti, il progetto di Musk, cioè quello di ufficializzare il controllo dei GAFAM sullo Stato americano, e, con ciò, sull’ Occidente,  non è nuovo. Esso era stato teorizzato da Schmidt e Cohen nel loro libro “The New Digital Age”, concepito dai due autori nel 2003, nella Baghdad ridotta in cenere ed occupata dall’ esercito americano, in cui si suggeriva che Google avrebbe dovuto sostituire la Lockheed nel guidare l’America alla conquista del mondo (“Googleization of the World”). Ed è stato criticato da Evgeny Morozov  quale ultimo tentativo, da parte di una civiltà fallimentare, per bloccare l’esito della Storia, che, di per sé, starebbe voltando le spalle all’ Occidente.

Sempre Schmidt aveva incominciato a mettere in pratica quel progetto, con la creazione di NSCAI, la commissione incaricata dal Congresso di elaborare una strategia per contrastare il superamentodegli USA da parte della Cina, da cui nacque l’Inflation Reduction Act, con cui il Senatore Schumer si proponeva di “mettere fuori mercato il mondo intero”.

Ora, è stata colmata una lacuna nel progetto,  perché Musk (anche se aborre la California, preferendole il Texas) sta non soltanto teorizzando, bensì incarnando nella propria persona, la “ideologia californiana”, che fonde cultura nichilista e intelligenza artificiale, politica tecnocratica e monopolio universale.

Facendo ciò, egli ha dato un significato concreto all’ ideologia M.A.G.A., oscillante vagamente fra l’isolazionismo e il nazionalismo.

3.Il “programma di governo” di Musk

Musk, nonostante che provenga dal campo progressista e abbia sostenuto Trump solo da luglio, ne è divenuto ormai il compagno inseparabile, perfino nei colloqui con Zelenskij, anche se è improbabile che assuma un ruolo ufficiale. Egli ha, inoltre, affermato che “non è necessario alcun compenso, alcun titolo, alcun riconoscimento” per i suoi servizi (ampiamente compensati evidentemente dalla possibilità di difendere dall’ alto i propri interessi), guidando un “Dipartimento per l’efficienza governativa” (D.O.G.E.) che Trump ha pubblicizzato come  “Segretariato per la riduzione dei costi”, con l’obiettivo di tagliare da 2.000 miliardi di dollari o più dal bilancio federale (evidentemente subappaltando funzioni pubbliche alle multinazionali del web, e, in primis, a quelle di Musk, che è già l’insostituibile fornitore dell’ Amministrazione). In un’intervista al podcast Joe Rogan Experience ha detto che spera di “sgomberare il ponte” da regolamenti e agenzie federali indebiti e “ridurre le agenzie [federali] per renderle molto più piccole….assicurarsi che …si attengano a ciò che il Congresso ha autorizzato”.

D’altra parte, le aziende di Musk sono al lavoro anche in Italia per darsi assegnare (vedi scandalo S.O.G.E.I.) delle commesse strategiche, nell’outsourcing dei servizi pubblici, con le quali anche il nostro Paese diventerà dipendente da Musk per il funzionamento stesso dello Stato, così come stafacendo in America, e come avevano già fatto le Istituzioni europee con Microsoft.

Quali siano le sue intenzioni lo ha dimostrato ancora il 13 novembre, con un post sulla sua piattaforma dedicato alle sentenze dei giudici italiani (ed europei) circa i “paesi sicuri”. La forma e il contenuto del post costituiscono un esempio ineguagliato delo stile  di Musk, che interviene non sollecitato su una vicenda giudiziaria italiana ed europea, indicando una soluzione, le dimissioni dei giudici, che è agli antipodi, non solo dell’ ordinamento italiano, ma anche sull’ “ordine giuridico basato sulle regole” di cui l’ America si fa vanto. Per quanto sia pericoloso, e/o sgradito, essere sommersi da immigranti che porteranno anche da noi l’insanabile contraddizione americana fra “Whites” e “Non-Whites”, ancor peggio è essere governati contra legem da Washington da un informatico sud-africano, quasi fossimo un “bantustan” qualunque. Questo dimostra plasticamente che cosa dovrebbe impedire l’ “autonomia strategica” italiana ed europea.

Musk ha affermato inoltre  che, dopo queste elezioni, non ha alcuna  intenzione di smettere di pesare sulla politica. Il suo super comitato di azione “continuerà dopo queste elezioni e si preparerà per le elezioni di medio termine e per eventuali elezioni intermedie”, evidentemente tentando anche di interferire nelle politiche interne degli “alleati”, come faceva già Bannon. Fortunatamente, Trump si era presto stancato di quell’ alleato scomodo.

4. Musk e l’Antitrust

L’idea che il più grande monopolista del mondo sia incaricato dal Presidente di ristrutturare lo Stato americano mette  una fine definitiva dell’illusione  che la “destra” sia favorevole al libero mercato. E’ come incaricare il lupo di guidare una mandria di agnelli. Il che è per altro logico, perché la “destra” trumpiana non è liberista, bensì interventista nell’ economia, ma nell’ ottica attuale della mobilitazione bellica, secondo il collaudato modello del “keynesismo militare”, applicato negli Stati Uniti di Roosevelt, nella Germania nazista e oggi nella Russia di Putin. Il ruolo degli imprenditori è quello di “oligarchi”, fedelissimi del “leader” che possiedono le imprese, ma le gestiscono secondo le esigenze della programmazione bellica (pensiamo per esempio alla programmazione di Todt e di Speer e alle Reichswerke Hermann Göring).

Come ovvio, Musk si è scontrato spesso con i regolatori dell’amministrazione Biden. La FTC guidata da Khan ha colpito X, allora nota come Twitter, con una multa di 150 milioni di dollari, e ha ordinato restrizioni sui metodi di raccolta dati per la pubblicità della società di social media per la pubblicità. La SEC guidata da Gensler si è scontrata con Musk per il suo uso di Twitter nel contesto del suo ruolo in Tesla, risalente a un controverso tweet del 2018 in cui Musk ha affermato di aver ottenuto i fondi necessari per rendere privata la Tesla.

Ci sono poi una serie di cause legali in sospeso e indagini governative contro Musk e le sue aziende,  che  naturalmente apprezzerebbe il clima normativo più leggero lanciato da Trump. Tra le questioni legali e normative che Musk deve affrontare ci sono un appello per ripristinare il suo bonus da 50 miliardi di dollari in azioni Tesla, annullato da un giudice del Delaware a gennaio, un’indagine sui sistemi di guida autonoma di Tesla da parte della National Highway Traffic Safety Administration e un avvertimento segnalato dal Dipartimento di Giustizia sui premi da 1 milione di dollari dell’American PAC ad alcuni elettori di stati indecisi.

Tesla, che rappresenta la maggior parte della ricchezza di Musk rispetto a qualsiasi altra sua azienda, sta già ricevere una formidabile spinta dalle proposte economiche di Trump che probabilmente danneggerebbero i suoi concorrenti di veicoli elettrici, un vantaggio che si è tradotto nel rally delle sue azioni mercoledì, fatto che ha già fatto aumentare il valore delle azioni di Tesla fino a un trilione di dollari.

Al diavolo il conflitto di interessi!

Eppure, la resa incondizionata degli Stati  ai guru dell’informatica non sarebbe in teoria affatto inevitabile. Lo dimostra il caso della Cina.

5.Il precedente di Jack Ma

Ricordiamo che uno scenario analogo si era prodotto recentemente in Cina, dove esistono multinazionali digitali che, seppure presenti solo in quel Paese, hanno dimensioni analoghe a quelle americane (i “BAATX”). Questo è uno degli aspetti più appariscente della presunta defezione della Cina verso il capitalismo, sulla quale non concordiamo, perché, tecnicamente, il socialismo non è la statizzazione di tutta l’economia, bensì “il controllo sociale sui mezzi di produzione”, che è ciò che si sta realizzando in Cina attraverso meccanismi giuridici complessi, comprendenti anche il mercato.

Anche  Jack Ma aveva creato un impero privato simile a quello di Musk (oltre ad assumere atteggiamenti spettacolari ricalcati su Musk, come quando si era presentato ai dipendenti vestito come Michael Jackson.).

Nel frattempo, la Cina aveva approvato a tempo di record una serie di leggi sull’ ICT ispirate a quelle europee, ma più concrete e applicabili, in base alle quali tutte le multinazionali cinesi si sono viste esposte a una pioggia di sanzioni, in quanto, come le loro colleghe occidentali, intralciano continuamente la concorrenza, trascurano la privacy, ecc…(il “Crackdown sui BAATX”).

Quando Ma aveva lanciato una campagna di stampa contro il sistema bancario cinese, che gli negava quel sostegno finanziario che invece Musk ha in Occidente, per trasformare il suo impero industriale e tecnologico cinese in un impero finanziario mondiale, è stato arrestato e detenuto per alcuni mesi, finché ha rinunziato ai ruoli operativi nelle sue società, trasferendosi all’ estero e limitandosi a incassare i dividendi dovutigli in quanto socio di minoranza delle società stesse.

7.Trump e i conservatori

Un altro “miracolo” di Trump è stato quello di trasformare i conservatori, da sempre considerati “dei pariah” della politica, specie europea, in protagonisti ambiti delle politiche nazionali e della UE.

Grazie a ciò, l’”accoppiata” Trump-Musk  ha indebolito con una duplice mossa  un probabile ostacolo al dominio mondiale dei GAFAM: la resistenza in nome dell’umano al “Governo degli algoritmi” di Musk,  così simile al “Governo delle Regole” tanto caro al liberalismo di sinistra. Questa resistenza non potrà venire se non da ambienti “lato sensu” conservatori, come per esempio le Chiese. Probabilmente, la coppia Trump-Musk spera che, essendole essi grati per averli fatti uscire dai loro ghetti, vari tipi di “conservatori”  lascino per un momento da parte le loro legittime ragioni ideali, che concettualmente li opporrebbero al “governo delle macchine” – chi per orgoglio nazionale, chi per umanesimo, che per difesa della libertà-…, e “lavorino” come si dice oggi, con la coppia Trump-Musk e con gli altri grandi soggetti geopolitici modo da non contrastare, bensì da agevolare, il progetto della “Singularity Tecnologica”. Ricordiamoci che Musk, come persona, tiene comportamenti ricalcati sui grandi transumanisti, come Ray Kurzweil e l’iraniano Fereidun Esfandiari. Quest’ultimo (il cui nome originario era la traduzione in Farsi, di quello del Salvatore dell’ Avesta, Thraetona) aveva fatto modificare all’ anagrafe il proprio nome e cognome in  FM-2030, anno in cui, secondo i transumanisti, sarebbero state curate certe malattie, come quella al pancreas di cui egli sarebbe morto dopo poco, e, contestualmente, s’ era fatto ibernare. Ebbene, anche Musk, oltre a fare ricosto alla gestazione surrogata,  ha chiamato il proprio figlio “X Æ xii” (quasi fosse un nuovo modello di macchina).

La battaglia politica che, fino ad oggi, si era svolta essenzialmente all’ interno  dei “parametri utopico-liberali” di Ursina (anche la Democrazia Cristiana, e perfino il Fascismo, erano a loro modo  stregati dal  mito del Progresso), oggi lo spazio  concettuale entro cui si combatte per l’egemonia politica mondiale è sostanzialmente “conservatore” (dall’interpretazione delle varie religioni e tradizioni nazionali a quella del mito moderno del Superuomo, fino ai critici moderni  della Modernità: Ricci, Ibn Khaldun, Nietzsche, Dostojevskij, Huxley, Dumont, Teilhard de Chardin, Burgess, Compagnon).

Come scrive sempre Orsina, “l’ordine utopico-liberale  non abbia saputo  mantenere le sue promesse e … il suo fallimento ne abbia fatto emergere  chiaramente i consistenti tratti di disumanità, l’affidarsi a un esistente essere umano e astratto. Disincantato, decontestualizzato, perfettamente morale e perfettamente razionale”. In sostanza, si è compiuta la Dialettica dell’ Illuminismo descritta da Horkheimer e Adorno.

E’ all’ interno di quest’ ampio spazio politico e culturale (l’unico rimasto oggi relativamente vivo al di fuori del postumanesimo) che si può, e si deve, ora, lanciare una battaglia sulla preservazione dell’ Umano, sulla libertà minacciata, sulla pace nel mondo, sul ruolo delle classi sociali, dei popoli e dei Continenti…). Se necessario, contro tanti falsi “conservatori” che operano come apripista per la Singularity Tecnologica e per il “Governo degli Algoritmi”. Tale critica al progetto post-umanista non dev’essere preconcetta, bensì partire dalle sue (per quanto discutibili) radici storiche :il Mistero dell’ Incarnazione, l’“Antiquatezza dell’Uomo”, il mito dell’ Eterno Ritorno...

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L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE

NELLA TERZA GUERRA MONDIALE

Uno dei recenti libri più preveggenti e premonitori sull’avvenire dell’ Umanità è stato“La guerra al tempo delle macchine intelligenti” di Manuel De Landa, del 1991.

L’Autore, partendo dalla “teoria del Caos”, descrive, in modo assolutamente originale (anche se ispirato, in ultima analisi, da Eraclito), la storia umana come una storia di armi, intesa cioè come l’evoluzione, con una forma di parassitismo, delle macchine dal comportamento umano, e, in particolare, dal comportamento bellico.

Le macchine sono sempre state prioritariamente armi, dall’amigdala, all’ arco, alle armature, alle armi bianche, fino a quelle da sparo, ai veicoli, e, finalmente, alle macchine intelligenti, anch’esse nate come sottoprodotto dei finanziamenti pubblici per la Difesa (il DARPA, fondatore di DARPANET, alias Internet).

In questi ultimi 30 anni, le macchine hanno fatto progressi da gigante, incominciando a sostituirsi agli umani in molti compiti, a cominciare da quelli bellici. Con questa “Guerra Mondiale a Pezzi”, il “Phylum Macchinico” (come lo chiama De Landa) incomincia a orientare il comportamento degli umani, innanzitutto influenzando le elezioni, e, poi, guidando le strategie belliche, commerciali e finanziarie.

E’ significativo che i vertici delle società informatiche (che potrebbero essere visti come degli “ambasciatori del Phylum Macchinico”) svolgano un ruolo sempre più importante nella politica americana, e, di riflesso, riescano ad incidere in modo decisivo anche sui Paesi occidentali  influenzati dalle scelte americane. Ultimi casi, la presunta corruzione dei vertici di Sogei da parte del gruppo Musk, come pure l’acquisizione, da parte di un fondo americano, della principale impresa robotica italiana.

1. l’Intelligenza Artificiale in Ucraina, Palestina e Iran

Nel frattempo, le guerre in Ucraina e nel Medio Oriente proseguono con un ampio utilizzo dell’intelligenza artificiale, e, in primo luogo, dei droni assassini, usati tra l’altro nell’ uccisione mirata di leaders politici o militari avversari (in cui eccelle Israele, ma anche Hamas ci sta tentando).

Come è oramai  abbastanza chiaro a tutti, il rischio che le armi guidate dall’intelligenza artificiale sfuggano di mano è elevatissimo, anche perché esistono compiti di tecnica militare (come la programmazione e la guida di scenario, come la sorveglianza contro attacchi imprevisti, come l’antiaerea – pensiamo all’ “Iron Drome” israeliano-), che sono oggi svolti quasi esclusivamente da macchine intelligenti, il cui funzionamento, specie in condizioni di stress, non sempre è ineccepibile, così come aveva dimostrato plasticamente già  nel 1983 il fallimento del sistema sovietico “OKO”.

Per questo motivo, per quanto importanti possano essere i vari settori di applicazione dell’algoretica, e le diverse discipline giuridiche che sono state escogitate per farvi fronte, nessuno di esse supera per rilevanza il settore Difesa. Anche perché, con l’abbandono della Coesistenza Pacifica e dei Trattati per il Controllo degli Armamenti,  l’entrata in campo di nuovi attori, i missili ipersonici e la proliferazione nucleare, gli scenari bellici divengono sempre più indecifrabili, rendendo quasi impossibile il compito degli strateghi “umani”, come illustrato brillantemente da Eric Schmidt ai vertici dell’aeronautica militare americana.

al Circolo dei Lettori di Questo tema è stato illustrato e discusso Torino il 28 ottobre da Francesca Farruggia, dell’ Università di Roma 1 e da Ettore Greco, vice-Direttore dell’IAI.

Il risultato del dibattito è stato piuttosto sconfortante.

Innanzitutto, gli oratori hanno constatato  che, purtroppo, negli ultimi decenni, la situazione del controllo degli armamenti si è deteriorata per una serie concomitante di sviluppi: il deterioramento dei rapporti fra Ovest, Est e Sud del Mondo; i conflitti armati in corso; la maggior efficienza delle armi di distruzione di massa (in particolare i missili ipersonici e i droni di tutti i tipi). Ciò ha portato all’ uscita, da parte delle grandi potenze, dalla quasi totalità dei trattati per il controllo degli armamenti. Le discussioni in corso presso le Nazioni Unite e il Consiglio d’Europa, a cui si riferisce il nostro libro “La regolamentazione internazionale dell’Intelligenza Artificiale”

2.L’esigenza di nuovi trattati internazionali sull’Intelligenza Artificiale nel settore della Difesa

Il principio basilare del controllo umano, sancito dalle scarse norme esistenti in materia, diviene sempre più evanescente di fronte a guerre nucleari che si potrebbero concludere anche solo in pochi minuti. Questo ha reso l’uso dell’ Intelligenza Artificiale inevitabile. Probabilmente, il controllo va spostato alla fase della programmazione, ma l’esito diventa sempre più aleatorio. Probabilmente, occorrerà tonare a limitazioni delle disponibilità di certi tipi di armi di distruzione di massa.

Nello stesso tempo, nonostante l’intercessione in tal senso da parte di eminenti personaggi super partes – come  il Papa Henry Kissinger(poco prima della sua morte), e, infine, il Segretario generale delle Nazioni Unite, Guterres-, i negoziatori dei nuovi trattati internazionali sono lontanissimi dall’ estendere al settore Difesa (ma perfino a quello delle grandi piattaforme) gli atti normativi sull’ IA in discussione di fronte al legislatore europeo e internazionale.

Addirittura, quello che è in discussione alle Nazioni Unite sarebbe un trattato molto limitativo, limitato all’ uso bellico dei soli droni. Eppure, anche questo trattato è fermo da moltissimi anni.

In questa situazione, vi è, parallelamente alla corsa agli armamenti, anche quella all’ Intelligenza Artificiale. Ciò che è più preoccupante è il fatto che, fra i “vantaggi” dei robot, vi è anche e soprattutto quello di essere in grado di sopravvivere anche in condizioni ambientali che sarebbero esiziali per gli umani, primo fra questi, quello della guerra NBC (la “Guerra Nucleare, Batteriologica e Chimica”), il che rende sempre più realistico lo scenario della sostituzione dell’uomo con le macchine in occasione della guerra in corso, e grazie ad essa.

Infine, desta preoccupazione anche il fatto che molte delle ideologie più in voga (a cominciare dal Postumanesimo, per continuare con la “Fine della Storia”, fino ai diversi integralismi religiosi), abbiano un’origine e una matrice prettamente apocalittiche, dove l’Apocalisse, coerentemente con le sue radici zoroastriana e biblica, non costituisce un evento traumatico e isolato, bensì un processo che avvolge tutta la storia,e che è, per alcuni, positivo, e, per i più, inevitabile. Ciò restringe sempre più il ruolo riconosciuto al Libero Arbitrio, già soffocato dalle teologie protestanti, e, poi, dalle impostazioni scientistiche, secondo cui non esisterebbe la libertà umana, in quanto ogni azione sarebbe preordinata da natura, genetica, storia, economia e medicina.

3.E’un pericolo evitabile?

Certo, neppure le tesi di coloro che credono che l’umanità possa determinare, almeno parzialmente, la propria sorte, sono esenti da contraddizioni. Intanto, normalmente si tratta di scettici, che, in coerenza con le idee di Wittgenstein, Heisenberg, De Finetti e Feierabend, non credono di avere alcuna garanzia che le proprie azioni possano avere un qualsivoglia impatto sulla realtà. In secondo luogo, negando che vi sia alcuna comunicazione fra essere e dover essere, non possono fondare le proprie scelte su nulla. In terzo luogo, quand’anche essi ravvisino la radice dei comportamenti umani a elementi irrazionali, come l’istinto, l’intuito, la fede o il sentimento, non possono chiamare questo “libertà”, perché anche in questi casi gli umani sono più trascinati che non attivi.

Vi è una contradizione fra l’onnipotenza e l’onniscienza di Dio.

Forse, l’unico fondamento credibile in un mondo relativistico è costituito dall’ identità, elemento contestato fin dal suo”scopritore”, Hume, ma sempre risorgente sotto nuove forme, individuali o collettive, quale ragion d’essere misteriosa ma efficiente del comportamento di persone, gruppi e popoli. Ciò che ci spaventa delle Macchine Intelligenti è proprio che esse ci tolgono l’Identità. Se i nostri comportamenti sono sempre più conformati da meccanismi impersonali e comunque non umani, dove vanno a finire la nostra unicità, i nostri legami, le nostre tradizioni? Questa è la grande paura a cui si danno molti e contraddittori nomi: nichilismo, comunismo, relativismo, globalizzazione, capitalismo…

I più cercano di convincerci che la tecnica è “neutra”, nel senso che se ne può fare tanto un uso “buono” (per esempio, alleviare le malattie) quanto un uso “cattivo” (per esempio, bombardare). Non condividiamo questo semplicismo. La tecnica è “antiumana” per il fatto stesso che mira a  sostituirci. Questo è “un bene” per coloro che da tempo predicavano la necessità di  cancellare l’Umanità (i primi buddhisti, Teilhard de Chardin, forse Nietzsche), ma non lo è per coloro che credono che l’istinto di auto-conservazione (“Selbst-behauptung”) sia legittimo, e, forse, provvidenziale.

Così come ci risulta difficile comprendere come possa funzionale la libertà umana, altrettanto difficile sembra immaginare come si possa por fine a questa corsa verso l’autodistruzione. Alcuni affermano, facendo seguito, chi al determinismo marxista , chi alla teoria dello sviluppo di Rostow, che è impossibile frenare lo sviluppo tecnico, e che non resta che adeguarsi (l’”Uomo Antiquato” di Anders; l’”Anarca”di Juenger). Altri, come Heidegger, pensano che solo una Teofania (l’”Evento”) possa salvarci.

Questi dubbi filosofici spiegano forse la difficoltà di convincere l’opinione pubblica e le autorità ad impegnarsi in questa materia, tanto sul piano teorico (cercando di trovare una teoria convincente su quanto ci sta accadendo), e sul piano pratico (cercando di delineare dei percorsi per la fuoriuscita da questo pericolo).Infatti, è facile scoraggiarsi di fronte all’ enormità della sfida e alla vaghezza delle idee in proposito

Nessuno nega la difficoltà  di questo compito, specie per una popolazione deresponsabilizzata da decenni di propaganda, di partitocrazia, di burocrazia, di declino economico. Eppure, se mai vi fu l’esigenza di un impegno pubblico, questo è ora. I pericoli della Bomba, del surriscaldamento atmosferico, delle migrazioni incontrollate, sono nulla in confronto al pericolo di una guerra totale accompagnata dal sopravvento delle Macchine Intelligenti.

4.La nostra campagna

Buona parte delle nostre attività ruotano intorno a questa problematica:

a)la cultura contemporanea offre strumenti per progettare il futuro?

b)Vale ancora il principio che “è meglio che vi sia qualcosa piuttosto che non vi sia nulla?”

c)Quale forza può restituire all’ Umanità ormai insterilita la motivazione a vivere e a svilupparsi?

d)Un adeguato mix di culture mondiali può supplire al nichilismo di quella occidentale?

e)In che modo trarre profitto dall’auto-affermazione del Sud del Mondo per ringiovanire il dibattito filosofico?

f)Quale apporto può fornire l’Europa a questo dibattito?

g)Come può l’Europa portare avanti questo contributo nonostante la sua debolezza geopolitica e militare?

h)Come giocano in tutto questo le lotte politiche all’ interno degli Stati Uniti?

i)I BRICS e le Nazioni Unite possono esercitare un ruolo proattivo davanti allo spadroneggiare dei GAFAM nei Paesi occidentali?

l)Quali contenuti dare ai trattati internazionali in gestazione, per colmare le intollerabili lacune in materia di Intelligenza Artificiale Militare e di predominio incontrastato dei GAFAM?

Per questo abbiamo redatto il documento di lavoro “La regolamentazione internazionale dell’ Intelligenza Artificiale” .

Invitiamo tutti a dare il loro contributo di idee e di azione.

5.”Non copiare”?(cfr.Francesco Giavazzi, Corriere della Sera)

Per quanto  vari aspetti dell’ Intelligenza Artificiale che ad altri sembrano essenziali (come roboetica, transizione verde, arretratezza europea) siano messi in ombra, a nostro avviso, dall’ incombere della Terza Guerra Mondiale, purtuttavia, quest’ultima ha anche un impatto così onnipervasivo, da condizionare tutti i settori della vita umana, e, in primo luogo, la competizione economica mondiale, che anche quest’ultima, all’ alba della Singularity, non può essere descritta se non come una “guerra economica”.

Senza perderci in complesse elucubrazioni teoriche, vorremmo ricordare alcuni esempi nella storia industriale piemontese, in cui si vede che, a dispetto delle consolanti “grandi narrazioni” dell’ “establishment”, l’avanzamento tecnologico nel XX° secolo è stato strettamente legato a fattori bellici. Incominciando dal sostegno della RIV all’esercito russo zarista già nel 1912, allo “spezzatino” della SKF ordinato dall’ antitrust americano, dal ruolo determinante esercitato sullo sviluppo di Torino dal contributo della Fiat allo sforzo bellico, nella guerra italo-turca, nella 1° e nella 2° guerra mondiale, per passare ai ruoli di intelligence dell’ Ing. Olivetti e alle singolari circostanze della morte sua e del Prof.Chu, “padre” dell’ informatica Olivetti, come pure all’ importanza del militare e dell’ aerospaziale per FIAT Avio e Alenia, con collaborazioni tanto con la Russia, quanto con l’Ucraina.

La politica di privilegiare il “copiare” rispetto all’ “inventare” risale proprio alla subordinazione dell’economia italiana ai grandi gruppi internazionali, che sta dietro al delitto Matteotti, come alla cancellazione dell’ Olivetti informatica, agli accordi nel settore aerospaziale, al boicottaggio dei campioni europei, come Concorde, Auditel, Airbus, EADS…

Gli Americani, divenuti dominanti, non potevano accettare di essere secondi a un loro “alleato” in nessun campo, come si vide con l’inspiegabile ordine dato alla General Motors di comprare (per chiuderla), la Olivetti elettronica proprio mentre stava realizzando (clandestinamente, sotto la nuova governance americana), di 44000 personal computers al mercato americano.

Il timore di fare la fine di Olivetti e di Mattei ha spinto gl’imprenditori italiani verso una politica di bassissimo profilo. Ricordo un’indagine all’ interno del  Gruppo FIAT, in cui i 12 Capi-Settore avevano risposto unanimemente che era meglio copiare che non inventare. Ricordo anche il grande stupore di tutti quando avevo intrapreso un’indagine simile all’ interno del Settore Componenti, basata su una raccolta di dati sulle licenze attive e passive, da cui risultava che, contrariamente ai miti correnti, le società del settore ricevano, per brevetti e know-how, più canoni di quanto ne pagassero a terzi. Evidentemente, la paura di ritorsioni aveva spinto tutti, anche coloro che la proprietà intellettuale l’avevano, a nasconderla accuratamente. Ma, come scrive Giavazzi sul Corriere della Sera, “Quando un’economia raggiunge la frontiera della tecnologia, ‘crescere per imitazione’ ,non è più possibile: bisogna innovare, saperlo fare”.

Orbene, non è che gl’Italiani non lo sappiano fare, è che gli si è impedito di farlo, e per un periodo così lungo, che essi vi si sono veramente disabituati.La frontiera della tecnologia la si era raggiunta molto tempo fa, con i primi motori a reazione e i primi computer, che si è manovrato in modo che restassero per sempre appannaggio degli USA, o, qualche volta, degli Anglosassoni in generale, sempre per mantenere l’Europa sottomessa. Pensiamo per esempio ai cacciabombardieri Tornado e Typhoon, o ai motori Safran, co-prodotti con imprese americane e inglesi con formule di “risk and revenue sharing” in cui il “lead partner” è sempre stato un’impresa anglosassone.

Ancor peggiore è la situazione nell’ informatica, in cui,60 anni dopo i primi computer Olivetti, imprese europee di dimensioni apprezzabili non ce ne sono ancora, e i Governi trattano sempre (in modo poco trasparente) con i  soli GAFAM.

La soluzione suggerita da Gavazzi è quella sempre adottata in realtà in questi 80 anni: dare incentivi a imprese (o filiali) localizzate in Europa (ma magari di proprietà americana), per progetti americani (basti pensare a tutto il settore aeronautico). L’incremento della spesa militare  conseguente alla guerra in Ucraina non ha fatto che peggiorare questa situazione, a causa della gran massa di acquisti diretti negli USA (magari con i soldi del PNRR). E questo proprio quando il Parlamento Americano, con l’Inflation Reduction Act, ha fatto proprio l’obiettivo del Senatore Shumer, quello di “mettere fuori mercato il mondo intero”.

Cosa che si sta realizzando puntualmente (ma nei soli paesi occupati dagli USA, come Germania-vedi VW-, Europa e Giappone), mentre il resto del mondo (p.es., Cina, Paesi Arabi, Russia) sta procedendo a gonfie vele.

PERSIA, PALESTINA,DONBASS: GUERRE ETERNE?

Ha suscitato giustamente scalpore il fatto che Israele  abbia attaccato ripetutamente e deliberatamente le basi UNIFIL sotto il comando italiano, provocando tra l’altro gravi ferimenti di Caschi Blu – un’azione che il Ministro della Difesa Crosetto ha giustamente definito come “crimine di guerra”-.

Questo scalpore è giustificato soprattutto dal fatto che la “Guerra Mondiale a Pezzi”, oramai non più tanto a pezzi, sta scalfendo una gran quantità di luoghi comuni impostici da decenni dai media occidentali. Fra questi, il più pernicioso è stato quello relativo alla presunta  “imminenza della Pace Perpetua”, veicolato dalla retorica delle Organizzazioni Internazionali e dell’ Unione Europea.

Mentre le Nazioni Unite  hanno appena fatto il punto sulla loro pretenziosa Agenda 2030, esse si vedono addirittura attaccate militarmente da uno dei propri membri, che l’accusa di essere troppo imparziali nel conflitto con i Palestinesi, mentre invece, secondo Israele, questi ultimi sarebbero  dei “terroristi”, da sterminarsi semplicemente, senza curarsi del diritto internazionale umanitario. I Caschi Blu dovrebbero quindi farsi da parte in seguito a semplici intimazioni dell’Esercito Israeliano (che, tra l’altro, non si capisce perché improvvisamente sia diventato per tutti “IDF”, all’Americana, anziché, in Ebraico, “Tsahal”), e, in caso contrario, rassegnarsi ad essere cannoneggiati. Come se non bastasse, lo stesso Segretario Generale dell’ ONU viene praticamente messo al bando da Israele, immemore del fatto che la sua stessa creazione era stata opera dell’ ONU.

Non che le critiche di Israele siano del tutto infondate. L’inasprirsi della crisi dimostra la debolezza della funzione di “Peace-Keeping” internazionale, ma ciò non è ”colpa” di nessuno:  è la Post-Modernità che, qui come altrove, mette a nudo le contraddizioni della Modernità, due fra le quali riguardano, tra l’altro, proprio Israele e l’ ONU. Su Israele c’è da chiedersi se sia veramente, come pretendeva Herzl, uno “Stato laico”, nel qual caso non si comprenderebbe tutta quest’ansia di ristabilire i confini biblici (Yisrael ha-Shelomah), di ricostruire il Tempio e di usare la Torah come unica vera Costituzione. D’altronde, visto che Israele non è una “razza” bensì un “popolo” etno-culturale,  esso non esisterebbe nemmeno se non ci fossero la Bibbia e la sua lingua. Di converso, i Neturei Karta combattono l’idea di uno Stato ebraico nel tempo presente (tempo che ritengono ancora di esilio), poiché ritengono contrario all’autentica tradizione religiosa ebraica lo  stabilirlo senza aspettare che Erets Israel venga esplicitamente donata dall’Altissimo.  Pertanto, la pretesa sionista di costituire uno “Stato ebraico laico” sarebbe semplicemente l’ennesima  “hybris” di alcuni eresiarchi, né più né meno di quella dei “Costruttori di Dio” cristiani o dei Baha’i persiani (che, guarda caso, hanno sede proprio in Israele): un’ennesima manifestazione di quella “religione secolarizzata” che è al centro della Modernità.

Queste religioni secolarizzate, che, con Lessing, pretendono di realizzare sulla terra le promesse escatologiche delle religioni tradizionali, paradossalmente, in ossequio all’Eterogenesi dei Fini, mentre propugnano la Pace Perpetua, stanno trasformando le religioni in strumenti di lotta fra le diverse parti del mondo (Singularity contro  Tradizione; Hindutva contro Shari’a), perché, abbandonate le pretese di salvezza individuale,  sono divenute semplicemente la divinizzazione della volontà di potenza dei singoli Stati-Civiltà. Del resto, anche il Puritanesimo è una versione secolarizzata del Protestantesimo, così come la il “socialismo islamico” lo è dell’Islam. L’ accusa di “integralismo”rivolta tradizionalmente alle versioni “conservatrici” (“quietiste”) delle singole religioni, si rivela invece adeguata solo alle loro emulazioni laicistiche, come la “religione dell’ umanità di Saint Simon, il Sionismo e la “Nazione dell’ Islam”, camuffamenti dell’espansionismo di popoli che si pretendono “superiori”.

Di qui anche la sterilità delle Chiese ufficiali ( succubi neppur troppo copertamente di quelle religioni secolarizzate), le quali continuano a predicare la pace senza più trovare argomenti concreti a favore della stessa.

Ma  contraddittoria è anche la natura stessa dell’ ONU, nata proprio dalla pretesa del progressismo puritano, espressa alla sua fondazione da Eleanor Roosevelt, di imporre la Pace Perpetua. Tale pace perpetua avrebbe costituito il suggello del progetto messianico americano quale espresso da Winthrop, Cotton Mather, Emerson, Whitman, Friske e Wilkie. Non per nulla il Palazzo di Vetro è situato nel cuore di Manhattan, sotto il completo controllo dell’America. La Seconda Guerra Mondiale sarebbe stata l’ ultima delle guerre perchè poi tutto il mondo sarebbe stato diretto dalla “ragnatela delle istituzioni dirette da Washington”(cfr. Ikenberry).

Sono stati i fatti stessi a ribellarsi a questa proteiforme “hybris”. I conflitti attualmente in corso non sono nati ieri, bensì parecchi millenni fa, e continuano a riproporsi sempre negli stessi termini: l’uno, lungo fra il Don, il Donetz e il Dniepr, fra i popoli indo-europei e turcici dei Kurgan e delle steppe, e, l’altro, fra “Il Fiume d’ Egitto” e l’Eufrate, fra popoli semitici e hamitici dei deserti. Dietro a tutto ciò ci sono, da un lato, la “Distinzione mosaica” (fra Vero e Falso, cfr. Jan Assmann), dall’ altro la pretesa di tutti i contendenti d’incarnare una divina volontà di pace e giustizia, che trae le proprie radici dal mondo antico, e precisamente da quella Persia (Eranshahr) che è oggi il vero antagonista di Israele (perché entrambi perseguono la stessa utopia).  Ed è fra Egitto, Persia e Palestina che nasce la pretesa millenarista. Questi destini sono stati configurati dalla geografia: sono  collocati ai punti di passaggio obbligati fra l’Asia e, da un lato, l’Europa, e, dall’ altro l’Africa, che tutti i contendenti pretendono di tenere sotto il proprio controllo. Le illusioni postmoderne di risolverli “con una bacchetta magica” in base a formule astratte sta scontrandosi con la realtà, e la sta perfino peggiorando.

La sopravvivenza dell’Umanità è stata uno degli obiettivi di base di ogni cultura. Nel mondo moderno iperconnesso, quest’obiettivo richiede uno sforzo congiunto di tutti i popoli. Nel mondo ipertecnologico delle Macchine Intelligenti, senza questo sforzo è assicurata la Fine dell’Uomo: come aveva riconosciuto Kant, la Pace Perpetua si rivela come un grande cimitero.

Per questo, a partire dal Sacro Romano Impero e dal re hussita  Podiebrad, e poi via via attraverso Postel, Crucé, Saint-Pierre, Pufendorf, Novalis, Nicola II, Coudenhove Kalergi, Wilson,  Spinelli, si è venuta configurando una teoria delle organizzazioni internazionali. Teoria che comunque non indica  alcun antidoto all’ incombente mortalità del cosmo, dell’ Umanità e delle civiltà. Anche alla luce dell’ esperienza, occorre ora perciò un approccio più realistico, secondo cui la Storia non finirà con un evento taumaturgico, bensì presumibilmente con il suicidio dell’ Umanità (vedi bomba atomica, Singularity, Terza Guerra Mondiale, surriscaldamento atmosferico, denatalità), e perciò il nostro compito ragionevole è, nella migliore delle ipotesi, “salvare il Cosmo”, almeno  finché sarà possibile (il Katèchon), e per il resto attendere la Fine, che, secondo la tradizione cristiana, “verrà come un ladro nella notte”. L’ebraismo ha un’eccezionale espressione a questo proposito: “Tikkun ha-Olam” (“riparare il mondo”), che non è l’impossibile “Raddrizzare il legno storto dell’ Umanità” (Kant, Berlin), bensì si apparenta a quella quotidiana ricostruzione del Divino attraverso i Riti di cui parla anche Eliade.

1.Il Paese degli Ariani (Iran)

L’eternità delle guerre in corso è dimostrato dalle vicende (pre-istoriche, storiche e post-istoriche) delle tre aree in questione: la Persia, la  Palestina e le Steppe Pontiche.

Una delle opere  che più hanno inciso sulla formazione della cultura postmoderna è il “Così parlò Zarathustra” di Nietzsche, sconcertante, da un lato, perché è talmente ben costruito, da poter rappresentare, letterariamente, e perfino linguisticamente, quasi un “sequel” del  Zand i Bahman Yasn, il principale libro sacro zoroastriano, ma, dall’ altro, perché costituisce una sorta d’implicita ritrattazione della dottrina zoroastriana di una lotta cosmica fra un Dio del Male e un Dio del Bene, quest’ultimo rappresentato sulla terra dal sovrano achemenide.

Lo zoroastrismo rappresenterà così il modello prototipico del messianesimo ebraico e degl’imperi provvidenziali  cristiani e islamici successivi. Non per nulla la nascita di Cristo è salutata, per primi, “nella pienezza dei Tempi”, dai Re Magi. I Persiani zoroastriani sconfiggeranno  e imprigioneranno l’imperatore romano Valeriano, per poi essere a loro volta sconfitti dalle armate islamiche. C’è  anche da chiedersi in che misura l’idea di Jihad, così centrale nell’ Islam, non sia che un’eredità della guerra santa dell’imperatore persiano contro Angra Mayniu. Del resto, uno dei compagni di Maometto era il “Principe di Persia”. La Persia ha mantenuto il proprio spirito  antagonistico alimentando sette islamiche rivoluzionarie, come gli Shi’iti, i Carmati e gli Assassini, e varie religioni post-zoroastriane, come il Manicheismo, il Mazdakisno e il Paulicianesimo (poi reincarnatosi in Europa nel Bogumilismo e nel Catarismo) Più recentemente, la Persia ha generato nuove sette molto inclini al Technological Sublime, come i Baha’i, e, dentro l’Islam, gli Hojjatiyye.

I Persiani continueranno a costituire un elemento di disordine nel Medio Oriente, poiché, memori  di quelle antiche glorie, ambiscono ancor sempre a dominarlo, se non altro culturalmente, con la loro letteratura e le influenze delle loro lingue, e perciò non accettano l’egemonia culturale, né dell’ Occidente, né degli Arabi, né dei Sunniti, né di Israele. La rivoluzione khomeinista, che si presentò come alternativa al mondo islamico sunnita, continua dunque la tradizione messianica e rivoluzionaria dello zoroastrismo, per altro ancora vivo e vegeto nel Paese, e spesso richiamato dai dissidenti anti-khomeinisti.

Ma i veri eredi dello Zoroastrismo sono i progressisti occidentali, i quali hanno trasfuso nel progressismo laicista l’enfasi posta dai Persiani nell’Apocalisse, intesa come conquista del mondo da parte di un Salvatore (Shaoshant) sotto la guida di Ahura Mazda, e la conseguente vittoria del Bene Assoluto sul Male Assoluto. D’altronde, gli Hojjatiyye considerano l’invenzione di Internet come un segno dell’avvicinarsi dell’avvento del Mahdi.

Invece, le cosiddette “autocrazie”, nemiche dell’ Occidente progressista, sono  i veri epigoni culturali degli antichi Greci, in quanto culture tragiche, belliciste e aristocratiche sul modello degli Spartani delle Termopili, a cui  sembrano ispirati i vari al-Qaida, ISIS, Hamas e Hezbollah, con i loro leaders che cercano la morte gloriosa in battaglia. Significativamente, come racconta Erodoto, il generale persiano Mardonio, dopo avere represso la rivolta della Ionia, impone alle poleis locali d’instaurare governi democratici in sostituzione di quelli aristocratici che si erano ribellati alla Persia.

2.Peleset, Peleshtim, Filastin

Sin dall’antichità l’egemonia degli Hyksos venne identificata con il soggiorno in Egitto degli Ebrei, e, in particolare, con le storie bibliche di Giuseppe e Mosè. Gli Hyksos (Heka khasut, cioè “i capi di un Paese straniero” )giunsero in Egitto  attorno al 1700 a.C.,  portandovi il   cavallo e il carro da guerra.

Dopo l’Esodo dall’Egitto, cominciava la conquista di Cana’an da parte del popolo ebraico. I “Revisionisti Israeliani” (p.es., Finkielkraut) sostengono che una vera e propria “Conquista di Canaan” intesa come grande campagna militare, non è mai avvenuta, e si è invece trattato di un graduale spostamento di popoli, dalle rive del Mare Mediterraneo, alle colline della Palestina. Sia come sia, si era sviluppata comunque di una guerriglia continua, a cui ben si confanno le descrizioni contenute in tutta la Bibbia, per altro facilmente sovrapponibili a quelle attuali di Gaza, della Cisgiordania e del Libano:“due dei figli di Giacobbe, Simeone e Levi, fratelli di Dina, presero ciascuno la propria spada, assalirono la città che si riteneva sicura, e uccisero tutti i maschi.” – “Passarono a fil di spada anche Camor e suo figlio Sichem, presero Dina dalla casa di Sichem, e uscirono.” – “I figli di Giacobbe si gettarono sugli uccisi e saccheggiarono la città, perché la loro sorella era stata disonorata” – “presero le loro greggi, i loro armenti, i loro asini, quanto era nella città e nei campi.” – “Portarono via come bottino tutte le loro ricchezze, tutti i loro bambini, le loro mogli e tutto quello che si trovava nelle case….“

Queste vicende ricalcano inoltre quella della Guerra di Troia, narrata dalla letteratura greca, e quelle documentate nei monumenti dei sovrani mesopotamici e nei poemi ittiti, hurritici e mitannici.

Il meccanismo è sempre lo stesso: Dio, attraverso i profeti, incita il popolo ebraico a conquistare le diverse città di Canaan, sterminandone gli abitanti. La scena si ripete all’ infinito. Vengono menzionati infiniti popoli e città: Amalek; Og; Sicon; Madian;Gerico ; Ai; Gabaon; Machedda; Libna;Eglon; Ebron;Debir;i Ferezei;Gerusalemme;Sefat;Moav;Succot;Lais; i Filistei;Ammon;Galgala;gli Aramei;i Siriani;Tifsach…

Tutto ciò è confermato dalle Lettere di Tell el-Amarna, che dimostrano come le città cananee si lamentassero con il Faraone degli attacchi di popolazioni barbare, che essi definivano come “Habiru” o “Jahu.”

Sulla Stele di Merneptah ( 1200 circa a.C.), è narrato l’esito vittorioso di una spedizione militare, al seguito della quale :”Ysyrỉ3r fk.t;bn      pr.t =f” (“Ysrỉr è desolato;il seme suo non c’è”)

Da vari studiosi moderni, Ysrỉr viene identificato con Israele. Si tratterebbe pertanto della prima testimonianza storica relativa al popolo ebraico. Il nome Ysrỉr non è accompagnato, come accade per le città o stati presenti nella lista, dall’ideogramma raffigurante tre montagne stilizzate indicante un regno. L’ideogramma associato invece, un uomo e una donna, indica una popolazione di natura nomade.Invece, i Palestinesi (Filistei, Peleset, Peleshtim, Filastin), sono spesso identificati con uno dei  Popoli del Mare che vediamo sbarcare sulla parete del tempio di Medinet Habu , Sherden, Sheklesh, Ekwesh .

Questa conflittualità ricorrente  ricorda i tentativi egemonici attribuiti dalla Bibbia ai regni di Davide e Salomone, le invasioni babilonesi, assire, persiane e macedoni, fino alle Guerre Giudaiche e all’inizio della Diaspora.

Di non minore importanza, per il Levante, le, questa volta documentatissime, Crociate volte a riconquistare la Terra Santa dal dominio islamico, le quali che durarono circa 600 anni. La prima (1096-1099) permise di istituire i primi quattro Stati crociati: la Contea di Edessa, il Principato di Antiochia, il Regno di Gerusalemme e la Contea di Tripoli. A livello popolare, essa scatenò un’ondata di rabbia cattolica che si espresse nei massacri degli ebrei  e il violento trattamento dei cristiani ortodossi “scismatici” dell’est.

La protezione dei Cristiani in Terrasanta costituì poi il pretesto per la Guerra di Crimea, e il Libano è stato anch’esso oggetto di violente dispute fra comunità religiose, che hanno portato a varie guerre civili (cfr. infra).

Infine, la stessa  nascita dello Stato di Israele si inserisce in un piano di destabilizzazione del Medio Oriente dopo la sconfitta dell’Impero Ottomano, posto in essere da Francia e Inghilterra con gli Accordi Sykes/Picot, piano che non ha ancora cessato di esercitare i suoi effetti perversi.

3.Le steppe pontiche (u-Krajine=sulla frontiera)

La cultura “Jamnaja” (“delle tombe a pozzo”)  si colloca fra una fase tarda dell’età del rame e l’inizio  dell’età del bronzo, nella regione  fra il Bug e il Dnestr e gli Urali (la steppa pontica), in un periodo che va dal XXXVI al XXIII secolo a.C.. Si ritiene che gli Jamnaja siano stati i primi domesticatori di cavalli per uso di trasporto cavaliere e di carri con ruote, che avevano facilitato gli spostamenti e diffuso questa tecnologia. I resti del più arcaico carro con ruote trainato da cavalli, sono stati trovati nel kurgan della “Storožova mohyla” (Dniepropetrovsk, oggi Dniprò”), in Ucraina. Il sito sacrificale di Luhansk (Lugansk, nel Donbass, al centro degli attuali combattimenti) recentemente scoperto, è stato descritto come un santuario collinare dove si praticavano sacrifici umani..

Anche grazie ai cavalli, gli Jamnaja furono un popolo particolarmente guerriero e conquistatore (gli “Ariani”), che si espanse rapidamente tanto in Europa, quanto in Asia. Dopo di essi, attraversarono le steppe pontiche Sciti, Sarmati, Unni, Avari, Bulgari, Khazari, Peceneghi .Questi ultimi sono i  Polovesiani (Polovcy), di cui narra il Canto del Principe Igor (anno 1080)e a cui sono dedicate le “Danze Polovesiane”.

Dopo secoli di combattimenti che coinvolsero  molti popoli dell’ area -Bizantini, Bulgari, Rus’ di Kiev, Cazari e Magiari-,nel XIII Secolo,l’Impero Mongolo conquistò, fa le altre cose, le attuali Ucraina e Russia. Una delle principali battaglie per la liberazione delle stesse fu la Battaglia di Kulikovo, sul Don, sotto la guida di Dmitri Donskoj, nel 1378.

L’Ucraina fece poi parte di quella serie di fortificazioni al confine con l’ Impero Ottomano (che andavano dell’ Impero austriaco, della Polonia e della Russia) dette Krajine (confini). Esse furono custodite da guerrieri di origini internazionali (Giannizzeri, Granicari, Graenzer, Serbi, Hajduk, Honved, Karaim, Lipka Tatarlar). Nell’ attuale Ucraina, essi si chiamarono Cosacchi, da un termine turco che significa “cavalieri delle steppe”, e la Krajina polacca e russa si chiamò “Ukrajina”. Il suo cuore era costituito dalle fortezze sul Dniepr (Zaporishkaja Sich). Si combatté in quest’area fra Cosacchi, Turchi, Polacchi, Svedesi e Russi. Vi furono anche due importanti rivolte di Cosacchi: quella di Stenka Razin e quella di Pugaciov.

La Guerra di Crimea costituì uno snodo fondamentale della storia europea, come testimonia il suo ruolo  nella unificazione italiana, vedendo essa la nascita di una coalizione antirussa a cui partecipò il Regno di Sardegna, anticipatrice dell’ attuale “Kollektiv Zapada”, che contende alla Russia l’egemonia sulla Europa Orientale.

Durante la Guerra Civile Russa, l’Oriente dell’ Ucraina fu sede della repubblica di Kharkiv,  dell’ effimero Stato “bianco” di Denikin, della repubblica anarchica di Makhnò e di quelle sovietiche del Donbass e Krivoj Rog. Successivamente alla vittoria sovietica, quelle regioni patirono in modo particolare l’Holodomor (la carestia nella Russia Meridionale), e la “campagna di dekulakizzazione”.

L’invasione e la spartizione della Polonia dopo il Patto Molotov Ribbentrop comportò lo scatenamento della guerra in tutta la regione pontica. Bandera e l’UPA, addestrati a Praga sotto l’egida di Rosenberg,  entrarono a Leopoli in divise naziste, proclamando lo Stato indipendente ucraino, a cui si riallaccia l’attuale narrativa “nazionale” ucraina.

La battaglia di Stalingrado, decisiva per le sorti del conflitto, si svolse precisamente all’ incontro fra Don e Volga. L’area fra il Dniepr e il Volga fu il centro di fondamentali combattimenti fra l’Esercito Tedesco, spalleggiato da truppe italiane, rumene, ungheresi, francesi, slovacche, croate, e scandinave e da volontari anticomunisti di tutta Europa, dei Paesi arabi, dell’Asia Centrale e dell’India, e, dall’ altra, l’Armata Rossa.

La resa di von Paulus a Stalingrado e la “ritirata di Russia” delle truppe dell’Asse segnarono l’inizio della sconfitta di Hitler.

Su tutto questo si può consultare il nostro libro “Ucraina no a un’inutile strage”.

Per tutto quanto precede, ci sembra che sarebbe impossibile stupirsi dell’attuale guerra, che, a sua volta, dura oramai da 10 anni.Ha suscitato giustamente scalpore il fatto che Israele  abbia attaccato ripetutamente e deliberatamente le basi UNIFIL sotto il comando italiano, provocando tra l’altro gravi ferimenti di Caschi Blu – un’azione che il Ministro della Difesa Crosetto ha giustamente definito come “crimine di guerra”-.

questi, il più pernicioso è stato quello relativo alla presunta  “imminenza della Pace Perpetua”, veicolato dalla retorica delle Organizzazioni Internazionali e dell’ Unione Europea.

Mentre le Nazioni Unite  hanno appena fatto il punto sulla loro pretenziosa Agenda 2030, esse si vedono addirittura attaccate militarmente da uno dei propri membri, che l’accusa di essere troppo imparziali nel conflitto con i Palestinesi, mentre invece, secondo Israele, questi ultimi sarebbero  dei “terroristi”, da sterminarsi semplicemente, senza curarsi del diritto internazionale umanitario. I Caschi Blu dovrebbero quindi farsi da parte in seguito a semplici intimazioni dell’Esercito Israeliano (che, tra l’altro, non si capisce perché improvvisamente sia diventato per tutti “IDF”, all’Americana, anziché, in Ebraico, “Tsahal”), e, in caso contrario, rassegnarsi ad essere cannoneggiati. Come se non bastasse, lo stesso Segretario Generale dell’ ONU viene praticamente messo al bando da Israele, immemore del fatto che la sua stessa creazione era stata opera dell’ ONU.

Non che le critiche di Israele siano del tutto infondate. L’inasprirsi della crisi dimostra la debolezza della funzione di “Peace-Keeping” internazionale, ma ciò non è ”colpa” di nessuno:  è la Post-Modernità che, qui come altrove, mette a nudo le contraddizioni della Modernità, due fra le quali riguardano, tra l’altro, proprio Israele e l’ ONU. Su Israele c’è da chiedersi se sia veramente, come pretendeva Herzl, uno “Stato laico”, nel qual caso non si comprenderebbe tutta quest’ansia di ristabilire i confini biblici (Yisrael ha-Shelomah), di ricostruire il Tempio e di usare la Torah come unica vera Costituzione. D’altronde, visto che Israele non è una “razza” bensì un “popolo” etno-culturale,  esso non esisterebbe nemmeno se non ci fossero la Bibbia e la sua lingua. Di converso, i Neturei Karta combattono l’idea di uno Stato ebraico nel tempo presente (tempo che ritengono ancora di esilio), poiché ritengono contrario all’autentica tradizione religiosa ebraica lo  stabilirlo senza aspettare che Erets Israel venga esplicitamente donata dall’Altissimo.  Pertanto, la pretesa sionista di costituire uno “Stato ebraico laico” sarebbe semplicemente l’ennesima  “hybris” di alcuni eresiarchi, né più né meno di quella dei “Costruttori di Dio” cristiani o dei Baha’i persiani (che, guarda caso, hanno sede proprio in Israele): un’ennesima manifestazione di quella “religione secolarizzata” che è al centro della Modernità.

Queste religioni secolarizzate, che, con Lessing, pretendono di realizzare sulla terra le promesse escatologiche delle religioni tradizionali, paradossalmente, in ossequio all’Eterogenesi dei Fini, mentre propugnano la Pace Perpetua, stanno trasformando le religioni in strumenti di lotta fra le diverse parti del mondo (Singularity contro  Tradizione; Hindutva contro Shari’a), perché, abbandonate le pretese di salvezza individuale,  sono divenute semplicemente la divinizzazione della volontà di potenza dei singoli Stati-Civiltà. Del resto, anche il Puritanesimo è una versione secolarizzata del Protestantesimo, così come la il “socialismo islamico” lo è dell’Islam. L’ accusa di “integralismo”rivolta tradizionalmente alle versioni “conservatrici” (“quietiste”) delle singole religioni, si rivela invece adeguata solo alle loro emulazioni laicistiche, come la “religione dell’ umanità di Saint Simon, il Sionismo e la “Nazione dell’ Islam”, camuffamenti dell’espansionismo di popoli che si pretendono “superiori”.

Di qui anche la sterilità delle Chiese ufficiali ( succubi neppur troppo copertamente di quelle religioni secolarizzate), le quali continuano a predicare la pace senza più trovare argomenti concreti a favore della stessa.

Ma  contraddittoria è anche la natura stessa dell’ ONU, nata proprio dalla pretesa del progressismo puritano, espressa alla sua fondazione da Eleanor Roosevelt, di imporre la Pace Perpetua. Tale pace perpetua avrebbe costituito il suggello del progetto messianico americano quale espresso da Winthrop, Cotton Mather, Emerson, Whitman, Friske e Wilkie. Non per nulla il Palazzo di Vetro è situato nel cuore di Manhattan, sotto il completo controllo dell’America. La Seconda Guerra Mondiale sarebbe stata l’ ultima delle guerre perchè poi tutto il mondo sarebbe stato diretto dalla “ragnatela delle istituzioni dirette da Washington”(cfr. Ikenberry).

Sono stati i fatti stessi a ribellarsi a questa proteiforme “hybris”. I conflitti attualmente in corso non sono nati ieri, bensì parecchi millenni fa, e continuano a riproporsi sempre negli stessi termini: l’uno, lungo fra il Don, il Donetz e il Dniepr, fra i popoli indo-europei e turcici dei Kurgan e delle steppe, e, l’altro, fra “Il Fiume d’ Egitto” e l’Eufrate, fra popoli semitici e hamitici dei deserti. Dietro a tutto ciò ci sono, da un lato, la “Distinzione mosaica” (fra Vero e Falso, cfr. Jan Assmann), dall’ altro la pretesa di tutti i contendenti d’incarnare una divina volontà di pace e giustizia, che trae le proprie radici dal mondo antico, e precisamente da quella Persia (Eranshahr) che è oggi il vero antagonista di Israele (perché entrambi perseguono la stessa utopia).  Ed è fra Egitto, Persia e Palestina che nasce la pretesa millenarista. Questi destini sono stati configurati dalla geografia: sono  collocati ai punti di passaggio obbligati fra l’Asia e, da un lato, l’Europa, e, dall’ altro l’Africa, che tutti i contendenti pretendono di tenere sotto il proprio controllo. Le illusioni postmoderne di risolverli “con una bacchetta magica” in base a formule astratte sta scontrandosi con la realtà, e la sta perfino peggiorando.

La sopravvivenza dell’Umanità è stata uno degli obiettivi di base di ogni cultura. Nel mondo moderno iperconnesso, quest’obiettivo richiede uno sforzo congiunto di tutti i popoli. Nel mondo ipertecnologico delle Macchine Intelligenti, senza questo sforzo è assicurata la Fine dell’Uomo: come aveva riconosciuto Kant, la Pace Perpetua si rivela come un grande cimitero.

Per questo, a partire dal Sacro Romano Impero e dal re hussita  Podiebrad, e poi via via attraverso Postel, Crucé, Saint-Pierre, Pufendorf, Novalis, Nicola II, Coudenhove Kalergi, Wilson,  Spinelli, si è venuta configurando una teoria delle organizzazioni internazionali. Teoria che comunque non indica  alcun antidoto all’ incombente mortalità del cosmo, dell’ Umanità e delle civiltà. Anche alla luce dell’ esperienza, occorre ora perciò un approccio più realistico, secondo cui la Storia non finirà con un evento taumaturgico, bensì presumibilmente con il suicidio dell’ Umanità (vedi bomba atomica, Singularity, Terza Guerra Mondiale, surriscaldamento atmosferico, denatalità), e perciò il nostro compito ragionevole è, nella migliore delle ipotesi, “salvare il Cosmo”, almeno  finché sarà possibile (il Katèchon), e per il resto attendere la Fine, che, secondo la tradizione cristiana, “verrà come un ladro nella notte”. L’ebraismo ha un’eccezionale espressione a questo proposito: “Tikkun ha-Olam” (“riparare il mondo”), che non è l’impossibile “Raddrizzare il legno storto dell’ Umanità” (Kant, Berlin), bensì si apparenta a quella quotidiana ricostruzione del Divino attraverso i Riti di cui parla anche Eliade.

1.Il Paese degli Ariani (Iran)

L’eternità delle guerre in corso è dimostrato dalle vicende (pre-istoriche, storiche e post-istoriche) delle tre aree in questione: la Persia, la  Palestina e le Steppe Pontiche.

Una delle opere  che più hanno inciso sulla formazione della cultura postmoderna è il “Così parlò Zarathustra” di Nietzsche, sconcertante, da un lato, perché è talmente ben costruito, da poter rappresentare, letterariamente, e perfino linguisticamente, quasi un “sequel” del  Zand i Bahman Yasn, il principale libro sacro zoroastriano, ma, dall’ altro, perché costituisce una sorta d’implicita ritrattazione della dottrina zoroastriana di una lotta cosmica fra un Dio del Male e un Dio del Bene, quest’ultimo rappresentato sulla terra dal sovrano achemenide.

Lo zoroastrismo rappresenterà così il modello prototipico del messianesimo ebraico e degl’imperi provvidenziali  cristiani e islamici successivi. Non per nulla la nascita di Cristo è salutata, per primi, “nella pienezza dei Tempi”, dai Re Magi. I Persiani zoroastriani sconfiggeranno  e imprigioneranno l’imperatore romano Valeriano, per poi essere a loro volta sconfitti dalle armate islamiche. C’è  anche da chiedersi in che misura l’idea di Jihad, così centrale nell’ Islam, non sia che un’eredità della guerra santa dell’imperatore persiano contro Angra Mayniu. Del resto, uno dei compagni di Maometto era il “Principe di Persia”. La Persia ha mantenuto il proprio spirito  antagonistico alimentando sette islamiche rivoluzionarie, come gli Shi’iti, i Carmati e gli Assassini, e varie religioni post-zoroastriane, come il Manicheismo, il Mazdakisno e il Paulicianesimo (poi reincarnatosi in Europa nel Bogumilismo e nel Catarismo) Più recentemente, la Persia ha generato nuove sette molto inclini al Technological Sublime, come i Baha’i, e, dentro l’Islam, gli Hojjatiyye.

I Persiani continueranno a costituire un elemento di disordine nel Medio Oriente, poiché, memori  di quelle antiche glorie, ambiscono ancor sempre a dominarlo, se non altro culturalmente, con la loro letteratura e le influenze delle loro lingue, e perciò non accettano l’egemonia culturale, né dell’ Occidente, né degli Arabi, né dei Sunniti, né di Israele. La rivoluzione khomeinista, che si presentò come alternativa al mondo islamico sunnita, continua dunque la tradizione messianica e rivoluzionaria dello zoroastrismo, per altro ancora vivo e vegeto nel Paese, e spesso richiamato dai dissidenti anti-khomeinisti.

Ma i veri eredi dello Zoroastrismo sono i progressisti occidentali, i quali hanno trasfuso nel progressismo laicista l’enfasi posta dai Persiani nell’Apocalisse, intesa come conquista del mondo da parte di un Salvatore (Shaoshant) sotto la guida di Ahura Mazda, e la conseguente vittoria del Bene Assoluto sul Male Assoluto. D’altronde, gli Hojjatiyye considerano l’invenzione di Internet come un segno dell’avvicinarsi dell’avvento del Mahdi.

Invece, le cosiddette “autocrazie”, nemiche dell’ Occidente progressista, sono  i veri epigoni culturali degli antichi Greci, in quanto culture tragiche, belliciste e aristocratiche sul modello degli Spartani delle Termopili, a cui  sembrano ispirati i vari al-Qaida, ISIS, Hamas e Hezbollah, con i loro leaders che cercano la morte gloriosa in battaglia. Significativamente, come racconta Erodoto, il generale persiano Mardonio, dopo avere represso la rivolta della Ionia, impone alle poleis locali d’instaurare governi democratici in sostituzione di quelli aristocratici che si erano ribellati alla Persia.

2.Peleset, Peleshtim, Filastin

Sin dall’antichità l’egemonia degli Hyksos venne identificata con il soggiorno in Egitto degli Ebrei, e, in particolare, con le storie bibliche di Giuseppe e Mosè. Gli Hyksos (Heka khasut, cioè “i capi di un Paese straniero” )giunsero in Egitto  attorno al 1700 a.C.,  portandovi il   cavallo e il carro da guerra.

Dopo l’Esodo dall’Egitto, cominciava la conquista di Cana’an da parte del popolo ebraico. I “Revisionisti Israeliani” (p.es., Finkielkraut) sostengono che una vera e propria “Conquista di Canaan” intesa come grande campagna militare, non è mai avvenuta, e si è invece trattato di un graduale spostamento di popoli, dalle rive del Mare Mediterraneo, alle colline della Palestina. Sia come sia, si era sviluppata comunque di una guerriglia continua, a cui ben si confanno le descrizioni contenute in tutta la Bibbia, per altro facilmente sovrapponibili a quelle attuali di Gaza, della Cisgiordania e del Libano:“due dei figli di Giacobbe, Simeone e Levi, fratelli di Dina, presero ciascuno la propria spada, assalirono la città che si riteneva sicura, e uccisero tutti i maschi.” – “Passarono a fil di spada anche Camor e suo figlio Sichem, presero Dina dalla casa di Sichem, e uscirono.” – “I figli di Giacobbe si gettarono sugli uccisi e saccheggiarono la città, perché la loro sorella era stata disonorata” – “presero le loro greggi, i loro armenti, i loro asini, quanto era nella città e nei campi.” – “Portarono via come bottino tutte le loro ricchezze, tutti i loro bambini, le loro mogli e tutto quello che si trovava nelle case….“

Queste vicende ricalcano inoltre quella della Guerra di Troia, narrata dalla letteratura greca, e quelle documentate nei monumenti dei sovrani mesopotamici e nei poemi ittiti, hurritici e mitannici.

Il meccanismo è sempre lo stesso: Dio, attraverso i profeti, incita il popolo ebraico a conquistare le diverse città di Canaan, sterminandone gli abitanti. La scena si ripete all’ infinito. Vengono menzionati infiniti popoli e città: Amalek; Og; Sicon; Madian;Gerico ; Ai; Gabaon; Machedda; Libna;Eglon; Ebron;Debir;i Ferezei;Gerusalemme;Sefat;Moav;Succot;Lais; i Filistei;Ammon;Galgala;gli Aramei;i Siriani;Tifsach…

Tutto ciò è confermato dalle Lettere di Tell el-Amarna, che dimostrano come le città cananee si lamentassero con il Faraone degli attacchi di popolazioni barbare, che essi definivano come “Habiru” o “Jahu.”

Sulla Stele di Merneptah ( 1200 circa a.C.), è narrato l’esito vittorioso di una spedizione militare, al seguito della quale :”Ysyrỉ3r fk.t;bn      pr.t =f” (“Ysrỉr è desolato;il seme suo non c’è”)

Da vari studiosi moderni, Ysrỉr viene identificato con Israele. Si tratterebbe pertanto della prima testimonianza storica relativa al popolo ebraico. Il nome Ysrỉr non è accompagnato, come accade per le città o stati presenti nella lista, dall’ideogramma raffigurante tre montagne stilizzate indicante un regno. L’ideogramma associato invece, un uomo e una donna, indica una popolazione di natura nomade.Invece, i Palestinesi (Filistei, Peleset, Peleshtim, Filastin), sono spesso identificati con uno dei  Popoli del Mare che vediamo sbarcare sulla parete del tempio di Medinet Habu , Sherden, Sheklesh, Ekwesh .

Questa conflittualità ricorrente  ricorda i tentativi egemonici attribuiti dalla Bibbia ai regni di Davide e Salomone, le invasioni babilonesi, assire, persiane e macedoni, fino alle Guerre Giudaiche e all’inizio della Diaspora.

Di non minore importanza, per il Levante, le, questa volta documentatissime, Crociate volte a riconquistare la Terra Santa dal dominio islamico, le quali che durarono circa 600 anni. La prima (1096-1099) permise di istituire i primi quattro Stati crociati: la Contea di Edessa, il Principato di Antiochia, il Regno di Gerusalemme e la Contea di Tripoli. A livello popolare, essa scatenò un’ondata di rabbia cattolica che si espresse nei massacri degli ebrei  e il violento trattamento dei cristiani ortodossi “scismatici” dell’est.

La protezione dei Cristiani in Terrasanta costituì poi il pretesto per la Guerra di Crimea, e il Libano è stato anch’esso oggetto di violente dispute fra comunità religiose, che hanno portato a varie guerre civili (cfr. infra).

Infine, la stessa  nascita dello Stato di Israele si inserisce in un piano di destabilizzazione del Medio Oriente dopo la sconfitta dell’Impero Ottomano, posto in essere da Francia e Inghilterra con gli Accordi Sykes/Picot, piano che non ha ancora cessato di esercitare i suoi effetti perversi.

3.Le steppe pontiche (u-Krajine=sulla frontiera)

La cultura “Jamnaja” (“delle tombe a pozzo”)  si colloca fra una fase tarda dell’età del rame e l’inizio  dell’età del bronzo, nella regione  fra il Bug e il Dnestr e gli Urali (la steppa pontica), in un periodo che va dal XXXVI al XXIII secolo a.C.. Si ritiene che gli Jamnaja siano stati i primi domesticatori di cavalli per uso di trasporto cavaliere e di carri con ruote, che avevano facilitato gli spostamenti e diffuso questa tecnologia. I resti del più arcaico carro con ruote trainato da cavalli, sono stati trovati nel kurgan della “Storožova mohyla” (Dniepropetrovsk, oggi Dniprò”), in Ucraina. Il sito sacrificale di Luhansk (Lugansk, nel Donbass, al centro degli attuali combattimenti) recentemente scoperto, è stato descritto come un santuario collinare dove si praticavano sacrifici umani..

Anche grazie ai cavalli, gli Jamnaja furono un popolo particolarmente guerriero e conquistatore (gli “Ariani”), che si espanse rapidamente tanto in Europa, quanto in Asia. Dopo di essi, attraversarono le steppe pontiche Sciti, Sarmati, Unni, Avari, Bulgari, Khazari, Peceneghi .Questi ultimi sono i  Polovesiani (Polovcy), di cui narra il Canto del Principe Igor (anno 1080)e a cui sono dedicate le “Danze Polovesiane”.

Dopo secoli di combattimenti che coinvolsero  molti popoli dell’ area -Bizantini, Bulgari, Rus’ di Kiev, Cazari e Magiari-,nel XIII Secolo,l’Impero Mongolo conquistò, fa le altre cose, le attuali Ucraina e Russia. Una delle principali battaglie per la liberazione delle stesse fu la Battaglia di Kulikovo, sul Don, sotto la guida di Dmitri Donskoj, nel 1378.

L’Ucraina fece poi parte di quella serie di fortificazioni al confine con l’ Impero Ottomano (che andavano dell’ Impero austriaco, della Polonia e della Russia) dette Krajine (confini). Esse furono custodite da guerrieri di origini internazionali (Giannizzeri, Granicari, Graenzer, Serbi, Hajduk, Honved, Karaim, Lipka Tatarlar). Nell’ attuale Ucraina, essi si chiamarono Cosacchi, da un termine turco che significa “cavalieri delle steppe”, e la Krajina polacca e russa si chiamò “Ukrajina”. Il suo cuore era costituito dalle fortezze sul Dniepr (Zaporishkaja Sich). Si combatté in quest’area fra Cosacchi, Turchi, Polacchi, Svedesi e Russi. Vi furono anche due importanti rivolte di Cosacchi: quella di Stenka Razin e quella di Pugaciov.

La Guerra di Crimea costituì uno snodo fondamentale della storia europea, come testimonia il suo ruolo  nella unificazione italiana, vedendo essa la nascita di una coalizione antirussa a cui partecipò il Regno di Sardegna, anticipatrice dell’ attuale “Kollektiv Zapada”, che contende alla Russia l’egemonia sulla Europa Orientale.

Durante la Guerra Civile Russa, l’Oriente dell’ Ucraina fu sede della repubblica di Kharkiv,  dell’ effimero Stato “bianco” di Denikin, della repubblica anarchica di Makhnò e di quelle sovietiche del Donbass e Krivoj Rog. Successivamente alla vittoria sovietica, quelle regioni patirono in modo particolare l’Holodomor (la carestia nella Russia Meridionale), e la “campagna di dekulakizzazione”.

L’invasione e la spartizione della Polonia dopo il Patto Molotov Ribbentrop comportò lo scatenamento della guerra in tutta la regione pontica. Bandera e l’UPA, addestrati a Praga sotto l’egida di Rosenberg,  entrarono a Leopoli in divise naziste, proclamando lo Stato indipendente ucraino, a cui si riallaccia l’attuale narrativa “nazionale” ucraina.

La battaglia di Stalingrado, decisiva per le sorti del conflitto, si svolse precisamente all’ incontro fra Don e Volga. L’area fra il Dniepr e il Volga fu il centro di fondamentali combattimenti fra l’Esercito Tedesco, spalleggiato da truppe italiane, rumene, ungheresi, francesi, slovacche, croate, e scandinave e da volontari anticomunisti di tutta Europa, dei Paesi arabi, dell’Asia Centrale e dell’India, e, dall’ altra, l’Armata Rossa.

La resa di von Paulus a Stalingrado e la “ritirata di Russia” delle truppe dell’Asse segnarono l’inizio della sconfitta di Hitler.

Su tutto questo si può consultare il nostro libro “Ucraina no a un’inutile strage”.

Questo scalpore è giustificato soprattutto dal fatto che la “Guerra Mondiale a Pezzi”, oramai non più tanto a pezzi, sta scalfendo una gran quantità di luoghi comuni impostici da decenni dai media occidentali. Fra questi, il più pernicioso è stato quello relativo alla presunta  “imminenza della Pace Perpetua”, veicolato dalla retorica delle Organizzazioni Internazionali e dell’ Unione Europea.

Mentre le Nazioni Unite  hanno appena fatto il punto sulla loro pretenziosa Agenda 2030, esse si vedono addirittura attaccate militarmente da uno dei propri membri, che l’accusa di essere troppo imparziali nel conflitto con i Palestinesi, mentre invece, secondo Israele, questi ultimi sarebbero  dei “terroristi”, da sterminarsi semplicemente, senza curarsi del diritto internazionale umanitario. I Caschi Blu dovrebbero quindi farsi da parte in seguito a semplici intimazioni dell’Esercito Israeliano (che, tra l’altro, non si capisce perché improvvisamente sia diventato per tutti “IDF”, all’Americana, anziché, in Ebraico, “Tsahal”), e, in caso contrario, rassegnarsi ad essere cannoneggiati. Come se non bastasse, lo stesso Segretario Generale dell’ ONU viene praticamente messo al bando da Israele, immemore del fatto che la sua stessa creazione era stata opera dell’ ONU.

Non che le critiche di Israele siano del tutto infondate. L’inasprirsi della crisi dimostra la debolezza della funzione di “Peace-Keeping” internazionale, ma ciò non è ”colpa” di nessuno:  è la Post-Modernità che, qui come altrove, mette a nudo le contraddizioni della Modernità, due fra le quali riguardano, tra l’altro, proprio Israele e l’ ONU. Su Israele c’è da chiedersi se sia veramente, come pretendeva Herzl, uno “Stato laico”, nel qual caso non si comprenderebbe tutta quest’ansia di ristabilire i confini biblici (Yisrael ha-Shelomah), di ricostruire il Tempio e di usare la Torah come unica vera Costituzione. D’altronde, visto che Israele non è una “razza” bensì un “popolo” etno-culturale,  esso non esisterebbe nemmeno se non ci fossero la Bibbia e la sua lingua. Di converso, i Neturei Karta combattono l’idea di uno Stato ebraico nel tempo presente (tempo che ritengono ancora di esilio), poiché ritengono contrario all’autentica tradizione religiosa ebraica lo  stabilirlo senza aspettare che Erets Israel venga esplicitamente donata dall’Altissimo.  Pertanto, la pretesa sionista di costituire uno “Stato ebraico laico” sarebbe semplicemente l’ennesima  “hybris” di alcuni eresiarchi, né più né meno di quella dei “Costruttori di Dio” cristiani o dei Baha’i persiani (che, guarda caso, hanno sede proprio in Israele): un’ennesima manifestazione di quella “religione secolarizzata” che è al centro della Modernità.

Queste religioni secolarizzate, che, con Lessing, pretendono di realizzare sulla terra le promesse escatologiche delle religioni tradizionali, paradossalmente, in ossequio all’Eterogenesi dei Fini, mentre propugnano la Pace Perpetua, stanno trasformando le religioni in strumenti di lotta fra le diverse parti del mondo (Singularity contro  Tradizione; Hindutva contro Shari’a), perché, abbandonate le pretese di salvezza individuale,  sono divenute semplicemente la divinizzazione della volontà di potenza dei singoli Stati-Civiltà. Del resto, anche il Puritanesimo è una versione secolarizzata del Protestantesimo, così come la il “socialismo islamico” lo è dell’Islam. L’ accusa di “integralismo”rivolta tradizionalmente alle versioni “conservatrici” (“quietiste”) delle singole religioni, si rivela invece adeguata solo alle loro emulazioni laicistiche, come la “religione dell’ umanità di Saint Simon, il Sionismo e la “Nazione dell’ Islam”, camuffamenti dell’espansionismo di popoli che si pretendono “superiori”.

Di qui anche la sterilità delle Chiese ufficiali ( succubi neppur troppo copertamente di quelle religioni secolarizzate), le quali continuano a predicare la pace senza più trovare argomenti concreti a favore della stessa.

Ma  contraddittoria è anche la natura stessa dell’ ONU, nata proprio dalla pretesa del progressismo puritano, espressa alla sua fondazione da Eleanor Roosevelt, di imporre la Pace Perpetua. Tale pace perpetua avrebbe costituito il suggello del progetto messianico americano quale espresso da Winthrop, Cotton Mather, Emerson, Whitman, Friske e Wilkie. Non per nulla il Palazzo di Vetro è situato nel cuore di Manhattan, sotto il completo controllo dell’America. La Seconda Guerra Mondiale sarebbe stata l’ ultima delle guerre perchè poi tutto il mondo sarebbe stato diretto dalla “ragnatela delle istituzioni dirette da Washington”(cfr. Ikenberry).

Sono stati i fatti stessi a ribellarsi a questa proteiforme “hybris”. I conflitti attualmente in corso non sono nati ieri, bensì parecchi millenni fa, e continuano a riproporsi sempre negli stessi termini: l’uno, lungo fra il Don, il Donetz e il Dniepr, fra i popoli indo-europei e turcici dei Kurgan e delle steppe, e, l’altro, fra “Il Fiume d’ Egitto” e l’Eufrate, fra popoli semitici e hamitici dei deserti. Dietro a tutto ciò ci sono, da un lato, la “Distinzione mosaica” (fra Vero e Falso, cfr. Jan Assmann), dall’ altro la pretesa di tutti i contendenti d’incarnare una divina volontà di pace e giustizia, che trae le proprie radici dal mondo antico, e precisamente da quella Persia (Eranshahr) che è oggi il vero antagonista di Israele (perché entrambi perseguono la stessa utopia).  Ed è fra Egitto, Persia e Palestina che nasce la pretesa millenarista. Questi destini sono stati configurati dalla geografia: sono  collocati ai punti di passaggio obbligati fra l’Asia e, da un lato, l’Europa, e, dall’ altro l’Africa, che tutti i contendenti pretendono di tenere sotto il proprio controllo. Le illusioni postmoderne di risolverli “con una bacchetta magica” in base a formule astratte sta scontrandosi con la realtà, e la sta perfino peggiorando.

La sopravvivenza dell’Umanità è stata uno degli obiettivi di base di ogni cultura. Nel mondo moderno iperconnesso, quest’obiettivo richiede uno sforzo congiunto di tutti i popoli. Nel mondo ipertecnologico delle Macchine Intelligenti, senza questo sforzo è assicurata la Fine dell’Uomo: come aveva riconosciuto Kant, la Pace Perpetua si rivela come un grande cimitero.

Per questo, a partire dal Sacro Romano Impero e dal re hussita  Podiebrad, e poi via via attraverso Postel, Crucé, Saint-Pierre, Pufendorf, Novalis, Nicola II, Coudenhove Kalergi, Wilson,  Spinelli, si è venuta configurando una teoria delle organizzazioni internazionali. Teoria che comunque non indica  alcun antidoto all’ incombente mortalità del cosmo, dell’ Umanità e delle civiltà. Anche alla luce dell’ esperienza, occorre ora perciò un approccio più realistico, secondo cui la Storia non finirà con un evento taumaturgico, bensì presumibilmente con il suicidio dell’ Umanità (vedi bomba atomica, Singularity, Terza Guerra Mondiale, surriscaldamento atmosferico, denatalità), e perciò il nostro compito ragionevole è, nella migliore delle ipotesi, “salvare il Cosmo”, almeno  finché sarà possibile (il Katèchon), e per il resto attendere la Fine, che, secondo la tradizione cristiana, “verrà come un ladro nella notte”. L’ebraismo ha un’eccezionale espressione a questo proposito: “Tikkun ha-Olam” (“riparare il mondo”), che non è l’impossibile “Raddrizzare il legno storto dell’ Umanità” (Kant, Berlin), bensì si apparenta a quella quotidiana ricostruzione del Divino attraverso i Riti di cui parla anche Eliade.

1.Il Paese degli Ariani (Iran)

L’eternità delle guerre in corso è dimostrato dalle vicende (pre-istoriche, storiche e post-istoriche) delle tre aree in questione: la Persia, la  Palestina e le Steppe Pontiche.

Una delle opere  che più hanno inciso sulla formazione della cultura postmoderna è il “Così parlò Zarathustra” di Nietzsche, sconcertante, da un lato, perché è talmente ben costruito, da poter rappresentare, letterariamente, e perfino linguisticamente, quasi un “sequel” del  Zand i Bahman Yasn, il principale libro sacro zoroastriano, ma, dall’ altro, perché costituisce una sorta d’implicita ritrattazione della dottrina zoroastriana di una lotta cosmica fra un Dio del Male e un Dio del Bene, quest’ultimo rappresentato sulla terra dal sovrano achemenide.

Lo zoroastrismo rappresenterà così il modello prototipico del messianesimo ebraico e degl’imperi provvidenziali  cristiani e islamici successivi. Non per nulla la nascita di Cristo è salutata, per primi, “nella pienezza dei Tempi”, dai Re Magi. I Persiani zoroastriani sconfiggeranno  e imprigioneranno l’imperatore romano Valeriano, per poi essere a loro volta sconfitti dalle armate islamiche. C’è  anche da chiedersi in che misura l’idea di Jihad, così centrale nell’ Islam, non sia che un’eredità della guerra santa dell’imperatore persiano contro Angra Mayniu. Del resto, uno dei compagni di Maometto era il “Principe di Persia”. La Persia ha mantenuto il proprio spirito  antagonistico alimentando sette islamiche rivoluzionarie, come gli Shi’iti, i Carmati e gli Assassini, e varie religioni post-zoroastriane, come il Manicheismo, il Mazdakisno e il Paulicianesimo (poi reincarnatosi in Europa nel Bogumilismo e nel Catarismo) Più recentemente, la Persia ha generato nuove sette molto inclini al Technological Sublime, come i Baha’i, e, dentro l’Islam, gli Hojjatiyye.

I Persiani continueranno a costituire un elemento di disordine nel Medio Oriente, poiché, memori  di quelle antiche glorie, ambiscono ancor sempre a dominarlo, se non altro culturalmente, con la loro letteratura e le influenze delle loro lingue, e perciò non accettano l’egemonia culturale, né dell’ Occidente, né degli Arabi, né dei Sunniti, né di Israele. La rivoluzione khomeinista, che si presentò come alternativa al mondo islamico sunnita, continua dunque la tradizione messianica e rivoluzionaria dello zoroastrismo, per altro ancora vivo e vegeto nel Paese, e spesso richiamato dai dissidenti anti-khomeinisti.

Ma i veri eredi dello Zoroastrismo sono i progressisti occidentali, i quali hanno trasfuso nel progressismo laicista l’enfasi posta dai Persiani nell’Apocalisse, intesa come conquista del mondo da parte di un Salvatore (Shaoshant) sotto la guida di Ahura Mazda, e la conseguente vittoria del Bene Assoluto sul Male Assoluto. D’altronde, gli Hojjatiyye considerano l’invenzione di Internet come un segno dell’avvicinarsi dell’avvento del Mahdi.

Invece, le cosiddette “autocrazie”, nemiche dell’ Occidente progressista, sono  i veri epigoni culturali degli antichi Greci, in quanto culture tragiche, belliciste e aristocratiche sul modello degli Spartani delle Termopili, a cui  sembrano ispirati i vari al-Qaida, ISIS, Hamas e Hezbollah, con i loro leaders che cercano la morte gloriosa in battaglia. Significativamente, come racconta Erodoto, il generale persiano Mardonio, dopo avere represso la rivolta della Ionia, impone alle poleis locali d’instaurare governi democratici in sostituzione di quelli aristocratici che si erano ribellati alla Persia.

2.Peleset, Peleshtim, Filastin

Sin dall’antichità l’egemonia degli Hyksos venne identificata con il soggiorno in Egitto degli Ebrei, e, in particolare, con le storie bibliche di Giuseppe e Mosè. Gli Hyksos (Heka khasut, cioè “i capi di un Paese straniero” )giunsero in Egitto  attorno al 1700 a.C.,  portandovi il   cavallo e il carro da guerra.

Dopo l’Esodo dall’Egitto, cominciava la conquista di Cana’an da parte del popolo ebraico. I “Revisionisti Israeliani” (p.es., Finkielkraut) sostengono che una vera e propria “Conquista di Canaan” intesa come grande campagna militare, non è mai avvenuta, e si è invece trattato di un graduale spostamento di popoli, dalle rive del Mare Mediterraneo, alle colline della Palestina. Sia come sia, si era sviluppata comunque di una guerriglia continua, a cui ben si confanno le descrizioni contenute in tutta la Bibbia, per altro facilmente sovrapponibili a quelle attuali di Gaza, della Cisgiordania e del Libano:“due dei figli di Giacobbe, Simeone e Levi, fratelli di Dina, presero ciascuno la propria spada, assalirono la città che si riteneva sicura, e uccisero tutti i maschi.” – “Passarono a fil di spada anche Camor e suo figlio Sichem, presero Dina dalla casa di Sichem, e uscirono.” – “I figli di Giacobbe si gettarono sugli uccisi e saccheggiarono la città, perché la loro sorella era stata disonorata” – “presero le loro greggi, i loro armenti, i loro asini, quanto era nella città e nei campi.” – “Portarono via come bottino tutte le loro ricchezze, tutti i loro bambini, le loro mogli e tutto quello che si trovava nelle case….“

Queste vicende ricalcano inoltre quella della Guerra di Troia, narrata dalla letteratura greca, e quelle documentate nei monumenti dei sovrani mesopotamici e nei poemi ittiti, hurritici e mitannici.

Il meccanismo è sempre lo stesso: Dio, attraverso i profeti, incita il popolo ebraico a conquistare le diverse città di Canaan, sterminandone gli abitanti. La scena si ripete all’ infinito. Vengono menzionati infiniti popoli e città: Amalek; Og; Sicon; Madian;Gerico ; Ai; Gabaon; Machedda; Libna;Eglon; Ebron;Debir;i Ferezei;Gerusalemme;Sefat;Moav;Succot;Lais; i Filistei;Ammon;Galgala;gli Aramei;i Siriani;Tifsach…

Tutto ciò è confermato dalle Lettere di Tell el-Amarna, che dimostrano come le città cananee si lamentassero con il Faraone degli attacchi di popolazioni barbare, che essi definivano come “Habiru” o “Jahu.”

Sulla Stele di Merneptah ( 1200 circa a.C.), è narrato l’esito vittorioso di una spedizione militare, al seguito della quale :”Ysyrỉ3r fk.t;bn      pr.t =f” (“Ysrỉr è desolato;il seme suo non c’è”)

Da vari studiosi moderni, Ysrỉr viene identificato con Israele. Si tratterebbe pertanto della prima testimonianza storica relativa al popolo ebraico. Il nome Ysrỉr non è accompagnato, come accade per le città o stati presenti nella lista, dall’ideogramma raffigurante tre montagne stilizzate indicante un regno. L’ideogramma associato invece, un uomo e una donna, indica una popolazione di natura nomade.Invece, i Palestinesi (Filistei, Peleset, Peleshtim, Filastin), sono spesso identificati con uno dei  Popoli del Mare che vediamo sbarcare sulla parete del tempio di Medinet Habu , Sherden, Sheklesh, Ekwesh .

Questa conflittualità ricorrente  ricorda i tentativi egemonici attribuiti dalla Bibbia ai regni di Davide e Salomone, le invasioni babilonesi, assire, persiane e macedoni, fino alle Guerre Giudaiche e all’inizio della Diaspora.

Di non minore importanza, per il Levante, le, questa volta documentatissime, Crociate volte a riconquistare la Terra Santa dal dominio islamico, le quali che durarono circa 600 anni. La prima (1096-1099) permise di istituire i primi quattro Stati crociati: la Contea di Edessa, il Principato di Antiochia, il Regno di Gerusalemme e la Contea di Tripoli. A livello popolare, essa scatenò un’ondata di rabbia cattolica che si espresse nei massacri degli ebrei  e il violento trattamento dei cristiani ortodossi “scismatici” dell’est.

La protezione dei Cristiani in Terrasanta costituì poi il pretesto per la Guerra di Crimea, e il Libano è stato anch’esso oggetto di violente dispute fra comunità religiose, che hanno portato a varie guerre civili (cfr. infra).

Infine, la stessa  nascita dello Stato di Israele si inserisce in un piano di destabilizzazione del Medio Oriente dopo la sconfitta dell’Impero Ottomano, posto in essere da Francia e Inghilterra con gli Accordi Sykes/Picot, piano che non ha ancora cessato di esercitare i suoi effetti perversi.

3.Le steppe pontiche (u-Krajine=sulla frontiera)

La cultura “Jamnaja” (“delle tombe a pozzo”)  si colloca fra una fase tarda dell’età del rame e l’inizio  dell’età del bronzo, nella regione  fra il Bug e il Dnestr e gli Urali (la steppa pontica), in un periodo che va dal XXXVI al XXIII secolo a.C.. Si ritiene che gli Jamnaja siano stati i primi domesticatori di cavalli per uso di trasporto cavaliere e di carri con ruote, che avevano facilitato gli spostamenti e diffuso questa tecnologia. I resti del più arcaico carro con ruote trainato da cavalli, sono stati trovati nel kurgan della “Storožova mohyla” (Dniepropetrovsk, oggi Dniprò”), in Ucraina. Il sito sacrificale di Luhansk (Lugansk, nel Donbass, al centro degli attuali combattimenti) recentemente scoperto, è stato descritto come un santuario collinare dove si praticavano sacrifici umani..

Anche grazie ai cavalli, gli Jamnaja furono un popolo particolarmente guerriero e conquistatore (gli “Ariani”), che si espanse rapidamente tanto in Europa, quanto in Asia. Dopo di essi, attraversarono le steppe pontiche Sciti, Sarmati, Unni, Avari, Bulgari, Khazari, Peceneghi .Questi ultimi sono i  Polovesiani (Polovcy), di cui narra il Canto del Principe Igor (anno 1080)e a cui sono dedicate le “Danze Polovesiane”.

Dopo secoli di combattimenti che coinvolsero  molti popoli dell’ area -Bizantini, Bulgari, Rus’ di Kiev, Cazari e Magiari-,nel XIII Secolo,l’Impero Mongolo conquistò, fa le altre cose, le attuali Ucraina e Russia. Una delle principali battaglie per la liberazione delle stesse fu la Battaglia di Kulikovo, sul Don, sotto la guida di Dmitri Donskoj, nel 1378.

L’Ucraina fece poi parte di quella serie di fortificazioni al confine con l’ Impero Ottomano (che andavano dell’ Impero austriaco, della Polonia e della Russia) dette Krajine (confini). Esse furono custodite da guerrieri di origini internazionali (Giannizzeri, Granicari, Graenzer, Serbi, Hajduk, Honved, Karaim, Lipka Tatarlar). Nell’ attuale Ucraina, essi si chiamarono Cosacchi, da un termine turco che significa “cavalieri delle steppe”, e la Krajina polacca e russa si chiamò “Ukrajina”. Il suo cuore era costituito dalle fortezze sul Dniepr (Zaporishkaja Sich). Si combatté in quest’area fra Cosacchi, Turchi, Polacchi, Svedesi e Russi. Vi furono anche due importanti rivolte di Cosacchi: quella di Stenka Razin e quella di Pugaciov.

La Guerra di Crimea costituì uno snodo fondamentale della storia europea, come testimonia il suo ruolo  nella unificazione italiana, vedendo essa la nascita di una coalizione antirussa a cui partecipò il Regno di Sardegna, anticipatrice dell’ attuale “Kollektiv Zapada”, che contende alla Russia l’egemonia sulla Europa Orientale.

Durante la Guerra Civile Russa, l’Oriente dell’ Ucraina fu sede della repubblica di Kharkiv,  dell’ effimero Stato “bianco” di Denikin, della repubblica anarchica di Makhnò e di quelle sovietiche del Donbass e Krivoj Rog. Successivamente alla vittoria sovietica, quelle regioni patirono in modo particolare l’Holodomor (la carestia nella Russia Meridionale), e la “campagna di dekulakizzazione”.

L’invasione e la spartizione della Polonia dopo il Patto Molotov Ribbentrop comportò lo scatenamento della guerra in tutta la regione pontica. Bandera e l’UPA, addestrati a Praga sotto l’egida di Rosenberg,  entrarono a Leopoli in divise naziste, proclamando lo Stato indipendente ucraino, a cui si riallaccia l’attuale narrativa “nazionale” ucraina.

La battaglia di Stalingrado, decisiva per le sorti del conflitto, si svolse precisamente all’ incontro fra Don e Volga. L’area fra il Dniepr e il Volga fu il centro di fondamentali combattimenti fra l’Esercito Tedesco, spalleggiato da truppe italiane, rumene, ungheresi, francesi, slovacche, croate, e scandinave e da volontari anticomunisti di tutta Europa, dei Paesi arabi, dell’Asia Centrale e dell’India, e, dall’ altra, l’Armata Rossa.

La resa di von Paulus a Stalingrado e la “ritirata di Russia” delle truppe dell’Asse segnarono l’inizio della sconfitta di Hitler.

Su tutto questo si può consultare il nostro libro “Ucraina no a un’inutile strage”.

4.Urgenza della riforma delle Organizzazioni Internazionali

Come scrivevamo, la pace e la Fine della Storia erano state da sempre al centro degli sforzi per la creazione di un’ organizzazione internazionale, a partire dal trattato per la “Pax Aeterna” fra l’Impero romano e quello partico, per passare al “Landfridt” della Dieta di Worms, continuando con il Nouveau Cynée di Emeric Crucé e il Trattato per la Pace Perpetua di Saint-Pierre, con i suoi commenti da parte dei grandi illuministi, fino alla Santa Alleanza e alle conferenze per  la Pace di fine ‘800. Tutti questi movimenti non arrestarono minimamente le moltissime guerre degli ultimi due millenni. Men che mai a ciò servirono la Società delle Nazioni e le Nazioni Unite.

Infatti, premesso che un certo grado di conflittualità è inevitabile se si vuole  evitare un totalitario potere mondiale (lo Stato Mondiale di Juenger), un certo qual controllo di tale conflittualità è possibile solo se : (i) si accetta un certo grado di imperfezione delle cose umane; (ii)si mettono sul tavolo le reali cause dei conflitti.

Non per nulla l’attuale situazione è nata dal fallimento della pretesa internazionalistica del bolscevismo, e dalla conseguente sostituzione dell’URSS con la Comunità di Stati Indipendenti (tutt’ora viva e vegeta).

Orbene, oggi, quelle due condizioni non sembrano soddisfatte.

Quanto alla prima, tutti, compresi i promotori di un nuovo ordine mondiale (tranne la Cina), si propongono quali portatori di un’idea salvifica millenaristica di ordinamento internazionale, quand’anche differente tanto da quella sovietica, quanto  da quella americana.

Quanto alla seconda, nessuno sta  considerando che la reale causa dei conflitti, seppure parziali, in corso, risale alla pretesa occidentale di creare un potere mondiale unitario, pretesa contestata dalle altre parti del mondo. Prima di iniziare l’Operazione Militare Speciale, la Russia e la Cina avevano espresso chiaramente questo loro obiettivo di sventare il progetto americano di “Fine della Storia” attraverso la creazione di nuovi “paesi satelliti”, come l’Ucraina e Taiwan, destinati a corrodere l’identità di Russia e Cina, per sostituirle con piccoli Stati teleguidati dall’ Occidente (come accaduto per esempio con i Baltici o con l’Iraq “cantonalizzato”).

Andare incontro alle esigenze di tutti significa invece riconoscere Cina, Russia, Iran, Corea del Nord (ma anche India, Brasile, Cuba), come interlocutori pienamente legittimi e “di pari grado”, senza progettare la loro distruzione e sostituzione con nuovi Stati “rivoluzionari”, come faceva a suo tempo l’URSS.

Più in generale, i conflitti nel mondo si potranno almeno attutire quando tutte le grandi aree del mondo possederanno un loro ecosistema digitale autonomo, corrispondente alla loro specifica identità, e non potranno più, di conseguenza, essere controllati centralmente a distanza da Salt Lake City, dalla Silicon Valley o da Langley.

L’allargamento  dei BRICS a inizio 2024 verso Iran, Etiopia, Egitto ed EAU e il vertice dei BRICS, attualmente in corso a Kazan’, iniziano a configurare, nella pratica, la visione cinese di una coalizione di stati capaci di sfidare l’egemonia occidentale. Oggigiorno, i BRICS rappresentano il 45 percento della popolazione mondiale e una quota del Pil (PPP) che supera quella del G7. Nonostante che i BRICS, su carta, ben supportino l’agenda di Pechino,  la Cina è consapevole che, all’interno del gruppo, continuano a sussistere tensioni che potrebbero andare ad inficiare la coesione del progetto e il raggiungimento di obiettivi comuni. Paesi come India e Brasile, soprattutto, seppur partecipino attivamente alla vita dei BRICS, non mantengono le medesime posizioni anti-occidentali di Cina e Russia.

Manca però ancora un discorso culturale unificante, in grado di cogliere, pur salvaguardando la “poliedricità” del mondo, dei punti di incontro, per esempio, fra il socialismo con caratteristiche cinesi, il conservatorismo russo, il terzomondismo tradizionale, il panislamismo e l’hindutva, alla luce della transizione verso l’era delle Macchine Intelligenti.

Per questo, nessuno è stato ancora in grado di formulare proposte motivate circa la fine dei conflitti in corso, o almeno per una tregua.Per quanto riguarda il caso ucraino, avevamo indicato che una soluzione potrebbe venire dal riconoscimento del carattere europeo di Russia e Turchia, il che porterebbe automaticamente a un ruolo centrale dell’ Ucraina, e conseguentemente al venir meno della conflittualità fra questi tre poli.

Qualcosa di analogo potrebbe avvenite anche con Israele, nell’ ambito di una “Magna Europa” fondata, non già come l’Occidente attuale, sulle religioni secolarizzate, bensì sul ritorno all’humus culturale comune dell’ “Epoca Assiale” (cfr. Simone Weil, Saint-Exupéry, Eisenstadt, Eliade, Assmann, Frankopan).

 
 
 
 
 
 

4.Urgenza della riforma delle Organizzazioni Internazionali

Come scrivevamo, la pace e la Fine della Storia erano state da sempre al centro degli sforzi per la creazione di un’ organizzazione internazionale, a partire dal trattato per la “Pax Aeterna” fra l’Impero romano e quello partico, per passare al “Landfridt” della Dieta di Worms, continuando con il Nouveau Cynée di Emeric Crucé e il Trattato per la Pace Perpetua di Saint-Pierre, con i suoi commenti da parte dei grandi illuministi, fino alla Santa Alleanza e alle conferenze per  la Pace di fine ‘800. Tutti questi movimenti non arrestarono minimamente le moltissime guerre degli ultimi due millenni. Men che mai a ciò servirono la Società delle Nazioni e le Nazioni Unite.

Infatti, premesso che un certo grado di conflittualità è inevitabile se si vuole  evitare un totalitario potere mondiale (lo Stato Mondiale di Juenger), un certo qual controllo di tale conflittualità è possibile solo se : (i) si accetta un certo grado di imperfezione delle cose umane; (ii)si mettono sul tavolo le reali cause dei conflitti.

Non per nulla l’attuale situazione è nata dal fallimento della pretesa internazionalistica del bolscevismo, e dalla conseguente sostituzione dell’URSS con la Comunità di Stati Indipendenti (tutt’ora viva e vegeta).

Orbene, oggi, quelle due condizioni non sembrano soddisfatte.

Quanto alla prima, tutti, compresi i promotori di un nuovo ordine mondiale (tranne la Cina), si propongono quali portatori di un’idea salvifica millenaristica di ordinamento internazionale, quand’anche differente tanto da quella sovietica, quanto  da quella americana.

Quanto alla seconda, nessuno sta  considerando che la reale causa dei conflitti, seppure parziali, in corso, risale alla pretesa occidentale di creare un potere mondiale unitario, pretesa contestata dalle altre parti del mondo. Prima di iniziare l’Operazione Militare Speciale, la Russia e la Cina avevano espresso chiaramente questo loro obiettivo di sventare il progetto americano di “Fine della Storia” attraverso la creazione di nuovi “paesi satelliti”, come l’Ucraina e Taiwan, destinati a corrodere l’identità di Russia e Cina, per sostituirle con piccoli Stati teleguidati dall’ Occidente (come accaduto per esempio con i Baltici o con l’Iraq “cantonalizzato”).

Andare incontro alle esigenze di tutti significa invece riconoscere Cina, Russia, Iran, Corea del Nord (ma anche India, Brasile, Cuba), come interlocutori pienamente legittimi e “di pari grado”, senza progettare la loro distruzione e sostituzione con nuovi Stati “rivoluzionari”, come faceva a suo tempo l’URSS.

Più in generale, i conflitti nel mondo si potranno almeno attutire quando tutte le grandi aree del mondo possederanno un loro ecosistema digitale autonomo, corrispondente alla loro specifica identità, e non potranno più, di conseguenza, essere controllati centralmente a distanza da Salt Lake City, dalla Silicon Valley o da Langley.

L’allargamento  dei BRICS a inizio 2024 verso Iran, Etiopia, Egitto ed EAU e il vertice dei BRICS, attualmente in corso a Kazan’, iniziano a configurare, nella pratica, la visione cinese di una coalizione di stati capaci di sfidare l’egemonia occidentale. Oggigiorno, i BRICS rappresentano il 45 percento della popolazione mondiale e una quota del Pil (PPP) che supera quella del G7. Nonostante che i BRICS, su carta, ben supportino l’agenda di Pechino,  la Cina è consapevole che, all’interno del gruppo, continuano a sussistere tensioni che potrebbero andare ad inficiare la coesione del progetto e il raggiungimento di obiettivi comuni. Paesi come India e Brasile, soprattutto, seppur partecipino attivamente alla vita dei BRICS, non mantengono le medesime posizioni anti-occidentali di Cina e Russia.

Manca però ancora un discorso culturale unificante, in grado di cogliere, pur salvaguardando la “poliedricità” del mondo, dei punti di incontro, per esempio, fra il socialismo con caratteristiche cinesi, il conservatorismo russo, il terzomondismo tradizionale, il panislamismo e l’hindutva, alla luce della transizione verso l’era delle Macchine Intelligenti.

Per questo, nessuno è stato ancora in grado di formulare proposte motivate circa la fine dei conflitti in corso, o almeno per una tregua.Per quanto riguarda il caso ucraino, avevamo indicato che una soluzione potrebbe venire dal riconoscimento del carattere europeo di Russia e Turchia, il che porterebbe automaticamente a un ruolo centrale dell’ Ucraina, e conseguentemente al venir meno della conflittualità fra questi tre poli.

Qualcosa di analogo potrebbe avvenite anche con Israele, nell’ ambito di una “Magna Europa” fondata, non già come l’Occidente attuale, sulle religioni secolarizzate, bensì sul ritorno all’humus culturale comune dell’ “Epoca Assiale” (cfr. Simone Weil, Saint-Exupéry, Eisenstadt, Eliade, Assmann, Frankopan).

 
 
 
 
 
 

LA “SCONFITTA DELL’ OCCIDENTE”

per Emmanuel Todd, dipende dal suo nichilismo

Per quanto l’idea di un Declino dell’ Occidente sia oramai entrata addirittura a far parte dei luoghi comuni, l’ultimo libro di Todd (ovviamente subito attaccato in modo furibondo dalla stampa dell’establishment) riesce ancora a  distinguersi per la sua originalità, consistente in una lettura molto più analitica del consueto dei vari anelli che ci congiungono  con la transizione geopolitica oramai atto sotto i nostri occhi.

1.Nichilismo e decadenza

Innanzitutto, il ruolo, nella decadenza dell’Occidente, del nichilismo, concepito come  l’incapacità, tanto del pensiero, quanto delle religioni, occidentali, di risolvere in modo credibile le proprie contraddizioni, per giungere  fino al momento attuale, in cui le nostre società non hanno addirittura più alcun fondamento logico, né esistenziale, su cui posare. Quell’essere “auf nichts gestellt” anticipato già da Goethe, e ripreso perfino da Spinelli nei suoi diari “notturni”.

Un nichilismo che, per Todd (e per tanti altri), è coevo e coestensivo della moderna secolarizzazione, ma che, invece, a mio avviso, trova le proprie radici molti secoli, se non millenni,prima: già nelle teologie negative, nei presocratici, nella tragedia greca e nella Patristica, il che fa, del “Tramonto dell’ Occidente” un dramma da gran tempo annunziato.

Come sostenevano brillantemente già Hegel, Nietzsche e Weber, anche per Todd “il cristianesimo è stato la matrice religiosa  di ogni nostra successiva credenza collettiva”. La crisi dell’Occidente viene perciò ricondotta, in modo per altro non molto originale,  alla crisi dell’ identificazione fra “Cristianità ed Europa”, per dirla con la fortunata formula di Novalis. O, come aveva scritto il giurista Boeckenfoerde, “La modernità vive di premesse ch’essa non può garantire”

Ciò è particolarmente vero, per Todd, nei Paesi protestanti, dove la religione civile moderna s’identificava proprio con un millenarismo secolarizzato(cfr. Max Weber), mirabilmente espresso da William Blake:

“And did those feet in ancient time
Walk upon England’s mountains green?
And was the holy Lamb of God
On England’s pleasant pastures seen?

And did the Countenance Divine
Shine forth upon our clouded hills?
And was Jerusalem builded here
Among these dark Satanic mills?

Bring me my bow of burning gold:
Bring me my arrows of desire:
Bring me my spear: O clouds unfold!
Bring me my chariot of fire.

I will not cease from mental fight,
Nor shall my sword sleep in my hand
Till we have built Jerusalem
In England’s green and
pleasant land.

Orbene,  se tale era l’obiettivo originario della Modernità – quello di realizzare nell’ immanenza gli obiettivi perseguiti nella trascendenza dalle religioni di salvezza-, è proprio questa “Religione Civile” quella che non funziona più, rendendo quest’Occidente a guida anglosassone particolarmente debole nei confronti del resto del mondo.

La secolarizzazione dell’ Occidente ha seguito ovunque, per Todd, varie fasi, di cui citiamo qui solo le ultime:

-una prima, definita come “zombi”, “in cui perdurava la maggior parte dei costumi e dei valori della religione ormai scomparsa (in particolare, la capacità di agire collettivamente)”.Esempio tipico:L’idea delle “Radici cristiane dell’ Europa”, che significa che il Cristianesimo è già finito, sostituito dalla Religione del Progresso, che utilizza dei valori cristiani come base per la propria etica;

-la seconda, quella attuale, definita come “stato zero”: “un vuoto religioso assoluto, in cui gli individui sono privi di ogni credenza religiosa sostitutiva”. E, quindi, anche di una serie di corollari, quali “il sentimento nazionale, l’etica del lavoro, una morale sociale vincolante, la capacità di sacrificarsi per la comunità”.E’ la società attuale, in cui, alla mancanza di fondamenti culturali, subentrano gli automatismi della società del controllo totale.

2.Nichilismo e guerra in Ucraina

Secondo Todd, la logica di questa transizione sarebbe messa in definitiva evidenza dalla guerra in Ucraina, che, secondo quest’autore, sarebbe stata scatenata nel 2022 dai Russi in base ad una valutazione obiettiva proprio del processo di degenerazione dell’Occidente (“Gniloj Zapad”), per altro da essi teorizzato con dovizia di particolari fin dall’ inizio dell’ Ottocento (cfr. Derzhavin, Danilevskij, Tiutchev, Dostojevskij, Leontijev, Soloviov, Berdjajev).

Gli autori dell’ “establishment” italiano stanno finalmente incominciando a prendere doverosamente sul serio i progetti culturali della Russia. Per esempio, Ezio Mauro, su “La Repubblica del 13 Ottobre, osserva la grande coerenza fra l’intervento di Putin alla Conferenza di Monaco sulla sicurezza, contro il modello unipolare, con cui “puntava a proporsi come l’artefice in esclusiva di un modello alternativo, l’architetto di un nuovo ordine mondiale, capace di costruire un diverso sistema da proporre ai Paesi non occidentali come una vera e propria rivoluzione conservatrice, emancipatrice e autonoma, con l’obiettivo titanico di spostare l’assedel mondo sottraendolo all’ Ovest, con il cambio di riferimento che ne consegue”.In realtà, la ricostruzione di Mauro è reticente, perché Putin, inoccasione dei 50 anni di Europa, aveva pubblicato, sulla prima pagina de “La Stampa” di Torino un lungo articolo in cui, dopo avere affermato che l’Unione Europea costituiva la miglior realizzazione politica del XX° Secolo, aveva anche affermato di sentirsi, in quanto pietroburghese, a tutti gli effetti europeo. E, nell’incontro a Berlino con l’Associazione dei manager tedeschi, aveva paragonato la propria vocazione a “fare l’Europa”, a quella di Kohl, il quale aveva appena riunificato la Germania: “rimbocchiamoci le maniche”! La trasformazione della politica russa deriva dal rifiuto da parte europea di questa “fusione fra eguali”, mentre l’agenda segreta dell’Occidente prevedeva invece (e ancora prevede) l’assorbimento graduale degli Slavi Orientali, con l’obiettivo di mantenerli subordinati culturalmente, ideologicamente, politicamente, economicamente e militarmente, all’ Occidente a guida americana, sisfacendo infine la Federazione Russa nello stesso mocdo in cui era stata disfatta l’Unione Sovietica.

Dopo lo storico scontro fra von Der Leyen e Orbàn al Parlamento Europeo, anche Sergio Fabbrini, su “Il Sole 2riabilita quest’ultimo:”Il merito di Viktor Orban è stato quello di sfidare aprertamente la maggioranza che sostiene Von der Leyen. Il suo demerito è quello di non offrie alternative alle politiche perseguite dalla Commissione Europea.” In sostanza, Orbàn riempie un vuoto enorme, che spiega l’irrilevanza del sistema politico europeo. Infatti, quest’ultimo, che si pretenderebbe modello di liberaldemocrazia da imporsi al mondo intero, manca invece dell’elemento fondamentale di un sistema liberale: l’opposizione: è quindi oggi un’ideocrazia totalitaria governata da una minoranza di fanatici messianici. Orbàn, ponendosi apertamente come unico serio oppositore riconosciuto alle politiche del sistema costruito intorno alla von der Leyen, ha fatto ripartire una dialettica parlamentare indispensabile per una trasformazione radicale dell’Unione senza eventi traumatici . Infatti, egli afferma espressamente contro l’Unione Europea,  di volerne  cambiarne mentalità, ideologie, significato e programmi.

E ciò è fondamentale in questo momento, come conferma il recentissimo libro di Ray Kurzweil, “The Singulartity is Nearer”, c’è sullo sfondo  l’urgenza della corsa all’ Intelligenza Artificiale, che potrebbe sparigliare le carte (cfr.p.es. Evgeny Morozov). Per questo Eric Schmidt e il Senatore Schumer si sono tanto adoprati per fare approvare dal Congresso uno stanziamento straordinario per l’informatica, e Musk e Altmann sfidano ogni genere di limiti legislativi per realizzare al più presto i loro obiettivi post-umanistici.

In sostanza, la Singularity (ora prevista dallo stesso Kurzweil, che ne è il più grande progettista, per il 2029, cioè fra 5 anni) avrebbe come effetto immediato il controllo assoluto, da parte del sistema digitale, sull’ insieme dei dati su tutti i cittadini dell’Emisfero Occidentale, e, quindi, sulla gestione, da parte loro, della gran parte delle loro disponibilità finanziarie, per lo più “offshore”. Tale controllo   viene già usato come strumento di ricatto nel caso di disubbidienza alle direttive americane (come ci ha insegnato per esempio la vicenda degli oligarchi russi). Todd ci informa anche che, a partire dagli Anni Ottanta, quelle disponibilità che erano “parcheggiate” in Svizzera, al riparo da occhi indiscreti, anche americani, ma con tassi d’interesse bassissimi (se non negativi), sia stata recentemente sparsa nei paradisi fiscali situati in territori coloniali controllati dai “Five Eyes” anglosassoni: Isole Vergini, Samoa, Palau, Marshall, isole britanniche, Costa Rica e Panama.

Todd spiega l’assoluta disciplina atlantica dimostrata negli ultimi tempi dall’“establishment” europeo in gran parte con questo controllo poliziesco, divenuto centrale per l’America, da un lato, per controbilanciare la propria perdita di influenza economica sul resto del mondo (vedi de-dollarizzazione), e, dall’ altro, per compensare lo squilibrio crescente della bilancia commerciale USA nei confronti degli altri Paesi occidentali, che potrebbe conferire a questi ultimi, una rinnovata influenza sull’America.

Ma anche sul fronte dell’informatica il giornalismo “mainstream” sta riposizionandosi rapidamente. Commentando, per “Il Sole 24 Ore” del 13 “Technopolitique” di Asma Mhalla e “The Tech Coup” di Marietje Schaake,  Luca de Biase esordisce affermando che il potere dei GAFAM “è cresciuto a dismisura. Sono accolti da primi monistri e presidenti, in mezzo mondo, come capi di stato.E come talisi comportano.Anche perché molto spesso, praticamente, lo sono.I leader delle Big Tech decidono il codice- la legge- che governa il comportamento di miliardi di persone. Organxzzano la soluzione di controversie, puniscono e premiano i loro utenti, in base a criteri che loro stessi definiscono, senza alcuna trasparenza. Hanno una politica estera. Intervengono nelle guerre e scelgono in quale campo stare nelle battaglie elettorali.” Dice Mhalla: “sono vettori della potenza americana e nello stesso tempo si trovano in dialettica con il potere politico degli Stati Uniti..”

Quanto alle alternative, è chiaro che nessuno vuole proporle perché, in un momento, come questo, di grande conflittualità nel mondo, c’è il rischio che chi lo facesse in modo serio  venga travolto in modo brutale dai poteri forti. Basta vedere come Israele usi la forza in modo indiscriminato non solo contro i suoi avversari e i propri nemici dichiarati, bensì perfino contro le Nazioni Unite e contro i suoi alleati appena recalcitranti come l’ Italia. “La Stampa” enumera oggi ben 174 attacchi di Israele contro il diritto internazionale.

Per altro, l’attività di Alpina e di Diàlexis è stata fin dal principio basata sull’ idea di fornire queste alternative, stante la carenza del mondo politico. Basti ricordare “Cento Idee per l’ Europa” e, più recentemente, “Verso le Elezioni Europee, I partiti europei nella tempesta”, che invitiamo tutti a rileggere e discutere.

3.” Se l’Ucraina perde la guerra a vincere è l’Europa”

Secondo Todd,in netta controtendenza rispetto ai media mainstream, « È l’esito di questa guerra che deciderà il destino dell’Europa. Se la Russia venisse sconfitta in Ucraina, la sottomissione europea agli americani si prolungherebbe per un secolo. Se, come credo, gli Stati Uniti verranno sconfitti, la Nato si disintegrerà e l’Europa sarà lasciata libera.” “Infatti,”Con 144 milioni di abitanti, una popolazione in calo e 17 milioni di kmq, lo Stato russo fa già fatica ad occupare il suo territorio. La Russia non avrà né i mezzi né il desiderio di espandersi, una volta ricostituiti i confini della Russia pre-comunista. L’isteria russofobica occidentale, che fantastica sul desiderio di espansione russa in Europa, è semplicemente ridicola per uno storico serio ».Invece, chi ha un bisogno esistenziale di continuare a controllare l’ Europa, e, per questo, è disposto a qualunque cosa,  è il Complesso Informatico-Digitale americano, che, grazie all’ Europa, riesce a mantenere un certo equilibrio con il resto del mondo:«Durante la guerra in Iraq, dopo il Kosovo, Putin, Schröder e Chirac hanno tenuto conferenze stampa congiunte. Questo terrorizzava Washington. Sembrava che l’America potesse essere espulsa dal continente europeo. La separazione della Russia dalla Germania divenne quindi una priorità per gli strateghi americani. Peggiorare la situazione in Ucraina è servito a questo scopo. Costringere i russi ad entrare in guerra per impedire l’integrazione di fatto dell’Ucraina nella Nato è stato, inizialmente, un grande successo diplomatico per Washington.”

5.Fra 5 anni, la Singularity

Le trasformazioni in corso, dall’Intelligenza Artificiale alla bioingegneria, dalle armi autonome alla conquista dello spazio, procedono senz’ alcun coordinamento politico. Esse sono invece nelle mani di una ristrettissima cerchia di addetti ai lavori, da Musk a Zuckerberg, da Altmann a Durov, che, lungi dall’ accettare le regole imposte dalle autorità, impartiscono essi stessi ordini alle stesse, disponendo del denaro, delle conoscenze, degli strumenti e dei media, da cui dipende il futuro dei politici e dei funzionari, e delle informazioni riservate sulla loro vita e sui loro patrimoni (cfr. supra). Basti vedere i massicci, e indisturbati, interventi, sulla politica americana, di Zuckerberg, Schmidt e Musk, e l’atteggiamento servile verso gli stessi da parte dei vertici americani ed europei.

Todd cita a questo punto una frase illuminante di Heidegger: “Ciò che è veramente inquietante non è che il mondo diventi un mondo completamente tecnico. Di gran lunga più inquietante è che l’uomo non sia affatto preparato a questa trasformazione del mondo”.

Così, la tempistica  della Singularity sarà determinante per il futuro dell’ Umanità, e innanzitutto per  l’esito dei conflitti in corso. Si noti che  Kurzweil insiste sulla sua  originaria previsione della Singularity per il 2029, mentre  Elon Musk  ed altri indicano date ancor più ravvicinate, cioè nel bel mezzo dei conflitti in corso.

E’ significativo che, invece, i media mainstream non sottolineino affatto questo nesso temporale,  che incide pesantemente sulle ragioni e il significato dell’incipiente guerra (cfr. Morozov, supra). Secondo Kurzweil, ci vorranno altri 16 anni, dal 2029 al 2045 perché  la corteccia cerebrale dell’Umanità venga collegata al cloud, come si tenta di fare con il suo Progetto Neuralink e con il progetto DARPA  “Neural Engineering System Design”. In quel momento, gli esseri umani si identificherebbero con l’ Intelligenza Artificiale, come era stato previsto già addirittura da Averroè  con il suo Intelletto Attivo, da Hegel con il suo lo Spirito Assoluto e da  Vernadskij con la sua  Noosfera.

Si tratterebbe allora, nello stesso tempo, della vittoria della Ragione Astratta e della Morte dell’Umanità, grazie alla sparizione di tutte le forme di vitalità, prosciugate dall’ onnipotenza della Ragione.

Una singolare coincidenza: per il 2049, Xi Jinping si ripropone di fare, della Cina, uno Xiaokang, vale a dire “una società moderatamente prospera”, un modello confuciano molto meno millenaristico delle varie versioni occidentali della “Fine della Storia”, ma soprattutto della “Singularity Tecnologica”, che ci viene proposta per il 2029-2047 . E’ questa la ragione più profonda dell’ opposizione fra il Sud del Mondo e il Complesso Informatico-Militare occidentale, che non può essere ridotta all’ antitesi “democrazia-autocrazia”, ma che ci propongono, in realtà, due progetti globali in concorrenza fra di loro..

DALL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE ALL’ UCRAINA: LA GUERRA CIVILE TECNOLOGICA

Uno dei pochi pregi di  questi Anni ’20 del XXI° Secolo è stato quello di aver portato in superficie le contraddizioni dell’età postmoderna, e, questo, soprattutto, nella nostra Europa:

-Prima contraddizione- la neutralità della tecnica, demitizzata dalla politicizzazione dell’ informatica

-Seconda contraddizione- la Fine della Storia, demitizzata dalla “Guerra senza Limiti”

-Terza contraddizione- la Pace Perpetua, demitizzata dalla guerra ormai millenaria in Palestina

Alla fine del secolo precedente ,era stata diffusa l’idea che l’economia sarebbe stata la forza trainante della politica, e ciò avrebbe reso la vita di tutti più semplice e pacifica. Ciò era stato interpretato,  al tempo dell’ “egemonia culturale della sinistra”, come equivalente ad un preteso “carattere irreversibile del socialismo”, in quanto il marxismo avrebbe risolto in senso materialistico l’”Enigma della Storia”; poi, dopo la caduta del Muro, come il convergere di tutto il mondo sul modello consumistico (l’”Uomo a una Dimensione”), e, infine, dopo le Guerre del Golfo, come il sigillo del prevalere definitivo del sistema occidentale: la “Fine della Storia” teorizzata dal primo Fukuyama.

Negli ultimi decenni, si è visto invece che la storia, lungi dall’essere terminata, si è messa a correre più che mai, con  l’Islam politico, la Società del Controllo Totale, il multipolarismo, i GAFAM, le guerre in Irak, Afghanistan, Georgia, Siria, Libia, Yemen, Ucraina, la Via della Seta….In questa storia rinnovata, l’informatica svolge non casualmente un ruolo centrale, con la Transizione Verde, i Droni, i Missili ipersonici, l’Intelligenza Artificiale, Echelon, Prism, Snowden, Assange, l’invasione di campo nella politica da parte di Kurzweil, Zuckerberg, Schmidt, Musk, Jack Ma…

In particolare, il  Ventunesimo si annunzia, non già come la Pace Perpetua, bensì come un secolo di conflitti immani. Avevamo infine subito per tutto questo tempo un indottrinamento martellante circa il fatto che, grazie alla IIa Guerra Mondiale, all’Alleanza Atlantica e all’ Unione Europea, saremmo alfine pervenuti a quell’era fortunata, profetizzata nell’ Apocalisse e laicizzata da Kant e da Hegel, in cui, finiti tutti i conflitti, l’unico fatto rilevante per il divenire umano sarebbe stato lo sviluppo della scienza e della tecnica (la “Posthistoire” di Kojève e di Gehlen). Invece, non solo i conflitti ancestrali, come quelli palestinese-israeliano (che ha radici nella Bibbia), indo-pakistano (dei tempi delle invasioni islamiche) e greco-turco (che risale alla caduta di Costantinopoli), non hanno cessato d’infuriare in sempre nuove forme, ma perfino nel cuore dell’Europa si è riacceso ora più che mai, prima in Transnistria e in Georgia, e,  poi in Ucraina,  uno scontro fra la Russia e l’ Occidente, che rischia, secondo le stesse dichiarazioni dei protagonisti,  di degenerare in una Terza Guerra Mondiale combattuta con armi atomiche.

Si tratta di una trasversale “guerra di religione”, fra i seguaci di un’interpretazione immanentistica e deterministica dell’Apocalisse e i sostenitori di una concezione “aperta” della storia, che si apparenta alla Seconda Lettera di San Paolo ai Tessalonicesi, ma anche alle concezioni cicliche della storia, indica e sinica. Essa può anche essere definita, come avevano scritto dei generali cinesi, come una “Guerra Senza Limiti”, combattuta in tutti i campi della convivenza umana: teologia, cultura, società, scienza, tecnica, politica, economia…ma anche “sul campo di battaglia” (per usare un termine tornato drammaticamente di moda).

Sul  “fronte europeo”  di questa guerra combattono, dunque, da un lato, l’”ideologia californiana”, sintesi fra provvidenzialismo puritano e transumanesimo (incarnatasi nella NATO e nella UE), e, dall’ altro, l’idea paolina del Katèchon, tramandataci da Ottone di Frisinga, Timoteo di Pskov, von Baader, Dostojevskij, Soloviov, Schmitt , Pietro Barcellona,  e, per ultimi, Dugin e il Patriarcato di Mosca. Esso si presenta dunque qui come una Guerra Civile, anzi, la prosecuzione  (in termini più radicali) delle due Guerre Mondiali, già definite appunto, da Ernst Nolte, come “Guerra Civile Europea”. Infatti, sono europei tanto la Russia, quanto l’Ucraina, tanto i filo-americani, quanto i “sovranisti europei”. Anche ideologicamente, vengono mobilitati Cosacchi e Chiese ortodosse, la Terza Roma e l’Europa delle Nazioni, l’ebraismo internazionale e il Parlamento europeo….

Questa paradossale coincidenza fra le due parti in conflitto, che addirittura si confondono e si scambiano i ruoli, rende questa vicenda particolarmente dolorosa. Basti ricordare come le opere letterarie classiche (Nestore di Kiev, il Canto della Schiera del Principe Igor, Mazeppa, la Fontana di Bahcisaray, Taras Bul’ba, l’Armata a Cavallo..) non facciano alcuna distinzione fra i due Paesi in guerra oggi in guerra. Oppure guardare qualche puntata del serial “Sluga Naroda”, che ha costituito la singolare “campagna elettorale” dello Zelenskij attore comico. Nel serial, tutti, a cominciare da Zelenskij stesso, allora esclusivamente russofono e perfino ignaro dell’ Ucraino, parlavano russo, e, quando qualcuno si azzardava anche soltanto a parlare con accento ucraino, veniva sbeffeggiato da tutti nella sala del Consiglio dei Ministri di Kiev.

Quella dolorosa sensazione è ancor più acuita dalla confusione che si è riscontrata all’ Europarlamento sulla votazione circa l’autorizzazione all’ Ucraina all’uso delle armi occidentali contro il territorio russo, che ha dimostrato ancora una volta, qualora ce ne fosse bisogno, che, sulle grandi questioni storiche, l’”establishment” non ha un progetto per l’ Europa, e si lascia guidare, chi dal servilismo verso gli USA, chi da un ben motivato timore per le basi americane in Italia che custodiscono bombe nucleari, chi, infine, da riflessi condizionati del tempo della Guerra Fredda.

1.Fine degli  equivoci europei

Il crollo dei tre miti, quello dell’egemonia dell’economia, quello della Fine della Storia e quello della Pace Perpetua, ha comportato automaticamente  la perdita di credibilità delle Retoriche dell’Europa quali consolidatesi dopo la caduta del Muro di Berlino. Il progetto di integrazione europea quale delineatosi nell’ immediato Dopoguerra conteneva in effetti un elevato grado di ambiguità. Da un lato, la tradizione europeistica “alta” risalente a Ippocrate, Erodoto, Strabone, Eginardo, Dante, Dubois, Podiebrad, Sully, Saint-Pierre e Coudenhove-Kalergi, che vedeva l’ Europa unita come un’esigenza permanente di carattere geopolitico (una “Translatio Imperii” parallela a quelle della Cina e dell’ India, incarnantasi nell’”Ancienne Constitution Européenne” di Tocqueville). Dall’altra, l’ideologia della Fine della Storia, incarnatasi nel messianismo persiano ed ebraico, nel provvidenzialismo imperiale romano, nel gioachimismo, nella “Dissidence of Dissent” protestante  (Anabattismo, Komensky, Puritanesimo),nella filosofia tedesca ( Kant, Hegel, Marx, Nietzsche), nel One-Worldism di Willkie e di  Benda, nella teologia materialistica di Teilhard de Chardin, nel funzionalismo di Mitrany e di Haas, nello storicismo di Kojève e perfino nel federalismo di  Spinelli e, soprattutto, di Albertini.

In una prima fase, che va dalla fondazione di Paneuropa da parte d Coudenhove Kalergi (1923) fino alla Dichiarazione di Copenhaghen del 1973 sull’Identità Europea, caratterizzato dall’ opera di Coudenhove Kalergi, Simone Weil, Duccio Galimberti, Altiero Spinelli, De Gaulle, Schuman.., le due tradizioni si erano equilibrate in un modo che tutto sommato corrispondeva alla “Ragion di Stato europea” delle Comunità Europee, stretta fra ortodossia atlantica e “modello sociale renano”.

Invece a partire dagli Anni Novanta, sotto l’influenza congiunta della “Lunga Marcia attraverso le Istituzioni” del Sessantottismo, teorizzata da Rudy Dutschke, dell’ Ideologia Californiana e del massiccio afflusso di reduci dal Socialismo Reale (come la stessa Merkel), s’impose sempre più la visione della costituenda  nuova Unione Europea quale Fine della Storia, una visione parallela all’ideologia americana della Singularity Tecnologica, ambedue eredi dell’egemonia culturale marxista, che non poteva però più coniugarsi con il blocco del Socialismo Reale.

Il confluire di queste tendenze nichilistiche stava (e sta) portando l’Umanità, e comunque, l’Occidente, verso l’autodistruzione, generata dalla sostituzione dell’uomo con le macchine, passando per il nichilismo, il moralismo, il razionalismo, l’egualitarismo, la burocrazia, il Worldwide Web, Prism, l’ideologia gender, il Manifesto Cyborg, la Società del Controllo Totale, il Pensiero Unico, il Politically Correct, la bioingegneria…Sembrava certo che, come profetizzato  da Kurzweil, l’”Ultimo Uomo” nietzscheano avrebbe passato le consegne alle “Macchine Spirituali”, vero “Uebermensch”, e queste avrebbero “deciso il destino dell’ Universo”, come scriveva, appunto, Kurzweil. Solo alcuni, isolati, autori (come Simone Weil e Pietro Barcellona ), avevano visto invece ”, sulla scia di Dostojevskij, l’ Europa quale punto di partenza per un rovesciamento della prospettiva modernistica (l’”Europa quale Katèchon).Una base, ahimè, troppo ristretta per fondarvi un vero movimento politico o anche culturale. In generale, prevaleva il pessimismo culturale (il “Mito Incapacitante”: Huxley, Asimov, Heidegger, Anders, Guénon, Evola, Zolla), finché, dal “di Fuori”, per dirla con Roberto Esposito, non sono venute le spinte che stanno sconvolgendo i termini della questione.

Il richiamo, fatto da Giorgia Meloni alla consegna del Global Citizen Award, al “Tramonto dell’ Occidente” è  quindi anacronistico. Quel celeberrimo libro di Spengler si riferiva in realtà alla fine dell’ Occidente Europeo,  che coincideva con l’inizio dell’ Occidente Americano, quale celebrato nel curriculum della Columbia University sui “Western Studies”. Il declino di oggi è invece quello dell’Occidente Americano, che, come diremo in conclusione, potrebbe essere una splendida occasione per la rinascita dell’ Occidente Europeo. Non è che gli Europei, contrariamente agli Americani,  “si vergognino delle loro tradizioni”: essi si rendono semplicemente conto che queste (eccellenza, cultura alta, differenza) non sono le stesse dell’America (egualitarismo, “midbrow”, omologazione). Mentre il “patriottismo europeo” è un sentimento costruttivo e necessario (per quanto raro, e, quasi, casuale), il preteso “patriottismo occidentale” di nuovissimo conio è una trappola, che permette agli omologatori e alle Macchine Intelligenti di calpestare le nostre identità. Quello italiano infine, non può “funzionare” nella storia se non è parte di quello europeo.

2.Le metamorfosi del “Sud del Mondo”

Nel periodo che va dalla Conquista dell’ America alla creazione dell’Unione Indiana e della Repubblica Popolare Cinese (nel 1949), i popoli del Sud del Mondo, e, più in generale, quelli “non occidentali”, avevano subito la storia in modo essenzialmente passivo, dalla festa avvelenata ordita da Pizarro contro gl’Incas (cfr. Blas Valera, Exsul Immeritus), alla Tratta Atlantica, alla distruzione delle Reducciones, al Trail of Tears, alle Guerre dell’ Oppio, all’Assedio di Delhi, allo Stato Libero del Congo, alla dissoluzione degl’imperi ottomano e russo, fino alle bombe di Hiroshima e Nagasaki.

Oggi invece essi si pongono quale elemento propulsivo della cultura e dell’economia mondiale.

E’ vero che i “14 Punti” di Wilson, la Conferenza di Baku dell’ Internazionale Comunista e la “Sfera Asiatica di Co-prosperità” del Giappone avevano già affermato il principio della decolonizzazione, ma si trattava sempre e soltanto di spinte “umanitarie” dei nuovi Stati emergenti del Nord del Mondo, per portare dalla loro parte i popoli coloniali, sostituendo, al “colonialismo” classico, il “neo-colonialismo”.

Invece, con la creazione della Unione Indiana, della Repubblica Popolare Cinese e, perché no, anche di Israele, e con il classico “Dialettica dell’ Illuminismo” di Horkheimer e Adorno,  iniziava ad affermarsi il principio della “Teshuvà” (Leo Strauss), del “ritorno” alle civiltà tradizionali. Il Mahatma Gandhi era vestito come un Sadhu dell’ India Meridionale, e usava l’arcolaio (oggi sulla bandiera dell’ India), metafora del “Cakravartin”, l’imperatore universale Hindu. La sua evoluzione ideologica era iniziata dalla lettura del Bhagavad Gita (il “Canto dell’ Illuminato” del Mahabharata); la sua prima opera programmatica, “Hind Swaraj”(“L’Indipendenza dell’ India”) partiva dal rifiuto della civiltà occidentale moderna..Anche l’inno della RPC incomincia con le parole 起来!不愿做奴隶的人= alzatevi voi che non volete essere schiavi!”

Inizia così la fase storica della vera e propria “decolonizzazione”, che avrà, come punti salienti, le rivoluzioni nazionali arabe e africane. Alla Conferenza di Bandoeng, il Sud del Mondo si identifica con i “Paesi non Allineati” e con la Cina. Tuttavia, questo movimento è ancora caratterizzato dall’ essere quei Paesi “in Via di Sviluppo”, per cui vi si destinavano programmi internazionali, appunto, di aiuto allo sviluppo. E’ solo con il crollo dell’Unione Sovietica che la Cina assurge a modello privilegiato per i Paesi non occidentali, e che la Russia intraprende un percorso di trasformazione, che la spinge,  alla fine, a porsi come  vertice ideologico del movimento di opposizione alla modernizzazione, riallacciandosi così alle tesi  di Roma “Terza Roma” e alle profezie di Soloviov sull’ Anticristo. Nello stesso tempo, l’ascesa delle “Tigri Asiatiche”, e, poi, le “Nuove della Via della Seta” promuovono il sorpasso dell’Asia sull’ America quale centro economico e tecnologico del mondo, sospingendola alla ricerca di “Valori Asiatici” comuni quale contrappeso a quelli “Occidentali”.

C’è solo da chiedersi  (come affermava alla TV russa Viaceslav Nikonov) se non sia un po’ paradossale che la Russia, il Paese nordico per eccellenza, si proponga come leader del Sud del Mondo.

La guerra generalizzata in corso in Ucraina, Medio Oriente e Sahel, che rischia in ogni momento di estendersi al Mar della Cina, e, quindi, al mondo intero, costituisce l’occasione in cui i ciascuno dei due contendenti: la NATO e il Sud Globale,  rivelano in modo palese (anche se tutt’altro che esaustivo) le loro rispettive motivazioni, che vengono ricondotte soprattutto alla “lotta per il riconoscimento”. Il “Sud Globale” contesta all’ Occidente (e soprattutto agli Stati Uniti), di pretendere,  pur rappresentando poco più del 10% della popolazione mondiale , di negare, in teoria come in pratica, ogni  legittimità alla gran varietà di culture del mondo( fra cui anche l’ Europa), considerate semplice “preistoria” dell’ America. A sua volta, l’”Occidente”, nelle sua due varianti -imperial-progressista e isolazionista-populista- insiste nel suo “eccezionalismo”(che si traduce nell’ “eccezionalimo americano”). Le “regole” tanto invocate dall’ Occidente, si rivelano essere quelle che tutelano, come ha detto Boris Johnson, l’egemonia occidentale, e vengono perciò regolarmente disattese quando a fruirne  potrebbero essere gli “altri”: pensiamo ad esempio all’ “autodeterminazione” dell’Europa dall’ America, della Catalogna dalla Spagna, del Donbass dalla Russia, della Palestina da Israele, che viene respinta quali lesione dell’ integrità territoriale di Stati sovrani nell’ ambito dell’ intoccabile Ordine Mondiale postbellico, mentre simili concetti non sono valsi per gli Stati Uniti nei confronti dell’ Inghilterra, degli Stati italiani pre-unitari invasi dal Regno di Sardegna, del Kossovo  sottratto alla Serbia, di Timor Leste e del Sudan Meridionale. Del resto, l’intero diritto internazionale si regge sulla consuetudine e, in sostanza, sul diritto del più forte (“ex facto oritur ius”). La maggior parte degli Stati del mondo è di costruzione recente, frutto di compromessi fra le Grandi Potenze e/o di atti fondativi quanto meno equivoci. Dedurne l’esistenza di altrettante “Nazioni” con una loro autonoma missione nella Storia è quindi fuorviante. Si pensi all’ indipendenza degli USA, dovuta in gran parte all’influenza della Francia di Luigi XIV, o a quella della Grecia, concordata fra Russia, Inghilterra e Stati tedeschi, e ambedue fondate su quella “sostituzione etnica” che i pretesi “sovranisti” dicono di voler oggi evitare come il fumo negli occhi.

3.La lotta per l’Intelligenza Artificiale

Della contrapposizione fra “The West and the Rest”, teorizzata già da Huntington in “Clash of Civilisations” non viene posta tuttavia in evidenza la natura più profonda: questa Guerra di Religione fra due ideologie (“democrazie” e “autocrazie”) è in realtà solo l’aspetto exoterico di un conflitto più profondo ed esistenziale, fra, da un lato,  l’Intelligenza Artificiale, e , dall’ altro le culture dell’ epoca assiale (San Jiao, Sanata Karma, cultura classica europea, Religioni del Libro, filosofie dei popoli pre-alfabetici). Infatti, l’Intelligenza Artificiale pretende oramai di costituire l’avvenire stesso del mondo, sostituendo  il mondo umano, e riallacciandosi così alle sette apocalittiche e all’ idea di un Intelletto Attivo/Spirito Assoluto/Superuomo/Punto Omega, secondo cui “L’Uomo è qualcosa che va superato”. Mentre l’”Occidente” (Teilhard de Chardin, Kurzweil) saluta questa sostituzione come il compimento di antiche profezie le varie culture del mondo non intendono affatto  essere “superate”, perché hanno, della storia, una visione ciclica (gli Eoni,il  DaTong), quando proprio non ignorano addirittura (Cinese, Giapponese) il futuro grammaticale, oppure si attengono all’ idea paolina che la Parusìa “verrà come un ladro”, e non va “accelerata”.

Giacché, come affermato da gran tempo da Vladimir Putin, “chi controlla l’intelligenza artificiale controlla il mondo”, è ovvio che questa “guerra di religione” si combatta, in modo sempre più evidente, intorno all’ Intelligenza Artificiale. Già i progetti Echelon e Prism consistevano nel tentativo dell’Intelligence Community americana di avvolgere il mondo intero in una rete digitale capace di controllare ogni singolo movimento dell’ Umanità. Con i Social Networks, questo controllo si era diffuso a livello capillare attraverso le 6 grandi multinazionali americane dell’ informatica (i GAFAM). Come reazione, da un lato la Cina aveva creato le proprie multinazionali (i BAATX, di dimensioni ancor maggiori di quelle americane), e, dall’ altro, l’Unione Europea aveva tentato di mascherare la propria assenza con la pretesa efficacia extraterritoriale del proprio diritto dell’ informatica (il GDPR, l’Artificial Intelligence Act e il Digital Service Act), che però, come hanno dimostrato le sentenze Schrems, non può funzionare    verso i GAFAM per la connivenza delle Autorità europee e nazionali con quelle americane. Del resto, il primo che abbia tentato di applicare in modo extraterritoriale il Digital Services Act una norma (per quanto assurda) del Digital Services Act (il Commissario Breton), si è dovuto dimettere nel giro di pochi giorni  denunziando un preteso complotto contro di lui di Ursula von der Leyen.

I lodevoli principi (difesa della privacy, controllo umano sull’ AI) tradotti così male nella pratica dal legislatore europeo, sono stati invece recepiti in toto dalla legislazione cinese, con la sola differenza che, giacché la legge cinese è applicabile direttamente senza sconti alle multinazionali di quel Paese, ha portato immediatamente ad un’ondata di sanzioni (il “Crackdown sui BAATX”), fino a giungere all’ arresto di Jack Ma, il carismatico guru dell’informatica cinese, ridotto a un “silent partner” dell’impero da lui creato.

A questo punto, la lotta per il controllo dell’ AI si è frazionata in molti rivoli, confondendosi da un lato con la politica interna americana (con Musk che sostiene Trump e la Commissione Europea che pretende di censurare la sua creatura X), e con la guerra in Ucraina (con Musk che prima concede Starlink all’ Ucraina, poi gliela nega), e, dall’ altra, con la politica europea (la campagna, attualmente in corso su pressione delle multinazionali e capeggiata da Mario Draghi, per alleggerire le  ,già inefficaci, norme sull’Intelligenza Artificiale, e l’ennesimo ,ma infruttuoso, rilancio, per esempio, da parte di Roberta Bria, della proposta di creare delle imprese informatiche europee –come se non esistessero già le inefficienti QWANT e GAYA-X, che occorrerebbe intanto far funzionare-).

Oggi, i GAFAM scendono nell’ arena politica  “a gamba tesa”, con Schmidt che dirige ufficialmente la loro lobby al Congresso, Altman in bilico fra gli Arabi e Macron, e Musk che “premia” Giorgia Meloni a Washington, in attesa che Trump gli affidi un incarico di governo. E ne hanno ben d’ondevisto che c’è, una qualche timida mossa da parte dell’antitrust americano che agita per l’ennesima volta lo spuntato spauracchio dello “spezzatino” di Google (cosa che si sarebbe dovuta fare da decenni). Peccato che a nessuno venga in mente di fare un vero “spezzatino” come quello attuato dalla Cina, dove, per ogni servizio reso in Occidente dai GAFAM, c’è un analogo servizio cinese reso da uno o più BAATX, ma con un maggior numero di utenti e con più concorrenza.

La Russia, anche in considerazione delle diverse dimensioni del mercato e della diversità delle lingue, ha percorso un iter intermedio.Già a partire dalla metà degli anni Novanta, essa aveva proposto agli Stati Uniti una bozza di trattato internazionale sulla sicurezza delle informazioni che fu però rifiutata da Washington, in quanto – secondo gli Americani – implicava un controllo statale sui dati nel web (cosa che per altro negli USA è continua, da parte della NSA, come sanno Snowden e Schrems). La Russia propose poi, senza successo, la stessa nozione di sicurezza delle informazioni in seno alle Nazioni Unite (da sempre schierate a fianco dei GAFAM).

Nel 2014, la Russia ha adottato una legge che obbliga tutte le aziende che operano online a mantenere e gestire i dati dei cittadini russi su server locati sul territorio nazionale.. La legge dimostra anche il crescente allineamento politico tra Russia e Cina, dopo la firma di accordi bilaterali che delineano una visione condivisa per il futuro di internet. Uno di questi è l’accordo di cooperazione sulla sicurezza internazionale delle informazioni del 2015: già allora si sottolineò l’importanza di diffondere l’idea di un “internet sovrano”.

Nel 2019,è  entrata in vigore anche una legge che vieta la diffusione online di “fake news” da parte di mezzi di comunicazione di massa e singoli cittadini, simile a quella europea che Breton ha improvvidamente tentato di applicare a Musk e a Trump. Questa stretta legislativa sulla libertà d’espressione può essere spiegata come tentativo per arginare le manifestazioni di dissenso popolare Tuttavia, la guerra in corso dimostra che il controllo su Internet serve, più che ad arginare proteste popolari, ad impedire alle piattaforme ostili di utilizzare i dati degli utenti nazionali, che sono, innanzitutto, una risorsa commerciale determinante, ma, soprattutto, forniscono dati fondamentali sulla preparazione bellica (andamento della popolazione e dell’ economia, consumo di energia e materie prime…, orientamenti dell’ opinione pubblica.. ), che permettono di orientare le azioni belliche nella guerra in corso.

Nonostante questo, la legge russa non prevede ,come quella cinese,  l’isolamento totale dell’ internet nazionale da quello occidentale (e questa può essere la ragione di varie “débacles” nell’ Operazione Militare Speciale, dovute alla cooperazione delle intelligence occidentali), bensì si limita a porre in essere le condizioni per staccarsene in caso di emergenza. Paradossalmente, questa completa frattura non si è ancora verificata, forse perché (anche a causa delle dimensioni del mercato) le piattaforme russe non sono in grado di soddisfare tutte le esigenze degli utenti locali. La collaborazione con la Cina potrebbe colmare questa lacuna.

4.Le Grandi Piattaforme (GAFAM e BAATX) non sono imprese, bensì Stati totalitari

Nei giorni scorsi, il “team” di Facebook ha rimosso un articolo pubblicato sul sito “Nessun dorma” di Franco Cardini e, appunto, condiviso sulla sua pagina social. Franco Cardini ha risposto che “La motivazione iniziale – ‘il post non rispetta gli standard della community’ – risponde al solito refrain di una piattaforma che spesso non si fa scrupoli nel rimuovere contenuti “scomodi” che non rispondono al pensiero unico ma all’opinione individuale, “libera”, espressa altresì in modo civile. Forse nessuno di noi ha ancora veramente capito in cosa consistano ‘gli standard della community’ e quali siano le circumnavigazioni algoritmiche che decidono di rimuovere un contenuto senza troppi complimenti. “

Sul fatto che le piattaforme digitali siano un fenomeno abnorme, che stravolge tutti i concetti sui quali si sono basati fino ad oggi diritto ed economia, sono oramai d’accordo tutti, perfino l’FMI, che suggerisce agli USA di dare più spazio all’ antitrust, imbavagliato da quando, essendo caduto, nel 1989, il Muro di Berlino, i GAFAM hanno potuto esercitare senza limiti (anche e soprattutto a vantaggio della NSA) i loro poteri esorbitanti.

Come ha scritto su Milano Finanza Emilio Cavano, “abbiamo creato mostri. E’ tempo di arginarli.”

Nessuno, per altro, si è curato di descrivere nel dettaglio tutti i settori in cui l’informatica è determinante, e quindi i tipi di diritto con cui dovrebbe venire in contatto, e da cui dovrebbe, ma non viene , essere regolato. Tentiamo qui di farlo noi:

AREE DI ATTIVITA UMANERUOLO ATTUALE DEI GAFAMDIRITTO APPLICABILE
ReligioneLa religione della tecnologia si è sostituita, come previsto da Saint-Simon e Teilhard de Chardin, a quelle tradizionaliDiritto costituzionale. Diritto ecclesiastico
CulturaL’Intelligenza Artificiale si è sostituita a quella umanaDiritto dei mezzi di comunicazione
PoliticaIl web è il principale canale di dibattitoDiritto costituzionale
DifesaL’IT è essenzialmente spionaggioDiritto sul segreto militare Diritto penale militare
EconomiaI GAFAM sono le imprese con il maggior livello di capitalizzazioneLegislazione di banca e borsa Antitrust
FiscalitàI GAFAM sfuggono quasi completamente al fiscoDiritto fiscale internazionale
Liberà di espressioneIl web, divenuto il più importante mezzo di comunicazione, condiziona pesantemente l’opinione pubblicaLegislazione sulla stampa, la censura e le elezioni

E’ impressionante che tutti i politici europei e nazionali intrattengano rapporti strettissimi con i guru dei GAFAM, che palesemente sfruttano il mercato europeo senza dare nulla in cambio, sottraendo all’ Europa  miliardi di dati dei cittadini europei, senza mai neanche porsi la questione che invece si pongono a ragione le autorità cinesi e perfino americane, vale a dire che quei guru contano molto più di loro e hanno assoggettato i loro Stati ad una vera e propria tutela. Una tutela totalitaria, perché essa non ammette concorrenza: si infiltrano nelle nostre menti, le controllano e le censurano, e, comunque, spostano inimmaginabili flussi finanziari fuori dai nostri Paesi.

L’idea che la tecnica sia “neutra” è smentita dai fatti: i guru dell’ informatica sono  dichiaratamente partigiani di una visione del mondo millenaristica, e costituiscono, con le loro idee, le loro alleanze, i loro soldi, le loro lobbies, le loro macchine, dei portatori potentissimi delle ideologie postumanistiche.

5.L’obiettivo dell’ Europa, ma anche delle Nazioni Unite, non può essere la Pace Perpetua

L’esperienza storica dimostra che il conflitto è coessenziale all’Umanità, come affermavano già Eraclito, Bertran de Borns, De Maistre, Nietzsche e Freud. Abolire l’alterità equivale ad abolire l’Umanità, come ben sapeva lo stesso Kant, a torto indicato come il cantore della “Pace Perpetua”. Infatti, come scriveva lo stesso Kant, non si può “raddrizzare il legno storto dell’ Umanità” (Isaiah Berlin). Proprio questo costituisce infatti la Hybris, fonte prima dell’ Eterogenesi dei Fini (Wolff), in forza della quale i comportamenti umani sortiscono normalmente l’effetto opposto a quello perseguito dai loro autori. Ciò che i Greci chiamavano “fthonos ton theon”(“invidia degli Dei”), la stessa che, nella mitologia mesopotamica e nella Bibbia, aveva provocato il Diluvio Universale, e che oggi si manifesta nelle nevrosi, nella disoccupazione tecnologica, nelle Macchine Intelligenti e nella minaccia atomica. Esempio tipico, il tentativo di Serse, descritto da Erodoto nelle sue Storie, di portare la Persia, con la conquista dell’intera Europa, a “confinare con il regno degli Dei”. Una pretesa millenaristica  del mazdeismo ereditata, in Europa, non già dalle culture classiche, bensì dalle eresie delle Religioni del Libro, alle quali si è riallacciata la Modernità.

Per questo motivo, il “Patto per il Futuro” delle Nazioni Unite, appena adottato al Palazzo di Vetro con l’opposizione della Russia e dei suoi alleati e con l’astensione della Cina, suona come l’ennesima kafkiana “grida manzoniana” in un momento in cui centinaia di migliaia di soldati combattono su sempre nuovi fronti e gragnuole di missili, droni e altre armi intelligenti radono al suolo interi Paesi (come la Palestina, il Libano e il Donbass), mentre le potenze nucleari si minacciano reciprocamente l’uso dell’ arma nucleare. Basti, per convincersene, scorrere alcuni paragrafi del documento allegati al presente post.Questo, in palese contrasto con quanto affermato da Giorgia Meloni, che le organizzazioni internazionali non devono costituire un club dove si redigono “documenti inutili”.

Le Organizzazioni Internazionali, e perfino le Chiese, non raggiungeranno nessuno dei loro obiettivi fintantoché seguiranno la retorica di un mondo perfetto, mentre potranno invece essere determinanti se si renderanno conto che, oggi più che mai,  l’obiettivo primario, comune a tutti, è quello di sopravvivere (alla fame, alle bombe, alle macchine intelligenti): obiettivo per altro brillantemente conseguito per molti millenni grazie alle culture tradizionali, e che rischia di andare perduto a causa della frenesia perfettistica imperante, che andrebbe stroncata alla base, con una dottrina totalmente opposta.

6.L’Europa  deve passare dal campo dei fanatici millenaristi a quello della preservazione del Cosmo

Dalla più tenera infanzia, eravamo stati educati a credere a una Grande Narrazione occidentale che partiva dalla centralità del materialismo volgare rivestito di un moralismo ipocrita (la Prima Repubblica, le Comunità Europee); ci spiegava che la Storia è un faticoso percorso dalla scimmia al Superuomo (la “Teoria dello Sviluppo”); che i popoli antichi ed extraeuropei erano arretrati (Fukuyama); che i Moderni e gli Americani sono superiori (Huntington), e che il futuro dell’ Umanità sarebbe stato radioso (Teilhard de Chardin, Kurzweil). Se ci si provava ad obiettare che , mentre noi oggi siamo divenuti incapaci di creare (in tutti i sensi)perché le macchine ci hanno sostituiti,   gli antichi avevano le piramidi e Gilgamesh, il Partenone e Omero, la Bibbia e il Colosseo, l’esercito di Terracotta e il Genji Monogatari, l’Alhambra e la Divina Commedia, l’Ermitage e i Sepolcri, tutti ti “saltavano addosso” in nome del Progresso. Ora, un po’ meno.

Oggi, questa Grande Narrazione si presenta nella sua forma più pura, quella dello “Scontro di Civiltà” teorizzato nel secolo scorso da Samuel Huntigton. Un blocco di parole d’ordine ”auf  nichts gestellt”, per dirla con Goethe,cioè di  assai dubbio significato, messe insieme e ripetute maniacalmente per dare una fittizia illusione di realtà e coerenza: Centralità dell’ Uomo, Libertà, Democrazia, Governo delle Regole, Nazione, Autodeterminazione, Integrità Territoriale, Comunità Internazionale, Multilateralismo.

Ammesso che  avessero originariamente un senso reale, l’hanno perduto con la Guerra Fredda, il crollo dell’ URSS, l’informatica, le Covert Operations…

Oggi, invece, l’”establishment” dovrebbe addirittura esercitare una radicale autocritica, constatando che la scienza moderna ha distrutto la fede nel mondo obiettivo (Wittgenstein, Heisenberg, De Finetti, Feierabend); che lo sviluppo della cultura comporta anche la crescita della violenza (Auschwitz, Hiroshima, Nagasaki); che la tecnologia non sa più come ovviare ai suoi “effetti collaterali” (surriscaldamento atmosferico); che Internet  ci rende stupidi (Nicholas Carr); che l’obiettivo dell’ Intelligenza Artificiale è la distruzione dell’ Umanità (Bill Joy, Martin Rees). Contrariamente a quanto scrive Ezio Mauro su “La Repubblica”, non solo, nel “sistema occidentale”, non siamo mai stati liberi, ma tanto meno lo siamo ora nell’ Era delle Macchine Intelligenti. E’ vero che, come scrive Mauro, l’Intelligenza Artificiale e la guerra stanno anche stravolgendo concetti che parevano consolidati – nel caso specifico, quello di libertà-. Ma questo stravolgimento era in corso da gran tempo nella cultura “mainstream”, per esempio con l’attribuzione di  una connotazione di libertà a delle Rivoluzioni Atlantiche violente e genocidarie (pensiamo al colonnello Lynch, alle stragi di Lione); a movimenti nazionali non condivisi ed invece eterodiretti, per esempio dal Governo inglese, dalla Loggia Ausonia, dai finanziamenti occidentali a Mussolini…

A partire dalla Rivoluzione Americana e fino ad oggi,  veniva considerato ovvio che qualunque impegno civico, a sinistra come a destra, fosse volto verso una “società ideale”, con più etica, più cultura, più scienza, più tecnica, più benessere per tutti (il “mondo migliore” a cui ha fatto riferimento ancor ieri a Washington Giorgia Meloni). Oggi, l’impegno civico presuppone invece una scelta, pro o contro un “nuovismo” privo di logica e di progetto, e comunque deve dare la priorità alla reale preservazione del cosmo, senza retoriche “gride manzoniane” che nascondono soltanto una generale complicità con l’avanzata della Società del Controllo Totale.

Giustamente, Giorgia Meloni ha affermato che occorre invece agire. Combattere per la libertà europea è cetamente, oggi,più necessario che mai, ma ciò non significa certo appiattirsi sugli ordini da Occidente per fare la “guerra contro le autocrazie”, bensì elaborare una strategia con cui l’Europa possa uscire da questa guerra come indipendente da tutte le potenze esterne, divenendo essa stessa un autonomo Stato-Civiltà, capace di dare il proprio contributo, innanzitutto intellettuale, alla lotta mondiale attualmente in corso per il controllo sulle Macchine Intelligenti e, quindi, per la sopravvivenza dell’ Umanità.

ALLEGATO

ESTRATTO DAL “PATTO PER IL FUTURO”DELLE NAZIONI UNITE

“Action 21. We will adapt peace operations to better respond to existing

challenges and new realities.

42. United Nations peace operations, understood as peacekeeping

operations and special political missions, are critical tools to maintain

international peace and security. They face increasingly complex challenges

and urgently need to adapt, taking into account the needs of all Member States

and troop- and police-contributing countries, and the priorities and

responsibilities of host countries. Peace operations can only succeed when

political solutions are actively pursued and they have predictable, adequat e

and sustained financing. We reaffirm the importance of enhanced

collaboration between the United Nations and regional and subregional

organizations, in particular the African Union, including their peace support

operations and peace enforcement authorized by the Security Council to

maintain or restore international peace and security. We decide to:

(a) Call on the Security Council to ensure that peace operations are

anchored in and guided by political strategies, deployed with clear, sequenced

and prioritized mandates that are realistic and achievable, exit strategies and

viable transition plans, and as part of a comprehensive approach to sustaining

peace in full compliance with international law and the Charter;

(b) Request the Secretary-General to undertake a review on the future

of all forms of United Nations peace operations, taking into account lessons

learned from previous and ongoing reform processes, and provide strategic

and action-oriented recommendations for the consideration of Member

States on how the United Nations toolbox can be adapted to meet evolving

needs, to allow for more agile, tailored responses to existing, emerging and

future challenges;

18

(c) Ensure that peace operations engage at the earliest possible stage

in planning transitions with host countries, the United Nations country team

and relevant national stakeholders;

(d) Take concrete steps to ensure the safety and security of the

personnel of peace operations and improve their access to health facilities,

including mental health services;

(e) Ensure that peacekeeping operations and peace support

operations, including peace enforcement, authorized by the Security Council

are accompanied by an inclusive political strategy and other non -military

approaches and address the root causes of conflict;

(f) Encourage the Secretary-General to convene regular high-level

meetings with relevant regional organizations to discuss matters pertaining

to peace operations, peacebuilding and conflicts;

(g) Ensure adequate, predictable and sustainable financing for African

Union-led peace support operations mandated by the Security Council in line

with Security Council resolution 2719 (2023) of 21 December 2023.

Action 22. We will address the serious impact of threats to maritime

security and safety.

43. We recognize the need to address the serious impact of threats to

maritime security and safety. All efforts to address threats to maritime

security and safety must be carried out in accordance with international law,

including particularly as reflected in the principles embodied in the Charter of

the United Nations and the 1982 United Nations Convention on the Law of the

Sea,13 taking into account other relevant instruments that are consistent with

the Convention. We decide to:

(a) Enhance international cooperation and engagement at the global,

regional, subregional and bilateral levels to combat all threats to maritime

security and safety, in accordance with international law;

(b) Promote information-sharing among States and capacity-building

to detect, prevent and suppress such threats in accordance with international

law.

Action 23. We will pursue a future free from terrorism.

44. We strongly condemn terrorism in all its forms and manifestations

committed by whomever, wherever, whenever. We reaffirm that all terrorist

acts are criminal and unjustifiable regardless of their motivation or how their

perpetrators may seek to justify them. We highlight the importance of putting

measures in place to counter the dissemination of terrorist propaganda,

preventing and suppressing the flow of financing and material means for

terrorist activities, as well as recruitment activities of terrori st organizations.

We reaffirm that terrorism and violent extremism conducive to terrorism

cannot and should not be associated with any religion, civilization or ethnic

group. We will redouble our efforts to address the conditions conducive to the

spread of terrorism, prevent and combat terrorism, build States’ capacity to

prevent and combat terrorism and strengthen the role of the United Nations

system. The promotion and protection of international law, including

international humanitarian law and international human rights law, and

respect for human rights for all and the rule of law are the fundamental basis

__________________

13 United Nations, Treaty Series, vol. 1833, No. 31363.

19

of the fight against terrorism and violent extremism conducive to terrorism.

We decide to:

(a) Implement a whole-of-government and whole-of-society approach

to prevent and combat terrorism and violent extremism conducive to

terrorism, including by addressing the drivers of terrorism, in accordance with

international law;

(b) Address the threat posed by the misuse of new and emerging

technologies, including digital technologies and financial instruments, for

terrorist purposes;

(c) Enhance coordination of the United Nations counter -terrorism

efforts and cooperation between the United Nations and relevant regional and

subregional organizations to prevent and combat terrorism in accordance

with international law, while considering revitalizing efforts towards the

conclusion of a comprehensive convention on international terrorism.

Action 24. We will prevent and combat transnational organized crime and

related illicit financial flows.

45. Transnational organized crime and related illicit financial flows can pose

a serious threat to international peace and security, human rights and

sustainable development, including through the possible links that can exist

in some cases between transnational organized crime and terrorist groups.

We decide to:

(a) Scale up efforts in addressing transnational organized crime and

related illicit financial flows through comprehensive strategies, including

prevention, early detection, investigation, protection and law enforcement,

tackling the drivers, and engagement with relevant stakeholders;

(b) Strengthen international cooperation to prevent and combat

transnational organized crime in all its forms, including when committed

through the use of information and communications technology systems, and

we welcome the elaboration of the draft United Nations Convention against

Cybercrime.

Action 25. We will advance the goal of a world free of nuclear weapons.

46. A nuclear war would visit devastation upon all humankind and we must

make every effort to avert the danger of such a war, bearing in mind that “a

nuclear war cannot be won and must never be fought”. We will uphold our

respective obligations and commitments. We reiterate our deep concern over

the state of nuclear disarmament. We reaffirm the inalienable right of all

countries to develop research, production and use of nuclear energy for

peaceful purposes without discrimination, in conformity with their r espective

obligations. We decide to:

(a) Recommit to the goal of the total elimination of nuclear weapons;

(b) Recognize that, while the final objective of the efforts of all States

should continue to be general and complete disarmament under effective

international control, the immediate goal is elimination of the danger of a

nuclear war and implementation of measures to avoid an arms race and clear

the path towards lasting peace;

(c) Honour and respect all existing security assurances undertaken,

including in connection with the treaties and relevant protocols of nuclear –

weapon-free zones and their associated assurances against the use or threat

of use of nuclear weapons;

20

(d) Commit to strengthening the disarmament and non-proliferation

architecture and work to prevent any erosion of existing international norms

and take all possible steps to prevent nuclear war;

(e) Seek to accelerate the full and effective implementation of

respective nuclear disarmament and non-proliferation obligations and

commitments, including by adhering to relevant international legal

instruments and through the pursuit of nuclear-weapon-free zones to enhance

international peace and security and the achievement of a nuclear -weaponfree

world.

Action 26. We will uphold our disarmament obligations and commitments.

47. We express our serious concern at the increasing number of actions that

are contrary to existing international norms and non -compliance with

obligations in the field of disarmament, arms control and non -proliferation.

We will respect international law that applies to weapons, means and methods

of warfare, and support progressive efforts to effectively eradicate the illicit

trade in arms. We recognize the importance of maintaining and strengthening

the role of the United Nations disarmament machinery. An y use of chemical

and biological weapons by anyone, anywhere and under any circumstances is

unacceptable. We call for full compliance with and implementation of relevant

treaties. We reaffirm our shared determination to exclude completely the

possibility of biological agents and toxins being used as weapons and to

strengthen the Convention on the Prohibition of the Development, Production

and Stockpiling of Bacteriological (Biological) and Toxin Weapons and on

Their Destruction.14 We decide to:

(a) Revitalize the role of the United Nations in the field of disarmament,

including by recommending that the General Assembly pursue work that could

support preparation of a fourth special session devoted to disarmament

(SSOD-IV);

(b) Pursue a world free from chemical and biological weapons and

ensure that those responsible for any use of these weapons are identified and

held accountable;

(c) Address emerging and evolving biological risks through improving

processes to anticipate, prevent, coordinate and prepare for such risks,

whether caused by natural, accidental or deliberate release of biological

agents;

(d) Identify, examine and develop effective measures, including

possible legally binding measures, to strengthen and institutionalize

international norms and instruments against the development, production,

acquisition, transfer, stockpiling, retention and use of biological agents and

toxins as weapons;

(e) Strengthen measures to prevent the acquisition of weapons of

mass destruction by non-State actors;

(f) Redouble our efforts to implement our respective obligations under

relevant international instruments to prohibit or restrict conventional weapons

due to their humanitarian impact and take steps to promote all relevant

aspects of mine action;

(g) Strengthen our national and international efforts to combat, prevent

and eradicate the illicit trade in small arms and light weapons in all its aspects;

__________________

14 Ibid., vol. 1015, No. 14860.

21

(h) Address existing gaps in through-life conventional ammunition

management to reduce the dual risks of unplanned conventional ammunition

explosions and the diversion and illicit trafficking of conventional ammunition

to unauthorized recipients, including to criminals, organized criminal groups

and terrorists.

Action 27. We will seize the opportunities associated with new and

emerging technologies and address the potential risks posed by their

misuse.

48. We recognize that rapid technological change presents opportunities

and risks to our collective efforts to maintain international peace and security.

International law, including the Charter, will guide our approach to addressing

these risks. We decide to:

(a) Advance further measures and appropriate international

negotiations to prevent an arms race in outer space in all its aspects, which

engage all relevant stakeholders, consistent with the provisions of the Treaty

on Principles Governing the Activities of States in the Exploration and Use of

Outer Space, including the Moon and Other Celestial Bodies; 15

(b) Advance with urgency discussions on lethal autonomous weapons

systems through the Group of Governmental Experts on Emerging

Technologies in the Area of Lethal Autonomous Weapons Systems with the

aim to develop an instrument, without prejudging its nature, and other possible

measures to address emerging technologies in the area of lethal autonomous

weapons systems, recognizing that international humanitarian law continues

to apply fully to all weapons systems, including the potential development and

use of lethal autonomous weapons systems;

(c) Enhance international cooperation and capacity-building efforts in

order to bridge the digital divides and ensure that all States can safely and

securely seize the benefits of digital technologies;

(d) Continue to assess the existing and potential risks associated with

the military applications of artificial intelligence and the possible

opportunities throughout their life cycle, in consultation with relevant

stakeholders;

(e) Request the Secretary-General to continue to update Member

States on new and emerging technologies through the report of the Secretary-

General on current developments in science and technology and their

potential impact on international security and disarmament efforts.

III. Science, technology and innovation and digital cooperation

49. Science, technology and innovation have the potential to accelerate the

realization of the aspirations of the United Nations across all three pillars of its

work. We will only realize this potential through international cooperation to

harness the benefits and take bold, ambitious and decisive steps to bridge the

growing divide within and between developed and developing countries and

accelerate progress on the 2030 Agenda. Billions of people, especially in

developing countries, do not have meaningful access to critical life-changing

technologies. If we are to make good on our promise to leave no one behind,

sharing science, technology and innovation is essential. Innovations and

scientific breakthrough that can make our planet more sustainable and our

__________________

15 Ibid., vol. 610, No. 8843.

22

countries more prosperous and resilient should be affordable and accessible to

all.

50. At the same time, we must responsibly manage the potential risks posed

by science and technology, in particular the ways in which science, technology

and innovation can perpetuate and deepen divides, in particular the gender

gap and patterns of discrimination and inequality within and between

countries and adversely impact the enjoyment of human rights and progress

on sustainable development. We will deepen our partnerships with relevant

stakeholders, especially the international financial institutions, the private

sector, the technical and academic communities and civil society, and we will

ensure that science, technology and innovation is a catalyst for a more

inclusive, equitable, sustainable and prosperous world for all, in which all

human rights are fully respected.

51. Digital and emerging technologies, including artificial intelligence, play a

significant role as enablers of sustainable development and are dramatically

changing our world. They offer huge potential for progress for the benefit of

people and planet today and in the future. We are determined to realize this

potential and manage the risks through enhanced international cooperation,

engagement with relevant stakeholders, and by promoting an inclusive,

responsible and sustainable digital future. We have an nexed a Global Digital

Compact to this Pact in this regard.

Action 28. We will seize the opportunities presented by science, technology

and innovation for the benefit of people and planet.

52. We will be guided by the principles of equity and solidarity, and promote

the responsible and ethical use of science, technology and innovation. We

decide to:

(a) Foster and promote an open, fair and inclusive environment for

scientific and technological development and cooperation worldwide,

including through actively building trust in science and global collaboration on

innovation;

(b) Increase the use of science, scientific knowledge and scientific

evidence in policymaking and ensure that complex global challenges are

addressed through interdisciplinary collaboration;

(c) Encourage talent mobility and circulation, including through

educational programmes, and support developing countries to retain talent

and prevent a brain drain while providing suitable educational and working

conditions and opportunities for the workforce.”

IL “RAPPORTO DRAGHI” è insufficiente per la salvezza dell’ Europa

Dopo mesi di attesa, è stato finalmente stato pubblicato il “Rapporto Draghi”, commissionato dalla Presidente von der Leyen,  che avrebbe avuto l’ambizione (veramente sproporzionata) di risolvere l’annosa, e sempre più spinosa, questione del declino , economico ma anche civilizzatorio, etico, culturale, politico e militare, dell’ Europa.

Il documento è stato accolto, senza avere neanche il tempo di leggere le sue centinaia di pagine, da un coro di critiche provenienti da tutte le parti, a cominciare dal ministro tedesco Lindner, alla rivista online Politico, su base americana, fino al Movimento Europeo in Italia.Sergio Fabbrini, sulle pagine de “Il Sole 24 Ore”, si azzarda perfino  a dire che il rapporto finirà probabilmente nel cassetto.

Abbiamo giusto avuto la possibilità di scorrere il documento, evidenziandone i passaggi più determinanti. Cercheremo  di illustrare perché  esso appaia anche a noi fortemente inadeguato in un momento in cui, di fronte a sfide inaudite (IIIa Guerra Mondiale, Società del Controllo Totale,declino economico), l’Europa avrebbe però anche davanti a sé, se lo volesse, importanti opportunità di salvezza , in particolare attraverso un’ autentica sovranità europea, in tutti i  campi (culturale, sociale, politica, economica, giuridica, militare),opportunità che il documento sembra deliberatamente non voler cogliere, a nostro avviso per tre sostanziali motivi:

-è limitato all’ economia, senza considerare le fondamentali sfide culturali e politiche sottostanti;

-anche in campo economico, finge di non tener conto della subordinazione agli Stati Uniti dell’ Europa, che  limita enormemente i margini di azione di quest’ultima anche in campo economico (vedi caso Olivetti, industria militare, dazi e sanzioni con Russia e Cina);

-minimizza deliberatamente il ruolo dell’ informatica nella società contemporanea, per non essere costretto a toccare gl’interessi di quella ristrettissima élite che oramai domina il mondo (i “GAFAM”).

Per questo, è necessario premettere, alle considerazioni specifiche sul Rapporto, una panoramica del contesto politico  odierno, in cui esso s’inserisce

1.Le vittorie “sovraniste” alle recenti elezioni

I media dell’ establishment ci stanno sommergendo di allarmismo per l’esito delle elezioni tedesche (ma, prima ancora, slovacche, francesi, ungheresi….),che hanno premiato più che mai i cosiddetti “sovranisti”, senza però affrontare seriamente le ragioni di questi risultati. Secondo molti opinionisti, più che “sovranisti”, questi partiti sarebbero addirittura “neonazisti”, mentre  a noi sembrano qualcosa di molto diverso, visto che, semmai, hanno una visione “kleindeutsch”(Piccolo-tedesca) della Germania (com’era quella di Bismarck, di Rathenau, dei congiurati  del 20 luglio e della DDR, e che Hitler aveva invece contrastato) , non certo una visione “ariana” orientata verso un “Grossdeutsches Reich” imperiale, come quella dei nazisti. Si noti che il partito nazionaldemocratico, ostracizzato nella Repubblica Federale, faceva parte, nella DDR, del “Fronte Popolare” insieme al Partito Socialista Unitario (comunista), al Partito Liberal-Democratico e alla Democrazia Cristiana (Ost-CDU).

Questi e simili riferimenti fantasiosi e propagandistici al passato contribuiscono ulteriormente all’incomprensione dei grandi problemi dell’ Europa, passati e presenti, sì che s’impone una vera e propria “riscrittura della storia”.

Come ha affermato Sahra Wagenknecht, grande vincitrice, in Germania Orientale, con Alice Weidel, delle recenti elezioni amministrative in Turingia e Sassonia, la verità è che gli elettori tedeschi  hanno semplicemente voluto uscire da una conflittualità con la Russia che, oltre a mettere in pericolo Germania (e Italia), con i loro magazzini pieni di testate nucleari americane, e quindi primi bersagli dei missili nucleari russi, ha palesemente portato alla rovina l’economia tedesca -occidentale come orientale-(e, indirettamente, anche quella italiana): basti guardare alla Volkswagen che, dopo la distruzione del North Stream, chiude le fabbriche in Germania, e agli Americani che vogliono riprendersi la Chrysler dalla Stellantis, sì che la Regione Piemonte è costretta a corteggiare i Cinesi per poter riavere una qualche industria automobilistica. Viene celebrato come una vittoria il fatto che, mentre Stellantis chiude Mirafiori, la Dongfeng abbia almeno aperto a Torino una concessionaria e abbia invaso di suoi modelli il Salone dell’ Auto.

Qui c’entra ben poco la presunta “mentalità autoritaria” dei cittadini dell’ Est tedesco e europeo (che io chiamerei piuttosto, con Gumilev, “Passionarnost’’, cioè, allo stesso tempo, impegno emotivo in ciò che si fa, e capacità di “soffrire” per conseguire obiettivi importanti e condivisi), quanto piuttosto una maggiore lucidità propria di chi ha potuto confrontare dal vivo le tre ideologie del Novecento, e quindi constatarne quella sostanziale equivalenza, fra di esse già rilevata da Eric Voegelin. Comunque, ci si chiede perché mai dovrebbero essere dei fans dell’ideologia anglosassone gli eredi degli Slavi Occidentali (Vendi, Sorbi, Lusaziani), di Martin Lutero, della Prussia, di Nietzsche e della DDR, e, in particolare, i cittadini di Karl-Marx-Stadt (ora Chemnitz).

In realtà, oggi è tutto il progetto degli establishment del secondo dopoguerra ad essere finito in crisi, a cominciare dall’economia per arrivare alla cultura. Come affermava Italia Oggi (“ O l’Europa è unita, oppure è niente”), questa è infatti la crisi della democrazia nazionale, vale a dire della democrazia dei singoli Paesi qui in Europa: “Stanno venendo al pettine le contraddizioni tra le dinamiche globali dell’economia e della finanza e il fragile tessuto della nazionalità/statualità della politica e delle politiche” (democratiche)….Le classi dirigenti di Francia, di Germania, di Inghilterra, di Spagna, d’Italia… hanno continuato a filtrare il mondo e a far politica interna e estera sulla base del consenso democratico dei propri elettorati. Potevano fare diversamente? No. Perché non soltanto i loro elettorati hanno continuato a collocarsi mentalmente nel mondo in base a immarcescibili vissuti e categorie, ma anche perché le strutture statuali e giuridiche sono nazionali.” Professionalità della politica, carattere nazionale degli Stati e democrazia rappresentativa hanno fra loro legami strettissimi: come messo in rilievo da vari autori, “simul stabunt, simul cadent”.

Nonostante la loro propaganda, gli Stati nazionali non sono più in grado di svolgere una qualche funzione reale in un mondo solcato da conflitti globali esistenziali, ai quali è impossibile non reagire.

1.Gli Stati-civiltà

Come scriveva Italia Oggi, “La causa ultima non è il collasso dell’ordine mondiale di Yalta. È la globalizzazione dell’economia, la globalizzazione della comunicazione e, si intende, l’ascesa di nuovi soggetti  mondiali: CinaIndiaNigeriaBrasile ecc…”Infatti, “La globalizzazione è politicamente, giuridicamente e istituzionalmente ingovernabile dagli Stati nazionali…..” Eppure, “ Le opinioni pubbliche e i pubblici elettorali non vedono alternative possibili alle minacce della globalizzazione, pur sfruttandone tutte le opportunità, se non una: lo Stato-nazione..”

In realtà, le opinioni pubbliche europee sono pilotate per mille rivoli da una “società dell’1%”, con baricentro nel mondo anglosassone (cfr. Kipling, Mead), che ha manovrato da tre secoli la storia per sostituire gl’imperi europei (e anche quelli Qing e Mogul), con  i manovrabili  “Stati nazionali” (vedi i cosiddetti “Risorgimenti nazionali” ,  la “Guerra Civile Europea”, ma anche la Rivolta dei Sepoys e la Guerra dell’ Oppio), e non ammetterà mai, fino all’ orlo della sua sconfitta finale, che possa nascere un’Europa forte e competitiva con gli USA, ai quali ultimi  i membri dell’ establishment devono le loro carriere, legandovi le proprie fortune. E’ questo, e non le presunte trame dei “sovranisti”, il motivo per cui una “vera” Europa (Coudenhove Kalergi, Galimberti, Spinelli) non si è ancora fatta nel giro di ben 75 anni dai Trattati di Roma.

Non è però neanche esatto che, come afferma Italia Oggi, “PutinTrumpXi Jin-ping Narendra Modi hanno rilanciato la sfida dello Stato-nazione”. Quelli che  costoro dirigono non sono Stati-“nazioni”, bensì Stati-civiltà (ciascuno composto da decine di “nazioni”-Moscovia, Siberia, Cecenia,  Tatarstan, Daghestan, Donbass, Crimea..;East Coast, Far West, Midwest, California, Texas,Dixieland, Porto Rico, Guam,Hawaii; Grandi Pianure, Cina Meridionale, Mongolia, Tibet, Xinjiang,”Greater Gulf Area”, Taiwan; Kashmir, Punjab, Rajasthan, Valle del Gange, Assam, Gujarat, Deccan, Tamil Nadu, Kerala, Karnataka, Orisha, Bengala, Andamane, Nicobare…).

Gli Occidentalisti, che si guardano bene dal condannare l’impero americano, pretenderebbero invece, in ossequio al principio “divide et impera”, che tutti quegli Stati Nazionali che abbiamo enumerato si staccassero dall’ India o dalla Cina, come il Pakistan o Taiwan (ma non dagli Stati Uniti). Qualcosa di nuovo a questo proposito si sta muovendo anche al confine fra India e Bangladesh dopo il colpo di Stato contro Sheikh Hasina.

Gli Stati-civiltà incarnano, ciascuno, una sua specifica visione del mondo e una specifica strategia  per salvare l’ Umanità dalla tecnica dispiegata (“the Final Century” di Martin Reed). Però,”con qualche differenza tra i quattro: quello russo non è uno Stato-nazione, ma uno Stato-nazioni e perciò rivendica territori ex-imperiali, quale l’Ucraina; Trump rinuncia definitivamente a collocare gli Usa come baricentro dell’ordine mondiale, per affidare loro la più modesta missione di difendere la propria egemonia economica e finanziaria, mediante accordi/conflitti bilaterali; Xi-Jin-ping tende a porsi quale fabbrica del mondo, pratica un imperialismo commerciale su scala mondiale, rivendica Taiwan quale parte integrante dell’antico territorio cinese; Narendra Modi è, per ora, più rivolto ad affermare l’egemonia politico-religiosa indù rispetto a oltre 200 milioni di mussulmani indiani.”

Quello che conta è che, “quale che sia il giudizio storico-politico che si dà di queste quattro manifestazioni del nazionalismo, occorre riconoscere che hanno tutte lo stesso physique du rôle: numero di abitanti, potenza economica e/o militare, influenza sul mondo. Il loro discorso ha una sua forza materiale.”

“Physique du rôle” che, né gli Stati membri della UE, né la UE stessa, hanno. Di conseguenza, “quello degli inglesi e dei francesi (che continuano a partecipare per diritto al Consiglio di sicurezza dell’Onu) e quello dei tedeschi e degli italiani ecc… è un nazionalismo straccione. Il nazionalismo non ha più fondamento storico-politico, è diventato un ‘signaculum in vexillo’, da affiggere sugli stendardi nel corso delle campagne elettorali”.

Paradossalmente, i primi ad avere preso atto della fine degli Stati nazionali europei, sostituiti dagl’imperialismi, erano già stati Lenin e Mussolini, e l’unico ad avere tentato di costruire (sotto altro nome) un nuovo impero inglobante tanti Stati nazionali (quelli creati da Lenin) era stato Stalin  (di cui ancora  sopravvive l’inestricabile intrico di Repubbliche, Repubbliche Autonome e Province Autonome). Tutti, per altro, tentativi falliti, per l’ostilità del solo “Impero Nascosto” (quello americano, cfr. Daniel Immerwahr).

Lo stesso si può dire, ad ancor maggior ragione,  anche del “sovranismo europeo” post-gollista (Giscard, Macron), a cui non corrisponde, a oggi, nessuna visione del mondo alternativa a quella americana, sicché non si capisce perché in Europa gli “integrati”  dovrebbero sostenere l’Europa anziché l‘ America, e come i “dissidenti”  potrebbero votare in modo alternativo, se, da Macron a Le Pen, da Weber a Scholz, da Schlein a Meloni, tutti fanno a gara per sostenere le scelte dell’America, catastrofiche per l’ Europa.

In realtà, dovunque nel mondo ci sarebbe bisogno di culture “continentali” capaci di sostituire quelle “nazionali”, e, invece, questo processo è appena agl’inizi in ciascuno Stato-Civiltà (e in Europa non è ancora neppure iniziato; cfr. l’ultimo numero di “Domino”; “L’Europa eravamo noi”.).

In America, vi è l’ovvia polarizzazione, prevista già da Tocqueville, fra “Whites” e “Non-Whites”, una distinzione più forte che mai, anche se, ormai, dispersa per vari rivoli: Woke, MAGA, Tedesco-americani… In Russia, la transizione, dall’originario cosmismo e futurismo di Trotskij e Lunacharskij, a un’interpretazione  “quasi demestriana” del “pensiero russo” (sulla falsariga delle “Soirées de Saint Petersbourg”), è ancora incompiuta. In Cina, la ciclopica sintesi fra il complesso mondo dei San Jiao confuciani e il socialismo con caratteristiche cinesi non ha ancora trovato un teorico adeguato; in India, non è ancora stata scritta una versione attualizzata delle varie sintesi messianiche proposte in passato (fra quelle di Tagore, Aurobindo, Savarkar, Ambedkar e Gandhi, e altre). Non parliamo della confusione ideologica nel mondo islamico, il più grande agglomerato di popoli del mondo, che si dimostra tutto fuorché totalitario, con le sue poliedriche sfaccettature teologiche, etniche, storiche, linguistiche, istituzionali, partitiche e sociologiche).

Su tutto ciò incombe la nascita della “Società del Controllo Totale”, che, come oramai tutti stanno ammettendo, sta oramai permeando senza più infingimenti innanzitutto il mondo del web, livellando di fatto tutte le identità. Sostituire, a questo  questo livellamento, un’umanità variegata e vitale costituisce il grande “compito comune” del XXI Secolo.

Nonostante la grande positività delle culture non-europee, per il loro contributo a scalfire la “grande narrazione” tecnocratica occidentale (per dirla con John Ness ,“From Plato to NATO”), manca ancora un “trait d’union”, capace d’ interconnettere i grandi temi comuni dei vari continenti nell’ottica del XXI Secolo. Tali non sono stati infatti i tentativi di sintesi operati, per esempio, dall’ Imperatore Mughal Akbar (“Din-i -Ilahi”), o le opere occidentali sulla Philosophia Perennis (Leibniz, Guénon, Evola, Zolla, Besant), che mancavano di spessore comparatistico e filologico.

I teorici dell’“occidentalismo” vedono questo “trait d’Union” (per loro negativo) nella cosiddetta “autocrazia”, che, però, è un concetto tutt’altro che univoco ed efficiente. Che cosa c’è di comune fra la repubblica turca, dove l’opposizione ha potuto ancora recentemente sfidare alle elezioni il Presidente; quella iraniana, dove la competizione fra i politici “costituzionali”, cioè islamici sciiti (come da noi sarebbe fra i partiti “democratici e moderati”), si fa nelle urne; la Cina, dove  quest’ultima ha luogo all’ interno del partito comunista, ma questo ha un numero di iscritti proporzionalmente superiore a quello di quanti svolgono politica attiva in qualsivoglia altro Paese; la Russia, dove ci sono decine di partiti, e già solo in Parlamento ce ne sono 7 come nella maggior parte dei Paesi occidentali, e il partito di Putin non ha la maggioranza assoluta, ma è costretto a fare un governo di coalizione con il Partito Liberal-democratico?

D’altronde, la tendenza al centralismo accomuna tutti gli Stati del mondo a causa della natura della Società del Controllo Totale, dove tutto è concentrato in grandi server, che sono controllati, o da una multinazionale, o uno Stato, che ne usano ed abusano per mantenere il loro potere. Il più grande di questi, che conserva dati dei GAFAM e del Governo americano, si troverebbe a Salt Lake City. Basti vedere i casi di Echelon, Prism, Wikileaks, Schrems, Cambridge Analytica, Trump, X…

Anche quando oggi in Europa si parla di “multiculturalismo” si compie, in realtà, una grande mistificazione: anziché valorizzare le culture “altre”, “sfruttando” l’immigrazione per accrescere la cultura dei nostri cittadini e delle nostre Istituzioni, si pretende invece di “integrare” gl’immigrati e i loro figli in una cultura occidentale che neppure è nostra, per farli diventare come noi o per egualizzare tutti su un modello di “uomo senza qualità”, governato dagli algoritmi. In realtà, tutta l’insolubile problematica dell’immigrazione e del “razzismo” è, come buona parte dei dibattiti attuali, una semplice scopiazzatura di fenomeni  degli USA , che serve solo a farci assomigliare sempre più agli Americani, in modo da non potercene più staccare. L’Europa non è un paese di immigrati, bensì un Paese di emigrazione, e, quindi, le sue esigenze sono molto diverse da quelle dell’ America.

Ciò rientra nel generale sforzo per rimodellare una futura società europea rendendola priva delle doti che sono necessarie per riconquistare la nostra indipendenza e creatività: cultura, assertività, patriottismo, salute, forza di volontà… Occorrerebbe perciò fare chiarezza a livello mondiale sulle cause, le modalità e le direttrici del fenomeno migratorio.

Molto più appropriato sarebbe parlare, come fa Panikkar, di “transculturalità”

2.L’Europa nel dibattito mondiale

Ma, soprattutto, stiamo perdendo l’occasione per recuperare una futura cultura originale europea quale nostro contributo aggiuntivo al grande dibattito mondiale, soprattutto sui temi seguenti:

-il relativismo dall’ Ecclesiaste a Eraclito, a  Protagora, a Tertulliano,a  Montaigne, a Pascal, a Kant, a Nietzsche, a Wittgenstein, a Heisenberg, a De Finetti e Feyerabend, da leggersi in relazione ai RgVeda, e quale presupposto per il ritorno alla cultura del tragico;

-l’alleanza ecumenica delle religioni e delle culture mondiali contro l’appiattimento indotto dalla “Religione del Progresso”;

-la concezione cinese dell’armonia universale (DaTong, Héxié), da leggersi, in relazione a quelle di “Kosmos” e di “Karma”, quali  basi culturali per un mondo multipolare;

-il culto degli eroi omerici e dei Patriarchi biblici , modelli della nostra cultura classica, non dissimili da quelli del Mahabharata e del Ramayana, rivissuto dal mito dell’ eroe romantico di Byron, Leopardi e Carlyle;

-il senso delle gerarchie sociali tipico del confucianesimo e dell’induismo, letto alla luce della Patrios Politeia greca e dell’Ancienne Constitution Européenne di Tocqueville;

 -l’”Ecologia dell’anima” dei Giapponesi e dei popoli andini, vista con la lente della lettera pastorale “Laudato sì”;

-la ricerca occidentale dell’ eccellenza, speculare all’epistocrazia del sistema estremo-orientale dei concorsi pubblici e opposto al presente culto dell’ eguaglianza e dell’ indifferenziazione;

-la “Passionarnost” dei popoli nomadi , teorizzata da Ibn Khaldun e da Gumilev- fondamento ideale degl’imperi delle steppe (Yamnaya, unno, turchi, avaro, bulgaro, magiaro, mongolo, tataro, polacco e russo)-.

Su “La Repubblica” è comparsa recentemente una perorazione di Linda Laura Sabbadini sulla necessità del multiculturalismo nel rapporto con le giovani generazioni di migranti, descritto come ”valori del rispetto della persona e della sua libertà, dei diritti e della democrazia”, contrapposta all’ “oscurantismo medioevale, che regna in molti paesi da cui si fugge”. Questo però non è il classico multiculturalismo europeo, come lo intendevano, per esempio, Matteo Ricci, Nietzsche, Guénon o Panikkar, concepito per  permettere anche a noi di difendere le nostre tradizioni culturali contro il livellamento modernistico, bensì il tentativo dell’imposizione ad altri, da parte del nostro establishment,  delle concezioni del mondo occidentale, quale propugnata per esempio da Condorcet, Whitman e Kipling.

Affinché l‘Europa possa divenire uno “Stato-Civiltà” capace di competere con USA, Russia, India e Cina, essa deve darsi  una sua autonoma politica culturale, che comprenda anche un suo specifico punto di vista sui rapporti con il resto del mondo (Stati-civiltà, minoranze interne e immigrazione). A nostro avviso, la comprensione  di questi rapporti dialettici potrebbe e dovrebbe costituire il contributo specifico dell’ Europa alla costruzione di un ordine mondiale interculturale. Per questo è importante studiare attentamente le opere di coloro che si sono sforzati di tematizzare ciò che le culture extraeuropee possono insegnare all’ Occidente. Mi riferisco innanzitutto  a Raimòn Panikkar, teologo gesuita indo-spagnolo, teorico del “disarmo culturale”, termine che oggi fa inorridire molti, ma che è più che mai attuale, come unico rimedio all’ incipiente IIIa Guerra Mondiale.

Come abbiamo scritto in precedenti post,  quest’ultima è una guerra di religione fra due differenti progetti escatologici: quello della fuoriuscita dal mondo umanistico quale conosciamo e abbiamo studiato, verso una società di macchine intelligenti dove non vi sia più Storia (la “Singularity Tecnologica”), e quello, opposto, della prosecuzione in forme diverse della Storia umana ereditata dalle grandi civiltà del passato: il Mondo Multipolare.

3.Una soluzione effettiva per la pace dovrà avere un ben maggiore spessore culturale e storico

Il fatto che tutti si affannino a escogitare e proporre sempre nuove formule per la pace in Ucraina e in Palestina, ma nessuna di queste venga neppur presa in considerazione dalle altre parti in causa, dimostra che la possibile pace non potrà limitarsi a stabilire una nuova sistemazione  per i territori contesi, bensì, tenendo conto delle poste molte più ampie in gioco, dovrà dare un orientamento per la geopolitica del futuro, non solo per la Russia, l’Ucraina, o gli Stati Uniti, ma per gli equilibri del mondo intero. E questo significa  creare un contesto che disinneschi innanzitutto il conflitto sino-americano per l’egemonia mondiale. Ma ciò non potrà avvenire senza la previa individuazione di un nuovo ordine mondiale accettabile da tutti, e, in particolare, da tutti gli Stati-civiltà e dalle loro concezioni del mondo.

Gli sforzi in corso da parte di India, Cina e Germania per suggerire una proposta di pace poggia, invece, su assai deboli fondamenti culturali, da sostituirsi con un rinnovato atteggiamento di interculturalità quale sopra delineato.

Innanzitutto, si dovrà abbandonare la convinzione, ahimé, troppo diffusa, che ci sia bisogno comunque di uno “Stato-Guida” mondiale, che conduca l’Umanità verso il Progresso. Abbiamo avuto la Persia achemenide, Israele, Roma, il Califfato, il Sacro Romano Impero, la Spagna asburgica, la Francia rivoluzionaria, l’Impero inglese, l’URSS e gli Stati Uniti. Ora è entrata in lizza anche la Cina. Se, però, l’obiettivo comune non  dovrebbe più essere quello di accelerare il corso del Progresso, bensì, come dice ormai la maggioranza, quello di frenarlo, l’idea del Paese-Guida perde di attualità. Si tratta ora, più che di “fare”, di “non fare”: non inquinare, non esplodere bombe atomiche, non creare intelligenze artificiali troppo intelligenti, non spiare i cittadini…Queste cose possono essere fatte anche “in parallelo”, in base ad accordi internazionali, senza che nessuno debba necessariamente “guidare”.

In secondo luogo, occorrerà estendere, e di molto, il concetto di “tolleranza”, abolendo concetti come “fake news”, “discorsi di odio”, “arretratezza”, “male assoluto”, “correttezza politica”, e ammettendo, nel linguaggio pubblico internazionale, concetti che sono stati fino ad oggi tabù, come per esempio “tradizioni”, “valori asiatici”, “tribù”, “costituzioni non scritte, e/o comunitarie”, ….Come è stato più volte affermato, l’idea di tolleranza è una forma di arroganza: io ti tollero anche se so che sei inferiore e hai torto, perché io sono migliore, più potente, più saggio e magnanimo. Invece della tolleranza, occorre tornare all’”humanitas” (in cinese, “Ren= ”):homo sum, nihil humanum mihi alienum puto.

In terzo luogo, occorrerà regolamentare l’equilibrio internazionale dei potere, istituendo procedure (sulla falsariga di quelle parzialmente esistenti per il nucleare), che pongano sotto controllo i conflitti totali, in particolare nei settori del digitale e dell’ Intelligenza Artificiale, come affermato tra gli altri, da Kissinger, da Harari e perfino dal Papa. Tema centrale: l’escalation e il “first strike”.

4.Il Rapporto Draghi nella guerra mondiale.

Il “Rapporto Draghi” risulta intanto troppo datato, in quanto molti dei dati citati risalgono a 2/4 anni fa, mentre la situazione dell’ economia e delle società europee si è nel frattempo ulteriormente deteriorata.

In secondo luogo, il “Rapporto” non ha preso atto del fatto che l’attuale situazione di guerra guerreggiata ha messo in evidenza in modo definitivo che l’economia è oggi solo più uno dei vari campi di battaglia nella “guerra senza limiti”, sicché  nulla si muove oggi in base ad un’ottica puramente economica. Gl’investimenti sono sostenuti, o almeno orientati,  dagli Stati, in considerazione di obiettivi strategici: per esempio con il “Made in China 2015”, e la corrispondente legislazione americana, fatta, a detta dei promotori, “per mettere fuori mercato il mondo intero”. Perciò, mentre il Rapporto si preoccupa, giustamente ,della necessità di enormi nuovi investimenti pubblici europei a favore dell’ innovazione (investimenti s cui, tra parentesi, non sono già d’accordo, né la von der Leyen, né il Governo tedesco), e mentre invoca un molto migliore coordinamento delle politiche industriali, tecnologiche e scolastiche, indica poi però, come strumenti operativi ,

istituti che noi già quattro anni fa indicavamo come superati nel nostro libro “European Technology Agency” e nel nostro carteggio con Ursula Von der Leyen e con i membri della Commissione  e del Consiglio, vale a dire, tra gli altri,  lo European Innovation Center,  lo European Innovation Center e il cloud europeo di GAYA-X.

Avevamo suggerito, in quell’ occasione, la creazione di una European Technology Agency capace di coordinare, “hands on”, tutti gli sforzi europei nel settore delle nuove tecnologie.Inoltre, avevamo indicato quale compito prioritario la creazione di un Ecosistema Digitale Europeo, completamente mancante da 50 anni per non urtare gli interessi dei GAFAM americani, ma sempre più indispensabile perché lo sviluppo di qualsivoglia economia si fonda sul controllo assoluto di proprie tecnologie informatiche, quale quello detenuto da USA e Cina.

 .

Di quest’obiettivo non vi è praticamente traccia, ma solo qualche vago accenno, mentre invece Draghi si è dilungato, nella sua intervista con la stampa, ad attaccare l’effetto deterrente della legislazione europea sull’ ICT sull’operatività in Europa  multinazionali del web, che egli considera evidentemente utili ed ineliminabili:  ‘Abbiamo proclamato che l’innovazione era al centro della nostra azione, e poi abbiamo fatto tutto il possibile per mantenerla a un livello basso’.”, ha osservato.“Su questo”, ha continuato, “la posizione normativa dell’Ue nei confronti delle aziende tecnologiche ostacola l’innovazione: l’Ue ha ora circa 100 leggi incentrate sulla tecnologia e oltre 270 regolatori attivi nelle reti digitali in tutti gli Stati membri. Molte leggi dell’UE adottano un approccio precauzionale, dettando specifiche pratiche commerciali ‘ex ante’ per evitare potenziali rischi ‘ex post’. Ad esempio, l’AI Act impone requisiti normativi aggiuntivi sui modelli di Intelligenza artificiale per uso generale che superano una soglia predefinita di potenza di calcolo, una soglia – si puntualizza nel rapporto – che alcuni modelli all’avanguardia superano già’.

‘In terzo luogo” – ha aggiunto l’ex presidente della Bce, citando sempre il proprio rapporto -, “le aziende digitali sono scoraggiate dal fare affari in tutta l’UE tramite filiali, poiché devono affrontare requisiti eterogenei, una proliferazione di agenzie di regolamentazione e la ‘gold plating’ (ovvero un’applicazione che va oltre i requisiti minimi richiesti, ndr) della legislazione Ue da parte delle autorità nazionali. In quarto luogo, le limitazioni all’archiviazione e all’elaborazione dei dati creano elevati costi di conformità’. Secondo Draghi, quindi, ‘la conclusione è che gran parte di questa legislazione si applica alle grandissime aziende, a cinque o sei grandi aziende statunitensi, e in realtà noi stiamo uccidendo le nostre piccole aziende. Non abbiamo grandi aziende come negli Stati Uniti, le nostre sono tutte piccole aziende, quindi con questa legislazione che ci siamo dati siamo in realtà autodistruttivi, stiamo uccidendo le nostre aziende’”.

5.L’industria militare

Secondo l’interpretazione datane dalla stampa, l’elemento qualificante del “Rapporto Draghi” sarebbe il peso particolare dato all’ industria europea della Difesa. Personalmente, credo di saperne qualcosa in quanto, oltre alle tradizioni familiari, ho diretto per una dozzina di anni il Servizio Giuridico del Settore Aviazione della FIAT, coinvolto, fra l’altro, mei progetti dei caccia europei Tornado ed Eurofighter, nei missili dell’ Esercito Italiano e degli Emirati Arabi Uniti, in Eurocopter, nei residui delle attività nucleari italiane, oltre che nelle collaborazioni  per i lanciatori con la Francia e con l’Ucraina.

Pertanto, credo di comprendere la logica che potrebbe presiedere a un rafforzamento dell’ industria europea della Difesa e le logiche seguite da Draghi. Visto che, sotto pressione americana, gli Europei sono sempre più sospinti a spendere di più per il militare, il concetto furbescamente  adottato è che, almeno, si spenda in prodotti europei, e non in quelli americani.

Personalmente, ho avuto da sempre un approccio molto diverso, basato su una visione olistica dell’ “industria della difesa”.Perciò, mi riservo di ritornare sull’ argomento commentando la serie di articoli che compariranno su “Il Sole XIV Ore”.

Premesso che, stante la situazione, sarebbe illogico non pensare a un rafforzamento della nostra industria di difesa, in termini di maggiore coordinamento e di ottimizzazione delle ricadute economiche, noi riteniamo che ci si dovrebbe attenere, anche e soprattutto, ai criteri seguenti:

-dual use, estendendo la programmazione a tutte le industrie connesse,come informatica, Intelligenza Artificiale e aerospazio;

-una cultura europea della difesa intesa quale strumento di unificazione delle élites militari;

-informatizzazione delle forze armate;

-selettività delle spese, privilegiando le tecnologie più avanzate;

-comando unificato sotto un vertice militare forte e coeso;

-consolidamento, grazie all’ investimento pubblico, dell’ industria europea  della Difesa intorno a un gruppo finanziario paneuropeo, quale avrebbe dovuto essere (ma non è stato) l’EADS

SIAMO VERAMENTE IMPOTENTI?

L’Europa  contro la IIIa Guerra Mondiale

Su “La Stampa” del 23 agosto, Gabriele Segre scrive giustamente che “mentre gli altri (alleati o avversari) non potevano avanzare alcun ordine ideale alternativo, gli Stati Uniti raggiungevano il massimo grado del proprio dominio a seguito del trionfo nella prima guerra del Golfo” Era il momento  della “Fine della Storia” di Fukuyama.

Infatti, aggiungiamo noi,  non potevano avanzare progetti alternativi perché bloccati deliberatamente dall’onnicomprensivo potere americano: l’Europa, dal “Passato che non Passa”; l’Unione di Stati Indipendenti, dall’eredità della politica leninista e stalinista delle nazionalità; la Cina, da Piazza Tien An Men; l’Islam, dal convergere con gli USA delle monarchie del Golfo.

Oggi, dopo la fuga dall’ Afghanistan, l’America ha perso la sua credibilità quale “unica superpotenza”, e, perciò,  ”in Occidente non si scorgono al momento alternative”. Tuttavia, è possibile che proprio questo renda possibile, contrariamente a quanto opina Segre, una maggiore autonomia dell’ Europa. Ed è proprio per questo che l’establishment si ostina a sostenere ch’essa è impossibile.

Pero, a questo punto, occorre anche chiederci: ma perché mai ci dovrebbe essere un “Paese Guida” a livello mondiale? Per indirizzare in una qualche direzione “il Progresso”? Ma non è proprio della Post-Modernità l’aver messo  sotto le lenti della critica il Mito del Progresso, travolto dall’ “Eterogenesi dei Fini” (cfr. Horkheimer e Adorno, Latouche, Grey)?Con questo, è venuta anche meno l’esigenza di un “Paese-Guida”.

La tecnologia non è più vista come una salvifica teofania, bensì come la punta emergente del Secolo Finale, guidato dall’ Intelligenza Artificiale e dalle minacce atomiche oramai quotidiane (Martin Reed).

La libertà di pensiero, di parola e di culto è sempre più limitata dai delitti di opinione, dall’impegno politico dei miliardari dell’ informatica e dalle censure sul mondo dell’ informazione (accademia, editoria, media, web).

La Pace Perpetua propiziata dalla “benigna” egemonia americana è resa sempre meno credibile dal riproporsi all’ infinito (ingigantiti dalla tecnologia) di conflitti millenari e genocidari (i Filistei, l’Egitto, Gaza, Israele;  Iranici e Semiti; Zaristi e Cosacchi…).

La libera circolazione del lavoro, dei capitali e delle merci, articolo di fede dell’ Unione Europea,  è negata violentemente dai muri anti-immigrati, dal sequestro dei beni russi, dai dazi e dalle sanzioni.

La concorrenza è abolita dai GAFAM, ma l’Antitrust non interviene.

L’”ascensore sociale” è messo in forse dalla Società delle Aspettative Decrescenti.

1.Dialogare, ma su cosa?

Molto più “attuali”, dunque, le visioni del mondo dell’ Estremo  Oriente:

il Mito dell’ Eterno Ritorno, che, nella sua versione originale, quella induista, prevede un’infinità di eoni, ciascuno dei quali inizia dall’ era degli Dei e finisce con un’ Età Oscura (Kali Yuga), in cui noi saremmo ora immersi, in attesa del salvatore apocalittico Kalki, che, dopo una deflagrazione universale, ci riporterà nell’ Eone degli Dei;

-il “Datong”, l’utopia conservatrice e patriarcale di Confucio, monarchica e meritocratica, che, non essendoci nel Cinese Classico il futuro, è qualcosa di saltuariamente possibile, ma sempre sfuggente.

La questione  prioritaria non è infatti quello di guidare meglio “il Progresso”, vale a dire l’incremento dei beni materiali e il passaggio dal “Governo degli Uomini” al “Governo delle Regole”, bensì quello di perseguire finalità diverse, quali il perfezionamento dell’ Umanità, attraverso una visione olistica del mondo e il controllo sul mondo della Tecnica. Per fare ciò, non vi è bisogno di un “Paese Guida” (che sia esso l’America o la Cina, un Califfato o una Federazione Europea), bensì di un dibattito serrato fra le grandi culture mondiali, per gestire le Macchine Spirituali attraverso una cultura che sia una sintesi fra l’ascesi orientale e la progettualità occidentale, fra le culture pre-alfabetiche e l’Intelligenza Artificiale.

2.Una  “direzione strategica” contro il  determinismo

A oggi manca, come scrive Segre, “una direzione strategica ben definita”, capace di fermare la IIIa Guerra Mondiale oramai in corso fra Kursk e Donbass, fra Kurdistan e Siria, fra Palestina e Yemen, fra Iran e Israele, fra India e Pakistan, fra Bangladesh e Myanmar.

Ma, giacché la guerra in corso non è una normale controversia territoriale, bensì una guerra di religione fra gli stregoni che preparano la Singularity Tecnologica e i “veri credenti” che rivendicano la Terza Roma, non è possibile formulare proposte pacificatrici se non in base a un’ approfondita riflessione storico-filosofica multiculturale, “a monte” del millenarismo imperante e della propaganda di guerra.

La Singularity Tecnologica, con i suoi corollari del superamento  dell’Uomo da parte delle Macchine, della Megamacchina Universale e della generale omologazione, costituisce l’esito inevitabile di una visione deterministica della Storia, come quelle chiliastiche, quelle hegeliane e marxiste e le varie teorie americane dello sviluppo. Solo il trasferimento del potere alle macchine è infatti in grado di eliminare i conflitti derivanti dalla soggettività umana, e dunque, giacché la gestione tecnocratica è il modo migliore per realizzare il Progresso, l’Umanità la persegue di fatto nella misura stessa in cui persegue il benessere.

A causa di questo automatismo (il cosiddetto “piano inclinato”), opporsi al corso “naturale” del Progresso è l’unica possibilità effettiva di Libero Arbitrio, e, come tale, è altamente conflittuale. La rivendicazione del Libero Arbitrio, vale a dire la continuazione in vita di un Governo degli Uomini, comporta una lotta (ideale, culturale, ideologica, politica, ma talvolta anche rivoluzionaria o militare) contro le “Forze del Progresso”. Essa è costretta ad appoggiarsi ad elementi storici, come le religioni e le culture, come punto di sostegno contro  un “mainstream” governato dalla dialettica della Singularity. Di qui i richiami al racconto dostojevskiano del Grande Inquisitore, alle Hadith islamiche sul Dajjal, a Lord Rama, al Dao…

3.L’”ipocrisia politica”

Segre (come tutti i più intelligenti e onesti osservatori), non crede alle retoriche “mainstream”, e, in particolare, a quelle europee. Per questo, pone al centro della politica della Modernità l’Ipocrisia Politica. Che per altro immiserisce, perché la riduce al ben noto “doublespeak” sul preteso carattere “umanitario” della politica estera americana, reso credibile soltanto dalla forza.

In realtà, l’”ipocrisia politica” si situa su un piano addirittura esistenziale, ben anteriore all’ America. Già Tertulliano aveva affermato l’assurdità quale carattere essenziale dell’esistenza, oltre che della fede religiosa (Credo quia absurdum). A sua volta, Averroè aveva affermato l’esigenza di una “doppia verità” (filosofica e teologica), invitando il “Principe” (al-Amir), ad ascoltare i filosofi, ma a parlare al popolo attraverso i teologi. Infine, Nietzsche aveva fatto, dell’ipocrisia politica, l’elemento discriminante fra aristocrazia e popolo, in quanto il popolo non sarebbe atto, esistenzialmente, a sopportare l’indeterminazione del nostro “Vergleichendes Zeitalter”, sì che l’utilità fondamentale dell’ “élite” sarebbe quella di riuscire a ragionare ed agire in un mondo irrazionale, ma facendo credere al popolo che, al contrario, regnino la logica e l’obiettività.

4.La nostra pretesa impotenza

Ciò detto, non è affatto vero che gli Europei abbiano (meno di altri) gli strumenti per fermare la IIIa Guerra Mondiale. Infatti, come affermano molti, gli USA sono paralizzati dalla lotta per definire l’identità americana; la Russia e la Cina sono appesantiti dalla difficoltà di rimpiazzare l’ideologia marxista con un’adeguata ideologia imperiale tradizionale; l’Islam e l’India dalla pluralità etnica e confessionale.

Di fronte a queste situazioni, gli Europei potrebbero influenzare le scelte degli “altri”  con adeguate proposte culturali e manovrando fra le diverse tendenze dei due campi: GAFAM e MAGA, Russia e Cina, Ungheria e Turchia, India e Iran. Ma, per fare ciò, essi dovrebbero liberarsi dal timore reverenziale verso l’America e dagli automatismi indotti dalla propaganda. Per esempio, che l’Europa, senza l’esercito americano, sia indifesa nei confronti della Russia e dell’Islam. Che gli Europei Orientali vogliano a tutti i costi un conflitto con la Russia. Che “gli altri” abbiano solo due alternative: radicalismo o americanizzazione. Al contrario, l’Europa spende in armamenti più della Russia, e, se non ha peso politico, è perché è costretta a fare le guerre degli altri. Gli Europei Orientali avrebbero tutti i vantaggi da un rapporto migliore con la Russia, perché questo sposterebbe a Est il baricentro dell’ Occidente, e, contrariamente a quanto si dice, il loro spirito non è meno “tartaro” e “cosacco” di quello russo: ricordiamo il popolo Yamnaya, le migrazioni di popoli, il Granducato di Lituania, il Sarmatismo e il Pannonismo, Taras Bul’ba, “i Pagani”di Herczeg, “gli Antenati” di Mickiewicz, il mondo tradizionale di Eliade….Infine, Shevardnadze (ministro degli Esteri di Gorbaciov) aveva promesso che, con la Perestrojka, si sarebbe costruito un sistema migliore del socialismo, del capitalismo e perfino del feudalesimo (che evidentemente aveva ancora, in Georgia, una presa non indifferente).

5.Le debolezze della nuova Commissione

Quindi, occorrerebbe muoversi subito!

Abbiamo però dubbi sul se la nuova Commissione (a parte certe critiche su cui qui non entriamo) abbia le caratteristiche adeguate per quanto sopra. Intanto, fra i commissari proposti dai Governi non c’è nessun intellettuale capace di affrontare i temi da noi proposti. Poi, quale responsabile della Politica Estera e di Difesa è stata indicata l’ ex Primo Ministro estone Kaja Kallas, la quale ha come programma addirittura di ridurre la Russia a un coacervo di piccole repubbliche etniche, moltiplicando così per 100 l’attuale marasma dell’ Europa Orientale.

Programma su cui l’Ungheria e la Slovacchia non sono assolutamente d’accordo.

Capiamo bene che la Kallas, rappresentando un piccolo popolo ugro-finnico che, per una serie di vicende storiche, ha finalmente un proprio Stato, rappresenti bene il timore dei suoi concittadini di essere ridotto allo stesso livello degli Inuit, dei Sami, e, soprattutto, dei popoli ugro-finnici della Russia, come i Careliani, i Vepsi, i Bashkiri,i Nenci, i Komi, i Permiacchi, ecc..E che tenda ad estendere le loro aspirazioni ai popoli della “Grande Finlandia” e agli ai popoli altaici e cartvelici.

Tuttavia, non si può neanche subordinare un disegno globale di sviluppo continentale alle esigenze particolaristiche delle micro-nazionalità, che sono state sempre parte di grandi imperi (unno, avaro, bulgaro, khazaro, turchico, mongolo, russo..), ed hanno sempre coesistito con altri popoli come i Vikinghi, i Tedeschi, i Cavalieri Teutonici, gli Svedesi, i Danesi, i Lituani, i Polacchi, gli Ebrei,  e, solo in ultimo, con i Russi e i  Sovietici.  L’Estonia ne costituisce un esempio lampante, visto che vi si trovano reperti vikinghi anteriori a quelli estoni, che nel Medioevo era organizzata come “Terra Mariana”, condivisa fra i cavalieri Portaspada, città anseatiche e vescovati tedeschi, e, infine, modellò la propria epopea nazionale (il Kalevipoeg), su quella finlandese (il Kalevala).

Non possiamo condannarci ad altri decenni di guerre con la Russia per soddisfare dei particolarismi che troverebbero una più adeguata collocazione all’ interno di un “Territorio Federale” europeo che vada da Baltico fino all’ Egeo, passando per il Mar Nero, e all’ interno del quale potrebbe situarsi anche la capitale federale (per esempio, Kiev).

Solo con proposte rivoluzionarie di questo tipo si potrebbe “rovesciare il tavolo” e convincere alla pace tutte le parti interessate.

FRA I GAFAM PER TRUMP E IL GATTOPARDISMO EUROPEO

In mezzo alle tragedie, l'”establishment” ostenta soddisfazione.

La scorsa settimana, mentre il Parlamento Europeo ha ratificato il rinnovo dell’incarico a Ursula von Der Leyen, si è svolta a Milwaukee una convention repubblicana che, dopo il fallito attentato a Trump, non ha potuto che consacrarne a gran voce la nomination per il Partito Repubblicano.

Mentre il voto europeo è stato caratterizzato  dall’allagamento ai Verdi dell’alleanza a favore della Presidente uscente, una mossa in sostanza in sostanziale coerenza con il passato, la scelta dei Repubblicani americani sembrerebbe seguire una linea politica, ma soprattutto ideologica, di apparente  rottura con il “mainstream”. In particolare:

-rafforzato messianesimo, sostenuto da un’interpretazione taumaturgica del fallito attentato;

-venature monarchiche (Yarvin);

-teorizzazione della tecnocrazia del web (Srinivasan).

Rottura per altro anche questa a nostro avviso solo apparente perché, come non ci stanchiamo di ripetere da sempre, il vero filo conduttore della storia americana è stato costituito dal messianesimo, prima religioso, poi politico, e, alla fine, tecnologico, che sfocia nel chiliasmo della missione dell’America, sul quale sono d’accordo tutti i partiti.

Dalla presunzione dei primi puritani di costruire in America la biblica “casa sulla collina”, che  tutti avrebbero dovuto imitare, al “White Man’s Burden” che l’America avrebbe ripreso dall’ Inghilterra per portare ovunque la civiltà, per passare poi alla battaglia reaganiana contro l’ “Impero del Male”, al progetto di Kurzweil di realizzare attraverso Google la “Singularity Tecnologica”e l’idea di Eric Schmidt  che Google deve guidare gli USA alla conquista del mondo.

Sulla strada verso la Singularity, Musk ha superato Schmidt e Kurzweil

1.Al di là dei GAFAM

Oggi però si è raggiunto un livello di vicinanza alla Singularity mai fino ad ora nemmeno intravisto, grazie in particolare all’ intervento diretto nella campagna elettorale di “tycoons” informatici come Musk, Thiel e lo stesso Vance, che spostano clamorosamente le loro “donations” da un candidato all’ altro, con l’intento evidente d’imporre le rispettive strategie per il controllo  tecnologico del mondo.

I teorici trumpiani vogliono andare al di là dello stesso  progetto schmittiano di “Googleization of the World”. proclamando apertamente il progetto di Saint Simon: gl’imprenditori quali sacerdoti della Religione della Umanità, attraverso l’attribuzione formale del potere alle multinazionali del web : “Silicon Valley governi il Paese”(Srinivasan).

Si realizza così la previsione di Morozov, che l’informatizzazione costituirà l’arma finale dell’ America-mondo per bloccare a proprio favore la Storia mondiale. Progetto per altro oggi contrastato dalla nascita di un’industria digitale cinese (i BAATX, speculari ai GAFAM, ma soggetti a una disciplina ben più reale: il “crackdown sui BAATX”).

Non per nulla Elon Musk si è qualificato quale il massimo finanziatore di Trump, con 45 milioni di dollari al mese per la campagna elettorale. Come resistere a queste coalizioni di tycoons? E come impedire che l’intero “establishment” europeo, senza nemmeno lo spauracchio di una repressione di tipo “asiatico”, si faccia comprare in blocco sottobanco dagli stessi “donors” che finanziano in modo aperto la politica americana? Ammesso che non l’abbia già fatto, visto come, nonostante le varie finte, si è guardata bene da attaccare seriamente (per esempio sul fisco, sull’antitrust, sulla privacy)i GAFAM, nonostante che questi siano inauditi monopoli che vivono in simbiosi con l’apparato informatico-digitale americano.

Quegli atteggiamenti degl’ideologhi di Trump, che potrebbero sembrare isterici e privi di agganci con la realtà, sono perciò assolutamente comprensibili e razionali in un’America la cui cultura è dominata da sempre dal funesto incrocio fra  messianesimo e plutocrazia, e che si trova anche, oggi, di fronte alla drammatica prospettiva di essere scavalcata in efficienza da Paesi ritenuti “inferiori”, come la Cina e l’India. In questa situazione, è normale che l’establishment ricerchi freneticamente nuovestrategie politiche,se necessario voltando le spalle alle tradizionali retoriche americane dell’ egualitarismo e del liberismo, per abbracciare varie forme di realismo politico, dall’ autoritarismo all’interventismo economico, ritenute più idonee a rallentare l’ascesa dell’ Asia, e, con ciò, la decadenza dell’ Occidente. In questo s’inserisce un ulteriore rafforzamento della figura carismatica di Trump e della sua famiglia, sostenuto, da un lato, dalla sentenza della Corte Suprema del 1° luglio, che sancisce di fatto il principio della superiorità del Presidente sulla legge, caratteristico delle monarchie assolute (“Princeps legibus solutus”).

Uno di questi nuovi percorsi  potrebbe essere costituito dalla scelta di un’ alleanza con la Russia per contrastare la Cina, invertendo così il percorso iniziato a suo tempo da Kissinger negli anni ‘70 del XX secolo. E’ questa la prospettiva più temuta dall’establishment europeo, sbilanciatosi in modo autolesionistico a favore una guerra in Ucraina che, checché esso affermi, costituisce la negazione dei suoi interessi e valori.

Per ciò che riguarda Trump, da un lato,  egli si è immedesimato nello Zeitgeist inaugurato da Putin, Xi Jinping e Modi, basato su una rinascita religiosa, sul nazionalismo economico e su un leader carismatico, una formula divenuta quasi un obbligo per i governi delle grandi potenze in una fase, come questa, caratterizzata da forti rivalità geopolitiche e dall’ imminenza della IIIa Guerra Mondiale, e, dall’ altro, non ha fatto altro che approfondire un trend già avviato sotto Reagan e i due Bush, verso una “presidenza imperiale”.

Anche sotto questo punto di vista, il “motore immobile” verso l’accentramento è costituito dall’ Intelligenza Artificiale, che s’identifica con l’essenza ultima della transizione digitale: un’unica mega-macchina super-intelligente che pensa per tutti, come nei romanzi di Asimov, per il bene di tutti. Il sistema politico occidentale, che sarebbe “basato sulle regole” serve appunto a tenere tutti “legati e imbavagliati” in attesa che i GAFAM completino la costruzione della megamacchina. Le “regole” si riveleranno alla fine essere quegli algoritmi “etici” da tutti auspicati, nei quali la cosiddetta “algoretica” tradurrà il moralismo puritano, nelle sue varie declinazioni de “politicamente corretto” e del “woke”.

Il primo uomo in cui Musk ha fatto inserire una chip cerebrale

2.”Bisogna cambiare tutto perché nulla cambi”

Alla febbrile agitazione della politica americana e dei GAFAM fa da riscontro l’immobilismo europeo, che continua a proporci da decenni lodevoli obiettivi fondati su ideologie tradizionali, ma che sono soffocati sotto un mare di libri “verdi” e “bianchi” e di retoriche buoniste, senza l’ombra di una realizzazione concreta.

A mancare all’ appello non è solo la Federazione Europea, ma anche l’Esercito Europeo, l’Identità Europea,  i Campioni Europei, la Rete Europea, che non possono certo essere surrogati da sempre nuove autorities, da un mare di finanziamenti a pioggia con chiari “biases” ideologici, da generiche politiche per le piccole e medie imprese o   dall’Artificial Intelligence Act. Quello che manca è soprattutto ciò che oggi è più urgente: un piano europeo globale di comprensione, dibattito, controllo e rinnovamento dell’ Intelligenza Artificiale.

Quell’impostazione mistificatrice  risulta evidente da una anche solo rapida lettura del programma presentato dalla von der Leyen, i cui titoli sono bellissimi, ma, quando ci si guarda dentro, tradiscono il vuoto, quando non la falsità:

a)a cominciare dalla pretesa che l’economia sociale di mercato stia dando all’ Europa un vantaggio competitivo, mentre invece l’economia europea sta soffrendo proprio per l’assenza di quella politica, come per esempio la mancanza di programmazione, le carenze della partecipazione dei lavoratori, la mancanza di Campioni Europei, l’assenza dalle grandi piattaforme europee…;

b)per passare al preteso “rispetto delle regole”, quando le multinazionali americane sono in continua violazione delle regole stesse con la connivenza delle Istituzioni europee (vedi sentenze Schrems);

c)continuando con l’informatica, di cui l’ Europa è un consumatore, non un produttore, e di cui si fa solo qualche vago accenno, fra i tanti altri temi molto meno importanti, confessando così, implicitamente, che si vuole la continuazione dell’ attuale situazione di svendita del Continente;

d)e ancora con la Politica di Difesa, che viene vista solo come un finanziamento aggiuntivo alle industrie nazionali, non già come un problema di creazione di un’élite europea, di cultura comune, di patriottismo europeo, di intelligence e di alte tecnologie, e, non ultima, di disponibilità a battersi;

e)Per finire ancora con il discorso sui diritti umani, da imporre agli altri Stati, mentre noi siamo i primi a non rispettare le minoranze etniche (come quelle dei Russi – di milioni di persone sparse in tutto l’UE ma la cui lingua non è riconosciuta-,dei Serbi cacciati irreversibilmente dalla Krajina; dei Catalani, i cui rappresentanti eletti hanno dovuto scontare lunghe pene detentive nelle carceri spagnole); ideologiche (come l’islam politico ,  il cristianesimo integralista-vedi Lefebvre e Viganò-, e perfino quel post-fascismo da cui l’attuale Governo italiano trae in realtà il nocciolo duro dei suoi voti).

Ursula von der Leyen ha espresso efficacemente quest’atteggiamento quando ha affermato, al Vertice Sociale di Porto, citando “il Gattopardo”: bisogna cambiare tutto perché nulla cambi”.

Tra l’altro, una questione di stile: perché il programma della Commissione e il discorso inaugurale sono in Inglese, quando l’ Inghilterra non fa parte della UE? Molto più opportunamente la Maltese Metsola usa spesso l’Italiano.

Occorre riproporre prepotentemente la questione della lingua, ma in modo radicalmente innovativo (uso moderno dell’ lingue classiche, più tradizione digitale -cfr. il nostro libro “Es patrìda gaian”-).

Un’opposizione all’ impostazione dominante ci sarebbe, anche al Parlamento Europeo, oltre che in quelli nazionali,  tanto a destra quanto a sinistra (pensiamo as esempio a Melenchon e Sahra Wagenknecht), ma sembrerebbe proprio che anche i partiti “sovranisti” siano in realtà parte del grande gioco, prestandosi essi a un’opposizione di comodo, ma non attaccando mai gl’interessi strategici dell’ “establishment”. Basti pensare che, sommando i voti di quei vari partiti (assolutamente intercambiabili), quello sovranista risulterebbe essere il primo gruppo politico di questo Parlamento, superiore perfino al PPE, e potrebbe perfino aspirare a proporre il presidente della Commissione.

In realtà, i vari gruppi “sovranisti” si agitano soprattutto  per far credere che esistano davvero, , per mettersi in mostra nei confronti dei loro attuali o potenziali sponsors (Biden, Trump, Putin, GAFAM?) facendo ciò che nella Marina delle Due Sicilie, si chiamava “ammuina”, vale a dire muoversi senza uno scopo sui vascelli.

Per esempio, il Parlamento, così deciso nella scelta pro-ucraina imposta dal Presidente Biden, incomincia già a sfilacciarsi, non solo con Orbàn, ma perfino con Michel, in previsione della vittoria elettorale di Trump in America, a cui tutti finiranno per allinearsi. Il Parlamento Europeo risulta essere, in tal modo, solo la cassa di risonanza delle vicende politiche americane. E’ lì che si adottano le vere scelte politiche, anche per l’ Europa. Del resto, l’idea stessa dell’ integrazione europea postbellica era stata lanciata, nell’ arena politica, da un voto in tal senso del Senato Americano (su proposta del Senatore Fulbright). Come si può pensare che, con una tale premessa, le Istituzioni Europee si esprimano in un senso contrario alla posizione di volta in volta egemonica in America?

Certo, l’attuale situazione kafkiana, con un’America profondamente divisa, il tentativo di Russia e Cina d’influenzare la politica occidentale, la forte consistenza numerica, ma anche la debolezza strutturale, dei sovranisti di destra e di sinistra, aprirebbe parecchi spiragli per una eventuale strategia di critica da parte di minoranze attive desiderose di unificare l’Europa sul serio, e non a parole come si è fatto fino ad ora.

Chi avrà il coraggio d’ incominciare?

« RETOUR À HRADČANY » APRÈS LA GUERRE

RELANCER L’AVENIR DE L’EUROPE

I.UNE APPROCHE INNOVATIVE À LA REPRISE DE L’INTÉGRATION EUROPÉENNE

Dans ce moment, quand la « Guerre Mondiale en Morceaux », en cours actuellement, ne donne aucun signe d’amélioration, et l’espoir originaire de l’ Occident de sortir victorieux à court terme de l’Ukraine s’éloigne de jour en jour, il est indispensable, d’une part, pour conjurer l’apocalypse nucléaire, et, d’autre part, pour garantir à l’Europe une guide sûre dans une phase difficile de son histoire, de repérer des approches nouvelles aux rapports entre, d’une part, l’Europe Occidentale et Centrale et, de l’autre, les espaces au-delà de l’ ancien « Rideau de Fer ». Si cela n’était pas fait, la crédibilité du Mouvement Européen en tant que guide intellectuelle de l’intégration européenne, et, plus en général, de l’Europe, serait compromise, et l’Europe entière pourrait devenir un champs de bataille d’une guerre fratricide, comme l’Ukraine et Gaza.

Pour éviter ces perspectives extrêmes, pourquoi pas ne pas revenir sur des approches essayées dans le passé, mais abandonnées plus tard, pour esquisser un, ou plusieurs, plans alternatifs de stabilisation, en premier lieu celui suggéré par Mitterrand en 1989 et esquissé en 1991 aux Assises de Prague? Et si Mitterrand et Gorbačëv avaient eu raison, et Havel et Kohl avaient eu tort ? Nous aurions évité les guerres civiles yougoslaves et soviétiques, et aujourd’hui nous ne serions pas au milieu d’une interminable guerre entre Européens, qui détruit notre moral, notre économie et notre avenir.

Sans oublier les questions ouvertes dans les autres « Périphéries » de l’Europe : l’Atlantique du Nord, les Balkans, les ACP3 et le Levant, ni le fait que, comme déclaré à plus reprises, et dernièrement lors de la visite à Péking de Vladimir Poutine, l’objectif russe (et chinois) dans la guerre d’Ukraine n’est pas celui d’un agrandissement territorial ou d’un avantage stratégique, mais celui de bloquer dans toutes les directions l’élargissement de la sphère d’influence américaine accéléré par la chute du Mur de Berlin, si que les deux puissances eurasiatiques seraient prêtes à beaucoup de concessions en échange d’une délimitation de l’espace américain – fût-il en faveur d’un nouveau pouvoir européen-.

Ici, nous allons nous concentrer sur une seule hypothèse et sur un seul projet, ce que nous appellerons le « Projet de Hradčany », développé en 1990 et 1991 par Mitterrand, Gorbatchev et Havel lors de leur rencontre au Chateau de Prague -. Ce projet pourrait être aussi la clef pour aborder d’autres thèmes urgents et également ouverts.

Le plan de Mitterrand partait de l’idée que l’Europe, pour devenir vraiment unie et parvenir à la hauteur de ses importantes ambitions, devrait atteindre une taille bien plus grande de celle actuelle (et comparable à celles de l’Inde et de la Chine), et cela pourrait avoir lieu seulement an agrégeant, dans une Confédération Pan-Européenne, d’une part, une fédération de l’Europe Occidentale (héritière de l’UE), et, d’autre part, une ou plus autres entités étatiques européennes, non tenues à respecter l’Acquis Communautaire. Ce dessin rassemble beaucoup à l’idée d’une « Europe à cercle concentriques », mais avec la différence qu’il ne suppose aucune supériorité de l’Europe Occidentale, parce qu’il serait « polyédrique », pour utiliser une expression de Pape François.

Un tel changement de perspective serait déterminant, permettant aussi de dépasser les principaux conflits en cours :

-les différences d’opinion sur la structure future de l’Europe Occidentale (et, donc, la stratégie pour le Futur de l’ Europe, qui devrait être étalée sur un horizon plus large);

-les rapports d’ hostilité entre le « Monde Russe » et « le Collectif Occidental », qui, dans cette nouvelle perspective, sortiraient de l’état de guerre pour revenir sur la voie des négociations entamées en son temps par Mitterrand et Gorbačëv.

De cette manière :

On by-passerait les problème insurmontables d’une réforme de l’Union telle qu’elle est aujourd’hui (laquelle se trouve dans l’impasse de la Conférence sur le Futur de l’Europe), parce que l’ « Europe » se dissoudrait dans différents échelons de la Gouvernance Multi-Niveaux, chacun réglé d’une manière conforme à sa mission;

-On pourrait offrir aux puissances antagonistes de l’Occident une voie de sortie des guerres en cours qui ne soit, ni « une victoire » ni une « débâcle », ni pour l’Ukraine, ni pour la Russie (« win-win »), pouvant revitaliser aussi les « Nouvelles Voies de la Soie », entravées par les hostilités en Ukraine et dans la Mer Rouge, mais dont tout le monde ressent la nostalgie.

Le « Projet de Hradčany » devrait permettre aussi de faire renaitre l’autre grand dessin d’avenir discuté dans les années ‘90 et laissé tomber par l’Occident – une architecture commune de sécurité pour l’Europe, et faciliter aussi une série d’autres objectifs :

-contribuer à donner une fin aux guerres en cours, avec une proposition d’intérêt pour tous les acteurs concernés ;

-soutenir un effort international pour un contrôle structuré de l’Intelligence Artificielle et de la Cyber-guerre dans le cadre de négociations sur les armements sur le modèle des vieux accords pour le contrôle du nucléaire;

-garantir la liberté des peuples d’Europe contre les menaces avancées contre eux par tous le pouvoirs mondiales;

-faire repartir l’économie et la culture, écrasées entre les sanctions et les boycottages.

Objectifs qui nous apparaissent moins utopiques qu’on ne le pense, si on examine l’histoire avec une approche équilibré et non plus sectaire comme aujourd’hui, et qui feront l’objet d’une esquisse synthétique dans les pages qui suivent.

La Confédération de Mitterrand avait été abandonnée parce qu’elle genait les pouvoirs existants, qui préférèrent exaspérer la conflictualité entre

« les démocraties » et les « autocraties » pour garder les privilèges acquis. Toutefois, maintenant que nous avons vu les résultats de ce choix, pourquoi ne pas admettre notre erreur, et y remédier ?6

D’autre part, ce qui oppose l’Europe de l’Est à l’Europe de l’Oust n’est pas tellement la question de la « démocratie », mais, au contraire, celle de la Pasionarnost’. Notion développée par Lev Gumilëv (le fils persecuté d’Anna Akhmatova) sur les traces d’Ibn Khaldûn et de Vernadskij: une synthèse de « romantisme » et de « théorie des nationalités », qui nous pouvons retrouver un peu partout dans les cultures de l’ Europe Orientale :me dans le « Déluge » de Sienkiewicz, dans « Les Payens » de Herczeg comme « Eschile, l’éternel perdant » de Kadaré; dans les sculptures de Meštrovic, dans les films de Tarkovskij comme dans les « Litanies » de Theodorakis.

La Pasionarnost’ suppose que, comme avait écrit Nietzsche, « le bonheur vienne seulement si non voulu », tandis que la « recherche de la félicité » prévue dans la constitution américaine se traduit, par effet de l’hétérogenèse des fins, dans l’aplatissement des désirs et dans l’entropie généralisée, qui préparent le royaume des Machines Intelligentes.

1.Insuffisance du paradigme de l’ « Élargissement »

À partir de la 1ère Guerre Mondiale, les projets d’intégration européenne avaient été axés sur l’objectif, d’un côté, d’éviter une continuation de cette première « Guerre Civile Européenne », et, de l’autre, de mettre l’Europe dans la condition d’intervenir avec une autorité suffisante dans les grandes questions géopolitiques, qui, compte tenu de l’intégration mondiale croissante, étaient de plus en plus dominées par les Grandes Puissances extra-européennes (USA, URSS, Empire Britannique).Cela aboutit sur le projet présenté à la Société des Nations par Aristide Briand, dont la faillite avait été le point de départ de la Déclaration Schuman.

Les Communautés Européennes et l’Union Européenne avaient donné l’impression que ces objectifs étaient en train d’être acquis par la méthode fonctionnaliste proposée par la Déclaration, mais cela n’a pas été le cas. Ce roman contient l’expression plus ouverte des croyance réligieuses et politiques de l’auteur russe

Depuis 45 ans, la dissolution de la Yougoslavie et de l’URSS a entrainé des guerres de succession qui ne se sont encore conclues, et, de l’autre, parce que les principes consolidés en matière d’ »élargissement » européen, qu’on aurait voulu appliquer, n’avaient pas été conçus en vue de ce véritable « dédoublement » de l’ espace européen, tel qu’il s’est manifesté à la fin du XXème Siècle. L’application mécanique de ces principes, imposée par l’Occident, s’est révélée impossible et contreproduisante et que, en tout cas, elle serait inapplicable à cause de la structure e du grand nombre des peuples européens. D’autant plus que, après Brexit, l’importance relative de l’Europe Occidentale par rapport à celle orientale a ne pouvait que décroitre.

Si deux parties paritaires fusionnent entre eux, il s’agit d’un « merger among equals », si qu’une des deux parties ne peut pas prétendre que l’autre accepte toutes ses règles, ni mêe pas sa propre vision du monde. Dans le cas d’espèce, on n’a pas eu d’un «élargissement » vers Est des Communautés Européennes, mais, bien au contraire, une « Fusion à Chaud » entre Est et Ouest, qui est loin d’être accomplie. Les guerres en cours ne sont qu’une suite de la « Guerre Civile Européenne », pour établir une hégémonie sur le Continent, fondée sur un prétendue « supériorité », comparable à celle de la Grande Nation, de l’Orthodoxie ou de la « Race Arienne ». Cette supériorité de l’Occident n’a pas été accepté ni par la Russie, ni par la Turquie, ni par la Biélorussie, ni par la Serbie, mais non plus par la Hongrie et, peut-être, mêeme pas par la Slovaquie et la Pologne.

Pur comprendre l’importance historique de la partie orientale du Continent, au-delà de l’Elbe, des Alpes Orientales et de la Mer Adriatique, il suffit de penser que, parmi les premières réflexions sur l’Identité Européenne nous trouvons celles d’Hippocrate, de Cos, a quelque kilomètres de la côte de l’ Anatolie, celles de Jordanes, un Goth de l’Est qui revendiquait pour Théodoric l’héritage de Rome, de Podiebrad, le roi hussite de Bohème qui proposait le traité pour la fondation d’une Alliance Européenne contre les Ottomans, et d’Alexandre I de Russie, qui lança la Sainte Alliance « russe » conçue comme fondation de la « Nation Chrétienne » européenne.

Coudenhove Kalergi avait des origines Japonaises, byzantines, tchèques et autrichiennes et le siège de sa Pan-europa était à Vienne, et Jean-Paul II était polonais et reprenait textuellement les mots de Viačeslav Ivanov sue les « Deux Poumons » de l’ Europe.

Pour cette raison, il est grave que toutes les institutions principales de l’Union soient restées dans l’espace rhénan (Bruxelles, Strasbourg, Luxembourg, Francfort), tandis que le centre géographique de l’Europe se situe beaucoup plus à Est (en Lituanie, Biélorussie, Ukraine ou, à la limite, Hongrie).

2.La mécanique réelle de la chute du Mur
aux apologètes de « l’esprit du capitalisme » qui aurait triomphé en 1989, au début des révolutions de 1989 il y avait trois éléments : le défi « national » de la Pologne, soutenue par le Pape Jean Paul II, contre un « système soviétique» qui la humiliait ; l’idée révolutionnaire de Michail Gorbatchev d’intégrer pacifiquement l’Union Soviétique dans les Communautés Européennes (ou, mieux, la « Maison Commune Européenne »), comme sera requis plus tard par Yeltsine et Poutine, mais jamais pris au sérieux par l’Occident ; enfin, les pressions des États Unis, surtout à travers les Guerres des Étoiles et l’aide à la guérilla afghane.

Ces trois projets parallèles trouvaient leur bases culturelles:

-dans la conviction de l’Église catholique que l’Europe Occidentale e celle Orientale partagent une seule origine culturelle – la civilisation chrétienne médiévale, qui s’était développée dans deux branches principales, celle de l’Est (l’Orthodoxie), e celle de l’Ouest (le Catholicisme), comme anticipé par Ivanov par sa métaphore des « Deux poumons de l’Europe »- ;

-dans l’espoir de Gorbatchev, de Walesa et de Shevardnadze d’une forme d’hybridation entre le socialisme réel et l’économie sociale de marché de l’Europe communautaire (partant de l’observation de Marx que le capitalisme européen s’était développé de manière différente de l’Américain parce qu’il était né dans un contexte féodal) ;

-enfin, dans la convergence tactique entre le projet globaliste américain et les aspirations hégémoniques des l’intégrismes salafite et shiite présents dans l’espace soviétique (Tchétchénie et Talibans).

Surtout, on avait sous-estimé le poids spécifique de l’exceptionnalisme américain, dont le caractère religieux a fait obstacle à accepter une nouvelle narration concurrente, celle européiste, devenue nécessaire pour la réunification culturelle des « Deux Poumons » du Continent. 80 ans après le débarquement en Normandie, le pouvoir d’interdiction par rapport à n’importe quelle manifestation de créativité européenne (voir Olivetti, Zhu, Mattei, Moro) reste absolu. Il suffit de rappeler la fameuse phrase « Fuck the EU », prononcé par Victoria Nulanden même temps qu’elle dictait à l’ambassadeur américain la position du Département d’État sur la personne à nommer comme Premier Ministre ukrainien après l’ Euro- Maidan, qui avait été dressé contre l’Europe avant que contre la Russie .

Le risque de l’Europe est qu’elle, s’identifiant trop avec la Modernité (l’ »Homme sans Qualité », l’ »Homme à une Dimension »), soit entrainée par cette dernière dans son abîme quand elle ne survivra pas à l’Age des Machines Intelligentes. Le même vaut pour son rapport trop étroit avec l’Amérique lors que cette dernière se retirera de l’Europe de l’Est, comme, dans le passé, du Vietnam et de l’Afghanistan. Nous devons nous préparer à tous développements.

Le « Déclin de l’Occident » doit donc être compris plus comme une maladie culturelle, bien décrite par des auteurs tels que Max Weber, Friedrich Nietzsche, Oswald Spengler, Thomas Mann, la psychanalyse e l’Orientalisme, que comme un phénomène historique et politique. Une maladie qui s’est manifesté dans la forme que Lukács avait défini « la Destruction de la Raison » ; Benda, « la Trahison des Clercs » ;et, Anders, «die Antiquiertheit des Menschen », et s’est élargie avec le refus du principe de causalité (de Finetti), ainsi que du  concept même de « méthode » (Feyerabend).Et qui confine avec la destruction de l’identité européenne sous le poids du « mainstream » américain.Insuffisence des logiques occidentales

Au cours du 20ème Siècle, l’Europe s’était donc tellement désintégrée du point de vue intellectuel et politique (c’est là la racine de la « mort cérébrale » préconisée par Macron pour l’OTAN), que, aujourd’hui elle n’arrive même plus à prendre les décisions fondamentales pour soi-même, telles que celles sur les hautes technologies, la guerre et la paix, la nature, la procréation, la pauvreté. Elle est encore moins à même d’être, comme elle prétendrait encore maintenant, une avant-garde culturelle, étique, culturelle et technique du monde entier (le « Trendsetter of Worldwide Debate »).

Une telle avant-garde avait été, à partir de la Deuxième Guerre Mondiale,l’Amérique, mais elle aussi est entrée maintenant dans une situation d’« over-stretching » à partir de la crise des « sub-primes » et du retrait de l’Afghanistan. Surtout, son identité est divisée entre la défense à tout pris du « noyau dur » WASP et l’adoption d’une « Culture Woke » qui est l’expression de la majorité « non-WASP », entre la défense à tout prix de l’ «Empire Démocratique » et la poursuite des intérêts de la majorité des électeurs. Jusqu’au point qu’on a imaginé la possibilité d’une nouvelle guerre civile.27

Dans cette situation, au «Zeitalter der Vergleichung », toutes les logiques de la culture occidentale (aristotélique, cartésienne, post-euclidée) ne sont plus suffisantes pour expliquer le monde de la complexité, si que nous sommes obligés chaque jour plus, bon gré mal gré, à faire recours, pour décrire nous-mêmes, à des concepts différents, à partir d’une « Intelligence Artificielle » qui nous est fournie par la Silicon Valley globalisée, pour passer à celui d’une « Démocratie Illibérale » étudiée par un Indo- Américain  tel  que  Fareed  Zakaria  faisant  référence  à  d’expériences asiatiques, pour arriver à l’« Epistocratie » mandarine, suggérée par Zhang Weiwei, un ancien interprète de Deng Xiaoping.

Tout cela est applicable encore plus en ce qui concerne l’Europe Orientale, que nous ne pouvons pas comprendre sans rappeler à l’esprit les Peuples des Steppes, la Deuxième et la Troisième Rome, le Bogoumilisme, le mythe du Golem, le Sarmatisme, le Socialisme Réel, le Cosmisme, l’Eurasiatisme et la Pasionarnost’. Mais, si nous ne comprenons pas l’Europe Centrale et Orientale, comment pourrions-nous la juger, et même l’orienter, comme nous prétendons?

Une refondation culturelle s’impose au préalable, dont le Mouvement Européen devrait se faire porteur.

3.Les erreurs de l’ Europe

En effet, les difficultés de toutes sortes rencontrées dans l’ »élargissement » des Communautés Européennes et, après, de l’Union Européenne, découlent de leurs blocages culturels. Notamment:

-l’involution de la Russie, du « Socialisme au Visage Humain » de Gorbatchev au libéralisme autoritaire de Yeltsine, et, après, à l’ »Esprit de Pratica di Mare » du premier Putine, jusqu’au « Russkij Konzervatizm » et, enfin, à l’ »Opération Militaire Spéciale », dépend en grand partie de l’ »arrogance romano-germanique », de la présomption immotivée des Occidentaux que leurs propres processus culturels et politiques, témoignant d’une mission messianique immanente à la Modernité, constituent un parcours obligé pour tout le monde (la « Théorie du Développement »). De telle manière, l’intégration dans les Communautés Européennes aurait du impliquer nécessairement l’adoption rigide, par les pays de l’Est, de l’ »Acquis Communautaire », et même de soi-disant « valeurs européens », quand d’autres parties du monde -même les Etats Unis, ou l’Inde-, ne demandent plus l’adhésion contraignante à des soi-disant valeurs « americains » ou « indiens » (lesquels ? le puritanisme WASP ou le  LGBTQIA+?; le « Néo-conservatisme » ou la « Cancel Culture”;

-Les rhétoriques de l’Europe ont impliqué le refus de toute concession à la Russie en ce qui concerne son désir d’être admise dans la « Maison Commune Européenne » (l’ OTAN et les CEE) sans un processus humiliant d’examens, qui, si acceptés, auraient sanctionné sa prétendue infériorité, si que Poutine a refusé;

-les mêmes concepts valent pour les involutions comparables en Turquie, et même en Hongrie et au Levant;

-l’incapacité de l’Europe Occidentale de se doter d’une industrie de haute technologie et d’une armée, découle de son refus de reconnaitre de manière objective le développement, dans tout le monde, au-delà des différentes idéologies, d’un « keynésianisme militaire » (américain, russe, chinois), qui a fait croitre des barrières insurmontables autour l’Europe, incapable d’être compétitive avec les autres grandes espaces du monde, et notamment avec l’Amérique et la Chine, protégés par l’interventionnisme des gouvernements;

-les chocs continus entre l’officialité européenne et les opinions publiques des pays orientaux (tels, par exemple, que le refus des différentes démarches pour adhésion de la Russie et de la Turquie, ou la surévaluation du « Processus d’Helsinki» , qui a cristallisé l’application, au processus de Nation-building, des anciennes constitutions soviétique et yougoslave encore après leur échéance juridique, ou, enfin, le double standard sur les « règles du droit » s’il d’agit des Pays Baltes ou de la Hongrie), ont nourri une hostilité généralisée envers l’Union, accusée, non sans motif, d’être un « vassal » des États-Unis;

-l’incapacité de concevoir des sujets politiques différents des Etats nationaux qui dominent l’Union d’aujourd’hui, tandis que le modèle plus actuel dans le XXIème siècle, auquel s’inspirer, paraitraient être les »États-

Civilisation », comme la Chine, et, peut-être, même les États Unis et l’Inde, dont les « états » ne sont, en réalité, que des énormes provinces avec des centaines de millions d’habitants.

Toutefois, la première raison de l’ échec de Hradčany fut « le refus américain d’une structure nouvelle pouvant limiter son influence croissante. George H.W. Bush songeait à attribuer un rôle politique à l’Organisation du traité de l’Atlantique Nord et s’interrogeait sur son extension géographique dont le principe n’était pas arrêté et qui n’était pas la priorité du moment. « La « faute » de l’Europe fut de ne pas s’y opposer, parce que paralysée par l’intériorisation forcée du model américain.

4.Revenir à Hradčany

Malgré l’hostilité générée dans ces 35 ans entre Europe et Monde Russe par les faits du Kossovo, de l’Irak, des révolutions colorées, de Géorgie et d’Ukraine, revenir à Hradčany n’est pas impossible. Il suffirait de faire maintenant, sous l’impression des échecs ainsi provoqués (une douzaine de guerres, le refus, par les peuples, de la Constitution Européenne, Brexit), toutes les démarches que nous n’avions eu le courage de faire en 1990/1991, reprenant les mots de passe oubliés de cette saison politique:

ouvrir les portes des États et des systèmes politiques », comme prêchait Jean-Paul II, à travers un dialogue interculturel en bonne foi, qui ne craigne pas d’aborder les différences théologiques ou politiques, essayant de voir, au-delà d’elles, les problèmes et les exigences communes. S’ouvrir à une paix effective comporte de prendre au sérieux les motivations expresses des actions des adversaires, et notamment la requête aux États Unis de renoncer à leur prétentions hégémoniques en faveur d’un système polyédrique (« polycentrique » et « multiculturel ») de droit international sans abolir le principe de légalité, mais l’interprétant de manière équitable- ce qui pourrait se réaliser maintenant grâce à un nouveau probable isolationnisme USA-;

-« une nouvelle Glasnost », à travers une révision critique des Grandes Narrations qui nous cachent aujourd’hui la véritable histoire de l’Identité Européenne;

-une « Confédération de Fédérations » (entre Ouest, Nord-Est e Sud- Est de l’ Europe), comme celle discutée en son temps à Hradčany, qui soit la matérialisation juridique d’une Europe «polyédrique, qui aurait été le contraire de la « Pensée Unique », fusionnant messianisme post-humaniste et exceptionnalisme américain, qui a dominé la politique européenne de cette phase historique;

une nouvelle Perestrojka »: une réorganisation radicale des sociétés européennes pour faire face aux défis géopolitiques de l’Intelligence Artificielle, avec la transformation des ouvriers en des auto-entrepreneurs numériques liés à des réseaux publiques-privés; des employés en des managers autogestionnaires de nouvelles plateformes eurasiatiques ; des professionnels en des actionnaires; des entrepreneurs traditionnels en des dirigeants d’agences public-privé pour la digitalisation; des administrateurs locaux en des réorganisateurs du système industriel…

-“une nouvelle Liberalizacija”: l’élimination définitive des entraves à la libre circulation des biens, des capitaux, des personnes, mais surtout des idées, dans toute l’Europe, abattant à cet effet le nouveau « Mur de Berlin » créé par le « De-coupling », les sanctions, le « Re-Shoring », les « Golden Shares », les droits de douane, les délits d’opinion, le « Friend-shoring »,les discriminations cachées; les restrictions contre les « Fake News » et les « Agents étrangers » ;

-« une nouvelle Demokratizacija » : la fin de la subordination des institutions européennes aux pouvoirs forts et aux diktats idéologiques, pour permettre aux peuples d’exprimer leur désir de paix et d’intégration continentale révélé par les sondages, sans la censure toujours plus stricte, typique de ce temps de guerre dans lesquels nous sommes en train d’entrer.

I.LA CONFÉDÉRATION EUROPÉEENNE DANS UNE GOUVERNANCE MONDIALE MULTI-NIVEAUX

  1. La défense de la liberté face aux « Empires Inconnus »

Le fédéralisme mondial doit être conçu aujourd’hui surtout comme une tentative de réagir à l’exigence de centralisation des décisions requise par la Société des Machines Intelligentes tout en sauvegardant les différences (-ou « différances »-) individuelles, sexuelles, de classe, culturelles, locales, ethniques, nationales et continentales, les traduisant en pouvoirs concrets de proposition, décisionnels, de critique et d’action, structurés selon les différentes identités.

Cette centralisation qui ne cesse de s’accroitre est le résultat de la complexité, de la professionnalisation des connaissances et de la politique, de la lutte entre les visions du monde implicite dans le « Zeitalter des Vergleichens»,du rôle de l’ Intelligence Artificiale, et, enfin, de l’état de guerre permanente. Elle se manifeste, au-delà des différentes constitutions formelles, dans l’accroissement du pouvoir des multinationales, des services secrets, des Exécutifs et de leurs chefs, ainsi que dans la restriction de la « Fenêtre d’Overton » imposée au pluralisme culturel par effet de la Pensée Unique, des différentes « Mémoires Partagées » et de la censure (et auto-censure) de guerre. Si chacun a la tendance à en accuser des forces politiques de son propre pays (Trump, Meloni, Erdoğan, Nethaniahu, Modi, outre, bien-entendu, Poutine e Ji Jinping), cette tendance est présente partout dans le monde, modifiant ainsi les « constitutions matérielles » de tous les pays, et les rendant toujours plus similaires parmi elles: des dictatures technologiques orientés à la guerre (Patriot Act, Echelon, Prism, Fake News, EUvsDesinfo).

La base du Fédéralisme est le réseau des « différances », basées sur les libertés individuelles, la famille, les entreprises, les associations, les villes, les régions, les États et les Continents. C’est pour cela que le Fédéralisme est, à moyen terme, la seule force capable de sauvegarder la liberté, e, plus encore, l’existence même, de l’Humanité contre la Société du Contrôle Total. Un droit fédéral européen devrait avoir pour but de bâtir, autour de ces réalités sociales en évolution, des règles juridiques claires, efficaces et flexibles, à même de régler de manière « polyédrique » la vie des sujets sociaux, et permettant ainsi leurs synergies.

L’ordre juridique international actuel correspond à un stade inaccompli de l’évolution du fédéralisme mondial. Il n’a aucune prétention d’être parfait, ni même complet, mais pourrait se révéler utile pour soutenir les forces de l’Europe dans cette phase de résistance à la Société du Contrôle Total. Comme tel, il mérite d’être préservé et perfectionné à travers la nouvelle architecture européenne que nous proposons.

2.La Confédération Pan-Européenne

Une Confédération Pan-Européenne telle que celle discutée en son temps à Hradčany devrait grouper tous ces territoires qui se reconnaissent dans la continuité de l’Identité Européenne (les Europes Occidentale, Méditerranéenne, Centrale et Boréale, Orientale et Pontique-, ainsi que la

« Magna Europa » -des fragments d’ Europe dans les autres Continents-).

Elle devrait être conçue comme un des maillons de la Gouvernance Mondiale Multi-Niveaux, expression de la conception « polyédrique » du monde.

La Confédération devrait être organisée selon le principe de pluralité des ordres juridiques, typique del l‘ »Ancienne Constitution Européenne » de Tocqueville, et de « L’Europe à différentes vitesses », mais sans une hégémonie, ni de l’Europe Occidentale, ni de l’ Amérique, ni d’aucun autre.

A son intérieur, se situeraient des Fédérations Intra-Européennes, telle qu’une Fédération Européenne (héritière de la UE), une Fédération Pan- Russe (ou « eurasiatique », héritière de la Communauté des Etats Indépendants et/ou de l’Union Eurasiatique), probablement une Fédération du Levant, et plusieurs Territoires Confédéraux, non attribuables à d’autre sujets. Enfin, les liaisons structurées spéciales existant à l’heure actuelle, comme celles avec l’Amérique, les ACP (Afrique, Caraïbes et Pacifique), le Moyen-Orient, la Chine (les « Nouvelles Voies de la Soie « devraient etre maintenues et revitalisées. . Le rôle des Pays Britanniques (Angleterre, Ecosse, Galles, Irlande du Nord et Iles Normandes) serait, après Brexit, à définir, partant des accords négociés et signés avec l’Union Européenne.

Les différentes fédérations devraient être organisées selon des principes leurs propres, au moyen d’une pyramide coordonné de Constitutions (sur le modèle de la « Constitution Italienne et Européenne » de Duccio Galimberti), qui garantisse la certitude du droit. Il est significatif que soit l’Empire Russe, soit les États Unis, se basaient, à leurs débuts, sur la lecture de « L’Esprit des Lois » de Montesquieu. Dans les Federalist Papers,

« Publius » se rattachait à l’idée de ce dernier (ainsi que le faisait Catherine II de Russie dans le « Instructions à la Commission Législative »), selon laquelle les « États de grande taille » pourraient être organisés, soit comme des États absolus, soit comme des fédérations. Les États Unis auraient choisi la voie de la fédération, tandis que Catherine avait choisi celle de l’État absolu. C’est de à qui est née la bifurcation (par trop simpliste) entre

« Démocraties » et « Autocraties » («samoderzhavija»)

Certaines des taches typiques d’un État ne pourraient être accomplies

aujourd’hui que par la Confédération :

-Le Système global Européen de Sécurité;

-Les Hautes technologies ;

-Les Politiques économique et industrielle;

-Les Transports;

L’Environnement;

-Les Migrations.

D’autres seraient du ressort des Fédérations:

-La Culture

-Les Armées;

-La Justice;

-L’ Aménagement du territoire .

Autres encore, des entités euro-régionales, nationales et locales.

Le Système Européen de Sécurité devrait se baser sur des principes parallèles à ceux du contrôle des Armements, à travers une Agence Confédérale de Sécurité, présidant à l’équilibrage des systèmes de défense

, et notamment des systèmes d’Intelligence Artificielle, dans le cadres de futurs, nécessaires, accords globaux, à développer et négocier en parallèle avec la nouvelle architecture européenne de sécurité.

L’Armée de la Fédération Européenne devrait être mise à même d’être un élément d’équilibre avec celles du bloc pan-russes grâce à des traités constitutionnels de l’Union Européenne et de traités sur la dévolution de compétences, de biens et de personnel, avec les USA et la Fédération Russe, tandis que l’Ukraine, en tant que District fédéral, devrait être neutralisée.

3.L’espace central de la Confédération

Le centre de la Fédération se situerait au croisement entre Europe Latine, Europe Germanique et Europe Slave, et, donc, probablement dans des territoires non faisant partie d’aucun de ces grands blocs etno-culturels, tels que la Hongrie ou les Pays Baltes.

Une localisation parfaite pour la capitale confédérale serait Kyiv, qui aime se considérer comme une charnière entre l’ Ouest et l’Est. D’autre part, Tripillya, a coté de Kyiv40, a été la première ville d’Europe, ainsi que Nestor de Kiev écrivait au Moyen Age que « le pays de Rus’ n’a pas des frontières »41 ; l’Ukraine avait accueilli les Huns et les Avars, les Bulgars et les Khazars, les Magyars et les Variagues, les Polovésiens et les Karaïtes, les Gênois et les Vénitiens, les Mongoles et les Tatars, les Nogaï el les Cosaques, les Cherkasses et les Ottomans.

Dans l’Age Moderne, l’Ukraine a été partagée entre les Polonais et les Lithuaniens, les Autrichiens et les Hongrois, les Russes et les Juifs, les Allemands et les Blancs, les Anarchistes et les Bolchéviques…

« Euromaidan » c’est un nom qui est en même temps un programme politique. « Maidan » est Arabe, mais existe aussi en Persan, Turc et Hindi, et signifie simplement « Place » : donc, la « Place de l’Europe ».

Pur pouvoir jouer un rôle en tant que Métropole Confédérale, l’Ukraine devrait se donner un statut fédéral, polyédrique et multilingue, fondé sur des régions largement autonomes, à partir des villes métropolitaines de Kyiv, Kharkiv, Odessa e L’iv, pour passer aux régions du Donbass, de Crimée, de Novorossiya, de Bessarabie, de Budjak, de Boukovine, de Routhénie Cis- carpatique e Trans-carpatique, de Galice, de Polésie, de Volhynie et de Podolie. Ce régime rassemblerait beaucoup au cadre administratif proposé, avant l’Euromaidan, par le parti de Yanukovič.

Le statut d’indépendance et de neutralité de l’Ukraine devrait être garanti par des troupes de ses Régions, de la Confédération, des Fédérations et des Territoires Confédéraux, si nécessaire avec l’aide des Nations Unies.

L’ambition de centralité de tous les peuples de cette zone, que les Polonais appellent « Międzymorze »(« Intermarium ») en serait exaltée, ce qui pourrait compenser leur contrariété pour le fait de devoir convivre avec les Russes.

4.Les Balkans Occidentaux et la Turquie

Les Balkans Occidentaux et la Turquie représentent deux paradoxes, parce que les premiers sont les plus proches à l’Union, et y sont même déjà entrés en partie, et, la deuxième, a présenté sa demande d’accession depuis 1952.

Quant aux premiers, la difficulté de les faire entrer est constitué par leur incapacité à se transformer dans des véritables « états nationaux » comme supposé par le système de l’Union, ayant constitué, dans le temps, un espace de frontière entre l’empire Ottoman et l’ Empire autrichien, la « Vojina Krajina », ou,   en Allemand, « Militärgrenze» .   Y vivaient des Musulmans et des Orthodoxes -des Slaves, des Albanais et des Valacques-…, ainsi que des Catholiques -Croates, Hongrois, Allemands, Italiens, Dalmatiens et Albanais-..es petits États issus de la désintégration de la Yougoslavie défendaient et défendent l’autonomie de leurs exclaves à « l’étranger », mais la nient aux enclaves à leur intérieur. Les principes d’intégrité territoriale et d’auto- détermination des peuples sont défendus à tour de rôle, mais ne sont pas vraiment applicables

La solution plus simple serait celle d’insérer tous ces pays parmi les territoires confédéraux, sans faire même pas l’effort de les rattacher à des états « nationaux ».En tous cas, il faudrait reconnaitre leur enracinement dans la tradition de la loyauté ethnique déterritorialisée, typique des Empires Ottoman e Autrichien.

Quant à la Turquie, le fait de l’avoir faite attendre plus que 60 ans a certainement exaspéré l’opinion publique d’un pays très orgueilleux, d’autant plus que la Turquie n’est plus un pays pauvre qui avait besoin de l’Union Européenne, mais, bien au contraire, est devenue un pays riche, en plein essor, avec la deuxième armée de l’OTAN et une grande force d’attraction culturale en direction des États islamiques avoisinants.

Son importance, son identité et sa différence par rapport aux autres pays européens suggéreraient d’en faire un partenaire « tous azimuts » dans la Confédération, au même niveau que la Fédération « Eurasiatique » -qu’elle s’appelle « Communauté d’États Indépendants ou « Union Économique Eurasiatique », ou autre encore.

5.Les Fédérations

Les états qui pourraient résulter des évolutions de l’Union Européenne, de la Confédération d’ États Indépendants, de la Turquie et du Levant , seraient régis par des principes différents selon les traditions et les cultures de chaque territoire. D’autre part, chaque zone e la Pan-Europe fait maintenant l’objet de processus de transformation (îles britanniques, Péninsule ibérique, Balkans, Ukraine, Caucase, Palestine).

Dans ce contexte, le fait que la Russie aspire, après la guerre, à représenter une voix unitaire de l’espace euro-asiatique ne serait pas nécessairement en contradiction avec le dessein d’une Confédération Pan-Europeéenne. D’autre part, en 1991 les républiques soviétiques n’avaient pas voté pour la séparation de la Russie (à laquelle elle n’étaient pas liées), mais, au

contraire, pour la dissolution de l’URSS e sa transformation dans l’Union d’États Indépendants, qui existe toujours.

Le même pourrait s’appliquer à une potentielle fédération du Levant , telle qu’imaginé tout au début, englobant Israël, la Cisjordanie et Gaza, mais, peut-être, aussi le Golan, la Jordanie et le Liban. Moins claire la situation dans les Balkans, ou, en tout cas, il y a un commencement d’alliance entre la Turquie, la République Bosniaque e le Kossovo, tandis que, à Est, les Kurdes aspirent à une subjectivité séparée, mai qui pourrait même se réaliser avec la Turquie.

6.Les accord structurés existants

De toutes les côtés on entend parler de la revitalisation de rapports avec le reste du monde que l’Union aurait négligé. Le fait est que, au fil des années, l’Europe avait entamé des rapports avec tous les continents, mais, malheureusement, à cause de sa faiblesse vis-à-vis les états membres, et, surtout, vis-à vis des États Unis, la plupart de ces rapports n’ont pas été cultivé d’une manière sérieuse, au point que quelques-uns ont même été négligemment oubliés, comme ça a été le cas des ACP, abandonnés aux islamistes, aux Russes, au Chinois et à la Turquie.

La restructuration de l’Europe sous la forme d’une Confédération superposée a plusieurs Fédérations pourrait constituer l’occasion pour reprendre le discours sur et avec les ACP au-delà des lieux communs.

Dans le cas des États-Unis et du Royaume-Uni, ces rapports se confondent avec ceux dans l’OTAN et le G7, dont la réforme a été beaucoup discuté des deux côtés, sans rien faire de concret. L’éventuelle élection de Trump, toujours plus probable, rend l’étude de cette réforme encore plus urgente, si que le moment semblerait arrivé de faire de la clarté , d’autant plus que cela est ce que demande depuis longtemps le même candidat Trump. Les chancelleries européennes avaient fait savoir qu’elles étaient en train de préparer un « Plan B » pour le cas d’« abandon » de l’Europe de la part des États-Unis sous Trump. Or, l’heure de ce possible abandon se situe à Novembre, c’est-à-dire dans 5 mois. Le moment est venu d’y penser.

Trump a donné seulement l’impression de souhaiter une réduction des rapports Europe-UE. Toutefois, on peut imaginer que, au moment ou

l’Europe voulait vraiment rationnaliser ces rapports, le pressions deviendraient frénétiques pur éviter l’élimination de beaucoup de privilèges américains en Europe, concernant leurs bases militaires, les technologies, l’intelligence et l’antitrust, privilèges sans lesquels les États Unis ne seraient plus une Grande Puissance.

III.APROFONDIR CETTE ÉTUDE

Si cette approche peut trouver une attention de la part de la société civile et du Mouvement Européen, nous sommes à disposition pour approfondir, soit les thèmes illustrés dans ces pages, soit des thèmes ultérieurs, à partir de possibles plans « B C, D.. ».

Objectif : que l’Europe ne soit pas impréparée même en cas d’extension des hostilités hors de l’Ukraine, Palestine et Afrique du Nord, et aussi dans le celui d’évènements traumatiques à l’intérieur des États-Unis, tous évènement qui ne seraient sans conséquences directes pour l’Europe.

En toutes ces hypothèses, la société civile et le Mouvement Européen pourraient, et devraient, donner une contribution importante pour surmonter des situations d’émergence, même dans des situations de défaut des institutions.

LE IDENTITA’ CONTINENTALI :

SOLO ARGINE CONTRO

LA SINGULARITY TECNOLOGICA

In questi giorni, assistiamo alla riscoperta dell’Identità Europea (e di tutte le identità continentali) quale elemento essenziale per affrontare le sfide più attuali, dalla guerra in Ucraina all’Intelligenza Artificiale. Questa riscoperta non è immotivata, poiché le scelte che ci attendono sono così drammatiche, che potranno essere fatte solo in base ad una consapevolezza profonda delle identità che ci uniscono (e spesso ci dividono). Questo si ripercuote anche positivamente sulla campagna elettorale per le Elezioni Europee, nella quale finalmente fanno finalmente capolino le questioni identitarie.

Intanto, l’incitamento del Segretario Generale della NATO, Stoltenberg, agli Stati membri della NATO affinché autorizzino l’uso, contro il territorio russo, delle armi da essi messe a disposizione  dell’Ucraina,  ha messo in evidenza l’imbarazzo degli Europei circa la guerra in corso che -lo si voglia o no- è una guerra fra Europei, che, per origine e meccanica, potrebbe riprodursi un po’ dovunque nel nostro Continente (in Catalogna, Bosnia, Kossovo, Cipro, Kurdistan, Nagorno-Karabagh, Gagauzia, Moldova, Transnistria, Carpazi, Paesi Baltici..), tenendo conto che quasi tutti gli Stati che si pretendono “nazionali” in realtà comprendono una percentuale non indifferente di “popoli minoritari”. Ma, soprattutto, la guerra in corso è innanzitutto la terza guerra civile europea, e i discorsi fatti da molti sull’Identità Europea, se non riescono a frenarla, sono soltanto chiacchere in malafede.

L’Italia è particolarmente determinata nell’ opporsi a tale iniziativa, mentre l’Ungheria ha minacciato perfino di uscire dalla NATO. E’ chiara anche nei sondaggi l’insoddisfazione della maggior parte degli Europei per l’immotivato incancrenirsi, negli ultimi 30 anni, della frattura fra Europa Occidentale e Comunità di Stati Indipendenti, che potrebbe portare in qualunque momento a una guerra nucleare nel cuore dell’Europa, scatenata per esempio da un malfunzionamento dei sistemi elettronici di contrasto agli attacchi nucleari, quale quello verificatosi nel 1983 con il sistema sovietico “OKO”.

Perciò, il dibattito scatenato da quell’ affermazione di Stoltenberg ha richiamato anche la centralità dell’uso bellico dell’Intelligenza Artificiale. Infatti, il primo caso di uso di armi a lunga distanza denunziato dalla Russia riguarda proprio un impianto di avvistamento radar, che costituisce un elemento essenziale della difesa digitale. Accecare i sistemi di allerta elettronica dell’avversario è la prima possibile  causa di un’eventuale scoppio accidentale della guerra nucleare.  Eppure, gli Stati si ostinano a sostenere addirittura che “le armi autonome non esistono”.

Questa situazione, che, tra altro, può avere effetti immediati sulle Elezioni Europee (come è stato recentemente in Serbia e in Slovacchia) porterà, in caso di guerra generalizzata, ad ancor più drammatiche fratture all’ interno dell’Europa, che accelereranno la presa di controllo, sull’ intera società, delle macchine intelligenti. Infatti, “Le guerrier du futur est un robot.”, cfr. L.Alexandre, La guerre des intelligences à l’ère de ChatGTP”.Che costituisce il massimo dei pericoli, ancor prima di quello di una guerra nucleare.

Per questo motivo, è utile richiamare brevemente le ragioni degli attuali conflitti, e le questioni in base alle quali gli Europei sono chiamati pressantemente a schierarsi.

La Francia vuole ripetere l’avventura napoleonica?

1.La politica dei blocchi quale effetto della seconda globalizzazione

Le Guerre Mondiali erano state tali perchè fin da un secolo si era assistito a una forma di globalizzazione, vale a dire la costituzione d’imperi intercontinentali che si contendevano il primato sul mondo: americano, britannico, francese, russo, tedesco, giapponese, cinese, che avevano partecipato al conflitto coinvolgendo i loro sudditi extraeuropei, morti a decine di milioni per queste guerre fra Europei.

Dopo le Guerre Mondiali, gl’imperi giapponese, tedesco e francese si erano dileguati, mentre gli altri avevano assunto una natura ideologica (democrazia, comunismo, socialismo con caratteristiche cinesi). L’Europa era stata resa impotente dividendola fra Impero americano e Blocco Sovietico, e le culture “mainstream” erano state mobilitate per dare una base culturale credibile a quella realtà contronatura. Infatti, i due “blocchi” avevano le loro radici comuni nelle “Rivoluzioni Atlantiche” e condividevano il Mito del Progresso.

Nel 1989, l’establishment americano aveva preteso che la caduta del Muro di Berlino avesse rappresentato la “Fine della Storia” quale la intendevano Kant, Hegel, Marx e Kojève, sicché si sarebbe instaurato finalmente un solo Stato mondiale fondato sull’ etica puritana e sui GAFAM (Google, Apple, Facebook, Amazon, Microsoft), e, governato da Washington e da New York (lo “One-Worldism” di Wilkie, o l’ “America-Mondo” di Valladao). In questo scenario, proliferarono i teorici del Post-Umanesimo, che miravano, e ancora mirano, all’utopia definita da Ray Kurzweil come “Singularity Tecnologica”, vale a dire la fusione dell’ uomo con la macchina, della macchina con la natura e dell’Universo con il nulla: l’Apocalisse tecnologica, altimo avatar di quelle religiose e rivoluzionarie.

Alla fine del ‘900, le resistenze esercitate dalla Serbia e dall’integralismo islamico contro l’allargamento al Vecchio Continente  dell’ “America-Mondo” avevano però costretto l’establishment a correggere il tiro, proclamando, con George Bush Jr.,  la “Giustizia senza limiti”, vale a dire l’applicazione pratica, con a guerra in Afghanistan,  dello “Scontro di Civiltà”, o dell’“Occidente contro Tutti”, come sintetizzato, nel libro “Scontro di Civiltà”, da Samuel Huntington. Vale a dire che l’allargamento dell’ America-Mondo non sarebbe più avvenuto in forma relativamente pacifica, bensì con uno sforzo coordinato, culturale e militare. A tale fine, il Parlamento Americano ha stanziato negli anni somme enormi (l’”Endowment for Democracy”) per realizzare, fuori della sfera d’influenza occidentale, le cosiddette “Rivoluzioni Colorate”, usando, quale strumento principe, i social networks, secondo un vero e proprio “manuale operativo” scritto da Gene Sharp, “From Dictatorship to Democracy”.

Rivoluzioni che furono effettivamente tentate, ma con scarso successo, in Serbia, Georgia, Siria, Iran, Egitto, Libia, Tibet, Hong Kong e, finalmente, in Ucraina, dove l’”Euromaidan” è sfociato, prima, in una guerra civile, poi, nell’ attuale guerra di attrito. Non per nulla, nel frattempo, i GAFAM espandevano a tutto il mondo la propria influenza con le grandi piattaforme e l’”Ideologia Californiana”, mentre le 16 agenzie di Intelligence avvolgevano il globo con una rete inestricabile di controlli digitali (Echelon e Prism). Le due reti, quella privata dei GAFAM e quella pubblica delle agenzie di intelligence, si sono praticamente fuse, grazie a una consolidata legislazione americana sul segreto epistolare, che è forzabile dall’ intelligence militare con procedure semplici e segrete.

Come sappiamo, questi tentativi di omogeneizzare il mondo con Internet, le Guerre Umanitarie e le Rivoluzioni Colorate si è per ora arenato, non tanto e non soltanto per la resistenza diretta dei Governi interessati, bensì anche e soprattutto perché il caos provocato dalle Rivoluzioni Colorate ha spesso prodotto effetti non voluti, come il nascere di nuovi regimi altrettanto, se non più, anti-americani dei precedenti.

Soprattutto, varie parti del mondo (come la Russia e la Turchia), sentendosi particolarmente esposte a queste pressioni (per esempio il colpo di Stato di Guelen), hanno modificato le loro precedenti politiche di dialogo, per rendere le loro società meno permeabili alle Guerre Umanitarie e alle Rivoluzioni Colorate, appoggiandosi, in ciò, alle loro tradizioni storiche -per lo più antiche tradizioni imperiali che le configurano quali centri egemoni di soggetti politici continentali più vasti (Cina, India, Islam),e in ciò adeguandosi  paradossalmente, con una forma di “rivalità mimetica”, al modello dell’ “Impero Nascosto” americano- .Questo sforzo  sembra avere sempre più successo, con la creazione dei BRICS, dei BAATX cinesi e della Via della Seta, con l’abbandono americano dell’ Afghanistan e con l’esito delle guerre in Cecenia, in Georgia, in Siria, in Libia e in Palestina.

Come ha scritto il 22 maggio Massimo Cacciari sulle pagine de “La Stampa”, “la vera questione: che l’ Occidente, oggi l’Occidente americano, non è più strutturalmente in grado di confrontarsi con gli altri Grandi Spazi sulla base di una propria volontà egemonica. Occorre saper ‘tramontare’ da tale volontà, non per sparire, ma, all’ opposto, per dar vita a un nuovo Nomos della Terra multipolare, policentrico”.

Sotto un altro punto di vista, proprio lo sviluppo tumultuoso dei GAFAM ha reso evidente che la storia sarà decisa da una “Guerra fra Intelligenze” (fra intelligenza naturale e artificiale, fra GAFAM e BAATX cinesi, cfr. Alexandre, La Guerre des Intelligences), che l’umanità potrà frenare solo organizzandosi in una Comunità Internazionale con progetti condivisi. Oggi, i due pilastri di tale comunità sono due grandi blocchi (l’Occidente a guida americana e l’Organizzazione di Shanghai),che “mettono a disposizione” le loro enormi risorse ciascuno a favore di uno dei contendenti della “Guerra fra Intelligenze”(La Singularity Tecnologica o il Socialismo con caratteristiche Cinesi). La “Guerra delle Intelligenze” tende così a sfociare nella Terza Guerra Mondiale, mentre il dialogo fra USA e Cina avviato dalle iniziative di Kissinger costituisce solo un pallido tentativo di pacificazione,  che non frena affatto la Terza Guerra Mondiale.

Quelle due superpotenze digitali non riescono infatti  neppur esse a rappresentare adeguatamente le istanze delle loro parti componenti, e quindi ad esprimere, nello sforzo per controllare l’IA, il meglio delle rispettive tradizioni. Nell’Occidente, si distinguono un’America che è totalmente soggetta alle scelte dei GAFAM, che costituiscono la sua forza nel mondo, e un’Europa Occidentale con tradizioni, interessi e comportamenti molto divaricati, ma che non riesce neanche a concepire un progetto autonomo. Fra i BRICS, si distinguono una Cina all’avanguardia mondiale nei campi economico e digitale, e con la propensione a limitare il peso delle sue multinazionali (il “Crackdown sui BAATX”), una Russia più arretrata tecnologicamente, e culturalmente vicina all’Europa, un’India avanzata digitalmente ma con scarso peso politico, e un mondo islamico estremamente frammentato. In definitiva,“L’extraordinaire diversité des discours sur l’IA e sur les réponses à y apporter est inquiétante :nous ne pouvons pas gérer un tel changement de civilisation sans un consensus minimum».

Massimo Cacciari invita a percorrere vie nuove

2.Il suggerimento di Cacciari: riscoprire culture europee dimenticate

Per questo, il chiarirsi delle strategie digitali di ciascuna parte del mondo, con un dibattito “piramidale” a tutti i livelli e un riaccorpamento generalizzato dei poteri decisionali secondo il Principio di Sussidiarietà, costituisce un necessario presupposto per quel tentativo di risposta unitaria all’ IA – che, purtroppo, verrà forse solo dopo che quest’ennesima guerra mondiale avrà dimostrato l’evidenza e l’urgenza dei pericoli qui da noi denunziati (e perciò troppo tardi)-.

Ne consegue tra l’altro che, al fine di inserirsi anch’essa in modo fattivo in questo processo collettivo di chiarimento a livello mondiale, l’Europa dovrebbe aprirsi a prospettive nuove, nella direzione indicata, sempre da Cacciari, nell’ articolo citato, cioè rifuggendo tanto dalla provinciale tentazione che sembrerebbe emergere dal trend elettorale populista, quanto dall’arroganza della cultura progressista e occidentale.

Può sembrare  sorprendente, ma non per noi,  che Cacciari, conscio dello slittamento culturale in corso nell’ opinione pubblica in vista delle Elezioni Europee, indichi la speranza di una nuova prospettiva per l’Europa nella riscoperta delle tradizioni minoritarie “orientalistiche” del conservatorismo europeo, quello che in altra sede abbiamo chiamato “conservatorismo critico”:”Eppure vi è stato un pensiero conservatore, per quanto assolutamente minoritario in queste destre, che si è mosso in una direzione opposta, di riconoscimento pieno  della grandezza delle altre civiltà, nel senso della comparazione e dell’ approfondimento reciproco. Queste correnti andrebbero meditate, anche da parte di molte ‘sinistre’, che mai hanno fatto sul serio i conti con il pensiero ‘in grande’ di certa destra europea.”

Pensiamo che Cacciari si riferisca ad esempio a Pannwitz, a Fenollosa,  a Spengler, a Eliade, a Guénon, a Trubeckoj, a Saint-Exupéry, a Pound, a Evola, a Gumilev. Tutti autori ben più vicini alle culture indica, medio-orientale, delle steppe e dei deserti, cinese.., che non a quelle occidentali. Autori che le “culture di destra” apprezzavano e studiavano fin dagli Anni ’30 (gli “Anticonformistes des Années Trente”, ma che il “mainstream” ha sempre tenuto ai margini, con una vera e propria “censura”, costata, a taluni di essi, anche vere e proprie persecuzioni.

Secondo Alexandre: “Les choix que nous allons faire d’ici au 2100 nous engagent pour toujours et certains seront irréversibles. La gouvernance et la régulation des technologies qui modifient notre identité – manipulation génétique, sélection embryonnaire, IA, fusion neurone-transistor, colonisation du cosmos -seront fondamentales. »A questo punto si comprende bene perché, nonostante la retorica pacifistica generalizzata, sia impossibile impedire oggi  lo scatenamento guerre molto pesanti e rischiose: semplicemente, le poste in gioco sono troppo elevate per potervi rinunziare, anche se per lo più gli attori in gioco non ne sono completamente consapevoli. Si tratta, “mutatis mutandis”,  delle stesse poste in gioco, ad esempio, nelle Guerre Persiane, nella “fitna” fra Sunniti e Sciiti, nello scontro fra l’Impero Cinese e i Taiping: della sfida fra la “hybris” millenaristica e l’”autonomia” pluralistica (Ippocrate ed Erodoto).  Solo che,  allora, si trattava di dispute teoriche; qui, invece, della loro realizzazione pratica (del loro “inveramento”) grazie alla potenza della tecnica.

Ma, prima ancora della “Singularity Tecnologica” che annullerebbe l’Umanità, se non il cosmo stesso,  già ora siamo sottoposti a un unico totalitario ecosistema digitale governato dagli algoritmi secondo la loro logica intrinseca, da cui ogni vitalità (l’”Elan Vital” di Bergson)viene , in un modo o nell’ altro,  eliminata. Peggio che nel Socialismo Reale. Già ora, un anticipo della tirannide post-umana promossa dai GAFAM, ci viene fornito dalla “Religione Woke”, che, negli Stati Uniti, ha praticamente eliminato, nel mondo intellettuale,  la libertà di pensiero e di espressione, instaurando una censura assoluta di tutto ciò che possa ricordare anche vagamente le tradizioni, il passato e perfino qualche brandello si soggettività autonoma (Braunstein, “La Réligion Woke”):tutto ridotto a “orrori” che non bisogna più ripetere. Qualcosa di molto simile alle frenesie sessantottine e all’”Eros e Civiltà” marcusiano, poi sfociati nelle Brigate Rosse e nella Rote Armee Fraktion.

Non per nulla, il “Woke” è sospinto energicamente avanti dai GAFAM, che vedono, nell’appiattimento universale, il necessario presupposto per il proprio controllo totalitario su tutte le società umane.

Per questo vari soggetti politici (Chiese, Cina, Russia, Islam, India) accomunati dall’ istinto di autoconservazione, hanno tentato in vario modo di ostacolare l’omologazione mondiale, e questo ha dato luogo a vari tipi di scontro (dalle guerre dell’ex Unione Sovietica, della ex Jugoslavia, e del Medio Oriente, fino ai disordini generalizzati in Africa e agli attuali movimenti sociali e studenteschi in Europa).

La posizione sull’ AI dei grandi blocchi geopolitici si può sintetizzare come segue:

-l’America ha inventato l’IA con le Conferenza Macy, con ARPANET, Internet e i GAFAM, e il Governo Americano, pur riconoscendo in principio la necessità di una regolamentazione, di fatto lascia ai GAFAM la massima  libertà di azione, perché essi costituiscono di fatto il più potente strumento della sua espansione mondiale (l’”Impero Sconosciuto” di cui parla il Pontefice), e preme per rallentare la regolamentazione internazionale, sperando di rendere irreversibile il controllo dei GAFAM almeno sull’Occidente, come prevedeva già qualche anno fa Evgeny Morozov. D’altronde, come ben messo in evidenza da Braunstein, la “Religione Woke” si pone in continuità con i vari “Awakenings” protestanti americani, che sono all’ origine, tanto della Rivoluzione Americana, quanto della “Giustizia senza Limiti” di Bush;

-La Cina è stata da sempre consapevole dei pericoli costituiti da un internet a guida americana, ed è riuscita, con un lavoro pluridecennale a più strati, a creare un proprio ecosistema digitale, con le proprie piattaforme e con i propri controlli, a tutela dei cittadini (copiato dalle leggi europee), ma anche e soprattutto dello Stato e dell’ Esercito (con interventi pesanti sui guru dell’ informatica che non vi si adeguino: il “Crackdown sui BAATX”). Essa ha accettato di buon grado l’appello di Henry Kissinger per una regolamentazione internazionale che parta dagli usi militari, e ne ha parlato con il vertice americano;

-L’Europa ha scelto deliberatamente, per non entrare in rotta di collisione con gli USA, di non avere una propria industria digitale, restando tributaria degli USA per tutta una serie di attività vitali (intelligence, internet, difesa, nuove tecnologie). In cambio, essa si vanta di essere all’ avanguardia della regolamentazione dell’ICT, tanto per la privacy quanto per l’IA. Peccato che le sue regolamentazioni non abbiano alcun effetto pratico, perché i GAFAM e l’Intelligence Community americani controllano l’intero ecosistema digitale e perfino la politica, e quindi sfuggono a qualsiasi controllo dell’Unione;

-gli Organismi Internazionali hanno tentato, come doveroso dal punto di vista istituzionale, di fare qualcosa, per esempio con la “Bozza di Convenzione-Quadro” elaborata da una commissione del Consigli d’Europa, o come la Dichiarazione delle Nazioni Unite, ma  sono state bloccate dalle Grandi Potenze, che desiderano che queste decisioni siano in mano a un club ristretto, che poi presenterà il fatto compiuto come un verdetto inesorabile della Storia, a cui nessuno penserà neppure lontanamente di opporsi.

3.L’Europa, anello indispensabile della governance mondiale dell’ IA.

In tutto ciò, la posizione dell’Europa è particolarmente ondivaga.

Dopo avere approvato, e abbondantemente propagandato, due importanti pacchetti legislativi, il DGPR e l‘AI Act, l’Europa è sostanzialmente assente dal dibattito internazionale sull’ IA, nonostante che il Papa e le Nazioni Unite abbiano chiaramente indicato quale dovrebbe essere il prossimo percorso:

-un pacchetto negoziale basato su un trattato generale applicabile al civile e al militare, al pubblico e al privato, da elaborare fin da subito;

-creazione di un’Agenzia Internazionale delle Nazioni Unite sul modello dell’ AIEA.

La realtà è che gli Stati Uniti e i GAFAM non cessano di fare pressione sugli Stati membri e sulla Commissione perché si segua invece un percorso diverso:

-postposizione del trattato;

-esclusione delle imprese private e del militare;

-firma solo da parte dei Paesi occidentali.

Un trattato  così depotenziato non servirebbe a nulla in quanto:

-il pericolo più grave è costituito dall’ uso militare dell’ IA, su cui si deve trovare un accordo anche con la Cina e con la Russia;

-il secondo è costituito dal controllo dei GAFAM su tutte le società umane, che non viene contrastato con vaghe enunciazioni di principio;

-manca del tutto un risvolto culturale, educativo e formativo fuori dal conformismo tecnocratico e moraleggiante imperante.

Se vi è oggi una “missione culturale dell’ Europa”, essa è quella di svelare che l’attuale “mainstream” occidentale, che trae le sue “radici” dal Vecchio Mondo, non è -che si tratti del “wokismo” o del tradizionale atteggiamento WASP-, un fenomeno universale, bensì un qualcosa di tipicamente americano (“the Dissidence of Dissent”, per dirla con Huntington), che ha estremizzato a tal punto vecchie idee europee del messianesimo, del relativismo e della democrazia, dal renderle insostenibili e irriconoscibili.

In questa luce, occorre, come proponevano gli autori sopra citati e come propone oggi  Cacciari, studiare e  rivalutare le culture asiatiche, anche se la soluzione indicata nell’ articolo di cui sopra ci sembra troppo semplicistica:”L’Autorità non sta nelle mani di un Capo, né in un Paese né sulla faccia della terra, ma è la Relazione stessa, sono le norme e le leggi che la stabiliscono e regolano e che tutti riconoscono perché vedono in esse le garanzie della loro stessa pace.”Questa è infatti semplicemente la definizione del “Dao” contenuta nel Dao De Ching di Lao Tse e nei Classici Confuciani.

E, secondo Cacciari, questa costituirebbe addirittura la fine del dissidio fra Destra e Sinistra (se non della pace mondiale) Ma qui cadiamo di nuovo in una prospettiva utopica. Infatti, il Dao è il risultato della dialettica fra Yin e Yang (maschile e femminile) proprio quella che la cultura woke vuole eliminare. E, infatti, Mao pensava che la dialettica destra-sinistra sia ineliminabile. Cacciari è ancora nostalgico della Fine della Storia, solo che, invece di concepirla secondo il “mainstream” occidentale, la concepisce secondo il filone cinese della “Grande Armonia” (“Datong”).

Comunque, il mondo multipolare non può, per definizione, essere dominato da una sola cultura, fosse pure la millenaria cultura cinese, che sembra avere comunque la meglio in una prospettiva di lungo termine. Questo perché il compito che attende la nuova generazione è assolutamente inedito, e richiede un contributo intellettuale di tutti, al di fuori della portata di ogni singola cultura. Del resto, più saggio appare l’approccio islamico, secondo cui “se Dio avesse voluto, avrebbe fatto di noi un’unica setta”.

Ciò che l’Europa può fare è essere il catalizzatore, il “Trendsetter”, di questo dibattito mondiale (come voleva l’attuale Commissione, che però non sapeva neppure da dove cominciare, perché manca dei necessari presupposti culturali e della necessaria indipendenza politica).

Per fare ciò, l’Europa deve avere una propria identità, che non può essere, né quella americana, né quella cinese, né quella islamica. Essa deve riscoprire senza paraocchi l’integralità la propria cultura, che non è solo una sommatoria di razionalismo greco, di legalismo romano e di monoteismo giudaico-cristiano, ma anche lo spirito dionisiaco dei nomadi delle steppe, il misticismo euro-islamico, la pasionarnost’ slava, lo spirito critico degl’intellettuali indipendenti, classificati abusivamente come “illuministi”…Basta con le censure a Omero, Ippocrate, Erodoto, Eraclito, Socrate, Tacito, Jordanes, i Provenzali, Machiavelli, i Gesuiti, Nietzsche, Soloviov, Dostojevskij, Simone Weil, Burgess…

Solo sulla base di un’antropologia personalistica assertiva e critica (opposta alle cosiddette “Educazioni anti-autoritarie”, e soprattutto alla “cultura woke”), il singolo cittadino potrà avere la forza intellettuale e di volontà necessaria per opporsi al determinismo della tecnocrazia e alle coercizioni quotidiane della rete e del “politicamente corretto”.

L’Europa nel suo complesso dev’essere libera di confrontarsi alla pari, senza complessi d’inferiorità, con gli altri continenti (“orgogliosamente volta al mondo” come scriveva Vörösmarty)  : con l’ America, certo, ma soprattutto con la Russia, con la Turchia, con Israele, con l’Islam (con i quali essa è intrinsecamente connessa), con la Cina, l’India, il Sud-America…, prendendo spunto, ove sia necessario, da tutte le alte culture.

Innanzitutto, deve uscire al più presto da questa guerra fratricida, motivata da un falso confronto fra l’Europa ortodossa e quella romano-germanica inventato a tavolino dai think tanks americani (Huntington), e deve fare anche di tutto per fare terminare quello fra Israele e il mondo mussulmano, che è alle soglie della sua casa.

Essa deve formulare su queste basi una sua proposta di pace, che veda l’Europa e la sua missione al centro del nuovo sistema multipolare, in quanto punto di equilibrio del “Parallelogramma delle Forze” mondiale. Per fare ciò, non può e non deve identificarsi unilateralmente con nessuno dei blocchi oggi in conflitto, come giustamente incominciano a suggerire alcuni intellettuali e politici.

Così, quando tutto ciò sarà finito, potremmo dedicarci alla vera battaglia del nostro tempo: quella per il controllo dell’Intelligenza Artificiale, intorno alla quale dovremmo coalizzare il mondo intero.