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ATTUALITA’ NEL XXI SECOLO DI UN  POETA “POLIEDRICO”

Lettura a Torino del Canto IV di Ezra Pound

With usura hath no man a house of good stone
each block cut smooth and well fitting
[…]
with usura
hath no man a painted paradise on his church wall
[…]
no picture is made to endure nor to live with
but it is made to sell and sell quickly”

Annunziamo con piacere una manifestazione di studio su Pound che si terrà a Torino nei prossimi giorni:

EDUCATORIO DELLA PROVVIDENZA

Coso Trento 13 Torino

16 Novembre Ore 18

Luca Borrione: Pound Mitopoeta

Marcello Croce: Guida al IV Conto

Lettura in Inglese di Claudia Cara

Daniele Guoli: presenze poundiane nella letteratura italiana

Cogliamo l’occasione per ribadire l’attualità di questo autore, in un momento in cui:

-la Cina, oggetto dell’interesse primario di Pound,  si trova nuovamente ad essere, come vuole il suo nome,  il Paese centrale nel mondo;

-il primato mondiale della finanza (l’”usura” di Pound) è severamente scosso dalla necessità, da parte degli Stati e delle stesse Banche Centrali, di allentare, dopo il Covid e la guerra,  il morso delle “politiche della lesina”, cosa messa platealmente in evidenza dalla fine dei governi Draghi e Truss.

Pound fu un  poeta americano convinto, con un secolo di anticipo (insieme a Pannwitz, Spengler, Guénon, Eliot, Eliade, Toynbee  ed Evola), che la moderna civiltà occidentale, fondata sull’economia, avesse fatto il suo tempo, e che occorresse cercare ispirazione nelle culture medievali (come quelle dei Comuni italiani e della poesia cortese), e, ancor più, in quelle orientali (soprattutto quella cinese).

1.Il Confucianesimo oggi

Quando si chiedeva a Pound quale fosse la sua religione, egli rispondeva “Da Xue” (vale a dire il “Grande Insegnamento” confuciano). In campo estetico, egli fu un continuatore di Fenollosa, un altro Americano appassionato di letterature orientali (nel su caso, di quella giapponese, che, a suo dire, si prestava al poetare meglio delle lingue europee).

In campo poetico, fu sodale con Eliot, con cui compose “The Waste Land” (“La Terra Desolata”), che anticipa l’attuale visione della crisi ambientale e  del capitalismo della sorveglianza.

In campo politico, fu notoriamente impegnato a favore dell’Asse, e, per questo, soffrì pesanti persecuzioni nel suo Paese d’origine.

2.Le “Cento Scuole”

Quello per cui oggi può essere interessante rileggere Pound è, in primo luogo, la sua capacità e volontà di fare rivivere in Occidente la cultura cinese classica, che, ai suoi tempi, per quanto studiata dai “Nuovi Confuciani”, sembrava in declino nelle Due Cine (pensiamo allo slogan della Rivoluzione Culturale “Pi Kong, Pi Li”: “Criticate Confucio, criticate Lin Piao”).

Oggi, il ruolo, non solo del Confucianesimo, bensì di tutte le “Cento Scuole” cinesi è sempre più riconosciuto, per cominciare, dallo stesso Xi Jinping, sicché si pone urgentemente la questione di conoscerle, cosa ormai indispensabile per comprendere una contemporaneità in cui la Cina è centrale. Pensiamo all’ anticipazione della matematica booliana, su cui insistevano già il gesuita Bouvet, e poi Leibniz,  contenuta nell’ Yi Qing, che ne fanno il precursore dell’informatica. Pensiamo all’”Arte della Guerra” di Sun Zi, anticipatrice della “Guerra senza limiti” teorizzata dai generali cinesi (guerra culturale, digitale, propagandistica, tecnologica, economica, culturale, commerciale, come quella che si sta combattendo ora su tutti i fronti), e, in particolare, quello che sembrerebbe essere oggi l’ideale delle Grandi Potenze: “conquistare l’ecumene senza uccidere nessuno” .

3.Pound e la letteratura comparata

Al di là della Cina, Pound ha rivalutato molte culture europee, come quella provenzale, il Dolce Stil Nuovo, e, soprattutto, Cavalcanti e Dante, di cui volle essere un ideale continuatore già soltanto con la denominazione della sua opera, i Cantos.

Il “Caso Pound” ci pare essere un esempio avanzato di quel “comparatismo” che, secondo Nietzsche, avrebbe dovuto costituire la base del XX° Secolo, “die vergleichende Epoche”. Una gestione ragionevole del mondo devastato dalla 3a Guerra Mondiale (Papa Francesco) e dalle Macchine Intelligenti presuppone, a nostro avviso, una rafforzata cultura universale, al contempo umanistica e tecnica, ma, soprattutto linguistica (come quella di Pound e dei Ru cinesi a cui s’ispirava), per poter realizzare nei fatti quella “poliedricità” che è indispensabile per il dialogo interculturale (sempre Papa Francesco). A titolo di esempio, come comprendere Pound senza conoscere l’Inglese, il Latino, il Cinese classico, il Provenzale, l’Italiano e l’Italiano Medievale, di cui sono intessuti i Cantos?

4.La traduzione  letteraria nell’era del web

Alla perfezione crescente della traduzione automatica, che riduce la funzione dello studio delle lingue quale strumento di comunicazione pratica, fa riscontro un bisogno crescente di conoscere la filologia generale e comparata, nelle sue varie articolazioni e ramificazioni, ivi comprese la comparazione, la filologia storica, la retorica, la metrica, la terminologia. A titolo di esempio, per studiare Pound, non sarà più necessaria una  conoscenza approfondita delle lingue di cui sopra (ma chi l’ha mai avuta?), mentre, invece, sarà utile (e possibile) avere la sensibilità della struttura e della evoluzione delle lingue, in particolare del Cinese e dell’Occitano.

Lo stesso vale per l’Ebraico,  il Greco,  il Norreno, lo Slavo Ecclesiastico, che tanta parte hanno avuto  nell’ evoluzione culturale dell’ Europa, così pure come per l’Accadico, l’Arabo, il Persiano….

Nello stesso modo, non vi è praticamente soluzione migliore, per seguire le pirotecniche citazioni di cui i Cantos sono intessuti, che utilizzare al meglio le risorse della rete. Anche qui, tuttavia, si richiede oramai una base di competenze multiculturali di tutto rispetto, in quanto perfino su Wikipedia i contenuti relativi a temi così diversi come gli Analecta, le letterature greca, romana e medievale, così pure come la storia moderna e contemporanea, sono lacunose, frammentarie, criptiche, e, in ogni caso, poliglotte.

LA SITUAZIONE IN UCRAINA CONFERMA LA CENTRALITA’ DEI NOSTRI DIBATTITI

Invito alla presentazione del 21/5/2022 al Salone del Libro

SALONE IN

21 maggio, Lingotto,

Sala Arancio,ore 12.15

UN PONTE FRA EST E OVEST 

Con: Virgilio Dastoli,Riccardo Lala, Marco Margrita Alessio Stefanoni, Enrico Vaccarino

PRESENTAZIONE DEL LIBRO: UCRAINA, NO A UN’INUTILE STRAGE 

RICCARDO LALA ti sta invitando a una riunione pianificata in Zoom.

Entra nella riunione in Zoom :
https://us06web.zoom.us/j/86298136839

ID riunione: 862 9813 6839 .Trova il tuo numero locale: https://us06web.zoom.us/u/kscAFeR7q

Un contributo sofferto, anche se indiretto, alla soluzione del problema più drammatico dell’oggi. 

L’opera affronta, con spirito costruttivo, un tema vessato quant’altro mai, in un’ottica poliedrica e anticonformistica, mostrando innanzitutto quanto le attuali controversie sull’ Ucraina siano la necessaria conseguenza della centralità geopolitica di quel Paese, da sempre punto d’incontro e di scontro delle più svariate tendenze etniche, culturali, politiche, religiose. Basti pensare ai Kurgan, alla Rus’ di Kiev, ai Cosacchi, al Cosmismo…

Dopo la battaglia del Principe Igor, fra Sloviansk e Izjum

1.La storia del volume 

Nel 2014, nel momento dell’Euromaidan e delle rivolte  nell’ Est e nel Sud dell’ Ucraina, avevamo raccolto fior d’ intellettuali per un dibattito, attraverso le pagine dei nostri “Quaderni di Azione Europeista”, circa la situazione conflittuale che si andava creando. Era nato così il volume n. 3-2014 dei nostri Quaderni di Azione Europeista (Ucraina 2014, no a un’inutile strage), Quaderni concepiti come  strumenti snelli per  un intervento corale su temi strategici per il futuro dell’ Europa, fuori, tanto dei consunti binari  del “mainstream”, che dei piagnistei inconcludenti degl’intellettuali che si pretendono “alternativi”.

Ricordiamo che l’organizzazione del Salone aveva annunziato di voler dedicare il Salone 2022 all’ Ucraina, ma, in realtà, il tema dell’ anno è stato definito come “Cuori Selvaggi”. Inoltre, nessuno tranne noi sta presentando un libro dedicato specificamente alla guerra in Ucraina.

Quanto il nostro “Quaderno” fosse profetico già nel 2014 dovrebbe risultare chiaro dal fatto che ci è bastato, sostanzialmente, togliere  l’indicazione dell’ anno 2014, per poter riproporre, sostanzialmente inalterata, un’opera che già allora aveva la non irrilevante ambizione di andare al di là del nascente conflitto, per guardare al futuro con uno sguardo ampio.

Già il titolo, “No a un’inutile strage”, con il suo richiamo all’arcinota frase con cui Benedetto XV° aveva stigmatizzato la 1° Guerra mondiale – una guerra contro l’Europa e le sue tradizioni-, era stato particolarmente profetico, in considerazione dell’interminabile conflitto ucraino, iniziato nel 2014, ulteriormente aggravatosi e che non sembra destinato a terminare a breve. Profetico soprattutto alla luce dell’esigenza, oggi sentita dalla maggior parte degli attori della politica, di trovare una via d’uscita alla guerra in corso.

Ma profetico soprattutto perché i punti di riferimento di fondo non sono cambiati rispetto al 2014.

La moschea di Roxana e Solimano a Mariupol

2.I contenuti

Basta, per comprenderlo, scorrere l’elenco degli articoli di cui quell’ opera si compone:

“Dall’ ‘allargamento’ al ‘completamento’ dell’ Unione”, introduzione dell’Associazione Diàlexis:    mette in luce la straordinaria convergenza, sull’ area ucraina, di una pluralità di tradizioni, culture, pretese, interessi, che ne ha fatto da sempre una delle aree più centrali dell’ Europa, la quale  avrebbe dovuto essere, in particolare, al centro della Confederazione Europea proposta, nel 1989, da Gorbaciov, Mitterrand e Giovanni Paolo II, mai attuata, ma oggi ripresa da molti, a cominciare dal Presidente pro-tempore del Consiglio Europeo, Macron, in occasione della seduta conclusiva della Conferenza sul Futuro d’ Europa;

-“Tra l’agitazione ucraina e la zona aerea d’identificazione cinese”, di Giovanni Martinetto: pone in evidenza già fin da allora la stretta connessione fra il conflitto ucraino e le tensioni fra Cina e Stati Uniti sul Mar della Cina, che rendevano, e rendono, vieppiù improrogabile,  una struttura coordinata fra USA, Europa e America, necessaria per partecipare attivamente alla gestione di un mondo dominato sempre più dagli stati-civiltà;

“Come impedire lo smembramento dell’ Ucraina”, di Lucio Levi: fa giustamente notare che un’ Ucraina “federalizzata” (come quella a cui aveva pensato il “Partito delle Regioni” avrebbe potuto essere il centro ideale dell’ auspicata Federazione Europea;

-“La restaurazione del Califfato?” di Franco Cardini: mette in evidenza uno dei principali elementi geopolitici al centro della crisi attuale-il ritorno della Turchia, o meglio del suo Impero- che si sta qualificando sempre più come un’autonoma potenza europea, capace di respingere le ingerenze americane, di moderare la Russia e l’ Ucraina, di utilizzare i suoi poteri sugli Stretti e nella NATO, di produrre efficaci tecnologie militari. Ricordiamo che, a Mariupol, si trova la Moschea di Roxana e Solimano, a ricordare l’origine ucraina dell’imperatrice ottomana, e dove si sono rifugiati, durante i combattimenti, i mussulmani presenti in città;

-“Una strategia dell’ Unione Europea per la crisi dell’ Ucraina”, di Alfonso Sabatino: invocava già allora un’inesistente azione diplomatica per creare un quadro europeo di sicurezza, che nessuno si è preoccupato, invece, di creare, mentre solamente la tardiva proposta “in quattro fasi” del nostro Governo alle Nazioni Unite sembra oggi riproporre;

-la Dichiarazione del Movimento Federalista Europeo sulla Crisi Ucraina: attribuiva all’ Unione Europea la massima responsabilità per la crisi, in quanto era stata la carenza di un’adeguata Politica Estera e di Difesa dell’ Europa ad avere aperto un vuoto, in cui si è inserita l’attuale destabilizzazione;

-la “European Charter for  regional or minority Languages”: approvata fin dal 1992, la sua applicazione avrebbe impedito la nascita stessa del problema delle minoranze linguistiche russofone in Ucraina, Moldova, Georgia e Paesi Baltici, e, di conseguenza, le guerre della Cecenia, della Transnistria, dell’ Abkhazia, dell’Ossezia e del Donbass.

Siamo nuovamente riuniti per discutere gli stessi temi di allora, avendo sotto gli occhi i risultati della mancata adozione di quanto da noi suggerito nel 2014, e non ci stanchiamo di sottoporre le nostre opere a chi ha poteri decisionali a questo proposito, nella speranza che, quand’anche in ritardo, i fatti stessi costringano tutti a prendere atto dell’ inevitabilità delle nostre proposte.

Intervenite numerosi, e aiutateci a diffondere, prima che sia troppo tardi, la consapevolezza di questi problemi!

KULTURKAMPF

L’arresto di Assange a Londra due anni fa

Eventi disparati succedentisi in questi pochi ultimi giorni stanno confermando che è in corso in tutto il mondo una guerra culturale “senza limiti” (Kulturkampf),  combattuta prima di tutto con un uso congiunto di retoriche ideologiche e delle nuove tecnologie ( che funzionano come  prolungamenti dell’ideologia). E’quella che Sunzu aveva già definito “Conquistare il Tian Xia senza uccidere nessuno” e Nietzsche avevachiamato “L’Ultima Grande Battaglia” fra “grande e piccolo, ricco e povero”).

L’ultima versione ufficiale di tutto ciò è la “Dottrina Biden”, che Massimo Giannini ha descritto ironicamente sulla prima pagina de “La Stampa”: “La Dottrina Biden è ormai nota: è in atto una ‘recessione globale delle democrazie’e un’aggressione sistematica delle autocrazie. La Cina e la Russia, la Turchia e l’ Iran. La minaccia è ovunque. E gli eserciti nemici, come l’Impero del Male teorizzato a suo tempo da Bush, incedono su più fronti. A colpi di armamenti e/o di investimenti.”

A nostro avviso, la situazione è in  realtà più complessa, come tentiamo di spiegare qui di seguito.

Colombo contestato in America

1.”Il “summit delle democrazie”: un sintomo dell’erosione del sistema americanocentrico

Non è infatti casuale che ora l’ America, scossa oggi in tante sue vecchie certezze (Fine della Storia, della concordia  fra le “sue razze”, e della leadership tecnologica) senta il bisogno di rilanciare così platealmente la sua politica di egemonia sugli Stati che si pretendono “democratici”. Come scrive appunto Giannini, il  “Summit for Democracy” si è rivelato però perdente, già anche perché (aggiungiamo noi), su 249 Stati indipendenti del mondo  gli Stati Uniti se la sono sentita di invitarne solo 110, a causa del tacito presupposto che, dopo 70 anni dalla Dichiarazione di San Francisco e 32 anni dopo la caduta del Muro di Berlino, l’”esportazione della democrazia” è ancora in alto mare, visto che gli altri 138 (la maggioranza) non sono stati considerati come democratici.Scrive Giannini:”Questo ‘Club delle democrazie’ finora non ha saputo opporre granché di concreto ai suoi avversari esterni””Sulla Cina si balbetta. Sulla Russia si nicchia (a parte qualche rituale altolà, e ora l’annuncio di sanzioni Ue in arrivo per la famigerata Brigata Wagner, accusata di violazioni dei diritti umani in Ucraina, in Siria e in Libia)”.

In secondo luogo, l’affermazione che “le democrazie sono le più efficienti” (che avrebbe dovuto essere il Leitmotiv dell’ evento) è stata smentita degli schiaccianti dati dei morti di Covid (USA 796.000, Cina 4.636).Un dato che ha alitato su tutta la manifestazione, e che ha creato non poco imbarazzo in molti oratori (come Draghi), che sembravano recitare, ma con scarsissima convinzione, un copione scritto, o meglio prescritto:“..le nostre nazioni allarmate non hanno le carte in regola per denunziare la ‘recessione democratica’ altrui, se prima non si interrogano su ciò che sta succedendo a se stesse.”(Massimo Giannini, La Stampa).

Infine, sulle prime pagine erano comparse, in contemporanea, le immagini del processo per l’estradizione di Assange, richiesta dagli USA, con la scandalosa decisione della corte inglese di concederla, e ora compaiono notizie sul fallito colpo di Stato di Trump.Il tutto concorre a dimostrare che le “democrazie occidentali” non sono soltanto inefficienti, ma anche (qualunque cosa possa voler dire) “antidemocratiche”, o, più correttamente, “illiberali”.

Giorgio Washington, Gran Maestro della Massoneria americana.

2.Alle radici del messianesimo americano

Fino dalla “scoperta” dell’ America da parte di Colombo, che si considerava investito di una missione affidatagli da Dio, si sono succeduti una serie di eventi che facevano, già ai loro tempi, pensare ad un’unica, colossale, lotta ideologica, fra, da una parte,  una serie di cosiddetti “utopisti”, come Tommaso Moro, Ruggero Bacone, Vieira, e  Harrington, che ambientavano i loro progetti apocalittici in America, e , dall’ altra, i loro antagonisti, come De Las Casas, Montaigne, Rousseau, Voltaire, Kierkegaard, nonché fra varie versioni dell’utopia  “atlantica”: la Fine della Storia “all’americana”, quella trockista, quella ariana….

Pochi sanno che Colombo, nel Libro delle Profezie, annoverava  sé stesso nella discendenza dei profeti di Israele, ed enumerava le corrispondenze delle Sacre Scritture con l’impresa da lui compiuta – identificandosi via via con Ezechiele, gli Apostoli, i Re Magi, l’Arcangelo Michele, Salomone, Re Davide e Cristo stesso. La sua visione del futuro veniva presentata, come poi ribadito da Viera nell’ “Història do Futùro”, come l’ultimo capitolo della Storia Sacra, destinata a culminare nella Fine del Mondo, ovvero nel Secondo Avvento di Cristo. che la Chiesa aveva dilazionato nel tempo, mentre gli eretici non mancavano di predirlo come imminente di secolo in secolo, e Colombo considerava avverato da se stesso.

E’ dunque con Colombo che nasce l’idea, espressa poi da Lessing, di portare sulla terra le speranze escatologiche (morali e materiali) della religione.

Venendo a tempi più recenti, queste fantasie apocalittiche sono state i riprese nei Magnalia Dei Americana, nel Testamento di Washington, nelle opere di Emerson, di Saint-Simon,di Whitman, di Enfantin, di Friske e di Kipling, nella lettera di Mazzini a Lincoln, nei “Leaves of Grass” di Whitman,  nella “Filosofia dell’ Opera Comune” di Fëdorov, in von Neumann, in Kurzweil e nel primo Fukuyama.

Queste utopie hanno un contenuto “olistico” per eccellenza: sono, da un lato, spirituali (la fine del “peccato”), e, dall’ altra, materiali (un mondo di abbondanza e di facilità), che, secondo l’idea manichea e poi positivista, sono intrinsecamente legate. E’ l’ “Eterogenesi dei fini”, temuta dal pensiero classico e dai Padri della Chiesa, ma fatta propria anche da illuministi come Vico, Wundt, Mandeville e Kant.

La volontà di realizzare l’utopia  in pratica ha provocato, fra l’altro, in America, grandi calamità come la guerra d’indipendenza americana, il Trail of Tears, le guerre con il Messico, i Confederati e la Spagna, e, di riflesso, in Europa e in Asia, tutte le guerre degli ultimi 2 secoli.

L’Europa divisa a Yalta non è ancora riunita

2.”Occidente” e “Blocco Socialista”:  due volti della stessa rivoluzione

La cosiddetta “Guerra Fredda”, conseguenza dell’ espansione mondiale delle “Rivoluzioni Atlantiche”, è stata una lotta globale fra due versioni di quella  stessa utopia messianica: da un lato, la deterministica Teoria dello Sviluppo di Rostow; dall’ altra la Coesistenza Pacifica intesa da Hruśčëv come  una sorta di ordalia per stabilire chi (USA o URSS) fosse veramente in grado di realizzare il mondo giusto e ricco fantasticato da Bacone. Sempre per via dell’ “Eterogenesi dei Fini”, quell’ordalia fu più sanguinosa di quanto normalmente si riconosca Essa provocò, tra l’altro, le guerre di Corea, del Vietnam e dell’ Afghanistan, i colpi di Stato in Ungheria, Turchia, Iran, Grecia, Brasile, Cile, Argentina e Polonia, e le guerre civili in Europa Orientale, Sudamerica e Asia Sud Orientale.

Mentre il primo Fukuyama era convinto che  quella battaglia sarebbe stata ormai vinta inevitabilmente dall’ America, Huntington era più scettico, ipotizzando ancora uno Scontro di Civiltà fra “The West” e “The Rest”: precisamente ciò che  vorrebbe realizzare Biden , con il suo “Summit delle Democrazie”, dove i politici sostenitori del sistema americano, autodefinentesi, a torto o a ragione, “democrazie”, si sono incontrati apparentemente con lo scopo di coalizzarsi per sconfiggere  tutte le altre forme di società oggi esistenti (138 Stati indipendenti!), definite collettivamente e dispregiativamente  come “autocrazie”. Ambedue definizioni non del tutto appropriate, ma tuttavia comprensibili  purché le si legga attentamente alla luce della filologia classica.

L’America, senza un nemico da combattere, perderebbe la sua ragion d’essere e si dissolverebbe, perché, come diceva Chesterton,  essa non ha un’ideologia, bensì è un’ideologia (e, aggiungiamo noi, è un’ideologia bellicosa e apocalittica).La lotta fra “la” democrazia e tutti gli altri (le “autocrazie”) non  è infatti che il nuovo volto della rivoluzione permanente portata avanti dagli Americani(Emerson, Whitman, Ledeen), prima contro il “Selvaggi Indiani”, poi contro i Francesi”papisti”, il Re fedifrago,  gl’ignavi Messicani, i “colonizzatori” spagnoli, i “Crucchi”, i “Musi Gialli”, i “Comunisti”, gl’”Islamisti”…

I due  concetti  facenti parte  dell’ antitesi propria alla c”dottrina Biden (democrazia e autocrazia) hanno come secondo membro il termine “crazia” ( che Luciano Canfora precisa, nel suo articolo “La democrazia non è liberale”) significa “potere”. Nel primo caso, il potere sarebbe “dei poveri” (come dice Aristotele, ma io direi oggi, piuttosto anacronisticamente, “delle periferie”, significato originale di “demos”),nel secondo, del “libero arbitrio” (cfr. Platone).Giustamente, Canfora scrive dunque che, per questi motivi,  “Quando parliamo di democrazia non sappiamo di che cosa parliamo. E’ una parola come la clava di Eracle, che si scaraventa contro l’interlocutore per intimidirlo”. Ma lo stesso si può dire, a maggior ragione, di “autocrazia”, che, a sentire gli Americani, unirebbe sistemi così diversi come Cuba, il Venezuela, l’Ungheria, la Turchia, la Russia, l’ Egitto, l’ Arabia Saudita, gli Emirati Arabi, Singapore,  l’Iran, la Cina, il Vietnam e la Corea del Nord (vale a dire tutti e soltanto quei Paesi che non obbediscono ciecamente agli USA) .In effetti, in Greco, “autokratèia” significa padronanza di se stessi, indipendenza, sovranità. Le “autocrazie” sono quelle che, essendo indipendenti dall’ Impero Mondiale e “padrone di se stesse”, possono esercitare il proprio “libero arbitrio”. L’”autocrazia”, anziché essere sinonimo di dispotismo centralizzatore, ha una vocazione personalistica ed individualistica, che mira alla difesa della personalità contro la spersonalizzazione delle società di massa.

E’ per questa ragione politica che, sul piano filosofico, è ora in corso un attacco generalizzato contro il “libero arbitrio” (cfr. Galimberti).E qui si spiega anche la campagna contro il Greco e il Latino (Cingolani), che, invece, sono fondamentali, almeno per le élites pensanti, per capire criticamente le basi vere del “Kulturkampf” in corso. “Last but not least”, la martellante propaganda buonistica per persuaderci che, finalmente, con la nuova cultura dell’ eguaglianza, dell’accoglienza, dell’ibridazione, della fluidità, il male, macchia delle società passate, scomparirà dal “Legno Storto dell’ Umanità”, grazie alla razionalità imposta dalla tecnica e incarnata nell’ Intelligenza Artificiale (Ferraris).

La guerra fredda fra USA e Cina è
una guerra d’informazione e tecnologica

3.La Nuova Guerra Fredda

Secondo Oskar Lange, il socialismo avrebbe potuto realizzarsi solo con un uso massiccio dei computers. E’ ciò che si sta verificando oggi, e questo favorisce, da un lato, lo sviluppo dell’ inedito “Socialismo con catratteristiche cinesi”, e, dall’ altro,  la convergenza fra capitalismo e socialismo nell’ Ideologia Californiana.

La caduta del Muro di Berlino  ha avuto infatti come primo effetto lo svilupparsi l’ egemonia incontrollata  dei GAFAM americani, prima confinati allo spionaggio e alla guerra elettronica, e ora spazianti su qualunque attività umana, e poi una serie di nuove guerre (Nagorno Karabagh, Cecenia, Transnistria, Jugoslavia, Donbass), e la destabilizzazione permanente degli avversari (Irak, Libia, Siria, Serbia, Ucraina, Tibet, Xinjiang, Hong Kong). Tuttavia, l’effetto più appariscente è stato quello culturale, dove il crollo del Socialismo Reale ha comportato anche una metamorfosi in tutto il mondo dell’egemonia culturale marxista, apparentemente superata dalla rivoluzione tecnologica,  perché ha reso obsoleto i vecchi piani quinquennali. I molti eredi del movimento internazionale comunista hanno scelto ovunque di ri-posizionarsi rapidamente nella nuova realtà (così come avevano  fatto i fascisti nei partiti “antifascisti”), mantenendo comunque il loro potere: chi, come in Corea del Nord, radicalizzandosi, che, come a Cuba, divenendo più flessibili, chi, come in Vietnam, rimanendo se stesso ma alleandosi con gli USA.

La Cina ha continuato sulla propria strada diversa, segnata da Kang You Wei, Sun Yat Sen e Mao Zedong, mentre la Russia ha mantenuto (e mantiene) il partito erede del PCUS, anche  seridotto a maggior partito d’opposizione, di Russia e d’ Europa (9 milioni di elettori).

Altrove, i post-comunisti, mescolandosi con rivoluzionari non marxisti, con socialdemocratici, e cattolici del dissenso, con sciiti, radicali, democristiani, liberali, conservatori, tradizionalisti, populisti e post-fascisti, e soprattutto con i “post-umanisti”, anno portato ovunque gli slogan progressisti, egualitari, materialisti ereditati dal gauchismo (egualitarismo, antiautoritarismo, fluidità sessuale) . L’egemonia culturale marxista si è mescolata così alle lobby “californiane”  avanguardie del “Kulturkampf”, e sta estendendosi  anche al centro e alla destra. L’apparente “ammucchiata”, che ha trovato la sua massima espressione nel “Natale dei Conservatori” di Atreju costituisce la plastica rappresentazione di questa sostanziale convergenza, che, se, apparentemente,costituisce una grande vittoria di una destra dichiaratamente postfascista e finalmente sdoganata, rappresenta nella realtà il successo  postumo collettivo del ’68 : da un lato, la “testimonianza” tradizionalista  di evoliana memoria, e, dall’ altro, la “Lunga Marcia attraverso le Istituzioni” di Rudi Dutschke, il cui esito finale è stato che i “radical chic”, così estremisti da essere in realtà conservatori, dettano la linea culturale e politica  a un’ intera classe dirigente deculturalizzata. Per esempio, che cos’altro è l’ideologia “gender” se non quella fluidità sessuale che, secondo il Marcuse di Eros e Civiltà (libro cult del ’68), avrebbe caratterizzato il felice stato dell’ uomo primitivo?

In questo contesto, i  GAFAM restano nonostante tutto il “nocciolo duro” del progetto baconiano incarnato dall’ America (l’isola di Bensalem piena di motori e di telefoni ), ed hanno anche preso formalmente il controllo della società americana (comitato NSCAI, Endless Frontier Act) e, attraverso di essa, cercano di prenderlo di tutto il mondo (cfr. Schmidt e Cohen, The New Digital Age). Al di fuori della Cina e dei suoi BATX, non esiste oggi nessun Paese libero dall’ ecosistema digitale americano.

Il “politicamente corretto” oggi imperante è  precisamente l’effetto  della “manovra a tenaglia” fra post-comunismo in cerca di nuovi padroni, messianismo americano disorientato e controllo informatico dei GAFAM, che sta restringendo sempre più i margini di libertà e di creatività in tutto il mondo, in preparazione di una IIIa Guerra Mondiale informatica contro l’ ecosistema digitale cinese, e del superamento dell’ Umanità da parte delle macchine. Che questa previsione non sia azzardata, è che hanno parlato di concrete possibilità di guerra soggetti tanto diversi quanto Biden, Lukashenko e Orbàn.-

 

La Cina persegue il “ringiovanimento della nazione”

4.Le reazioni delle culture “altre”

Ovviamente, questo processo di espansione del potere tecnocratico occidentale, per quanto camuffato,  non può avvenire in modo totalmente indolore, ed è per questo che lo si descrive in termini edulcorati, come “esportazione della democrazia”. Tutta l’attività dell’ “establishment” è volta semplicemente a mascherare la transizione, dall’oligarchia costituzionale del II° Dopoguerra, allo Stato Mondiale del Controllo Totale.

Vi sono vari tipi di reazione, dipendenti dalla natura dei vari Paesi e delle varie culture.

Come si è visto, la prima “contro-azione”, è stata quella della Cina, la quale, nel corso di esperienze traumatiche come le guerre dell’ oppio, quelle  anti-giapponese, di Corea e del Vietnam, le insurrezioni dei Taiping e dei Boxer, e quelle contro le occupazioni occidentale e giapponese, le lotte contro i secessionismi, l’egemonia sovietica, le infiltrazioni occidentali e le sanzioni americane, ha resuscitato  un fortissimo senso della propria identità, tradizione e grandezza, e ne ha tratto la forza per uno sviluppo autonomo nonostante la disperata posizione iniziale- bruciando in 70 anni le tappe da Paese sottosviluppato a dittatura “sviluppista”, a Paese in via di Sviluppo, a “Fabbrica del Mondo”, e, ora, a leader della tecnologia e dell’ economia mondiali-. Essa è, per questo motivo, oggetto di un attacco violentissimo dell’America, che non vuole perdere la propria leadership, alla quale  deve il proprio benessere e la propria stessa esistenza.

Il “Socialismo con Caratteristiche Cinesi” è più avanti dell’ Occidente (di forese 50 anni) sulla strada verso una società compiutamente tecnocratica, tanto che,  in molti casi, come la preservazione della cultura tradizionale, la tutela dei consumatori e l’educazione dei giovani, sta già sperimentando , grazie alla persistenza dei suoi valori ancestrali dei correttivi che in Occidente ancora non si vedono. In questo senso, essa può dare quelle risposte alle domande poste in questi giorni da vari autori ai “conservatori” europei e russi, e per le quali una risposta non è ancora pervenuta.

La Russia, che non si era mai identificata al 100% con l’URSS, e, anzi, aveva provocato il crollo di quest’ultima con atteggiamenti quali quelli di Sol’ženitsin e di Elcin, si era però resa conto ben presto che gli USA stavano approfittando della debolezza delle ex Repubbliche e dei Paesi dell’ Europa Centrale per attaccare la stessa Russia (cfr. casi della Serbia, della Transnistria, della Georgia, dell’ Ucraina), e che, da parte sua, l’Europa non aveva alcuna intenzione di accoglierla nell’ Unione come richiesto da Gorbačëv e da Elcin. Come conseguenza, essa ha usato tutti i mezzi ancora a sua disposizione (esercito, arma nucleare, minoranze etniche, solidarietà storiche, diplomazia, gas) per compensare la perdita dell’influenza ideologica e strategica dell’ ex URSS. Nell’ ultimo decennio, Putin ha sottolineato l’appartenenza della Russia all’ Europa e alla religione cristiana, puntando a divenire il leader dei conservatori, ma senza dare uno sviluppo compiuto a questa parabola culturale brillantemente avviata.

I Paesi medio-orientali, scossi da profonde tensioni interne, hanno comunque in comune il fatto di sottolineare la comune eredità islamica ( almeno per ciò che riguarda il culto, l’educazione, l’etica sessuale, la lingua sacra, la difesa della Palestina, i simboli identitari), e questo permette loro di difendere, anche se disordinatamente, la loro identità.

L’interazione  fra l’offensiva culturale e sociale occidentale-americana e delle contro-azioni  dei vari Continenti, ha dato luogo a una serie di sotto-conflitti minori, come quello fra Woke e suprematisti bianchi, fra EU e Visegrad, fra Visegrad e Bielorussia, fra Russia e Ucraina, fra Aseri e Armeni, Cinesi di Hong-Kong di varie fazioni, ecc…).

Anche in Europa si sono manifestati, di tanto in tanto, movimenti disordinati di reazione all’invasione di concetti, armi, organizzazioni, movimenti, imprese, americani, come per esempio il neo-liberismo, l’americanizzazione della lingua, la costruzione di nuove basi militari, le “guerre Umanitarie”: gollismo, Serbia, Erdoğan, “Sovranità Europea”. Tuttavia, si ha l’impressione che nessuno sia disposto a tirare molto la corda per timore di fare la fine di Olivetti, Mattei, Gorbaciov.

Sul piano culturale, gli Stati Uniti sono ancora forti, perché le culture ufficiali di tutto il mondo, nate in un modo o nell’ altro sotto la spinta dell’Occidente imperiale, faticano a riscoprire una serie di approcci delle loro tradizioni (come “Tian Xia”, paneuropeismo, euroislam), che le aiuterebbero a mantenere una maggiore indipendenza, e continuano a puntare su forme di sincretismo che, alla fine, si rivelano, come già il vecchio “Wakon Yosei” giapponese, perdenti. Occorre urgentemente costruire, un discorso culturale mondiale che non sia quello dei GAFAM, riuscendo a rintracciare quei “valori spessi” che accomunano, secondo Hans Kueng, tutte le civiltà del mondo (mentre quelli “sottili” sono specifici delle singole culture). Fra  i primi non c’è la “democrazia” americana, che rientra invece semmai fra i secondi.

Capek ha descritto fino dal 1923 la rivolta dei robot

4. La dittatura informatico-digitale

Il “vertice mondiale sulla democrazia” è iniziato il giorno stesso in cui  una corte inglese, su richiesta degli Stati Uniti, ha deciso che Julian Assange può essere estradato negli Stati Uniti, dove potrebbe essere condannato a più di 170 anni di reclusione soltanto per le sue attività giornalistiche, cioè per avere reso accessibili al pubblico di Internet tutti gli e.mail scambiati negli ultimi anni fra Governi ed ambasciate, oltre che i filmati di uccisioni mirate di droni pilotati dall’ Esercito Americano da basi europee.

Non si capisce perché solo gli Stati Uniti abbiano tanta voglia di processare Assange se questi ha rivelato i segreti di tutti gli Stati del mondo, e nessuno di questi ultimi intenda processare Assange (salvo l’ Inghilterra che lo tiene prigioniero e si accinge a consegnarlo agli USA).Evidentemente, gli Stati Uniti si considerano i tutori e i maggiori beneficiari dell’attuale ordine mondiale, e soprattutto della dittatura digitale, sì che, non solo chi lo attacca, ma perfino chi ne rivela i lati negativi, così, come scriveva Foscolo, “temprando lo scettro ai regnator” , diviene il “nemico numero uno” dell’ America, che si arroga  anche il diritto, con la sua “applicazione extraterritoriale del diritto”, di giudicare chiunque in qualunque parte del mondo, come se fosse un vero sovrano universale.

Anche non è proprio, come ha affermato uno speaker russo, “come se la tenutaria di un bordello pretendesse d’ impartire lezioni di morale a giovani fanciulle”, questo è piuttosto rivelatore di che cosa sia veramente la “democrazia” americana -.

Essa invera l’ipocrisia puritana (l”uomo bianco ha la lingua biforcuta”),  , ma, soprattutto, dimostra la verità di quanto affermato da Canfora là dove scrive che “la democrazia non è liberale”. Infatti, “i romani si ritenevano il luogo della libertas. Libertà e democrazia erano per loro agli antipodi. Ancora nella lingua italiana del Trecento maggioranza significava sopraffazione.”

L’invasione digitale impedisce l’innovazione sociale perché favorisce la mediocrità dell’ utente e impedisce l’eccellenza del creatore: un Pericle, un Orazio, un Cesare, un Sant’Agostino, un Dante, un Machiavelli, un Goethe, un Nietzsche, non sarebbero possibili nella blogosfera. Come aveva scritto Antoine de Saint-Exupéry, “mettendo in bella” le idee di Tocqueville, “E’ triste quando un individuo schiaccia la maggioranza, ma è più grave quando la maggioranza schiaccia l’individuo”, che è ciò che si verifica nelle presenti società di massa.

Infatti, l’unico modo per garantire l’eguaglianza è distruggere l’ “autokratèia”,il “libero arbitrio” personale o nazionale, per trasferire tutto il potere alla cosiddetta “intelligenza dello sciame”, che è quell’intelligenza digitale che impone pavlovianamente il “Politically Correct”.  Soprattutto, l’”intelligenza dello Sciame” gestita dai GAFAM non è né liberale, né democratica, bensì totalitaria e post-umana.

Dall’ invasione digitale americana, si capisce perché tutti gli Stati del mondo cerchino disperatamente di tenere gli Americani fuori dalle loro società: perché, una volta   risucchiati nella rete americanocentrica, non si riesce più ad uscirne, come la mosca dalla tela del ragno.

La tanto decantata legislazione digitale europea non funziona

5.La sovranità europea ridotta a slogan elettorale

Purtroppo, le energie di buona parte dell’”establishment” in molte parti del mondo è volta innanzitutto a nascondere l’evidenza di quanto descritto in questo articolo.

Ad esempio, nel presentare il programma del Semestre Europeo Gennaio-Giugno 2022, il Presidente Macron ha indicato, fra i propri obiettivi, la tanto declamata e attesa “Sovranità Europea”.

Però, come al solito, non si vedono proprio, nel programma,  gli elementi di questa sovranità, bensì al contrario la volontà di “vendere” come successi quelle che sono in realtà delle vergognose rese.

Per uno “Stato-Civiltà” come l’ Europa, “Sovranità” potrebbe significare:

a)Sovranità culturale: avere un’identità diversa da altri Stati-Civiltà;

b)Sovranità internazionale: Non essere condizionata da poteri esterni;

c)Sovranità interna: Avere la prevalenza sulle realtà politiche [LR1] parziali che la compongono;

d)Sovranità religiosa (autocefalia);

e)Sovranità militare: non essere occupata da eserciti stranieri e poter comandate proprie truppe, adeguate a fronteggiare le sfide circostanti;

f)Sovranità tecnologica: Disporre di tutte le più moderne tecnologie;

g)Sovranità economica: essere potenzialmente autosufficiente, e comunque non avere una bilancia dei pagamenti, commerciale, energetica o alimentare sbilanciata.

Oggi, solo 5 Stati sono sovrani sotto almeno 6 di questi profili: USA, Cina, Russia, Israele e Iran. Fra questi non vi è l’ Europa, e, a meno che non si enunzi e persegua una strategia di emergenza, non lo sarà almeno per i prossimi 20 anni.

Come al solito, Macron non ha affrontato i nodi che bloccano tutte queste sovranità dell’ Europa: il mito del progresso; l’atlantismo; la limitazione dell’UE, dopo Brexit,  a 500 milioni di Europei; la NATO; i GAFAM; l’assenza dei Paesi dell’ Europa Orientale.

I leader dei GAFAM non sono affatto spaventati dalle normative europee

6. “Con le big tech la multa non basta”

Sempre in contemporanea con il “Summit della democrazia” è giunta la notizia che l’Antitrust italiano, unendosi in ciò a quello europeo, ha comminato alla Amazon una multa milionaria.

Queste e simili notizie relative ad analoghe sanzioni da parte di altre autorità in Europa hanno fatto parlare, da parte di politici e di giornalisti, di  una reazione adeguata allo strapotere dei GAFAM. Come abbiamo scritto infinite volte, non siamo d’accordo, perché i GAFAM (così come, anche se meno, i BATX cinesi), non sono “imprese” (che possano essere contrastate isolatamente da vari settori del diritto), bensì organizzazioni “politiche” che perseguono un programma di trasformazione globale dell’Umanità, operando sui campi antropologico, psicologico, teologico, estetico, biologico, familiare, medico, spionistico, tecnologico, politico, commerciale, finanziario, lavoristico, elettorale, fino a svuotare gl’individui, le imprese e gli Stati, e instaurando un unico sistema macchinico di controllo mondiale. Come ha scritto su “La Stampa”, il 10 Dicembre 2021,Innocenzo Genna, contro i GAFAM una multa non basta: la presa di controllo sui GAFAM da parte di cultura e politica dev’essere globale.

I GAFAM sono saldamente installati negli Stati Uniti, e vivono in simbiosi con lo Stato e le 16 agenzie di intelligence, mentre le Forze Armate americane occupano saldamente l’Europa. Pretendere di controllarli con strumenti archeologici come l’ antitrust (nato 150 anni fa), o la fiscalità internazionale (che non è ancora nata), è come voler svuotare il mare con un cucchiaino.

Come dimostra l’esperienza della Cina, porre sotto controllo i giganti del web è un’impresa ciclopica, che richiede uno Stato enorme, con una sua chiara visione del mondo; un Governo fortissimo, mezzi illimitati; un approccio per fasi, ma ravvicinate, senza guardare in faccia nessuno.

Internet era stata introdotta in quel Paese nel 1994, e, nel 2008, essa era diventata  quello con il maggior numero di internauti. A partire dal 2000, erano nate imprese digitali nazionali come Baidu, Alibaba e Tencent, che, pur avendo un mercato solo “nazionale” (ma di un milione e mezzo di abitanti”), rivaleggiano ormai con quelle americane. Certamente sono state favorite dal Governo, tra l’altro, ma non solo, con la censura dei loro concorrenti americani.

Vent’anni fa, i GAFAM erano forti in Cina come in Europa: oggi, essi  sono praticamente usciti dal mercato nazionale, dove oggi operano invece i BATX, governati dalla legge cinese e rispettosi degli interessi nazionali, della concorrenza e dei diritti dei consumatori. Il che dimostra che la sovranità digitale è possibile, e anche in tempi brevi.

Oggi, la Cina è l’unico Paese del mondo con una legislazione digitale che comprende tutti i settori:

-societario;

-valuta digitale;

-sicurezza;

-tutela della “privacy” e  del segreto di Sato;

-rete;

-internet providers;

-concorrenza;

-tasse;

-finanza;

-banca e borsa.

Nonostante che le ultime norme siano entrate in vigore solo il 1° novembre di quest’anno, esse sono state immediatamente applicate, con una raffica di sanzioni contro tutti. Sono state bloccate varie gigantesche operazioni borsistiche dei dei BATX, in Cina e a Wall Street, che avrebbero fatto di essi qualcosa di molto simile ai GAFAM. Le varie Authorities preposte al settore hanno sollevato obiezioni relative all’interesse dei consumatori, alla tutela dei dati e alla trasparenza finanziaria.

Gli osservatori occidentali sono stupiti di questi interventi “ai danni” delle multinazionali cinesi,  perché in America nessuno nasconde che le Autorità chiudono ambo gli occhi quando si tratta dei GAFAM, col pretesto di non agevolare i concorrenti cinesi. E perfino in Europa il garanter della privacy, il polacco Wewiòrowski, ha affermato che è meglio condividere i dati con gli alleati piuttosto che con gli avversari.

I cinesi invece non vedono questa connessione stretta  fra il mercato esterno e quello nazionale. Intanto, perché è ovvio che (esattamente come in Occidente), la salvaguardia della tutela della privacy cessa quando entra in azione la difesa nazionale, ed è quindi garantita indipendentemente dalla legislazione sul civile. Come precisa un’altra legge, le Forze Armate hanno infatti accesso ai dati dei cittadini (come i nostri Servizi Segreti).

Per tutto il resto, invece, la tutela della legge è ferrea. Le grandi imprese nazionali non possono, né ledere i diritti dei cittadini, né bypassare la legge, né acquisire un potere sociale spropositato (per esempio, nell’ editoria) superiore a quello dello Stato.

L’Europa è pronta a fare tutto ciò contro i GAFAM, e per giunta nel giro di pochi anni? Dal discorso di Macron non si direbbe, in quanto egli ha collocato le future imprese europee del Web (che afferma di voler creare) sotto la voce “start-up” e non dei “campioni europei”, dando credito allo screditatissimo mito che i GAFAM siano nati da ragazzini che lavoravano nei garages, e non dai “progetti segreti di Hitler”, dall’ operazione Enigma, dal DARPA, dall’ IBM, da Echelon, Prysm e l’Endowement for Democracy.

Com’è possibile che l’ Europa possa realizzare tutto questo con delle semplici start-up?

Macron ha giustamente ricordato che, delle 8 massime imprese digitali, 5 sono americane, e 3 sono cinesi. Nessuna europea. Ha promesso di ovviare a questa situazione, ma non ha detto, né quando, né come.

Atreju: l’imprevista convergenza

7. Web Tax

Nel discorso di presentazione del semestre francese, Macron ha anche parlato della tassazione dei giganti del web -problema annoso che, a suo dire, si sarebbe risolto con gli accordi di Pittsburg su una tassazione minima del 15% sulle multinazionali.- Il Presidente ha sviato anche qui il discorso, perché questo (teorico) accordo non mette il dito sulle piaghe degli arretrati fiscali, dello spostamento di imponibile fuori dell’ Europa, dei “tax rulings” e della “discriminazione a rovescio” ai danni dei “new entrants” europei.

Inoltre, Macron ha ignorato tre precisi fallimenti della Francia: Minitel; Qwant; GAIA-X, tutti causati dalla propaganda governativa, dal minimalismo, dal clientelismo ministeriale e sull’asservimento di fatto agl’interessi americani.

L’ultimo scacco, di cui abbiamo parlato recentemente, è quello di GAIA-X. Come scrivevamo, alcune imprese francesi hanno addirittura abbandonato GAIA-X perché troppo dominata dai GAFAM. Inoltre, il Presidente Macron ha inaspettatamente lanciato il concetto di “Cloud de Confiance” per sponsorizzare l’accordo fra Thales e Google,  la quale ultima, grazie a questa formula, verrebbe ammessa  a fruire di un “trattamento europeo”.

Tutta la faccenda di GAIA-X si rivela così una gigantesca manovra, con la connivenza di tutti  per aggirare le due sentenze Schrems: si immagazzinano i dati dei Governi europei in clouds situati in Europa e cogestiti fra imprese europee e americane, e si fa credere che ad esse  non si applichi il CLOUD Act. Ma nessun serio esperto crede, né che il CLOUD Act sia legalmente inapplicabile, né che i GAFAM creino veramente, fra le loro reti e queste loro joint-ventures europee, dei solidi “Chinese Walls”. E poi, in definitiva, con Echelon e Prism, l’intelligence americana riesce comunque a spiare tutto dell’Europa. E questo spiega perché nessuno voglia investire in nuove tecnologie.Ma, nello stesso tempo continuiamo a vantare il GDPR quale fosse la migliore legge del mondo, e continuiamo a dare i nostri dati ai GAFAM e alla NSA.

L’attentato a Rudi Dutchke

8.”Declino autoprodotto” o trend universale?

Massimo Giannini è giustamente convinto che lanciare una campagna contro le “autocrazie” (stanziando i soliti miliardi di dollari per le “covert operations”), come ha fatto Biden, sia cosa inutile perché “il declino delle democrazie è in buona misura auto-prodotto”.

Ciò è parzialmente vero, anche se forse inevitabile: “Il risultato è che i governi e i parlamenti hanno finito per delegittimare se stessi. E un numero crescente di cittadini, marginalizzati dalla globalizzazione ed esclusi dalla partecipazione, ha disconosciuto la propria cittadinanza. Convinti che votare non serva a nulla, e che la democrazia non è così importante.”

A mio avviso, neppure questa spiegazione della crisi delle democrazie è sufficiente, in quanto pone in luce i sintomi, non già le cause prime, che sono costituite dalla consunzione storica (dopo il suo culmine alla fine del ‘900) della democrazia occidentale “classica”, dovuto al sovrapporsi, sulla società industriale, della società del controllo totale, con la simbiosi incestuosa fra industria informatica e servizi segreti, con il controllo totale sui cittadini, con l’accumularsi abnorme di profitti da pratiche anticoncorrenziali ed elusione fiscale,  con la creazione di  5 grandi monopoli legati fra di loro da un’inestricabile rete d’interessi, con il voto digitale e la manipolazione digitale delle elezioni, con il controllo dell’ opinione pubblica e dei media, la concentrazione in un unico luogo dei server della NSA e quelli dei GAFAM, l’uso sistematico dell’intelligenza artificiale…

Certamente, la “democrazia occidentale” ha conosciuto come tutti i fenomeni storici,  una parabola ascendente e discendente, della durata di  meno di un secolo. Nell’immediato dopoguerra, quando almeno il 75% degli Europei votava per partiti estranei alla cultura politica “mainstream”dell’ Occidente (p.es. democrazia cristiana, comunisti, post-fascisti e monarchici) e, essa aveva potuto comunque prendere piede proprio grazie all’ opera di questi partiti, che, inseriti controvoglia nel sistema,  avevano stimolato potentemente, nonostante il sistema privo di alternanza, una partecipazione popolare polemica con un’ azione “top down”. Al tempo della “contestazione” studentesca e operaia, la democrazia era stata concepita essenzialmente come democrazia di base e sostanzialmente antisistema. Per la prima volta  dopo gli Anni di Piombo, si era cercato un compromesso fra partitocrazia e movimentismo, che aveva permesso un funzionamento pacifico della democrazia rappresentativa, e, negli Anni successivi alla caduta del Muro di Berlino, si era perfino avuto un inizio di contendibilità del sistema.

All’ inizio del  nostro secolo, con il cronicizzarsi della crisi economica e la scomparsa dell’etica pubblica e delle culture politiche tradizionali, si era incominciato a parlare di crisi della politica. Nel secondo decennio, dominato dal prosperare nel mondo di sistemi politici non allineati con la democrazia rappresentativa occidentale, avevano preso piede dubbi di vario tipo sulla credibilità di quest’ ultima e delle sue ragion d’essere ideali (cfr. Parag Khanna, Martin Jacques, Daniel Bell, Zhang Weiwei).

Credibilità ulteriormente danneggiata da:

a)l’incapacità di tutti i sistemi occidentali di fronteggiare efficacemente il Covid, mentre, con la “Battaglia di Wuhan”, la Cina ha risolto il problema con un numero di vittime veramente irrisorio;

b)le prove sempre più schiaccianti del controllo poliziesco esercitato sull’ Europa dal mondo digitale americano (Echelon, Prysm, processi Assange e Schrems);

c)le assurdità e contraddittorietà della politica estera europea e occidentale, con una gragnuola di “Guerre umanitarie” che non hanno risolto alcun problema, ma hanno anzi provocato gravissime calamità di ogni genere (guerre civili, terrorismo, migrazioni bibliche);

d)in particolare, l’assurda invasione dell’ Afganistan, con l’altrettanto assurda permanenza dopo la morte di Bin Laden, e l’assurdissima fuga all’ultimo momento;

e)la crescita esponenziale della disoccupazione, delle delocalizzazioni e dell’ emigrazione;

f)lo spezzarsi del consenso intra-americano fra etnie, ceti sociali e culture pubbliche: afro-americani, latinos, nativi americani, WASP, suprematisti neri e bianchi, latinamericanisti, “European Traditionalists”, sudisti, terzomondisti, integralisti cattolici, protestanti, ebrei, islamici, di destra e di sinistra, yuppies, agricoltori, operai, finanzieri, che ha comportato l’ impossibilità per l’ America di formulare politiche credibili e continuative.

Orbene, tutti questi trend costituiscono una contraddizione vivente delle retoriche della “liberaldemocrazia occidentale”, la quale pretenderebbe di costituire la massima realizzazione storica della libertà, eguaglianza, dignità e pace sociale, nonché del benessere materiale dei cittadini (appunto, il Secondo Avvento di Gesù Cristo sulla terra, come profetizzato da Cristoforo Colombo).

Ma c’è di più. Giacché, contrariamente a quanto ipotizzato inizialmente da Fukuyama, il mondo odierno è un mondo altamente competitivo, la centralità del controllo digitale sta aumentando di giorno in giorno nell’ ambito della “competizione fra USA e Cina” per la supremazia mondiale. In questa situazione, è del tutto prevedibile che il livello di controllo sui cittadini debba ancora salire ovunque per esigenze di preparazione bellica (previsione di attacchi militari, controllo della lealtà di cittadini e organizzazioni, intercettazione e censura di informazioni sensibili). Questa sensazione di un controllo sempre crescente è la giustificazione (inconscia) del movimento “no vax”, il quale sospetta (non a torto), che l’introduzione delle (seppur troppo blande) di misure di controllo sulla pandemia costituisca l’avvio appena mascherato di un sistema di controllo militare.

Alla luce di quanto precede, tutti gli Stati (a cominciare da quelli “democratici”) non possono sfuggire a forme di centralizzazione dei controlli e delle decisioni in materia di sicurezza (sulla falsariga dello SFIU, del FIFA, del Patriot Act, del FIFA, del Comitato NSCAI, dell’Endless Frontier Act e del Transatlantic Technology Dialogue).

Alla luce di tutto ciò che abbiamo scritto, diventa sempre più difficile, pretendere, al contempo, come fa l’ “Alleanza delle Democrazie”:

a) che la democrazia costituisca il toccasana di tutti i mali (etici, politici, tecnici ed economici);

b)che l’Occidente sia l’esempio ammirabile di tutte quelle virtù ch’esso definisce come “democratiche”.

La fine del Kali-Yuga

9. Esiste una via di uscita?

Inaspettatamente, secondo Giannini, la soluzione  a questa crisi delle democrazie sarebbe costituita da una mossa assolutamente “laterale”: fornire  3 milioni di vaccini gratuiti ai Paesi in via di sviluppo.Peccato che la proposta di Giannini (del 12 Dicembre), non faccia che copiare  la promessa di Xi Jinping ai Paesi africani, formulata ufficialmente all’OttavaConferenza Ministeriale del Forum on China-Africa Cooperation (FOCAC) di Dakar, del 29-30 Novembre.1 milione e 600 mila di questi vaccini sono già stati consegnati.

Come volevasi dimostrare, l’Occidente non riesce a reggere il passo, né come capacità decisionale, né come motivazioni etiche, né come potenza di fuoco, al millenario e miliardario sistema cinese.

Senza contare che come può l’America, che ha avuto un milione e 600 mila morti di Covid, proporsi come salvatore dei Paesi in via di sviluppo?

In effetti, spetterebbe all’ Europa indicare la strada per l’uscita da questo circolo vizioso,:

-con una visione culturale che, sulla scia di Matteo Ricci, Kircher, Guénon, Weil, Saint-Exupéry, Frankopan, permetta un dialogo effettivo con i Paesi dell’Asia e dell’Africa;

-con una nuova “epistocrazia” europea sulle tracce di Nietzsche, Weber, Gentile, Reale, Bell in grado di dialogare con i talenti selezionati dai sistemi scolastici orientali;

-un sistema economico europeo che, pur anticipando le trasformazioni economiche e sociali indotte dall’ Intelligenza Artificiale, permetta il controllo umano sulle macchine intelligenti e il reimpiego di ciascuno secondo la propria vocazione;

-una politica estera e di difesa veramente “sovrana”, con una funzione mitigatrice del “Kulturkampf” e di prevenzione della IIIa Guerra Mondiale tecnologica.


 

PROGRAMMA “CANTIERI D’ EUROPA”: 9 NOVEMBRE 2021

ore 10:00-13:00

60° ANNIVERSARIO DELLA MORTE DI MARIO TCHOU

Mario Tchou con l’ELEA 9003

Allora e oggi: L’informatica in Piemonte e in Europa,

una riflessione per la Conferenza sul Futuro dell’ Europa

IN DIRETTA E IN STREAMING

BIBLIOTECA GINZBURG, Via Lombroso 16, Torino

Il simbolo del Movimento Comunità

Vi invieremo le credenziali via newsletter

Con la collaborazione di:

-Movimento Europeo;

-Olivettiana;

-ANGI

-Rivista “Culture Digitali”

La calcolatrice P01,
primo “computer” italiano

La corsa alla leadership nelle nuove tecnologie, attualmente aperta  fra le diverse aree del mondo, e, in particolare, fra Stati Uniti e Cina, vede l’ Europa in una posizione di grande debolezza, non diversa da quella degli Anni ’50 e ’60, quando si era svolta l’avventura della Olivetti, la quale, con una tempistica eccezionale, aveva anticipato, con i suoi prodotti ma soprattutto con la sua cultura umanistico-digitale, i temi che sono oggi al centro dell’attenzione  generale.

Ora come allora, la consapevolezza complessità della transizione digitale e la sua centralità nello sviluppo delle società contemporanee  faticano a farsi strada in diversi ambienti, che si attardano in visioni della società, dell’ economia e della tecnologia, che erano proprie piuttosto del secolo scorso, ma, oggi non hanno più ragione d’essere.

Una riflessione storica su quegli anni, sul significato delle proposte di Olivetti e di Tchou, sui motivi della interruzione del loro esperimento, potrebbero essere molto utili per comprendere il momento che stiamo vivendo oggi, quando, al momento dell’apogeo delle fortune dei GAFAM americani e dei BATX cinesi, l’ Unione Europea ambirebbe a proporsi quale “Trendsetter del dibattito mondiale” in campo digitale.

Soprattutto centrale per la definizione di una via europea al digitale è la sintesi di cultura e tecnologia digitale sperimentata alla Olivetti negli anni di Adriano Olivetti e di Mario Tchou.

La singolare vicenda dell’ Istituto Italiano dell’ Intelligenza Artificiale, relativamente al quale i successivi Governi italiani  hanno compiuto una spettacolare retromarcia,  ci fa riflettere sugli eventi di quegli anni, con la nascita (subito abortita) di una “Silicon Valley italiana”: la formazione di un eccezionale team d’intellettuali, scienziati e tecnologi (di cui Tchou fu il più brillante rappresentante); la progettazione di due prodotti d’avanguardia e di grande successo commerciale, interrotti per l’ incomprensione di parte  degli stakeholders, dalla morte dei due protagonisti, Olivetti e Tchou, e dalle radicali trasformazioni dell’azienda.

Oggi come allora, l’Italia sembra non comprendere che la società del 21° secolo ha come cuore pulsante il digitale, e che, di conseguenza, nessun Paese del mondo, e meno che mai coloro che, come l’ Italia e l’ Europa, si pretendono all’ avanguardia, possono permettersi di trascurare questo centrale elemento della cultura, della scienza, dell’ economia, della società e della tecnologia contemporanee.

L’attuale corsa al digitale fra USA e Cina
lascia spazio all’ Europa?

PROGRAMMA

Ore 10,00:Inizio dei lavori; Saluti dei promotori e delle Autorità

Ore 10,15: Intervento di Pier Virgilio Dastoli sulla Conferenza sul Futuro dell’ Europa

Ore 10,30: Contributo storico dell’Associazione “Olivettiana” (Rebaudengo, Chili, Gentile  Melandri,Rizzoli, Renzi)

Ore 11,15: Roberto Saracco, Il digitale ieri e oggi

Ore 11, 40  Germano Paini, L’impatto-tecnoculturale

Ore 12,10 Contributi dei rappresentanti delle Istituzioni

Ore 12,30 Domande e dibattito

Modera Marco Margrita

STATO DI ECCEZIONE VACCINALE E CONFERENZA SUL FUTURO DELL’ EUROPA

L’emergenza sanitaria: punta dell’iceberg di una crisi globale

I protagonisti del Consiglio virtuale di ieri

Ieri e oggi si è svolto il Consiglio europeo dedicato prioritariamente al nodo dei vaccini, le cui forniture ancora arrivano a rilento nel Continente, specie in quei Paesi che più hanno puntato sul siero AstraZeneca, azienda partecipata dal Governo britannico, che sta mancando tutti gli obiettivi di consegna previsti nel contratto siglato con l’UE, mentre invece le vaccinazioni nel Regno Unito (e negli USA) procedono a tutta velocità. Il Ministro inglese della Sanità ha dichiarato in Parlamento che tutto ciò è normale, perché AstraZeneca aveva firmato con il Regno Unito un contratto in esclusiva, e l’aveva firmato prima che con la UE. Come osserva Liberoquotidiano, l’Europa , stritolata fra l’”America First” di Big Pharma e l’ “Hard Brexit” di Astra-Zeneca, rischia di divenire lo zimbello del mondo: “La portavoce del governo francese, Gabriel Attal, ha dichiarato che ‘si tratta di una situazione totalmente inaccettabile. L’Unione europea non sarà lo zimbello della vaccinazione’. A quanto pare sembra però proprio questa la figura che sta facendo a livello internazionale”. Essa infatti aveva prefinanziato la ricerca dell’ Astra Zeneca, senza avere in contropartite, né garanzie certe di fornitura, né diritti di licenza.

Il presidente del parlamento europeo David Sassoli ha esordito perciò. prima del Consiglio europeo,  affermando:“Non possiamo più essere ingenui: è il momento di applicare i principi di reciprocità e proporzionalità  prima di dare il via libera europeo alle esportazioni”. Tuttavia, questi principi, nonostante il Consiglio, non si stanno applicando, né verso gli USA, né verso il Regno Unito.

Nei lucidi  presentati da Ursula von der Leyen si poteva leggere  che:

-nel secondo trimestre, le case farmaceutiche che hanno vaccini approvati dall’EMA si sono “impegnate” a consegnare le quantità seguenti: Pfizer/BioNTech 200 mln di dosi, Moderna 35 mln, AstraZeneca 70 mln (rispetto ad un impegno da contratto più che doppio, 180 mln) e Johnson & Johnson 55 mln;

 –l’Ue ha esportato dal primo dicembre 2020 ad oggi circa 77 mln di dosi di vaccini anti-Covid verso 33 Paesi ,non solo i più bisognosi, e tutto ciò nonostante ch’essa sia in ritardo sulle vaccinazioni e che tutte le case farmaceutiche (che hanno delle controllate in Europa) siano inadempienti;

La commissione Ue  si è dichiarata poi intenzionata a proseguire per vie legali nei confronti di AstraZeneca se non otterrà risultati soddisfacenti sul rispetto del contratto per la consegna delle dosi del vaccino anti-Covid. L’UE avrà infatti tassi di vaccinazione molto inferiori all’obiettivo del 70% della popolazione adulta, che si raggiungerà, se va bene, solo tre-quattro mesi dopo gli Stati Uniti, cioè quando i vaccini USA, ormai ampiamente disponibili e non più necessari agli Americani,  potrebbero essere (finalmente) inviati agli alleati europei (e ai Paesi in via di sviluppo). Magra consolazione per un trattamento illegale da parte di Big Pharma, ma soprattutto discriminatorio da parte dell’Amministrazione Biden, che sta mantenendo il divieto assoluto di esportazione dei vaccini, decretato dall’ odiato Trump, e non mitigato neppure da esportazioni verso i Paesi in Via di Sviluppo.

E dire che questo Consiglio sarebbe stato dedicato a stringere i rapporti transatlantici e a persuadere gli Europei a fare sacrifici per la causa atlantica, come per esempio fermare il North Stream 2 (quasi completato e pagato) e il Trattato sugl’investimenti con la Cina, già concordato e attuato da quest’ultima. Tuttavia, Biden, visto che non è disponibile a concedere nulla, ha avuto il buon gusto di non chiedere nulla. Come scrive Rai 24 ore: “Gli Alleati hanno riconosciuto in Pechino un attore globale in grado di porre una sfida sistemica all’intero Occidente, ma non hanno ritenuto di doversi impegnare in bellicose dichiarazioni d’intenti, com’era probabilmente nelle aspettative del segretario di Stato americano e di tutta la nuova amministrazione Usa. Una differenza di vedute che la missione diplomatica statunitense ha appurato anche su altri due dossier molto caldi: le sfide poste dalla Russia, in particolare con il progetto di gasdotto Nord Stream 2, e la fine della missione Nato in Afghanistan.

Come commenta sempre Liberoquotidiano, “La vicenda, che per certi versi richiama la notte di Sigonella, quando Bettino Craxi aveva difeso la sovranità del territorio italiano, acclama ora una gestione simile della situazione da parte del premier Mario Draghi…Il sospetto è che i ritardi nella consegna dei dati all’Ema, prima quelli per ottenere l’approvazione del vaccino e poi quelli per la certificazione degli stabilimenti di produzione, siano in realtà una tattica per avvantaggiare il Regno Unito. Il Paese guidato da Boris Johnson ha continuato a ricevere tutte le dosi previste dal contratto firmato in casa, mentre l’Ue nei primi sei mesi del 2021 otterrà, nelle migliore delle aspettative, 180 delle 300 milioni di dosi previste.”

Soberana de Cuba, il vaccino cubano sovranista

1.Una valutazione d’insieme delle politiche sanitarie.

Nell’ anno in cui si dovrebbe aprire la Conferenza sul Futuro dell’Europa, gli Europei, che non sono riusciti a prevenire la pandemia, né con un serio protocollo “stile NCB”, come ha fatto invece la Cina, né con una politica nazionalistica sui vaccini (come stanno facendo Israele, Stati Uniti e UK), stanno ancora dibattendosi intorno alla questione di come l’Europa possa approvvigionarsi di vaccini  quando la sua industria farmaceutica dipende totalmente dal resto del mondo. Situazione che esiste, ahimé,  anche nelle comunicazioni, nell’ informatica, nella difesa, nell’energia e nell’ aerospaziale, ed è deteriore perfino a quella dell’ India, che proprie industrie nazionali in tutti questi settori. Quanto ai vaccini, pur non avendo certo le capacità produttive delle multinazionali del farmaco, l’industria cubana ha la tecnologia per sviluppare i vaccini, anche quello contro il Covid. La sperimentazione del vaccino Soberana 2 è entrata nella fase 3, ma i cubani stanno lavorando su altri 3 vaccini anticovid.

Questa situazione meriterebbe di essere affrontata di petto nella Conferenza sul Futuro dell’ Europa che sta per aprirsi, con precedenza su tutte le altre, con un energico intervento pubblico, di cui invece non si vede traccia.

Ma procediamo con ordine.

L’approccio necessario per gestire le crisi pandemiche sarebbe prescritto dai protocolli dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e della NATO. Il primo potrebbe essere meno stringente, il secondo, invece, non potrebbe essere se non severissimo, perché un attacco “NBC” potrebbe  essere una questione di pochi minuti (l’“Hair Trigger Alert”), e, in quel caso, la reazione  dovrebb’essere immediata. Tanto Xi Jinping, quanto Macron e Conte, avevano dichiarato “Siamo in guerra”, ma solo il primo aveva  operato in modo  conseguente. Infatti, nel caso di un attacco NBC, i pieni poteri passano al Capo dello Stato, che li esercita attraverso le forze armate (cosa che finalmente Draghi ha deciso di fare dopo più di un anno dall’ inizio della pandemia, con la nomina del Generale Figliuolo). Invece, come noto, neppure la NATO si era comportata in modo coerente con le buone pratiche in campo sanitario, avviando la manovra Defender Europe 2020 proprio in concomitanza con l’inizio della pandemia,  cosa che ha portato alla maggiore sconfitta storica della NATO.

Quindi, è vero che l’ Unione Europea non ha le competenze per gestire i protocolli NBC, ma la NATO, che queste competenze le ha, eccome, si è rivelata ancor più inefficiente per il fatto che ha dovuto annullare, per la malattia dei suoi generali, le più grandi manovre della storia, che si sono concluse con un’ignominiosa ritirata.

Lo stato di emergenza lo si può gestire solo se si è preparato per tempo l’intero sistema, con la possibilità di un’estensione istantanea  delle normali strutture, da un lato, a  dei “riservisti”,  e dall’ altro a scorte di materiali e impianti industriali, che si debbono mantenere costantemente  disponibili.  Invece, durante tutta la pandemia,   non si sono riusciti a trovare, né i medici, né le mascherine, né i posti letto, anche se tutto ciò sarebbe  stato prescritto dai vari protocolli esistenti (sulla carta).

La Catalent di Anagni, dove l’Astra Zeneca tiene 30 milioni di dosi

2.La pandemia e il codice penale

Lo Spiegel ha reso noto a tutta Europa un fatto che invece viene taciuto dai media italiani: ch’ è in corso dinanzi  al Tribunale di Bergamo una “class action” di 500 parenti delle vittime contro il Governo italiano, per non aver aggiornato, fino dal 2006, gli standards di prevenzione delle epidemie. Un rapporto su quest’omissione dell’OMS era stato ritirato su pressione del nostro Governo.

Mentre si sta dunque discutendo  in tribunale  sulle responsabilità del nostro Governo per la prima ondata, intanto è già insorto un nuovo problema: neppure dopo molti mesi dall’ inizio della pandemia si sono ancora approntati i rimedi ora necessari (vale a dire una solida catena di forniture vaccinali). Anche qui è stata nominata una commissione d’inchiesta, questa volta del Parlamento Europeo.

L’aspetto più grave è  che l’industria farmaceutica europea, che, con la sola eccezione del “Vaccino di Oxford” (AstraZeneca, partecipata dal Governo inglese), non ha ancora approntato alcun prodotto concretamente utilizzabile, non ha sviluppato nessun brevetto, e, quando opera, lo fa su licenza delle controllanti anglo-americane, che dispongono a loro libito del prodotto.

Inoltre, AstraZeneca, oltre a rivelare vari aspetti dubbi dal punto di vista medico, sta tenendo comportamenti inspiegabili, come quello di stoccare di nascosto enormi quantità di dosi, fornire solo il 15% del promesso, non attivare gli stabilimenti europei, mentre non ha mancato un colpo nei rifornimenti al Regno Unito (da cui dipende). Comportamenti che rasentano gravi reati, e che dovrebbero portare normalmente alla revoca delle licenze. E, da parte del Governo inglese, rasentano il livello di un atto di guerra contro l’Europa.

Ciò deriva da una carenza ben più profonda del sistema europeo. La struttura industriale europea non è propriamente “globalizzata”: è semplicemente ancillare di quelle americana e inglese, e questo lo si è visto in tutti gli aspetti della reazione alla pandemia. D’altronde, questo è ciò che accadeva, nel COMECON, nei rapporti Unione Sovietica-satelliti, e nell’ America Latina nel Secondo Dopoguerra (secondo la “Teoria de la dependencia”).

Durante gli ultimi settantacinque anni, l’industria europea, che a suo tempo aveva presidi importantissimi in tutti i campi, non ha fatto che svuotarsi, a vantaggio di tutti gli altri Continenti (bati pensare a BMW, a Olivetti, a Minitel, al Concorde) sì che ora siamo a implorare Inghilterra, America, Russia, Cina e India di darci un po’ dei loro vaccini. Il comportamento di Big Pharma dimostra che, contrariamente a quanto sostenuto dai liberisti, non è affatto indifferente se la proprietà e il controllo delle imprese sia o meno sul nostro territorio: le controllate europee di Big Pharma non hanno alcuna autonomia, e per giunta le loro lobbies influenzano le nostre autorità, che le trattano con eccessiva accondiscendenza (garantendo alle case madri profitti inimmaginabili: vedi il caso Bourla). L’ideologia liberista e la cosiddetta “delega” all’America della funzione “difesa”ha semplicemente portato allo smantellamento delle imprese strategiche degli Stati Membri, senza sostituirle con dei “campioni europei”, lasciandole migrare verso gli USA, dove il loro sostegno da parte dello Stato si basa sul colossale bilancio della Difesa, finanziato con i “tributi” degli alleati.

Gli Stati Membri avevano conferito l’anno scorso alla Commissione un mandato (per altro molto debole)  relativo all’ acquisto dei vaccini, e, a sua volta, la Commissione aveva fatto affidamento, assurdamente, su qualche scarsa impresa farmaceutica europea (come CureVac e Sanofi, che non sono riuscite a produrre alcun vaccino), e soprattutto su quelle americane e inglesi (che potevano fruire, da un lato, della ricerca batteriologica militare, e dall’ altro, dell’influenza finanziaria e lobbistica di “benefattori” come Bill Gates).

La Commissione (e gli Stati membri) hanno negoziato in uno spirito di sudditanza contratti iniqui, che oggi non hanno il coraggio d’ impugnare in giudizio, neppure dopo le ingiunzioni di Italia e Germania, e nemmeno di mostrare; stanno ancora accettando che, in violazione di tali contratti, le case farmaceutiche dirottino il grosso della produzione in America (da cui esiste un divieto di esportazione), in Inghilterra, in Israele, nell’ Anglosfera e nelle monarchie del Golfo, e, questo, nonostante che esistano precisi strumenti comunitari per bloccare queste esportazioni, che Draghi chiede inutilmente di attuare. Qualcuno dovrebbe dimostrarci anche che i nuovi contratti che si stanno stipulando non contengano le stesse clausole vessatorie del contratto AstraZeneca (carattere facoltativo degli impegni di fornitura, divieto di fabbricazione sul territorio, esclusione della responsabilità).E qualcuno dovrebbe anche spiegarci perchè non si possano applicare le altre norme di emergenza, come la sospensione dei brevetti chiesta dai Paesi in Via di Sviluppo, o le licenze obbligatorie previste dal diritto brevettuale, e, anzi, si siano addirittura edulcorate, dopo l’intervento italiano, le regole del Nuovo Meccanismo di Controllo. Solo l’Italia ha vietato, provocatoriamente, una singola esportazione (probabilmente perché già conscia dell’enorme stoccaggio clandestino  in corso ad Anagni) prima dell’ ammorbidimento delle regole, mentre tutti gli altri Stati membri hanno permesso (e continuano a permettere) di esportare dall’ Europa milioni e milioni di dosi prodotte dalle filiali europee delle multinazionali, secondo l’arbitrio di queste ultime, in spregio ai contratti e alla situazione di emergenza. Tali esportazioni stanno continuando indisturbate. Per tentare attuare il divieto generalizzato previsto nelle nuove norme europee e ribadito dalla Commissione e dal Consiglio occorre, ora addirittura creare quel novello  “Asse Roma-Berlino” che Draghi sta promuovendo, per forzare tutti a un atteggiamento più assertivo.

L’EMA, (che aveva autorizzato da mesi l’Astra Zeneca, non ancora autorizzata in America, e che tanti problemi sta avendo ancor ora), di converso sta boicottando fino a quando può lo Sputnik V russo, utilizzato da tempo in 40 Paesi in tutto il mondo, compresi l’Ungheria e San Marino, mentre la comunità scientifica e l’industria farmaceutica,  in Germania e in Italia, non vedono l’ora di poterlo importare. Si lascia trapelare, neppure troppo velatamente, che l’obiettivo è evitare di far fare una “bella figura” alla Russia, mentre l’America e l’Inghilterra ci stanno negando i loro vaccini, e perfino le licenze per fabbricarli, provocando morti e perdite economiche.

La Landesgemeinde di Appenzell/Inner Rhoden, il solo esempio sopravvissuto di democrazia diretta degli antichi Indoeuropei.

3.Discutere di sovranità alla Conferenza sul futuro dell’ Europa

Solo adesso Breton e Giorgetti stanno lavorando per reperire stabilimenti convertibili a produzioni su licenza di imprese extraeuropee, che invece avrebbero dovuto esistere anch’essi da un anno. Purtroppo infatti , molti Paesi europei, e ,”in primis” l’Italia, avevano smantellato a tal punto le loro tradizionali strutture farmaceutiche (basti pensare alla Sclavo e agli stessi laboratori dell’ Esercito), che una produzione autonoma sarebbe oggi impensabile.Questo smantellamento è stato un esempio di assenza di volontà autonoma europea, mentre le industrie farmaceutiche erano, e sono ancora, un possibile candidato per un “campione europeo”.

Nessuno  ricorda la definizione di Carl Schmitt, “Sovrano è colui che decide sullo stato di eccezione”. Orbene, lo “stato di eccezione” è proprio ciò su cui il sistema europeo è inidoneo a decidere, come dimostrano i fatti di quest’anno. Il che è gravissimo proprio in un momento in cui spirano venti di guerra fra le Grandi potenze, e, come ha detto Blinken, l’Europa è ancora libera di non scegliere. La capacità di gestire lo Stato d’Eccezione è infatti fondamentale per salvaguardare la vita dei cittadini europei in una situazione di conflitto.

Tutto questo accade, certamente, secondo il tradizionale insegnamento federalista, perché l’ Europa non è uno Stato, non diciamo forte, non diciamo unitario, ma, almeno, federale. Quindi, come scrive Davide Nava su “L’Unità Europea”, “La risposta imperfetta della Commisdsione e degli Stati membri è forse il massimo che si può pretendere allo stato attuale di questa Unione Europea”.Ma anche per una totale deformazione culturale, in base alla quale si è negata nei fatti l’identità europea, si sono confuse dilettantescamente le competenze di Chiesa e Stato, si è battezzata “democrazia” l’anarchia istituzionalizzata (per esempio degli Enti locali italiani e tedeschi), lasciando il campo aperto un po’ a tutti, le sette, le Chiese, le lobbies, le potenze estere, le multinazionali, i servizi segreti, le corporazioni, gli Enti locali, tranne che all’intelligencija europeista, ai campioni europei e ai cittadini. Cosicché siamo stati soggetti, su una vicenda da cui dipende la sopravvivenza fisica dei nostri popoli, ai diktat di Trump e di Biden, al narcisismo dei virologhi, all’arroganza del Big Pharma, alla demagogia dei populisti, al protagonismo dei capipopolo,  degli affaristi  locali e dei media. Giunge ora la notizia che, dopo un gran discutere di competenze regionali, nazionali ed europee, la Campania ha appena stipulato un contratto di acquisto dello Sputnik. Se può la Campania, non si capisce perchè non lo possa l ‘Unione.

Nel frattempo, ci è voluto più di un anno per varare un piano di rilancio economico che ha meno risorse di quelle che avrebbe dovuto mobilitare un normale Quadro Pluriennale 2021 (e non è ancora operativo), che è infinitamente inferiore a quello americano e agli stessi progetti cinesi varati prima della pandemia (che lì non c’è mai stata), e che, comunque, non affronta in alcun modo i temi di fondo che i Parlamenti americano e tedesco hanno appena affrontato. Non  basta, infatti, ripristinare la (catastrofica) situazione precedente alla pandemia, bensì occorre “ripartire da 0”, come il Rapporto Schmidt invita l’ America a fare, partendo da un “Consiglio della Competitività Tecnologica”, che sia umanamente, culturalmente, giuridicamente, economicamente e professionalmente,  attrezzato a gestire unitariamente le emergenze di oggi: sanitaria, digitale, di sicurezza.

Il Consiglio della Competitività  Tecnologica proposto dal Congresso corrisponde a quello che noi chiamiamo “European Technology Agency”. Vorremmo vedere come si potrà negarne l’utilità ora che il presidente della più importante società informatica del mondo è riuscito farlo approvare, in veste di presidente di una commissione parlamentare speciale, dal Congresso degli Stati Uniti, proponendolo al Presidente degli Stati Uniti.

Non per nulla Manon Aubry, che tanto violentemente ha attaccato la gestione europea della pandemia, e sta promuovendo una commissione d’inchiesta sui vaccini, si mostra sconcertata per il senso d’impotenza che traspare dall’atteggiamento della Commissione. Tutti tendono a vedere tale impotenza come un fatto puramente giuridico: l’Unione non ha certe competenze giuridiche in campo sanitario, che invece avrebbe se vi fosse la mitica costituzione federale. Questo  giudizio è irrealistico. Spesso, gli organi esecutivi dello Stato non hanno certi poteri, ma, di fatto, se li prendono quando ciò si rivela indispensabile: la “costituzione materiale” è sempre diversa dalla “costituzione formale”. Basta vedere come si comportano, nei casi di guerra, i presidenti americani. Intanto, per le enormi lacune che esistono in tutte le leggi costituzionali; poi, perché leaders carismatici riescono ad ottenere la compliance alle loro esortazioni senza dover ricorrere ai carabinieri, né ai colpi di Stato. E, infine, perché tutte le rivoluzioni (e noi andiamo conclamando che quella federale europea è una rivoluzione), non sono, né balli di gala, né passeggiate nel parco.  Ciò era scritto pure nel Manifesto di Ventotene (ma non era poi stato fatto).

La realtà è che l’ideologia “mainstream” nega agli Europei il diritto di essere assertivi, e per questo non emerge quello che Giscard d’ Estaing chiamava “l’Europe Puissance”.

Ciò si traduce, sul piano costituzionalistico, nella la confusione fra Europa, Unione Europea, Federazione, Confederazione e Stato Unitario è totale. Il ministro Orlando ha affermato, a proposito dei vaccini: “la guerra non si può fare in modo federale”. Ma allora, gli Stati Uniti, che sono una federazione, come hanno fatto a condurre continue guerre da 300 anni a questa parte: indiana, d’ indipendenza, contro il Messico, civile, contro i Mormoni, contro la Spagna, contro gl’insorti filippini, le Guerre Mondiali, di Corea, del Vietnam, del Golfo, dell’Afganistan…

Ciò detto, per ovviare a situazioni come quella attuale, la capacità decisionale del vertice europeo va ovviamente comunque incrementata, con un mix d’interventi culturali, politici e legislativi.

Dal punto di vista culturale, occorre eliminare i diversi tabù che offuscano l’identità europea (alimentati dall’ignoranza -cfr. Tinagli e Iacci– dalla “Cancel Culture” e dalle leggi memoriali-cfr. Nora-Chadernagor-), e paralizzano i comportamenti dei vertici. Occorre riconoscere coraggiosamente come parte della nostra identità periodi e fenomeni pudicamente sottaciuti: la preistoria, la kalokagathìa,  le lingue classiche, il “barbaricum”, il “kathèchon”, l’ Euro-Islam, i progetti europei premoderni, Leibniz, Voltaire, Nietzsche, la psicanalisi, Coudenhove-Kalergi, gli eurasiatisti, Galimberti, il postumanesimo e transumanesimo…

Dal punto di vista politico, va consolidata l’idea di un Movimento che riunisca tutte le tendenze che vogliono rafforzare l’Europa, senza, né discriminazioni, né subalternità verso i partiti o verso le istituzioni, così come Gandhi si poneva nei confronti del Congresso e dei partiti che lo componevano.

Dal punto di vista istituzionale, occorre rafforzare la collegialità delle posizioni apicali, una costituzione leggera ma efficiente, una legge europea sullo Stato di Eccezione, un’Intelligence e un cyber-esercito europei, un’Accademia Militare e un’Agenzia Europea delle Tecnologie (sul modello della proposta Schmidt al Congresso e al Presidente americani). Occorre creare e rafforzare in tutti i campi una base industriale comune sui modelli di Airbus, Arianespace, Galileo e Gaia-X.

Il tutto, in un momento di estrema ebollizione degli equilibri mondiali, in cui l’ Europa funge più che mai da “vaso di coccio” negli scontri fra grandi potenze, e comunque la sua ambizione di costituire il “Trendsetter del Dibattito Mondiale” risulta smentita dagli atteggiamenti ondivaghi di Stati Membri e Istituzioni.

Tutti questi punti dovrebbero essere discussi nell’ ambito della Conferenza sul Futuro dell’Europa che è stata lanciata il 10 Marzo, la cui agenda non potrà certo costituire un’esaltazione dello status quo, così poco apprezzato, non solo dai cittadini europei, ma perfino dai movimenti europeisti, dall’ accademia e dai governi nazionali, bensì una riflessione lucida sugli errori commessi, e una spinta verso il rinnovamento.

1/1/2021:SORPRESA!

LA CINA STA GIA’ ATTUANDO L’ACCORDO CON LA UE SUGLI INVESTIMENTI

La Cina è il primo depositante di brevetti internazionali

C’è qualcosa di stupefacente nel trattato fra UE e Cina siglato il 31/12/2020: nonostante ch’esso non sia ancora neppure reso pubblico nella sua integralità, e ch’esso debba ancora essere ratificato dal Parlamento Europeo e dall’ Assemblea del Popolo cinese, la Cina lo sta già in gran parte attuando, e andando, addirittura al di là del trattato stesso. Infatti, contemporaneamente alla firma del trattato, sta entrando in vigore un ampio “pacchetto” di nuove norme, che sta rifacendo  da cima a fondo tutto il diritto civile, commerciale e della proprietà intellettuale.

COSCO sta facendo del Pireo il più grande porto del mondo

1. Gli emendamenti alla legislazione sulla proprietà intellettuale:

Da noi è ancora diffuso il mito secondo cui i Cinesi “copierebbero” i prodotti occidentali e, per dirla con Trump “ruberebbero la loro proprietà  intellettuale”. Orbene, non solo nei settori dell’informatica, dell’ aerospaziale, delle telecomunicazioni, delle ferrovie e  automobilistico, la Cina  costituisce l‘assoluta avanguardia, ma, addirittura,  essa è il Paese con il maggior numero di brevetti sul piano mondiale. Quest’attenzione quasi ossessiva per la proprietà intellettuale è dimostrata dall’ ennesima riforma delle legge sui brevetti e sui diritti d’autore.

Vediamo succintamente le principali riforme in corso:

a.Brevetti: Sono stati allungati i termini della tutela, sono stati facilitati i brevetti farmaceutici e di progetto.

b.Diritto d’autore: L’indennizzo per la contraffazione può arrivare a 5 volte il danno provocato. Viene invertito l’onere della prova e rafforzati i poteri interdittivi del giudice.

c.Contabilità e fisco: Sono stati aggiornati i principi contabili e allungata la lista delle attività che godono di agevolazioni fiscali, che oggi superano le 1200.

E’ aperta ai commenti (secondo le prassi UE) la nuova legge sulla proprietà intellettuale
(il GDPR cinese)

2.Nuovo codice civile: Si è passata dall’ approccio “nordico” o “anglosassone” delle “grandi leggi”, a quello romanistico di un unico codice. Un grande contributo è stato dato dall’Università Tor Vergata di Roma.

3.Legge sulla privacy: E’ appena finita la consultazione pubblica sulla legge sulla privacy, ispirata al DGPR europeo. In questo senso, ha ragione Ursula von der Leyen, nell’ affermare che l’Unione Europea si pone (almeno in questo campo) quale “trendsetter del dibattito mondiale”. Peccato che, come dimostrato dalla seconda sentenza Schrems, il DGPR sia sistematicamente frustrato dall’applicazione extraterritoriale della legislazione americana (che si  applica anche ai dati acquisiti, processati o immagazzinati all’estero dalle multinazionali americane).

Oltre a quella americana, anche le leggi europea e cinese affermano la propria applicazione extraterritoriale. Peccato però che, mentre in Cina quest’applicazione è possibile perché la gran parte dei dati dei Cinesi è immagazzinata in Cina, o sotto controllo cinese, la grande maggioranza dei dati europei è immagazzinata in America, o sotto controllo americano, sì che, di fatto, ad essi si applica la legislazione americana, diametralmente opposta, che, anziché imporre la “privacy”, impone la sorveglianza di massa (per giunta, sui dati altrui).

La Volkswagen possiede da quest’anno le proprie fabbriche in Cina al 100%

4. I trattati sono per loro natura bilaterali e reciproci

Il dibattito in corso sull’accordo con la Cina sui giornali occidentali, fondato su considerazioni esclusivamente politiche, se non propagandistiche, dimostra una volta di più l’incapacità della nostra classe dirigente a comprendere, non diciamo a padroneggiare, questo XXI secolo.

Sicuramente, è doveroso che un dibattito vi sia. Infatti, non v’è dubbio sul fatto che il trattato sollevi molte e importanti questioni sul futuro, non solo della Cina e dell’ Europa, ma del mondo: che cosa significhino “multilateralismo”, “multiculturalismo” e “multipolarismo”; se oggi sia ancora lecito, come fa Biden, a proporre delle alleanze “contro” qualcuno; come può l’ Europa difendere la sua economia dalle barriere occulte imposte dall’ America (no ai missili intercontinentali, no alle piattaforme web, no alle grandi società di servizi) e dai colossi naturalmente popolanti il mega-mercato cinese.

Ed è anche vero che l’Europa fa bene, da un lato, a discutere con tutti, e, in particolare, con il Paese che di fatto si sta rivelando il più influente in questo XXI secolo, ma, dall’ altrio, a mantenere alto il livello del dibattito, dove sono in gioco il futuro dell’uomo, i suoi diritti, la sua salute, la difesa della natura. Una volta tanto, complimenti alla von der Leyen e a Michel (senza ignorare che dovranno ancora affrontare una dura battaglia in Parlamento).

Tuttavia, tutto ciò va fatto sulla base di una visione realistica dei fatti: tecnici, economici, sociali, ma prima di tutto, culturali, filosofici e storici.

Intanto, i trattati sono per loro natura bilaterali e reciproci, altrimenti torneremmo ai “Trattati Ineguali” di cui tanto si lamentano i Cinesi. Invece, qui sembrerebbe che il principale obiettivo del trattato avrebbe dovuto essere quello d’imporre alla Cina strutture economiche ch’essa esita ad adottare, principi giuridici ch’essa non intende accettare, e, infine, un indebolimento della propria competitività complessiva, che sarebbe comunque inaccettabile per chicchessia. Se questo fosse stato l’obiettivo, la Cina non l’avrebbe certo accettato, perché i trattati debbono giovare ad entrambi i contraenti (“essere win-win”).

In realtà, il trattato non si limita a imporre alla Cina riforme (che tra l’altro la Cina sta già attuando), bensì chiede garanzie anche all’ Europa: in particolare la garanzia di poter investire in Europa, senza essere attaccati e danneggiati sotto vari pretesti, come nel caso dei porti italiani, delle Huawei e della ferrovia Belgrado-Budapest e del ponte di Peljesac.

Garanzie che servono subito, se riteniamo utile per l’economia che i Cinesi investano sui porti italiani e sull’ IVECO, e che non siano cacciati dal mercato europeo delle telecomunicazioni, rovinando, prima di tutto, l’industria europea che con essi collabora (come la Ericson, che ha addirittura minacciato di lasciare la Svezia se questa dovesse accedere al bando di Huawei.

La Cina e l’India sono state da sempre i maggiori produttori del mondo

5.La Cina spiazza l’Occidente

E, infatti, le cose non stanno certo come le descrive il mainstream. La Cina sta producendo molte più trasformazioni di quelle che stia realizzando l’ Europa, e lo fa in modo molto deciso, efficace e al contempo utile per se stessa. Il nocciolo centrale di queste trasformazioni sta nell’inserirsi criticamente nei trends in corso in Occidente, ma addirittura “scavalcando” (“leapfrogging”) i propri concorrenti sul loro stesso terreno. Per questo, essa supera tutte le supposizioni degli Occidentali, e le rende di fatto  irrilevanti nel momento stesso in cui le avvera. Quello che gli Occidentali chiedono, lo sta già facendo, ma i risultati non sono quelli attesi, perché gli Occidentali non hanno mai capito come stanno veramente le cose.

Questa crescita inevitabile,  viene descritta, strumentalmente, come una sorta di imposizione al resto del mondo, ma, a parte il suo carattere “naturale” (data la dimensione della Cina), essa si può rivelare come una benedizione per  il resto del mondo, perché rimette in circolo quei valori e quegli atteggiamenti propri dell’ Epoca Assiale (cfr. Jaspers, Assmann), che furono condivisi per millenni dalle civiltà estremo-orientale, medio-orientali, indica, classica e giudaico-cristiana, e che il postumanesimo vorrebbe (inutilmente) cancellare. Solo l’ alleanza fra quelle tradizioni culturali potrà dare all’ Umanità la forza di non macchinizzarsi, bensì di “ringiovanire”(come dice Xi), per affrontare insieme l’urto delle macchine intelligenti, come fanno gli eroi delle “anime” giapponesi.

6.Come “leggere” il Trattato?

La stupefacente durata delle trattative per il CAI  rivela la tetragona volontà di quanti, in Cina e in Europa, l’hanno voluto in tutti questi anni (in primo luogo, Angela Merkel). Forse più numerosi di quanto non si pensi. Ma fa immaginare anche quanto sia stato difficile aggiornarlo al continuo cambiamento degli scenari. Nel frattempo, la Cina, da Paese in via di rapida industrializzazione, è divenuto un Paese altamente industrializzato, che sta cancellando la povertà e raggiungendo le vette della civiltà tecnologica. Se, all’inizio, l’Europa le applicava parametri tratti dalle prassi dell’aiuto allo sviluppo e degli ACP, oggi, essa è costretta a fare le ben diverse  rivendicazioni, perchè oggi è l’Europa il Paese in via di rapida deindustrializzazione

Ne consegue che le rivendicazioni che l’Europa non poteva non fare sette anni fa, contro il “dumping sociale”, contro la pirateria brevettuale, contro i privilegi delle imprese di Stato, non hanno oggi più senso. Oggi, la competizione con la Cina non è più sul costo del lavoro, bensì sulle economie di sistema, sull’ efficienza, sull’alta tecnologia…Ma,andando ancor più in fondo, non c’è più competizione. Proprio perché l’Europa e la Cina di oggi sono così diverse, c’è fra loro un’impressionante complementarietà:

-se l’ Europa perde popolazione e non sa dove vendere i suoi prodotti, la Cina è il Paese più popoloso del mondo, dove più di un miliardo di persone si stanno aprendo ai prodotti sofisticati  classicamente europei;

-se la Cina ha degl’imbattibili colossi dell’ alta tecnologia (Huawei, ZTE, Alibaba, Tencent, Baidu), l’ Europa non ne ha più praticamente nessuno, sì che ha bisogno di partners, o almeno di diversificare il proprio parco fornitori.

L’AUTONOMIA STRATEGICA DELL’EUROPA CONTRO LA TERZA GUERRA MONDIALE PARTE II: PERCHE MAI L’AMERICA DOVREBBE “GUIDARE IL MONDO”?

Presentazione del nuovo team di politica estera di Joe Biden

Contrariamente a quanto sostiene la retorica mondialista, l’autonomia degli Stati-Civiltà e la comunità internazionale non sono affatto due principi contrapposti, mentre lo sono globalismo e universalismo.

Una qualche forma di comunità internazionale che permetta di affrontare in modo negoziato i grandi problemi del mondo  è resa  più necessaria  che mai dal sorpasso delle macchine sull’uomo, che rende indispensabile un forte potere decisionale umano contro le macchine, per scongiurare lo scenario delineato nelle opere di Asimov, nel quale le “Tre Leggi della Robotica” non riescono ad essere applicate neppure dalla Federazione Mondiale, a causa delle insufficienze delle sue imbelli classi dirigenti:
“Come facciamo a sapere quale sia veramente il bene supremo dell’ umanità, Stephen? Noi non abbiamo a disposizione il numero infinito di dati che hanno a disposizione le Macchine(Asimov, “Conflitto Evitabile”)”

Solo con questo riallineamento alle realtà del 21° secolo il progetto federalista potrà acquistare un senso concreto e divenire realistico. Infatti,la Federazione Mondiale, che fino ad oggi appariva addirittura inquietante perché molto simile ad una tirannide incontrastabile ed eterna (cfr. Rousseau e Kant), appare ora nella sua vera luce, per così dire, “catecontica”, vale a dire quale unica possibile alternativa alla Megamacchina digitale governata da alcuni “guru” della Silicon Valley (Barcellona).

Questo scenario, sempre più ravvicinato a mano a mano che passano gli anni, anziché evolvere nel senso della Pace Perpetua, si confonde in modo impressionante con quello della “guerra senza limiti” lanciata dall’ Occidente contro il resto del mondo sulle orme di Huntington, che include il “Regime Change”, la cyberguerra, la militarizzazione dello spazio, la corsa agli armamenti, ma soprattutto “la guerra  fra le macchine intelligenti”, di cui  scriveva De Landa già 40 anni fa.

Un punto che non era chiaro fino a poco fa, soprattutto agli Europei, era che la collaborazione internazionale non esclude, bensì implica un sano funzionamento del “Principio di Sussidiarietà” anche a livello mondiale: in concreto, l’“autonomia strategica” di ciascuno dei grandi degli Stati-Civiltà, di cui parla il Presidente Macron. Intanto, la diversità di vedute fra le grandi culture deriva, non già da una “défaillance” del sistema ideale di organizzazione del mondo, bensì dall’ intrinseca fallibilità della ragione umana, che fa sì che, su qualunque questione, ma soprattutto su quelle decisive, vi sia necessariamente una divergenza di opinioni. E proprio perché non si riesce a stabilire chi abbia ragione, è salutare una conflittualità fra le varie concezioni del mondo. Coloro che invocano la democrazia (ma meglio sarebbe dire il pluralismo) come metodo euristico di ricerca della verità, non possono poi certo rifiutarsi di applicare lo stesso principio sul piano internazionale, dove oggi non vige certo la democrazia internazionale, e un solo Stato si arroga privilegi inauditi, che mai nessuno nella storia aveva preteso. Certamente, la “società dell’1% non è in possesso della verità assoluta o dei “valori universali”, e deve quanto meno discutere dei massimi problemi con le altre grandi civiltà.

Quest’esigenza di pluralismo era stata espressa nel modo più chiaro dal Corano,  nella forma della “comunità dei Popoli del Libro”. La politica americana del “Regime Change”, esaltata ancora recentemente da Pompeo, come pure la tendenza della UE a impartire lezioni al resto del mondo, mirano invece proprio ad eliminare questa dialettica, rendendo “inevitabili solo le Macchine Intelligenti”, come affermava,  nel racconto di Asimov, la Presidentessa della Regione Europea dello Stato Mondiale.

Tra l’altro, la molla segreta, per il Complesso Informatico-Militare,    per la realizzazione di queste ultime, è che solo esse sono in grado di sopravvivere alla guerra chimica, nucleare e batteriologica, sì che la Terza Guerra Mondiale segnerà, come minimo, la presa del potere da parte delle macchine stesse  (vedi il film “Terminator II”).

Questo totalitarismo digitale lo si vede per altro già in opera nella persecuzione implacabile dei whistleblowers, che osano contrastare il controllo mondiale del sistema informatico-militare, mettendo in tal modo in pericolo il suo sistema d’ intelligence per la IIIa Guerra Mondiale. Tutte cose già viste nei films distopici, come ad esempio “Rollerball”.

Quindi, lungi dall’ essere un’espressione di provincialismo e di egoismo (non parliamo poi di “nazionalismo”), l’autonomia strategica di ciascuno “Stato-civiltà” concretizza la necessità di sostenere il portato della propria cultura quale elemento utile alla soluzione dei problemi mondiali di oggi e di domani. Non è infatti vero che il materialismo volgare di un Mercier e, oggi, di un Pinker, sia l’approccio più efficace per affrontare i problemi della società della complessità, che ha bisogno di un dibattito a tutto tondo fra le più sofisticate scuole di pensiero. Ciascuno aspira legittimamente ad essere il “Trendsetter del Dibattito Globale”, come Ursula von der Leyen vorrebbe fosse l’ Europa. Perché questo sia possibile, occorre però partire non già della visione “angelistica” (per dirla con il Papa) che piaceva tanto agli “Occidentalisti”, perché, sostenendo che la Storia fosse ormai finita,  rendeva l’ Europa imbelle (“senza il rispetto” degli altri), bensì dalla nostra specifica concezione del mondo, che ci porta a guardare con sospetto al mito della Fine della Storia, perché quest’ultima sarebbe la realizzazione in termini materialistici (per Sant’Agostino, in termini manichei, per Mac Luhan, sotto la forma dei Media), della promessa messianica:  precisamente  ciò che San Paolo chiamava “il Mistero dell’ Iniquità”, cioè l’ eterogenesi dei fini.

L’ Europa deve tendere, sì, a un nuovo umanesimo digitale, ma questo, lungi dall’ essere un’apologia del “sublime tecnologico”,  dev’essere realisticamente capace di tenere sotto controllo le Macchine Intelligenti e i GAFAM, non già arrendersi alla loro antropologia,  e negoziare con le altre parti del mondo un trattato internazionale quale quello proposto dal ministro degli esteri Wang Yi,  che stabilisca regole comuni a livello mondiale per il controllo sull’ Intelligenza Artificiale.

Di questo dovrebbe farsi portatrice l’Europa se vuole veramente essere il “trendsetter del dibattito globale”.

Essa, proprio perché, in esito a un processo di maturazione intellettuale, è giunta a non credere più nella mistificazione della Pace Perpetua, ha un interesse vitale a evitare la Terza Guerra Mondiale, a cui invece gli altri Continenti (e, in particolare, gli Stati Uniti) si stanno preparando a ritmo accelerato, perché, da un lato, questa guerra porterebbe alla presa del potere da parte delle macchine, e, dall’ altra, perché, come ribadito senza tregua nel documento del Parlamento Europeo, l’ Europa sarebbe certamente il campo in cui si combatterebbero gli altri Continenti, innanzitutto a causa dell’ inaudito armamentario militare che vi stazionano, confrontato con l’assoluta inefficienza del seppur costosissimo sistema militare europeo, e che comunque non potrebbe certamente non essere oggetto del “first strike” di qualunque potenza che dovesse scontrarsi con gli Stati Uniti.

L’”autonomia strategica” dovrebbe servire proprio a svincolarci a tempo dai rischi mortali che ci fa correre l’attuale assetto della NATO, e ancor più la preparazione, in corso, della III Guerra Mondiale.

La terza guerra mondiale sarebbe combattuta in Europa

1. L’ Europa e la Terza Guerra Mondiale

Questa preoccupazione per una guerra imminente è certamente al centro del documento dell’Ufficio Studi del Parlamento, che, paradossalmente, propone in sostanza di avviare  anche in Europa un programma di preparazione pre-bellica come quella in corso nelle Grandi Potenze, e di cui fanno parte, non soltanto la corsa agli armamenti, la militarizzazione dello spazio, le sanzioni e i dazi, ma anche il controllo degl’investimenti esteri, e la crescente censura e repressione ideologica.

E’ significativo che gli Stati Uniti, in funzione della preparazione della Terza Guerra Mondiale sul suolo europeo, ci chiedano inoltre di sacrificare  proprio i principali business che potrebbero risollevare le nostre sorti economiche, rendendoci autonomi: il North Stream, il G5, la Via della Seta …, e abbiano tentato addirittura d’ imporre al Vaticano di denunziare l’accordo con la Cina. L’equivoco di fondo consiste proprio nell’affermazione ricorrente di Trump, secondo cui l’America starebbe difendendo l’Europa dalla Russia e dalla Cina, sicché gli Europei avrebbero l’obbligo di contraccambiare finanziariamente, ma anche politicamente (ancora la “dialettica servo-padrone” di Aristotele e di Hegel!). Trump ha affermato che Angela Merkel non ha saputo rispondere su questo punto, ma, essendo “una donna furba”, si è limitata a sorridere. In effetti, la risposta l’aveva fornita già, 40 anni  fa, Franz Joseph Strauss: “non vedo perché 200 milioni di Americani debbano difendere 500 milioni di Europei da 300 milioni di Russi”.

Ma anche Biden, appena eletto, si sta affrettando a fare sapere che anche per lui, come Obama, pena che l’America debba “guidare i mondo”.

Il fatto è che questa pretesa messianica è insita nell’identità americana, sicché partiti o presidenti non possono discostarsene. E questo “guidare il mondo” consiste nel trascinare un certo numero di Paesi (spesso europi) in avventure neo-coloniali per mantenere e ampliare il loro “impero nascosto” (Corea, Irak, Afghanistan, Iraq, Libia)…

Tutti i capitoli del documento del Parlamento Europeo citato nella prima puntata del post si riferiscono senza mezzi termini, anche se nella solita “langue de bois”, alla preparazione bellica: “approvvigionamento energetico e sicurezza”; “azioni nell’ estero vicino”; “sanzioni”; “l’industria della difesa e il mercato della difesa”; “”Reattività della EU nei campi della sicurezza e della difesa”. Pur non negando che, di fronte allo scriteriato smantellamento delle capacità belliche degli Europei, s’imponga un rafforzamento, ma soprattutto una razionalizzazione, del sistema europeo di difesa, il vero modo in cui l’Europa potrebbe divenire un trendsetter del dibattito mondiale sarebbe quello di coordinarsi con la politica estera e di difesa del Vaticano, che ha dimostrato la sua incredibile efficacia impedendo addirittura, con la lettera del Papa a Putin, l’entrata in guerra in Siria degli Stati Uniti, e rinnovando, nonostante gli attacchi di Pompeo, l’accordo con la Cina sulla nomina dei vescovi.

Mi vengono in mente quegli esempi di cultura neutralistica che sono, da un lato, i manuali distribuiti ai cittadini  svedesi negli anni ’70,  intitolati “Om kriget komer” (“Se viene la guerra”) e (“Inte samarbejde” “Non collaborate”), e il libro del Gruppo Abele di quello stesso periodo “Per un’ Europa Inconquistabile”. Certo, oggi tutto ciò andrebbe aggiornato con un manuale di resistenza digitale alla guerra chimica, nucleare e batteriologica, oltre, ovviamente, che alla cyberguerra.

Gli Stati Civiltà rivendicano una continuità millenaria

2.L’Europa come Stato-Civiltà

Intanto, per “ricompattare il fronte interno”, si sta rivelando centrale, per tutte le potenze del mondo, il concetto di identità, che gli Stati-Civiltà si giocano soprattutto sulla continuità storica. Ed è qui che alcuni teorici cinesi, come Zhang Weiwei, hanno ragione circa il carattere esemplare della Cina, in quanto essa è, a oggi, l’unico Stato sub-continentale culturalmente, militarmente e tecnologicamente autonomo, che possa vantare una “Translatio Imperii” di 5000 anni, sorretta da una, seppur limitata, compattezza etnica (l’”etnia titolare” Han, a cui non sono comparabili le 56 minoranze etniche). Tutti gli altri aspiranti hanno dei limiti in confronto alla Cina. Degli Stati Uniti è insufficiente la popolazione, molto dubbia l’eredità storica, e debolissima l’egemonia WASP. Dell’ India, sono deboli sia il sistema economico, sia la compattezza etnica. All’ Unione Europea mancano autonomia, popolazione, compattezza etnica e culturale. Alla Russia e alla Turchia mancano la popolazione e l’indipendenza culturale dall’ Europa…

In particolare, secondo Wang Weiwei, “la Cina è quello che sarebbe l’Europa se l’Impero Romano non si fosse mai dissolto”.  E’ chiaro quindi, per contrasto, perchè l’Europa di oggi è un vaso di coccio fra vasi di ferro, e che pertanto, se essa vuole veramente acquisire la propria ”autonomia strategica”, deve rafforzarsi “in tutte le direzioni” (“à tous les azimuts”, come voleva De Gaulle): rapporto con America, Russia, Turchia e Cina, autonomia digitale, rafforzamento dell’ identità culturale…

Non per nulla LIMES parte dalla citazione di Mozi, secondo cui perfino il tradizionalismo di Confucio, che si riferiva alla dinastia Zhou, non risaliva abbastanza indietro. Questo dubbio vale ovviamente ancor più per l’Europa. Si deve partire dalla Dichiarazione Schuman o dal Manifesto di Ventotene?Dalla “pace Perpetua” di Kant o dal “Gran Dessin” di Sully? Dal “De Monarchia” di Dante o da Carlo Magno? Dalle Termopili, dalla cultura “Yamnaya” o da quella danubiana? Comunque sia, oggi in Cina s’è diffuso il culto dell’ Imperatore Giallo, inesistente in passato. Anche se non va così indietro, anche la lotta in corso negli Stati Uniti è una battaglia culturale per luna memoria culturale, dove quelle che si scontrano sarebbero, per Dario Fabbri, quelle nordista e sudista, la cui attualità non è mai passata di moda, perché in realtà ne celerebbe un’altra: quella fra l’élite WASP della Costa Orientale e il Midwest di origine piuttosto germanica.

Di questa “Memory Warfare” a livello mondiale  fa parte  ovviamente anche un rinnovato dibattito sull’ identità europea, di cui si faceva stato  nel post precedente, e che, come nello studio di LIMES, si può e si deve integrare con il dibattito sulle identità russa e turca (ma anche britannica, polacca israeliana,, ecc…), intese quali sotto-identità europee, che avrebbero potuto, e dovuto, essere integrate in un’ Europa più vasta, se solo si fosse avviata prima quella riflessione sull’ autonomia strategica di cui tanto si parla in questi ultimi giorni. Né Russia, né Turchia, né Regno Unito, né Polonia, né Ungheria,  sarebbero oggi in conflitto permanente con l’Unione Europea, ma, anzi,  farebbero parte di un quella  “Casa Comune Europea” di cui parlavano Gorbaciov e Giovanni Paolo II, se non avessimo esasperato deliberatamente  i nostri partners orientali, in modo da poterli poi presentare come una sorta di “nemici ereditari”. A Gorbaciov si negarono quegli aiuti finanziari che invece non erano mancati alla URSS assolutamente totalitaria del passato; a Jelcin si negò perfino la dignità; a Putin si negò la possibilità di collaborare in modo determinante, com’egli si offriva di fare, alla costruzione dell’Unione Europea. Questo fu fatto al Paese più grande d’ Europa, da cui sono arrivati gli Indoeuropei, i Turchi, gli Ungheresi, che ha creato San Pietroburgo, l’Ermitage, il Bol’shoi, che ha prodotto Pushkin, Cechov,Ciaikovskij, Dostojevskij, Tol’stoj, Stravinskij, Sol’zhenitsin, e che costituisce il grande polmone verde grazie a cui l’ Europa respira…:l’”arroganza romano-germanica” denunziata un secolo fa dal Principe Trubeckoj nel suo fondamentale “Europa e umanità ”. Le trattative per l’adesione della Turchia sono durate oramai 43 anni.

Mentre non si richiedeva alcuno sforzo particolare alla Turchia dei colonnelli, e si era chiuso un occhio sul colpo di Stato di Gülen, invece, dalla Turchia democratica di Erdogan si richiedono continue prove di democrazia. Questo, da uno Stato che racchiude le più antiche vestigia della civiltà europea, da Göbekli Tepe a Çatal Hüyük,  da Hattuşas a Troia, da Smirne a Efeso, da Alicarnasso al Monumentum Ancyranum, da San Paolo alle Sette Chiese dell’ Asia Minore, da Costantinopoli al Fanari…, ch’ è stato presente in mezza Europa per alcuni secoli, e, infine, che possiede il maggiore esercito europeo dopo gli Stati Uniti. E’ quindi chiaro che la riflessione sull’autonomia strategica dell’Europa non possa prescindere  anche da una rivisitazione del rapporto con la Russia, la Turchia, l’Inghilterra, la Polonia, l’Ungheria e Israele,  indispensabile per fare dell’ Europa una grande potenza, veramente autonoma. Come risposto a suo tempo da Walesa e Jelcin, che, cioè, né la Polonia, né la Russia, avevano bisogno di “entrare in Europa”, perché c’erano già da millenni, così anche Erdogan potrebbe (e, a mio avviso, dovrebbe) ricordare, agli Europei Occidentali, Goebekli Tepe, Catal Huyuk, Hattusas, Troia, Mileto, Efeso, Pergamo, Tarso, Bisanzio, Nicea… Già Erodoto ricordava che la Principessa Europa non era mai venuta nel Continente Europeo, visto che Zeus l’aveva portata a Creta, e poi era andata in Caria. Lo stesso Erodoto affermava, in quelle stesse pagine, che Greci ed Asiatici dovevano finirla di rapirsi reciprocamente le principesse…

Paradossalmente, simili negligenze sono state commesse anche circa la pluralità delle nazioni britanniche, circa il ruolo dell’aristocrazia inglese e ungherese, quello della Chiesa polacca, la Repubblica polacco-lituana, l’ Halakhà, il “superomismo ebraico”…

Tutte cose che avevamo scritto già fin dal 1° volume di “10000 anni”, “Patrios Politeia”.

Ma, ancor oltre, occorrerà una ricerca sull’ identità che vada al di là dei balbettamenti della bozza di Costituzione mai ratificata. Così come la Cina va addirittura oltre i “San Jiao” (Taoismo, Confucianesimo e Buddismo), per riallacciarsi anche alle religioni popolari e locali,  e all’Imperatore Giallo, così l’Europa deve andare oltre la semplice giustapposizione di alcune glorie passate (ebraismo, cristianesimo, rinascimento, illuminismo), come nella bozza di costituzione di Giscard, per vedere ciò che sta loro dietro, valea dire  la “Dialettica dell’ Illuminismo” che incomincia fin dall’ incontro dei popoli europei con l’ Oriente.

Alle scarse icone “europee” che sono state proposte dal “mainstream” (Pericle, Costantino, Carlo Magno, Dante, Kant, Spinelli, Giovanni Paolo II), occorre aggiungerne tante altre, come Gilgamesh, Abramo, Mosè, Ulisse, Ippocrate, Erodoto, Leonida, Socrate,  Cesare, Augusto, San Paolo, Tertulliano, Sant’Agostino, Podiebrad, Montesquieu, Napoleone, Nietzsche, Coudenhove-Kalergi, Galimberti, De Gaulle…).

La Russia è Europa

2. Il Nuovo Meccanismo Democratico Europeo quale strumento di auto-affermazione identitaria.

Infine, per poter essere veramente autonomi, occorrerà anche darci (come chiarito in un precedente post), una governance veramente europea, che non ricalchi la costituzione (formale e materiale) americana (ma neppure quella cinese, saudiana o iraniana), bensì l’Antica Costituzione Europea, con il Papato e l’Impero, i Regni e le Corone, i Paesi e le Città, di cui parlavano de las Casas e Machiavelli,  Montesquieu e Tocqueville. Mi chiedo se Iberia e Gallia, Britannia e Roma, Germania e Sclavinia, Costantinopoli e Russia, non debbano costituire un livello intermedio fra Europa e Stati Nazionali, con le competenze degli attuali Stati Membri, mentre all’ Europa dovrebbe essere affidato (come un tempo all’ Imperatore), solo il compito di ricercare, approfondire, gestire e difendere, l’Autonomia Strategica dell’Europa nei confronti del resto del mondo (il Praetor Peregrinus contrapposto al Praetor Urbanus). In tal modo si soddisferebbero tanto le esigenze “federalistiche” dell’“Europe Puissance”, quanto quelle “sovranistiche” del mantenimento del ruolo degli Stati nazionali per le questioni “più vicine ai cittadini”.I grandi Stati “regionali” potrebbero essere competenti in materia di programmazione economica e, politiche culturali, legislazione-quadro e, grandi imprese e politiche sociali. Certo che il livello “vicino agli interessi dei cittadini” tanto reclamato da tutti, non può essere, nell’attuale mondo altamente complesso, se non uno dei livelli inferiori, e necessariamente non dei più importanti. Ecco come risolvere il problema del “sovranismo”.

Finirebbero dunque le confusioni oggi imperanti fra campanilismo, nazionalismo e imperialismo, che ci portano a confondere questioni locali come l’endemico conflitto fra Fiamminghi e Valloni, quelle nazionali come l’indipendenza catalana, la Crimea e le acque dell’ Egeo, e quelle mondiali, come i “rischi esistenziali” per l’intera Umanità, senza poterne risolvere nessuna.

Quanto alle stesse modalità di contrapposizione politica, di scelta per le cariche, alle qualità richieste, al tipo di personale, al “cursus honorum”, questi dovrebbero essere differenziati per i diversi livelli, con variazioni per età, per cultura, per il sequenziamento delle cariche, in modo da garantire motivazione, correttezza, competenza, abilità, di ciascuno in base a ciò ch’è chiamato a fare.

Tutto questo comporterebbe comunque di rovesciare integralmente la decisione, assunta dal Consiglio dei Ministri di Blois, di limitare la continuità storica dell’ Europa alla Seconda Guerra Mondiale e al Dopoguerra, e di riaprirla invece, come si fa in Cina e in Russia, alla storia antica e alla preistoria, che, da noi, cominciano con il Medio Oriente e la sintesi fra Cacciatori-Raccoglitori, Civiltà Megalitiche, Civiltà Danubiana e Kurgan. Solo così si eviterebbero gli odi intestini attuali fra  familisti e post-umanisti, Est e Ovest, nostalgici dei totalitarismi e progressisti messianici, fra irredentisti e imperialisti, fra religiosi e laicisti, fra nordici e mediterranei…Infatti, si comprenderebbe finalmente in che cosa abbia consistito fin dal principio l’ “Unità nella diversità”.

In ogni caso, è assurdo che, mentre la Cina rivendica 5000 anni di storia, Israele i Patriarchi, l’America e la Russia vorrebbero essere gli eredi dell’ Impero Romano, la Turchia di quello bizantino e gl’Islamici del Califfato, l’Europa si autolimiti agli ultimi 70 anni, così riducendo, come minimo,  enormemente il proprio “appeal”.

In un’epoca come la nostra in cui tutti (WASPS e Afro-Americani, Indios e “laici alla francese”, Catalani e Ossis, Polacchi e Turchi, Russi e Curdi, Hindu e Han) rivendicano orgogliosamente la loro identità,  solo avendo alle spalle una cultura radicata nei millenni e su un’area vasta gli Europei potrebbero dare la loro adesione complessiva a una costruzione necessariamente complessa come un’Europa “plurale”, di cui oggi nessuno ha la neppure la forza intellettuale di abbracciare i contorni. Per questo mi ripropongo di terminare al più presto anche il secondo e il terzo volume di “10.000 anni”, un libro oggi più che mai necessario per l’educazione del popolo europeo.

Ma su tutto ciò torneremo in un prossimo post e nella stessa proiezione del nostro programma culturale.

3.L’atteggiamento del Papa come modello  di  autonomia strategica europea.

L’importanza di una visione storica “de longue durée”, per dirla con Braudel (quale dovrebbe avere l’ Europa), è dimostrata innanzitutto dall’esempio della Chiesa, la cui forza deriva in gran parte dal non aver essa di fatto mai rinnegato le infinite correnti che ne hanno alimentato da millenni, e ancora alimentano, la cultura: dagli archetipi dei popoli pre-alfabetici, al mono-politeismo primitivo, alle tradizioni medio-orientali, presenti ovunque nel Vecchio Testamento, a quelle classiche che alimentano i Vangeli, alla filosofia antica che traspare dalle Lettere degli Apostoli e dalla patristica, fino a quelle persiane ed ebraiche dell’ Apocalittica, e alle indubbie influenze islamiche sulla filosofia cristiana del Medioevo, per continuare con l’esoterismo orientale nella cultura pre-moderna, le influenze cinesi nella dottrina dello Stato, nella teologia e nella tecnica dell’ Età moderna, e continuando ancora con il romanticismo slavo, la filosofia moderna e il pensiero teologico sudamericano, che hanno trovato espressione negli ultimi pontefici. Il principio “extra Ecclesia nulla salus” non implica affatto una negazione di questa  “poliedricità” come la chiama il Papa, perché è la Chiesa stessa ad essere stata poliedrica da sempre, e la funzione decisiva della Chiesa permette proprio al Cristiamesimo di sopravvivere nonostante la sua poliedricità.  Grazie ad essa, la Chiesa può continuare a dialogare con tutti, essendo essa di fatto il “trendsetter del dibattito globale”. del Anzi, essa è l’unica organizzazione religiosa organizzata antichissima e universale (Katholiké), e grazie a questo può interloquire con gli sciamani e i sacerdoti shintoisti, con i guru induisti e i monaci buddhisti, con i rabbini e gli ulema.

Per questo, l’idea delle “radici cristiane” è stata, come scrivevo in “Patrios Politeia”, un autogoal, perché le radici del Cristianesimo sono ovunque (non solo in Europa), quella cattolica è l’unica Chiesa veramente presente, oggi, ed ovunque, dal Midwest trumpiano alla costituzione indigenista colombiana, da San Pietro a Zagorsk, dalla Siria al Zhejiang…  

In definitiva, la Chiesa continua con il rinnovo dell’accordo con la Cina, che Trump voleva stoppare, tracciando così un percorso che difficilmente l’Unione potrà non seguire (“il Trendsetter del dibattito globale”, appunto).

Unico neo: l’assenza di una teologia specificatamente europea, come quella nord-americana di Hecker, quella latinoamericana di Puebla e Aparecida, quella asiatica di Panikkar. Giovanni Paolo II e l’allora cardinale Ratzinger avevano diffuso l’esortazione post-sinodale “Ecclesia in Europa”, ma nessuno l’ha raccolta. Oggi, il Papa torinese-porteño finisce per portare con sé una cultura sudamericana che non può supplire a una inesistente “theologia europaea”.

L’autonomia strategica presuppone il controllo dell’ intero ecosistema digitale

4Autonomia strategica e autonomia digitale

Come giustamente scrive Aresu su Limes, ”A un certo punto, la nozione di ‘sovranità tecnologica’ è entrata nei discorsi dei leader europei, Lo European Political Strategy Centre (Epsc), think tank interno alla Commissione europea fondato da Jean-Claude Juncker col mandato di occuparsi di ‘governance anticipatoria’, probabile disciplina alchemica, definisce la sovranità tecnologica come ‘la capacità europea di agire in modo indipendente nel mondo digitale’, Tale sovranità andrebbe basata su meccanismi difensivi per salvare l’innovazione e strumenti offensivi per promuovere l’economia europea.“

Tuttavia, dopo il discorso di Breton su questo tema, il dibattito dei think thanks si è allargato, verso la più generale “autonomiastrategicavoluta da Macron, scatenando l’ira degli Americani.Tyson Baker, direttore dell’ Aspen Institute tedesco, ha accusato l’Unione Europea “di aver avviato una guerra tecnologica nonché di alimentare una visione russo-cinese della tecnologia”. Peccato che gli Stati Uniti avrebbero dovuto prevedere questo “effetto collaterale” quando hanno scatenato l’isterismo contro gl’investimenti cinesi. Se autonomia ha da esserci, questa dev’essere verso tutti: Huawei, ma anche Microsoft, ZTE, ma anche Google, Ant, ma anche Facebook… Forse, però, neppure i propugnatori dell’“autonomia tecnologica” hanno capito ch’essa presuppone di  avere una propria cultura digitale, una propria intelligence, proprie piattaforme, reti e clouds, indipendenti -certo, anche dalla Cina, ma prima di tutto, dagli Stati Uniti, che oggi controlla totalmente il mondo digitale, i nostri dati e le nostre telecomunicazioni-. L’avvio di Gaia-X è un buon inizio, ma non ci garantisce certo una rapida tempistica di recupero. Anzi, secondo Euractiv, il progetto sarebbe un diabolico “window dressing” per permettere ai GAFAM  di prosperare come non mai alle spalle dei contribuenti europei, schiacciando per sempre le nostre imprese.

Venendo infine alla famigerata questione del G5, occorre ricordare che la Cina sta già creando il suo G6, e che una soluzione di “autonomia strategica” consisterebbe già solo nel creare, più modestamente, un campione europeo Nokia-Erikson, il quale, accettando l’offerta di Huawei, si comprasse in blocco (con il Recovery Fund) la tecnologia G5, così divenendo autonoma, tanto dalla Cina, quanto dagli Stati Uniti. Stupisce che non si parli mai di una soluzione così semplice e così a portata di mano, mentre invece si continua ad ipotizzare un controllo americano su Nokia ed Erikson..

Osserviamo infatti i dati del mercato mondiale delle reti:

Market share estimates for 5G base stations
Supplier2019 market share2020 market share
Ericsson30%26.5%
Huawei27.5%28.5%
Nokia24.5%22%
Samsung6.5%8.5%
ZTE6.5%5%
Other5%9.5%
   

Qualora Ericsson e Nokia si fondessero sotto il controllo della BEI e della Commissione, ed acquisissero dalla Huawei la tecnologia 5 G (con la Huawei che si concentrerebbe sulla 6G), gli Europei dominerebbero i mercati maturi, mentre i Cinesi manterrebbero la leadership su quelli futuri, ma con la speranza, per gli Europei, di poterli raggiungere in un domani, e di godere, intanto, dell’ assoluta sicurezza dei dati, nei confronti tanto della Cina, quanto dell’ America (che non si raggiungerebbe invece  certo con la “golden share”, né con anacronistiche  esclusioni dagli appalti in Europa).

Su una cosa la posizione americana è corretta: la questione del G5 è anche una questione strategica, come lo sono oramai tutte le questioni digitali, perché, come messo in evidenza da trent’anni da Manuel de Landa, oggi guerra e informatica sono la stessa cosa, in quanto, quando un missile nucleare impiega 25 minuti a raggiungere l’obiettivo, la difesa globale non può essere affidata se non al sistema informatico. Ma quest’argomentazione prova troppo. Se sono strategici, perché funzionali al comando missilistico nucleare, i sistemi di trasmissione dei segnali, a maggior ragione lo sono le piattaforme che raccolgono i dati, i cavi che li trasmettono e i server che li immagazzinano, vale a dire l’intera informatica. Ma purtroppo, oggi, nulla, dalla medicina ai media, dalla cultura alla politica, dall’economia alla famiglia, si muove senza informatica, Ergo, se tutto ciò che attiene all’informatica interessa direttamente il Pentagono, allora tutta la nostra vita dev’essere non solo controllata da NSA, ma anche influenzata da Cambridge Analytica, in modo che noi ci muoviamo, o come disciplinati soldatini dell’ Impero Occidentale, o come bersagli di quello orientale.

Soluzione che è evidentemente, come hanno dimostrato i casi Echelon, Prism, Wikileaks, Tax Web  e Schrems,ma anche i recenti scandali dell’ intercettazione da parte dell’ intelligence tedesca e danese a favore degli Americani, in radicale contrasto (ancora più delle armi autonome o del riconoscimento facciale), con tutti i principi giuridici di cui si vanta l’Unione, incarnati nella Dichiarazione  Europea di Diritti, nelle Costituzioni nazionali, nella legislazione antitrust e nel DGPR. Questo tanto più in un momento, come questo, in cui perfino l’Amministrazione americana fa finta (anche se in modo più credibile della UE) di frenare lo strapotere di Google (con l’azione appena proposta dal Dipartimento di Giustizia presso il Tribunale Distrettuale di Washington, mentre invece la Commissione Europea si è vista rigettare la tanto attesa azione contro Apple).

L’esser venuta alla luce l’assoluta disapplicazione di questi principi costituisce  tuttavia oramai almeno l’ apertura di una possibilità di soluzione del problema.

CRISTIANESIMO-CINA: un rapporto che prosegue da più di 1000 anni

Riportiamo qui di seguito il comunicato pubblicato  dell’ Osservatore Romano che annuncia il rinnovo dell’ accordo del 2018 sulla nomina dei vescovi, venuto a scadenza ed osteggiato violentemente dal Governo americano.

Premetteriamo una nota di carattere storico, in modo da permettere ai “nostri quattro lettori” di meglio comprendere il significato di lungo termine dell’ evento, che trascende le polemiche sollevate, per esempio, dal Segretario di Stato americano, Pompeo.

Infatti, il Cristianesimo si auto-concepisce come “universale”. e “cattolico” significa precisamente questo, tant’è vero che l’espressione “cattolico” è anteriore allo scisma d’Occidente. Di fatto, la Chiesa cattolica è l’unica organizzazione religiosa mondiale presente da più di 2000 anni, e il Cristianesimo in generale è nato in Asia, si è sviluppato lungo le Vie della Seta ed è presente fin dal suo inizio nel Mediterraneo, Caucaso, Persia, India, e, da più di un millennio, in Asia Centrale e Cina (in pratica, tutta l’ Eurasia),

Di converso, lo “Stato-civiltà” cinese esiste da 5000 anni (pensiamo all’ Imperatore Giallo), e ha occupato una parte importante dell’ Asia, irradiandovi la sua civiltà. Sarebbe stato così impossibile che quei due soggetti storici non si incontrassero, e, particolare, che non partecipassero, ciascuno a modo proprio, alla Belt and Road Initiative, che costituiscono l’attualizzazione delle antiche Vioe della Seta lungo le quaali il Cristianesimo si è diffuso.

Ovviamente, in tutti questi anni,  i rapporti fra Cristianesimo e Cina, fra diverse confessioni cristiane e non, fra l’ Europa e la Cina, ecc.., hanno subito incessanti trasformazioni, con alti e bassi, ma l’importante è che essi continuino, nell’ ottica di contribuire a una migliore comprensione, non soltanto fra diverse civiltà e comunità, ma anche in generale degli uomini nei confronti di se stessi, della propria ragion d’essere e dei propri problemi

La stele nestoriana, di epoca Tang

1.Il Cristianesimo sulle Vie della Seta

La storia del Cristianesimo si svolge, fino al Medioevo, esclusivamente lungo le Vie della Seta. Già nel vecchio Testamento, Abramo proveniva da Ur dei Caldei e si trasferiva ad Harran (quindi, percorreva l’antica Via Regia degli Assiri), mentre gli altri Patriarchi si recavano in Egitto, per poi tornare, con Mosè, in Galilea, e unirsi, con la Regina di Saba, ai Sabei e agli Etiopi (dome narra il Debra Nagast).  Dopo di che, la Vita di Gesù, preannunziata dalla venuta dall’ Oriente dei Magi, e preceduta dalla Fuga in Egitto,  si svolge in Palestina. Paolo di Tarso è anatolico; egli e San Pietro vengono martirizzati a Roma, Sant’Andrea in Russia e San Tommaso a Chennai, lungo la Via delle Spezie.

I primi regni cristiani furono quelli della Cappadocia, del Caucaso, dell’ Egitto e dell’ Etipia, dove si tradusse la Bibbia in aramaico, in copto e gheez. L’apocalisse fu scritta a Patmos, di fronte le coste anatoliche, ibncorporandio le tradizioni apocalittiche persiane ed ebraiche,  e destinata alle Sette Chiese dell’ Asia Minore, ove si svolsero i primi concili. La Chiesa Orientale trae origine da Costantinopoli. Il più grande concilio nestoriano fu quello di Ctesifonte, con cui l’imperatore persiano assegnò ai Nestoriani le diocesi dell’ Asia.

L’Islam nasce nell’ Higiaz con influenze cristiane orientali. Partendo dalla Sogdiana, i Nestoriani fecero proselitismo fra i regnanti cinesi, turcofoni e mongoli, fino ad essere riconosciuti come una religione dell’ impero Tang, stabilendo la propria sede patriarcale a Xian, traducendo la Bibbia e producendo i Sutra di Gesù.

Quando i Tang smisero di riconoscere le “religioni straniere”, i nestoriani si trasferirono in Mongolia.

Il trasbordo in Occidente dell’ideologia imperiale cinese: Laozi, i Gesuiti e gl’Illuministi

2.Le missioni cattoliche

Nel 1245, in seguito alle conquiste in Europa del Khan Ögödei, Papa Innocenzo IV aveva inviato, a partire dal 1245, presso il suo successore, per proporre un accordo, diversi religiosi, tra cui   il francescano Giovanni da Pian del Carpine, ch’erano, però,   tornati  in Italia nel 1247 senza risultati politici, ma  lasciandoci invece il suo libro “Historia Mongalorum”, una delle prime opere medievali su quell’impero. Grazie a un’altra di queste opere, il “Milione”, le missioni in Cina della famiglia Matteo, Niccolò e Marco Polo sono divenute   le più famose, e la Cina aveva acquisito il fascino che la caratterizza ancor oggi, legato alla dimensione unica della sua civiltà.  Il Gran Khan aveva richiesto al Pontefice, attraverso i Polo, l’invio di un’ importante missione, richiesta  però sostanzialmente non soddisfatta dalla seconda missione, quella di Marco.

Nel 1288, mentre Marco Polo era ancora attivo in Cina,  papa Nicola IV  aveva affidato  a Giovanni da Montecorvino il compito di fondare missioni nell’Estremo Oriente, fra cui quella in Cina. Nel 1299 fra’ Giovanni aveva dunque costruito la prima chiesa di Khān Bālīq (Pechino),  traducendo poi  anche il Nuovo Testamento ed il Libro dei Salmi. Clemente V  aveva inviato poi altri sette frati francescani (molto meno di quanto desiderato dal Gran Khan) con compito di aiutarlo e di consacrarlo arcivescovo di  Pechino e “sommo vescovo” di tutta la Cina.

Buddha-Gesù

3.Il ruolo dei Gesuiti

Era stata poi la volta dei gesuiti Michele Ruggieri e Matteo Ricci, arrivati in Cina nel 1582. Ricci, che   si era stabilito a Pechino nel 1601,
scrisse numerose opere in Cinese per promuovere e presentare la religione cristiana, ma anche l’Europa in generale e la sua cultura tecnica e umanistica, pubblicando tra l’altro  il primo mappamondo di tipo occidentale scritto in Cinese. Fu anche l’iniziatore del primo progetto di dizionario cinese-latino, il cosiddetto «dizionario Ricci», che costituì la base concettuale dei “Riti Cinesi”.

Per più di cent’anni, la missione gesuitica svolse una fondamentale funzione di collegamento fra le culture cinese e occidentale, diffondendo in Cina la cultura matematica, astronomica ed artistica  europea (in particolare, Giovanni Castiglione fu pittore e architetto di corte), e,  in Europa, quella linguistica, filosofica e artistica cinese. Grazie a loro si diffuse in Europa lo stile cinesizzante, e i “philosophes” illuministi -in particolare Leibniz, Voltaire e Fresnais-, diffusero il mito della Cina, presentata, nelle loro opere, come un modello per le monarchie illuminate, in particolare per quelle di Luigi XIV e Federico II di Prussia. La “Controversia dei Riti”, con cui parti della Chiesa contestavano ai Gesuiti, tra l’altro, la traduzione della Bibbia e il culto degli antenati, si estese ben oltre il mondo ecclesiale, coinvolgendo tutta la cultura europea fra il ‘600 e il ‘700, su tutti i grandi temi -della filosofia, della teologia, della storia, della politica e della linguistica-, avendo per conseguenza la chiusura della missione dei Gesuiti in Cina e contribuendo addirittura allo scioglimento dell’ Ordine.

Le attuali Vie della Seta

4.Altre missioni

La chiusura della missione gesuitica non escluse nell’Ottocento e Novecento la presenza di altre missioni, cattoliche e protestanti, che influenzarono, nel bene come nel male, i rapporti fra la Cina e il Cristianesimo. Basti pensare alla forte influenza protestante sui Taping e sul Kuomingtang-, come pure al ritiro della condanna dei Riti Cinesi per le pressioni, su quello italiano, dell’ allora Governo collaborazionista.

Dopo il 1949, il Cattolicesimo,come tutte le religioni, poté operale solo sotto il controllo dell’Amministrazione degli Affari religiosi  e all’ interno dell’ Associazione del Cattolici Patriottici, che mira alla “sinicizzazione” della Chiesa Cattolica (sulla falsariga di quanto era avvenuto con la Chiesa nestoriana e quanto avviene con le Chiese protestanti). Sinicizzazione che prende di mira, più  che gli aspetti propriamente religiosi, quelli lato sensu culturali, come lo stile esotico dei luoghi di culto (chiese o moschee), l’ uso dell’ Arabo e di abiti islamici, e  questioni di prestigio (dimensione di templi, minareti o croci …).

L’attuale accordo costituisce finalmente una ripresa  delle antiche relazioni, grazie anche al fatto che Francesco è il primo papa gesuita. Per i motivi che precedono, sarebbe sviante ricondurre le discussioni  attualmente  in corso in Occidente sul nuovo accordo, a circoscritte questioni di carattere contingente, dovendo vedersi in esse invece il portato di una problematica di lungo periodo, che incide sull’idea stessa che i vari popoli hanno delle civiltà e della loro coesistenza.

Le Vie della Seta antiche

Da “l’Osservatore Romano” del 16/20/2020

Rinnovato per due anni l’Accordo Provvisorio tra Santa Sede e Cina

L’annuncio in un comunicato diffuso dalla Sala Stampa: “L’avvio è stato positivo, grazie alla buona comunicazione e collaborazione tra le parti”. Pubblichiamo un articolo che esce su L’Osservatore Romano di oggi per spiegare le ragioni della decisione

L’Accordo Provvisorio tra la Santa Sede e la Repubblica Popolare Cinese, riguardante la nomina dei Vescovi, è stato firmato a Pechino il 22 settembre 2018. Entrato in vigore un mese dopo, con la durata di due anni ad experimentum, l’Accordo, dunque, scade oggi. In prossimità di tale data, le due Parti, hanno valutato vari aspetti della sua applicazione, e hanno concordato, tramite lo scambio ufficiale di Note Verbali, di prolungarne la validità per altri due anni, fino al 22 ottobre 2022. Il rinnovo, quindi, dell’Accordo Provvisorio sembra essere un’occasione propizia per approfondirne lo scopo e i motivi.

Lo scopo principale dell’Accordo Provvisorio sulla nomina dei Vescovi in Cina è quello di sostenere e promuovere l’annuncio del Vangelo in quelle terre, ricostituendo la piena e visibile unità della Chiesa. I motivi principali, infatti, che hanno guidato la Santa Sede in questo processo, in dialogo con le Autorità del Paese, sono fondamentalmente di natura ecclesiologica e pastorale. La questione della nomina dei Vescovi riveste vitale importanza per la vita della Chiesa, sia a livello locale che a livello universale. Al riguardo, il Concilio Vaticano II, nella Costituzione Dogmatica sulla Chiesa, afferma che “Gesù Cristo, pastore eterno, ha edificato la santa Chiesa e ha mandato gli apostoli, come egli stesso era stato mandato dal Padre (cfr. Gv 20,21), e ha voluto che i loro successori, cioè i vescovi, fossero nella sua Chiesa pastori fino alla fine dei secoli. Affinché poi lo stesso episcopato fosse uno e indiviso, prepose agli altri apostoli il beato Pietro e in lui stabilì il principio e il fondamento perpetuo e visibile dell’unità di fede e di comunione”. (Lumen Gentium, 18).

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03/10/2020

Parolin: quello con la Cina è un accordo cercato da tutti gli ultimi Papi

Questo insegnamento fondamentale, che riguarda il ruolo peculiare del Sommo Pontefice all’interno del Collegio Episcopale e nella stessa nomina dei Vescovi, ha ispirato le trattative ed è stato di riferimento nella stesura del testo dell’Accordo. Ciò assicurerà, poco a poco, cammino facendo, sia l’unità di fede e di comunione tra i Vescovi sia il pieno servizio a favore della comunità cattolica in Cina. Già oggi, per la prima volta dopo tanti decenni, tutti i Vescovi in Cina sono in comunione con il Vescovo di Roma e, grazie all’implementazione dell’Accordo, non ci saranno più ordinazioni illegittime.

Bisogna tuttavia rilevare che con l’Accordo non sono state affrontate tutte le questioni aperte o le situazioni che suscitano ancora preoccupazione per la Chiesa, ma esclusivamente l’argomento delle nomine episcopali, decisivo e imprescindibile per garantire la vita ordinaria della Chiesa, in Cina come in tutte le parti del mondo. Recentemente, l’Em.mo Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato, intervenendo su “La Chiesa cattolica in Cina tra passato e presente” al Convegno svoltosi a Milano il 3 c.m., in occasione del 150° anniversario dell’arrivo dei missionari del Pime in Henan, ha fatto presente che sull’Accordo Provvisorio sono sorti alcuni malintesi. Molti di questi sono nati dall’attribuzione all’Accordo di obiettivi che esso non ha, o dalla riconduzione all’Accordo di eventi riguardanti la vita della Chiesa cattolica in Cina che sono ad esso estranei, oppure a collegamenti con questioni politiche che nulla hanno a che vedere con l’Accordo stesso. Ricordando che l’Accordo concerne esclusivamente la nomina dei Vescovi, il Cardinale Parolin si è detto consapevole dell’esistenza di diversi problemi riguardanti la vita della Chiesa cattolica in Cina, ma anche dell’impossibilità di affrontarli tutti insieme.

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29/09/2020

Santa Sede e Cina, le ragioni di un Accordo sulla nomina dei vescovi

La stipulazione dell’Accordo, dunque, costituisce il punto di arrivo di un lungo cammino intrapreso dalla Santa Sede e dalla Repubblica Popolare Cinese, ma è anche e soprattutto il punto di partenza per più ampie e lungimiranti intese. L’Accordo Provvisorio, il cui testo, data la sua natura sperimentale, è stato consensualmente mantenuto riservato, è frutto di un dialogo aperto e costruttivo. Tale atteggiamento dialogante, nutrito di rispetto e amicizia, è fortemente voluto e promosso dal Santo Padre. Papa Francesco è ben cosciente delle ferite recate alla comunione della Chiesa nel passato, e dopo anni di lunghi negoziati, iniziati e portati avanti dai suoi Predecessori e in una indubbia continuità di pensiero con loro, ha ristabilito la piena comunione con i Vescovi cinesi ordinati senza mandato pontificio e ha autorizzato la firma dell’Accordo sulla nomina dei Vescovi, la cui bozza peraltro era stata già approvata da Papa Benedetto XVI.

Il Cardinale Parolin ha sottolineato che l’attuale dialogo tra Santa Sede e Cina ha radici antiche ed è la continuazione di un cammino iniziato molto tempo fa. Gli ultimi Pontefici, infatti, hanno cercato ciò che Papa Benedetto XVI ha indicato come il superamento di una “pesante situazione di malintesi e di incomprensione”, che “non giova né alle Autorità cinesi né alla Chiesa cattolica in Cina”. Citando il suo predecessore Giovanni Paolo II, scriveva nel 2007: “Non è un mistero per nessuno che la Santa Sede, a nome dell’intera Chiesa cattolica e – credo – a vantaggio di tutta l’umanità, auspica l’apertura di uno spazio di dialogo con le Autorità della Repubblica Popolare Cinese, in cui, superate le incomprensioni del passato, si possa lavorare insieme per il bene del Popolo cinese e per la pace nel mondo” (Lettera del Santo Padre Benedetto XVI ai Vescovi, ai Presbiteri, alle Persone Consacrate e ai Fedeli laici della Chiesa Cattolica nella Repubblica Popolare Cinese, N. 4).

Da parte di alcuni settori della politica internazionale si è cercato di analizzare l’operato della Santa Sede prevalentemente secondo un’ermeneutica geopolitica. Nel caso della stipula dell’Accordo Provvisorio, invece, per la Santa Sede si tratta di una questione profondamente ecclesiologica, in conformità a due principi così esplicitati: “Ubi Petrus, ibi Ecclesia” (Sant’Ambrogio) e “Ubi episcopus, ibi Ecclesia” (Sant’Ignazio di Antiochia). Inoltre, c’è la piena consapevolezza che il dialogo tra la Santa Sede e la Repubblica Popolare Cinese favorisce una più proficua ricerca del bene comune a vantaggio dell’intera comunità internazionale.

Proprio con questi intendimenti, l’Arcivescovo Paul R. Gallagher, Segretario per i Rapporti con gli Stati, ha incontrato il Sig. Wang Yi, Consigliere di Stato e Ministro degli Affari Esteri della Repubblica Popolare Cinese, nel pomeriggio del 14 febbraio 2020, a Monaco di Baviera, a margine della 56^ edizione della Conferenza sulla Sicurezza, anche se di fatto, il loro primo incontro personale, benché non ufficiale, era avvenuto in occasione di una Assemblea Generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite a New York.  Occorre notare che ambedue gli incontri hanno avuto luogo nel contesto della diplomazia multilaterale che agisce in favore della pace e della sicurezza globale, cercando di cogliere ogni segnale, anche minimo, che permetta di sostenere la cultura dell’incontro e del dialogo.

Come reso pubblico dalla Santa Sede, nel corso del colloquio svoltosi in Germania sono stati evocati i contatti fra le due Parti, sviluppatisi positivamente nel tempo. In tale occasione, poi, si è rinnovata la volontà di proseguire il dialogo istituzionale a livello bilaterale per favorire la vita della Chiesa cattolica e il bene del Popolo cinese. Si è auspicata, inoltre, maggiore cooperazione internazionale al fine di promuovere la convivenza civile e la pace nel mondo e si sono scambiate considerazioni sul dialogo interculturale e i diritti umani. In particolare, è stata evidenziata l’importanza dell’Accordo Provvisorio sulla nomina dei Vescovi, ora prorogato, con l’auspicio che i suoi frutti siano sempre maggiori, in base all’esperienza maturata nei primi due anni della sua applicazione.

Per quanto riguarda i risultati finora raggiunti, sulla base del quadro normativo stabilito dall’Accordo, sono stati nominati due Vescovi (S.E. Mons. Antonio Yao Shun, di Jining, Regione autonoma della Mongolia Interna, e S.E. Mons. Stefano Xu Hongwei, a Hanzhong, Provincia di Shaanxi), mentre diversi altri processi per le nuove nomine episcopali sono in corso, alcuni in fase iniziale altri in fase avanzata. Anche se, statisticamente, questo può non sembrare un grande risultato, esso rappresenta, tuttavia, un buon inizio, nella speranza di poter raggiungere progressivamente altre mete positive. Non è possibile trascurare il fatto che negli ultimi mesi il mondo intero è stato quasi paralizzato dall’emergenza sanitaria, che ha influenzato la vita e l’attività, in quasi tutti i settori della vita pubblica e privata. Il medesimo fenomeno ha influito, ovviamente, anche sui contatti regolari tra la Santa Sede e il Governo cinese e sulla stessa attuazione dell’Accordo Provvisorio.

L’applicazione dell’Accordo, con l’effettiva e sempre più attiva partecipazione dell’Episcopato cinese, dunque, sta avendo una grande importanza per la vita della Chiesa cattolica in Cina e, di riflesso, per la Chiesa universale. In tale contesto, si colloca anche l’obiettivo pastorale della Santa Sede, di aiutare i cattolici cinesi, a lungo divisi, a dare segnali di riconciliazione, di collaborazione e di unità per un rinnovato e più efficace annuncio del Vangelo in Cina. Alla comunità cattolica in Cina – ai Vescovi, ai sacerdoti, ai religiosi, alle religiose e ai fedeli – il Papa ha affidato in modo particolare l’impegno di vivere un autentico spirito di amore fraterno, ponendo dei gesti concreti che aiutino a superare le incomprensioni, testimoniando la propria fede e un genuino amore. É doveroso riconoscere che permangono non poche situazioni di grande sofferenza. La Santa Sede ne è profondamente consapevole, ne tiene ben conto e non manca di attirare l’attenzione del Governo cinese per favorire un più fruttuoso esercizio della libertà religiosa. Il cammino è ancora lungo e non privo di difficoltà.

La Santa Sede, con piena fiducia nel Signore della storia, che guida indefettibilmente la sua Chiesa, e nella materna intercessione della Ss.ma Vergine Maria, Madonna di Sheshan, affida al sostegno cordiale e, soprattutto, alla preghiera di tutti i cattolici questo passaggio delicato e importante, auspicando che i contatti e il dialogo con la Repubblica Popolare Cinese, che hanno maturato un primo frutto nella firma dell’Accordo Provvisorio sulla nomina dei Vescovi e la proroga di oggi, contribuiscano alla soluzione delle questioni di comune interesse ancora aperte, con particolare riferimento alla vita delle comunità cattoliche in Cina, nonché alla promozione di un orizzonte internazionale di pace, in un momento in cui stiamo sperimentando numerose tensioni a livello mondiale 22 ottobre 2020, 12:00.”

UNA LEZIONE SUL RUOLO DELL’ EUROPA FRA I VARI CONTINENTI

Facendo seguito all’appello lanciato da questo sito a contribuire al dibattito sull’Europa nell’ambito dei nostri “Cantieri d’ Europa”, pubblichiamo con piacere, dopo quello di Roberto Matteucci, il contributo, scarno ma eccezionale, di Giuseppina Merchionne, una sinologa che, come risulta già dai riferimenti autobiografici contenuti nell’articolo, rappresenta quasi un simbolo dei rapporti culturali italo-cinesi, essendo stata una dei pochissimi giovani studiosi italiani recatisi in Cina in base al primo accordo culturale, firmato nel 1950, all’ inizio dei rapporti diplomatici italo-cinese, ed avendo trascorso in Cina (ivi comprese Hong Kong e Taiwan) molta parte della sua vita, compresi anni tumuiltuosi come quelli della Rivoluzione Culturale.

Sulla base di quest’esperienza unica nel suo genere (oltre che di un periodo di studi superiori alla Columbia University), Giuseppina Merchionne affronta qui la questione del ruolo storico dei diversi Continenti, finalmente nel modo corretto, vale a dire sulla base della loro diversa identità culturale. Con questo approccio diventano finalmente intelleggibili le radici e il futuro dell’ Europa.

Tutto questo dovrà fare oggetto di un ampio dibattito, in generale, all’interno dei Cantieri d’ Europa, e, nello specifico, sul rapporto Europa-Cina, particolarmente “caldo” in vista della prevista firma, nel mese di Settembre, di un fondamentale Trattato sulla Protezione degl’Investimenti

Nel frattempo, pubblicheremo la versione della lettera sull’ Agenzia Europea di Tecnologia da noi inviata, su undicazione del Presidente Sassoli, ai singoli Europarlamentari e ai membri del Consiglio Europeo.

In una prossima occasione pubblicheremo per esteso l’ articolo pubblicato da Franco Cardini sulla Dichiarazione Schuman e il contributo di Ferrante Debenedictis sullo stesso argomento nella videoconference di “Cantieri d’ Europa” .

La crisi del Coronavirus ha accelerato lo smottamento, prima impercettibile, dello stantio equilibrio geopolitico mondiale ostile all’ Europa.E’ un momento in cui i dibattiti, e anche le proposte, hanno una loro forte ragion d’essere.Perciò, continuiamo imperterriti con i Cantieri d’ Europa.

E veniamo all’ aticolo di Giuseppina Merchionne.

Il ritratto dell’imperatore cinese Qianlong nelle vesti di Buddha Manjusri,
dipinto dal gesuita milanese Giuseppe Castiglione

RIFLESSIONI SULL’EUROPA ED ALTRI CONTINENTI

                                                      Giuseppina Merchionne

Premessa

 Prima di esprimere, molto immodestamente, il mio parere sulla natura attuale e il futuro dell’Europa e del mondo che la circonda, vorrei fornire alcune precisazioni sulla mia formazione culturale che ritengo necessarie per una maggiore comprensione dello stesso.

Napoletana di origine, mi sono trovata, per ragioni famigliari, a dover percorrere l’intero corso di formazione scolastica, dalla prima elementare all’ultimo anno del liceo, a Ferrara, dove tutti i giorni attraversavo la ‘addizione erculea’, voluta da Ercole I d’Este, esempio esplicito della grandezza dell’Italia rinascimentale. 

Dopo la maturità, sono  stata assorbita da quel turbine di lingue e culture rappresentato dall’ Istituto Universitario Orientale di Napoli, dove era possibile studiare la maggior parte degli idiomi, vivi e morti, presenti su questa terra, compreso il mancese già d’allora scomparso nella stessa Cina.

Non ancora laureata, nell’agosto del 1973, dopo un breve periodo di studi nella britannica Hong Kong, mi sono ritrovata a Beijing, come parte del primo gruppo di studenti italiani ammessi nella Repubblica Popolare dopo l’apertura delle relazioni diplomatiche, in seguito ad accordi di scambi culturali tra i due paesi. In realtà si trattava di un nutrito gruppo di studenti dall’Europa, da alcuni paesi del terzo mondo e da paesi non precisamente definiti quali Canada e Australia, che, oltre a studiare, si ritrovarono a partecipare, insieme ai cinesi, agli ultimi strali della rivoluzione culturale. In nome di questa, la critica agli elementi reazionari nello stesso gruppo dirigente della RPC veniva condotta attraverso la dissacrazione delle opere di Confucio e dei suoi un tempo venerati discepoli, con grande dispendio di citazioni classiche di difficile interpretazione per la maggior parte di noi e con buona pace della lotta ai vecchiumi della cultura tradizionale.

In quella Beijing University ,culla di tutti i movimenti rivoluzionari della Cina prima e dopo la liberazione, dopo tre anni di lezioni di linguistica pura su testi di critica al confucianesimo, di esaltazione del legismo e del suo eminente filosofo Han Feizi; di incredibili viaggi in tutta la Cina organizzati dal nostro Istituto e dopo esclusive ed irripetibili esperienze di vita in comuni popolari e acciaierie, in ottemperanza al programma governativo della ‘scuola a porta aperte’ anche per stranieri ,sono finalmente tornata a casa. Un cammino di ritorno durato undici giorni, da Beijing a Roma, con la allora sicurissima ferrovia transmongolica,  attraverso le sterminate praterie della Mongolia e le steppe della Siberia.

Dopo poco però mi sono ritrovata a Taipei, invitata dal Ministero degli Esteri della Repubblica di Cina a frequentare, unica occidentale, il corso di Master presso un esclusivo e accuratamente controllato Istituto di Ricerche sulla Cina comunista e l’Unione Sovietica.

Nei tre anni occorsi al conseguimento del Master of Arts, ho avuto modo di studiare le posizioni del Guomindang durante la guerra civile con il Partito Comunista, di sentire dalla viva voce di ex- ufficiali dell’esercito Popolare di Liberazione passati ai nazionalisti, le narrazioni delle ‘atrocità’ commesse dai comunisti verso la popolazione, mentre l’esercito di Jiang Jieshi (Chiang Kaishek) era impegnato nella lotta contro l’invasore giapponese.

Fuori dalle aule dell’Istituto, ho incontrato il terzo protagonista della recente storia di questa parte del mondo, onnipresente in tutte le manifestazioni politiche e culturali e le aspirazioni di evasione della maggior parte dei giovani taiwanesi , quegli Stati Uniti d’America che i cinesi dell’isola guardavano come loro salvatori e guardie del corpo, contro la minaccia dell’occupazione  da parte dei comunisti,  rivendicata come veicolo legittimo per raggiungere la riunificazione del paese. E proprio grazie a questa terza presenza ho imparato che, per sopravvivere in quella parte del mondo, la lingua inglese valeva molto più di quella cinese, per non parlare delle altre lingue europee, poco o nulla confacenti con le esigenze economiche della regione.

Forse proprio grazie agli studi compiuti nelle due Cine e ai relativi diplomi conseguiti, dopo qualche anno sono stata ammessa al Ph.D course in Asian Studies della Columbia University di New York, con il beneficio di esenzione dal pagamento dell’ improponibile retta scolastica e l’attribuzione di una borsa di studio che mi consentiva di pagare un alloggio e mangiare almeno una volta al giorno. Era il 1985. Fuori da quel tempio incredibile della cultura e dello studio di tutto lo scibile umano, documentato nei suoi dipartimenti e nella faraonica Library, che si apriva su quella Broadway cuore della città più aperta dell’Impero, si trascinava un’ umanità di derelitti homeless, in prevalenza neri ed hispanicos, dal cui assalto Columbia cercava di difenderci, oltre che con un nutrito corpo di vigilantes, anche con un decalogo di norme di comportamento per la sicurezza ,a cui gli studenti, in particolare quelli stranieri, dovevano attenersi per non cadere vittima di furti e violenze fisiche. Veniva fornito persino un ‘accompagnamento’ alle ragazze dal campus agli alloggi fuori di esso, condotto da due ragazzotti americani dalle spalle erculee, oltre ad un servizio di shuttle bus gratuito che dalle  otto di sera alle due di notte funzionava come mezzo di trasporto nel quartiere per chi volesse muoversi all’interno di esso in tutta sicurezza.

Terminato il biennio propedeutico al passaggio ai corsi di dottorato, il cui conseguimento si profilava dopo almeno altri cinque anni, nonostante il miraggio di una brillante futura carriera   prospettatami dai miei docenti, optai per un difficile ritorno in patria, in risposta al patriottico impulso di ‘insegnare alla propria gente’. In buona parte così è stato, grazie anche ad un incremento esponenziale, anno dopo anno, degli studenti iscritti ai corsi di lingua e cultura cinese, nella speranza di espugnare con questo mezzo gli impenetrabili bastioni del mondo del lavoro.

Nonostante le diverse connotazioni culturali e politiche di queste tre parti del mondo in cui mi è capitato di vivere, per ciascuna di esse ho dovuto constatare la validità funzionale di un fattore altamente proficuo: la mia innata condizione di europea dalla pelle bianca.

Il ratto d’Europa de pittore russo Serov

1. La necessità di sostenere l’Unione Europea

In primo luogo ritengo che, proprio in questo momento così difficile, non sia opportuno nemmeno mettere in discussione la necessità della Unione Europea, prospettando per di più la sciagurata ipotesi di una sua ‘estinzione’. L’esistenza di una entità unica europea deve essere affermata, come conseguenza di un naturale processo storico evolutivo, così come è accaduto a Cina, Russia e Stati Uniti. E questa affermazione dell’esistente, nonostante possa sembrare una forzatura politica, se non addirittura un artificio intellettuale, si rende necessaria in un momento in cui dare spazio a dubbi può recare danni peggiori. Penso a quanto sia stato necessario sostenere a tutti i costi e a danno di qualsiasi apertura democratica, la nascita della Repubblica Popolare Cinese e ,nel caso di vicende nostrane, persino della Repubblica Italiana.

Papa Francesco a Strasburgo

2. La funzione dell’Europa

Quanto alla funzione dell’Europa, essa  potrebbe essere quella di dare una dimensione coesa e direi quasi unitaria alle varie nazionalità che la compongono, perché non c’è dubbio che la forza di una nazione molto deve alla sua unità e anche in questo caso il pensiero ritorna all’esperienza di Cina, USA e forse anche Russia. Tale unità non è solo opera di un governo forte, volendo anche accentratore, esplicitamente repressivo, è anche il risultato della consapevolezza popolare di appartenere ad un paese, una cultura, una unità geografica, elementi che nel loro insieme connotano la dimensione nazionale.  Tale senso di appartenenza nazionale è quanto avverto con maggiore intensità in Cina, in una popolazione che mantiene una coesione culturale pure nella differenziazione di numerose etnie ed altrettante incalcolabili parlate locali. Persino dalla mia posizione di distaccata estraneità, io ravviso nei tanti cittadini della RPC che ho la ventura di incontrare, un’unità culturale , etnica, comportamentale che travalica ogni differenziazione regionale. E con il tempo e l’approfondimento della conoscenza, è parso chiaro anche a me dall’esterno che tale unità è data da un’incancellabile e ancora attuale impronta culturale atavica la cui innegabile presenza sopravvive e si conserva da diversi millenni.

Anche l’ Europa avrebbe, come scrive Giuseppina Merchionne, un’identità atavica, che però gli Europei di oggi non sanno riconoscere

3. Il cammino per il raggiungimento dell’unità europea

In considerazione di quanto detto sopra, ritengo che per costituire una ‘unità europea’, al contrario di quanto comunemente asserito, sia necessario smussare le diversità culturali nazionali, tentare di costruire e se è il caso anche di imporre, una omogeneità di pensiero e di comportamenti in forza della quale i diversi cittadini europei siano in grado di difendere, in caso di necessità, la propria ‘europeicità’ .Equivarrebbe a costituire la ‘nazione europea’, così come in Cina hanno costituito la ‘nazione cinese’ e in America quella ‘americana’, sia al nord che al sud. Infatti la consapevolezza di appartenenza alla ‘nazione americana’ sia tra i cittadini degli USA che tra quelli dell’America Latina, è quanto mi è sovente capitato di avvertire al cospetto di persone che, pure nella loro innegabile eterogeneità, erano in certo modo accumunate dalla sensazione, spesso inespressa, di appartenere ad un’unica dimensione geografica, l’America appunto.

Sulla Via della Seta, vi era un passaggio impercettibile da una civiltà all’ altra

4. Il superamento della ‘logica dei blocchi’

Le vicende di questi ultimi giorni caratterizzati dalla diatriba sull’ origine del virus tra Cina e USA non hanno la parvenza della solita pantomima di qua e di là degli oceani, probabilmente il mondo è davvero cambiato dopo questa iattura universale e indubbiamente non in meglio. E forse anche l’Europa è cambiata, incamminata verso una condizione di maggiore disunione e quindi di debolezza, dove le forze politiche di ciascun paese ci spingono obbligatoriamente verso la scelta di una sola direzione. In questa dimensione di un mondo diviso in ‘blocchi’, può esistere anche la visione di un ‘blocco europeo’? Diversamente, chi ci salverà dall’inevitabile assedio degli’ altri’? E’ davvero così ineludibile il nostro destino di lacerazione dalla scelta imposta dall’esterno tra Cina e USA, con qualche digressione verso la Russia? Dobbiamo davvero scegliere se morire cinesi, nord-americani o russi?  Ci sarà dato di poter morire semplicemente ‘europei’?

Quest’anno ricorrono i2500 anni della battaglia delle Termopili.

5. La riaffermazione dell’Europa come continente

E se invece della dimensione dei ‘blocchi’ noi europei portassimo avanti la ben più reale e legittima dimensione ‘continentale’, che ci ricorda che l’Europa è forse l’unico ‘blocco’ ad essere contemporaneamente anche un intero continente? Ricordiamoci che gli Stati Uniti prima di essere una potenza più o meno in odore di perdita di primato mondiale sono innanzitutto una parte del continente americano e che la Cina prima di essere la potenza emergente da battere è solo una parte dell’immenso continente asiatico e che persino la sterminata Russia è anch’essa parte del continente Europa. Se coltivassimo la nostra destinazione di continente unico, non avremmo forse maggiori possibilità non solo di salvarci ma anche di costruire un futuro di prosperità e stabilità, a beneficio delle genti ‘europee’ come di quelle di tutti gli altri continenti di questo nostro martoriato pianeta?

La cultura europea sta e cade con il concettoi di continuità della memoria culturale.

6. La cultura come strumento della costruzione europea

In questa ottica, la mia illusione è ancora quella di giocare la carta ‘culturale’, di fare leva sul nostro patrimonio ‘ europeo’, non soltanto italiano, di arte, cultura, pensiero, tradizioni, allo scopo di renderci prede meno vulnerabili e meno convincibili. Forse è solo una illusione da intellettuale, vincolata dal fascino immortale della bellezza artistica che la memoria di quella ‘addizione erculea’ della mia adolescenza ha reso parte integrante del mio essere e del mio agire, ma, da erede di una cultura ‘positiva’ di costruzione di una società più equa, mi sforzo di conservare ancora quel mitico equilibrio tra ‘ ottimismo della volontà’ e ‘pessimismo dell’intelligenza’ che abbiamo ricevuto in eredità dal pensiero di giganti moderni come Gramsci. E non è poco, se ricordo che persino presso il Dipartimento di italianistica della Columbia University, tempio di formazione della cultura positivistica americana, le letture italiane più frequentemente studiate erano rispettivamente ‘I quaderni dal carcere’ di Antonio Gramsci e le ‘Confessioni’ di Sant’Agostino. E forse questo potrebbe voler dire ancora qualcosa anche da noi.

7. Il futuro dell’Europa

Il futuro dell’ Europa sta nell’ Umanesimo Digitale, un progetto ancora inesistente che va conquistato, come stanno facendo alcuni isolati combattenti, per ora non europei.

Quanto al futuro dell’Europa, da docente non posso non pensare che esso è nelle mani delle giovani generazioni che vengono da noi formate e che per effetto di quei ‘social’ veicoli di scambi di informazioni e messaggi univoci, passati tra i vari continenti attraverso piattaforme di comunicazione universali, riescono ad azzerare ogni differenziazione di censo, sesso, nazionalità, pelle ed educazione, dando forma ad una visione del mondo ‘globale’ ,di cui noi delle generazioni passate spesso e volentieri diffidiamo catalogandola come ‘univoca’, ‘omologante’, ‘standardizzata’, in definitiva da vero ‘Grande Fratello’. 

Eppure proprio questa ‘cultura dei social’ ha raggiunto il traguardo che noi fautori dell’Europa unita non siamo ancora stati capaci di raggiungere: la capacità di comunicare in tutto il mondo usando una sola lingua, quell’inglese che in questo modo ridimensiona la sua funzione di lingua di convincimento dell’economia globalizzata imposta dalle onnivore multinazionali, per diventare voce narrante per miliardi di individui che finalmente si capiscono a tutte le latitudini e in tutte le condizioni geografiche.

Nonostante i distinguo provenienti da più parti sulla necessità di mantenere il variegato patrimonio della babele linguistica, considerata a ragione parte integrante della nostra identità europea, rallegriamoci di questa omologazione verbale, perché è attraverso di essa in primo luogo che può passare il messaggio di unità, eguaglianza e giustizia per tutti gli esseri umani, messaggio che, a dispetto di ogni ostacolo, dobbiamo continuare a considerare il segno distintivo più eclatante della nostra civiltà europea.

HUAWEI E EUROPA : ACQUISTIAMO LA TECNOLOGIA DEi 5G PER UN’AGENZIA DIGITALE EUROPEA!

L’Olivetti ELEA , il primo personal, era italiano, e fu progettato dall’ italo-cinese Mario Chou.

Il nuovo campus della Huawei, a Dong Guang, e al centro della nascente città metropolitana sul Fiume delle Perle, grande come la Germania,  ospiterà gli Enti centrali del gruppo Huawei. Esso consiste delle riproduzioni integrali a grandezza naturale dei centri storici di 12 città europee, scelte in  modo non banale ed evitando le localizzazioni più commercializzate, come la Torre di Pisa o Piazza San Marco, e andando  invece  alla ricerca di perle nascoste della cultura europea, da Verona al castello di Heidelberg, fino all’ Alhambra di Granada (e inoltr Parigi, la Borgogna, Friburgo, Cesky Krumlov, Budapest…), che spesso neppure gli Europei conoscono.Questa “città ideale” costruita sui modelli di Pienza, Sabbioneta, Palmanova, Zamosc e San Pietroburgo, costituisce di per sé una ben congegnata provocazione nei confronti dell’inesistenza , a oggi, di una cultura europea dell’informatica.

Essa costituisce anche l’ esempio più recente dello spirito con cui la Cina, o parte di essa, sta affrontando le sfide della post-modernità è chiaramente tradizionale, o, per usare un termine più appropriato, “assiale” (cioè dell’era delle grandi civiltà, cfr. Jaspers, Eisenstadt, Cojève, Assmann). Questo è reso evidente dalle citazioni sempre più ossessive delle antichità cinesi ed europee. A partire dall’esercito di terracotta e dalla Grande Muraglia, senza parlare del movimento Hanfu, per giungere alla frenesia con cui vengono clonati un po’ ovunque tutti i monumenti dell’Occidente, con un’attenzione e una cura che in Europa certamente non abbiamo.

Mario Chou era stato segnalato a Olivetti da Enrico Fermi

1.L’offerta di Reng Zhenfei

Anche l’offerta di Reng Zhenfei, Amministratore delegato della Huawei, di vendere  (o, più precisamente, di licenziare), a un concorrente estero la sua tecnologia, rientra certamente in quello spirito “perennialista”. Secondo l’“arte della guerra” di Sun Zu, l’obiettivo di un condottiero è quello di “conquistare il Tian Xia senza uccidere nessuno”. Già in questo possiamo apprezzare la differenza con Google. Infatti, nell’ opera “The New Digital Age”, due membri del Consiglio di Amministrazione di Google, Schmidt e Cohen, raccontavano di aver elaborato insieme, nella Baghdad distrutta dalle bombe americane, la nuova strategia di Google, che sarebbe quella di “sostituire la Lockheed nel guidare l’America alla conquista del mondo”. Pare che anche…avrebbe incitato i suoi azionisti-soci-collaboratori a muovere alla conquista del mondo, però non ha associato questa conquista ad una strategia bellica.

Si è detto che anche Ren avrebbe esortato i propri azionisti-collaboratori a marciare alla conquista del mondo. Tuttavia, non ha legato questo programma a un programma militare o ideologico, ma, a quanto pare, a una visione culturale.

In un certo senso, ha ragione il Presidente Trump nel ritenere che l’attuale “sorpasso” della Cina sugli Stati Uniti nei campi economico e tecnologico, sia dovuto all’ abilità dei Cinesi nel copiare l’Occidente. Infatti, tutte le civiltà che hanno progredito e vinto hanno copiato massicciamente quelle precedenti (Babilonia, l’ Assiria, la Persia, la Macedonia, Roma…). Tutti i Paesi extra-europei (America, Russia, Turchia, Giappone, India), a partire dal colonialismo, hanno copiato massicciamente l’Europa, a cominciare dalla religione (il Brahmo-Samaj, i Bahai, i Taiping), per passare all’ ideologia (il nazionalismo, la monarchia, il liberalismo, il marxismo, il fascismo), e continuare con l’ economia (libero mercato, socialismo), fino alla tecnologia (informatica, alta velocità, ecologia, spazio). Se questo è un “furto”, esso è costitutivo dell’idea stessa di “storia”, e gli Stati Uniti sono il caso più flagrante di “furto”, avendo “rubato” la terra agl’Indiani, la libertà agli Africani, il territorio agli Europei, le idee a Inglesi e Iberici, la cultura e la tecnologia a Tedeschi ed Ebrei…

L’idea di una “Nuova Europa” in Cina rappresenta una risposta alle idee di Hegel sulla “Fine della Storia”in Europa e a quelle dei Neo-hegeliani  circa l’ America quale “vera” fine della Storia. Se lo Spirito del Mondo segue il corso del sole verso Occidente,. Allora, esso, dopo l’ America, illuminerà nuovamnte la Cina (e l’ Eurasia).

Adriano Olivetti, l’imprenditore piemontese che realizzò l’ELEA

2.La lotta fra Trump per frenare la Cina

Comunque, nessuno aveva mai spinto quella tendenza emulatoria così   avanti come ha fatto la Cina degli ultimi 30 anni, giungendo addirittura a emulare la stessa ragion d’essere occulta della modernità occidentale, la rivoluzione delle macchine intelligenti.  Se la Cina riesce là dove l’America non può arrivare è perché la Cina, da sola, racchiude in sé, sotto un’unica guida, un universo grande quanto l’intero Occidente, un universo in cui  coesistono le più avanzate tecnologie e società ancora primitive, una vasta borghesia colta e un vastissimo sottoproletariato, un grande ceto medio burocratico e manageriale e una miriade di piccole e medie imprese: l’”unità nella diversità”, tanto esaltata da tutti, ma che non può essere realizzata là dove c’è invece una grande omogeneità. La Cina ha potuto così giocare su tutti i tavoli, dal comunismo di guerra al laissez-faire più sfrenato, dallo stalinismo alla finanza internazionale, dal libero mercato al “keynesismo militare”. Essa continua a poter mobilitare in modo differenziato centinaia di milioni di migranti e di funzionari, d’imprenditori e di professionisti, su tutti gli scacchieri e su tutti i varabili scenari economici mondiali (dalla guerra fredda alla lotta al sottosviluppo, dalle delocalizzazioni alla rivoluzione digitale…).In questo modo, essa è riuscita fino ad ora ad evitare l’”impasse” di una linea di sviluppo monocorde, sia essa la programmazione sovietica o il neo-liberismo anglo-americano.

Trump , avendo abbandonato (finalmente) l’ipocrisia dei presidenti precedenti, ha anche le sue ragioni, in quanto difensore degli Stati Uniti, nel tentare palesemente di arginare questa tumultuosa crescita della Cina, ma ne è ostacolato dalle limitate dimensioni del suo Paese e dai seppur modesti “check and balances” che, in Occidente, limitano ancora la sua libertà di manovra, a cominciare dall’ esistenza dell’ Unione Europea (ch’egli considera infatti come la sua peggiore nemica). Non per nulla egli sta facendo di tutto per imitare la Cina, a cominciare dalla concentrazione del potere sulla sua persona e dal tentativo di ridurre ulteriormente i margini di manovra degli Europei. E’ anche normale, nell’ottica della lotta fra grandi potenze, che la crescita della Cina e il conseguente benessere del resto del mondo vengano in qualche modo frenati dall’ azione di Trump, ma non è probabile un suo sostanzioso successo.

Sono, infatti, 4000 anni che l’ Oriente trasferisce tecnologia in Occidente (agricoltura, scrittura, papiro, porpora, strategia, seta, porcellana, vetro, bussola, polvere da sparo, stampa, carta moneta), come 500 che l’Occidente ritrasferisce la tecnologia in Oriente (cannoni, motori a vapore e a scoppio, giornali, automobili, radio, cinema, energia atomica, televisione, spazio, informatica).Vi è cioè una sorta di “principio dei vasi comunicanti”. Il tipo di rapporto contrattuale potrà variare ad libitum, ma, nella sostanza, non è (ancora) ammissibile, fintantoché le Macchine Intelligenti non imponessero un proprio impero mondiale, che esista nel mondo un unico fornitore dei beni più essenziali. Una situazione del genere sfocerebbe senz’altro in una guerra per l’appropriazione “manu militari” delle nuove tecnologie.La Cina ha già sventato un siffatto colpo di mano da parte di Google, Microsoft, Apple, Facebook e Amazon, resistendo alle spinte disgregatrici sullev sue province periferiche e creando, come ha fatto, omologhi cinesi per le “Big Fives” (Baidoo, Alibaba, Tencent).

 

Mario Chou con Adriano Olivetti

3.Fine del monopolio della Silicon Valley

Avendo costituito un’ alternativa alla Silicon Valley, la Cina sta offrendo al resto del mondo l’opportunità di una reale concorrenza, creando due ecosistemi digitali paralleli, non limitati al territorio di ciascun blocco, bensì a livello mondiale. Una concorrenza che, paradossalmente, costituisce una delle rivendicazioni tradizionali  delle retoriche del libero mercato, e una delle basi delle politiche della concorrenza, tanto negli Stati Uniti quanto in Europa.A tutela della quale non si era esitato, neln XX Secolo,  ad emettere i cosiddetti “orders to divest” contro la Standard Oil, la SKF e la General Electric. Orbene, visto che nessuno nel mondo ha oggi più il coraggio di emettere un “order to divest” (giustificato quant’altri mai) nei confronti delle Big Five, perché queste dispongono ovunque di un potere assoluto, , è lo stesso Ren  a emettere  (contro se stesso) un “oder to divest”, dando, così, un esempio che potrà avere un impatto dirompente in tutto il mondo. Se la Huawei si è sentita obbligata a spezzare il proprio stesso monopolio, perché non dovrebbero farlo anche le Big Five?

In questo scenario, si capisce anche che è impossibile impedire che le tecnologie sviluppate in Cina possano essere applicate nel resto del mondo, anche se ciò costituisce un vulnus inaccettabile al dogma hegeliano e weberiano che lo sviluppo economico della modernità è una conseguenza diretta e inscindibile della rivoluzione puritana (americana).Questo dogma, invocato a suo tempo da Marx a giustificazione dello schiavismo in America  e da Rostow per la sua “teoria dello sviluppo”, costituisce il motore occulto della potenza americana, così come la teologia costituiva, per Benjamin, la forza occulta del Marxismo.S e cadesse questo dogma, si sfalderebbero non solo l’Occidente, ma la modernità, e gli stessi Stati Uniti.

La famiglia Chou

4.La mossa di Huawei

In questo breve lasso di tempo, sono state formulate, sulla mossa cinese,  le ipotesi più svariate, per lo più ispirate a immarcescibili  pregiudizi anticinesi, soprattutto quella che si tratterebbe solo di una mossa tattica, di un trucco, oppure che essa sarebbe la prova  che la Huawei è disperata per non poter più vendere abbastanza telefonini e materiale logistico in Occidente.

La verità è che la vita stessa delle tecnologie moderne è fondata sulla contrattualistica della proprietà industriale : nessuno è mai riuscito a sfruttare per sempre un’invenzione in regime di monopolio; da sempre ci sono stati l’”esaurimento dei diritti” , il “trickle down effect”, le licenze, i trasferimenti di know-how. Questi trasferimenti per via contrattuale e commerciale hanno costituito da sempre la forma fisiologica delle collaborazioni tecnologiche internazionali, anche se non sono sconosciuti casi “patologici” di trasferimento forzoso di tecnologia, come quello realizzato manu militari dopo la Seconda Guerra Mondiale, arrestando e trasferendo a forza von Braun e Antonov. La Cina sta cercando proprio di evitare che si arrivi a tentativi di questo tipo.

Inoltre, le trasformazioni in corso nell’economia mondiale sono così rapide, che il ruolo della Cina , in quanto parte oramai centrale di questa economia, è condannata a mutare continuamente. Ciò che era vero fino a ieri non lo è più oggi. Se, per volontà  delle multinazionali americane, che, negli Anni 90 vi avevano delocalizzato il grosso delle loro produzioni, essa era divenuta la “manifattura del mondo”, oggi essa  sta diventando, sempre in simbiosi con gli ambienti economici occidentali, il “cervello del mondo”. In questa situazione, non è essenziale produrre in Cina, ma neanche all’ interno dell’universo Huawei, tutto il materiale telefonico. L’importante è controllare la filiera internazionale, per imporsi quale partner qualificato di coloro che vi operano. Così come fanno Google, Facebook, Amazon e Alibaba, che in pratica gestiscono le attività di altri.

La licenza della tecnologia 5G, per quanto offerta nei termini più liberali, non arresterà dunque l’“intellectual leadership”di Huawei, la cui forza consiste proprio nell’innovazione continua. Il campus” di Dong Guan servirà proprio per coltivare innovazione per tutto il mondo. Il fatto che esso sia costruito “copiando” le roccaforti della cultura europea (e non di quella americana, russa, islamica o indiana), dimostra che il modello e il partner elettivo di questi sviluppi è l’Europa. Questo per due motivi, l’uno storico, perché DA QIN ha costituito da sempre il polo speculare delle Vie della Seta, al quale la Cina ha guardato sin dal tempo degli Han Anteriori, e l’altro, geopolitico, perché l’Europa è, oggi, speculare e quindi complementare nei campi culturale, politico, tecnologico ed economico, alla Cina.

Il Minitel, il primo Internet, era europeo

5.Sfidiamo l’arretratezza culturale e tecnologica dell’ Europa

Dal punto di vista tecnologico, l’Europa appare, all’alba della Società delle Macchine Intelligenti, come un paese sottosviluppato:
“Se è vero che l’ Europa ha nel commercio extra-UE un saldo positivo dell’industria manifatturiera nel suo complesso, registra però un deficit nei prodotti ad alta intensità tecnologica. Nel 2015, il disavanzo europeo è stato di 63,5 miliardi di euro, soprattutto verso la Cina, ma non solo: anche Stati Uniti, Corea, Giappone e persino Vietnam e Thailandia hanno segnato un più nello scambio di prodotti high tech con l’ Unione Europea….”(Francesca e Luca Balestrieri, “Guerra Digitale”). Come scrivono gli autori citati, “La discontinuità che segna l’inizio della seconda fase della rivoluzione digitale offrirebbe sulla carta all’ Europa l’opportunità di un cambio di marcia: nel nuovo mix di tecnologie convergenti, l’eccellenza europea in settori come la robotica, l’automazione e -in generale -la manifattura 4.0 potrebbe portare alla nascita di nuovi campioni globali, questa volta radicati in Europa. Il fattore critico è però la capacità di elaborare un’efficace politica industriale a dimensione europea. “

L’assenza dell’ Europa dai settori di punta delle nuove tecnologie deriva dall’ assenza di un ambiente geopolitico ed intellettuale complessivamente favorevole (di innovatori motivati e all’ avanguardia come a suo tempo von Braun,Turing, Olivetti, Chou, o, in America, Wiener, von Neumann, Esfandiari, Kurzweil…; d’ iniziative come quelle del Minitel e di Programma 101; di un  centro decisionale militare autonomo come il DARPA americano, che finanzia l’industria digitale in quanto tipicamente “duale”; di reti d’intelligence capaci d’impedire il furto delle tecnologie).Forse anche da accordi segreti con l’ America.

Tuttavia, se, nel XX° secolo, i Paesi europei potevano ancora sperare di mantenere il loro “European life style” restando dei semplici “followers” dell’ America, essi non possono più nutrire questa speranza dopo l’avvento dell’ economia digitale, dominata dalla Silicon Valley, da Dong Guan, Xiong’an, Bangalore, dai providers di Internet, dai Big Data, dai computers quantici e dai 5G.

In Europa non si è ancora capito che le società attuali hanno oramai abbandonato, non solo  le logiche della società assiale, ma anche quelle della Modernità, fondate su religione, umanesimo, razionalità, diritto, personalità, libertà, Stato, industria, società. Oggi, quegli elementi sono oramai stati sostituiti dall’ informatica, dal macchinismo, dai “big data”, dall’”hair trigger alert”, dai “social media”, dalle “Big Five”, dall’uomo virtuale. Chi non è in grado di padroneggiare questo complesso mondo mondo decade rapidamente a suddito, a cavia, a mero reperto archeologico da cui ricavare le nuove realtà (come il campo di Dong Huang).

Oggi, USA, Cina, Russia, India, Israele, Iran, hanno i loro Big Data, i loro sistemi di intelligence, i loro guru dell’ informatica, le loro OTTs, ecc…Noi no. Per questo abbiamo già perduto ogni rilevanza geopolitica e stiamo perdendo addirittura la capacità di sopravvivere economicamente e culturalmente.

Uscire da questa spirale discendente richiede una scossa culturale e nuove tecnologie. Ambedue le cose potrebbero venirci da Dong Guan: da un lato, il rilancio dell’orgoglio di appartenere a “Da Qin”, l’altro grande polo, insieme all’ Asia, della civiltà umana, e, dall’ altro,  l’utilizzo delle tecnologie 5G, che rappresentano l’informatica del futuro. Per tutte e due queste cose, abbiamo bisogno della Cina.

Come scrivono Francesca e Luca Balestrieri, “Nello scenario dei prossimi anni vi sono dunque troppe variabili perché si debba considerare il bipolarismo come un destino, in cui restare schiacciati nella logica della nuova guerra fredda: anche se al momento la scena è occupata da Stati Uniti e Cina, la seconda fase della rivoluzione digitale è tuttora aperta a una possibile più larga distribuzione del potere industriale e a più complessi assetti geopolitici”.

Con quest’obiettivo e con questa strategia, l’Europa dovrebbe organizzare un pacchetto negoziale con Huawei, a cui possano partecipare, ma non solo, le multinazionali europee dell’informatica, ma anche altri soggetti, primo fra i quali l’Unione Europea, addirittura in quanto tale. Non si vede perché, come esiste un’Agenzia Spaziale Europea, non possa esistere anche un’ Agenzia Digitale Europea, la quale si ponga, direttamente o attraverso società-veicolo (come Arianespace), come attore sul mercato dei prodotti e servizi digitali, acquisendo tecnologia di punta là dove essa è disponibile e creando le nuove (oggi inesistenti) classi dirigenti della società digitale europea, così come, per la progettazione del “Programma 101”, l’Ing. Olivetti aveva reclutato (su raccomandazione di Enrico Fermi) ,l’italo-cinese Ing. Chou.

Dopo trent’anni di delusioni dalle retoriche neo-liberistiche e post-umanistiche, sta prendendo piede ovunque un atteggiamento altamente interventistico delle Grandi Potenze nei confronti dell’ universo digitale, sulla falsariga del DARPA americano e del Comitato cinese per l’Unificazione del Civile e del Militare. Orbene, se di questo hanno bisogno addirittura le due Grandi Potenze che si contendono il controllo tecnologico del mondo, figuriamoci se non ne abbiamo bisogno noi Europei, ormai ridotti a dei “primitivi digitali” a causa del più spettacolare “fallimento del mercato” che la storia ricordi!

Anche noi dobbiamo costruire il nostro campus umanistico-digitale, comprendente e le migliori tradizioni di tutte le fasi della storia europea, e un’antologia selettiva di tutte le culture del mondo.