Dai tempi della caduta del Muro di Berlino, siamo oramai avvezzi a continui roboanti annunzi circa l’avvento di un “nuovo ordine mondiale”, radicalmente diverso da quelli passati. Oggi, si può forse dire che questa trasformazione sia veramente in corso, perché le novità riguardano un po’ tutte le aree della competizione/conflitto fra “Occidente” e “Maggioranza del Mondo”,facendo oggetto di eventi spettacolari, fra cui le sempre nuove armi, i sempre nuovi fronti e gl’ininterrotti terremoti nell’economia europea. In queste condizioni, risulta sempre meno sopportabile, assistere alla televisione alle continue apologie dell’ esistente da parte di politici, giornalisti, imprenditori e intellettuali di tutti i colori, sorridenti, eleganti e imbellettati mentre parlano di stragi, guerre, crisi, ecc.. Quanto agli scenari di guerra, secondo Molinari (La Repubblica del 2 Dicembre), “all’ interno dei singoli paesi, in Nord America come in Europa e in Estremo Oriente non c’è consenso sulla comprensione della grande guerra d’attrito: a prevalere sono spinte nazionaliste, isolazioniste e populiste che preferiscono ignorare o sminuire le minacce per non dover affrontare le conseguenze che comportano”. Quanto al rapporto fra guerra e tecnologie, quella in corso sta mettendo in evidenza le nuove realtà con cui fare i conti: il riallinearsi dei GAFAM (Zuckerberg) con lo Stato americano anche dopo l’elezione di Trump; la disponibilità, nelle mani della “Maggioranza del Mondo”, di tecnologie belliche potenti, spesso più avanzate di quelle occidentali, a partire dal missile sperimentale Oreshnik, che ha centrato dimostrativamente il grande complesso industriale Yuzhmash di Dnipro, il maggior costruttore ucraino di missili. Infine, per ciò che concerne la crisi dell’economia moderna, la “Guerra senza Limiti” in corso accelera la decadenza del modello economico e sociale europeo del secondo Dopoguerra, fondato sulla trasformazione dell’economia di guerra del 2° conflitto mondiale in società affluente; sullo sfruttamento parassitico dell’egemonia americana per realizzare prodotti di consumo all’ ombra della NATO; sul patto sociale socialdemocratico realizzato semplicemente rivitalizzando le politiche sociali corporative dei fascismi; sul “capitalismo renano” fondato su una cogestione che oggi sembra non tenere il passo con i tempi; sulla centralità dell’ autoveicolistica come via maestra verso la società dei consumi…
1.Allargamento degli scenari di guerra La “Guerra Mondiale a Pezzi” di cui parlava Papa Francesco si è oramai trasformata nella “Guerra Senza Limiti” teorizzata dai generali cinesi. Il Rapporto del futuro commissario dell’Unione Europea Niinistö, riprendendo una pubblicistica oramai classica in Scandinavia, propugna la diffusione in tutta Europa di un manuale militare sul modello di quello da sempre esistente in Svezia, dedicato a consigli pratici alla popolazione per il caso di guerra. Si tratta di raccomandazioni (per lo più banali) di sicurezza passiva, volte alla salvaguardia della sopravvivenza individuale. La parte attiva dell’originale svedese, dedicata alla resistenza civile (“Inte Samarbejde”, “Non collaborate”), che completava l’opera quando la Svezia era un paese neutrale, è stata lasciata cadere, forse perché potrebbe ritorcersi innanzitutto contro la NATO, affidando ai cittadini compiti bellici importanti. In realtà, prima della caduta del Muro anche la dottrina militare di altri Paesi d’Europa, come quelle svizzera, jugoslava e albanese, prevedevano una resistenza partigiana dopo l’eventuale invasione e sconfitta (difesa nazionale totale, in serbo Opštenarodna odbrana),che dava alla popolazione civile il compito di mobilitarsi in forze di difesa territoriale dotate di grande indipendenza operativa, le quali, sfruttando la conoscenza del terreno e le tattiche della guerriglia, si sarebbero trasformate in un esercito di resistenza che avrebbe condotto azioni militari, continuato la produzione bellica e mantenuto l’amministrazione dello Stato nelle zone occupate, proseguendo così una guerra di logoramento contro l’invasore. Con il passare dei decenni, anche queste modeste velleità “sovraniste” sono andate perdute, con Svezia, Finlandia, Slovenia, Croazia, Montenegro ed Albania nella NATO, e la Svizzera non più genuinamente neutrale. Intanto, lo scenario del conflitto si è esteso all’oblast russa di Kursk, all’ordine pubblico in Romania e Georgia, alla guerra civile siriana, al Libano, allo Yemen…
2.La “maturità” dei missili ipersonici rende più realistica una guerra totale Il missile “sperimentale” Oreshnik presenta varie caratteristiche che ne fanno lo sbocco naturale delle esigenze strategiche nella Guerra senza Limiti quale teorizzata dai generali cinesi. Esso non è intercettabile perché è in sostanza una navicella di rientro di un lanciatore riutilizzabile, e, quindi, raggiunge Mac 11; inoltre, compie una traiettoria casuale e sgancia grappoli di proiettili; ottiene effetti distruttivi complessivi pari a una bomba atomica di grande tonnellaggio pur non avendo neppure una carica esplosiva, ma solo coni di alluminio leggero che si comportano come piccoli meteoriti, provocando profondi crateri. Di conseguenza, evita la contaminazione nucleare, come pure lo stigma collegato all’ arma atomica. Essendo tale, esso si presenta come l’arma tattica ideale, perfetta per rispondere ai missili a medio raggio che l’Occidente (e forse anche l’Ucraina in Yuzhmash) hanno ricominciato a costruire. Questo è un ulteriore tassello dell’escalation in corso nella Terza Guerra Mondiale, che ci fa comprendere ancor più quanto il nostro futuro sia sospeso a un filo, e quanto poco noi Europei e Italiani possiamo influenzarlo, soprattutto perché nessuno sembra curarsi della nostra particolare posizione geografica e, in particolare, del fatto che l’Italia ospiti più di 100 basi americane, che contengono, fra l’altro, varie decine di testate nucleari. Solo un’azione culturale profonda, che smonti molti degli attuali riflessi pavloviani, potrebbe tirarci fuori dalla spirale bellicistica in corso, ricordando innanzitutto a tutti i nostri concittadini che i Russi, come tutti gli Slavi, sono culturalmente Europei, e che quindi non vi è alcuna ragione per condurre ininterrottamente una fratricida lotta (militare o di altro tipo) contro di loro, come invece stiamo continuando a fare a partire dalla Perestrojka (mentre quando c’era il PCUS andavamo, paradossalmente, d’amore e d’accordo).
3.Le dimissioni di Tavares pochi giorni prima di Barnier: ennesimo paradosso della vicenda FIAT. Torino fu fondata da Giulio Cesare nel 58 a.C. Nel 1561, divenne la residenza di Emanuele Filiberto, il Duca di Savoia vincitore alla Battaglia di san Quintino. Nel 1713, divenne capitale del Regno di Sicilia, nel 1718, di quello di Sardegna; nel 1961, di quello d’ Italia. Fra il 1888 e il 1889, ospitò Nietzsche fino al momento della sua pazzia: qui scrisse L’Anticristo, Il crepuscolo degli idoli ed Ecce Homo . Dal 29 aprile al 19 novembre 1911, si tenne a Torino l’ Esposizione internazionale dell’industria e del lavoro, Nel 1907, il politologo tedesco Roberto Michels, il grande teorico dei partiti politici, grazie all’intercessione di Einaudi e di Loria, ottenne una cattedra all’Università di Torino, dove insegnò Economia Politica e Sociologia Economica. Torino era quindi una capitale politica e culturale europea già prima della FIAT, e avrebbe potuto benissimo prosperare senza di essa. Tuttavia, essa vi dedicò tutte le sue forze, dalla costruzione del Lingotto e di Mirafiori, all’occupazione delle fabbriche diretta da Gramsci ed esaltata da Gobetti, e al primo contratto collettivo in Italia, alla costruzione delle infrastrutture militari per le due Guerre Mondiali, sotto lo slogan “Terra, Mare, Cielo”, fino al lavoro sotto i bombardamenti, all’Autunno Caldo e alla Marcia dei Quarantamila. Il quartier generale della società era a Torino, fra il Lingotto, Corso Marconi e Mirafiori, ma il Gruppo, con i suoi 188 stabilimenti, in cui erano occupati più di 190 000 dipendenti, era presente in 50 paesi del mondo e intratteneva rapporti commerciali con clienti in oltre 190 nazioni. Produceva beni e servizi in almeno 12 differenti settori, dalla finanza all’editoria, dalla formazione alla consulenza, dalla ricerca all’industria di base, dall’autoveicolistico alle ferrovie, all’ aviazione, ai motori marini, agli elettrodomestici, dalla chimica agli armamenti, allo spazio. Gravitavano intorno ad essi famiglie, azionisti, fornitori, clienti, professionisti, che rappresentavano almeno mezzo milioni di persone in tutti i Paesi del mondo. Un vero impero economico, capace di esprimere, nella sua dismisura, tutti i lati, positivi e negativi, della Modernità, e che ha richiesto l’impegno assillante di almeno cinque generazioni di Torinesi. Nel 1974 Torino aveva raggiunto il record di 1.202.846 , mentre oggi ne sono rimasti soltanto 890.000. Così come la FIAT è nata con la Modernità, non vi è dubbio che, con la fine della Modernità, essa sarebbe venuta meno. Cosa che si è puntualmente verificata, visto che Stellantis non ha praticamente più nulla in comune con FIAT: non il gruppo di controllo, che è francese, non la sede, che è a Parigi, non le fabbriche, dove l’unica torinese, Mirafiori, è praticamente chiusa. Non possiamo passare il tempo a rimpiangere questo stato di fatto, che era praticamente ineluttabile, vista l’analoga sorte della Chrysler, della Leyland, della Saab e di altre, ma possiamo, e dobbiamo, invece, polemizzare su come ciò è avvenuto e sulle prospettive per il futuro. La fuoriuscita dall’ auto non è avvenuta mediante una strategia intelligente e concordata fra politica, impresa e lavoratori, bensì trasferendo surrettiziamente tutta l’eredità della FIAT, originata prima di tutto dagli sforzi e dai sacrifici dei Torinesi, e, poi, dagli aiuti dello Stato italiano, allo Stato francese e ai tre fratelli Elkann, i quali l’hanno reinvestita altrove, perfino in spregio al nostro diritto, costituendo uno dei massimi patrimoni privati del mondo e lasciando a Torino solo fabbriche obsolete e inquinanti e operai in cassa integrazione. Tutto ciò con la benedizione e la connivenza di tutti i Governi italiani e regionali, dei sindaci di Torino, dei partiti e dei sindacati (senza contare, a suo tempo, i Sovietici e Obama, fra i maggiori artefici delle fortune del gruppo di controllo). Ora, le dimissioni di Tavares aggiungono a tutto ciò un ulteriore tocco di surrealismo. Un amministratore delegato di un’impresa controllata dallo Stato francese che guadagna centinaia di volte più di un operaio, che chiude fabbriche dovunque licenziando migliaia e migliaia di persone, e, alla fine, licenziato a sua volta per aver mandato in rovina la Stellantis (non solo quella italiana), ottiene dall’ azionista (lo Stato) una “buonauscita” miliardaria. Certo, il caso della Stellantis non è unico, perché, contemporaneamente, sono in crisi tutti i grandi gruppi europei, tant’è vero che la UE sta già pensando a una nuova stagione di aiuti, ma anche questo non è un disastro naturale, bensì il risultato di una serie di errori politici.
4.La crisi Volkswagen Infatti, le crisi degli altri gruppi, in primis quella della VW, potevamo vederla già a partire dal 2015, quando l’Agenzia statunitense per la protezione dell’ambiente aveva accusato la multinazionale tedesca di avere progettato i propri motori diesel Turbocharged Direct Injection (Tdi) in modo tale che attivassero i sistemi di controllo delle emissioni solamente durante i test di controllo. Giacché la Casa di Wolfsburg non era la sola a truccare in tal modo i dati, molti osservatori ritengono che, dietro la deflagrazione delle accuse e dello scandalo mediatico che travolsero quell’unico marchio (lo stesso, guarda caso, finito spesso bersaglio delle critiche di Donald Trump), vi erano motivazioni politiche. Comunque sia, lo scandalo Dieselgate contribuì a mettere in moto quelle politiche green che hanno portato all’attuale crisi finanziaria del principale gruppo europeo. Volkswagen, probabilmente proprio per scrollarsi di dosso l’onta del Dieselgate, è stata infatti tra le Case del Vecchio continente ad aver abbracciato con convinzione le nuove motorizzazioni elettriche, con una mossa tipica del mondo industriale tedesco, che spesso ha avuto la presunzione di mettere fuori mercato la concorrenza grazie alle sue scelte innovative. Molte Case erano invece rimaste a guardare, ritardando l’elettrificazione dei propri marchi: “VW si è ritrovata con una gamma di nuove auto elettriche che erano molto costose da acquistare senza che nessuno le volesse per davvero”. A ciò non sono certo estranee le politiche americane miranti ad accerchiare l’Europa: -guerra in Ucraina e conseguente blocco dell’ importazione di idrocarburi a basso prezzo dalla Russia; -boicottaggio delle Nuove Vie della Seta con conseguenti difficoltà nelle esportazioni e negli investimenti in Cina; -dazi sempre più pesanti tanto verso la Cina quanto l’ Europa. Tutto ciò mentre alle porte dell’Europa bussano ormai le rivali cinesi: “Per un milione di ovvie ragioni le auto elettriche possono essere prodotte in Cina a un prezzo molto più basso rispetto all’Europa”. Tutto ciò è paradossale perché la Volkswagen è sempre stata altamente politicizzata, e, quindi, fortemente sensibile alle grandi trasformazioni del proprio tempo. Fondata da Hitler e da Porsche contro la volontà dell’imprenditoria tedesca, e perciò affidata al sindacato nazista (la prima grande azienda autogestita), poté sopravvivere dopo la guerra grazie al governatore inglese della Germania del Nord, e realizza nel modo più radicale il concetto tedesco di “cogestione”, che, nel suo caso, assomiglia all’ autogestione, perché l’azienda è protetta da un regime speciale detto “Volkswagengesetz”, che ne garantisce il controllo al Land della Bassa Sassonia. Ora, è in corso uno sciopero durissimo contro la chiusura di varie fabbriche. La Presidentessa del Consiglio di fabbrica, Cavallo, figlia di un emigrato italiano, ha chiamato l’Amministratore Delegato “Vergogna della Nazione”.
5.Insufficienza delle politiche nazionali ed europee La scelta dell’elettrico per garantirsi l’indipendenza economica ha senso per la Cina, che può permettersi di fare scelte autonome di lungo periodo, comprendenti tra l’altro la motorizzazione di centinaia di milioni di nuovi consumatori, le “smart cities”, le auto a guida autonoma e il dominio del solare eolico, non già un’Europa soggetto ai capricci degli USA, priva di terre rare e di deserti dove installare i pannelli solari, e tagliata fuori dal mercato della guida autonoma. Per un’Europa siffatta, purtroppo, il “time to market” è fondamentale, e può diventare fatale. Anche in questo campo, o ci trasformiamo in uno Stato-Civiltà con centinaia di milioni di abitanti, con un budget enorme e la capacità di fare investimenti decennali, oppure saremo condannati ad uscire anche dall’ industria auto. Come afferma il sito della Coface (assicurazione francese dei rischi export) il Governo cinese, investendo nell’auto elettrica più di 231 miliardi di dollari, ha fatto sì che, 2023, BYD abbia superato Tesla. Secondo la Coface,i dazi all’ import decisi dall’ UE non bastano, anche perché, nell’ attuale situazione geo-politica, una UE sempre più debole (vedi dimissioni di Barnier) non ha un peso contrattuale sufficiente per negoziare con la Cina, gli USA e gli aggressivi gruppi multinazionali.
Nella prefazione al libro “La Memoria è il nostro futuro”, ispirato all’ idea-chiave della “Memoria Culturale”di Ian Assmann, il direttore del Museo Egizio di Torino, Christian Greco, ha sviluppato un approfondito discorso sul ruolo che i musei potrebbero, e dovrebbero, avere, nel dibattito contemporaneo circa le identità culturali – un dibattito a nostro avviso determinante per le sorti della pace e della libertà nel mondo-.Discorso ulteriormente allargato con “La cultura è di tutti”, scritto con Paola Dubini, Egea,Milano, 2014. Nel contempo, il Sindaco di Torino ha lanciato un tavolo di lavoro per la candidatura della Città a Capitale Europea della Cultura nel 2033. Il discorso sui musei s’inserisce perfettamente in questa prospettiva, che rientra, a sua volta, a pieno titolo, nella missione e nella storia dell’Associazione Diàlexis.
1.Contro la moderna follia Nessun momento avrebbe potuto essere più appropriato di questo, in cui assistiamo, per usare un termine attualissimo, a una Guerra Senza Limiti (cfr. Liang Qiao , Xiangsui Wang, e al.),fra, da un lato, il blocco culturale, politico e militare “occidentale”, che, pure fra le apparenti divergenze (fra “cultura Woke”, “Cancel Culture”, Politicamente Corretto, Singularity, turbocapitalismo, “progressismo da ZTL”, sovranismo e “Make America Great Again”), condivide l’idea di una missione superiore attribuita all’Occidente, e, dall’ altro, la molteplicità delle infinite culture del resto del mondo (pre-alfabetiche, animistiche, politeistiche, patriarcali, epistocratiche, religiose, comunitarie, conservatrici, monarchiche o ancestrali), a lungo spregiate e perseguitate in quanto barbariche e arretrate (cfr., per esempio, la conquista delle Americhe, la Tratta Atlantica, lo schiavismo, il Trail of Tears, l’ imperialismo, il neo-colonialismo, i genocidi, l’islamofobia, la russofobia, l’”esportazione della democrazia”), ma le quali infine, grazie ad una sorta di “Lunga Marcia” (indipendenza di Cina, India, Vietnam e altri Paesi afro-asiatici; rilancio delle “tigri asiatiche”; miracolo cinese) hanno oramai raggiunto un livello di parità culturale, politica, economica e militare con il “Primo Mondo”, il che che permette loro di esprimere il loro punto di vista circa i grandi temi dell’ Umanità. Qualora si assumano questi diversi orientamenti culturali e storici come un qualcosa di fisso e assoluto, l’“escalation” verso la Terza Guerra Mondiale, in corso in Ucraina, nel Levante e nel Mar della Cina, è inevitabile. Se, invece, come a noi pare più sensato, si vanno a cercare le radici comuni delle diverse culture del mondo, quali esse apparivano per esempio all’ inizio dell’ Epoca Assiale (cfr. Jaspers, Eisenstadt e Assmann), uno “Scontro di Civiltà” sembra più lontano. Visto che qui si parla innanzitutto del Museo Egizio, non vi è chi non veda le similitudini fra l’Antico Egitto e le società ad esso coeve, come in particolare quelle mesopotamiche e anatoliche, con lo stesso ruolo attribuito ai sovrani di diritto divino, le loro mitologie addirittura “traducibili”, come nel trattato di Qadesh, l’etica professionale dei guerrieri montati su carri (pensiamo a Mozi o al Bhagavadgita), il principio di “humanitas” (“ren”仁), che traspare dalla “Regula Aurea”, l’indistinguibilità fra etica e diritto, spezzato dal positivismo giuridico delle poleis (cfr. Antigone)… Anche avvicinandoci nel tempo, i poemi omerici e Gilgamesh, il Mahabharata e il Ramayana sono collocati in una stessa atmosfera etica e letteraria, caratterizzata dall’interazione fra gli uomini e gli dei, dal culto dell’eroe, dal senso del destino, che incombe sugli eroi e sugli stessi dei: un’atmosfera che ha permeato tutte le letterature successive (pensiamo all’Ifigenia di Goethe, ai Sepolcri, a Carlyle, ad Anouilh, alla Cassandra di Christa Wolf, all’ “Eschile, l’éternel perdant” di Kadaré). Infine, i pensatori che hanno gettato le basi del pensiero mondiale, da Mosè a Jina, da Laotse a Confucio, da Zhuangzi a Mozi, da Eraclito a Parmenide, da Socrate a Platone, da Budda ad Aristotele, da Epicuro a Lucrezio, da San Paolo a Sant’Agostino, hanno affrontano tutti, seppure con diversi metodi e linguaggi, le stesse questioni, a partire dall’ indeterminatezza della realtà (Rgveda, Protagora, Socrate, Confucio). Soprattutto il Cristianesimo testimonia l’eredità dei popoli primitivi e medio-orientali (cfr. Rees,Cristianesimo e antiche radici) a cominciare dal tema del Giardino Terrestre (il “Gan Eden” con un chiaro riferimento all’area sud-arabica); per passare al Diluvio Universale, così simile a ciò che si è detto e fantasticato su Atlantide, la Lemuria, Doggerland e Kumari Kandam; per poi venire al Figlio di Dio, alla Resurrezione, alla Trinità, agli Angeli, Arcangeli, Troni e Dominazioni, al Salvatore, all’Aldilà, all’ Apocalisse, all’ascetismo e al monachesimo. I Re Magi che adorano il Bambino non compiono lo stesso rito dei Lama che ancor ora selezionano il Piccolo Budda in giro per il Tibet? E il ricordo di Cristo e i suoi apostoli non è ancora vivissimo nei monasteri del Kashmir e nelle grotte di Chennai? Solo negli ultimi mille anni il pensiero “occidentale”, con Averroè eal-Ghazzali, Hume e Hegel, Marx e Nietzsche, Freud e Jung, Wittgenstein e Heisenberg, De Finetti e Feyerabend, è sembrato allontanarsi dalle basi lato sensu umanistiche dell’Epoca Assiale, per tingersi spesso con il colori del “sospetto”. Sospetto talvolta del tutto giustificato, ma che più spesso rimanda alla “nostalgia” per quelle radici comuni (greche o cristiane, buddiste o zoroastriane).Contemporaneamente emergeva, con la Qabbalà e Newton, St-Simon e Marx, Rostow e Kurzweil, una visione teo-tecnocratica che pretende di cancellare le antiche culture in nome di una pretesa “obiettività” fondata sulla tecnica, vera “sostanza” del mondo e pensiero di Dio : visione che è oggi dominante nella Teoria dello Sviluppo e nella Singularity Tecnologica.
Nostalgia dell’ avvenire Come scrive Greco, “Divenire consapevoli della relatività della visione contemporanea può rappresentare un primo passo per avvicinarsi al passato con la stessa cura e la stessa attenzione che un giorno speriamo venga dedicata alle nostre azioni e ai nostri pensieri..” Ma per noi è ancora di più. E’ lo strumento principe per bloccare la deriva della Modernità verso un mondo senza umanità dominato dagli algoritmi, in cui non vi sarebbe futuro per l’eredità dell’ Epoca Assiale. La contemplazione del passato non costituisce quindi una motivazione per l’immobilismo. I popoli più antichi già anticipavano aspetti della postmodernità, se non della futurologia, anche se li inserivano in una visione più vasta dell’ Uomo. Gli antichi libri sacri e i muri dei templi sono pieni di descrizioni di macchine volanti e di tute spaziali; i protagonisti degli affreschi egizi e cretesi sono multiculturali; l’idea dell’ibernazione quale premessa per la resurrezione è tipicamente egizia; ma neppure la fluidità di genere era certo sconosciuta, anche se con risvolti che certo non sono più ben accetti alla Cancel Culture… L’ethos dei popoli antichi può costituire anche un modello per quelli odierni, anzi, può aiutare a costruire una forza che eviti quella dissoluzione della società che spiana la strada al governo delle macchine intelligenti. La cultura che tutti abbiamo assorbito è l’erede diretta dell’educazione aristocratica, la “paideia” dei Greci, che accomunava, come concetto, i guerrieri spartani e le fanciulle dei “thiasoi”:il “gymnazein kai philosophein”, così come lo Yoga e il Bushido, sono la base della formazione “integrale” del cittadino “optimo jure”, che accoppia cultura fisica e pensiero critico. Non per nulla, “cultura” si diceva, in Greco Antico, “Paideia”, e si dice, in Neoellenico, “Politismòs”. Per questo, è importante la “storia della memoria” (“mnemostoria” di cui parla Dubini), a cui i coniugi Ian e Aleida Assmann hanno dedicato tutta la loro vita scientifica. Abbiamo appena assistito alle Fonderie Teatrali Limone di Moncalieri a una splendida rappresentazione di “Tragùdia”, un’opera in Grecanico calabrese che rivisita in modo innovativo le tragedie classiche del ciclo tebano, dimostrandone la perenne attualità. Ciò che vale per le culture antiche vale anche per le società contemporanee non occidentali. Secondo Lévi-Strauss, la filologia classica costituisce la forma primaria dell’antropologia. E’ noto come i Gesuiti, edificando su una base culturale classica e cristiana, siano divenuti i massimi esperti di Cina, traendone insegnamenti anche per l’Occidente, e diffondendoli in Europa con le loro “Lettres Amusantes et Curieuses”, a cui si abbeverarono gl’Illuministi, e grazie alle quali furono introdotti in Europa concetti fondamentali come quelli dello Stato minimo e dei concorsi pubblici per i funzionari. Ancora questa setytimana il Presidente Mattarella, citando indirettamente l’omonima opera in Cinese di Matteo Ricci, basata sul “De Amicitia” di Cicerone, ha citato l’amicizia quale chiave di volta di un mondo poliedrico, di cui evidentemente Cina e Italia dovrebbero essere protagoniste. Quanto valeva nei secoli XVII e XVIII dovrebbe valere a maggior ragione anche oggi. Lo studio comparato delle culture dovrebbe costituire un freno ai fanatismi, permettendo anche di capire come certe caratteristiche che noi attribuiamo erroneamente e polemicamente agli altri Continenti siano soprattutto un effetto indotto dell’incontro con l’Occidente, come il “socialismo con caratteristiche cinesi” (derivato in parte dal marxismo europeo), il “nazionalismo” russo (discendente dal romanticismo tedesco), il puritanesimo islamico (imitazione di quello anglosassone), il culto esclusivistico del dio/eroe/signore Rama (frutto della “rivalità mimetica” con la jiahad islamica e con la figura di Maometto), e la “nazione palestinese” dall’incontro-scontro degli Arabi con il “Popolo d’Israele”. Ma, soprattutto, la centralizzazione indotta dalla società della comunicazione di massa, e, in particolare, dalla transizione digitale, che, dell’era delle comunicazioni, costituisce il culmine – un fenomeno che parte dalla Presidenza Imperiale americana, dal Complesso Informatico-militare e dalla Società dell’ 1%, ma si è esteso al resto del mondo, dove però viene stigmatizzato come “autocrazia”-. In conclusione, lo studio del passato può e deve essere la fonte per la costruzione del futuro, così come la ricostruzione del Regno di Salomone era l’obiettivo del messianesimo, o gli “aurea saecula” il modello per il “principatus” augusteo, o “le urne dei forti” la scaturigine di una nuova generazione eroica di Italiani.
3.Favorire la poliedricità dei musei L’ignoranza, da parte degli Europei, delle culture degli altri Continenti e delle periferie dell’Europa è abissale, ma grave è anche la censura selettiva della nostra stessa storia. Il compito di chi volesse veramente colmare questo abisso non sarebbe certo facile, richiedendosi il concorso di cultura, Chiese, Europa, Stati, tecnologie ed Istituzioni. Cominciamo, per esempio, dalla parallela ignoranza delle civiltà precolombiane e di quella danubiana. Continuiamo con la Persia e in generale le radici dell’identità europea. Arriviamo infine alle cristianità orientali (malabarica, etiope, monofisita, ariana, nestoriana) e ai popoli dell’ Est Europa (Uralo-Altaici, Unni, Avari, Slavi, Bulgari, Caucasici, Ottomani, Karaiti, Askhenzaziti, Sefarditi). Per concludere poi con i primi secoli della storia americana (dalla Leggenda Nera a quella bianca, dalle colonizzazioni spagnola, olandese, francese e russa, alla tratta atlantica, al “Trail of Tears”, al Trattato di Guadalupe Hidalgo ;cfr.Aleksandar Hemon su “La Stampa”), alla classificazione razziale degl’Italiani (Lombroso,Sergi ), all’Eccezionalismo Americano e i progetti di integrazione europea (Dubois, Podiebrad, Sully, St-Pierre, Santa Alleanza, Trockij, Coudenhove Kalergi, Fulbright, Galimberti, von Ribbentrop…). Tutto ciò potrebbe, e dovrebbe, fare oggetto di un’intensa attività culturale, e, in particolare, museale, incurante delle contrapposte egemonie culturali. Una perspicua esemplificazione di quest’impellente esigenza è costituita proprio dal Museo dell’ Europa, di cui da tempo molti lamentano la mancanza, ma del quale si è riusciti, dopo molti sforzi, soltanto a realizzare una forma quanto mai incompleta, la Casa della Storia Europea di Bruxelles, sotto l’egida del Parlamento Europeo. Orbene, questo museo non risponde purtroppo minimamente alle esigenze di conoscenza evocate dal paragrafo precedente, e, in primo luogo, quella di dare spazio al cosiddetto “patrimonio dissonante”di cui parla Dubini:”l’insieme delle vestigia del passato attorno alle quali diversi gruppi presentano narrazioni fortemente discordanti e spesso in conflitto”. Ricordiamo, come parte del “Patrimonio Dissonante”: le varie nozioni di genealogia dei popoli; la patria originaria degli Indo-europei; le influenze afro-asiatiche;il millenarismo; il Barbaricum; l’Ancien Régime; la Leggenda Bianca e la Leggenda Nera; il colonialismo; i grandi imperi; la nascita delle “nazioni”;l’America; il post-umanesimo; i totalitarismi.. Al contrario, si pretende d’imporre una cosiddetta “Memoria Condivisa”,cioè una serie di luoghi comuni cementati dalla propaganda, in cui i Greci sono i “Buoni” e i Persiani i “Cattivi”; gli Unni sono “Barbari”; i Comuni sono “Borghesi”; gli Anglosassoni costituiscono “un’Avanguardia”; l’Europa Orientale e l’Asia sono “arretrate”, e così via… La Casa della Storia Europea, confondendo Europa con Unione Europea, parte assurdamente solo dalla Rivoluzione Francese, come se non facessero parte della storia europea Goebekli Tepe e la Bibbia, le Piramidi e le Zigurrat, , il mondo greco-romano, l’Euro-Islam, le “Tre Rome”, i Progetti d’integrazione europea (Dubois, Podiebrad, Sully, St-Pierre,la Santa Alleanza, Coudenhove Kalergi, Spinelli, Galimberti, Gorbaciov… ). Quel museo costituisce dunque la plastica rappresentazione dell’incapacità degli Europei di rappresentare la propria identità, per una serie di vizi intrinseci dell’Europa attuale: insufficienza della capacità cognitive e creative della classe dirigente; diktat ideologici; gretti particolarismi… Con quel tentativo, di per sé meritorio, si è almeno evidenziata ed esemplificata un’ enorme lacuna nel panorama museale europeo, che va comunque colmata con un’azione congiunta dell’intelligentija, della politica, dell’ Unione, delle Istituzioni, degli specialisti, delle scuole, dei musei…Senza un’azione siffatta, è impossibile quel rilancio dell’Europeismo che da molti viene invocato, ma per lo più abbinato a concetti, come quello di “Memoria Condivisa”, che ne inficiano l’efficacia, provocando un senso di inautenticità e così tarpando le ali al necessario entusiasmo. La decisione del Sindaco di Torino Lorusso di candidare Torino a Capitale Europea 2033 riapre una discussione da noi avviata da ben 14 anni, prendendo spunto dall’allora proposta candidatura della città per il 2019, a cui avevamo dedicato ben 2 libri.Allora come ora, la nostra proposta era quella che la candidatura non dovesse esaurirsi nella promozione puntuale di un grande evento, bensì costituire un momento determinante di trasformazione del tessuto culturale e sociale del nostro Territorio. In concreto, suggerivamo di compiere una intesi ragionata delle più vitali tradizioni della Città: editoria impegnata, alta tecnologia ed Europa. Tutto ciò si era tradotto in 200 progetti di 50 associazioni riunite nel Comitato della Società Civile per Torino Capitale,e con il sito Torino 2019, che hanno fatto oggetto di un’apposita opera editoriale e di una serie di manifestazioni di accompagnamento presso il Comune. Purtroppo, come noto, il Sindaco aveva deciso allora di non candidare la Città. Tuttavia, l’esperienza acquisita rimane, e può essere utilizzata per la prossima candidatura. Il Museo dell’ Europa (o almeno una mostra a questo proposito) può costituire un elemento centrale del progetto di candidatura, partendo fin da subito con un percorso di avvicinamento. Se il progetto sarà dedicato all’ Europa nel suo complesso, e non solo all’ Unione Europea, esso potrà essere ben accolto anche nel clima di critica dell’ Unione che si sta diffondendo. Senza ovviamente addentrarci qui nei contenuti precisi del progetto, siamo per altro in grado di suggerire almeno i grandi filoni conduttori, che potrebbero tradursi in eventuali sezioni (e/o esposizioni). Essa potrebbe collocarsi in palazzi storici aventi una forte connotazione evocativa, accanto al Museo Egizio e quello del Risorgimento, oppure accanto al Museo di Arte Orientale, che testimoniano le tradizioni culturali europee e internazionali di Torino.
4.Un’ipotesi di Museo Pur con la necessaria provvisorietà e indeterminatezza, ci sentiamo di delineare qui le linee essenziali di un possibile museo dell’ Europa, che potrebbero divenire le sezioni di un museo, e/o oggetto di mostre specifiche durante l’anno di Capitale Europea della Cultura: -le meraviglie d’Europa (dall’ Artico all’ Asia Centrale, i fiordi e il Mediterraneo, le Alpi e le isole); -le origini degli Europei(“Out of Africa”, Neanderthal, neolitico, cacciatori- raccoglitori, agricoltori, il cavallo, il Medio Oriente); -l’Europa nelle scienze umane (geologia, etnografia, linguistica, genetica, teologia, geografia, storia, antropologia, dottrine politiche, scienze strategiche, arte, filosofia, letteratura, architettura,economia, diritto, sociologia, tecnologia); -la “Memoria Culturale” (da Gilgamesh alla Bibbia; da Omero a Orazio; dal Nuovo Testamento al Corano; dalle Crociate ai Progetti d’integrazione; dall’Umanesimo alla Modernità)
-il predecessori (Mesopotamia, Egitto, Anatolia;il mondo greco-romano; Israele; il Barbaricum; il Cristianesimo;l’Euroislam; Bisanzio; i Progetti di Crociata;le grandi esplorazioni (europee ed afroasiatiche); -le tracce delle civiltà (da Cnosso a Stonehenge, da Micene a Delfi, dal Partenone a Pompei, da Santa Sofia a Granada, da Venezia a San Pietroburgo, da Versailles alla nuova Berlino); -i progetti d’ integrazione europea (Saint-Pierre;Saint-Simon; Santa Alleanza; Paneuropa; Ventotene, Galimberti, Fulbright, Schuman); -la “Dekadenz”(Nietzsche, Dostojevskij, Spengler, Guénon, Huxley) e la “Distruzione dell’ Europa” (Benda, Lukàcs, Hillgruber); -il mondo di Yalta (Est e Ovest;Guerra Fredda e Coesistenza Pacifica) e la caduta del Muro (il Dissenso; Gorbachev); -l’Unione Europea (dal Federalismo all’ Unione; vittorie e sconfitte; Brexit); -la Guerra senza Limiti (alla ricerca di un Nuovo Ordine Mondiale; la Società delle Macchine Intelligenti); -il “patrimonio dissonante” (progressismo e perennialismo; Oriente e Occidente; Nord e Sud; Nazioni e Stati-Civiltà).
Il progressivo sovrapporsi della vittoria di Musk a quella di Trump costituisce l’immagine plastica di una mutazione epocale in corso in tutto il mondo, definita genericamente “crisi della democrazia”:
-nell’Impero Americano, il più grande guru dell’ informatica, un finanziere che già domina tutti i mercati strategici, preme (apparentemente, con successo) per essere nominato capo di un progettato “Department of Goverment Efficiency” (“D.O.G.E.”), destinato a porre l’intero Stato americano, che domina il mondo intero,sotto la tutela del Gruppo Musk;
-in Cina, la digitalizzazione si spinge fino a controllare ogni azione dei cittadini, la loro salute, i loro spostamenti;
-in Israele, l’intero popolo palestinese è controllato ininterrottamente dai vari sistemi digitali dell’Esercito e dei servizi segreti, e i ministri possono essere “licenziati” senza motivazione e senza alcun impatto sull’appoggio dei partiti al Governo; inoltre, il Paese, divenuto, grazie a quanto sopra, il massimo esperto mondiale di tecnologie di controllo, rivende queste ultime a tutti i Paesi del mondo;
-in Russia, gli organi governativi sono perennemente riuniti in una tele-conferenze con il Presidente, e perfino le loro relazioni individuali al Presidente sono trasmesse in diretta: il trionfo del “Talk Show”;
-nella UE, si sta preparando una sorta di “mobilitazione generale”(“Rapporto Niinistö”),civile e militare, e vige una censura generale pan-europea contro chiunque non sia allineato sul “politicamente corretto”(il “Digital Services Act”);
-in Ucraina, sono stati sciolti 11 partiti politici ed espropriata la maggior parte delle Chiese, colpevoli di essere restate fedeli al Patriarcato di Mosca.
E si potrebbe andare avanti all’ infinito…
In questo intervento, cercheremo di analizzare le ragioni di questo trend, con particolare riguardo al ruolo di Elon Musk nella nuova costellazione di potere conseguente alla vittoria di Trump.
1.Brave New Word (ll mondo nuovo)
Rivivono in Musk certi aspetti del bolscevismo originario, come il cosmismo (la “colonizzazione dello spazio di Tsiolkovskij, di Vernadskij , di Bogdanov e del movimento ingegneristico kievano “Do Marsa”= “su Marte”).
Dovunque, l’accresciuta conflittualità fra il progetto post-modernista incarnato dai GAFAM (le Grandi Piattaforme americane) e quello conservatore (rappresentato dai BRICS) -conflittualità ramificata attraverso tutti gli Stati del mondo-, ha generato una situazione di guerra strisciante e di preparazione bellica permanente fra i grandi Paesi, che rende inevitabile la centralizzazione di tutti i poteri intorno al rispettivo leader e al suo “cerchio magico”, per essere sicuri della rapidità della mobilitazione bellica, per mantenere intatta la retorica ufficiale, per evitare ogni “infiltrazione” ostile, per razionalizzare un’economia sinistrata in vista di una guerra prolungata, per contrastare le catastrofi derivanti dalla crisi ecologica…Questa centralizzazione si appoggia sulle nuove tecnologie digitali di controllo capillare della popolazione, che finiranno per risultare le uniche vere vincitrici di questo confronto, come scritto profeticamente da Manuel De Landa nel suo “La guerra nell’ era delle macchine intelligenti”.
In queste condizioni, che senso ha ripetere stancamente le retoriche della libertà individuale, della separazione fra Stato e Chiesa, della divisione dei poteri, della libertà di opinione, della “privacy” che avevano caratterizzato il XX° secolo? Qui si fa solo più a gara a chi abolisce più libertà, considerandosi ogni realtà indipendente come un focolaio di pericolo, in quanto è possibile che venga conquistato da un “nemico”, e usato per “destabilizzarci”.
L’insistere a tentare di spiegare tutto ciò con gli stereotipi del XX° Secolo è non solo inutile, ma anche sospetto, in quanto è molto probabile che si voglia nascondere in mala fede la realtà delle cose, e in particolare il fallimento di una cultura irrealistica (i “parametri utopico-liberali” di cui parla Giovanni Ursina), che per altro ha sostenuto le carriere di intere generazioni d’intellettuali e di politici.
Quando si attaccano, con l’accusa di “democrazia illiberale”, alcuni Paesi dell’Unione Europea (Ungheria, Slovacchia) o della NATO (Turchia), in realtà si vuole condannare non già la loro pretesa illibertà, bensì la loro eccessiva indipendenza, che permette loro di non schierarsi al 100% con l’ America, divenendo così a loro volta un pericolo per il controllo centralizzato e militarizzato,da parte da parte della stessa, degli “alleati” occidentali. Tuttavia, questi Stati non fanno che ripetere in piccolo quello che già succede in grande nelle grandi potenze (a cominciare dagli Stati Uniti), e anticipando quello che accadrà ancora in tanti altri Stati. Essi debbono centralizzarsi per resistere ai potentissimi condizionamenti del Complesso Informatico-Digitale occidentale (di cui Musk è il tipico esempio)..
D’altronde, le contraddizioni della Modernità che stanno esplodendo ora, e, in particolare, quelle della “democrazia” occidentale, erano già iscritte fin dall’ inizio nel suo DNA. Per esempio, pur parlando di democrazia, lo stessoGeorge Washington ne criticava già, in nome del “Repubblicanesimo”, gli aspetti fondamentali: i partiti, il voto popolare e lo spirito di parte.
Il punto è che la democrazia è per sua natura illiberale. Mentre il liberalismo è un’ideologia tipica dell’ aristocrazia del ‘700 che lottava contro lo Stato assoluto inneggiando alla “liberalità” dei signori (pensiamo a Rochefoucauld), la democrazia è quella deriva delle antiche Poleis, denunziata fin da Omero (Tersite), per passare a Socrate, Aristotele e lo “Pseudo-Senofonte”, che le aveva portate ad essere dominate da un pathos plebeo, dalla demagogia, dall’“oclocrazia”(l’”apistos demos” di Aristotele), e, infine, dalla tirannide (i Trenta Tiranni). E che altro è il “trumpismo” (o il “populismo”:la “pancia” del popolo), se non lo spirito plebeo elevato a virtù civica, in quanto la più pura espressione del “popolo” tanto esaltato negli ultimi 200 anni?
“Democrazia illiberale” è un termine assolutamente equivoco, sia se usato in senso dispregiativo, sia usato in senso elogiativo, perché, nell’attuale gergo americaneggiante, tanto “democrazia” quanto “liberale” designano il contrario di quanto avevano significato per almeno mezzo secolo in Europa (per esempio, in “Democrazia Cristiana” e “Partito Liberale”). D’altronde, la traduzione del l’omonimo libro di Zakaria parla giustamente di “democrazia senza libertà”, che ben si attaglia a praticamente tutti gli Stati attuali. Sarebbe forse meglio parlare di “sistema carismatico-rappresentativo”, in quanto esso tenta di conciliare l’esigenza di un leader, provocata dalla mobilitazione generale mondiale, con le forme giuridiche della democrazia rappresentativa (così come, nel Principatus augusteo, l’esigenza di un principe provvidenziale veniva conciliata con le forme tradizionali del cursus honorum repubblicano)
Del resto, vi è sempre stato un legame fra “mobilitazione generale” e idolatria del “popolo”, che è quello che, come ben studiato da Jünger, aveva portato ai totalitarismi del 20° Secolo. L’unico modo per por fine alla mentalità da mobilitazione generale è far finire la Terza Guerra Mondiale, rendendo nuovamente possibile, all’interno di ciascuno dei blocchi concorrenti, una forma di pluralismo, non più accusabile di “intelligenza con il nemico”. Vediamo se Trump ne sarà veramente capace.
Questa situazione smentisce in modo definitivo la credenza che, nel XXI° secolo, possano avere ancora una qualche utilità le categorie di “Destra” e di “Sinistra”, ma anche di “Democrazia” e “Autocrazia”, essendo restata in campo solo la distinzione fra “governo degli algoritmi” (come quello che si è instaurato in America grazie alla convergenza delle azioni di Eric Schmidt e di Elon Musk) e il (almeno più “umano”) “governo del leader” (come quelli di Cina, Russia, India, Turchia..).
In questo contesto, l’Europa, disabituata a pensare dall’egemonia del “pensiero unico”, non sa più come orientarsi. Perfino coloro che, per un motivo o per l’altro, amerebbero defilarsi dal Governo delle Macchine Intelligenti, dell’America e della NATO, sono in seria difficoltà, visto che c’è una corsa sfrenata da parte di tutti ad accattivarsi la coppia, ormai onnipotente, “Trump-Musk”, mentre le effettive intenzioni di Trump non sono ancora neppure note. Come ha affermato sprezzantemente Putin, “ciò che manca all’ Europa sono i cervelli”.
La vicenda Trump-Musk dimostra almeno quanto siano ancora diverse l’Europa e l’America.
2.Il ruolo di Elon Musk nell’amministrazione Trump
Come anticipato, vogliamo qui concentrarci però su quella che appare come la vera novità del secondo mandato di Trump, il quale forse ha vinto in questo modo schiacciante non già per l’appoggio di nuove correnti di opinione o all’ “endorsement” di autorevoli “opinion leader”, bensì grazie a un impero finanziario e tecnologico -quello di Musk- che già domina l’Occidente, sui mercati dei media, delle biotecnologie, dell’ intelligenza artificiale, dello spazio, dell’ autoveicolistica, delle telecomunicazioni, essendo così in grado di pilotare l’intera società americana e di mettere in ombra gli stessi GAFAM “minori”. E, difatti, Musk ha messo a disposizione di Trump un congruo numero di miliardi, di cui una quota precisa dedicata al voto di scambio, oltre che l’accesso senza limiti e senza censura alla piattaforma “X”, quella che era stata un tempo Twitter, e che Musk ha comprato. Gli mancava solo il timbro di “Direttore tecnico degli Stati Uniti”,cosa che oramai sembrerebbe avere. Infine, è lui il migliore intermediario con Zelenskij, perché buona parte dell’ esito della guerra dipende dalla disponibilità, o meno, della rete Starlink.
Si è superato perfino il concetto marxiano di “Comitato d’affari della borghesia”: l’Amministrazione americana è il dominio privato di due imprenditori-soci, dei quali l’uno, il Presidente e il “junior partner”, anche se rappresenta formalmente lo Stato, ma l’altro, da “CEO”, controlla l’intera società, realizzando così il sogno tecnocratico di Saint-Simon. Altro che “conflitto di interessi”!
Il gigante aerospaziale SpaceX eTesla di Musk sono entrambe tra le aziende che valgono di più al mondo al mondo. SpaceX è la seconda più grande azienda privata al mondo, con una valutazione di 210 miliardi di dollari. La società di veicoli elettrici Tesla è la decima società quotata, con una capitalizzazione di mercato di oltre 900 miliardi di dollari.
Musk ha una quota del 42% in SpaceX e una quota del 13% in Tesla, e ha anche quote di controllo in X, la piattaforma precedentemente nota come Twitter, e nella startup di intelligenza artificiale generativa xAI. Musk è di gran lunga la persona più ricca del mondo, con un patrimonio netto di circa 280 miliardi di dollari, più di 60 miliardi di dollari in più rispetto al secondo uomo più ricco, il fondatore di Amazon Jeff Bezos.
Ma, soprattutto, Musk incarna nel modo più trasgressivo la “hybris” del Postumanesimo, nei suoi aspetti più inquietanti: l’Intelligenza Artificiale Generativa, le microchip nel cervello, i twitter senza alcuna moderazione, la colonizzazione privata dello spazio, la disoccupazione tecnologica, la maternità surrogata.
In effetti, il progetto di Musk, cioè quello di ufficializzare il controllo dei GAFAM sullo Stato americano, e, con ciò, sull’ Occidente, non è nuovo. Esso era stato teorizzato da Schmidt e Cohen nel loro libro “The New Digital Age”, concepito dai due autori nel 2003, nella Baghdad ridotta in cenere ed occupata dall’ esercito americano, in cui si suggeriva che Google avrebbe dovuto sostituire la Lockheed nel guidare l’America alla conquista del mondo (“Googleization of the World”). Ed è stato criticato da Evgeny Morozov quale ultimo tentativo, da parte di una civiltà fallimentare, per bloccare l’esito della Storia, che, di per sé, starebbe voltando le spalle all’ Occidente.
Sempre Schmidt aveva incominciato a mettere in pratica quel progetto, con la creazione di NSCAI, la commissione incaricata dal Congresso di elaborare una strategia per contrastare il superamentodegli USA da parte della Cina, da cui nacque l’Inflation Reduction Act, con cui il Senatore Schumer si proponeva di “mettere fuori mercato il mondo intero”.
Ora, è stata colmata una lacuna nel progetto, perché Musk (anche se aborre la California, preferendole il Texas) sta non soltanto teorizzando, bensì incarnando nella propria persona, la “ideologia californiana”, che fonde cultura nichilista e intelligenza artificiale, politica tecnocratica e monopolio universale.
Facendo ciò, egli ha dato un significato concreto all’ ideologia M.A.G.A., oscillante vagamente fra l’isolazionismo e il nazionalismo.
3.Il “programma di governo” di Musk
Musk, nonostante che provenga dal campo progressista e abbia sostenuto Trump solo da luglio, ne è divenuto ormai il compagno inseparabile, perfino nei colloqui con Zelenskij, anche se è improbabile che assuma un ruolo ufficiale. Egli ha, inoltre, affermato che “non è necessario alcun compenso, alcun titolo, alcun riconoscimento” per i suoi servizi (ampiamente compensati evidentemente dalla possibilità di difendere dall’ alto i propri interessi), guidando un “Dipartimento per l’efficienza governativa” (D.O.G.E.) che Trump ha pubblicizzato come “Segretariato per la riduzione dei costi”, con l’obiettivo di tagliare da 2.000 miliardi di dollari o più dal bilancio federale (evidentemente subappaltando funzioni pubbliche alle multinazionali del web, e, in primis, a quelle di Musk, che è già l’insostituibile fornitore dell’ Amministrazione). In un’intervista al podcastJoe Rogan Experience ha detto che spera di “sgomberare il ponte” da regolamenti e agenzie federali indebiti e “ridurre le agenzie [federali] per renderle molto più piccole….assicurarsi che …si attengano a ciò che il Congresso ha autorizzato”.
D’altra parte, le aziende di Musk sono al lavoro anche in Italia per darsi assegnare (vedi scandalo S.O.G.E.I.) delle commesse strategiche, nell’outsourcing dei servizi pubblici, con le quali anche il nostro Paese diventerà dipendente da Musk per il funzionamento stesso dello Stato, così come stafacendo in America, e come avevano già fatto le Istituzioni europee con Microsoft.
Quali siano le sue intenzioni lo ha dimostrato ancora il 13 novembre, con un post sulla sua piattaforma dedicato alle sentenze dei giudici italiani (ed europei) circa i “paesi sicuri”. La forma e il contenuto del post costituiscono un esempio ineguagliato delo stile di Musk, che interviene non sollecitato su una vicenda giudiziaria italiana ed europea, indicando una soluzione, le dimissioni dei giudici, che è agli antipodi, non solo dell’ ordinamento italiano, ma anche sull’ “ordine giuridico basato sulle regole” di cui l’ America si fa vanto. Per quanto sia pericoloso, e/o sgradito, essere sommersi da immigranti che porteranno anche da noi l’insanabile contraddizione americana fra “Whites” e “Non-Whites”, ancor peggio è essere governati contra legem da Washington da un informatico sud-africano, quasi fossimo un “bantustan” qualunque. Questo dimostra plasticamente che cosa dovrebbe impedire l’ “autonomia strategica” italiana ed europea.
Musk ha affermato inoltre che, dopo queste elezioni, non ha alcuna intenzione di smettere di pesare sulla politica. Il suo super comitato di azione “continuerà dopo queste elezioni e si preparerà per le elezioni di medio termine e per eventuali elezioni intermedie”, evidentemente tentando anche di interferire nelle politiche interne degli “alleati”, come faceva già Bannon. Fortunatamente, Trump si era presto stancato di quell’ alleato scomodo.
4. Musk e l’Antitrust
L’idea che il più grande monopolista del mondo sia incaricato dal Presidente di ristrutturare lo Stato americano mette una fine definitiva dell’illusione che la “destra” sia favorevole al libero mercato. E’ come incaricare il lupo di guidare una mandria di agnelli. Il che è per altro logico, perché la “destra” trumpiana non è liberista, bensì interventista nell’ economia, ma nell’ ottica attuale della mobilitazione bellica, secondo il collaudato modello del “keynesismo militare”, applicato negli Stati Uniti di Roosevelt, nella Germania nazista e oggi nella Russia di Putin. Il ruolo degli imprenditori è quello di “oligarchi”, fedelissimi del “leader” che possiedono le imprese, ma le gestiscono secondo le esigenze della programmazione bellica (pensiamo per esempio alla programmazione di Todt e di Speer e alle Reichswerke Hermann Göring).
Come ovvio, Musk si è scontrato spesso con i regolatori dell’amministrazione Biden. La FTC guidata da Khan ha colpito X, allora nota come Twitter, con unamulta di 150 milioni di dollari, e ha ordinato restrizioni sui metodi di raccolta dati per la pubblicità della società di social media per la pubblicità. La SEC guidata da Gensler si è scontrata con Musk per il suo uso di Twitter nel contesto del suo ruolo in Tesla, risalente a un controverso tweet del 2018 in cui Musk ha affermato di aver ottenuto i fondi necessari per rendere privata la Tesla.
Ci sono poi una serie di cause legali in sospeso e indagini governative contro Musk e le sue aziende, che naturalmente apprezzerebbe il clima normativo più leggero lanciato da Trump. Tra le questioni legali e normative che Musk deve affrontare ci sono un appello per ripristinare il suo bonus da 50 miliardi di dollari in azioni Tesla, annullato da un giudice del Delaware a gennaio, un’indagine sui sistemi di guida autonoma di Tesla da parte della National Highway Traffic Safety Administration e un avvertimento segnalato dal Dipartimento di Giustizia sui premi da 1 milione di dollari dell’American PAC ad alcuni elettori di stati indecisi.
Tesla, che rappresenta la maggior parte della ricchezza di Musk rispetto a qualsiasi altra sua azienda, sta già ricevere una formidabile spinta dalle proposte economiche di Trump che probabilmente danneggerebbero i suoi concorrenti di veicoli elettrici, un vantaggio che si è tradotto nel rally delle sue azioni mercoledì, fatto che ha già fatto aumentare il valore delle azioni di Tesla fino a un trilione di dollari.
Al diavolo il conflitto di interessi!
Eppure, la resa incondizionata degli Stati ai guru dell’informatica non sarebbe in teoria affatto inevitabile. Lo dimostra il caso della Cina.
5.Il precedente di Jack Ma
Ricordiamo che uno scenario analogo si era prodotto recentemente in Cina, dove esistono multinazionali digitali che, seppure presenti solo in quel Paese, hanno dimensioni analoghe a quelle americane (i “BAATX”). Questo è uno degli aspetti più appariscente della presunta defezione della Cina verso il capitalismo, sulla quale non concordiamo, perché, tecnicamente, il socialismo non è la statizzazione di tutta l’economia, bensì “il controllo sociale sui mezzi di produzione”, che è ciò che si sta realizzando in Cina attraverso meccanismi giuridici complessi, comprendenti anche il mercato.
Anche Jack Ma aveva creato un impero privato simile a quello di Musk (oltre ad assumere atteggiamenti spettacolari ricalcati su Musk, come quando si era presentato ai dipendenti vestito come Michael Jackson.).
Nel frattempo, la Cina aveva approvato a tempo di record una serie di leggi sull’ ICT ispirate a quelle europee, ma più concrete e applicabili, in base alle quali tutte le multinazionali cinesi si sono viste esposte a una pioggia di sanzioni, in quanto, come le loro colleghe occidentali, intralciano continuamente la concorrenza, trascurano la privacy, ecc…(il “Crackdown sui BAATX”).
Quando Ma aveva lanciato una campagna di stampa contro il sistema bancario cinese, che gli negava quel sostegno finanziario che invece Musk ha in Occidente, per trasformare il suo impero industriale e tecnologico cinese in un impero finanziario mondiale, è stato arrestato e detenuto per alcuni mesi, finché ha rinunziato ai ruoli operativi nelle sue società, trasferendosi all’ estero e limitandosi a incassare i dividendi dovutigli in quanto socio di minoranza delle società stesse.
7.Trump e i conservatori
Un altro “miracolo” di Trump è stato quello di trasformare i conservatori, da sempre considerati “dei pariah” della politica, specie europea, in protagonisti ambiti delle politiche nazionali e della UE.
Grazie a ciò, l’”accoppiata” Trump-Musk ha indebolito con una duplice mossa un probabile ostacolo al dominio mondiale dei GAFAM: la resistenza in nome dell’umano al “Governo degli algoritmi” di Musk, così simile al “Governo delle Regole” tanto caro al liberalismo di sinistra. Questa resistenza non potrà venire se non da ambienti “lato sensu” conservatori, come per esempio le Chiese. Probabilmente, la coppia Trump-Musk spera che, essendole essi grati per averli fatti uscire dai loro ghetti, vari tipi di “conservatori” lascino per un momento da parte le loro legittime ragioni ideali, che concettualmente li opporrebbero al “governo delle macchine” – chi per orgoglio nazionale, chi per umanesimo, che per difesa della libertà-…, e “lavorino” come si dice oggi, con la coppia Trump-Musk e con gli altri grandi soggetti geopolitici modo da non contrastare, bensì da agevolare, il progetto della “Singularity Tecnologica”. Ricordiamoci che Musk, come persona, tiene comportamenti ricalcati sui grandi transumanisti, come Ray Kurzweil e l’iraniano Fereidun Esfandiari. Quest’ultimo (il cui nome originario era la traduzione in Farsi, di quello del Salvatore dell’ Avesta, Thraetona) aveva fatto modificare all’ anagrafe il proprio nome e cognome in FM-2030, anno in cui, secondo i transumanisti, sarebbero state curate certe malattie, come quella al pancreas di cui egli sarebbe morto dopo poco, e, contestualmente, s’ era fatto ibernare. Ebbene, anche Musk, oltre a fare ricosto alla gestazione surrogata, ha chiamato il proprio figlio “X Æ xii” (quasi fosse un nuovo modello di macchina).
La battaglia politica che, fino ad oggi, si era svolta essenzialmente all’ interno dei “parametri utopico-liberali” di Ursina (anche la Democrazia Cristiana, e perfino il Fascismo, erano a loro modo stregati dal mito del Progresso), oggi lo spazio concettuale entro cui si combatte per l’egemonia politica mondiale è sostanzialmente “conservatore” (dall’interpretazione delle varie religioni e tradizioni nazionali a quella del mito moderno del Superuomo, fino ai critici moderni della Modernità: Ricci, Ibn Khaldun, Nietzsche, Dostojevskij, Huxley, Dumont, Teilhard de Chardin, Burgess, Compagnon).
Come scrive sempre Orsina, “l’ordine utopico-liberale non abbia saputo mantenere le sue promesse e … il suo fallimento ne abbia fatto emergere chiaramente i consistenti tratti di disumanità, l’affidarsi a un esistente essere umano e astratto. Disincantato, decontestualizzato, perfettamente morale e perfettamente razionale”. In sostanza, si è compiuta la Dialettica dell’ Illuminismo descritta da Horkheimer e Adorno.
E’ all’ interno di quest’ ampio spazio politico e culturale (l’unico rimasto oggi relativamente vivo al di fuori del postumanesimo) che si può, e si deve, ora, lanciare una battaglia sulla preservazione dell’ Umano, sulla libertà minacciata, sulla pace nel mondo, sul ruolo delle classi sociali, dei popoli e dei Continenti…). Se necessario, contro tanti falsi “conservatori” che operano come apripista per la Singularity Tecnologica e per il “Governo degli Algoritmi”. Tale critica al progetto post-umanista non dev’essere preconcetta, bensì partire dalle sue (per quanto discutibili) radici storiche :ilMistero dell’ Incarnazione, l’“Antiquatezza dell’Uomo”, il mito dell’ Eterno Ritorno...
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“Un giorno, a Mirafiori torneranno a crescere i fiori”
(Edoardo Agnelli)
Gli attuali scontri e polemiche intorno all’eredità degli Agnelli e alla crisi di Stellantis, per quanto di per se stessi rilevantissimi e interessanti, costituiscono soprattutto un’ottima occasione per riflettere sui rapporti fra cultura e tecnica. In effetti, la FIAT ha avuto un ruolo così centrale nella configurazione di Torino e dell’Italia, che la sua vera e propria sparizione non può non lasciare perplessi circa molte delle “Grandi Narrazioni” in cui siamo vissuti immersi: quella del Progresso, quella dell’industrialismo, quelle del Capitalismo e del Socialismo, quella dell’Imprenditore, quella della classe operaia, quella della società opulenta.
Ma prima occorre ripercorrere i momenti salienti della storia di Torino e della FIAT, nonché dell’ attuale crisi dell’ industria automobilistica in Europa, ai quali questo post è dedicato, riservandoci di svolgere in altra sede le nostre considerazioni più generali sui temi di cui sopra.
1.Duemilacinquecento anni di storia di Torino (cfr. il nostro “Intorno alle Alpi Occidentali/Autour des Alpes Occidentales”).
Nonostante che Torino sia oramai identificata, nei luoghi comuni, con l’industria automobilistica, in realtà la nostra “parentesi FIAT” è durata non più di un secolo, mentre le tradizioni millenarie della città sono soprattutto militari (Giulio Cesare, Emanuele Filiberto, Eugenio di Savoia, Vittorio Emanuele II), religiose (Claudio di Torino, i Valdesi, Don Bosco, Papa Bergoglio) e culturali (Alfieri, Nietzsche, Michels, Gramsci, Gobetti, Einaudi,Olivetti, Galimberti, Pavese, Del Noce). Anche senza la FIAT, Torino sarebbe quindi rimasta una grande città europea.
Già nel III secolo a.C. era presente nell’area torinese un grande villaggio, probabilmente collocato alla confluenza dei fiumi Po e Dora, che si sarebbe chiamato Taurasia (o, per altre fonti, Taurinia), che, nel 218 a.C., fu distrutto da Annibale.
Nel 58 a.C. Cesare, allora proconsole, fece insediare nell’area un accampamento militare, come posizione strategica per la via delle Gallie, per poi ampliarlo nel 44 a.C. (anno della sua morte) a una prima colonia, chiamata Iulia Taurinorum, inaugurandolo con un sacrificio i cui resti sono ancora conservati (ma, chissà perché, non esposti) dal Museo Archeologico. Tuttavia, la definitiva fondazione della città avvenne grazie al suo figlio adottivo Ottaviano Augusto, primo imperatore romano, che, intorno al 28 a.C., vi dedusse una seconda colonia, ”), col nome di Augusta Taurinorum, il cui impianto urbano a castrum sarà quello che ancora adesso è rilevabile nella parte antica della città (il “Quadrilatero Romano”).
Intorno all’800, il vescovo Claudio di Torino sostiene tesi iconoclastiche.Dal 1280 al 1418, Torino fa parte dei feudi degli Acaia. Nel 1404: Ludovico di Savoia-Acaia promuove la formazione di un centro di insegnamento superiore, su sollecitazione di alcuni “magistri” fuggiti dalle sedi universitarie di Pavia e Piacenza. Nel 1506, Erasmo da Rotterdam consegue a Torino la laurea in Teologia.
Nel 1562, Emanuele Filiberto, vittorioso a San Quintino, trasferisce a Torino la capitale e dichiara l’Italiano lingua ufficiale nei feudi orientali del Ducato di Savoia.
Nel 1706, Torino sfugge, con l’apporto del Principe Eugenio, all’ assedio dei Francesi, e viene a fare parte del Regno di Sardegna (la cui capitale resta però Sassari, mentre la corte risiede a Torino, almeno fino alla conquista francese).
Nel 1800, Torino viene annessa all’ Impero Napoleonico.
Nel 1821, ufficiali piemontesi ribelli diedero inizio a un’insurrezione issando la bandiera tricolore per la prima volta nella storia risorgimentale presso la cittadella di Alessandria, insieme a quella carbonara, seguiti subito dopo dai presidi di Vercelli e Torino. In quell’occasione fu emesso da parte dei generali insorti il famoso Pronunciamento, un proclama con il quale si decise l’adozione di una Costituzione, improntata su quella spagnola di Cadice del 1812
Il nuovo sovrano Carlo Felice revocò la Costituzione.
Nel 1854,il Regno partecipa alla Guerra di Crimea
Nel 1859: Seconda Guerra d’indipendenza, e,nel 1861, Torino diviene capitale del Regno d’Italia
Nel 1862, Luserna di Rorà diventa sindaco di Torino. Durante il suo mandato, la città perde il ruolo di capitale, che nel 1864viene assegnato a Firenze. La notizia provoca accese proteste, che sfociano in una manifestazione in Piazza San Carlo, davanti alla sede della Prefettura, che vengono represse nel sangue, con ben 52 morti fra la popolazione civile.Per la città inizia un periodo difficile,paragonabile agli anni che stiamo vivendo ora, per una perdita, non soltanto di prestigio, ma anche di posti di lavoro: solo nel primo anno, Torino perde 32.000 dei suoi 224.000 abitanti.
Luserna di Rorà rifiuta l’indennizzo offerto dal governo italiano, e avvia un intenso programma di industrializzazione che sarà seguito anche dai suoi successori, e contribuirà a portare Torino all’avanguardia dell’industria italiana (cfr. Albina Malerba, Gustavo Mola di Nomaglio, Roberto Sandri-Giachino ,a cura di, Prove di Risorgimento su uno scenario europeo. Emanuele Luserna di Rorà. La famiglia e il suo tempo da Bene Vagienna a Torino all’Italia, Centro Studi Piemontesi, Torino 2008),
1866: Terza Guerra d’Indipendenza
1888: Nietzsche a Torino scrive “L’Anticristo”, “Il crepuscolo degli idoli” ed “Ecce Homo” .Sempre a Torino, il 3 gennaio 1889 avviene il suo crollo mentale: mentre si trova nei pressi del suo alloggio in piazza Carignano, vedendo un cavallo che traina una carrozza fustigato a sangue dal cocchiere, abbraccia l’animale, piangendo e baciandolo.
Il 9 gennaio 1889, l’amico Franz Overbeck, allarmato dai contenuti delle ultime lettere e preoccupato per il suo crollo psichico, lo porta in treno a Basilea.
2.Momenti salienti della storia della FIAT
La Fiat era divenuta, nel corso del XX Secolo, non solo il maggior gruppo economico italiano, ma anche il simbolo delle civiltà industriale. Per questo, la sua vera e propria scomparsa costituisce oggi un presagio del superamento della società industriale e delle sue mitologie.
Viene fondata a Torino l’11 luglio 1899 (sei mesi dopo la pazzia di Nietzsche), in un periodo di vivace espansione industriale della città. Il primo stabilimento viene inaugurato nel 1900 in Corso Dante; vi lavorano 35 operai e vi si producono24 autovetture. Il presidente della società è Ludovico Scarfiotti, mentre Giovanni Agnelli è segretario del Consiglio. Giovanni Agnelli nel 1902 diviene amministratore delegato. Dal 1903 la Fiat viene quotata in borsa e sorgono nuove società con funzioni specifiche: Società Carrozzeria industriale, Fiat Brevetti, S.A. Garages Riuniti Fiat-Alberti-Storero. Gli stabilimenti Fiat, accanto alle auto per uso civile e per competizione, producono veicoli industriali, motori marini, autocarri, tram, taxi, cuscinetti a sfera. Il 23 giugno 1908 Giovanni Agnelli divenuto dal 1906, a seguito di un aumento di capitale, azionista di maggioranza della Fiat, venne denunciato dal questore di Torino per “illecita coalizione, aggiotaggio in borsa e falsi in bilancio”. Nel 1913, Agnelli sarà assolto.
Nel 1911: Guerra italo-turca.
1915: Prima Guerra Mondiale. Inizio della progettazione dello Stabilimento del Lingotto.
Con lo scoppio della guerra, grande sviluppo ha la produzione di camion militari, di aerei, di autoambulanze, di mitragliatrici e di motori per sommergibili. La FIAT crea a Mosca la FIAT-Izhorski, che fornisce carri armati allo Stato russo, prima impero, poi Repubblica sovietica, oltre ad altri diversi eserciti europei.
La fabbrica del Lingotto, la più grande d’Europa, diventerà rapidamente il simbolo dell’industria automobilistica italiana, un modello di architettura futuristica e una delle immagini più note della stessa città di Torino.In quegli anni, la Fiat amplia le proprie attività nel settore siderurgico e ferroviario, in quello elettrico e nel campo delle linee di trasporto pubblico
Alla Grande Guerra segue un decennio di estrema complessità e di profonde trasformazioni. Ne viene coinvolta anche la Fiat, le cui fabbriche vengono occupate dagli operai nel settembre 1920 (il “Biennio Rosso”). Nel novembre dello stesso anno Giovanni Agnelli diviene presidente del consiglio di amministrazione. Nel1922: Marcia su Roma
Nel 1923, entra in funzione il nuovo stabilimento del Lingotto.Fiat dà vita alla SAVA, società di credito al consumo, con lo scopo di favorire la vendita rateale delle automobili. Cresce la partecipazione a società italiane e straniere e nasce l’IFI (Istituto Finanziario Industriale) per coordinarne la fitta rete. Nel 1924 incominciano ad operare gli impianti di Mosca per la costruzione di automobili e di camion su licenza Fiat. Per conto delle Ferrovie dello Stato viene organizzata, per la prima volta al mondo, la costruzione in serie di automotrici elettriche e diesel. Nel 1928, Vittorio Valletta è nominato direttore generale.
Nel 1934 viene progettata una vettura di piccola cilindrata: la 508 chiamata “Balilla”. Ne saranno prodotte 113.000 unità, con una versione sportiva (508 S) ed una a quattro marce (71.000 unità).
Nel 1936, esce la Fiat 500 “Topolino”, disegnata da Dante Giacosa: da quell’anno al 1955 se ne produrranno 510.000 esemplari. A conferma dell’orientamento verso la produzione di massa, nel 1937 iniziano a Torino i lavori per la costruzione dello stabilimento di Mirafiori. Inaugurato da Mussolini il 15 maggio 1939, ospita 22.000 operai su due turni, i dipendenti Fiat in quegli anni sono circa 55.000. Nel 1945 muore il senatore Giovanni Agnelli e nel luglio del ’46 Vittorio Valletta assume la presidenza della Fiat. I finanziamenti del piano Marshall nel 1948 consentono di completare la ricostruzione degli impianti. Il personale passa da 55.674 a 66.365, gli utili, stazionari nel corso della guerra, azzerati dopo il 1943, e in perdita nel 1946, ricominceranno a crescere nel 1948. La ripresa produttiva postbellica vede l’uscita della Fiat 500 B berlinetta e giardinetta, dei modelli 1100E e 1500E, e di una vettura a carrozzeria portante, la Fiat 1400. Continua la ricerca nel campo dei motori marini e aerei, e nel 1951 è prodotto dalla Sezione Velivoli il primo velivolo militare italiano a reazione : il G 80. Nel 1956, il G 91 di Fiat, progettato dal team dell’ Ingegner Gabrielli vince un concorso NATO per la produzione di un caccia tattico.
Nel 1955 è presentata la Fiat 600, utilitaria di cui saranno costruite oltre 4.000.000 di unità. Segue due anni dopo, la Nuova 500 che raggiungerà i 3.678.000 esemplari. Il numero complessivo dei dipendenti passa in questo decennio dai 70 agli 80.000, la produzione passa dalle 70.800 autovetture del 1949 alle 339.300 del 1958.
Tra il 1956 e il 1958, si conclude il raddoppio degli stabilimenti di Mirafiori, che alla fine degli anni 60 arriverà a toccare la cifra di oltre 50 mila lavoratori. Si sviluppa la produzione di trattori agricoli e di macchine movimento terra. Nascono nuovi stabilimenti in Sudafrica, Turchia e Jugoslavia, Argentina e Messico. Le attività di impianti e costruzioni edili di Fiat coordinate dalla Impresit conoscono un forte sviluppo internazionale: l’impianto elettrico di Kariba sullo Zambesi, la diga di Dez in Iran e quella di Roiseires sul Nilo blu in Sudan, il salvataggio dei tempi egizi di Abu Simbel, la galleria autostradale del Gran San Bernardo.
Nel decennio compreso tra il 1959 e il 1968 la produzione Fiat passa da 425.000 a 1.751.400 autovetture, e il rapporto tra numero di abitanti e numero di autovetture passa da 96 a 28 abitanti per ogni auto. Anche le esportazioni conoscono una forte crescita: da 207.049 autovetture a 521.534 Aumentano inoltre la produzione di veicoli commerciali, da 18.968 a 68.200, e quella di trattori, da 22.637 a 52.735. Il personale raddoppia: da 85.117 dipendenti, passa a 158.445, con un incremento più accentuato degli operai rispetto agli impiegati.
Nel 1964 nasce la Fiat 850, nuova utilitaria di vasta diffusione cui seguono ben presto altri modelli di cilindrata superiore: la 124 e la 125 che assumeranno nel 1968 il marchio Fiat a rombi, ancora oggi utilizzato. 1966: Costruzione di Togliattigrad, la città-fabbrica in URSS. Nel 1966, Giovanni Agnelli, nipote del fondatore, diviene presidente della Società.
Viene deciso il potenziamento della presenza Fiat nel Sud, che già si era articolata attorno agli impianti di Reggio Calabria, Bari, Napoli. Si avvia così la realizzazione degli stabilimenti di Termini Imerese, Cassino e Termoli, per la produzione di autovetture, e di Sulmona, Lecce, Brindisi e Vasto. Al boom economico fa seguito un lungo periodo di assestamenti sociali: il 1969 è l’anno in cui la conflittualità aziendale raggiunge il culmine, con un totale di 15 milioni di ore di sciopero. L’ondata di conflittualità ha pesanti ripercussioni sui livelli di redditività aziendale.
Nasce nel 1971 la 127, la prima Fiat a trazione anteriore. La vettura incontra molto successo di mercato e alla fine del 1974 sarà prodotta la milionesima 127. Crisi petrolifera e innovazione tecnologica spingono verso una crescente automazione dei processi produttivi: già nel 1972 entrano in funzione a Mirafiori i primi 16 robot nella linea di produzione del modello 132, e nel 1974 quelli di Cassino. Nel 1978 nasce “Robogate”, il nuovo sistema robotizzato e flessibile di assemblaggio delle scocche, attivo negli stabilimenti di Rivalta e di Cassino, realizzato da Comau che diventerà ben presto leader mondiale
Nel 1978 avviene la fusione per incorporazione della Lancia Spa in Fiat Spa, rimane il marchio Lancia per la commercializzazione. Nel 1979, il settore Auto si costituisce in società autonoma di cui Giovanni Agnelli è presidente e comprende i marchi Fiat, Lancia, Autobianchi, Abarth e Ferrari. Il marchio Ferrari era già stato acquisito nel 1969 al 50%, quota che salirà poi all’87%.
Alla fine degli anni ’70, Fiat si consolida in una struttura a holding. Le molteplici attività produttive, che nel lungo periodo di Valletta erano distribuite in sezioni, costituiscono società autonome che si ripartiscono in Settori. Nel 1980, Cesare Romiti, entrato alla Fiat come direttore finanziario nel 1974, diviene amministratore delegato del Gruppo. Grandissimo sviluppo conoscono in questo periodo sia la Fiat Ferroviaria che l’Iveco. Fiat Ferroviaria progetta avanzate tecnologie con carrelli a ruote indipendenti e ad assetto variabile che porteranno alla produzione del Pendolino, treno ad alta velocità con cui si aggiudicherà importanti commesse in molte nazioni europee. Iveco diventa il marchio internazionale in cui confluiscono le attività di produzione dei veicoli industriali. Il marchio Iveco comprende Fiat, Om, Lancia, Magiruz, Unic e lo spagnolo Pegaso dal 1991.
Nel1980, “Marcia dei 40000” contro il predominio dei sindacati
Nel 1983 viene presentata la Uno. Ne saranno prodotte 6.272.796 unità. L’anno seguente la Fiat Auto Spa acquisisce l’Alfa Romeo Spa e le sue consociate, mentre nel 1993, con il prestigioso marchio Maserati, ai raggiunge l’attuale composizione dei marchi auto. Continuano a crescere gli accordi internazionali per la produzione su licenza Fiat e le partecipazioni societarie, sviluppando in modo particolare le attività industriali nel campo delle telecomunicazioni e le attività industriali nella componentistica. In quest’area, attraverso un programma di acquisizioni e scorpori, viene data attuazione ad un nuovo assetto organizzativo che porta Magneti Marelli ad assumere nel 1987, attraverso UFIMA, il ruolo di holding industriale con funzioni di governo e controllo di oltre 60 imprese in tutto il mondo. Con la diffusione dell’elettronica, la componentistica viene o a giocare un ruolo determinante nello sviluppo del mezzo di trasporto privato. Nel 1991 inizia la costruzione di nuovi stabilimenti a Pratola Serra e a Melfi. Il Gruppo Fiat affronta la crisi dei primi anni ’90 con l’ampliamento della presenza internazionale che le consente di realizzare più del 60% del fatturato fuori Italia.
Con l’acquisizione, nel 1991, delle attività trattoristiche ed agricole della Ford Motor Co, il settore delle macchine di movimento terra si internazionalizza assumendo il marchio New Holland. Nel 1993 si accorda con la Hitachi Co Machinery Ltd ed estende le joint venture esistenti, giungendo così ad essere uno dei principali produttori mondiali con circa il 20% della produzione globale. Iveco stabilisce joint venture e attività produttive in India e in Cina per la produzione dei veicoli leggeri Daily. Il 28 febbraio 1996, Cesare Romiti subentra come presidente, funzione che svolgerà fino al 1998, quando gli succederà l’avvocato Paolo Fresco. Paolo Cantarella viene nominato amministratore delegato. L’auto innovativa di questi anni è la Fiat Punto
A partire dal settembre 1997, la Capogruppo lascia corso Marconi per trasferirsi nella storica palazzina Fiat del Lingotto, nel comprensorio che nel frattempo si è trasformato in centro fieristico e congressuale. Gli stabilimenti in Brasile e in Argentina vengono ampliati, viene lanciata la Palio, una world car studiata per adattarsi a usi diversi e molteplici mercati. Ben presto Fiat diviene il maggior produttore in Brasile, Argentina, Polonia e Turchia.
In quel momento, quando la FIAT era un gruppo multidivisionale e multiprodotto di primaria importanza a livello mondiale, incomincia però un’opera di smantellamento dello stesso, assai più avanzata di quelli comunque in corso negli stessi anni nell’ industria europea a causa della posizione subordinata dell’ Europa sullo scenario geopolitico.
3.Lo smantellamento del Gruppo FIAT
Fra le due guerre mondiali, il motto della FIAT era stato, in coerenza con la politica imperialistica dell’ epoca: “terra, mare, cielo”.
Nel dopoguerra, anche in seguito a contatti riservati fra la direzione aziendale e il Governo americano, si operò con un profilo più dimesso, preparando perfino il terreno, con dismissioni come SIMCA, RIV e Sezione Velivoli, ad un’opposta politica di ridimensionamento del gruppo.
Nel 1985, una disputa con Ford sul controllo azionario, al quale questa non vuole rinunciare, offre a Cesare Romiti ottimi argomenti per convincere l’avvocato alla rinuncia ad un previsto accordo.
Una storia destinata a ripetersi nel 2000 quando l’offerta della Daimler Chrysler per l’acquisto di una Fiat Auto già minata da una crisi che sarebbe esplosa in tutta la sua gravità solo pochi mesi più tardi, viene sdegnosamente rifiutata. ll costruttore tedesco è pronto a conferire alla holding torinese il 12% delle azioni.
Nel 2000, Accordo con la General Motors, che si tramuterà in una vittoria del Gruppo nel 2005 grazie ad un’abile gestione del contratto da parte di Sergio Marchionne.
2002.Cessione della Fiat Ferroviaria
2003 Morte dell’ Avvocato Agnelli
2007 Accordo FIAT-Chrysler
L’intesa iniziale prevede la possibilità per Fiat di acquistare una quota del 35% di Chrysler, accompagnata da un’opzione per prendere il controllo della società, ed arrivare cosi a detenere il 55% in un momento successivo.
2009-2014: creazione della FCA. La sede di FIAT Auto è spostata in Olanda e i suoi centri direzionali divengono Londra e Dearborn.
2004: Vendita della FIAT Avio al fondo Carlyle.
2012: Morte di Marchionne
2014: Estinzione di FIAT spa
2015 Dalla fusione fra FCA e, nasce Stellantis, a trazione francese.La sede operativa viene trasferita a Parigi e l’Amminstratore Delegato è Tavares.
2019: Cessione della Magneti Marelli
2022: Operazione Militare Speciale. Cessione da Stellantis allo Stato russo dello stabilimento di Togliattigrad
2024: Chiusura della Maserati e cessione di Magirus (parte del gruppo IVECO)
4.Gli ultimi sviluppi
Nell’ambito della causa fra Margherita Agnelli e il figlio Alain Elkann, i difensori di Margherita hanno affermato che il ruolo di Presidente della Stellantis (e il controllo della Exor) potrebbe essere sottratto a John Elkann, per effetto dell’azione penale promossa dallo Stato. Queste parole sono contenute in una lettera dell’avvocato Dario Trevisan, legale di fiducia di Margherita Agnelli.
Al centro delle critiche di Trevisan e della sua assistita, c’è soprattutto Dicembre, società che controlla Exor e quindi Stellantis, Ferrari e Juventus. L’avvocato di John, Clark, sostiene che il controllo della Dicembre sarebbe “blindato” grazie a un atto notarile, firmato allo studio Grande Stevens il 24 marzo 1999, in cui si legge rebbe: “Qualora il signor Giovanni Agnelli mancasse o per qualsiasi ragione fosse impedito, l’amministrazione nella sua identica posizione con gli stessi poteri e prerogative sarà assunta dal signor John Philip Elkann”».
2024 Sequestro da 74,8 milioni per frode fiscale ai fratelli Elkann. Nel settembre 2024,la Procura di Torino, dopo un sopralluogo nelle case degli Elkann e nell’ufficio del commercialista Ferrero, ha emesso un provvedimento di sequestro nei confronti di John, Lapo e Ginevra Elkann Eredità Agnelli, sequestro da 74,8 milioni per frode fiscale ai fratelli Elkann. La difesa: «Ricostruzioni non condivisibili»
La Procura di Torino emette il provvedimento nei confronti di John, Lapo e Ginevra. Trovato memorandum per eludere il fisco: Irpef evasa per 42,8 mln
La presenza di un unico produttore su tutto il territorio nazionale aveva a rappresentato per mezzo secolo un’eccezione rispetto ad altri Paesi, come Germania e Francia, dove coesistono più gruppi. Tale anomalia è da ricondurre naturalmente al ruolo non solo industriale, ma anche e soprattutto politico che la Fiat aveva avuto in questo Paese. L’indotto che si è sviluppato intorno ai siti ex-Fiat è di conseguenza fortemente integrato con la produzione di questi stabilimenti, arrivando in molti casi a lavorare in monocommittenza per il gruppo italo-francese. Diventa quindi evidente che le dismissioni innescate da Stellantis non si fermano ai muri degli impianti della multinazionale, ma il loro impatto ha dei risvolti negativi per le tutte aziende che producono componentistica.
Lo stabilimento di Mirafiori è al suo diciassettesimo anno consecutivo di cassa integrazione, mentre a Pomigliano d’Arco la cassa integrazione durata quindici anni si è conclusa solo a inizio 2024, ma senza certezza alcuna per i prossimi modelli allocati.
Il crollo nella produzione di autovetture rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, -23,8%. A questo calo contribuiscono tutti gli stabilimenti di assemblaggio di auto, fatta eccezione per Pomigliano d’Arco, mentre Mirafiori e Melfi hanno dimezzato la produzione e Cassino registra un -40%.
Che esista un trend di delocalizzazione verso l’est Europa non è una novità: gli stabilimenti in Polonia e in Serbia sono in diretta competizione con i siti italiani per l’allocazione dei modelli produttivi ormai da tempo. Sia lo stabilimento di Tychy che quello di Gliwice si trovano nella Zona Economica Speciale (ZES) di Katowice, che avrebbe dovuto avere un carattere temporaneo, ma invece continua ad esistere. Gli sgravi fiscali, uniti ad un costo del lavoro molto più esiguo – in Polonia un operaio Stellantis guadagna intorno gli €800 al mese – rendono particolarmente attrattivi questi due siti industriali. Si è molto parlato anche del caso di Kragujevac, lo stabilimento serbo dove è attualmente in produzione la 500L e dove è stata assegnata la nuova ‘Pandina’ elettrica, grazie a €190 milioni di investimenti di cui €48 messi dal governo serbo. Anche qui, oltre al contributo pubblico negli investimenti, va notato che un operaio serbo guadagna circa €600 al mese.
La vera novità sembrerebbe rappresentata dal nuovo impulso di investimenti verso il Nord-Africa, nell’ottica di un’espansione nel mercato della regione. Nonostante i volumi dei siti in Algeria e in Marocco non siano ancora sostitutivi rispetto alle produzioni in Italia, gli investimenti sono stati ingenti, coerentemente con una politica di sfrenata compressione dei costi: lo stipendio medio di un operaio Stellantis in Marocco si aggira sui €320 al mese, mentre in Algeria €250 al mese. In Marocco, nella fabbrica di Kenitra, dove attualmente si produce la nuova Fiat Topolino e che in futuro vedrà la produzione della Fiat Multipla, Stellantis ha avviato €300 milioni di investimenti per allargare lo stabilimento con l’obiettivo di raddoppiare la capacità produttiva. Nello stabilimento algerino di Orano, aperto a fine 2023, si produce invece la Fiat 500 Hybrid, e sono stati di recente annunciati €200 milioni di investimenti.(cfr. Report Fim Cisl su dati produzione e occupazione 1° trimestre 2024, 5 aprile 2024. https://www.cisl.it/wp-content/uploads/2024/04/Stellantis-FIM-CISL-Report-produzione-I%C2%B0-Trimestre-2024).
5.La crisi della Volkswagen
Purtroppo, la crisi dell’ auto in Europa non è limitata, né alla FIAT, né al Gruppo Stellantis. Anche la VW, uno dei gruppi più forti del mondo, è in mezzo alla tempesta. I risultati economici sono deludenti, a causa del l’insieme della situazione geopolitica dell’ Europa: aumento del costo dell’ energia a causa delle guerre in corso; inflazione mondiale; blocco degli intercambi con i mercati più promettenti (Cina e Russia), su cui la Germania di Angela Merkel aveva scommesso, inadeguata programmazione delle transizioni ecologica e digitale, su cui la UE a traino tedesco aveva fortemente, ma maldestramente, puntato…
E’ in discussione non solo l’industria manifatturiera, bensì l’intero “Modell Deutschland”, di cui la Volkswagen, con la VW-Gesetz, costituiva la punta di diamante.(video”Stimmung äußerst eisig”, Annette Deutskens, NDR, zu den Tarifverhandlungen bei VW
Con o senza dazi, queste auto si faranno strada sulle strade europee perché il forte sostegno del governo centrale consente loro di proporre continuamente prodotti “freschi”.
Ma non tutto è perfetto neanche per questi marchi.L’immagine della Cina e dei suoi prodotti è ancora un problema in Europa e soprattutto negli Stati Uniti. Dopo aver prodotto per molti anni copie di bassa qualità di prodotti occidentali, i produttori cinesi stanno ora cercando di accaparrarsi una fetta dei mercati occidentali con prodotti di alta qualità. Tuttavia, molti consumatori sono ancora riluttanti perché associano la Cina alla bassa qualità.
I marchi provenienti dalla Cina sono così tanti che è impossibile fare un bilancio complessivo. Mentre alcuni puntano sul proprio know-how per esportare le loro auto (BYD è uno di questi), altri nascondono la loro vera identità creando nuovi marchi esclusivamente per i mercati occidentali.
Una di queste è DR Automobiles e i suoi sottomarchi EVO, Tiger, ICH-X e Sportequipe. I loro prodotti non sono diversi dai modelli di Chery, BAIC e JAC,tuttavia, per la maggior parte del pubblico si tratta di auto italiane o comunque non cinesi. L’operazione di “rebadge” consente a questi marchi cinesi di evitare problemi di percezione negativa e di guadagnare più facilmente terreno in mercati come l’Italia e la Spagna. Nel 2023, i marchi di DR Automobiles hanno immatricolato più di 34.000 unità, principalmente in Italia e Spagna. Nel 2023, era il secondo produttore cinese in Europa, dietro solo a MG. Quest’ultimo è un altro esempio di come la Cina si nasconda utilizzando un marchio occidentale. Sebbene sia nato 100 anni come marchio britannico fa, MG, acquisito nel 2007 dalla cinese SAIC, è stato interamente progettato, prodotto e pianificato in Cina.
L’anno scorso, questo marchio ha venduto 840.000 nuovi veicoli a livello globale, di cui 248.000 unità sono state immatricolate in Europa. È di gran lunga il marchio cinese più venduto nella regione e rappresenta circa il 70% di tutte le auto cinesi vendute in Europa. Paradossalmente, MG è estremamente impopolare in Cina, perché, in un periodo di forte nazionalismo, è considerato un marchio straniero.
Recentemente, la Cirelli Motor Company ha iniziato a vendere auto in Italia ribattezzando veicoli Dongfeng, BAIC, Seres e FAW. Nel primo trimestre di quest’anno sono state immatricolate in Italia 25 unità.EMC, che sta per Eurasia Motor Company, offre due SUV di Geely e Chery e un’utilitaria di Yudo. Poi c’è Elaris, che ribattezza prodotti di Hycan, AION e Skywell.Infine, altrte case automobilistiche, come Chery, hanno appena creato i propri marchi per i mercati esteri. Jaecoo e Omoda sono due di questi i. Omoda, ad esempio, fino a marzo ha registrato 330 unità del suo primo SUV in Europa. Lynk & Co è un altro marchio dal nome inglese. Questa strategia funzionerà?
NUMERO DI AUTO VENDUTE IN EUROPA CON I NUOVI MARCHI CINESI
Lo diceva la rivista online POLITICO October 31, 2024 :”It doesn’t matter if Trump or Harris win. Europe has already lost.”di Nicholas Vinocur
Secondo quell’Autore, il momento del massimo splendore dei rapporti transatlantici (“Peak America”), era stato raggiunto il June 6, 1994, con la celebrazione dei 50 anni dello Sbarco in Normandia.
1L’età dell’oro dell’ egemonia americana
A quell’ epoca, l’egemonia “culturale” degli USA era incontrovertibile nello sport, nell’entertainment (“EuroDisney — a sort of American colony”); i giornali americani erano fortemente presenti in Europa. Oggi, invecve, gli USA hanno ridimensionato la loro presenza i Europa, salvo che nel settore digitale (per altro intimidito dalla legislazione europea), e le truppe americane nel nostro Continente sono state ridotte da 450.000 a meno di 100.000.
L’inizio di questo disinteresse americano coincise con la presidenza di Barack Obama e con il suo “Pivot to Asia”.
Secondo Ben Hodges, ex comandante americano in Europa, il costo di mantenere tanti soldati ha generato vantaggi proporzionali: “It was always mystifying to me that people didn’t see what a huge advantage we have with our leadership inside NATO and our relationship with European countries,”
2. Senza gli Stati Uniti, l’Europa sarà persa, oppure sarà salvata?
La Commissione si sta preparando a un ridimensionamento dell’ impegno americano, ma è divisa quanto alla configurazione dell’ “autonomia strategica europea” .
L’ex Primo ministro finlandese Niniisto ha presentato un rapporto dettagliato sullo stato di preparazione bellica e per la difesa civile L’ Europa non è preparata ad una guerra mondiale, per cui il primo compito sarebbe quello di spiegare ai cittadini europei come sopravvivere nelle prime 72 ore del conflitto. Qualcosa che la Svezia stava facendo 5o anni fa, con la diffusione capillare degli opuscoli “Om kriget komer” (“se viene la guerra”) e “Inte samarbejde”(“non collaborare”). E’ grottesco che vengano riproposte soluzioni così invecchiate, senza tener conto del mutato scenario tecnologico e geopolitico. La “military preparedness” (EU Preparedness Law) è divenuto un termine corrente nel linguaggio brussellese.stiamo programmando, con folle ritardo e senza un piano concreto, un’economia di guerra.
3.Autonomia strategica e autonomia culturale
Nicolas Tenzer ha scritto:“Without the United States, Europe is lost
In realtà, l’Europa che “è già perduta” sono gli “Stati Uniti d’ Europa”, cioè il progetto di fare, dell’ Europa, un clone degli Stati Uniti, a questi ultimi subordinato. Al momento del dunque, quando gli USA stanno considerando di usare veramente il loro inaudito arsenale culturale, sociale, tecnologoco, poliziesco, politico, accumulato, per imporre l’accettazione, da parte di tutto il mondo, del Modello Incompiuto della Modernità, non tutti sembrano accettare a scatola chiusa questa decisione, né di qua, né di là dell’ Atlantico.
Come avevano illustrato alcuni Autori, come Simone Weil, Pierre drieu la Rochelle e Pietro Barcellona, l’Europa rappresenta oggi, dal punto di vista culturale, il Katechon di paolina memoria, quella forza che trattiene il mondo dall’Apocalisse (rappresentata dal chiliasmo americano). Essa ha combattuto da secoli contro l’ansia millenaristica della “Dissidence of Dissent” (Huntington), per esempio con le critiche di Sant’Agostino al manicheismo, con le prediche di Lutero contro gli Anabattisti, con la dissertazione di Rousseau per l’accademia di Digione, con “Les Soirées de Saint Petersbourg” di De Maistre, con “La crise de la modernité” di Guénon e la “Rivolta contro il mondo moderno” di Evola, con le opere di Dostojevskij, Soloviov, Leontijev, Trubeckoj , Gumilev, Solzhenitsin.
L’Europa costituisce così l’unica vera alternativa al Progetto della Modernità, ed è per questo che, da quando gli USA hanno l’egemonia mondiale, si fa di tutto per sminuirla: finanziando gli “opposti estremismi”; liquidando le imprese come l’ Eni e l’ Olivetti, che avrebbero potuto contestarne la primazia; ricoprendola di basi militari e di testate nucleari che la espongono a rappresaglie russe; obbligandola a guerre intestine e a sanzionare mezzo mondo…
Non ostante tutto ciò, non è affatto detto che, nella Terza Guerra Mondiale, l’Europa starà dalla parte degli USA. Ricordiamoci che l’indipendenza degli USA fu imposta all’ Inghilterra dalla Francia vincitrice, con l’aiuto della Spagna. Similmente, non è improbabile che un’autonomia europea risulti da una nuova e diversa ripartizione delle sfere di influenza mondiali.
E’ a questo che l’Europa dev’essere preparata: ad assumere, attraverso la cultura, il controllo di quell’apparato politico, militare e tecnologico che si sta preparando con ben divere intenzioni.
Di fronte ai conflitti mortali che attanagliano l’Umanità, la disputa su Stato e Nazione ingaggiata in questi giorni con Giorgia Meloni da alcuni giornalisti, come Ezio Mauro, appare addirittura surreale.
1.Stato o nazione, una falsa alternativa
Mentre le critiche contro l’attuale premier ruotano intorno ad un’accusa di criptofascismo, l’idea della nazione che prevale sullo Stato (di cui Mauro accusa la Meloni) è esattamente il contrario della tradizionale critica fascista (mussoliniana e gentiliana) verso il nazionalismo, in quanto, per essi, non era la nazione che creava lo Stato, bensì lo Stato che creava la nazione (“Nation Building”). E, comunque, l’impero aveva oramai superato Stato e nazione, come risulta più che mai evidente oggi, quando assistiamo ad un conflitto generalizzato fra le grandi aree del mondo.
2.Un mondo dominato dai GAFAM e dalle Macchine Intelligenti
Ambedue quelle teorie sono infatti fuori tempo massimo di fronte alla realtà dei fatti di un mondo macchinico che assedia, tanto gli Stati, quanto le Nazioni, e minaccia perfino l’Europa, l’Impero americano e lo Stato-Civiltà cinese. Quando Elon Musk dialoga alla pari con Trump, Putin e Xi Jinping sulla guerra in Ucraina e sul futuro di Taiwan, rischiando di scatenare in America una nuova guerra civile. Quanto gli “spioni” di tutto il mondo, ma prima di tutto americani, hanno costituito dossiers su tutti noi, e in particolare sui nostri politici, per ricattarli e fare scattare scandali a orologeria quando non rispettino le direttive atlantiche.
Con Musk (e con gli “spioni”)possono dialogare alla pari solo la Cina e, forse, gli Stati Uniti e la Russia.I difensori di uno status quo ammantato di retorica “democratica” (è il caso di Mauro) si preoccupano del “nazionalismo democratico” di Meloni che avrebbe la colpa di tracciare i propri limiti sulla base di “tradizione”, “pratica religiosa”, “famiglia”, “identità culturale”, non già sul “patriottismo costituzionale”. Invece, non si rendono conto che, né l’uno, né l’altro, può sopravvivere in un mondo governato centralmente dai GAFAM secondo meccanismi tecnici impersonali.Né lo Stato nazionale italiano, né la “nazione” italiana, hanno neppure le risorse intellettuali per partecipare a questo dibattito. Un dibattito che, senza Ippocrate, Cartesio, Pascal, Lessing, Voltaire, Kant, Hegel, de Maistre, Kierkegaard,Dostojevskij, Nietzsche, Freud, Coudenhove Kalergi, Saint-Exupéry,Drieu La Rochelle, non può neppure iniziare.
Chi spadroneggia nel mondo è l’”Impero nascosto” americano con i suoi GAFAM, a cui possono opporsi soltanto altri imperi di pari spessore.
Seguendo due opposte, ma convergenti, scuole di pensiero, i politici di sinistra e di destra vivono invece in simbiosi con i GAFAM, ne accettano le lusinghe, delegano loro importantissime funzioni pubbliche e di sicurezza, disattendendo sistematicamente sentenze come quelle Schrems, e teorizzando addirittura questo loro comportamento, come ha fatto il garante europeo della privacy, il polacco Wewiòrowski, in base al fatto che“è meglio condividere le informazioni con chi ha gli stessi nostri valori”. Certo, la nostra privacy è in ottime mani.
Abbiamo l’impressione che gli uni e gli altri facciano deliberatamente a gara nel “parlare di altro” per distrarre l’attenzione dell’ opinione pubblica, delle Autorità e delle Forze Armate, dal vero e urgente pericolo che siamo correndo: quello di una guerra mondiale tecnologica combattuta, sul territorio europeo, dalle Macchine Intelligenti dei due blocchi, senza che l’Europa si possa difendere, ma, anzi, essendo invasa da bombe atomiche e droni assassini altrui, attirati dalle basi NATO e dalle testate nucleari che queste contengono. Peggio che ai tempi della Guerra Fredda, la cui definizione ufficiale era “coesistenza pacifica”, ed era davvero più “pacifica” dell’ attuale “Terza Guerra Mondiale”.
Da questa prospettiva non ci può salvare, né lo Stato nazionale italiano, semplice “clone” dello standard “occidentale”, né la “nazione” moderna, espressione, secondo le idee di Fichte, Herder e Mazzini, del generale moto verso il “Progresso”, che ci hanno invece portati alla “Guerra nell’ Era delle Macchine Intelligenti”. Ci vuole un’ Europa che, come l’India e la Cina, ricostruisca, in modo moderno, gli antichi Imperi in cui si erano incarnate le sue variegate tradizioni, divenendo essa stessa uno “Stato-Civiltà”, e dando così il proprio contributo, originale ma non egemonico, alla definizione del futuro del mondo.
Uno dei recenti libri più preveggenti e premonitori sull’avvenire dell’ Umanità è stato“La guerra al tempo delle macchine intelligenti” di Manuel De Landa, del 1991.
L’Autore, partendo dalla “teoria del Caos”, descrive, in modo assolutamente originale (anche se ispirato, in ultima analisi, da Eraclito), la storia umana come una storia di armi, intesa cioè come l’evoluzione, con una forma di parassitismo, delle macchine dal comportamento umano, e, in particolare, dal comportamento bellico.
Le macchine sono sempre state prioritariamente armi, dall’amigdala, all’ arco, alle armature, alle armi bianche, fino a quelle da sparo, ai veicoli, e, finalmente, alle macchine intelligenti, anch’esse nate come sottoprodotto dei finanziamenti pubblici per la Difesa (il DARPA, fondatore di DARPANET, alias Internet).
In questi ultimi 30 anni, le macchine hanno fatto progressi da gigante, incominciando a sostituirsi agli umani in molti compiti, a cominciare da quelli bellici. Con questa “Guerra Mondiale a Pezzi”,il “Phylum Macchinico” (come lo chiama De Landa) incomincia a orientare il comportamento degli umani, innanzitutto influenzando le elezioni, e, poi, guidando le strategie belliche, commerciali e finanziarie.
E’ significativo che i vertici delle società informatiche (che potrebbero essere visti come degli “ambasciatori del Phylum Macchinico”) svolgano un ruolo sempre più importante nella politica americana, e, di riflesso, riescano ad incidere in modo decisivo anche sui Paesi occidentali influenzati dalle scelte americane. Ultimi casi, la presunta corruzione dei vertici di Sogei da parte del gruppo Musk, come pure l’acquisizione, da parte di un fondo americano, della principale impresa robotica italiana.
1. l’Intelligenza Artificiale in Ucraina, Palestina e Iran
Nel frattempo, le guerre in Ucraina e nel Medio Oriente proseguono con un ampio utilizzo dell’intelligenza artificiale, e, in primo luogo, dei droni assassini, usati tra l’altro nell’ uccisione mirata di leaders politici o militari avversari (in cui eccelle Israele, ma anche Hamas ci sta tentando).
Come è oramai abbastanza chiaro a tutti, il rischio che le armi guidate dall’intelligenza artificiale sfuggano di mano è elevatissimo, anche perché esistono compiti di tecnica militare (come la programmazione e la guida di scenario, come la sorveglianza contro attacchi imprevisti, come l’antiaerea – pensiamo all’ “Iron Drome” israeliano-), che sono oggi svolti quasi esclusivamente da macchine intelligenti, il cui funzionamento, specie in condizioni di stress, non sempre è ineccepibile, così come aveva dimostrato plasticamente già nel 1983 il fallimento del sistema sovietico “OKO”.
Per questo motivo, per quanto importanti possano essere i vari settori di applicazione dell’algoretica, e le diverse discipline giuridiche che sono state escogitate per farvi fronte, nessuno di esse supera per rilevanza il settore Difesa. Anche perché, con l’abbandono della Coesistenza Pacifica e dei Trattati per il Controllo degli Armamenti, l’entrata in campo di nuovi attori, i missili ipersonici e la proliferazione nucleare, gli scenari bellici divengono sempre più indecifrabili, rendendo quasi impossibile il compito degli strateghi “umani”, come illustrato brillantemente da Eric Schmidt ai vertici dell’aeronautica militare americana.
al Circolo dei Lettori di Questo tema è stato illustrato e discusso Torino il 28 ottobre da Francesca Farruggia, dell’ Università di Roma 1 e da Ettore Greco, vice-Direttore dell’IAI.
Il risultato del dibattito è stato piuttosto sconfortante.
Innanzitutto, gli oratori hanno constatato che, purtroppo, negli ultimi decenni, la situazione del controllo degli armamenti si è deteriorata per una serie concomitante di sviluppi: il deterioramento dei rapporti fra Ovest, Est e Sud del Mondo; i conflitti armati in corso; la maggior efficienza delle armi di distruzione di massa (in particolare i missili ipersonici e i droni di tutti i tipi). Ciò ha portato all’ uscita, da parte delle grandi potenze, dalla quasi totalità dei trattati per il controllo degli armamenti. Le discussioni in corso presso le Nazioni Unite e il Consiglio d’Europa, a cui si riferisce il nostro libro “La regolamentazione internazionale dell’Intelligenza Artificiale”
2.L’esigenza di nuovi trattati internazionali sull’Intelligenza Artificiale nel settore della Difesa
Il principio basilare del controllo umano, sancito dalle scarse norme esistenti in materia, diviene sempre più evanescente di fronte a guerre nucleari che si potrebbero concludere anche solo in pochi minuti. Questo ha reso l’uso dell’ Intelligenza Artificiale inevitabile. Probabilmente, il controllo va spostato alla fase della programmazione, ma l’esito diventa sempre più aleatorio. Probabilmente, occorrerà tonare a limitazioni delle disponibilità di certi tipi di armi di distruzione di massa.
Nello stesso tempo, nonostante l’intercessione in tal senso da parte di eminenti personaggi super partes – come il PapaHenry Kissinger(poco prima della sua morte), e, infine, il Segretario generale delle Nazioni Unite, Guterres-, i negoziatori dei nuovi trattati internazionali sono lontanissimi dall’ estendere al settore Difesa (ma perfino a quello delle grandi piattaforme) gli atti normativi sull’ IA in discussione di fronte al legislatore europeo e internazionale.
Addirittura, quello che è in discussione alle Nazioni Unite sarebbe un trattato molto limitativo, limitato all’ uso bellico dei soli droni. Eppure, anche questo trattato è fermo da moltissimi anni.
In questa situazione, vi è, parallelamente alla corsa agli armamenti, anche quella all’ Intelligenza Artificiale. Ciò che è più preoccupante è il fatto che, fra i “vantaggi” dei robot, vi è anche e soprattutto quello di essere in grado di sopravvivere anche in condizioni ambientali che sarebbero esiziali per gli umani, primo fra questi, quello della guerra NBC (la “Guerra Nucleare, Batteriologica e Chimica”), il che rende sempre più realistico lo scenario della sostituzione dell’uomo con le macchine in occasione della guerra in corso, e grazie ad essa.
Infine, desta preoccupazione anche il fatto che molte delle ideologie più in voga (a cominciare dal Postumanesimo, per continuare con la “Fine della Storia”, fino ai diversi integralismi religiosi), abbiano un’origine e una matrice prettamente apocalittiche, dove l’Apocalisse, coerentemente con le sue radici zoroastriana e biblica, non costituisce un evento traumatico e isolato, bensì un processo che avvolge tutta la storia,e che è, per alcuni, positivo, e, per i più, inevitabile. Ciò restringe sempre più il ruolo riconosciuto al Libero Arbitrio, già soffocato dalle teologie protestanti, e, poi, dalle impostazioni scientistiche, secondo cui non esisterebbe la libertà umana, in quanto ogni azione sarebbe preordinata da natura, genetica, storia, economia e medicina.
3.E’un pericolo evitabile?
Certo, neppure le tesi di coloro che credono che l’umanità possa determinare, almeno parzialmente, la propria sorte, sono esenti da contraddizioni. Intanto, normalmente si tratta di scettici, che, in coerenza con le idee di Wittgenstein, Heisenberg, De Finetti e Feierabend, non credono di avere alcuna garanzia che le proprie azioni possano avere un qualsivoglia impatto sulla realtà. In secondo luogo, negando che vi sia alcuna comunicazione fra essere e dover essere, non possono fondare le proprie scelte su nulla. In terzo luogo, quand’anche essi ravvisino la radice dei comportamenti umani a elementi irrazionali, come l’istinto, l’intuito, la fede o il sentimento, non possono chiamare questo “libertà”, perché anche in questi casi gli umani sono più trascinati che non attivi.
Vi è una contradizione fra l’onnipotenza e l’onniscienza di Dio.
Forse, l’unico fondamento credibile in un mondo relativistico è costituito dall’ identità, elemento contestato fin dal suo”scopritore”, Hume, ma sempre risorgente sotto nuove forme, individuali o collettive, quale ragion d’essere misteriosa ma efficiente del comportamento di persone, gruppi e popoli. Ciò che ci spaventa delle Macchine Intelligenti è proprio che esse ci tolgono l’Identità. Se i nostri comportamenti sono sempre più conformati da meccanismi impersonali e comunque non umani, dove vanno a finire la nostra unicità, i nostri legami, le nostre tradizioni? Questa è la grande paura a cui si danno molti e contraddittori nomi: nichilismo,comunismo, relativismo, globalizzazione, capitalismo…
I più cercano di convincerci che la tecnica è “neutra”, nel senso che se ne può fare tanto un uso “buono” (per esempio, alleviare le malattie) quanto un uso “cattivo” (per esempio, bombardare). Non condividiamo questo semplicismo. La tecnica è “antiumana” per il fatto stesso che mira a sostituirci. Questo è “un bene” per coloro che da tempo predicavano la necessità di cancellare l’Umanità (i primi buddhisti, Teilhard de Chardin, forse Nietzsche), ma non lo è per coloro che credono che l’istinto di auto-conservazione (“Selbst-behauptung”) sia legittimo, e, forse, provvidenziale.
Così come ci risulta difficile comprendere come possa funzionale la libertà umana, altrettanto difficile sembra immaginare come si possa por fine a questa corsa verso l’autodistruzione. Alcuni affermano, facendo seguito, chi al determinismo marxista , chi alla teoria dello sviluppo di Rostow, che è impossibile frenare lo sviluppo tecnico, e che non resta che adeguarsi (l’”Uomo Antiquato” di Anders;l’”Anarca”di Juenger). Altri, come Heidegger, pensano che solo una Teofania (l’”Evento”) possa salvarci.
Questi dubbi filosofici spiegano forse la difficoltà di convincere l’opinione pubblica e le autorità ad impegnarsi in questa materia, tanto sul piano teorico (cercando di trovare una teoria convincente su quanto ci sta accadendo), e sul piano pratico (cercando di delineare dei percorsi per la fuoriuscita da questo pericolo).Infatti, è facile scoraggiarsi di fronte all’ enormità della sfida e alla vaghezza delle idee in proposito
Nessuno nega la difficoltà di questo compito, specie per una popolazione deresponsabilizzata da decenni di propaganda, di partitocrazia, di burocrazia, di declino economico. Eppure, se mai vi fu l’esigenza di un impegno pubblico, questo è ora. I pericoli della Bomba, del surriscaldamento atmosferico, delle migrazioni incontrollate, sono nulla in confronto al pericolo di una guerra totale accompagnata dal sopravvento delle Macchine Intelligenti.
4.La nostra campagna
Buona parte delle nostre attività ruotano intorno a questa problematica:
a)la cultura contemporanea offre strumenti per progettare il futuro?
b)Vale ancora il principio che “è meglio che vi sia qualcosa piuttosto che non vi sia nulla?”
c)Quale forza può restituire all’ Umanità ormai insterilita la motivazione a vivere e a svilupparsi?
d)Un adeguato mix di culture mondiali può supplire al nichilismo di quella occidentale?
e)In che modo trarre profitto dall’auto-affermazione del Sud del Mondo per ringiovanire il dibattito filosofico?
f)Quale apporto può fornire l’Europa a questo dibattito?
g)Come può l’Europa portare avanti questo contributo nonostante la sua debolezza geopolitica e militare?
h)Come giocano in tutto questo le lotte politiche all’ interno degli Stati Uniti?
i)I BRICS e le Nazioni Unite possono esercitare un ruolo proattivo davanti allo spadroneggiare dei GAFAM nei Paesi occidentali?
l)Quali contenuti dare ai trattati internazionali in gestazione, per colmare le intollerabili lacune in materia di Intelligenza Artificiale Militare e di predominio incontrastato dei GAFAM?
Per questo abbiamo redatto il documento di lavoro “La regolamentazione internazionale dell’ Intelligenza Artificiale” .
Invitiamo tutti a dare il loro contributo di idee e di azione.
5.”Non copiare”?(cfr.Francesco Giavazzi, Corriere della Sera)
Per quanto vari aspetti dell’ Intelligenza Artificiale che ad altri sembrano essenziali (come roboetica, transizione verde, arretratezza europea) siano messi in ombra, a nostro avviso, dall’ incombere della Terza Guerra Mondiale, purtuttavia, quest’ultima ha anche un impatto così onnipervasivo, da condizionare tutti i settori della vita umana, e, in primo luogo, la competizione economica mondiale, che anche quest’ultima, all’ alba della Singularity, non può essere descritta se non come una “guerra economica”.
Senza perderci in complesse elucubrazioni teoriche, vorremmo ricordare alcuni esempi nella storia industriale piemontese, in cui si vede che, a dispetto delle consolanti “grandi narrazioni” dell’ “establishment”, l’avanzamento tecnologico nel XX° secolo è stato strettamente legato a fattori bellici. Incominciando dal sostegno della RIV all’esercito russo zarista già nel 1912, allo “spezzatino” della SKF ordinato dall’ antitrust americano, dal ruolo determinante esercitato sullo sviluppo di Torino dal contributo della Fiat allo sforzo bellico, nella guerra italo-turca, nella 1° e nella 2° guerra mondiale, per passare ai ruoli di intelligence dell’ Ing. Olivetti e alle singolari circostanze della morte sua e del Prof.Chu, “padre” dell’ informatica Olivetti, come pure all’ importanza del militare e dell’ aerospaziale per FIAT Avio e Alenia, con collaborazioni tanto con la Russia, quanto con l’Ucraina.
La politica di privilegiare il “copiare” rispetto all’ “inventare” risale proprio alla subordinazione dell’economia italiana ai grandi gruppi internazionali, che sta dietro al delitto Matteotti, come alla cancellazione dell’ Olivetti informatica, agli accordi nel settore aerospaziale, al boicottaggio dei campioni europei, come Concorde, Auditel, Airbus, EADS…
Gli Americani, divenuti dominanti, non potevano accettare di essere secondi a un loro “alleato” in nessun campo, come si vide con l’inspiegabile ordine dato alla General Motors di comprare (per chiuderla), la Olivetti elettronica proprio mentre stava realizzando (clandestinamente, sotto la nuova governance americana), di 44000 personal computers al mercato americano.
Il timore di fare la fine di Olivetti e di Mattei ha spinto gl’imprenditori italiani verso una politica di bassissimo profilo. Ricordo un’indagine all’ interno del Gruppo FIAT, in cui i 12 Capi-Settore avevano risposto unanimemente che era meglio copiare che non inventare. Ricordo anche il grande stupore di tutti quando avevo intrapreso un’indagine simile all’ interno del Settore Componenti, basata su una raccolta di dati sulle licenze attive e passive, da cui risultava che, contrariamente ai miti correnti, le società del settore ricevano, per brevetti e know-how, più canoni di quanto ne pagassero a terzi. Evidentemente, la paura di ritorsioni aveva spinto tutti, anche coloro che la proprietà intellettuale l’avevano, a nasconderla accuratamente. Ma, come scrive Giavazzi sul Corriere della Sera, “Quando un’economia raggiunge la frontiera della tecnologia, ‘crescere per imitazione’ ,non è più possibile: bisogna innovare, saperlo fare”.
Orbene, non è che gl’Italiani non lo sappiano fare, è che gli si è impedito di farlo, e per un periodo così lungo, che essi vi si sono veramente disabituati.La frontiera della tecnologia la si era raggiunta molto tempo fa, con i primi motori a reazione e i primi computer, che si è manovrato in modo che restassero per sempre appannaggio degli USA, o, qualche volta, degli Anglosassoni in generale, sempre per mantenere l’Europa sottomessa. Pensiamo per esempio ai cacciabombardieri Tornado e Typhoon, o ai motori Safran, co-prodotti con imprese americane e inglesi con formule di “risk and revenue sharing” in cui il “lead partner” è sempre stato un’impresa anglosassone.
Ancor peggiore è la situazione nell’ informatica, in cui,60 anni dopo i primi computer Olivetti, imprese europee di dimensioni apprezzabili non ce ne sono ancora, e i Governi trattano sempre (in modo poco trasparente) con i soli GAFAM.
La soluzione suggerita da Gavazzi è quella sempre adottata in realtà in questi 80 anni: dare incentivi a imprese (o filiali) localizzate in Europa (ma magari di proprietà americana), per progetti americani (basti pensare a tutto il settore aeronautico). L’incremento della spesa militare conseguente alla guerra in Ucraina non ha fatto che peggiorare questa situazione, a causa della gran massa di acquisti diretti negli USA (magari con i soldi del PNRR). E questo proprio quando il Parlamento Americano, con l’Inflation Reduction Act, ha fatto proprio l’obiettivo del Senatore Shumer, quello di “mettere fuori mercato il mondo intero”.
Cosa che si sta realizzando puntualmente (ma nei soli paesi occupati dagli USA, come Germania-vedi VW-, Europa e Giappone), mentre il resto del mondo (p.es., Cina, Paesi Arabi, Russia) sta procedendo a gonfie vele.
Ha suscitato giustamente scalpore il fatto che Israele abbia attaccato ripetutamente e deliberatamente le basi UNIFIL sotto il comando italiano, provocando tra l’altro gravi ferimenti di Caschi Blu – un’azione che il Ministro della Difesa Crosetto ha giustamente definito come “crimine di guerra”-.
Questo scalpore è giustificato soprattutto dal fatto che la “Guerra Mondiale a Pezzi”, oramai non più tanto a pezzi, sta scalfendo una gran quantità di luoghi comuni impostici da decenni dai media occidentali. Fra questi, il più pernicioso è stato quello relativo alla presunta “imminenza della Pace Perpetua”, veicolato dalla retorica delle Organizzazioni Internazionali e dell’ Unione Europea.
Mentre le Nazioni Unite hanno appena fatto il punto sulla loro pretenziosa Agenda 2030, esse si vedono addirittura attaccate militarmente da uno dei propri membri, che l’accusa di essere troppo imparziali nel conflitto con i Palestinesi, mentre invece, secondo Israele, questi ultimi sarebbero dei “terroristi”, da sterminarsi semplicemente, senza curarsi del diritto internazionale umanitario. I Caschi Blu dovrebbero quindi farsi da parte in seguito a semplici intimazioni dell’Esercito Israeliano (che, tra l’altro, non si capisce perché improvvisamente sia diventato per tutti “IDF”, all’Americana, anziché, in Ebraico, “Tsahal”), e, in caso contrario, rassegnarsi ad essere cannoneggiati. Come se non bastasse, lo stesso Segretario Generale dell’ ONU viene praticamente messo al bando da Israele, immemore del fatto che la sua stessa creazione era stata opera dell’ ONU.
Non che le critiche di Israele siano del tutto infondate. L’inasprirsi della crisi dimostra la debolezza della funzione di “Peace-Keeping” internazionale, ma ciò non è ”colpa” di nessuno: è la Post-Modernità che, qui come altrove, mette a nudo le contraddizioni della Modernità, due fra le quali riguardano, tra l’altro, proprio Israele e l’ ONU. Su Israele c’è da chiedersi se sia veramente, come pretendeva Herzl, uno “Stato laico”, nel qual caso non si comprenderebbe tutta quest’ansia di ristabilire i confini biblici (Yisrael ha-Shelomah), di ricostruire il Tempio e di usare la Torah come unica vera Costituzione. D’altronde, visto che Israele non è una “razza” bensì un “popolo” etno-culturale, esso non esisterebbe nemmeno se non ci fossero la Bibbia e la sua lingua. Di converso, i Neturei Karta combattono l’idea di uno Stato ebraico nel tempo presente (tempo che ritengono ancora di esilio), poiché ritengono contrario all’autentica tradizione religiosa ebraica lo stabilirlo senza aspettare che Erets Israel venga esplicitamente donata dall’Altissimo. Pertanto, la pretesa sionista di costituire uno “Stato ebraico laico” sarebbe semplicemente l’ennesima “hybris” di alcuni eresiarchi, né più né meno di quella dei “Costruttori di Dio” cristiani o dei Baha’i persiani (che, guarda caso, hanno sede proprio in Israele): un’ennesima manifestazione di quella “religione secolarizzata” che è al centro della Modernità.
Queste religioni secolarizzate, che, con Lessing, pretendono di realizzare sulla terra le promesse escatologiche delle religioni tradizionali, paradossalmente, in ossequio all’Eterogenesi dei Fini, mentre propugnano la Pace Perpetua, stanno trasformando le religioni in strumenti di lotta fra le diverse parti del mondo (Singularity contro Tradizione; Hindutva contro Shari’a), perché, abbandonate le pretese di salvezza individuale, sono divenute semplicemente la divinizzazione della volontà di potenza dei singoli Stati-Civiltà. Del resto, anche il Puritanesimo è una versione secolarizzata del Protestantesimo, così come la il “socialismo islamico” lo è dell’Islam. L’ accusa di “integralismo”rivolta tradizionalmente alle versioni “conservatrici” (“quietiste”) delle singole religioni, si rivela invece adeguata solo alle loro emulazioni laicistiche, come la “religione dell’ umanità di Saint Simon, il Sionismo e la “Nazione dell’ Islam”, camuffamenti dell’espansionismo di popoli che si pretendono “superiori”.
Di qui anche la sterilità delle Chiese ufficiali ( succubi neppur troppo copertamente di quelle religioni secolarizzate), le quali continuano a predicare la pace senza più trovare argomenti concreti a favore della stessa.
Ma contraddittoria è anche la natura stessa dell’ ONU, nata proprio dalla pretesa del progressismo puritano, espressa alla sua fondazione da Eleanor Roosevelt, di imporre la Pace Perpetua. Tale pace perpetua avrebbe costituito il suggello del progetto messianico americano quale espresso da Winthrop, Cotton Mather, Emerson, Whitman, Friske e Wilkie. Non per nulla il Palazzo di Vetro è situato nel cuore di Manhattan, sotto il completo controllo dell’America. La Seconda Guerra Mondiale sarebbe stata l’ ultima delle guerre perchè poi tutto il mondo sarebbe stato diretto dalla “ragnatela delle istituzioni dirette da Washington”(cfr. Ikenberry).
Sono stati i fatti stessi a ribellarsi a questa proteiforme “hybris”. I conflitti attualmente in corso non sono nati ieri, bensì parecchi millenni fa, e continuano a riproporsi sempre negli stessi termini: l’uno, lungo fra il Don, il Donetz e il Dniepr, fra i popoli indo-europei e turcici dei Kurgan e delle steppe, e, l’altro, fra “Il Fiume d’ Egitto” e l’Eufrate, fra popoli semitici e hamitici dei deserti. Dietro a tutto ciò ci sono, da un lato, la “Distinzione mosaica” (fra Vero e Falso, cfr. Jan Assmann), dall’ altro la pretesa di tutti i contendenti d’incarnare una divina volontà di pace e giustizia, che trae le proprie radici dal mondo antico, e precisamente da quella Persia (Eranshahr) che è oggi il vero antagonista di Israele (perché entrambi perseguono la stessa utopia). Ed è fra Egitto, Persia e Palestina che nasce la pretesa millenarista. Questi destini sono stati configurati dalla geografia: sono collocati ai punti di passaggio obbligati fra l’Asia e, da un lato, l’Europa, e, dall’ altro l’Africa, che tutti i contendenti pretendono di tenere sotto il proprio controllo. Le illusioni postmoderne di risolverli “con una bacchetta magica” in base a formule astratte sta scontrandosi con la realtà, e la sta perfino peggiorando.
La sopravvivenza dell’Umanità è stata uno degli obiettivi di base di ogni cultura. Nel mondo moderno iperconnesso, quest’obiettivo richiede uno sforzo congiunto di tutti i popoli. Nel mondo ipertecnologico delle Macchine Intelligenti, senza questo sforzo è assicurata la Fine dell’Uomo: come aveva riconosciuto Kant, la Pace Perpetua si rivela come un grande cimitero.
Per questo, a partire dal Sacro Romano Impero e dal re hussita Podiebrad, e poi via via attraverso Postel, Crucé, Saint-Pierre, Pufendorf, Novalis, Nicola II, Coudenhove Kalergi, Wilson, Spinelli, si è venuta configurando una teoria delle organizzazioni internazionali. Teoria che comunque non indica alcun antidoto all’ incombente mortalità del cosmo, dell’ Umanità e delle civiltà. Anche alla luce dell’ esperienza, occorre ora perciò un approccio più realistico, secondo cui la Storia non finirà con un evento taumaturgico, bensì presumibilmente con il suicidio dell’ Umanità (vedi bomba atomica, Singularity, Terza Guerra Mondiale, surriscaldamento atmosferico, denatalità), e perciò il nostro compito ragionevole è, nella migliore delle ipotesi, “salvare il Cosmo”, almeno finché sarà possibile (il Katèchon), e per il resto attendere la Fine, che, secondo la tradizione cristiana, “verrà come un ladro nella notte”. L’ebraismo ha un’eccezionale espressione a questo proposito: “Tikkun ha-Olam” (“riparare il mondo”), che non è l’impossibile “Raddrizzare il legno storto dell’ Umanità” (Kant, Berlin), bensì si apparenta a quella quotidiana ricostruzione del Divino attraverso i Riti di cui parla anche Eliade.
1.Il Paese degli Ariani (Iran)
L’eternità delle guerre in corso è dimostrato dalle vicende (pre-istoriche, storiche e post-istoriche) delle tre aree in questione: la Persia, la Palestina e le Steppe Pontiche.
Una delle opere che più hanno inciso sulla formazione della cultura postmoderna è il “Così parlò Zarathustra” di Nietzsche, sconcertante, da un lato, perché è talmente ben costruito, da poter rappresentare, letterariamente, e perfino linguisticamente, quasi un “sequel” del Zand i Bahman Yasn, il principale libro sacro zoroastriano, ma, dall’ altro, perché costituisce una sorta d’implicita ritrattazione della dottrina zoroastriana di una lotta cosmica fra un Dio del Male e un Dio del Bene, quest’ultimo rappresentato sulla terra dal sovrano achemenide.
Lo zoroastrismo rappresenterà così il modello prototipico del messianesimo ebraico e degl’imperi provvidenziali cristiani e islamici successivi. Non per nulla la nascita di Cristo è salutata, per primi, “nella pienezza dei Tempi”, dai Re Magi. I Persiani zoroastriani sconfiggeranno e imprigioneranno l’imperatore romano Valeriano, per poi essere a loro volta sconfitti dalle armate islamiche. C’è anche da chiedersi in che misura l’idea di Jihad, così centrale nell’ Islam, non sia che un’eredità della guerra santa dell’imperatore persiano contro Angra Mayniu. Del resto, uno dei compagni di Maometto era il “Principe di Persia”. La Persia ha mantenuto il proprio spirito antagonistico alimentando sette islamiche rivoluzionarie, come gli Shi’iti, i Carmati e gli Assassini, e varie religioni post-zoroastriane, come il Manicheismo, il Mazdakisno e il Paulicianesimo (poi reincarnatosi in Europa nel Bogumilismo e nel Catarismo) Più recentemente, la Persia ha generato nuove sette molto inclini al Technological Sublime, come i Baha’i, e, dentro l’Islam, gli Hojjatiyye.
I Persiani continueranno a costituire un elemento di disordine nel Medio Oriente, poiché, memori di quelle antiche glorie, ambiscono ancor sempre a dominarlo, se non altro culturalmente, con la loro letteratura e le influenze delle loro lingue, e perciò non accettano l’egemonia culturale, né dell’ Occidente, né degli Arabi, né dei Sunniti, né di Israele. La rivoluzione khomeinista, che si presentò come alternativa al mondo islamico sunnita, continua dunque la tradizione messianica e rivoluzionaria dello zoroastrismo, per altro ancora vivo e vegeto nel Paese, e spesso richiamato dai dissidenti anti-khomeinisti.
Ma i veri eredi dello Zoroastrismo sono i progressisti occidentali, i quali hanno trasfuso nel progressismo laicista l’enfasi posta dai Persiani nell’Apocalisse, intesa come conquista del mondo da parte di un Salvatore (Shaoshant) sotto la guida di Ahura Mazda, e la conseguente vittoria del Bene Assoluto sul Male Assoluto. D’altronde, gli Hojjatiyye considerano l’invenzione di Internet come un segno dell’avvicinarsi dell’avvento del Mahdi.
Invece, le cosiddette “autocrazie”, nemiche dell’ Occidente progressista, sono i veri epigoni culturali degli antichi Greci, in quanto culture tragiche, belliciste e aristocratiche sul modello degli Spartani delle Termopili, a cui sembrano ispirati i vari al-Qaida, ISIS, Hamas e Hezbollah, con i loro leaders che cercano la morte gloriosa in battaglia. Significativamente, come racconta Erodoto, il generale persiano Mardonio, dopo avere represso la rivolta della Ionia, impone alle poleis locali d’instaurare governi democratici in sostituzione di quelli aristocratici che si erano ribellati alla Persia.
2.Peleset, Peleshtim, Filastin
Sin dall’antichità l’egemonia degli Hyksos venne identificata con il soggiorno in Egitto degli Ebrei, e, in particolare, con le storie bibliche di Giuseppe e Mosè. Gli Hyksos (Heka khasut, cioè “i capi di un Paese straniero” )giunsero in Egitto attorno al 1700 a.C., portandovi il cavallo e il carro da guerra.
Dopo l’Esodo dall’Egitto, cominciava la conquista di Cana’an da parte del popolo ebraico. I “Revisionisti Israeliani” (p.es., Finkielkraut) sostengono che una vera e propria “Conquista di Canaan” intesa come grande campagna militare, non è mai avvenuta, e si è invece trattato di un graduale spostamento di popoli, dalle rive del Mare Mediterraneo, alle colline della Palestina. Sia come sia, si era sviluppata comunque di una guerriglia continua, a cui ben si confanno le descrizioni contenute in tutta la Bibbia, per altro facilmente sovrapponibili a quelle attuali di Gaza, della Cisgiordania e del Libano:“due dei figli di Giacobbe, Simeone e Levi, fratelli di Dina, presero ciascuno la propria spada, assalirono la città che si riteneva sicura, e uccisero tutti i maschi.” – “Passarono a fil di spada anche Camor e suo figlio Sichem, presero Dina dalla casa di Sichem, e uscirono.” – “I figli di Giacobbe si gettarono sugli uccisi e saccheggiarono la città, perché la loro sorella era stata disonorata” – “presero le loro greggi, i loro armenti, i loro asini, quanto era nella città e nei campi.” – “Portarono via come bottino tutte le loro ricchezze, tutti i loro bambini, le loro mogli e tutto quello che si trovava nelle case….“
Queste vicende ricalcano inoltre quella della Guerra di Troia, narrata dalla letteratura greca, e quelle documentate nei monumenti dei sovrani mesopotamici e nei poemi ittiti, hurritici e mitannici.
Il meccanismo è sempre lo stesso: Dio, attraverso i profeti, incita il popolo ebraico a conquistare le diverse città di Canaan, sterminandone gli abitanti. La scena si ripete all’ infinito. Vengono menzionati infiniti popoli e città: Amalek; Og; Sicon; Madian;Gerico ; Ai; Gabaon; Machedda; Libna;Eglon; Ebron;Debir;i Ferezei;Gerusalemme;Sefat;Moav;Succot;Lais; i Filistei;Ammon;Galgala;gli Aramei;i Siriani;Tifsach…
Tutto ciò è confermato dalle Lettere di Tell el-Amarna, che dimostrano come le città cananee si lamentassero con il Faraone degli attacchi di popolazioni barbare, che essi definivano come “Habiru” o “Jahu.”
Sulla Stele di Merneptah ( 1200 circa a.C.), è narrato l’esito vittorioso di una spedizione militare, al seguito della quale :”Ysyrỉ3r fk.t;bn pr.t =f” (“Ysrỉr è desolato;il seme suo non c’è”)
Da vari studiosi moderni, Ysrỉr viene identificato con Israele. Si tratterebbe pertanto della prima testimonianza storica relativa al popolo ebraico. Il nome Ysrỉr non è accompagnato, come accade per le città o stati presenti nella lista, dall’ideogramma raffigurante tre montagne stilizzate indicante un regno. L’ideogramma associato invece, un uomo e una donna, indica una popolazione di natura nomade.Invece, i Palestinesi (Filistei, Peleset, Peleshtim, Filastin), sono spesso identificati con uno dei Popoli del Mare che vediamo sbarcare sulla parete del tempio di Medinet Habu , Sherden, Sheklesh, Ekwesh .
Questa conflittualità ricorrente ricorda i tentativi egemonici attribuiti dalla Bibbia ai regni di Davide e Salomone, le invasioni babilonesi, assire, persiane e macedoni, fino alle Guerre Giudaiche e all’inizio della Diaspora.
Di non minore importanza, per il Levante, le, questa volta documentatissime, Crociate volte a riconquistare la Terra Santa dal dominio islamico, le quali che durarono circa 600 anni. La prima (1096-1099) permise di istituire i primi quattro Stati crociati: la Contea di Edessa, il Principato di Antiochia, il Regno di Gerusalemme e la Contea di Tripoli. A livello popolare, essa scatenò un’ondata di rabbia cattolica che si espresse nei massacri degli ebrei e il violento trattamento dei cristiani ortodossi “scismatici” dell’est.
La protezione dei Cristiani in Terrasanta costituì poi il pretesto per la Guerra di Crimea, e il Libano è stato anch’esso oggetto di violente dispute fra comunità religiose, che hanno portato a varie guerre civili (cfr. infra).
Infine, la stessa nascita dello Stato di Israele si inserisce in un piano di destabilizzazione del Medio Oriente dopo la sconfitta dell’Impero Ottomano, posto in essere da Francia e Inghilterra con gli Accordi Sykes/Picot, piano che non ha ancora cessato di esercitare i suoi effetti perversi.
3.Le steppe pontiche (u-Krajine=sulla frontiera)
La cultura “Jamnaja” (“delle tombe a pozzo”) si colloca fra una fase tarda dell’età del rame e l’inizio dell’età del bronzo, nella regione fra il Bug e il Dnestr e gli Urali (la steppa pontica), in un periodo che va dal XXXVI al XXIII secolo a.C.. Si ritiene che gli Jamnaja siano stati i primi domesticatori di cavalli per uso di trasporto cavaliere e di carri con ruote, che avevano facilitato gli spostamenti e diffuso questa tecnologia. I resti del più arcaico carro con ruote trainato da cavalli, sono stati trovati nel kurgan della “Storožova mohyla” (Dniepropetrovsk, oggi Dniprò”), in Ucraina. Il sito sacrificale di Luhansk (Lugansk, nel Donbass, al centro degli attuali combattimenti) recentemente scoperto, è stato descritto come un santuario collinare dove si praticavano sacrifici umani..
Anche grazie ai cavalli, gli Jamnaja furono un popolo particolarmente guerriero e conquistatore (gli “Ariani”), che si espanse rapidamente tanto in Europa, quanto in Asia. Dopo di essi, attraversarono le steppe pontiche Sciti, Sarmati, Unni, Avari, Bulgari, Khazari, Peceneghi .Questi ultimi sono i Polovesiani (Polovcy), di cui narra il Canto del Principe Igor (anno 1080)e a cui sono dedicate le “Danze Polovesiane”.
Dopo secoli di combattimenti che coinvolsero molti popoli dell’ area -Bizantini, Bulgari, Rus’ di Kiev, Cazari e Magiari-,nel XIII Secolo,l’Impero Mongolo conquistò, fa le altre cose, le attuali Ucraina e Russia. Una delle principali battaglie per la liberazione delle stesse fu la Battaglia di Kulikovo, sul Don, sotto la guida di Dmitri Donskoj, nel 1378.
L’Ucraina fece poi parte di quella serie di fortificazioni al confine con l’ Impero Ottomano (che andavano dell’ Impero austriaco, della Polonia e della Russia) dette Krajine (confini). Esse furono custodite da guerrieri di origini internazionali (Giannizzeri, Granicari, Graenzer, Serbi, Hajduk, Honved, Karaim, Lipka Tatarlar). Nell’ attuale Ucraina, essi si chiamarono Cosacchi, da un termine turco che significa “cavalieri delle steppe”, e la Krajina polacca e russa si chiamò “Ukrajina”. Il suo cuore era costituito dalle fortezze sul Dniepr (Zaporishkaja Sich). Si combatté in quest’area fra Cosacchi, Turchi, Polacchi, Svedesi e Russi. Vi furono anche due importanti rivolte di Cosacchi: quella di Stenka Razin e quella di Pugaciov.
La Guerra diCrimea costituì uno snodo fondamentale della storia europea, come testimonia il suo ruolo nella unificazione italiana, vedendo essa la nascita di una coalizione antirussa a cui partecipò il Regno di Sardegna, anticipatrice dell’ attuale “Kollektiv Zapada”, che contende alla Russia l’egemonia sulla Europa Orientale.
Durante la Guerra Civile Russa, l’Oriente dell’ Ucraina fu sede della repubblica di Kharkiv, dell’ effimero Stato “bianco” di Denikin, della repubblica anarchica di Makhnò e di quelle sovietiche del Donbass e Krivoj Rog. Successivamente alla vittoria sovietica, quelle regioni patirono in modo particolare l’Holodomor (la carestia nella Russia Meridionale), e la “campagna di dekulakizzazione”.
L’invasione e la spartizione della Polonia dopo il Patto Molotov Ribbentrop comportò lo scatenamento della guerra in tutta la regione pontica. Bandera e l’UPA, addestrati a Praga sotto l’egida di Rosenberg, entrarono a Leopoli in divise naziste, proclamando lo Stato indipendente ucraino, a cui si riallaccia l’attuale narrativa “nazionale” ucraina.
La battaglia di Stalingrado, decisiva per le sorti del conflitto, si svolse precisamente all’ incontro fra Don e Volga. L’area fra il Dniepr e il Volga fu il centro di fondamentali combattimenti fra l’Esercito Tedesco, spalleggiato da truppe italiane, rumene, ungheresi, francesi, slovacche, croate, e scandinave e da volontari anticomunisti di tutta Europa, dei Paesi arabi, dell’Asia Centrale e dell’India, e, dall’ altra, l’Armata Rossa.
La resa di von Paulus a Stalingrado e la “ritirata di Russia” delle truppe dell’Asse segnarono l’inizio della sconfitta di Hitler.
Su tutto questo si può consultare il nostro libro “Ucraina no a un’inutile strage”.
Per tutto quanto precede, ci sembra che sarebbe impossibile stupirsi dell’attuale guerra, che, a sua volta, dura oramai da 10 anni.Ha suscitato giustamente scalpore il fatto che Israele abbia attaccato ripetutamente e deliberatamente le basi UNIFIL sotto il comando italiano, provocando tra l’altro gravi ferimenti di Caschi Blu – un’azione che il Ministro della Difesa Crosetto ha giustamente definito come “crimine di guerra”-.
questi, il più pernicioso è stato quello relativo alla presunta “imminenza della Pace Perpetua”, veicolato dalla retorica delle Organizzazioni Internazionali e dell’ Unione Europea.
Mentre le Nazioni Unite hanno appena fatto il punto sulla loro pretenziosa Agenda 2030, esse si vedono addirittura attaccate militarmente da uno dei propri membri, che l’accusa di essere troppo imparziali nel conflitto con i Palestinesi, mentre invece, secondo Israele, questi ultimi sarebbero dei “terroristi”, da sterminarsi semplicemente, senza curarsi del diritto internazionale umanitario. I Caschi Blu dovrebbero quindi farsi da parte in seguito a semplici intimazioni dell’Esercito Israeliano (che, tra l’altro, non si capisce perché improvvisamente sia diventato per tutti “IDF”, all’Americana, anziché, in Ebraico, “Tsahal”), e, in caso contrario, rassegnarsi ad essere cannoneggiati. Come se non bastasse, lo stesso Segretario Generale dell’ ONU viene praticamente messo al bando da Israele, immemore del fatto che la sua stessa creazione era stata opera dell’ ONU.
Non che le critiche di Israele siano del tutto infondate. L’inasprirsi della crisi dimostra la debolezza della funzione di “Peace-Keeping” internazionale, ma ciò non è ”colpa” di nessuno: è la Post-Modernità che, qui come altrove, mette a nudo le contraddizioni della Modernità, due fra le quali riguardano, tra l’altro, proprio Israele e l’ ONU. Su Israele c’è da chiedersi se sia veramente, come pretendeva Herzl, uno “Stato laico”, nel qual caso non si comprenderebbe tutta quest’ansia di ristabilire i confini biblici (Yisrael ha-Shelomah), di ricostruire il Tempio e di usare la Torah come unica vera Costituzione. D’altronde, visto che Israele non è una “razza” bensì un “popolo” etno-culturale, esso non esisterebbe nemmeno se non ci fossero la Bibbia e la sua lingua. Di converso, i Neturei Karta combattono l’idea di uno Stato ebraico nel tempo presente (tempo che ritengono ancora di esilio), poiché ritengono contrario all’autentica tradizione religiosa ebraica lo stabilirlo senza aspettare che Erets Israel venga esplicitamente donata dall’Altissimo. Pertanto, la pretesa sionista di costituire uno “Stato ebraico laico” sarebbe semplicemente l’ennesima “hybris” di alcuni eresiarchi, né più né meno di quella dei “Costruttori di Dio” cristiani o dei Baha’i persiani (che, guarda caso, hanno sede proprio in Israele): un’ennesima manifestazione di quella “religione secolarizzata” che è al centro della Modernità.
Queste religioni secolarizzate, che, con Lessing, pretendono di realizzare sulla terra le promesse escatologiche delle religioni tradizionali, paradossalmente, in ossequio all’Eterogenesi dei Fini, mentre propugnano la Pace Perpetua, stanno trasformando le religioni in strumenti di lotta fra le diverse parti del mondo (Singularity contro Tradizione; Hindutva contro Shari’a), perché, abbandonate le pretese di salvezza individuale, sono divenute semplicemente la divinizzazione della volontà di potenza dei singoli Stati-Civiltà. Del resto, anche il Puritanesimo è una versione secolarizzata del Protestantesimo, così come la il “socialismo islamico” lo è dell’Islam. L’ accusa di “integralismo”rivolta tradizionalmente alle versioni “conservatrici” (“quietiste”) delle singole religioni, si rivela invece adeguata solo alle loro emulazioni laicistiche, come la “religione dell’ umanità di Saint Simon, il Sionismo e la “Nazione dell’ Islam”, camuffamenti dell’espansionismo di popoli che si pretendono “superiori”.
Di qui anche la sterilità delle Chiese ufficiali ( succubi neppur troppo copertamente di quelle religioni secolarizzate), le quali continuano a predicare la pace senza più trovare argomenti concreti a favore della stessa.
Ma contraddittoria è anche la natura stessa dell’ ONU, nata proprio dalla pretesa del progressismo puritano, espressa alla sua fondazione da Eleanor Roosevelt, di imporre la Pace Perpetua. Tale pace perpetua avrebbe costituito il suggello del progetto messianico americano quale espresso da Winthrop, Cotton Mather, Emerson, Whitman, Friske e Wilkie. Non per nulla il Palazzo di Vetro è situato nel cuore di Manhattan, sotto il completo controllo dell’America. La Seconda Guerra Mondiale sarebbe stata l’ ultima delle guerre perchè poi tutto il mondo sarebbe stato diretto dalla “ragnatela delle istituzioni dirette da Washington”(cfr. Ikenberry).
Sono stati i fatti stessi a ribellarsi a questa proteiforme “hybris”. I conflitti attualmente in corso non sono nati ieri, bensì parecchi millenni fa, e continuano a riproporsi sempre negli stessi termini: l’uno, lungo fra il Don, il Donetz e il Dniepr, fra i popoli indo-europei e turcici dei Kurgan e delle steppe, e, l’altro, fra “Il Fiume d’ Egitto” e l’Eufrate, fra popoli semitici e hamitici dei deserti. Dietro a tutto ciò ci sono, da un lato, la “Distinzione mosaica” (fra Vero e Falso, cfr. Jan Assmann), dall’ altro la pretesa di tutti i contendenti d’incarnare una divina volontà di pace e giustizia, che trae le proprie radici dal mondo antico, e precisamente da quella Persia (Eranshahr) che è oggi il vero antagonista di Israele (perché entrambi perseguono la stessa utopia). Ed è fra Egitto, Persia e Palestina che nasce la pretesa millenarista. Questi destini sono stati configurati dalla geografia: sono collocati ai punti di passaggio obbligati fra l’Asia e, da un lato, l’Europa, e, dall’ altro l’Africa, che tutti i contendenti pretendono di tenere sotto il proprio controllo. Le illusioni postmoderne di risolverli “con una bacchetta magica” in base a formule astratte sta scontrandosi con la realtà, e la sta perfino peggiorando.
La sopravvivenza dell’Umanità è stata uno degli obiettivi di base di ogni cultura. Nel mondo moderno iperconnesso, quest’obiettivo richiede uno sforzo congiunto di tutti i popoli. Nel mondo ipertecnologico delle Macchine Intelligenti, senza questo sforzo è assicurata la Fine dell’Uomo: come aveva riconosciuto Kant, la Pace Perpetua si rivela come un grande cimitero.
Per questo, a partire dal Sacro Romano Impero e dal re hussita Podiebrad, e poi via via attraverso Postel, Crucé, Saint-Pierre, Pufendorf, Novalis, Nicola II, Coudenhove Kalergi, Wilson, Spinelli, si è venuta configurando una teoria delle organizzazioni internazionali. Teoria che comunque non indica alcun antidoto all’ incombente mortalità del cosmo, dell’ Umanità e delle civiltà. Anche alla luce dell’ esperienza, occorre ora perciò un approccio più realistico, secondo cui la Storia non finirà con un evento taumaturgico, bensì presumibilmente con il suicidio dell’ Umanità (vedi bomba atomica, Singularity, Terza Guerra Mondiale, surriscaldamento atmosferico, denatalità), e perciò il nostro compito ragionevole è, nella migliore delle ipotesi, “salvare il Cosmo”, almeno finché sarà possibile (il Katèchon), e per il resto attendere la Fine, che, secondo la tradizione cristiana, “verrà come un ladro nella notte”. L’ebraismo ha un’eccezionale espressione a questo proposito: “Tikkun ha-Olam” (“riparare il mondo”), che non è l’impossibile “Raddrizzare il legno storto dell’ Umanità” (Kant, Berlin), bensì si apparenta a quella quotidiana ricostruzione del Divino attraverso i Riti di cui parla anche Eliade.
1.Il Paese degli Ariani (Iran)
L’eternità delle guerre in corso è dimostrato dalle vicende (pre-istoriche, storiche e post-istoriche) delle tre aree in questione: la Persia, la Palestina e le Steppe Pontiche.
Una delle opere che più hanno inciso sulla formazione della cultura postmoderna è il “Così parlò Zarathustra” di Nietzsche, sconcertante, da un lato, perché è talmente ben costruito, da poter rappresentare, letterariamente, e perfino linguisticamente, quasi un “sequel” del Zand i Bahman Yasn, il principale libro sacro zoroastriano, ma, dall’ altro, perché costituisce una sorta d’implicita ritrattazione della dottrina zoroastriana di una lotta cosmica fra un Dio del Male e un Dio del Bene, quest’ultimo rappresentato sulla terra dal sovrano achemenide.
Lo zoroastrismo rappresenterà così il modello prototipico del messianesimo ebraico e degl’imperi provvidenziali cristiani e islamici successivi. Non per nulla la nascita di Cristo è salutata, per primi, “nella pienezza dei Tempi”, dai Re Magi. I Persiani zoroastriani sconfiggeranno e imprigioneranno l’imperatore romano Valeriano, per poi essere a loro volta sconfitti dalle armate islamiche. C’è anche da chiedersi in che misura l’idea di Jihad, così centrale nell’ Islam, non sia che un’eredità della guerra santa dell’imperatore persiano contro Angra Mayniu. Del resto, uno dei compagni di Maometto era il “Principe di Persia”. La Persia ha mantenuto il proprio spirito antagonistico alimentando sette islamiche rivoluzionarie, come gli Shi’iti, i Carmati e gli Assassini, e varie religioni post-zoroastriane, come il Manicheismo, il Mazdakisno e il Paulicianesimo (poi reincarnatosi in Europa nel Bogumilismo e nel Catarismo) Più recentemente, la Persia ha generato nuove sette molto inclini al Technological Sublime, come i Baha’i, e, dentro l’Islam, gli Hojjatiyye.
I Persiani continueranno a costituire un elemento di disordine nel Medio Oriente, poiché, memori di quelle antiche glorie, ambiscono ancor sempre a dominarlo, se non altro culturalmente, con la loro letteratura e le influenze delle loro lingue, e perciò non accettano l’egemonia culturale, né dell’ Occidente, né degli Arabi, né dei Sunniti, né di Israele. La rivoluzione khomeinista, che si presentò come alternativa al mondo islamico sunnita, continua dunque la tradizione messianica e rivoluzionaria dello zoroastrismo, per altro ancora vivo e vegeto nel Paese, e spesso richiamato dai dissidenti anti-khomeinisti.
Ma i veri eredi dello Zoroastrismo sono i progressisti occidentali, i quali hanno trasfuso nel progressismo laicista l’enfasi posta dai Persiani nell’Apocalisse, intesa come conquista del mondo da parte di un Salvatore (Shaoshant) sotto la guida di Ahura Mazda, e la conseguente vittoria del Bene Assoluto sul Male Assoluto. D’altronde, gli Hojjatiyye considerano l’invenzione di Internet come un segno dell’avvicinarsi dell’avvento del Mahdi.
Invece, le cosiddette “autocrazie”, nemiche dell’ Occidente progressista, sono i veri epigoni culturali degli antichi Greci, in quanto culture tragiche, belliciste e aristocratiche sul modello degli Spartani delle Termopili, a cui sembrano ispirati i vari al-Qaida, ISIS, Hamas e Hezbollah, con i loro leaders che cercano la morte gloriosa in battaglia. Significativamente, come racconta Erodoto, il generale persiano Mardonio, dopo avere represso la rivolta della Ionia, impone alle poleis locali d’instaurare governi democratici in sostituzione di quelli aristocratici che si erano ribellati alla Persia.
2.Peleset, Peleshtim, Filastin
Sin dall’antichità l’egemonia degli Hyksos venne identificata con il soggiorno in Egitto degli Ebrei, e, in particolare, con le storie bibliche di Giuseppe e Mosè. Gli Hyksos (Heka khasut, cioè “i capi di un Paese straniero” )giunsero in Egitto attorno al 1700 a.C., portandovi il cavallo e il carro da guerra.
Dopo l’Esodo dall’Egitto, cominciava la conquista di Cana’an da parte del popolo ebraico. I “Revisionisti Israeliani” (p.es., Finkielkraut) sostengono che una vera e propria “Conquista di Canaan” intesa come grande campagna militare, non è mai avvenuta, e si è invece trattato di un graduale spostamento di popoli, dalle rive del Mare Mediterraneo, alle colline della Palestina. Sia come sia, si era sviluppata comunque di una guerriglia continua, a cui ben si confanno le descrizioni contenute in tutta la Bibbia, per altro facilmente sovrapponibili a quelle attuali di Gaza, della Cisgiordania e del Libano:“due dei figli di Giacobbe, Simeone e Levi, fratelli di Dina, presero ciascuno la propria spada, assalirono la città che si riteneva sicura, e uccisero tutti i maschi.” – “Passarono a fil di spada anche Camor e suo figlio Sichem, presero Dina dalla casa di Sichem, e uscirono.” – “I figli di Giacobbe si gettarono sugli uccisi e saccheggiarono la città, perché la loro sorella era stata disonorata” – “presero le loro greggi, i loro armenti, i loro asini, quanto era nella città e nei campi.” – “Portarono via come bottino tutte le loro ricchezze, tutti i loro bambini, le loro mogli e tutto quello che si trovava nelle case….“
Queste vicende ricalcano inoltre quella della Guerra di Troia, narrata dalla letteratura greca, e quelle documentate nei monumenti dei sovrani mesopotamici e nei poemi ittiti, hurritici e mitannici.
Il meccanismo è sempre lo stesso: Dio, attraverso i profeti, incita il popolo ebraico a conquistare le diverse città di Canaan, sterminandone gli abitanti. La scena si ripete all’ infinito. Vengono menzionati infiniti popoli e città: Amalek; Og; Sicon; Madian;Gerico ; Ai; Gabaon; Machedda; Libna;Eglon; Ebron;Debir;i Ferezei;Gerusalemme;Sefat;Moav;Succot;Lais; i Filistei;Ammon;Galgala;gli Aramei;i Siriani;Tifsach…
Tutto ciò è confermato dalle Lettere di Tell el-Amarna, che dimostrano come le città cananee si lamentassero con il Faraone degli attacchi di popolazioni barbare, che essi definivano come “Habiru” o “Jahu.”
Sulla Stele di Merneptah ( 1200 circa a.C.), è narrato l’esito vittorioso di una spedizione militare, al seguito della quale :”Ysyrỉ3r fk.t;bn pr.t =f” (“Ysrỉr è desolato;il seme suo non c’è”)
Da vari studiosi moderni, Ysrỉr viene identificato con Israele. Si tratterebbe pertanto della prima testimonianza storica relativa al popolo ebraico. Il nome Ysrỉr non è accompagnato, come accade per le città o stati presenti nella lista, dall’ideogramma raffigurante tre montagne stilizzate indicante un regno. L’ideogramma associato invece, un uomo e una donna, indica una popolazione di natura nomade.Invece, i Palestinesi (Filistei, Peleset, Peleshtim, Filastin), sono spesso identificati con uno dei Popoli del Mare che vediamo sbarcare sulla parete del tempio di Medinet Habu , Sherden, Sheklesh, Ekwesh .
Questa conflittualità ricorrente ricorda i tentativi egemonici attribuiti dalla Bibbia ai regni di Davide e Salomone, le invasioni babilonesi, assire, persiane e macedoni, fino alle Guerre Giudaiche e all’inizio della Diaspora.
Di non minore importanza, per il Levante, le, questa volta documentatissime, Crociate volte a riconquistare la Terra Santa dal dominio islamico, le quali che durarono circa 600 anni. La prima (1096-1099) permise di istituire i primi quattro Stati crociati: la Contea di Edessa, il Principato di Antiochia, il Regno di Gerusalemme e la Contea di Tripoli. A livello popolare, essa scatenò un’ondata di rabbia cattolica che si espresse nei massacri degli ebrei e il violento trattamento dei cristiani ortodossi “scismatici” dell’est.
La protezione dei Cristiani in Terrasanta costituì poi il pretesto per la Guerra di Crimea, e il Libano è stato anch’esso oggetto di violente dispute fra comunità religiose, che hanno portato a varie guerre civili (cfr. infra).
Infine, la stessa nascita dello Stato di Israele si inserisce in un piano di destabilizzazione del Medio Oriente dopo la sconfitta dell’Impero Ottomano, posto in essere da Francia e Inghilterra con gli Accordi Sykes/Picot, piano che non ha ancora cessato di esercitare i suoi effetti perversi.
3.Le steppe pontiche (u-Krajine=sulla frontiera)
La cultura “Jamnaja” (“delle tombe a pozzo”) si colloca fra una fase tarda dell’età del rame e l’inizio dell’età del bronzo, nella regione fra il Bug e il Dnestr e gli Urali (la steppa pontica), in un periodo che va dal XXXVI al XXIII secolo a.C.. Si ritiene che gli Jamnaja siano stati i primi domesticatori di cavalli per uso di trasporto cavaliere e di carri con ruote, che avevano facilitato gli spostamenti e diffuso questa tecnologia. I resti del più arcaico carro con ruote trainato da cavalli, sono stati trovati nel kurgan della “Storožova mohyla” (Dniepropetrovsk, oggi Dniprò”), in Ucraina. Il sito sacrificale di Luhansk (Lugansk, nel Donbass, al centro degli attuali combattimenti) recentemente scoperto, è stato descritto come un santuario collinare dove si praticavano sacrifici umani..
Anche grazie ai cavalli, gli Jamnaja furono un popolo particolarmente guerriero e conquistatore (gli “Ariani”), che si espanse rapidamente tanto in Europa, quanto in Asia. Dopo di essi, attraversarono le steppe pontiche Sciti, Sarmati, Unni, Avari, Bulgari, Khazari, Peceneghi .Questi ultimi sono i Polovesiani (Polovcy), di cui narra il Canto del Principe Igor (anno 1080)e a cui sono dedicate le “Danze Polovesiane”.
Dopo secoli di combattimenti che coinvolsero molti popoli dell’ area -Bizantini, Bulgari, Rus’ di Kiev, Cazari e Magiari-,nel XIII Secolo,l’Impero Mongolo conquistò, fa le altre cose, le attuali Ucraina e Russia. Una delle principali battaglie per la liberazione delle stesse fu la Battaglia di Kulikovo, sul Don, sotto la guida di Dmitri Donskoj, nel 1378.
L’Ucraina fece poi parte di quella serie di fortificazioni al confine con l’ Impero Ottomano (che andavano dell’ Impero austriaco, della Polonia e della Russia) dette Krajine (confini). Esse furono custodite da guerrieri di origini internazionali (Giannizzeri, Granicari, Graenzer, Serbi, Hajduk, Honved, Karaim, Lipka Tatarlar). Nell’ attuale Ucraina, essi si chiamarono Cosacchi, da un termine turco che significa “cavalieri delle steppe”, e la Krajina polacca e russa si chiamò “Ukrajina”. Il suo cuore era costituito dalle fortezze sul Dniepr (Zaporishkaja Sich). Si combatté in quest’area fra Cosacchi, Turchi, Polacchi, Svedesi e Russi. Vi furono anche due importanti rivolte di Cosacchi: quella di Stenka Razin e quella di Pugaciov.
La Guerra diCrimea costituì uno snodo fondamentale della storia europea, come testimonia il suo ruolo nella unificazione italiana, vedendo essa la nascita di una coalizione antirussa a cui partecipò il Regno di Sardegna, anticipatrice dell’ attuale “Kollektiv Zapada”, che contende alla Russia l’egemonia sulla Europa Orientale.
Durante la Guerra Civile Russa, l’Oriente dell’ Ucraina fu sede della repubblica di Kharkiv, dell’ effimero Stato “bianco” di Denikin, della repubblica anarchica di Makhnò e di quelle sovietiche del Donbass e Krivoj Rog. Successivamente alla vittoria sovietica, quelle regioni patirono in modo particolare l’Holodomor (la carestia nella Russia Meridionale), e la “campagna di dekulakizzazione”.
L’invasione e la spartizione della Polonia dopo il Patto Molotov Ribbentrop comportò lo scatenamento della guerra in tutta la regione pontica. Bandera e l’UPA, addestrati a Praga sotto l’egida di Rosenberg, entrarono a Leopoli in divise naziste, proclamando lo Stato indipendente ucraino, a cui si riallaccia l’attuale narrativa “nazionale” ucraina.
La battaglia di Stalingrado, decisiva per le sorti del conflitto, si svolse precisamente all’ incontro fra Don e Volga. L’area fra il Dniepr e il Volga fu il centro di fondamentali combattimenti fra l’Esercito Tedesco, spalleggiato da truppe italiane, rumene, ungheresi, francesi, slovacche, croate, e scandinave e da volontari anticomunisti di tutta Europa, dei Paesi arabi, dell’Asia Centrale e dell’India, e, dall’ altra, l’Armata Rossa.
La resa di von Paulus a Stalingrado e la “ritirata di Russia” delle truppe dell’Asse segnarono l’inizio della sconfitta di Hitler.
Su tutto questo si può consultare il nostro libro “Ucraina no a un’inutile strage”.
Questo scalpore è giustificato soprattutto dal fatto che la “Guerra Mondiale a Pezzi”, oramai non più tanto a pezzi, sta scalfendo una gran quantità di luoghi comuni impostici da decenni dai media occidentali. Fra questi, il più pernicioso è stato quello relativo alla presunta “imminenza della Pace Perpetua”, veicolato dalla retorica delle Organizzazioni Internazionali e dell’ Unione Europea.
Mentre le Nazioni Unite hanno appena fatto il punto sulla loro pretenziosa Agenda 2030, esse si vedono addirittura attaccate militarmente da uno dei propri membri, che l’accusa di essere troppo imparziali nel conflitto con i Palestinesi, mentre invece, secondo Israele, questi ultimi sarebbero dei “terroristi”, da sterminarsi semplicemente, senza curarsi del diritto internazionale umanitario. I Caschi Blu dovrebbero quindi farsi da parte in seguito a semplici intimazioni dell’Esercito Israeliano (che, tra l’altro, non si capisce perché improvvisamente sia diventato per tutti “IDF”, all’Americana, anziché, in Ebraico, “Tsahal”), e, in caso contrario, rassegnarsi ad essere cannoneggiati. Come se non bastasse, lo stesso Segretario Generale dell’ ONU viene praticamente messo al bando da Israele, immemore del fatto che la sua stessa creazione era stata opera dell’ ONU.
Non che le critiche di Israele siano del tutto infondate. L’inasprirsi della crisi dimostra la debolezza della funzione di “Peace-Keeping” internazionale, ma ciò non è ”colpa” di nessuno: è la Post-Modernità che, qui come altrove, mette a nudo le contraddizioni della Modernità, due fra le quali riguardano, tra l’altro, proprio Israele e l’ ONU. Su Israele c’è da chiedersi se sia veramente, come pretendeva Herzl, uno “Stato laico”, nel qual caso non si comprenderebbe tutta quest’ansia di ristabilire i confini biblici (Yisrael ha-Shelomah), di ricostruire il Tempio e di usare la Torah come unica vera Costituzione. D’altronde, visto che Israele non è una “razza” bensì un “popolo” etno-culturale, esso non esisterebbe nemmeno se non ci fossero la Bibbia e la sua lingua. Di converso, i Neturei Karta combattono l’idea di uno Stato ebraico nel tempo presente (tempo che ritengono ancora di esilio), poiché ritengono contrario all’autentica tradizione religiosa ebraica lo stabilirlo senza aspettare che Erets Israel venga esplicitamente donata dall’Altissimo. Pertanto, la pretesa sionista di costituire uno “Stato ebraico laico” sarebbe semplicemente l’ennesima “hybris” di alcuni eresiarchi, né più né meno di quella dei “Costruttori di Dio” cristiani o dei Baha’i persiani (che, guarda caso, hanno sede proprio in Israele): un’ennesima manifestazione di quella “religione secolarizzata” che è al centro della Modernità.
Queste religioni secolarizzate, che, con Lessing, pretendono di realizzare sulla terra le promesse escatologiche delle religioni tradizionali, paradossalmente, in ossequio all’Eterogenesi dei Fini, mentre propugnano la Pace Perpetua, stanno trasformando le religioni in strumenti di lotta fra le diverse parti del mondo (Singularity contro Tradizione; Hindutva contro Shari’a), perché, abbandonate le pretese di salvezza individuale, sono divenute semplicemente la divinizzazione della volontà di potenza dei singoli Stati-Civiltà. Del resto, anche il Puritanesimo è una versione secolarizzata del Protestantesimo, così come la il “socialismo islamico” lo è dell’Islam. L’ accusa di “integralismo”rivolta tradizionalmente alle versioni “conservatrici” (“quietiste”) delle singole religioni, si rivela invece adeguata solo alle loro emulazioni laicistiche, come la “religione dell’ umanità di Saint Simon, il Sionismo e la “Nazione dell’ Islam”, camuffamenti dell’espansionismo di popoli che si pretendono “superiori”.
Di qui anche la sterilità delle Chiese ufficiali ( succubi neppur troppo copertamente di quelle religioni secolarizzate), le quali continuano a predicare la pace senza più trovare argomenti concreti a favore della stessa.
Ma contraddittoria è anche la natura stessa dell’ ONU, nata proprio dalla pretesa del progressismo puritano, espressa alla sua fondazione da Eleanor Roosevelt, di imporre la Pace Perpetua. Tale pace perpetua avrebbe costituito il suggello del progetto messianico americano quale espresso da Winthrop, Cotton Mather, Emerson, Whitman, Friske e Wilkie. Non per nulla il Palazzo di Vetro è situato nel cuore di Manhattan, sotto il completo controllo dell’America. La Seconda Guerra Mondiale sarebbe stata l’ ultima delle guerre perchè poi tutto il mondo sarebbe stato diretto dalla “ragnatela delle istituzioni dirette da Washington”(cfr. Ikenberry).
Sono stati i fatti stessi a ribellarsi a questa proteiforme “hybris”. I conflitti attualmente in corso non sono nati ieri, bensì parecchi millenni fa, e continuano a riproporsi sempre negli stessi termini: l’uno, lungo fra il Don, il Donetz e il Dniepr, fra i popoli indo-europei e turcici dei Kurgan e delle steppe, e, l’altro, fra “Il Fiume d’ Egitto” e l’Eufrate, fra popoli semitici e hamitici dei deserti. Dietro a tutto ciò ci sono, da un lato, la “Distinzione mosaica” (fra Vero e Falso, cfr. Jan Assmann), dall’ altro la pretesa di tutti i contendenti d’incarnare una divina volontà di pace e giustizia, che trae le proprie radici dal mondo antico, e precisamente da quella Persia (Eranshahr) che è oggi il vero antagonista di Israele (perché entrambi perseguono la stessa utopia). Ed è fra Egitto, Persia e Palestina che nasce la pretesa millenarista. Questi destini sono stati configurati dalla geografia: sono collocati ai punti di passaggio obbligati fra l’Asia e, da un lato, l’Europa, e, dall’ altro l’Africa, che tutti i contendenti pretendono di tenere sotto il proprio controllo. Le illusioni postmoderne di risolverli “con una bacchetta magica” in base a formule astratte sta scontrandosi con la realtà, e la sta perfino peggiorando.
La sopravvivenza dell’Umanità è stata uno degli obiettivi di base di ogni cultura. Nel mondo moderno iperconnesso, quest’obiettivo richiede uno sforzo congiunto di tutti i popoli. Nel mondo ipertecnologico delle Macchine Intelligenti, senza questo sforzo è assicurata la Fine dell’Uomo: come aveva riconosciuto Kant, la Pace Perpetua si rivela come un grande cimitero.
Per questo, a partire dal Sacro Romano Impero e dal re hussita Podiebrad, e poi via via attraverso Postel, Crucé, Saint-Pierre, Pufendorf, Novalis, Nicola II, Coudenhove Kalergi, Wilson, Spinelli, si è venuta configurando una teoria delle organizzazioni internazionali. Teoria che comunque non indica alcun antidoto all’ incombente mortalità del cosmo, dell’ Umanità e delle civiltà. Anche alla luce dell’ esperienza, occorre ora perciò un approccio più realistico, secondo cui la Storia non finirà con un evento taumaturgico, bensì presumibilmente con il suicidio dell’ Umanità (vedi bomba atomica, Singularity, Terza Guerra Mondiale, surriscaldamento atmosferico, denatalità), e perciò il nostro compito ragionevole è, nella migliore delle ipotesi, “salvare il Cosmo”, almeno finché sarà possibile (il Katèchon), e per il resto attendere la Fine, che, secondo la tradizione cristiana, “verrà come un ladro nella notte”. L’ebraismo ha un’eccezionale espressione a questo proposito: “Tikkun ha-Olam” (“riparare il mondo”), che non è l’impossibile “Raddrizzare il legno storto dell’ Umanità” (Kant, Berlin), bensì si apparenta a quella quotidiana ricostruzione del Divino attraverso i Riti di cui parla anche Eliade.
1.Il Paese degli Ariani (Iran)
L’eternità delle guerre in corso è dimostrato dalle vicende (pre-istoriche, storiche e post-istoriche) delle tre aree in questione: la Persia, la Palestina e le Steppe Pontiche.
Una delle opere che più hanno inciso sulla formazione della cultura postmoderna è il “Così parlò Zarathustra” di Nietzsche, sconcertante, da un lato, perché è talmente ben costruito, da poter rappresentare, letterariamente, e perfino linguisticamente, quasi un “sequel” del Zand i Bahman Yasn, il principale libro sacro zoroastriano, ma, dall’ altro, perché costituisce una sorta d’implicita ritrattazione della dottrina zoroastriana di una lotta cosmica fra un Dio del Male e un Dio del Bene, quest’ultimo rappresentato sulla terra dal sovrano achemenide.
Lo zoroastrismo rappresenterà così il modello prototipico del messianesimo ebraico e degl’imperi provvidenziali cristiani e islamici successivi. Non per nulla la nascita di Cristo è salutata, per primi, “nella pienezza dei Tempi”, dai Re Magi. I Persiani zoroastriani sconfiggeranno e imprigioneranno l’imperatore romano Valeriano, per poi essere a loro volta sconfitti dalle armate islamiche. C’è anche da chiedersi in che misura l’idea di Jihad, così centrale nell’ Islam, non sia che un’eredità della guerra santa dell’imperatore persiano contro Angra Mayniu. Del resto, uno dei compagni di Maometto era il “Principe di Persia”. La Persia ha mantenuto il proprio spirito antagonistico alimentando sette islamiche rivoluzionarie, come gli Shi’iti, i Carmati e gli Assassini, e varie religioni post-zoroastriane, come il Manicheismo, il Mazdakisno e il Paulicianesimo (poi reincarnatosi in Europa nel Bogumilismo e nel Catarismo) Più recentemente, la Persia ha generato nuove sette molto inclini al Technological Sublime, come i Baha’i, e, dentro l’Islam, gli Hojjatiyye.
I Persiani continueranno a costituire un elemento di disordine nel Medio Oriente, poiché, memori di quelle antiche glorie, ambiscono ancor sempre a dominarlo, se non altro culturalmente, con la loro letteratura e le influenze delle loro lingue, e perciò non accettano l’egemonia culturale, né dell’ Occidente, né degli Arabi, né dei Sunniti, né di Israele. La rivoluzione khomeinista, che si presentò come alternativa al mondo islamico sunnita, continua dunque la tradizione messianica e rivoluzionaria dello zoroastrismo, per altro ancora vivo e vegeto nel Paese, e spesso richiamato dai dissidenti anti-khomeinisti.
Ma i veri eredi dello Zoroastrismo sono i progressisti occidentali, i quali hanno trasfuso nel progressismo laicista l’enfasi posta dai Persiani nell’Apocalisse, intesa come conquista del mondo da parte di un Salvatore (Shaoshant) sotto la guida di Ahura Mazda, e la conseguente vittoria del Bene Assoluto sul Male Assoluto. D’altronde, gli Hojjatiyye considerano l’invenzione di Internet come un segno dell’avvicinarsi dell’avvento del Mahdi.
Invece, le cosiddette “autocrazie”, nemiche dell’ Occidente progressista, sono i veri epigoni culturali degli antichi Greci, in quanto culture tragiche, belliciste e aristocratiche sul modello degli Spartani delle Termopili, a cui sembrano ispirati i vari al-Qaida, ISIS, Hamas e Hezbollah, con i loro leaders che cercano la morte gloriosa in battaglia. Significativamente, come racconta Erodoto, il generale persiano Mardonio, dopo avere represso la rivolta della Ionia, impone alle poleis locali d’instaurare governi democratici in sostituzione di quelli aristocratici che si erano ribellati alla Persia.
2.Peleset, Peleshtim, Filastin
Sin dall’antichità l’egemonia degli Hyksos venne identificata con il soggiorno in Egitto degli Ebrei, e, in particolare, con le storie bibliche di Giuseppe e Mosè. Gli Hyksos (Heka khasut, cioè “i capi di un Paese straniero” )giunsero in Egitto attorno al 1700 a.C., portandovi il cavallo e il carro da guerra.
Dopo l’Esodo dall’Egitto, cominciava la conquista di Cana’an da parte del popolo ebraico. I “Revisionisti Israeliani” (p.es., Finkielkraut) sostengono che una vera e propria “Conquista di Canaan” intesa come grande campagna militare, non è mai avvenuta, e si è invece trattato di un graduale spostamento di popoli, dalle rive del Mare Mediterraneo, alle colline della Palestina. Sia come sia, si era sviluppata comunque di una guerriglia continua, a cui ben si confanno le descrizioni contenute in tutta la Bibbia, per altro facilmente sovrapponibili a quelle attuali di Gaza, della Cisgiordania e del Libano:“due dei figli di Giacobbe, Simeone e Levi, fratelli di Dina, presero ciascuno la propria spada, assalirono la città che si riteneva sicura, e uccisero tutti i maschi.” – “Passarono a fil di spada anche Camor e suo figlio Sichem, presero Dina dalla casa di Sichem, e uscirono.” – “I figli di Giacobbe si gettarono sugli uccisi e saccheggiarono la città, perché la loro sorella era stata disonorata” – “presero le loro greggi, i loro armenti, i loro asini, quanto era nella città e nei campi.” – “Portarono via come bottino tutte le loro ricchezze, tutti i loro bambini, le loro mogli e tutto quello che si trovava nelle case….“
Queste vicende ricalcano inoltre quella della Guerra di Troia, narrata dalla letteratura greca, e quelle documentate nei monumenti dei sovrani mesopotamici e nei poemi ittiti, hurritici e mitannici.
Il meccanismo è sempre lo stesso: Dio, attraverso i profeti, incita il popolo ebraico a conquistare le diverse città di Canaan, sterminandone gli abitanti. La scena si ripete all’ infinito. Vengono menzionati infiniti popoli e città: Amalek; Og; Sicon; Madian;Gerico ; Ai; Gabaon; Machedda; Libna;Eglon; Ebron;Debir;i Ferezei;Gerusalemme;Sefat;Moav;Succot;Lais; i Filistei;Ammon;Galgala;gli Aramei;i Siriani;Tifsach…
Tutto ciò è confermato dalle Lettere di Tell el-Amarna, che dimostrano come le città cananee si lamentassero con il Faraone degli attacchi di popolazioni barbare, che essi definivano come “Habiru” o “Jahu.”
Sulla Stele di Merneptah ( 1200 circa a.C.), è narrato l’esito vittorioso di una spedizione militare, al seguito della quale :”Ysyrỉ3r fk.t;bn pr.t =f” (“Ysrỉr è desolato;il seme suo non c’è”)
Da vari studiosi moderni, Ysrỉr viene identificato con Israele. Si tratterebbe pertanto della prima testimonianza storica relativa al popolo ebraico. Il nome Ysrỉr non è accompagnato, come accade per le città o stati presenti nella lista, dall’ideogramma raffigurante tre montagne stilizzate indicante un regno. L’ideogramma associato invece, un uomo e una donna, indica una popolazione di natura nomade.Invece, i Palestinesi (Filistei, Peleset, Peleshtim, Filastin), sono spesso identificati con uno dei Popoli del Mare che vediamo sbarcare sulla parete del tempio di Medinet Habu , Sherden, Sheklesh, Ekwesh .
Questa conflittualità ricorrente ricorda i tentativi egemonici attribuiti dalla Bibbia ai regni di Davide e Salomone, le invasioni babilonesi, assire, persiane e macedoni, fino alle Guerre Giudaiche e all’inizio della Diaspora.
Di non minore importanza, per il Levante, le, questa volta documentatissime, Crociate volte a riconquistare la Terra Santa dal dominio islamico, le quali che durarono circa 600 anni. La prima (1096-1099) permise di istituire i primi quattro Stati crociati: la Contea di Edessa, il Principato di Antiochia, il Regno di Gerusalemme e la Contea di Tripoli. A livello popolare, essa scatenò un’ondata di rabbia cattolica che si espresse nei massacri degli ebrei e il violento trattamento dei cristiani ortodossi “scismatici” dell’est.
La protezione dei Cristiani in Terrasanta costituì poi il pretesto per la Guerra di Crimea, e il Libano è stato anch’esso oggetto di violente dispute fra comunità religiose, che hanno portato a varie guerre civili (cfr. infra).
Infine, la stessa nascita dello Stato di Israele si inserisce in un piano di destabilizzazione del Medio Oriente dopo la sconfitta dell’Impero Ottomano, posto in essere da Francia e Inghilterra con gli Accordi Sykes/Picot, piano che non ha ancora cessato di esercitare i suoi effetti perversi.
3.Le steppe pontiche (u-Krajine=sulla frontiera)
La cultura “Jamnaja” (“delle tombe a pozzo”) si colloca fra una fase tarda dell’età del rame e l’inizio dell’età del bronzo, nella regione fra il Bug e il Dnestr e gli Urali (la steppa pontica), in un periodo che va dal XXXVI al XXIII secolo a.C.. Si ritiene che gli Jamnaja siano stati i primi domesticatori di cavalli per uso di trasporto cavaliere e di carri con ruote, che avevano facilitato gli spostamenti e diffuso questa tecnologia. I resti del più arcaico carro con ruote trainato da cavalli, sono stati trovati nel kurgan della “Storožova mohyla” (Dniepropetrovsk, oggi Dniprò”), in Ucraina. Il sito sacrificale di Luhansk (Lugansk, nel Donbass, al centro degli attuali combattimenti) recentemente scoperto, è stato descritto come un santuario collinare dove si praticavano sacrifici umani..
Anche grazie ai cavalli, gli Jamnaja furono un popolo particolarmente guerriero e conquistatore (gli “Ariani”), che si espanse rapidamente tanto in Europa, quanto in Asia. Dopo di essi, attraversarono le steppe pontiche Sciti, Sarmati, Unni, Avari, Bulgari, Khazari, Peceneghi .Questi ultimi sono i Polovesiani (Polovcy), di cui narra il Canto del Principe Igor (anno 1080)e a cui sono dedicate le “Danze Polovesiane”.
Dopo secoli di combattimenti che coinvolsero molti popoli dell’ area -Bizantini, Bulgari, Rus’ di Kiev, Cazari e Magiari-,nel XIII Secolo,l’Impero Mongolo conquistò, fa le altre cose, le attuali Ucraina e Russia. Una delle principali battaglie per la liberazione delle stesse fu la Battaglia di Kulikovo, sul Don, sotto la guida di Dmitri Donskoj, nel 1378.
L’Ucraina fece poi parte di quella serie di fortificazioni al confine con l’ Impero Ottomano (che andavano dell’ Impero austriaco, della Polonia e della Russia) dette Krajine (confini). Esse furono custodite da guerrieri di origini internazionali (Giannizzeri, Granicari, Graenzer, Serbi, Hajduk, Honved, Karaim, Lipka Tatarlar). Nell’ attuale Ucraina, essi si chiamarono Cosacchi, da un termine turco che significa “cavalieri delle steppe”, e la Krajina polacca e russa si chiamò “Ukrajina”. Il suo cuore era costituito dalle fortezze sul Dniepr (Zaporishkaja Sich). Si combatté in quest’area fra Cosacchi, Turchi, Polacchi, Svedesi e Russi. Vi furono anche due importanti rivolte di Cosacchi: quella di Stenka Razin e quella di Pugaciov.
La Guerra diCrimea costituì uno snodo fondamentale della storia europea, come testimonia il suo ruolo nella unificazione italiana, vedendo essa la nascita di una coalizione antirussa a cui partecipò il Regno di Sardegna, anticipatrice dell’ attuale “Kollektiv Zapada”, che contende alla Russia l’egemonia sulla Europa Orientale.
Durante la Guerra Civile Russa, l’Oriente dell’ Ucraina fu sede della repubblica di Kharkiv, dell’ effimero Stato “bianco” di Denikin, della repubblica anarchica di Makhnò e di quelle sovietiche del Donbass e Krivoj Rog. Successivamente alla vittoria sovietica, quelle regioni patirono in modo particolare l’Holodomor (la carestia nella Russia Meridionale), e la “campagna di dekulakizzazione”.
L’invasione e la spartizione della Polonia dopo il Patto Molotov Ribbentrop comportò lo scatenamento della guerra in tutta la regione pontica. Bandera e l’UPA, addestrati a Praga sotto l’egida di Rosenberg, entrarono a Leopoli in divise naziste, proclamando lo Stato indipendente ucraino, a cui si riallaccia l’attuale narrativa “nazionale” ucraina.
La battaglia di Stalingrado, decisiva per le sorti del conflitto, si svolse precisamente all’ incontro fra Don e Volga. L’area fra il Dniepr e il Volga fu il centro di fondamentali combattimenti fra l’Esercito Tedesco, spalleggiato da truppe italiane, rumene, ungheresi, francesi, slovacche, croate, e scandinave e da volontari anticomunisti di tutta Europa, dei Paesi arabi, dell’Asia Centrale e dell’India, e, dall’ altra, l’Armata Rossa.
La resa di von Paulus a Stalingrado e la “ritirata di Russia” delle truppe dell’Asse segnarono l’inizio della sconfitta di Hitler.
Su tutto questo si può consultare il nostro libro “Ucraina no a un’inutile strage”.
4.Urgenza della riforma delle Organizzazioni Internazionali
Come scrivevamo, la pace e la Fine della Storia erano state da sempre al centro degli sforzi per la creazione di un’ organizzazione internazionale, a partire dal trattato per la “Pax Aeterna” fra l’Impero romano e quello partico, per passare al “Landfridt” della Dieta di Worms, continuando con il Nouveau Cynée di Emeric Crucé e il Trattato per la Pace Perpetua di Saint-Pierre, con i suoi commenti da parte dei grandi illuministi, fino alla Santa Alleanza e alle conferenze per la Pace di fine ‘800. Tutti questi movimenti non arrestarono minimamente le moltissime guerre degli ultimi due millenni. Men che mai a ciò servirono la Società delle Nazioni e le Nazioni Unite.
Infatti, premesso che un certo grado di conflittualità è inevitabile se si vuole evitare un totalitario potere mondiale (lo Stato Mondiale di Juenger), un certo qual controllo di tale conflittualità è possibile solo se : (i) si accetta un certo grado di imperfezione delle cose umane; (ii)si mettono sul tavolo le reali cause dei conflitti.
Non per nulla l’attuale situazione è nata dal fallimento della pretesa internazionalistica del bolscevismo, e dalla conseguente sostituzione dell’URSS con la Comunità di Stati Indipendenti (tutt’ora viva e vegeta).
Orbene, oggi, quelle due condizioni non sembrano soddisfatte.
Quanto alla prima, tutti, compresi i promotori di un nuovo ordine mondiale (tranne la Cina), si propongono quali portatori di un’idea salvifica millenaristica di ordinamento internazionale, quand’anche differente tanto da quella sovietica, quanto da quella americana.
Quanto alla seconda, nessuno sta considerando che la reale causa dei conflitti, seppure parziali, in corso, risale alla pretesa occidentale di creare un potere mondiale unitario, pretesa contestata dalle altre parti del mondo. Prima di iniziare l’Operazione Militare Speciale, la Russia e la Cina avevano espresso chiaramente questo loro obiettivo di sventare il progetto americano di “Fine della Storia” attraverso la creazione di nuovi “paesi satelliti”, come l’Ucraina e Taiwan, destinati a corrodere l’identità di Russia e Cina, per sostituirle con piccoli Stati teleguidati dall’ Occidente (come accaduto per esempio con i Baltici o con l’Iraq “cantonalizzato”).
Andare incontro alle esigenze di tutti significa invece riconoscere Cina, Russia, Iran, Corea del Nord (ma anche India, Brasile, Cuba), come interlocutori pienamente legittimi e “di pari grado”, senza progettare la loro distruzione e sostituzione con nuovi Stati “rivoluzionari”, come faceva a suo tempo l’URSS.
Più in generale, i conflitti nel mondo si potranno almeno attutire quando tutte le grandi aree del mondo possederanno un loro ecosistema digitale autonomo, corrispondente alla loro specifica identità, e non potranno più, di conseguenza, essere controllati centralmente a distanza da Salt Lake City, dalla Silicon Valley o da Langley.
L’allargamento dei BRICS a inizio 2024 verso Iran, Etiopia, Egitto ed EAU e il vertice dei BRICS, attualmente in corso a Kazan’,iniziano a configurare, nella pratica, la visione cinese di una coalizione di stati capaci di sfidare l’egemonia occidentale. Oggigiorno, i BRICS rappresentano il 45 percento della popolazione mondiale e una quota del Pil (PPP) che supera quella del G7. Nonostante che i BRICS, su carta, ben supportino l’agenda di Pechino, la Cina è consapevole che, all’interno del gruppo, continuano a sussistere tensioni che potrebbero andare ad inficiare la coesione del progetto e il raggiungimento di obiettivi comuni. Paesi come India e Brasile, soprattutto, seppur partecipino attivamente alla vita dei BRICS, non mantengono le medesime posizioni anti-occidentali di Cina e Russia.
Manca però ancora un discorso culturale unificante, in grado di cogliere, pur salvaguardando la “poliedricità” del mondo, dei punti di incontro, per esempio, fra il socialismo con caratteristiche cinesi, il conservatorismo russo, il terzomondismo tradizionale, il panislamismo e l’hindutva, alla luce della transizione verso l’era delle Macchine Intelligenti.
Per questo, nessuno è stato ancora in grado di formulare proposte motivate circa la fine dei conflitti in corso, o almeno per una tregua.Per quanto riguarda il caso ucraino, avevamo indicato che una soluzione potrebbe venire dal riconoscimento del carattere europeo di Russia e Turchia, il che porterebbe automaticamente a un ruolo centrale dell’ Ucraina, e conseguentemente al venir meno della conflittualità fra questi tre poli.
Qualcosa di analogo potrebbe avvenite anche con Israele, nell’ ambito di una “Magna Europa” fondata, non già come l’Occidente attuale, sulle religioni secolarizzate, bensì sul ritorno all’humus culturale comune dell’ “Epoca Assiale” (cfr. Simone Weil, Saint-Exupéry, Eisenstadt, Eliade, Assmann, Frankopan).
4.Urgenza della riforma delle Organizzazioni Internazionali
Come scrivevamo, la pace e la Fine della Storia erano state da sempre al centro degli sforzi per la creazione di un’ organizzazione internazionale, a partire dal trattato per la “Pax Aeterna” fra l’Impero romano e quello partico, per passare al “Landfridt” della Dieta di Worms, continuando con il Nouveau Cynée di Emeric Crucé e il Trattato per la Pace Perpetua di Saint-Pierre, con i suoi commenti da parte dei grandi illuministi, fino alla Santa Alleanza e alle conferenze per la Pace di fine ‘800. Tutti questi movimenti non arrestarono minimamente le moltissime guerre degli ultimi due millenni. Men che mai a ciò servirono la Società delle Nazioni e le Nazioni Unite.
Infatti, premesso che un certo grado di conflittualità è inevitabile se si vuole evitare un totalitario potere mondiale (lo Stato Mondiale di Juenger), un certo qual controllo di tale conflittualità è possibile solo se : (i) si accetta un certo grado di imperfezione delle cose umane; (ii)si mettono sul tavolo le reali cause dei conflitti.
Non per nulla l’attuale situazione è nata dal fallimento della pretesa internazionalistica del bolscevismo, e dalla conseguente sostituzione dell’URSS con la Comunità di Stati Indipendenti (tutt’ora viva e vegeta).
Orbene, oggi, quelle due condizioni non sembrano soddisfatte.
Quanto alla prima, tutti, compresi i promotori di un nuovo ordine mondiale (tranne la Cina), si propongono quali portatori di un’idea salvifica millenaristica di ordinamento internazionale, quand’anche differente tanto da quella sovietica, quanto da quella americana.
Quanto alla seconda, nessuno sta considerando che la reale causa dei conflitti, seppure parziali, in corso, risale alla pretesa occidentale di creare un potere mondiale unitario, pretesa contestata dalle altre parti del mondo. Prima di iniziare l’Operazione Militare Speciale, la Russia e la Cina avevano espresso chiaramente questo loro obiettivo di sventare il progetto americano di “Fine della Storia” attraverso la creazione di nuovi “paesi satelliti”, come l’Ucraina e Taiwan, destinati a corrodere l’identità di Russia e Cina, per sostituirle con piccoli Stati teleguidati dall’ Occidente (come accaduto per esempio con i Baltici o con l’Iraq “cantonalizzato”).
Andare incontro alle esigenze di tutti significa invece riconoscere Cina, Russia, Iran, Corea del Nord (ma anche India, Brasile, Cuba), come interlocutori pienamente legittimi e “di pari grado”, senza progettare la loro distruzione e sostituzione con nuovi Stati “rivoluzionari”, come faceva a suo tempo l’URSS.
Più in generale, i conflitti nel mondo si potranno almeno attutire quando tutte le grandi aree del mondo possederanno un loro ecosistema digitale autonomo, corrispondente alla loro specifica identità, e non potranno più, di conseguenza, essere controllati centralmente a distanza da Salt Lake City, dalla Silicon Valley o da Langley.
L’allargamento dei BRICS a inizio 2024 verso Iran, Etiopia, Egitto ed EAU e il vertice dei BRICS, attualmente in corso a Kazan’,iniziano a configurare, nella pratica, la visione cinese di una coalizione di stati capaci di sfidare l’egemonia occidentale. Oggigiorno, i BRICS rappresentano il 45 percento della popolazione mondiale e una quota del Pil (PPP) che supera quella del G7. Nonostante che i BRICS, su carta, ben supportino l’agenda di Pechino, la Cina è consapevole che, all’interno del gruppo, continuano a sussistere tensioni che potrebbero andare ad inficiare la coesione del progetto e il raggiungimento di obiettivi comuni. Paesi come India e Brasile, soprattutto, seppur partecipino attivamente alla vita dei BRICS, non mantengono le medesime posizioni anti-occidentali di Cina e Russia.
Manca però ancora un discorso culturale unificante, in grado di cogliere, pur salvaguardando la “poliedricità” del mondo, dei punti di incontro, per esempio, fra il socialismo con caratteristiche cinesi, il conservatorismo russo, il terzomondismo tradizionale, il panislamismo e l’hindutva, alla luce della transizione verso l’era delle Macchine Intelligenti.
Per questo, nessuno è stato ancora in grado di formulare proposte motivate circa la fine dei conflitti in corso, o almeno per una tregua.Per quanto riguarda il caso ucraino, avevamo indicato che una soluzione potrebbe venire dal riconoscimento del carattere europeo di Russia e Turchia, il che porterebbe automaticamente a un ruolo centrale dell’ Ucraina, e conseguentemente al venir meno della conflittualità fra questi tre poli.
Qualcosa di analogo potrebbe avvenite anche con Israele, nell’ ambito di una “Magna Europa” fondata, non già come l’Occidente attuale, sulle religioni secolarizzate, bensì sul ritorno all’humus culturale comune dell’ “Epoca Assiale” (cfr. Simone Weil, Saint-Exupéry, Eisenstadt, Eliade, Assmann, Frankopan).
Per quanto l’idea di un Declino dell’ Occidente sia oramai entrata addirittura a far parte dei luoghi comuni, l’ultimo libro di Todd (ovviamente subito attaccato in modo furibondo dalla stampa dell’establishment) riesce ancora a distinguersi per la sua originalità, consistente in una lettura molto più analitica del consueto dei vari anelli che ci congiungono con la transizione geopolitica oramai atto sotto i nostri occhi.
1.Nichilismo e decadenza
Innanzitutto, il ruolo, nella decadenza dell’Occidente, del nichilismo, concepito comel’incapacità, tanto del pensiero, quanto delle religioni, occidentali, di risolvere in modo credibile le proprie contraddizioni, per giungere fino al momento attuale, in cui le nostre società non hanno addirittura più alcun fondamento logico, né esistenziale, su cui posare. Quell’essere “auf nichts gestellt” anticipato già da Goethe, e ripreso perfino da Spinelli nei suoi diari “notturni”.
Un nichilismo che, per Todd (e per tanti altri), è coevo e coestensivo della moderna secolarizzazione, ma che, invece, a mio avviso, trova le proprie radici molti secoli, se non millenni,prima: già nelle teologie negative, nei presocratici, nella tragedia greca e nella Patristica, il che fa, del “Tramonto dell’ Occidente” un dramma da gran tempo annunziato.
Come sostenevano brillantemente già Hegel, Nietzsche e Weber, anche per Todd “il cristianesimo è stato la matrice religiosa di ogni nostra successiva credenza collettiva”. La crisi dell’Occidente viene perciò ricondotta, in modo per altro non molto originale, alla crisi dell’ identificazione fra “Cristianità ed Europa”, per dirla con la fortunata formula di Novalis. O, come aveva scritto il giurista Boeckenfoerde,“La modernità vive di premesse ch’essa non può garantire”
Ciò è particolarmente vero, per Todd, nei Paesi protestanti, dove la religione civile moderna s’identificava proprio con un millenarismo secolarizzato(cfr. Max Weber), mirabilmente espresso da William Blake:
“And did those feet in ancient time Walk upon England’s mountains green? And was the holy Lamb of God On England’s pleasant pastures seen?
And did the Countenance Divine Shine forth upon our clouded hills? And was Jerusalem builded here Among these dark Satanic mills?
Bring me my bow of burning gold: Bring me my arrows of desire: Bring me my spear: O clouds unfold! Bring me my chariot of fire.
I will not cease from mental fight, Nor shall my sword sleep in my hand Till we have built Jerusalem In England’s green andpleasant land. “
Orbene, se tale era l’obiettivo originario della Modernità – quello di realizzare nell’ immanenza gli obiettivi perseguiti nella trascendenza dalle religioni di salvezza-, è proprio questa “Religione Civile” quella che non funziona più, rendendo quest’Occidente a guida anglosassone particolarmente debole nei confronti del resto del mondo.
La secolarizzazione dell’ Occidente ha seguito ovunque, per Todd, varie fasi, di cui citiamo qui solo le ultime:
-una prima, definita come “zombi”, “in cui perdurava la maggior parte dei costumi e dei valori della religione ormai scomparsa (in particolare, la capacità di agire collettivamente)”.Esempio tipico:L’idea delle “Radici cristiane dell’ Europa”, che significa che il Cristianesimo è già finito, sostituito dalla Religione del Progresso, che utilizza dei valori cristiani come base per la propria etica;
-la seconda, quella attuale, definita come “stato zero”: “un vuoto religioso assoluto, in cui gli individui sono privi di ogni credenza religiosa sostitutiva”. E, quindi, anche di una serie di corollari, quali “il sentimento nazionale, l’etica del lavoro, una morale sociale vincolante, la capacità di sacrificarsi per la comunità”.E’ la società attuale, in cui, alla mancanza di fondamenti culturali, subentrano gli automatismi della società del controllo totale.
2.Nichilismo e guerra in Ucraina
Secondo Todd, la logica di questa transizione sarebbe messa in definitiva evidenza dalla guerra in Ucraina, che, secondo quest’autore, sarebbe stata scatenata nel 2022 dai Russi in base ad una valutazione obiettiva proprio del processo di degenerazione dell’Occidente (“Gniloj Zapad”), per altro da essi teorizzato con dovizia di particolari fin dall’ inizio dell’ Ottocento (cfr. Derzhavin, Danilevskij, Tiutchev, Dostojevskij, Leontijev, Soloviov, Berdjajev).
Gli autori dell’ “establishment” italiano stanno finalmente incominciando a prendere doverosamente sul serio i progetti culturali della Russia. Per esempio, Ezio Mauro, su “La Repubblica del 13 Ottobre, osserva la grande coerenza fra l’intervento di Putin alla Conferenza di Monaco sulla sicurezza, contro il modello unipolare, con cui “puntava a proporsi come l’artefice in esclusiva di un modello alternativo, l’architetto di un nuovo ordine mondiale, capace di costruire un diverso sistema da proporre ai Paesi non occidentali come una vera e propria rivoluzione conservatrice, emancipatrice e autonoma, con l’obiettivo titanico di spostare l’assedel mondo sottraendolo all’ Ovest, con il cambio di riferimento che ne consegue”.In realtà, la ricostruzione di Mauro è reticente, perché Putin, inoccasione dei 50 anni di Europa, aveva pubblicato, sulla prima pagina de “La Stampa” di Torino un lungo articolo in cui, dopo avere affermato che l’Unione Europea costituiva la miglior realizzazione politica del XX° Secolo, aveva anche affermato di sentirsi, in quanto pietroburghese, a tutti gli effetti europeo. E, nell’incontro a Berlino con l’Associazione dei manager tedeschi, aveva paragonato la propria vocazione a “fare l’Europa”, a quella di Kohl, il quale aveva appena riunificato la Germania: “rimbocchiamoci le maniche”! La trasformazione della politica russa deriva dal rifiuto da parte europea di questa “fusione fra eguali”, mentre l’agenda segreta dell’Occidente prevedeva invece (e ancora prevede) l’assorbimento graduale degli Slavi Orientali, con l’obiettivo di mantenerli subordinati culturalmente, ideologicamente, politicamente, economicamente e militarmente, all’ Occidente a guida americana, sisfacendo infine la Federazione Russa nello stesso mocdo in cui era stata disfatta l’Unione Sovietica.
Dopo lo storico scontro fra von Der Leyen e Orbàn al Parlamento Europeo, anche Sergio Fabbrini, su “Il Sole 2riabilita quest’ultimo:”Il merito di Viktor Orban è stato quello di sfidare aprertamente la maggioranza che sostiene Von der Leyen. Il suo demerito è quello di non offrie alternative alle politiche perseguite dalla Commissione Europea.” In sostanza, Orbàn riempie un vuoto enorme, che spiega l’irrilevanza del sistema politico europeo. Infatti, quest’ultimo, che si pretenderebbe modello di liberaldemocrazia da imporsi al mondo intero, manca invece dell’elemento fondamentale di un sistema liberale: l’opposizione: è quindi oggi un’ideocrazia totalitaria governata da una minoranza di fanatici messianici. Orbàn, ponendosi apertamente come unico serio oppositore riconosciuto alle politiche del sistema costruito intorno alla von der Leyen, ha fatto ripartire una dialettica parlamentare indispensabile per una trasformazione radicale dell’Unione senza eventi traumatici . Infatti, egli afferma espressamente contro l’Unione Europea, di volerne cambiarne mentalità, ideologie, significato e programmi.
E ciò è fondamentale in questo momento, come conferma il recentissimo libro di RayKurzweil, “The Singulartity is Nearer”, c’è sullo sfondo l’urgenza della corsa all’ Intelligenza Artificiale, che potrebbe sparigliare le carte (cfr.p.es. Evgeny Morozov). Per questo Eric Schmidt e il Senatore Schumer si sono tanto adoprati per fare approvare dal Congresso uno stanziamento straordinario per l’informatica, e Musk e Altmann sfidano ogni genere di limiti legislativi per realizzare al più presto i loro obiettivi post-umanistici.
In sostanza, la Singularity (ora prevista dallo stesso Kurzweil, che ne è il più grande progettista, per il 2029, cioè fra 5 anni) avrebbe come effetto immediato il controllo assoluto, da parte del sistema digitale, sull’ insieme dei dati su tutti i cittadini dell’Emisfero Occidentale, e, quindi, sulla gestione, da parte loro, della gran parte delle loro disponibilità finanziarie, per lo più “offshore”. Tale controllo viene già usato come strumento di ricatto nel caso di disubbidienza alle direttive americane (come ci ha insegnato per esempio la vicenda degli oligarchi russi). Todd ci informa anche che, a partire dagli Anni Ottanta, quelle disponibilità che erano “parcheggiate” in Svizzera, al riparo da occhi indiscreti, anche americani, ma con tassi d’interesse bassissimi (se non negativi), sia stata recentemente sparsa nei paradisi fiscali situati in territori coloniali controllati dai “Five Eyes” anglosassoni: Isole Vergini, Samoa, Palau, Marshall, isole britanniche, Costa Rica e Panama.
Todd spiega l’assoluta disciplina atlantica dimostrata negli ultimi tempi dall’“establishment” europeo in gran parte con questo controllo poliziesco, divenuto centrale per l’America, da un lato, per controbilanciare la propria perdita di influenza economica sul resto del mondo (vedi de-dollarizzazione), e, dall’ altro, per compensare lo squilibrio crescente della bilancia commerciale USA nei confronti degli altri Paesi occidentali, che potrebbe conferire a questi ultimi, una rinnovata influenza sull’America.
Ma anche sul fronte dell’informatica il giornalismo “mainstream” sta riposizionandosi rapidamente. Commentando, per “Il Sole 24 Ore” del 13 “Technopolitique” di AsmaMhalla e “The Tech Coup” di Marietje Schaake, Luca de Biase esordisce affermando che il potere dei GAFAM “è cresciuto a dismisura. Sono accolti da primi monistri e presidenti, in mezzo mondo, come capi di stato.E come talisi comportano.Anche perché molto spesso, praticamente, lo sono.I leader delle Big Tech decidono il codice- la legge- che governa il comportamento di miliardi di persone. Organxzzano la soluzione di controversie, puniscono e premiano i loro utenti, in base a criteri che loro stessi definiscono, senza alcuna trasparenza. Hanno una politica estera. Intervengono nelle guerre e scelgono in quale campo stare nelle battaglie elettorali.” Dice Mhalla: “sono vettori della potenza americana e nello stesso tempo si trovano in dialettica con il potere politico degli Stati Uniti..”
Quanto alle alternative, è chiaro che nessuno vuole proporle perché, in un momento, come questo, di grande conflittualità nel mondo, c’è il rischio che chi lo facesse in modo serio venga travolto in modo brutale dai poteri forti. Basta vedere come Israele usi la forza in modo indiscriminato non solo contro i suoi avversari e i propri nemici dichiarati, bensì perfino contro le Nazioni Unite e contro i suoi alleati appena recalcitranti come l’ Italia. “La Stampa” enumera oggi ben 174 attacchi di Israele contro il diritto internazionale.
Per altro, l’attività di Alpina e di Diàlexis è stata fin dal principio basata sull’ idea di fornire queste alternative, stante la carenza del mondo politico. Basti ricordare “Cento Idee per l’ Europa” e, più recentemente, “Verso le Elezioni Europee, I partiti europei nella tempesta”, che invitiamo tutti a rileggere e discutere.
3.” Se l’Ucraina perde la guerra a vincere è l’Europa”
Secondo Todd,in netta controtendenza rispetto ai media mainstream, « È l’esito di questa guerra che deciderà il destino dell’Europa. Se la Russia venisse sconfitta in Ucraina, la sottomissione europea agli americani si prolungherebbe per un secolo. Se, come credo, gli Stati Uniti verranno sconfitti, la Nato si disintegrerà e l’Europa sarà lasciata libera.” “Infatti,”Con 144 milioni di abitanti, una popolazione in calo e 17 milioni di kmq, lo Stato russo fa già fatica ad occupare il suo territorio. La Russia non avrà né i mezzi né il desiderio di espandersi, una volta ricostituiti i confini della Russia pre-comunista. L’isteria russofobica occidentale, che fantastica sul desiderio di espansione russa in Europa, è semplicemente ridicola per uno storico serio ».Invece, chi ha un bisogno esistenziale di continuare a controllare l’ Europa, e, per questo, è disposto a qualunque cosa, è il Complesso Informatico-Digitale americano, che, grazie all’ Europa, riesce a mantenere un certo equilibrio con il resto del mondo:«Durante la guerra in Iraq, dopo il Kosovo, Putin, Schröder e Chirac hanno tenuto conferenze stampa congiunte. Questo terrorizzava Washington. Sembrava che l’America potesse essere espulsa dal continente europeo. La separazione della Russia dalla Germania divenne quindi una priorità per gli strateghi americani. Peggiorare la situazione in Ucraina è servito a questo scopo. Costringere i russi ad entrare in guerra per impedire l’integrazione di fatto dell’Ucraina nella Nato è stato, inizialmente, un grande successo diplomatico per Washington.”
5.Fra 5 anni, la Singularity
Le trasformazioni in corso, dall’Intelligenza Artificiale alla bioingegneria, dalle armi autonome alla conquista dello spazio, procedono senz’ alcun coordinamento politico. Esse sono invece nelle mani di una ristrettissima cerchia di addetti ai lavori, da Musk a Zuckerberg, da Altmann a Durov, che, lungi dall’ accettare le regole imposte dalle autorità, impartiscono essi stessi ordini alle stesse, disponendo del denaro, delle conoscenze, degli strumenti e dei media, da cui dipende il futuro dei politici e dei funzionari, e delle informazioni riservate sulla loro vita e sui loro patrimoni (cfr. supra). Basti vedere i massicci, e indisturbati, interventi, sulla politica americana, di Zuckerberg, Schmidt e Musk, e l’atteggiamento servile verso gli stessi da parte dei vertici americani ed europei.
Todd cita a questo punto una frase illuminante di Heidegger: “Ciò che è veramente inquietante non è che il mondo diventi un mondo completamente tecnico. Di gran lunga più inquietante è che l’uomo non sia affatto preparato a questa trasformazione del mondo”.
Così, la tempistica della Singularity sarà determinante per il futuro dell’ Umanità, e innanzitutto per l’esito dei conflitti in corso. Si noti che Kurzweil insiste sulla sua originaria previsione della Singularity per il 2029, mentre Elon Musk ed altri indicano date ancor più ravvicinate, cioè nel bel mezzo dei conflitti in corso.
E’ significativo che, invece, i media mainstream non sottolineino affatto questo nesso temporale, che incide pesantemente sulle ragioni e il significato dell’incipiente guerra (cfr. Morozov, supra). Secondo Kurzweil, ci vorranno altri 16 anni, dal 2029 al 2045 perché la corteccia cerebrale dell’Umanità venga collegata al cloud, come si tenta di fare con il suo Progetto Neuralink e con il progetto DARPA “Neural Engineering System Design”. In quel momento, gli esseri umani si identificherebbero con l’ Intelligenza Artificiale, come era stato previsto già addirittura da Averroè con il suo Intelletto Attivo, da Hegel con il suo lo Spirito Assoluto e da Vernadskij con la sua Noosfera.
Si tratterebbe allora, nello stesso tempo, della vittoria della Ragione Astratta e della Morte dell’Umanità, grazie alla sparizione di tutte le forme di vitalità, prosciugate dall’ onnipotenza della Ragione.
Una singolare coincidenza: per il 2049, Xi Jinping si ripropone di fare, della Cina, uno Xiaokang, vale a dire “una società moderatamente prospera”, un modello confuciano molto meno millenaristico delle varie versioni occidentali della “Fine della Storia”, ma soprattutto della “Singularity Tecnologica”, che ci viene proposta per il 2029-2047 . E’ questa la ragione più profonda dell’ opposizione fra il Sud del Mondo e il Complesso Informatico-Militare occidentale, che non può essere ridotta all’ antitesi “democrazia-autocrazia”, ma che ci propongono, in realtà, due progetti globali in concorrenza fra di loro..
Il Governo Meloni si è posto giustamente fin dall’ inizio un problema effettivo: quello dell’“egemonia culturale” nel mondo postmoderno, sulla quale si sono spese oramai tonnellate d’inchiostro, e si stanno ancora scrivendo molti libri.
Contrariamente a quanto sembrerebbe emergere dai limitatissimi dibattiti nostrani, si tratta di una questione addirittura universale, derivante dalla transizione epocale in corso nel mondo intero, in un sistema dominato dalla cultura di massa. Dovunque imperversa più che mai un nuovo “Kulturkampf”, una lotta fra sette ideologizzate per imporre la coincidenza della propria ideologia con la “vera” missione della propria Nazione (la democrazia, l’armonia, la fede, il monoteismo, il politeismo). Questione non marginale anche da noi, visto che i vertici delle nostre Istituzioni ribadiscono quotidianamente la centralità di una nostra ”ideologia nazionale” (i “Valori Condivisi”), anche se ciascun gruppo ha idee lievemente diverse sul loro contenuto. In Usa, fra Suprematisti Bianchi e intellettuali Woke; in India, fra Hindutva e identità minoritarie; nell’ Europa Orientale, fra l’interpretazione russa della storia e quella ucraina; in Palestina, fra la vulgata biblica e quella cananea; nei Balcani, fra Greci e Macedoni….
Ora, questo Kulturkampf è arrivato fino nell’ aula del Parlamento Europeo, con il Presidente pro-tempore dell’Unione e la Presidentessa della Commissione che si sono affrontati a pochi metri di distanza in uno scontro degno, non già di due Istituzioni europee ispirate al dialogo istituzionale per la difesa dell’Europa, bensì dei leader di due rivali gruppuscoli estremisti sessantottini. E non ha stonato, perciò, in questo clima, l’intervento di Ilaria Salis, epigona di quel periodo storico. Del resto, quel che resta del dibattito politico è un pallido strascico della “Lunga Marcia Attraverso le Istituzioni” di Rudi Dutschke, nelle sue due versioni, gauchista e misoneista.
Ben venga, per altro, questo rinnovamento della conflittualità, che ci permetterà ben presto di portare dinanzi al Parlamento Europeo la questione della “vera” identità europea, che dovrebbe essere al centro dei suoi interessi (cfr. il nostro “Quaderno” “Verso le elezioni europee, I partiti europei nella tempesta”).
Occorre però avvertire che, in questo contesto, i termini “Destra” e “Sinistra”, tanto centrali nell’Ottocento e Novecento, hanno oramai un valore puramente archeologico, perché il conflitto centrale del XXI è quello fra Post-Modernità (principio d’indeterminazione, multiculturalità, multipolarismo, Stati-Civiltà) e Post-Umanesimo (Singularity, egualitarismo, one-worldism, politicamente corretto, cultura Woke).
1.La traslazione dell’egemonia culturale in funzione della Terza Guerra Mondiale
La scena a cui abbiamo assistito a Strasburgo ci dice però soprattutto che la guerra in corso in Ucraina, in Palestina e in Libano sta imponendo ovunque uno stile militarizzato dei comportamenti (simile a quello fra il 1914 e il 1950), che è arrivato al cuore delle Istituzioni Internazionali e dell’ Europa.
In particolare, la contrapposizione fra l’“egemonia culturale della sinistra” e quella ambita dalla destra costituisce semplicemente il riflesso italiano di uno spostamento culturale in corso negli “establishment” del mondo intero in preparazione della Terza Guerra Mondiale (quella cosiddetta fra le “Democrazie” e le “Autocrazie”, che dovrebbe costituire un “sequel” della Seconda – fra le “Democrazie” e i “Fascismi”-). E, difatti, così essa era stata progettata fin già da Churchill, che l’aveva chiamata “Operation Unthinkable”, e che si sta tentando di realizzare ora. In vista di quell’”operazione”, sarebbe occorso recuperare (con Gladio), all’alleanza occidentale, una parte del postfascismo, che avrebbe potuto, meglio delle ideologie centriste, fornire una giustificazione teorica credibile all’ aspetto bellicistico, autoritario e conquistatore della democrazia americana (il Maccartismo). Infatti, l’interpretazione tradizionale delle società occidentali come società fondamentalmente “progressiste” (millenarismo, nichilismo, egualitarismo, femminilizzazione, pacifismo, edonismo) le spinge naturalmente verso l’auto-distruzione, il che ostacola gravemente la preparazione bellica. Perciò molti, riallacciandosi all’ “Operazione Unthinkable”, al Maccartismo e a Gladio, sottendono che quando si parla di “Destra” si parli in realtà di “Postfascismo”. Ancor più precisamente, si tratta, a nostro avviso, di una battaglia sull’ interpretazione storica del postfascismo, in quanto, tanto il Regno del Sud e il CLN, quanto la Repubblica Sociale, potevano essere considerati collettivamente come “postfascisti”, non solo per l’ovvio motivo che il PNF era stato appena sciolto e quindi tutta la società ne era profondamente impregnata, ma anche e soprattutto perché, in un modo o nell’ altro, tutti ne riprendevano “pro quota” l’ideologia, l’organizzazione e la prassi, che proprio per questo non sono mai finite: chi il “culto della personalità”, chi la retorica rivoluzionaria, chi l’organizzazione di massa, che il sindacalismo, chi il machismo, chi i rapporti con la Chiesa o gl’industriali. E tutti lo spirito militaresco: alla “Gladio Nera” si opponeva la “Gladio Rossa”, e ben presto sarebbero sopravvenuti le Brigate Rosse e la Rote Armee Fraktion.
Sono questi “residui” del Ventennio che sono ritornati interessanti per l’Occidente, perché permettono di formare militari motivati (se non fanatici), come quelli di Tsahal e del Battaglione Azov.
La destra italiana è rimasta così identificata da tutti, in sostanza, con la difesa delle ragioni di chi aveva scelto la Repubblica Sociale o il Regno del Sud, e la Sinistra con coloro che pretendevano di riallacciarsi al CLN (il tutto con grossolane forzature, di cui l’esempio più eclatante è “Bella Ciao”, che non fu mai cantata dai partigiani, ma si inventò molti anni dopo per nascondere “Fischia il vento e soffia la bufera”). Il che spiega gli accaniti dibattiti su questioni storiche ormai fuori tempo massimo.
Poiché si tratta oggi di dare una giustificazione ideologica alla “guerra contro le autocrazie”, si tenta dunque di separare e salvare il nocciolo “progressista” del fascismo (popolo e nazione, plebisciti, modernizzazione, borghesia), che ne farebbero un movimento “occidentale”, dalle sue (queste, accidentali) componenti tradizionalistiche (culto dell’ antico, clerico-fascismo, patriarcato, militarismo, gerarchia), che invece lo renderebbero affine alle attuali “autocrazie” (regimi diversissimi fra di loro, ma spesso accomunati dal culto dei miti ancestrali, dalla teocrazia, dal machismo, dal ruolo dell’ esercito, da strutture verticali di potere). Una sintesi che per altro nessuno, che noi sappiamo, è stato ancora in grado di operare, ma che andrebbe fatta.
E’ in questo contesto che la Destra può credibilmente sostenere che, a partire dal secondo dopoguerra, si è perpetuata , sotto lo slogan dell’ antifascismo, un’ egemonia culturale della Sinistra, vale a dire degli eredi ideologici putativi del CLN (che accomunavano marxisti e filo-occidentali), e che tale egemonia deve ora finire (per aprire la nuova fase, quella dell’”alleanza contro le autocrazie”, in cui l’elemento discriminante sarà l’occidentalismo). Sul fatto che quell’egemonia vi sia stata, nulla quaestio; sul perché, è altrettanto ovvio: l’Asse era stato sconfitto dagli Alleati, e la monarchia con il referendum, sicché i ceti intellettuali preesistenti erano stati costretti a cercarsi nuovi sponsors.
Date quelle premesse storiche, altrettanto ovvie le debolezze ideologiche della Destra, che, avendo ripreso (anch’essa indebitamente) le eredità già fra loro confliggenti del Fascismo-Regime, del Fascismo-Movimento, della Repubblica Sociale e della tradizione risorgimentale sabauda (fosse essa monarchica, liberale o mazziniana), era stata indebolita ulteriormente , da un lato dalle defezioni opportunistiche, e, dall’ altro, dalle obiettive discriminazioni (epurazioni e altre).Ma, soprattutto, la Destra post-bellica sarà di fatto molto lontana dal fascismo perché il discredito di quest’ultimo aveva permesso il riemergere, seppure in sordina, di correnti culturali antimoderne prima marginali (come lo spiritualismo e il liberalismo conservatore), in concorrenza con esso. Inoltre, la centrale presenza della Democrazia Cristiana toglieva peso tanto alla Sinistra quanto alla Destra. Infine, l’Occidente a guida americana non rispondeva affatto all’ immagine che se ne facevano i conservatori italiani: era animato dal messianesimo protestante, e quindi anti-cattolico; alimentava nel suo seno il Post-Umanesimo; era la culla (allora incompresa) dell’ ideologia gender…
In effetti, un vero identikit della destra non è mai stato disegnato da nessuno, e oggi è troppo tardi per farlo, perché Destra e Sinistra si sono oramai sciolte, sostituite dalla lotta fra Post-Modernità e Post-Umanesimo. Oggi sarebbe invece ora di sviluppare una teoria unitaria del mondo multipolare, con le sue diversità e i suoi progetti comuni, e del suo avversario, la Singularity.
La Sinistra aveva avuto a prima vista un gioco relativamente facile a denunziare le incoerenze, l’ignoranza, la grettezza, la limitatezza della “cultura di destra”, portata avanti per decenni da alcuni pochi volenterosi, i quali, incuranti della sconfitta, delle ristrettezze, delle persecuzioni, hanno perseverato in modo individualistico, scoordinato e quasi segreto a lavorare su vecchi autori e vecchi concetti.
E, tuttavia, occorre intanto notare che neanche la cultura di Sinistra, nonostante il favore dei potenti, la propaganda, le prebende, le carriere, le case editrici, i media, ha prodotto, in 80 anni, un solo D’Annunzio, Pirandello, Ungaretti, Marconi, Puccini, Mascagni, Gentile, Evola, De Chirico, Marinetti, Sironi…La sua vittoria è stata importata dall’ esterno e sterile. Chi creava e inventava in quegli anni stava altrove: Eliade, Asimov, Burgess, Horkheimer e Adorno, Buber, Eisenstadt, Wiener, Tarkovskij, Kieslowsky, Lukàcs, Sartre, Heidegger, Solzhenicin, Voegelin, Marcuse, Kissinger…Lo stesso dicasi dell’ enorme sproporzione fra il peso politico della DC e la sua incapacità di animare una forte cultura, sicché la cultura di destra, recuperando autori del passato o operanti fuori dall’ Italia, aveva comunque acquisito, nonostante le sue pecche, una sua dignità culturale, come testimoniato dal gran numero di case editrici e riviste culturali. Tutto ciò è però oggi sostituito da Post-Modernità e Post-Umanesimo.
Ciò detto, l’idea gramsciana di un’ “egemonia culturale” piace oggi a molti, perché è, in un mondo di ipocrisia “democratica”, un modo elegante e sfuggente per parlare bene della “dittatura”(di sinistra o di destra). E’ noto infatti che Gramsci, teorizzando l’”egemonia culturale del Partito Comunista”, prendeva sostanzialmente posizione per una politica dei Fronti Popolari, poi realizzata pienamente in Germania Est, Polonia e Jugoslavia, che da noi veniva invece stigmatizzata come “dittatura comunista”, ma veniva poi praticata di fatto con il nome di “Arco Costituzionale”.
Orbene, l’idea dei “fronti popolari” (o “nazionali” : “narodnye fronty”) è stata , “mutatis mutandis” la stessa formula del Fascismo, vale a dire quella di una alleanza fra tutte le forze che rappresentano “il popolo”n si fronte a un’emergenza nazionale (la Guerra Tradita, il Biennio Rosso, il “Dolchstoss”). Si noti che, nel primo Governo Mussolini, c’erano, oltre ai fascisti (rappresentati da Mussolini, fresco di socialismo massimalista), socialdemocratici, anarco-sindacalisti, liberali, popolari e monarchici. L’”egemonia” spettava, ovviamente, ai fascisti. Per un breve periodo, perfino il PCI, illegale e fuoriuscito, aveva propugnato, sul modello cinese del KuomingTang, l’”entrismo” nel Partito Fascista (l’”Appello ai fratelli in camicia nera”).
Si noti però anche che, con “egemonia”, si vorrebbe descrivere una forma di potere basata sul “soft power”,mentre tanto l’egemonia comunista che quella fascista si reggevano solo in parte sulla cultura egemone, per altre sulla legge o sulla violenza di Stato. Per questo, sono state definite come “totalitarismo”. Ma Tocqueville, Voegelin, Molnar, Neumann e Marcuse hanno messo in evidenza che, in realtà, anche la “democrazia liberale” dell’ Occidente è una forma di totalitarismo, in quanto anch’essa è un’attualizzazione della cosiddetta “Nuova Società Organica” profetizzata da Saint Simon. Per ciò che ci riguarda più da vicino, poi, nell’attuale società “occidentale”, questa natura “totalitaria” è più evidente che mai, dato che tutte le informazioni su ciascuno di noi sono oramai contenute in modalità digitale nei server della NSA a Salt Lake City; che l’Italia è occupata da ben 113 basi americane; che vi è il divieto inviolabile (“tabù”) di rivelare le radici indeterminate e irrazionali di ogni cultura, e in primis quella moderna; che i “poteri forti” orientano di nascosto la società coperti dal più assoluto segreto; che solo chi accetta passivamente queste premesse è ammesso nei posti che contano; che tutto ciò è necessariamente coperto dall’ ipocrisia; che i comportamenti religiosi, politici, commerciali, artistici, e perfino sportivi, sono il risultato di quel formidabile meccanismo di “propaganda” ben descritto da Berneis nell’ omonimo libro e da Packard nei “Persuasori Occulti”; che, come dimostrato per esempio dalla vicenda di Cambridge Analytica, l’utilizzo di Internet ha peggiorato ulteriormente la situazione…Non manca neppure l’aspetto brutale, con Hiroshima e Nagasaki, il napalm, le Extraordinary Renditions, Gaza, l’UNIFIL…
La cosiddetta “egemonia culturale” s’identifica, nel linguaggio americano, con la “Finestra di Overton”, che delimita il campo dei modelli di pensiero ammessi nel “discorso pubblico”, che sono i soli a godere di una vera “libertà di pensiero”, mentre tutti gli altri (per esempio il relativismo assoluto, il neo-paganesimo, il nazi-fascismo, il tradizionalismo cristiano, ebraico e islamico, il pan-sindacalismo, il vetero-marxismo) non riescono a trovare nessun canale di espressione, e, quando, raramente, vi riescono, sono soggetti a ogni genere di rappresaglie.
A nostro avviso, l’egemonia culturale non è un concetto auspicabile, perché verte sull’ idea che vi sia un pensiero-guida che porta l’Umanità verso il progresso, e che, pertanto, si abbia diritto di imporre questo pensiero. Cosa che di fatto è avvenuta e avviene con la scuola laicistica ottocentesca, con la Dottrina del Fascismo, con la Memoria Condivisa, con i Valori Comuni europei. Si tratta in realtà dell’ ideologia di guerra dell’ Occidente, che la usa per delegittimare le culture orientali, pre-alfabetiche e pre-moderne, e, di conseguenza, l’attuale pretesa del “Sud del Mondo” di essere trattato su un piede di parità con l’Occidente.
Al contrario, oggi si impone, come ha detto Papa Francesco al Parlamento Europeo, una visione “poliedrica”, che permetta un reale dialogo fra le varie parti del mondo, rintracciando i “Valori spessi” comuni al di sotto della congerie dei “Valori Sottili”, specifici a ogni singolo continente, religione, nazione, ideologia, regione, ceto sociale, città o individuo (Hans Kueng).
2.Ineludibilità dell’esoterismo
La realtà è che nessuna società, e, in particolare, nessuna società democratica, può permettersi una completa trasparenza culturale (cfr. Nadia Urbinati).
In particolare, l’”Egemonia Culturale” è un portato del dominio della propaganda nelle società democratiche, teorizzato dal già citato Berneis, uno dei pensatori determinanti per la Modernità. Nelle società di massa, l’omogeneità culturale è un’esigenza primaria da tutti conclamata, ed attuata massicciamente attraverso i discorsi dei politici e degli opinionisti, i giornali, i libri di scuola….In queste società, dove l’ideologia ha sostituito la teologia (Lessing, Saint-Simon, Michelet, Mazzini, Trockij, Lunacarskij, Blok, Teilhard de Chardin), il ruolo dei media è comunque una forma di propaganda per il potere esistente, attraverso le mediazioni della scuola e dell’ editoria pubblica e privata. Innanzitutto, in questa società relativistica, non è possibile parlare apertamente proprio della inconoscibilità delle basi dei valori (Pascal, Nietzsche, Wittgenstein, De Finetti, Lukàcs), perché ciò scatenerebbe il caos politico e sociale, sì che opere fondamentali, come “Dialettica dell’ Illuminismo” e “Idealismo Pratico” abbiano penato enormemente per essere pubblicate. Il lavoro degl’intellettuali dev’essere censurato: per questo sono stati inventati il “politicamente corretto”, la “Cancel Culture” e la cultura Woke. Dalla censura deriva poi l’esigenza dell’autocensura, che si traduce in nicodemismo, esoterismo e appiattimento.
Fino dai tempi di Atene, solo i cittadini optimo jure della polis democratica potevano accedere ai Misteri Eleusini, e Roma ci ha lasciato tracce inequivocabili di esoterismo – dalle catacombe ai mitrei, ai templi di Iside-…
Averroè aveva teorizzato apertamente una cultura a due livelli: i filosofi, che parlano col Principe, e i teologi che parlano col popolo. Stessa teoria aveva espresso il cinese Zhuangzi, criticando l’universalista Mozi: “Insegnare questa dottrina ad altri non è amarli; richiedere a se stessi di praticarla non è amore di sé; le vie del santo non possono annullare i cuori dei mortali. Non sono la via del mondo. Solo Mozi ne è all’ altezza, ma tutti gli altri non ci riescono!”)
Ne era derivata la teoria della “doppia verità” dell’ averroismo latino. Il resto lo avevano fatto le Società Segrete, a cominciare dalla Massoneria.
Con Gramsci, la “teologia” marxista puntava a un’ egemonia culturale che si sarebbe affiancata alla cultura popolare italiana, che, per il nostro Autore, era quella cattolica. Non è chiaro se Gramsci ambisse a costituire una forma di sapere esoterico , per le élite (che la cultura marxista comunque ebbe) , lasciando al cattolicesimo il ruolo di cultura delle masse (divisione del lavoro tipica della Ia Repubblica). In realtà, il concetto di “nazional-popolare” lascia presumere che ambedue le culture potessero coesistere a tutti i livelli.
Per tutte queste ragioni, il gramscismo è sempre piaciuto alla politica di destra, a cominciare da Giancarlo Fini. Anche perché Gentile, e perfino Croce, erano stato cultori di Marx, al punto che buona parte dei marxisti italiani erano restati, nel fondo, o gentiliani, o crociani.
Quindi, nulla di nuovo nel libro del nuovo ministro della cultura Alessandro Giuli, “Gramsci è vivo, Sillabario per un’egemonia contemporanea”, che però, anche per i motivi sopra citati, può risultare utile per accreditare ulteriormente FdI come parte integrante del “consensus” progressista ed occidentale, di cui si afferma di voler difendere e diffondere i “valori”. Il che è, a sua volta, in Italia come nel resto del mondo, un passaggio storico necessario (anche se sotto molti aspetti discutibile) per la inevitabile “trasmutazione di tutti i valori” profetizzata da Nietzsche ed oggi grandiosamente in corso. Ad esempio, in Russia, si era partiti dal millenarismo di Trockij e Lunacarkij, per passare al riformismo della NEP, al conservatorismo staliniano, al nazionalismo della Grande Guerra Patriottica, alla Politica delle Nazionalità, al dissenso, alla Glasnost’, alla Perestrojka, al neo-liberalismo, al conservatorismo russo, e, infine, al tradizionalismo dell’era putiniana. Così pure in Cina avevamo avuto prima la Rivoluzione Culturale, poi le Quattro Modernizzazioni, e, ora, lo Xiaokang di Xi Jinping.
Entro l’ atmosfera nicodemista dell’attuale politica culturale, persino l’ironico discorso inaugurale del neo-ministro Giuli alla Commissione Cultura ha avuto una sua logica, in quanto sarebbe stato impossibile illustrare seriamente in quel contesto siffatti complessi processi storici, e allora è più saggio fingersi pazzi, tenendone però il debito conto nell’ azione politica pratica…Se non altro perché un secolo di diseducazione ha disabituato gli Europei a ragionare con le proprie teste, sì che s’impone più che mai una comunicazione a più strati, suggestiva e allusiva, come quella propugnata da Averroè.
Quello che interessa però è il dopo. La politica culturale dell’Italia continuerà ad essere asservita al disegno globale della “Guerra fra le democrazie e le autocrazie”, e quindi, come scrive Lagioia su “La Repubblica”, ad essere concepita come un “parco a tema”? Oppure si sfrutterà l’opportunità offerta dalla “Trasmutazione di tutti i valori” in corso a livello mondiale, per una partenza veramente nuova, nella costruzione di una nuova identità europea che ci eviti la Seconda Guerra Civile Europea?
Giustamente, Massimo Recalcati indica la via verso una rinascita della società europea in una rinascita della capacità, da parte dei giovani, di desiderare. Ma questo significa fuoriuscire dalla mentalità occidentale, dove si pretende che la felicità sia un diritto costituzionale, mentre invece essa è uno stato esistenziale che sopravviene (come scriveva Nietzsche, solo se “non voluta”), come conseguenza della fedeltà tenace al proprio desiderio più alto. Non per nulla, Saint-Exupéry poneva al centro della propria opera più sistematica il valore de “la Ferveur”, ch’egli immaginava caratterizzare l’immaginario impero berbero intorno alla sua “Citadelle”.