LE IDENTITA’ CONTINENTALI :

SOLO ARGINE CONTRO

LA SINGULARITY TECNOLOGICA

In questi giorni, assistiamo alla riscoperta dell’Identità Europea (e di tutte le identità continentali) quale elemento essenziale per affrontare le sfide più attuali, dalla guerra in Ucraina all’Intelligenza Artificiale. Questa riscoperta non è immotivata, poiché le scelte che ci attendono sono così drammatiche, che potranno essere fatte solo in base ad una consapevolezza profonda delle identità che ci uniscono (e spesso ci dividono). Questo si ripercuote anche positivamente sulla campagna elettorale per le Elezioni Europee, nella quale finalmente fanno finalmente capolino le questioni identitarie.

Intanto, l’incitamento del Segretario Generale della NATO, Stoltenberg, agli Stati membri della NATO affinché autorizzino l’uso, contro il territorio russo, delle armi da essi messe a disposizione  dell’Ucraina,  ha messo in evidenza l’imbarazzo degli Europei circa la guerra in corso che -lo si voglia o no- è una guerra fra Europei, che, per origine e meccanica, potrebbe riprodursi un po’ dovunque nel nostro Continente (in Catalogna, Bosnia, Kossovo, Cipro, Kurdistan, Nagorno-Karabagh, Gagauzia, Moldova, Transnistria, Carpazi, Paesi Baltici..), tenendo conto che quasi tutti gli Stati che si pretendono “nazionali” in realtà comprendono una percentuale non indifferente di “popoli minoritari”. Ma, soprattutto, la guerra in corso è innanzitutto la terza guerra civile europea, e i discorsi fatti da molti sull’Identità Europea, se non riescono a frenarla, sono soltanto chiacchere in malafede.

L’Italia è particolarmente determinata nell’ opporsi a tale iniziativa, mentre l’Ungheria ha minacciato perfino di uscire dalla NATO. E’ chiara anche nei sondaggi l’insoddisfazione della maggior parte degli Europei per l’immotivato incancrenirsi, negli ultimi 30 anni, della frattura fra Europa Occidentale e Comunità di Stati Indipendenti, che potrebbe portare in qualunque momento a una guerra nucleare nel cuore dell’Europa, scatenata per esempio da un malfunzionamento dei sistemi elettronici di contrasto agli attacchi nucleari, quale quello verificatosi nel 1983 con il sistema sovietico “OKO”.

Perciò, il dibattito scatenato da quell’ affermazione di Stoltenberg ha richiamato anche la centralità dell’uso bellico dell’Intelligenza Artificiale. Infatti, il primo caso di uso di armi a lunga distanza denunziato dalla Russia riguarda proprio un impianto di avvistamento radar, che costituisce un elemento essenziale della difesa digitale. Accecare i sistemi di allerta elettronica dell’avversario è la prima possibile  causa di un’eventuale scoppio accidentale della guerra nucleare.  Eppure, gli Stati si ostinano a sostenere addirittura che “le armi autonome non esistono”.

Questa situazione, che, tra altro, può avere effetti immediati sulle Elezioni Europee (come è stato recentemente in Serbia e in Slovacchia) porterà, in caso di guerra generalizzata, ad ancor più drammatiche fratture all’ interno dell’Europa, che accelereranno la presa di controllo, sull’ intera società, delle macchine intelligenti. Infatti, “Le guerrier du futur est un robot.”, cfr. L.Alexandre, La guerre des intelligences à l’ère de ChatGTP”.Che costituisce il massimo dei pericoli, ancor prima di quello di una guerra nucleare.

Per questo motivo, è utile richiamare brevemente le ragioni degli attuali conflitti, e le questioni in base alle quali gli Europei sono chiamati pressantemente a schierarsi.

La Francia vuole ripetere l’avventura napoleonica?

1.La politica dei blocchi quale effetto della seconda globalizzazione

Le Guerre Mondiali erano state tali perchè fin da un secolo si era assistito a una forma di globalizzazione, vale a dire la costituzione d’imperi intercontinentali che si contendevano il primato sul mondo: americano, britannico, francese, russo, tedesco, giapponese, cinese, che avevano partecipato al conflitto coinvolgendo i loro sudditi extraeuropei, morti a decine di milioni per queste guerre fra Europei.

Dopo le Guerre Mondiali, gl’imperi giapponese, tedesco e francese si erano dileguati, mentre gli altri avevano assunto una natura ideologica (democrazia, comunismo, socialismo con caratteristiche cinesi). L’Europa era stata resa impotente dividendola fra Impero americano e Blocco Sovietico, e le culture “mainstream” erano state mobilitate per dare una base culturale credibile a quella realtà contronatura. Infatti, i due “blocchi” avevano le loro radici comuni nelle “Rivoluzioni Atlantiche” e condividevano il Mito del Progresso.

Nel 1989, l’establishment americano aveva preteso che la caduta del Muro di Berlino avesse rappresentato la “Fine della Storia” quale la intendevano Kant, Hegel, Marx e Kojève, sicché si sarebbe instaurato finalmente un solo Stato mondiale fondato sull’ etica puritana e sui GAFAM (Google, Apple, Facebook, Amazon, Microsoft), e, governato da Washington e da New York (lo “One-Worldism” di Wilkie, o l’ “America-Mondo” di Valladao). In questo scenario, proliferarono i teorici del Post-Umanesimo, che miravano, e ancora mirano, all’utopia definita da Ray Kurzweil come “Singularity Tecnologica”, vale a dire la fusione dell’ uomo con la macchina, della macchina con la natura e dell’Universo con il nulla: l’Apocalisse tecnologica, altimo avatar di quelle religiose e rivoluzionarie.

Alla fine del ‘900, le resistenze esercitate dalla Serbia e dall’integralismo islamico contro l’allargamento al Vecchio Continente  dell’ “America-Mondo” avevano però costretto l’establishment a correggere il tiro, proclamando, con George Bush Jr.,  la “Giustizia senza limiti”, vale a dire l’applicazione pratica, con a guerra in Afghanistan,  dello “Scontro di Civiltà”, o dell’“Occidente contro Tutti”, come sintetizzato, nel libro “Scontro di Civiltà”, da Samuel Huntington. Vale a dire che l’allargamento dell’ America-Mondo non sarebbe più avvenuto in forma relativamente pacifica, bensì con uno sforzo coordinato, culturale e militare. A tale fine, il Parlamento Americano ha stanziato negli anni somme enormi (l’”Endowment for Democracy”) per realizzare, fuori della sfera d’influenza occidentale, le cosiddette “Rivoluzioni Colorate”, usando, quale strumento principe, i social networks, secondo un vero e proprio “manuale operativo” scritto da Gene Sharp, “From Dictatorship to Democracy”.

Rivoluzioni che furono effettivamente tentate, ma con scarso successo, in Serbia, Georgia, Siria, Iran, Egitto, Libia, Tibet, Hong Kong e, finalmente, in Ucraina, dove l’”Euromaidan” è sfociato, prima, in una guerra civile, poi, nell’ attuale guerra di attrito. Non per nulla, nel frattempo, i GAFAM espandevano a tutto il mondo la propria influenza con le grandi piattaforme e l’”Ideologia Californiana”, mentre le 16 agenzie di Intelligence avvolgevano il globo con una rete inestricabile di controlli digitali (Echelon e Prism). Le due reti, quella privata dei GAFAM e quella pubblica delle agenzie di intelligence, si sono praticamente fuse, grazie a una consolidata legislazione americana sul segreto epistolare, che è forzabile dall’ intelligence militare con procedure semplici e segrete.

Come sappiamo, questi tentativi di omogeneizzare il mondo con Internet, le Guerre Umanitarie e le Rivoluzioni Colorate si è per ora arenato, non tanto e non soltanto per la resistenza diretta dei Governi interessati, bensì anche e soprattutto perché il caos provocato dalle Rivoluzioni Colorate ha spesso prodotto effetti non voluti, come il nascere di nuovi regimi altrettanto, se non più, anti-americani dei precedenti.

Soprattutto, varie parti del mondo (come la Russia e la Turchia), sentendosi particolarmente esposte a queste pressioni (per esempio il colpo di Stato di Guelen), hanno modificato le loro precedenti politiche di dialogo, per rendere le loro società meno permeabili alle Guerre Umanitarie e alle Rivoluzioni Colorate, appoggiandosi, in ciò, alle loro tradizioni storiche -per lo più antiche tradizioni imperiali che le configurano quali centri egemoni di soggetti politici continentali più vasti (Cina, India, Islam),e in ciò adeguandosi  paradossalmente, con una forma di “rivalità mimetica”, al modello dell’ “Impero Nascosto” americano- .Questo sforzo  sembra avere sempre più successo, con la creazione dei BRICS, dei BAATX cinesi e della Via della Seta, con l’abbandono americano dell’ Afghanistan e con l’esito delle guerre in Cecenia, in Georgia, in Siria, in Libia e in Palestina.

Come ha scritto il 22 maggio Massimo Cacciari sulle pagine de “La Stampa”, “la vera questione: che l’ Occidente, oggi l’Occidente americano, non è più strutturalmente in grado di confrontarsi con gli altri Grandi Spazi sulla base di una propria volontà egemonica. Occorre saper ‘tramontare’ da tale volontà, non per sparire, ma, all’ opposto, per dar vita a un nuovo Nomos della Terra multipolare, policentrico”.

Sotto un altro punto di vista, proprio lo sviluppo tumultuoso dei GAFAM ha reso evidente che la storia sarà decisa da una “Guerra fra Intelligenze” (fra intelligenza naturale e artificiale, fra GAFAM e BAATX cinesi, cfr. Alexandre, La Guerre des Intelligences), che l’umanità potrà frenare solo organizzandosi in una Comunità Internazionale con progetti condivisi. Oggi, i due pilastri di tale comunità sono due grandi blocchi (l’Occidente a guida americana e l’Organizzazione di Shanghai),che “mettono a disposizione” le loro enormi risorse ciascuno a favore di uno dei contendenti della “Guerra fra Intelligenze”(La Singularity Tecnologica o il Socialismo con caratteristiche Cinesi). La “Guerra delle Intelligenze” tende così a sfociare nella Terza Guerra Mondiale, mentre il dialogo fra USA e Cina avviato dalle iniziative di Kissinger costituisce solo un pallido tentativo di pacificazione,  che non frena affatto la Terza Guerra Mondiale.

Quelle due superpotenze digitali non riescono infatti  neppur esse a rappresentare adeguatamente le istanze delle loro parti componenti, e quindi ad esprimere, nello sforzo per controllare l’IA, il meglio delle rispettive tradizioni. Nell’Occidente, si distinguono un’America che è totalmente soggetta alle scelte dei GAFAM, che costituiscono la sua forza nel mondo, e un’Europa Occidentale con tradizioni, interessi e comportamenti molto divaricati, ma che non riesce neanche a concepire un progetto autonomo. Fra i BRICS, si distinguono una Cina all’avanguardia mondiale nei campi economico e digitale, e con la propensione a limitare il peso delle sue multinazionali (il “Crackdown sui BAATX”), una Russia più arretrata tecnologicamente, e culturalmente vicina all’Europa, un’India avanzata digitalmente ma con scarso peso politico, e un mondo islamico estremamente frammentato. In definitiva,“L’extraordinaire diversité des discours sur l’IA e sur les réponses à y apporter est inquiétante :nous ne pouvons pas gérer un tel changement de civilisation sans un consensus minimum».

Massimo Cacciari invita a percorrere vie nuove

2.Il suggerimento di Cacciari: riscoprire culture europee dimenticate

Per questo, il chiarirsi delle strategie digitali di ciascuna parte del mondo, con un dibattito “piramidale” a tutti i livelli e un riaccorpamento generalizzato dei poteri decisionali secondo il Principio di Sussidiarietà, costituisce un necessario presupposto per quel tentativo di risposta unitaria all’ IA – che, purtroppo, verrà forse solo dopo che quest’ennesima guerra mondiale avrà dimostrato l’evidenza e l’urgenza dei pericoli qui da noi denunziati (e perciò troppo tardi)-.

Ne consegue tra l’altro che, al fine di inserirsi anch’essa in modo fattivo in questo processo collettivo di chiarimento a livello mondiale, l’Europa dovrebbe aprirsi a prospettive nuove, nella direzione indicata, sempre da Cacciari, nell’ articolo citato, cioè rifuggendo tanto dalla provinciale tentazione che sembrerebbe emergere dal trend elettorale populista, quanto dall’arroganza della cultura progressista e occidentale.

Può sembrare  sorprendente, ma non per noi,  che Cacciari, conscio dello slittamento culturale in corso nell’ opinione pubblica in vista delle Elezioni Europee, indichi la speranza di una nuova prospettiva per l’Europa nella riscoperta delle tradizioni minoritarie “orientalistiche” del conservatorismo europeo, quello che in altra sede abbiamo chiamato “conservatorismo critico”:”Eppure vi è stato un pensiero conservatore, per quanto assolutamente minoritario in queste destre, che si è mosso in una direzione opposta, di riconoscimento pieno  della grandezza delle altre civiltà, nel senso della comparazione e dell’ approfondimento reciproco. Queste correnti andrebbero meditate, anche da parte di molte ‘sinistre’, che mai hanno fatto sul serio i conti con il pensiero ‘in grande’ di certa destra europea.”

Pensiamo che Cacciari si riferisca ad esempio a Pannwitz, a Fenollosa,  a Spengler, a Eliade, a Guénon, a Trubeckoj, a Saint-Exupéry, a Pound, a Evola, a Gumilev. Tutti autori ben più vicini alle culture indica, medio-orientale, delle steppe e dei deserti, cinese.., che non a quelle occidentali. Autori che le “culture di destra” apprezzavano e studiavano fin dagli Anni ’30 (gli “Anticonformistes des Années Trente”, ma che il “mainstream” ha sempre tenuto ai margini, con una vera e propria “censura”, costata, a taluni di essi, anche vere e proprie persecuzioni.

Secondo Alexandre: “Les choix que nous allons faire d’ici au 2100 nous engagent pour toujours et certains seront irréversibles. La gouvernance et la régulation des technologies qui modifient notre identité – manipulation génétique, sélection embryonnaire, IA, fusion neurone-transistor, colonisation du cosmos -seront fondamentales. »A questo punto si comprende bene perché, nonostante la retorica pacifistica generalizzata, sia impossibile impedire oggi  lo scatenamento guerre molto pesanti e rischiose: semplicemente, le poste in gioco sono troppo elevate per potervi rinunziare, anche se per lo più gli attori in gioco non ne sono completamente consapevoli. Si tratta, “mutatis mutandis”,  delle stesse poste in gioco, ad esempio, nelle Guerre Persiane, nella “fitna” fra Sunniti e Sciiti, nello scontro fra l’Impero Cinese e i Taiping: della sfida fra la “hybris” millenaristica e l’”autonomia” pluralistica (Ippocrate ed Erodoto).  Solo che,  allora, si trattava di dispute teoriche; qui, invece, della loro realizzazione pratica (del loro “inveramento”) grazie alla potenza della tecnica.

Ma, prima ancora della “Singularity Tecnologica” che annullerebbe l’Umanità, se non il cosmo stesso,  già ora siamo sottoposti a un unico totalitario ecosistema digitale governato dagli algoritmi secondo la loro logica intrinseca, da cui ogni vitalità (l’”Elan Vital” di Bergson)viene , in un modo o nell’ altro,  eliminata. Peggio che nel Socialismo Reale. Già ora, un anticipo della tirannide post-umana promossa dai GAFAM, ci viene fornito dalla “Religione Woke”, che, negli Stati Uniti, ha praticamente eliminato, nel mondo intellettuale,  la libertà di pensiero e di espressione, instaurando una censura assoluta di tutto ciò che possa ricordare anche vagamente le tradizioni, il passato e perfino qualche brandello si soggettività autonoma (Braunstein, “La Réligion Woke”):tutto ridotto a “orrori” che non bisogna più ripetere. Qualcosa di molto simile alle frenesie sessantottine e all’”Eros e Civiltà” marcusiano, poi sfociati nelle Brigate Rosse e nella Rote Armee Fraktion.

Non per nulla, il “Woke” è sospinto energicamente avanti dai GAFAM, che vedono, nell’appiattimento universale, il necessario presupposto per il proprio controllo totalitario su tutte le società umane.

Per questo vari soggetti politici (Chiese, Cina, Russia, Islam, India) accomunati dall’ istinto di autoconservazione, hanno tentato in vario modo di ostacolare l’omologazione mondiale, e questo ha dato luogo a vari tipi di scontro (dalle guerre dell’ex Unione Sovietica, della ex Jugoslavia, e del Medio Oriente, fino ai disordini generalizzati in Africa e agli attuali movimenti sociali e studenteschi in Europa).

La posizione sull’ AI dei grandi blocchi geopolitici si può sintetizzare come segue:

-l’America ha inventato l’IA con le Conferenza Macy, con ARPANET, Internet e i GAFAM, e il Governo Americano, pur riconoscendo in principio la necessità di una regolamentazione, di fatto lascia ai GAFAM la massima  libertà di azione, perché essi costituiscono di fatto il più potente strumento della sua espansione mondiale (l’”Impero Sconosciuto” di cui parla il Pontefice), e preme per rallentare la regolamentazione internazionale, sperando di rendere irreversibile il controllo dei GAFAM almeno sull’Occidente, come prevedeva già qualche anno fa Evgeny Morozov. D’altronde, come ben messo in evidenza da Braunstein, la “Religione Woke” si pone in continuità con i vari “Awakenings” protestanti americani, che sono all’ origine, tanto della Rivoluzione Americana, quanto della “Giustizia senza Limiti” di Bush;

-La Cina è stata da sempre consapevole dei pericoli costituiti da un internet a guida americana, ed è riuscita, con un lavoro pluridecennale a più strati, a creare un proprio ecosistema digitale, con le proprie piattaforme e con i propri controlli, a tutela dei cittadini (copiato dalle leggi europee), ma anche e soprattutto dello Stato e dell’ Esercito (con interventi pesanti sui guru dell’ informatica che non vi si adeguino: il “Crackdown sui BAATX”). Essa ha accettato di buon grado l’appello di Henry Kissinger per una regolamentazione internazionale che parta dagli usi militari, e ne ha parlato con il vertice americano;

-L’Europa ha scelto deliberatamente, per non entrare in rotta di collisione con gli USA, di non avere una propria industria digitale, restando tributaria degli USA per tutta una serie di attività vitali (intelligence, internet, difesa, nuove tecnologie). In cambio, essa si vanta di essere all’ avanguardia della regolamentazione dell’ICT, tanto per la privacy quanto per l’IA. Peccato che le sue regolamentazioni non abbiano alcun effetto pratico, perché i GAFAM e l’Intelligence Community americani controllano l’intero ecosistema digitale e perfino la politica, e quindi sfuggono a qualsiasi controllo dell’Unione;

-gli Organismi Internazionali hanno tentato, come doveroso dal punto di vista istituzionale, di fare qualcosa, per esempio con la “Bozza di Convenzione-Quadro” elaborata da una commissione del Consigli d’Europa, o come la Dichiarazione delle Nazioni Unite, ma  sono state bloccate dalle Grandi Potenze, che desiderano che queste decisioni siano in mano a un club ristretto, che poi presenterà il fatto compiuto come un verdetto inesorabile della Storia, a cui nessuno penserà neppure lontanamente di opporsi.

3.L’Europa, anello indispensabile della governance mondiale dell’ IA.

In tutto ciò, la posizione dell’Europa è particolarmente ondivaga.

Dopo avere approvato, e abbondantemente propagandato, due importanti pacchetti legislativi, il DGPR e l‘AI Act, l’Europa è sostanzialmente assente dal dibattito internazionale sull’ IA, nonostante che il Papa e le Nazioni Unite abbiano chiaramente indicato quale dovrebbe essere il prossimo percorso:

-un pacchetto negoziale basato su un trattato generale applicabile al civile e al militare, al pubblico e al privato, da elaborare fin da subito;

-creazione di un’Agenzia Internazionale delle Nazioni Unite sul modello dell’ AIEA.

La realtà è che gli Stati Uniti e i GAFAM non cessano di fare pressione sugli Stati membri e sulla Commissione perché si segua invece un percorso diverso:

-postposizione del trattato;

-esclusione delle imprese private e del militare;

-firma solo da parte dei Paesi occidentali.

Un trattato  così depotenziato non servirebbe a nulla in quanto:

-il pericolo più grave è costituito dall’ uso militare dell’ IA, su cui si deve trovare un accordo anche con la Cina e con la Russia;

-il secondo è costituito dal controllo dei GAFAM su tutte le società umane, che non viene contrastato con vaghe enunciazioni di principio;

-manca del tutto un risvolto culturale, educativo e formativo fuori dal conformismo tecnocratico e moraleggiante imperante.

Se vi è oggi una “missione culturale dell’ Europa”, essa è quella di svelare che l’attuale “mainstream” occidentale, che trae le sue “radici” dal Vecchio Mondo, non è -che si tratti del “wokismo” o del tradizionale atteggiamento WASP-, un fenomeno universale, bensì un qualcosa di tipicamente americano (“the Dissidence of Dissent”, per dirla con Huntington), che ha estremizzato a tal punto vecchie idee europee del messianesimo, del relativismo e della democrazia, dal renderle insostenibili e irriconoscibili.

In questa luce, occorre, come proponevano gli autori sopra citati e come propone oggi  Cacciari, studiare e  rivalutare le culture asiatiche, anche se la soluzione indicata nell’ articolo di cui sopra ci sembra troppo semplicistica:”L’Autorità non sta nelle mani di un Capo, né in un Paese né sulla faccia della terra, ma è la Relazione stessa, sono le norme e le leggi che la stabiliscono e regolano e che tutti riconoscono perché vedono in esse le garanzie della loro stessa pace.”Questa è infatti semplicemente la definizione del “Dao” contenuta nel Dao De Ching di Lao Tse e nei Classici Confuciani.

E, secondo Cacciari, questa costituirebbe addirittura la fine del dissidio fra Destra e Sinistra (se non della pace mondiale) Ma qui cadiamo di nuovo in una prospettiva utopica. Infatti, il Dao è il risultato della dialettica fra Yin e Yang (maschile e femminile) proprio quella che la cultura woke vuole eliminare. E, infatti, Mao pensava che la dialettica destra-sinistra sia ineliminabile. Cacciari è ancora nostalgico della Fine della Storia, solo che, invece di concepirla secondo il “mainstream” occidentale, la concepisce secondo il filone cinese della “Grande Armonia” (“Datong”).

Comunque, il mondo multipolare non può, per definizione, essere dominato da una sola cultura, fosse pure la millenaria cultura cinese, che sembra avere comunque la meglio in una prospettiva di lungo termine. Questo perché il compito che attende la nuova generazione è assolutamente inedito, e richiede un contributo intellettuale di tutti, al di fuori della portata di ogni singola cultura. Del resto, più saggio appare l’approccio islamico, secondo cui “se Dio avesse voluto, avrebbe fatto di noi un’unica setta”.

Ciò che l’Europa può fare è essere il catalizzatore, il “Trendsetter”, di questo dibattito mondiale (come voleva l’attuale Commissione, che però non sapeva neppure da dove cominciare, perché manca dei necessari presupposti culturali e della necessaria indipendenza politica).

Per fare ciò, l’Europa deve avere una propria identità, che non può essere, né quella americana, né quella cinese, né quella islamica. Essa deve riscoprire senza paraocchi l’integralità la propria cultura, che non è solo una sommatoria di razionalismo greco, di legalismo romano e di monoteismo giudaico-cristiano, ma anche lo spirito dionisiaco dei nomadi delle steppe, il misticismo euro-islamico, la pasionarnost’ slava, lo spirito critico degl’intellettuali indipendenti, classificati abusivamente come “illuministi”…Basta con le censure a Omero, Ippocrate, Erodoto, Eraclito, Socrate, Tacito, Jordanes, i Provenzali, Machiavelli, i Gesuiti, Nietzsche, Soloviov, Dostojevskij, Simone Weil, Burgess…

Solo sulla base di un’antropologia personalistica assertiva e critica (opposta alle cosiddette “Educazioni anti-autoritarie”, e soprattutto alla “cultura woke”), il singolo cittadino potrà avere la forza intellettuale e di volontà necessaria per opporsi al determinismo della tecnocrazia e alle coercizioni quotidiane della rete e del “politicamente corretto”.

L’Europa nel suo complesso dev’essere libera di confrontarsi alla pari, senza complessi d’inferiorità, con gli altri continenti (“orgogliosamente volta al mondo” come scriveva Vörösmarty)  : con l’ America, certo, ma soprattutto con la Russia, con la Turchia, con Israele, con l’Islam (con i quali essa è intrinsecamente connessa), con la Cina, l’India, il Sud-America…, prendendo spunto, ove sia necessario, da tutte le alte culture.

Innanzitutto, deve uscire al più presto da questa guerra fratricida, motivata da un falso confronto fra l’Europa ortodossa e quella romano-germanica inventato a tavolino dai think tanks americani (Huntington), e deve fare anche di tutto per fare terminare quello fra Israele e il mondo mussulmano, che è alle soglie della sua casa.

Essa deve formulare su queste basi una sua proposta di pace, che veda l’Europa e la sua missione al centro del nuovo sistema multipolare, in quanto punto di equilibrio del “Parallelogramma delle Forze” mondiale. Per fare ciò, non può e non deve identificarsi unilateralmente con nessuno dei blocchi oggi in conflitto, come giustamente incominciano a suggerire alcuni intellettuali e politici.

Così, quando tutto ciò sarà finito, potremmo dedicarci alla vera battaglia del nostro tempo: quella per il controllo dell’Intelligenza Artificiale, intorno alla quale dovremmo coalizzare il mondo intero.

PRESENTAZIONE DI UN LIBRO SULL’IDENTITA’ EUROPEA

Non cessiamo di constatare che, dopo 70 anni di faticosa integrazione, finalmente, con due guerre alle porte, le tematiche europee, e, in primis, la principale fra di esse, quella dell’ identità dell’ Europa, incomincia ad entrare al centro del dibattito pubblico.

Perciò, mentre ci congratuliamo con l’amico Marcello Croce per la sua nuova opera, che speriamo sia posta al cuore di un rinnovato dibattito, segnaliamo che, a nostro avviso, occorrerebbe uno studio e un dibattito approfondito, non solo di questo tema, ma anche di qurelli ad esso collegati a monte e a valle, dalla storia senza censure dell’ Europa, al ruolo dell’ Europa nel mondo.

Su quest’ultimo punto, anticipiamo un prossimo post su questo sito, destinato a proporre alcune idee circa la collocazione dell’ Identità Europea nel quadro delle identità continentale nell’ ora del loro confronto con l’Intelligenza Artificiale.

Sollecitiamo anche un dibattito serrato circa il collegamento del tema dell’Identità Europea con quello del Ruolo dell’ Europa nel Mondo, in particolare in questo momento in cui, per la prima volta, la NATO chiede agli Stati Europei di combattere in prima persona, sul suolo europeo, una guerra contro un’altro Stato europeo.

E’ PASQUA: VOGLIAMO VERAMENTE FARE QUALCOSA PER

FERMARE LA GUERRA?

Osservazioni a margine della  Piattaforma sul Futuro dell’ Europa

Ho partecipato con interesse (in modo virtuale) alla riunione della Piattaforma sul Futuro dell’ Europa che si è tenuta Venerdì  30 marzo presso la sede della CGIL di Roma.

Ho constatato con soddisfazione che, nonostante il caos che regna nelle Istituzioni e, in generale, nel “mainstream”, i Federalisti continuano a seguire con estrema attenzione e con occhio critico e sistematico l’evolversi dell’ integrazione europea, sì che il Movimento Europeo resta uno dei pochi forum in cui il futuro dell’ Europa possa ancora essere discusso. Anzi, non c’è più, neanche qui, quell’ “endorsement” acritico delle posizioni delle Autorità che inficiava tradizionalmente la pretesa di costituire un’ alternativa all’ Europa funzionalistica che si è affermata nel tempo. Al contrario, si osa oramai criticare apertamente l’inconcludenza e l’incoerenza dei vertici europei e nazionali e la vuotezza dei programmi dei partiti.

In particolare, il documento presentato alla riunione dal Movimento sulla difesa europea mette giustamente in evidenza, in polemica con il “mainstream”, che i rapporti fra UE e la Russia “si sono progressivamente interrotti  per la conflittuale volontà degli Stati Uniti  di George Bush, ma anche di Barack Obama di consolidare il vantaggio strategicoi dell’ egemonia americana , ottenuto con la fine della Guerra Fredda  e la decisione di Vladimir Putin, dopo la momentanea presidenza di Dmitri Medvedev, di riprendere il mano il controllo della Russia come attore internazionale e non più regionale”, anche se noi vedremmo qui anche e soprattutto la ovvia delusione della Russia per non essere stata ammessa a fare parte sostanziale e paritetica dell’ Europa (la “Casa Comune Europea”), come si era sperato ai tempi della Conferenza di Praga con Gorbachev e Mitterrand.

Inoltre, il Libro Verde predisposto dal Movimento e presentato alla riunione ribadisce  a più riprese l’urgenza della ricerca di un’Identità Europea attraverso “cultural and educational policies”. Che, precisiamo noi, dovrebbero essere concepite in un senso molto diverso dagli attuali, timidi e ideologici, tentativi, per orientarsi verso lo studio obiettivo e approfondito della linguistica, della filosofia e della storia europee e mondiali, partendo dalla filologia generale e comparata, dall’ uso dell’ Intelligenza Artificiale, dalle lingue classiche europee e orientali, dalla filosofia e dalle religioni comparate, dalla preistoria europea, dalla lettura degli autori classici, dal dibattito senza censure, dai progetti europei dalle Crociate agl’Illuministi ,agli Anni ’20, ’30 e ’40 del Novecento, dalla psicoanalisi, dall’epistemologia e dalla storia delle tecnologie (cfr. il nostro “10.000 anni di identità europea”, Alpina, Torino, 2006).

Da questo studio dovrebbero nascere gli stimoli per una profonda autocritica della “vulgata” sulla storia europea, riconoscendo che il mito del continuo miglioramento dell’Umanità della filosofia ottocentesca è stato smentito dall’ esperienza esistenziale della nostra generazione, la quale, nella “Società delle aspettative decrescenti”,  non può che assentire sul  carattere tragico e imperfetto della realtà espresso in modo costante nei secoli dalla nostra cultura: la tragedia greca, il Neoplatonismo, Tertulliano, Dante, Rousseau, De Maistre, Leopardi, Kierkegaaard, la psicoanalisi, lo spiritualismo, la Dialettica dell’ Illuminismo…

In particolare, il movimento verso l’integrazione dell’ Europa non è, oggi, sospinto dal generale moto del progresso, bensì dall’ urgenza di coalizzare le forze contro il progetto postumanistico, anche quelle fuori dell’ Occidente. In questo senso, il progetto originario di “Casa Comune Europea”  di Gorbaciov, e Giovanni Paolo II  e Mitterrand è ancora totalmente recuperabile.

Infatti, come credevano Leibniz, De Maistre, Dostojevskij e Blok, non vi è nessuna incompatibilità di fondo fra Europa e Eurasia, che hanno attraversato, seppure con traiettorie diverse, la stessa “Età Critica” (Saint -imon), e ora si trovano nella stessa situazione drammatica descritta da Soloviov nella “Leggenda dell’ Anticristo”.

Anche la presunta inconciliabilità fra vari i popoli dell’ Intermarium (l’antica Rzeczpospolita polacco-lituana) e quelli di “tutte le Russie”, di cui parlano le retoriche nazionalistiche baltiche, polacche e ucraine, è smentita dalla loro culturale: Pushkin e Mickiewicz, Gogol e Tolstoj, De Maistre e Ivanov…Basti pensare a tutta la filmografia di Sokurov.

Negli Anni ’80 si darebbe dovuti partire dunque da un movimento culturale paneuropeo centripeto, quale espresso per esempio da Tarkowski, Kieslowski, Kusturica e Zviagintsev, dall’incontro fra i giovani di tutti i Paesi, dallo smussare gli angoli ideologici e giuridici delle società orientale e occidentale, dalla creazione di un’economia integrata (i “campioni paneuropei”!) e da un sistema paneuropeo di sicurezza, per arrivare alla Confederazione Europea, fra l’ Unione Europea e l’Unione Eurasiatica.

Cose tutte che vanno fatte adesso o mai più. Invece, le lamentazioni e gli auspici fatti un po’ da tutti, dal Vaticano al Presidente turco, dai politici italiani  ai giornalisti, sembrano solo un artificio retorico per non fare nulla. Meglio certo di coloro che sobillano l’inasprimento della situazione, che basta un nonnulla per poter degenerare. Basti pensare all’ incrocio sui cieli del Baltico fra i caccia italiani e quelli russi.

1.L’eterogenesi dei fini

Che la visione tragica della storia sia più realistica di quella progressiva, è dimostrato proprio dal fatto che l’Europa che abbiamo di fronte è l’esatto contrario di quella a cui aspiravano le minoranze europeiste dell’immediato dopoguerra, e anche gli uomini del dissenso dell’ Europa Centale e Orientale (pensiamo a Lev Gumilev, figlio di Anna Achmatova, al Cardinale Mindszénthy, a Nàgy e Màleter, a Sol’zhenitsin, a Rudolph Bahro). Come scriveva alcuni anni fa il compianto Giulietto Chiesa,”L’Unione Europea costituisce l’esempio più evidente dell’“Eterogenesi dei Fini”.

In sostanza, non si sarebbe mai dovuto parlare di “Fine della Storia”, se non come di un pericolo da scongiurare. Infatti, la Fine della Storia tanto agognata dalla “vulgata” occidentale è proprio quello che ci attendiamo adesso da un momento all’ altro, cioè l’ Apocalisse.

Nel Manifesto di Ventotene, si parlava di “Pace”, e invece abbiamo avuto la guerra civile greca,  i terrorismi alto-atesino, irlandese, basco, corso, brigatista e islamico, le interminabili (e non terminate)guerre di Corea, Cipro, Palestina, del Golfo, dell’ Afganistan, Siria, Libia, Yemen, ex Jugoslavia, ex URSS, nonché continue invasioni, prima dell’ URSS, poi delle sue ex-Repubbliche (non solo la Russia), nelle Repubbliche Autonome, e oggi leaders come Macron e Tusk parlano apertamente di guerra con la Russia, mentre Putin promette di attaccare gli F-16 della NATO non appena essi decollino per andare in Ucraina.Proprio ieri, aerei italiani hanno intercettato sul Mar Baltico i caccia russi.

I Padri Fondatori avevano descritto l’Europa Unita come la roccaforte della libertà, mentre invece abbiamo avuto le Gladio rosse e nere, i “cadaveri eccellenti”, i reati di opinione, le censure a Horkheimer e Adorno, Pasternak, Dziuba e  Dugin, il Politicamente Corretto, la “Cancel Culture”, la cultura “woke”, Echelon, Prism, i casi Assange, Snowden e Schrems, e ora la censura delle pretese “Fake News”.

Coudenhove-Kalergi e Simone Veil avevano propugnato un’Europa garante della cultura occidentale, e la Dichiarazione di Copenhagen (1973) aveva ufficializzato l’idea di un’ Identità Europea, e invece ci troviamo sommersi da un post-umanesimo omologatore, dalla diseducazione nelle scuole e sui media, dalle cangianti mode pseudo-culturali (“mid-brow” e “low-brow”) che arrivano dall’ America.

L’Europa aveva sostenuto fin dall’ inizio il principio di non-discriminazione, in particolare, fra le popolazioni maggioritarie e minoritarie di ciascuno Stato (una distinzione ripresa dall’Austromarxismo e dalla teoria sovietica delle nazionalità), ribadito dalla Carta di Maribor delle Minoranze, ed attuato in  Finlandia, Italia, Spagna, Belgio, Regno Unito.Invece, le minoranze presenti un po’ dovunque (Paesi Baltici, Ucraina, Georgia, Azerbaidzhan, Moldova,Francia, Germania, Inghilterra), ma anche in Spagna, in Croazia e nel Kossovo,  non godono di tale trattamento, poiché dopo 25 anni i Serbi della Krajna non sono ancora potuti tornare alle loro case, il Governo catalano è stato semplicemente imprigionato e  le minoranze russofone nell’ Unione Europea vengono trattate come apolidi (“nepilsonis”),mentre il Russo, pure essendo la lingua di una decina di milioni di abitanti dell’ Unione, di cui più di 6 milioni risultano come “migranti”, a cui si aggiungono i Russofoni naturalizzati e gli “apolidi” (più degli abitanti della maggioranza -16- degli Stati Membri), non è una  lingua ufficiale della stessa. Non parliamo infine della situazione anomala dell’ Ucraina, Paese inequivocabilmente plurilingue, più dello stesso Belgio e della Spagna.

Giscard d’Estaing  aveva parlato di un’ “Europe-Puissance”, che avrebbe potuto essere alla pari con l’America e la Russia, e, invece, ci vediamo impoveriti ed esclusi dalle trattative sul futuro del mondo.

Galimberti, Spinelli, Delors e Albert descrivevano un’ Europa  “terza via” (il “Modello Renano”), fondata sulla partecipazione a tutti i livelli, sul controllo sociale delle industrie strategiche e sui Campioni Europei, e invece abbiamo una società turbo-capitalistica dove cinque o sei guru dell’ informatica controllano la cultura, l’economia e la politica mondiali, con il plauso e l’attiva cooperazione dei vertici europei.

Infine, il discorso politico odierno ha semplicemente cancellato la memoria delle politiche avviate da decenni dalle Comunità Europee, come gli accordi di Yaoundé, Lomé e Cotonou (cfr. Riccardo Lala, Les procédures de a coopération financière et technique dans le cadre de la II Convention de Lomé, Giappichelli, 1991), che avevano attuato quanto oggi si propaganda come se fosse una politica nuova (per esempio, il “Piano Mattei”): la cooperazione europea con l’ Africa, ivi compreso il diritto di migrazione dagli Stati aderenti.

Anche i partiti europei fanno esattamente il contrario di ciò che sarebbe legittimo aspettarsi da loro. Il “centro” e la “sinistra” hanno gestito l’economia in modo tale da rovinare le nostre imprese e i nostri lavoratori, con le conseguenze che oggi vediamo. La Olivetti Informatica è stata “estirpata” come voleva Visentini; Mattei è stato ucciso; il Concorde è stato chiuso; l’EADS (European Aerospace and Defence), si è ridotta alla sola  Airbus; la FIAT non esiste più, anche grazie alle oscure vicende di cui si sta occupando la mogistratura; la Stellantis sta licenziando  i suoi ingegneri; la Renault  ha venduto per 1 rublo la fabbrica di Togliattigrad; i prestigiosi marchi tedeschi, senza l’interscambio con la Cina, non riescono a sopravvivere.

A loro volta, i “Patrioti” corrono a Washington e a Ramstein per prendere ordini sui tributi da versare alla NATO sotto forma di denaro, di armi o addirittura di soldati.

2.Le radici della guerra

Finalmente, nel dibattito pubblico, tanto in Europa che in America, comincia a farsi strada la consapevolezza che nessuno ha finora neppure progettato una via di uscita dalla guerra. Obiettiamo che Diàlexis aveva già proposto fin dal 2014 una via di uscita, attraverso il  rilancio della Confederazione Europea di Mitterrand e Gorbaciov, per “evitare un’ inutile strage (”No a un’ Inutile Strage”, prima edizione 2014)

Ora, se il Movimento Europeo ha il merito di avere ricostruito in modo obiettivo le premesse immediate della guerra, per arrivare a una soluzione si dovrebbe andare oltre, e analizzare con cura le motivazioni, ufficiali e ufficiose, della guerra, innanzitutto quelle  fornite dalla Russia stessa, attraverso il suo comportamento  fattuale, poi attraverso documenti ufficiali.

Dal momento della dissoluzione dell’ URSS, la Russia non aveva  cessato di sostenere le minoranze russe, russofone e/o russofile. Non avrebbe potuto fare altrimenti, perché lo  fanno tutti gli Stati del mondo, dalla Francia alla Cina, dall’Ungheria all’ Albania, dalla Romania a Israele. In più, il principale dissidente sovietico, lo scrittore Sol’zhenitsin, aveva scritto, subito prima del crollo dell’ Unione Sovietica, un fondamentale libello, “Kak nam obostruit’ Rossiju?”(“Come ristrutturare la nostra Russia”), che ha costituito la base su cui si sono costruiti gli Accordi di Bieloviezha, e, quindi, l’Unione di Stati Indipendenti (SNG), una confederazione sul modello dell’ Unione Europea attuale, che avrebbe dovuto sostituire l’Unione Sovietica, ma comprendendo solo gli Slavi dell’ Est e le Repubbliche eventualmente interessate.

Il referendum con cui si dice che le Repubbliche rifiutarono l’unione con la Russia parlava proprio di trasformazione dell’ URSS nell’ SNG, non di separazione, e vinsero i “Sì”. Il “progetto di ricostituire l’URSS” è in realtà solo il tentativo di trasformare l’SNG nell’ Unione Eurasiatica, con un passaggio simile a quello che  i federalisti perseguono con la sperata trasformazione dell’ Unione Europea “funzionalista” in una Federazione Europea “politica”.

La guerra civile in Ucraina era cominciata nel 2014 con la cacciata manu militari del presidente ucraino Janukovich, e con l’assemblea a Kharkiv degli amministratori locali dell’Ucraina Orientale, in cui si era deciso che i comuni russofoni avrebbero arruolato milizie di autodifesa. Di lì partirono le occupazioni armate delle sedi delle amministrazioni locali, e l’attacco alle città russofone da parte dei battaglioni nazionalisti.

La dichiarazione congiunta con la Cina pubblicata prima dell’ invasione dell’ Ucraina da parte dell’ Armata Russa non parlava di rivendicazioni territoriali verso l’Ucraina, così come non ne parlavano le due bozze di trattato  indirizzate dalla Russia alla NATO e all’ UE. La prima parlava di un Nuovo Ordine Mondiale multipolare; la seconda, dell’ arretramento ad Occidente di tutte le forze americane. Nonostante tanto parlare da tutte le parti, è logico pensare che gli obiettivi della guerra in corso siano rimasti quelli, ed a quelli bisogna rispondere. Essi non riguardano se non marginalmente l’Ucraina, che, in un Nuovo Ordine Mondiale, potrebbe vivere benissimo senza scissioni od occupazioni straniere.

3.Un possibile percorso negoziale verso la Confederazione Europea.

Se si vuole trattare, bisogna che si muovano gli Stati Uniti e probabilmente anche la Cina, che sono i reali interlocutori di questa guerra, coinvolgendo ovviamente Russia e Ucraina, ma anche l’Europa, l’India e l’Islam. Si noti che USA e Cina hanno già iniziato trattative sul problema che per loro è più scottante: l’Intelligenza Artificiale.

In ogni caso, non si può fare finta che il problema posto in quei documenti non esista: l’”Occidente” (che rappresenta solo il 25% della popolazione mondiale) pretende da almeno 80 anni di essere l’unica realtà culturale, politica, militare, economica, tecnologica, che conta nel mondo, non riconoscendo pari dignità a Cina, Russia, India, Islam, e neppure Europa. E’ impensabile che il resto del mondo continui indefinitamente ad accettare questa situazione, senza successivi, sempre più gravi, sconquassi

Qualche concessione dovrà essere fatta, su tutti i piani: ampliando lo studio e la divulgazione delle culture non occidentali; riducendo i privilegi dell’Occidente in campo finanziario, tecnologico e logistico: stipulando nuovi trattati universali per disciplinare i settori oggi non regolamentati, in primo luogo, l’ Intelligenza Artificiale.

Il primo passo dovrebbe essere costituito da una Convenzione-Quadro Universale sull’ Intelligenza Artificiale, che oggi tutto condiziona, e sulla quale si è praticamente fermi.

All’ interno di questa trattativa a livello mondiale, che potrebbe congelare la guerra in corso,  Unione Europea, Ucraina e Unione Eurasiatica potrebbero riprendere le fila della Confederazione Europea di Gorbachev e Mitterrand, all’ interno della quale un’Ucraina federalizzata (“Autonomia Differenziata” sul modello italiano: Kiev/Kyiv, Kharkov/Kharkiv, Donbass, Nuova Russia, Crimea, Bessarabia, Rutenia transcarpatica e ciscarpartica, Galizia, Polessia…), come la stava creando Janukovic (il “Partito delle Regioni”), potrebbe costituire il “territorio federale” (come  negli USA il District of Columbia), e Kiev/Kyiv essere la capitale della Confederazione. In ambedue la parti dell’Eurasia,dovrebbe essere garantito uno stock minimo di diritti, a cominciare da quelli delle minoranze.

Le truppe russe e occidentali dovrebbero essere ritirate dall’ Ucraina, e l’Unione Europea dovrebbe creare un Esercito Europeo comparabile a quello russo (anche mediante apporti di basi e materiali delle attuali truppe russe e americane). L’Europa spende già oggi per la Difesa più della stessa Russia, ma lo spende male. Ambedue gli eserciti dovrebbero garantire lo status quo attraverso appositi trattati di disarmo e sull’ Intelligenza Artificiale.

Le preoccupazioni della Cina e della Russia verrebbe prese in considerazione allontanando truppe e movimenti politici ostili dalla frontiera russa, quelle dell’Ucraina garantendone l’indipendenza e l’integrità, e addirittura promuovendo Kiev/Kyiv a capitale confederale dell’ Eurasia. La Cina e gli USA ne trarrebbero anch’esse un loro tornaconto, spianando la strada a un accordo globale sull’ Intelligenza Artificiale sotto la loro egida, che costituirebbe  la migliore prova della loro egemonia congiunta.

Qualcosa di simile si potrebbe fare anche in Asia (per esempio in Palestina e a Taiwan).

Certo, un siffatto progetto lederebbe gravemente molte attuali rendite di posizione, e, per questo, comporterebbe anch’esso nuovi conflitti molto duri, ma certamente garantirebbe il “Futuro dell’ Europa” meglio di quanto accada oggi.

Chissà se qualche candidato alle Elezioni Europee potesse parlarne? Perché il Movimento Europeo non prende in considerazione un progetto di questo genere ?

IL PROGETTO DRAGHI PER L’EUROPA

E LO SCETTICISMO DELL’ESTABLISHMENT

IL PROGETTO DRAGHI PER L’EUROPA

E LO SCETTICISMO DELL’ESTABLISHMENT

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Più che l’analisi formulata da Draghi alla presentazione del libro di Cazzullo “Quando eravamo padroni del mondo” – quasi scontata, e condivisa da tutti, secondo la quale l’Unione Europea non funziona più, ed è, perciò,  da reinventare-, stupiscono i commenti dei giornali dell’ “establishment”, e, in primis, quello de “La Repubblica”, che, in altri tempi, si sarebbero limitati ad applaudire. L’articolo di Giovanni Orsina “Perché lo Stato europeo di Draghi è un’idea forte ma irrealizzabile” percorre, sostanzialmente, la strada dell’euroscetticismo,  constatando che l’andamento elettorale in tutta Europa, che premia i partiti definiti impropriamente “sovranisti”, va piuttosto nel senso di una riappropriazione di poteri da parte degli Stati membri. Secondo Orsina, s’imporrebbe un compromesso fra il “razionale” federalismo e il sostanziale micro-nazionalismo (che potrebbe trovare la sua espressione al Parlamento Europeo in un allargamento a destra della “Maggioranza Ursula”, verso l’instabile galassia degli europartiti di destra, che si stanno confrontando al loro interno, nella speranza di essere arrivati finalmente alla “stanza dei bottoni”.

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Più che l’analisi formulata da Draghi alla presentazione del libro di Cazzullo “Quando eravamo padroni del mondo” – quasi scontata, e condivisa da tutti, secondo la quale l’Unione Europea non funziona più, ed è, perciò,  da reinventare-, stupiscono i commenti dei giornali dell’ “establishment”, e, in primis, quello de “La Repubblica”, che, in altri tempi, si sarebbero limitati ad applaudire. L’articolo di Giovanni Orsina “Perché lo Stato europeo di Draghi è un’idea forte ma irrealizzabile” percorre, sostanzialmente, la strada dell’euroscetticismo,  constatando che l’andamento elettorale in tutta Europa, che premia i partiti definiti impropriamente “sovranisti”, va piuttosto nel senso di una riappropriazione di poteri da parte degli Stati membri. Secondo Orsina, s’imporrebbe un compromesso fra il “razionale” federalismo e il sostanziale micro-nazionalismo (che potrebbe trovare la sua espressione al Parlamento Europeo in un allargamento a destra della “Maggioranza Ursula”, verso l’instabile galassia degli europartiti di destra, che si stanno confrontando al loro interno, nella speranza di essere arrivati finalmente alla “stanza dei bottoni”.

1.La federazione europea non è nell’ interesse degli Stati Uniti (ANDREW A. MICHTA, “Politico”)

Una spiegazione esauriente del cambiamento di rotta dell’“establishment” si può trovare nell’ articolo di Michta su “Politico” che abbiamo riportato nel post del 24 Novembre u.s, il rafforzamento dell’ Unione, quale vorrebbero (forse) i Governi francese e tedesco, che ha trovato una sua blanda espressione nel documento del “Gruppo dei 12” franco-tedesco, “non è nell’ interesse degli Stati Uniti”.L’optimum è che l’ Europa non si rafforzi troppo, ma neppure si sgretoli, restando in eterno “né carne, né pesce”. Cosa possibile, ma improbabile.

Viene così al pettine il nodo cruciale dell’Unione Europea: nonostante che uno Stato europeo forte, come invoca Draghi, sia da almeno cent’anni un’esigenza urgente per i popoli d’Europa e per il mondo intero (vedi “Pan-europa”, 1923), le classi dirigenti europee, succubi delle vecchie ideologie sette-ottocentesche, come il neo-liberismo internazionale, l’internazionalismo socialista, la teologia della liberazione, il micro-nazionalismo e perfino il “fardello dell’ Uomo Bianco” (e/o “occidentale” o “ariano”), non vi hanno prestato minimamente attenzione, e, quando l’hanno fatto, l’hanno fatto distrattamente, senza dedicarvi eccessivo impegno.

Basti riandare al quasi dilettantistico, anche se sofisticato, progetto di Coudenhove Kalergi, alle oscillazioni di Spinelli fra un federalismo rivoluzionario come quello di Ventotene e un inserimento di fatto nell’establishment funzionalistico ( come commissario ed europarlamentare), e, infine, alla facile liquidazione dei conati europeistici della Francia post-gollista (Giscard d’Estaing, Mitterrand), nonché di Gorbaciov, e perfino del progetto di federazione sotto l’Asse, subito bloccatosi al “Nein” stilato da Hitler al margine dell’ apposito documento di Ribbentrop.

In realtà, come scrivevamo nel post del 24/11, le Comunità Europee avevano esordito nientemeno che con un ordine del giorno approvato dal Senato americano su proposta del Senatore Fulbright, con l’American Commission for a United Europe e con una Dichiarazione Schuman in realtà approntata da Monnet a quattr’occhi con il Segretario di Sato americano Dean Atcheson, sbarcato con un blitz a Parigi il giorno prima dell’ annunzio al Quai d’Orsai.

Le Comunità Europee erano quindi nate da cerchie ristrettissime, più americane che europee, e non avevano mai posseduto, né la ricchezza intellettuale, ne lo spirito combattivo, non diciamo per discostarsi dai desiderata americani, ma neppure per pensare a un proprio autonomo percorso culturale.

2. Sconvolgimento degli equilibri post-1945

Oggi, di fronte al mutamento drammatico dello scenario mondiale, dominato da un’ Intelligenza Artificiale che, sole, possono permettersi le Grandi Potenze; dinanzi allo sconvolgimento del potere di fatto all’ interno degli USA per via della crescente maggioranza “non WASP” (cioè Latinos, Afroamericani, Nativi Americani, Asiatici, più Cattolici, Irlandesi, Gallesi, Scozzesi, Tedeschi, Italiani, Polacchi, Ebrei…), e del conseguente peso della cultura “woke”, e, infine, dinanzi al prevalere economico dell’ Asia e dei BRICS, una nuova ondata in Europa è inevitabile, con o senza l’ Unione Europea.

Tutto ciò rende, da un lato, più urgente che mai, e, dall’ altro, finalmente possibile, un’Europa forte come indicato da Draghi, a patto, però, di abbandonare la cultura “mainstream” del nostro “establishment”,  ponendosi come obiettivo, non già di supportare da un ruolo ancillare la prosecuzione del tentativo di presa di controllo sul  mondo dei GAFAM, bensì di costruire un’alternativa agli stessi, fondata sulla cultura tradizionale europea, che è critica, elitaria e sociale.

Accertato infatti (come implicitamente fanno tanto Draghi quanto Orsina) che le classi dirigenti europee attuali non sono in grado di esprimere alcun progetto sui temi più importanti, come la sopravvivenza dell’ Umanità, il dialogo multiculturale e la Guerra Mondiale a Pezzi, occorrerebbe partire da una seppur modesta élite capace di pensiero autonomo, che si dedicasse alla comparazione senza pregiudizi con gli altri Continenti, alla risposta alle domande irrisolte dei nostri filosofi e delle diverse confessioni religiose europee, e, infine, all’ educazione degli Europei per il XXI Secolo. Solo una siffatta classe dirigente potrebbe volere, e tentare di realizzare , un’Europa più compatta, talmente sicura di sé da poter permettere senza pericolo alle sue regioni di esprimere quelle distinte identità che contrassegnano il nostro Continente, soddisfacendo così nello stesso tempo le esigenze dei federalisti europei e quelle dei  micronazionalisti.

TORINO CAPITALE EUROPEA

DELLA CULTURA NEL 2033?

Giovedì 16, il Sindaco di Torino, Lo Russo, ha annunziato che la Città intende porre la propria candidatura a Capitale Europea della Cultura  2033.

Siamo sempre più meravigliati di come temi che noi ponevamo fin dagli Anni 60 siano oramai divenuti, seppure con enorme ritardo, realtà effettiva, e, in particolare, di come quelli che sono stati all’origine, 20 anni fa, dell’ impegno dell’ Associazione Diàlexis, come la politica tecnologica dell’ Europa e Torino Capitale Europea della Cultura, siano solo oggi giunti al centro dell’ interesse delle Istituzioni.

Non vogliamo rivendicare una sorta di “primogenitura”su questi temi, bensì mettere solo in evidenza che, nonostante sia più redditizio attenersi strettamente al “mainstream”, è anche rischioso ignorare le visioni di lungo termine (il deprecato “longtermism”), perché esse finiscono prima o poi per avverarsi.

1.Il Comitato per Torino Capitale Europea della Cultura 2019

Nel caso di Torino, si era fatto tanto parlare nel 2012 di Torino Capitale Europea della Cultura per il 2019, ma poi, all’ ultimo momento, il Sindaco Fassino aveva deciso di non presentare nemmeno la candidatura. Ora l’attuale sindaco, Lo Russo, vuole candidare la città per il 2033, prossima data in cui questo compito spetterà nuovamente all’ Italia. L’idea è senz’altro eccellente, e non per nulla l’Associazione Diàlexis si era data tanto da fare  a partire dal 2012 per sostenere la candidatura, innanzitutto creando un comitato a sostegno della stessa, il quale aveva organizzato una serie d’iniziative di accompagnamento, e, poi, pubblicando due instant-book programmatici (“Torino, Capitale Europea della Cultura?”, e  “Torino Snodo della Cultura Europea”). Eravamo, e ancora siamoconvinti , infatti, che l’intera Europa e Torino in particolare abbiano una vera e propria urgenza di una “transizione culturale”, che dovrà affiancarsi alle transizioni digitale ed ecologica: ché, altrimenti, queste due sono condannate a degenerare nella direzione di una dittatura tecnocratica post-umanistica.

Le Capitali Europee della Cultura sono una delle pochissime azioni europee di carattere culturale, sì che sarebbe auspicabile che il loro successo costituisse uno stimolo ad allargare di molto lo sforzo europeo per la transizione culturale.

In particolare Torino, orfana, da un lato, dell’ingombrante presenza del Gruppo FIAT, e, dall’ altro, del mondo culturale azionista e comunista, che bene o male presidiava l’industria culturale cittadina, ha un drammatico bisogno, da un lato, di ingenti attività economiche alternative, e, dall’ altro, di una nuova classe dirigente idonea ad affrontare le sfide della Società delle Macchine Intelligenti.

L’intera attività della nostra Associazione negli ultimi 17 anni è stata rivolta a porre le basi teoriche per una siffatta classe dirigente.

Crediamo che molti temi nati  nel 2010 dal Comitato della Società Civile per Torino Capitale Europea della Cultura possano essere ripresi oggi.  Quello principale era che, perché valga la pena, per una città, di essere “Capitale Europea della Cultura”, bisogna volere esserlo davvero, e non solo durante il fatidico anno in cui si detiene il titolo.Come ha scritto su “La Stampa” Lorenzo Fazio, “L’obiettivo dovrebbe essere fare di Torino la Capitale europea della cultura non solo per un anno, ma per sempre”.

2.Capitale europea della Cultura e  Istituto Italiano per l’Intelligenza Artificiale

In pratica, la Città dovrebbe cercare riunire in sé le comnpetenze e la volontà politica pewr dare risposta, sul piano teorico come su quello pratico, alla principale sfida della società contemporanea:la convivenza, da un lato, fra uomini e macchine intelligenti, e, dall’ altro, fra le varie identità umane, universale e continentali, religiose e regionali, ideologiche e nazionali, locali, cittadine e individuali.

A titolo di esempio, ricordiamo che il Governo ha appena approvato lo Statuto dell’Istituto Italiano per la Proprietà Intellettuale con sede a Torino. Questa realtà, lungi dal rappresentare solo un patrimonio tecnologico della Città, potrebbe, e dovrebbe, costituire un fondamentale elemento di cultura, appunto un aiuto per affrontare il problema numero uno del XXI° Secolo: il mantenimento della centralità dell’ Umano pur in un mondo popolato dalle macchine intelligenti, o addirittura “spirituali”. L’”Intelligenza Artificiale” è cultura in tutti i sensi del termine, almeno quanto l’intelligenza umana.

Per fare ciò, s’ impone una vigorosa azione lungo quattro direttive:

-lo studio e il dibattito culturale;

-il recupero delle basi esistenziali e pedagogiche delle civiltà dell’ Epoca Assiale;

-un processo intensivo di “upskilling” digitale dell’ intera società;

-il sostegno alla nascita nel territorio di imprese innovative del settore digitale;

una vera rivoluzione della struttura economica, demografica e sociale.

Affinché la candidatura a Capitale Europea della Cultura  2033 possa rappresentare un contributo non effimero, una parte, non secondaria,  del dossier di candidatura dovrebbe essere dedicata a questi temi, come indicato già nei nostri libri pubblicati nel 2010, non tanto in senso teorico, quanto declinandoli sotto forma di eventi, arte digitale, convegni, musei, produzioni editoriali e cinematografiche. Nel fare ciò, anche l’Istituendo Istituto potrebbe, e dovrebbe, fare la sua parte.

L’Associazione Diàlexis, fedele alla sua missione istitutiva, intendeva sensibilizzare al contempo le Istituzioni e i membri dell’allora Comitato della Società Civile per Torino Capitale Europea della Cultura, con l’obiettivo d’ integrare la società civile  nelle attività di accompagnamento della candidatura. Avevamo organizzato per questo una serie di manifestazioni al Comune, alla Fondazione Agnelli, al Circolo dei Lettori e nella sede di Alpina Srl.

Ora, come primo passo, stiamo rieditando il libro “Torino, Capitale Europea della Cultura?”, che, a nostro avviso, può ancora, anche dopo 12 anni, costituire un utile strumento di orientamento delle politiche locali in materia, e che comunque è già acquistabile come e.book presso StreetLib(https://store.streetlib.com/politica-e-societa/intorno-alle-alpi-occidentali-autour-des-alpes-occidentales-identita-di-un-euroregione-identite-dune-euroregion-30081/), e, inoltre, come e.book e in formato cartaceo, il libro, collegato al primo, “Torino, snodo della cultura europea”.

Cercheremo d’interagire con la società civile e con le istituzioni come già fatto in occasione della mancata candidatura del 2012.

4.Il favore del Ministro Sangiuliano

Pare che il motivo per cui  il Sindaco Fassino aveva rinunziato allora alla candidatura, che pure si stava preparando, fosse stato un informale parere negativo da parte dell’allora Ministro della Cultura Bray, che avrebbe espresso la propria preferenza per Matera. Premesso che, dal punto di vista giuridico, il Ministero nazionale della Cultura non è l’unico soggetto decisivo nella scelta della città Capitale Europea della Cultura, da effettuarsi anche e soprattutto da parte di una commissione indipendente nominata dall’ Unione Europea, bene ha fatto il Sindaco Lo Russo a chiedere pubblicamente un parere preventivo del Ministro della Cultura, Sangiuliano, il quale ha risposto prontamente e pubblicamente, manifestando il suo (per quanto generico) apprezzamento:”Torino è una naturale capitale della cultura, una città densa di storia e tradizioni che negli ultimi anni ha subito importanti trasformazioni.La sua aspirazione a essere Capitale Europea della Cultura è fondata, come quella di altre città italiane.”

Ciò fatto, s’impone un’azione urgente. Come ha dichiarato a “La Stampa” l’assessora alla Cultura del Comune di Torino, Rosanna Purchia, “o partiamo nel 2024 oppure perdiamo il treno, è un lavoro che si costruisce con il tempo, senza che nessuno ti garantisca la vittoria fino all’ ultimo momento. Matera ci ha lavorato per 9 anni, altre città come Barcellona addirittura 10.”

Nonostante l’incertezza del risultato, proprio la complessità del processo di preparazione di una candidatura fa sì ch’esso abbia un valore di per se stesso, in quanto costringe Istituzioni e società civile a confrontarsi lungamente e approfonditamente sul futuro della città. Non sarebbe  in nessun caso un lavoro buttato , anzi, si concreta esso stesso in manifestazioni dotate di un loro peso specifico, in quanto “danno il tono” alla vita culturale, politica e sociale della città candidata, finalizzando tutti gli sforzi in tutti i campi appunto alla candidatura. E’ quanto sostenuto nel nostro libro “Torino, Snodo della cultura europea”, dove venivano censiti una sessantina di progetti per la Capitale Europea della Cultura, che i membri del Comitato erano pronti a realizzare, in consorzio fra di loro o con terzi, o insieme all’ apposita struttura creata dal Comune. Tali progetti, che comunicheremo al più presto al Comune,attualizzati per il 2033.

I punti focali sono:

-affinare la ricerca dell’identità del nostro territorio dopo la fine della società industriale e l’avvio di quella digitale, riscoprendo anche aspetti fino ad oggi trascurati, come la regione transfrontaliera delle Alpi Occidentali(cfr. nostro libro “Intorno alle Alpi Occidentali/Autour des Alpes Occidentales”), l’identità storica piemontese; le tradizioni feudali e sabaude; le culture non conformistiche, anche straniere, come Nietzsche e Michels;  l’esperienza olistica olivettiana; la progettualità politica del territorio (cfr. nostro libro “I progetti europei nella Resistenza”),il turismo montano non sciistico;

-concentrarsi sulla cultura delle nuove tecnologie ( Intelligenza Artificiale, proprietà intellettuale, spazio,  cyberguerra, cyber-intelligence; ma anche bioingegneria, algoretica, arte digitale, diritto dell’ informatica…), che oggi costituiscono la maggioranza delle questioni culturali, politiche, sociali ed etiche  ed etiche più urgenti (cfr. i nostri libri:Habeas Corpus Digitale,Corpus Iuris Technologici,

Re-Starting EU economy via technology-intensive Industries,European Technology Agency,L’Istituto Italiano dell’intelligenzaArtificiale di Torino;L’Europa e l’Agenda Digitale, tutti acquistabili nella forma di e.book tramite StreetLib.

Capiamo che, come emerge dalla lettura della stampa, questa candidatura, come un po’ tutte le candidature per la Capitale Europea della Cultura, sarà per gran parte un portato delle Istituzioni e delle grandi organizzazioni della Società Civile, fornite di un’adeguata superficie finanziaria e organizzativa. Tuttavia, in questo momento di profonda transizione nell’organizzazione delle politiche culturali, non credo si possa impedire a tutta una galassia di soggetti, “mainstream”o no, istituzionali o no,  di fornire adeguatamente consorziati, il proprio apporto su temi specifici. Capiamo anche che, in un processo così lungo, la generazione che potrebbe realizzare l’impresa sarà diversa da quella che si era adoperata con noi per Torino capitale 2019. Occorre comunque passare il testimone, affinché la Torino dei nostri figli non sia ancor più decadente e disorientata di quella odierna..

Per questo, puntiamo a ricostituire il Comitato della Società Civile per Torino Capitale Culturale Europea.

Al lavoro, dunque!

RADICI. IL FESTIVAL DELL’IDENTITÀ, Cultura e tradizione


Nel prendere atto di questa interessante iniziativa (cfr.allegato a questo post: il programma verrà postato a parte), che, affrontando il tema a noi caro delle identità, segna un cambio di passo rispetto alle pur numerose manifestazioni tradizionali nella nostra città, invitiamo i nostri lettori a parteciparvi.
Riteniamo opportuno pubblicare anche una serie di nostre considerazioni sul tema oggetto della manifestazione e alcune osservazioni volte a possibili miglioramenti per gli anni a venire.


1.Resilienza delle identità
Il mondo sta veramente cambiando.

L’identità, che prima sembrava solo “una parolaccia”, è oggi tornata al centro del dibattito culturale e politico. E come potrebbe essere diversamente, se i grandi fenomeni storici che si sviluppano sotto i nostri occhi (rinascita di Israele e della Cina, individualismo democratico, panarabismo, femminismo, crollo dell’ Unione Sovietica e giganteggiare delle sue ex Repubbliche, movimento LGTB+, “fondamentalismi”), si sviluppano tutti nel nome delle identità: culturale, storica, collettiva, etno-nazionale, individuale, nazionale, sessuale, religiosa, di genere?
Come noto, la problematica dell’identità nasce con Hume, che, nel suo empirismo, negava il concetto classico di identità personale, ma poi solo per pervenire alla conclusione che l’identità e necessaria, in quanto è la sola cosa che rimane nell’incessante divenire dei fenomeni. Quest’idea fu poi sviluppata dai Romantici, per i quali l’identità era un necessario contrappeso alle illusioni dell’esistenza (un’autenticità che spezza la banalità borghese). Tutto ciò portò all’esaltazione dell’Eroe (Carlyle), e, poi, del Superuomo (Nietzsche).
La ricerca della propria identità personale è stata poi alla base della psicanalisi, e la difesa delle identità collettive ha costituito la motivazione prima dei Risorgimenti, delle lotte anti-coloniali e delle guerre civili post-sovietiche.
A partire, infine, dal tentativo di omologazione mondiale avviato con la globalizzazione e la pretesa “Fine della Storia”, la difesa delle identità è divenuta la parola d’ordine di tutti i nuovi movimenti, e di quasi tutti gli Stati, ché, altrimenti, gli uni e gli altri, a causa della “Fine della Storia” non avrebbero più neppure avuto una ragion d’essere.
Se io ho, o affermo, un’identità, sono costretto, per affermarla, a combattere la globalizzazione, l’omologazione, l’egualitarismo, l’apolidismo. Invece, l’informatica e l’Intelligenza Artificiale stanno facendo temere concretamente la prossima perdita della soggettività umana, rendendo così urgente una generalizzata rivolta identitaria.
2.L’identità quale strumento della politica
Oramai, chi non padroneggia la materia delle identità non può avere un peso politico nel XXI Secolo, perché in ogni contesto la politica consiste ormai in ultima analisi nel fronteggiarsi di identità contrapposte: quella tradizionalista e quella “liquida”; quella WASP e quella Woke; quella spagnola e quella catalana; quella pan-serba e quella grande-albanese; quella pan-russa e quella ucraina; quella ebraica e quella palestinese…(anche se nel contesto di un conflitto “identitario” più vasto: tecnocrazia contro umanesimo).
Molti vorrebbero svolgere il ruolo di mediatori, ma non ne sono capaci, perché le loro culture non sono così “universali” da permettere loro di comprendere le ragioni delle opposte identità e di comporle in un’unità superiore. Nonostante la sua presunzione, la cultura “progressista”, fondata sullo sviluppo di idee astratte e di un’impersonale “Ragione” è del tutto aliena dall’ empatia con le diverse “Identità”, e, al contrario, finisce per favorire solo l’omologazione universale.In tal modo, si è auto-esclusa dai necessari sforzi di mediazione.

3.I casi post-sovietici e post-jugoslavi

Tra l’altro, le opposte identità che si fronteggiano sono spesso molto più simili di quanto non appaia, perché si riallacciano in ultima analisi al substrato istintuale comune dell’Umanità, alle grandi civiltà ancestrali, alle tradizioni regionali e macro-regionali, ad una convivenza millenaria sui territori…. Per esempio, Russi ed Ucraini condividono quella “etnografia degli Slavi Orientali” ben studiata nell’ era sovietica: hanno in comune eroi (Ol’ga, Vladimir, Razin, Pugaciov), letterature (Il Canto della Schiera di Igor, le Bylyne, Gogol’), uomini politici (Khruscev, Brezhniev). Le loro lingue sono intercambiabili, al punto che, tradizionalmente, la maggior parte della popolazione ucraina parlava il Surzhyk,un miscuglio di lingue slave-orientali, mentre Cakavo, Stokavo, Kajkavo, Ikavo, Jekavo ed Ekavo “se ne fregano” delle frontiere fra le Repubbliche e delle lingue “nazionali” artificiali inventate nell’ultimo quarantennio (Serbo, Croato, Bosniaci, Montenegrino).

Infine, Palestinesi ed Israeliani sono ambedue un miscuglio di popoli diversissimi, ma ambedue accomunati da una lingua e cultura semitica, dal legame con le tradizioni dei Popoli del Libro, dalla centralità della cultura religiosa come fatto dentitario.

E’ solo la modestissima cultura dell’ establishment, “appiattita” sui luoghi comuni e sulle ideologie degli ultimi secoli a non vedere, per esempio, gli aspetti di continuità fra Yamnaya, la Civiltà Danubiana, i Popoli delle Steppe, la Federazione Linguistica Balcanica, il Canto della Schiera di Igor, i Cosacchi, la Guerra di Crimea, l’Ostalgie, come pure gl’Imperatori Illirici, il Glagolitico, i monasteri ortodossi e islamici, Fortis, Tommaseo, Mestrovic, Andric, Kadaré, e, infine, le descrizioni che gli antichi Egizi facevano dei conflitti nell’ Antica Palestina, oppure le figure intermedie dei Samaritani e dei Cristiani arabi orientali.

L’ interesse comune delle diverse identità sarebbe quello di combattere insieme contro l’omologazione mondiale, che sta trovando il suo sbocco nel progetto nichilistico della “Singularity Tecnologica”, ma gli opposti “establishment” non lo comprendono perché già parzialmente obnubilati da quella cultura della globalizzazione che credono di osteggiare.
Così, con la “Guerra Mondiale a Pezzi” accelerano la transizione alla Società delle Macchine Intelligenti (AI, droni, sistemi autonomi, cyberguerrieri), le quali prosperano in un contesto di guerra totale.

Il conflitto russo-ucraino costituisce una delle prove più schiaccianti del fallimento della politica sovietica delle nazionalità, studiata e applicata, all’ interno di una formale cornice marxista, dallo stesso Stalin (inviato appositamente a Vienna da Lenin per studiare l’austro-marxismo dell’ Impero Austro-Ungarico), il quale pensava di giocare tanto le nazionalità quanto l’internazionalismo per fare dell’ URSS un Paese veramente federale (attraverso la dialettica “korenizacijai/slijanijeii”). Tuttavia, proprio l’austro-marxismo, a cui i comunisti si ispiravano, non forniva una base sufficiente per fondare un “patriottismo sovietico”, che avrebbe trovato ben più valide ragioni nell’eurasiatismo, concependo quest’ultimo l’URSS come un lontano erede dell’impero mongolo (Trubeckoj, Gumiliov),a sua volta massima incarnazione delle federazioni di popoli delle steppe da sempre esistite, come quelle Unnica, Göktürk, Uigurica, Avarica, Khazara, in continua evoluzione secondo le modalità dell’ “Etnogenesi” teorizzata da Gumiliov.

Come si vede, questa era la ragione profonda per il crollo dell’ Unione Sovietica e della Jugoslavia, e le attuali convulsioni sono dovute essenzialmente allo sforzo per realizzare una radicale inversione di rotta, dall’ austro-marxismo, all’ eurasiatismo. Anche l’idea di due Stati in Palestina soffre della stessa concezione rigida delle nazionalità. Non per nulla, anche Herzl e Buber provenivano dall’ Impero Austro-Ungarico, che nonostante le sue positive premesse, era stato travolto dalla mancata soluzione della questione nazionale.

Nello stesso modo, Tito aveva costruito una federazione sulla falsariga di quella sovietica, esasperando, come in URSS, la “korenizacija” dei popoli “titolari”, così facendo perdere di vista il carattere “pan-europeo” delle Krajine, della costa dalmata, dell’Euroislam, della Macedonia e del Kosovo, e fornendo carburante all’esplosione piccolo-nazionalistico delle guerre jugoslave.

In che modo la consapevolezza delle comunalità fra identità contrapposte possa contribuire alla riduzione delle conflittualità può essere illustrato dall’ approccio da noi adottato nel libro “De Illyrico et Moesia”, dove, facendo leva sulla “federazione linguistica balcanica”iii e sulle tradizioni illiricaiv, cirillo-metodianav, bogumilavi e morlaccavii, abbiamo cercato di ritrovare elementi di continuità fra l’Impero Romano, le presenze slava, neo-latina e islamica. In questo contesto, un approccio macro-regionale e cantonale, lungi dal costituire un’aborrita soluzione di emergenza, potrebbe permettere di mettere in luce la vera identità dei Balcani Occidentali.


3.I limiti del Festival
Il Festival dell’1-5 novembre ci pare percorrere finalmente la strada giusta, anche se è ancora caratterizzato da due dimenticanze: l’Identità Europea, mai citata in nessuno dei titoli né dei programmi, e le identità degli altri Continenti che si stanno affermando prepotentemente in questi anni, prime fra le quali quelle islamica e quella cinese. Vi è solo un timido accenno all’ identità “dell’ Occidente”(Cardini), Mancano però le “Identità Continentali”, protagoniste della grande trasformazione in corso nel sistema mondiale, le uniche che, proprio per questa loro attualità. riescano a suscitare riflessioni pertinenti e l’entusiasmo di intellettuali e opinioni pubbliche.
Certo, l’identità europea sarà presente, seppure indirettamente, attraverso la presentazione, da parte di Cardini, del suo libro “La deriva dell’ Occidente” ( che per altro è dedicato prioritariamente, più che all’approfondimento di ciò che è specifico dell’ Europa, alla critica a un Occidente a guida americana); quella ebraica ,nel colloquio con Ruth Dureghello; quelle russa e balcanica con Kusturica,che parlerà di Peter Handke.Tutte identità più vaste o più ristrette di quella europea.
Eppure, è l’Identità Europea la questione centrale del nostro tempo, perché, nell’”epoca planetaria” dominata dalla competizione per il controllo dell’ Intelligenza Artificiale, non soltanto il potere politico, la prosperità economica e la sicurezza militare, ma la stessa possibilità di sopravvivere nonostante la tirannide del Complesso Informatico-Digitale, dipende dall’ appartenenza a grandi Stati-Civiltà, che non soltanto dispongano delle risorse politiche, tecnologiche, militari ed economiche, per trattare da pari a pari con i colossi del web e con le altre Superpotenze, ma incarnino anche un loro modello specifico di uomo e di società, capace di contribuire in modo originale allo sforzo collettivo per il controllo dell’ Intelligenza Artificiale. Nel caso nostro, l’”Europe-Puissance” quale immaginata a suo tempo da Coudenhove Kalergi e da Giscard d’Estaing.
Invece, un’Europa che si concepisca solo come un sottoinsieme all’ interno di un Occidente di cultura americana (nazioni borghesi, millenarismo immanentistico, tecnocrazia travestita da “liberal-democrazia”) non potrà incidere in alcun modo sulla formazione dell’ auspicato Umanesimo Digitale, che non potrebbe sostanziarsi se non in un’industria digitale “sovrana”, in una pedagogia fondata sull’ eccellenza individuale secondo i modelli classici e delle “Religioni del Libro”, in una mobilitazione culturale a tutti i livelli, e in un dialogo serrato con il resto del mondo. L’Occidente attuale persegue invece un millenarismo tecnocraticom ostile alle tradizioni umanistiche, e, come aveva dimostrato la vicenda Olivetti, non permette la nascita in Europa di un Umanesimo Digitale.
Un’ “Europa Sovrana” non potrebbe fare a meno d’interrogarsi su che cos’abbiano da insegnarle le culture degli altri Continenti, come per esempio forme attualissime di ascesi intramondana (come quella delle “arti marziali” estremo-orientali); una logica “fuzzy”viii radicata, per esempio, nella struttura di lingue isolanti e di scritture pittografiche come quella cinese (cfr. i Classici Confucianiix); il culto delle tradizioni ancestrali, religiose e familiari (come nell’ Hindutvax); il senso, nel contempo, della comunità e delle gerarchie (Dumontxi). Né di coalizzarsi con loro contro l’egemonia mondiale dei GAFAMxii.
Questo proprio nell’ ottica, citata anche nel programma di “Radici” , dello sforzo per controllare l’ Intelligenza Artificiale, che è, prima ancora che un fatto politico, giuridico e tecnologico, una questione di educazione del carattere per un’era, come la nostra (la “Guerra Mondiale a Pezzi”), in cui la resilienza dell’ Umano sarà messa a dura prova, non meno che in epoche passate che noi consideriamo particolarmente difficili per l’Umanità (dalla preistoria, alle Invasioni Barbariche, al Medioevo, alle Guerre Mondiali).
Tutto ciò sembra assente (ma potremmo sbagliarci) dalla manifestazione di Novembre , come da quasi tutte le attuali manifestazioni culturali: un po’ per l’ignoranza generalizzata delle culture extraeuropee, un po’ per quel clima di mobilitazione bellica che si è voluto instaurare negli ultimi decenni, ben prima delle guerre in Ucraina e a Gaza, con gli attacchi culturali e polizieschi a tutto quanto è fuori dell’ “Occidente”, un po’, infine, per il tacito consenso fra le diverse forze sociali per evitare di allarmare la popolazione.
Nonostante queste lacune, il Festival costituisce comunque un deciso passo in avanti rispetto agli standard torinesi del passato. Cerchiamo perciò di apprezzare tutto il buono della manifestazione, partecipandovi e apportando il nostro contributo.
Segnaliamo in particolare gl’interventi di Veneziani, Dureghello, Cardini e Kusturica, sui quali ci ripromettiamo di ritornare.
Porgiamo quindi, all’ Assessore Marrone , al direttore della manifestazione Culicchia e ai vertici del Circolo dei Lettori e del Salone del Libro i migliori auguri di successo per “Radici”, cominciando a programmare per il prossimo Salone qualcosa sul tema delle identità, sulla falsariga delle pubblicazioni di Alpina/Dialexis, e, in particolare, di “100.00 anni di Indentità Europea”xiii , di “Intorno alle Alpi Occidentali”xiv e, infine, di “De Illyrico et Moesia”

ALLEGATO

RADICI. IL FESTIVAL DELL’IDENTITÀ

CULTURA & TRADIZIONE

01/11/2023 – 05/11/2023

La Fondazione Circolo dei lettori inaugura Radici, il festival dell’identità (coltivata, negata, ritrovata), in programma dal 1 al 5 novembre, un progetto a cura di Giuseppe Culicchia sostenuto dall’Assessorato all’Emigrazione della Regione Piemonte.

Con ispirazione pirandelliana, il festival chiama grandi artisti e voci a interrogarsi su una nessuna e centomila identità: l’identità individuale e l’identità dei popoli, l’identità di una comunità e quella di una nazione; l’identità come idea che un individuo ha di sé stesso all’interno di una società, a partire da quelle caratteristiche che dovrebbero teoricamente renderlo unico e inconfondibile, ma che il consumismo ha omologato in stili di vita e modelli culturali, come denunciò per primo Pier Paolo Pasolini già, negli anni

Sessanta del Novecento.

CONSERVATORISMO, CONSERVAZIONISMO E “CULTURE DA DESTRA”

Abbiamo spesso avuto l’occasione di osservare, senza approfondirla, la distinzione fra “conservatorismo” e “conservazionismo”.  Oggi ci sembra il caso, di fronte ai dibattiti sempre più accesi sul conservatorismo e sulle “culture da destra” (cfr. Francesco Giubilei, Gli Intellettuali di destra), di ritornare su quelle definizioni.

Il conservatorismo è un fenomeno praticamente eterno, in quanto in tutte le epoche una parte della società si è volta con nostalgia ai tempi passati. Basti pensare a Platone, a Tacito, a Dante, a Balzac, a Gandhi…Tuttavia, a mano a mano che si procede nel corso dei secoli “storici”, nasce una forma più consapevole e profonda di conservazione: una riflessione sui caratteri “permanenti” dell’Umanità, minacciati, appunto, dal processo storico, che, in modo speculare all’ avanzamento delle tecniche, induce un depotenziamento dell’uomo rispetto all’ “Uomo Universale” dei primordi: dall’Età dell’ Oro, l’epoca eroica, la “Patrios Politeia”, il “Mos Maiorum”,i Primi Cristiani, l’Età Classica, il Rinascimento, il Risorgimento, lo Spirito Dionisiaco.

Questo  svuotamento dell’Umano  “classico” è stato denunziato in molte delle sue forme: indebolimento dei costumi, varie forme di tirannide, oblio della cultura alta, delle virtù civiche o dell’autenticità delle persone.

Nel 19° e, soprattutto nel 20° secolo, questa disumanizzazione veniva ascritta prioritariamente alla tecnica: l’”alienazione” di Marx, la “gabbia d’acciaio” di Weber,  l’”uomo in provetta” di Huxley. Il Mito del Progresso si rivela come un sostanziale regresso, effetto dell’Eterogenesi dei Fini. Lo riconoscono alla fine personaggi diversi, come Goethe, Freud, Heidegger, Peccei, Anders, Fukuyama… Un’opera che rende bene questo clima culturale è la “Waste Land” fu Th.S. Eliot:

«Where is the wisdom we have lost in knowledge?
Where is the knowledge we have lost in information?»
«Dov’è la saggezza che abbiamo perso nella conoscenza?
Dov’è la conoscenza che abbiamo perso nell’informazione?»
(T.S. Eliot, The Rock, 1934)

Fra il 20° e il 21° secolo, la disillusione per il mito del progresso è oramai generalizzata, anche fra personaggi provenienti da culture progressiste: Pacces, Barcellona,  Compagnon, Arpaia, Krastev.  Solo qualche ostinato nostalgico (p.es. Pinsker) continua a sostenere che l’uomo non sia mai stato felice come oggi.

1.Il volto oscuro del progresso

Tuttavia, solo oggi la vera ragion d’essere dell’opposizione a questo depauperamento dell’ Umano si rivela in tutta la sua drammaticità: sotto le vesti accattivanti della civilizzazione, della moralizzazione, dello Stato, prima etico e poi democratico, della comodità, della filantropia, della ricerca scientifica, del moralismo, si cela l’affermarsi di un Leviatano, prima politico, poi sociale, e, finalmente, tecnologico: l’Anticristo di Soloviov, l’Impero Nascosto delle sette, dei Poteri Forti, del Complesso Informatico-Digitale, del Politicamente Corretto, del conformismo planetario, della Società del Controllo Totale, fino all’ estinzione dell’ Umano, travolto dall’ Intelligenza Artificiale, come denunziano unanimemente e per iscritto gli stessi guru dell’ informatica inventori dei GAFAM e oggi “lobbisti” delle stesse, chiedendo alle Istituzioni di porre un freno alla ricerca sulla stessa.

La Modernità si rivela così più che mai identificarsi con l’ipocrisia puritana, che impone a tutti, nel nome di un’ incombente Parusìa,  la modestia, la trasparenza, l’eguaglianza, la rinunzia, riservando tuttavia ai vertici occulti dei Poteri Forti un potere e un’ambizione senza limiti, quella del Dott. Faustus. L’Umanità non andrebbe avanti senza differenza, gerarchie, pensiero consolidato, ambizione, coercizione, premi e ricompense (in primis, quelle dei tecnocrati e imprenditori); tuttavia, questo non lo si deve dire – anzi, bisogna convincere i più che lì stia il Male Assoluto, in modo che solo i Superiori Sconosciuti, i settari, i “Gatekeepers”, gli agenti segreti, possano imporre la loro volontà a una maggioranza di ebeti che credono nelle favole della Fine della Storia.

Il risultato immediato è il dominio dei GAFAM sul mondo, ma, a breve, sarà il dominio sul mondo delle macchine create dai GAFAM: Intelligenza Artificiale; bioingegneria; cyberguerra; impianti cerebrali;  robots; Società del Controllo totale, droni assassini; Fake News, censura automatizzata…

Quello che viene erroneamente definito come “egemonia culturale della sinistra” è, in realtà, la tirannide totalitaria della Modernità Scatenata, che impone ai cittadini un’ agghiacciante  omogeneità ( “i Paesi avanzati”; “non lasciare indietro nessuno”; “la Comunità internazionale”; “i Diritti”), ma, soprattutto, vorrebbe spacciare, come “dialettica democratica”, la presenza, all’ interno di questo quadro omogeneo, di alcune insignificanti  sfumature,  come un liberismo  o un sindacalismo di facciata,  un Cattolicesimo che ha accettato che la salvezza venga dalla Scienza e dalla Tecnica, o un sovranismo che accetta  una occupazione straniera permanente. Invece, le reali alterità, come le culture extraeuropee (come il Confucianesimo e l’Induismo), oppure un autentico relativismo, o ancora la piena rivendicazione delle differenze, vengono ostracizzate al punto da divenire indicibili.

La confusione fra “mainstream” e “sinistra” nesce solo dal fatto che, come giustamente osserva Marcello Foa ne “il sistema (in-)visibile”, vi è stata, negli ultimi decenni, una convergenza, in Occidente, fra i metodi di condizionamento (“propaganda sociologica”) del KGB e della CIA, spesso con la confluenza dello stesso personale politico.

Si spiega così, ad esempio, l’assoluta intercambiabilità fra la “Maggioranza Ursula” e la “Maggioranza Metsola”,visto che le due donne politiche in oggetto, non solo dicono le stesse cose, ma si vestono perfino nello stesso modo.

2.La Dialettica dell’ Illuminismo

Tutto ciò era già stato profetizzato, seppure in forma criptica, nel classico libro di Horkheimer e Adorno “Dialettica dell’ Illuminismo”.

Oggi, il vero problema non è neppure più politico-culturale: è esistenziale. La Fine della Storia si rivela, come ha dovuto riconoscere lo stesso Fukuyama, la Fine dell’Uomo (prevista addirittura entro 10-20 anni a meno che non intervengano eventi drammatici, come la Terza Guerra Mondiale), in cui, di fronte all’ onnipotenza del sistema macchinico, l’Uomo si rivela, come scriveva Anders, antiquato e inutile.

Basti pensare allo scontro oggi in atto in tutto il mondo in corso fra missili ipersonici, sistemi satellitari, droni, servizi segreti e hacker: per esempio, nella guerra in Ucraina, fra Patriot e Kinzhal.

Il “Phylum Macchinico”, come lo chiamava De Landa (cioè l’insieme delle macchine intelligenti operanti come la nuova razza dominatrice del mondo), vero protagonista del XXI° Secolo, appare con il volto accattivante della Libertà, dei Diritti, delle scoperte scientifiche, dell’onnipotenza dell’Uomo, per poi rivelarsi, nei fatti, come l’Anticristo di Soloviov: l’affossatore dell’Umanità. Libertà, Diritti, scoperte scientifiche, onnipotenza dell’Uomo (le “Magnifiche Sorti e Progressive” di Leopardi) sono gli slogan branditi di volta in volta dalle mosche cocchiere delle Macchine Intelligenti (ma, tra l’altro, mai tradotti in pratica), per distruggere il tessuto sociale, trasformando l’Umanità in una massa indifferenziata, debole e instupidita (quella che Tocquevill vedeva sorgere in America), incapace di resistere alla forza delle macchine, uniche adatte a sopravvivere alla Terza Guerra Mondiale. Dove libertà, diritto, dominio dell’ Uomo sulla natura, saranno annientati in una nuova era (la “Posthisthoire” di Gehlen), le cui protagoniste saranno le macchine, almeno fintantoché il software dematerializzato non inghiottirà l‘intero mondo quale noi lo conosciamo, e quindi le macchine stesse (la “Singularity Tecnologica” di Kurzweil).

Per questo, s’ impone oggi più che mai, quale necessaria antitesi, quella “Forza che Trattiene”, quel misterioso Katèchon, di cui parlava San Paolo senza poterlo, né volerlo, spiegare, il quale si oppone alla Fine dell’ Uomo, almeno fintantoché questa non coinciderà con il Giorno del Giudizio. Per via di quest’ultimo inciso, anche il Katèchon si rivela duplice e ambiguo, e, se Sant’Agostino affermava di non comprenderlo, i suoi successivi cultori, dalle Hadith mussulmane a Ottone di Frisinga, da von Bader a Carl Schmitt, fino a Pietro Barcellona e Aleksandr Dugin,  sono, su questo punto,  almeno altrettanto oscuri e sfuggenti di San Paolo.

Comunque sia, quella dialettica fra l’Anticristo e il Katèchon (la “Dialettica dell’ Illuminismo”) è al cuore stesso della storia contemporanea, come dimostrano le numerosissime prese di posizione contro l’Intelligenza Artificiale, interpretata  come fine dell’ Umanità, da parte degli stessi inventori e cultori della stessa.

Essa costituisce lo sbocco finale di una lotta incessante nel corso della storia: fra i Persiani chiliasti e i Greci “catecontici” (basti pensare all’Oracolo di Delfo su Leonida e al Sogno di Dario); fra il nichilistico Buddhismo Hinayana e quello Chan, costruttivo e combattente (per esempio, Bodhidharma e il Monastero di Shaolin); fra l’ansia di Apocalisse degli Anabattisti (vedi la bandiera arcobaleno issata per la prima voltanella battaglia di Frankenhausen, ed ora ripresa da tutti i movimenti progressisti) e il discorso di Lutero ai Principi Tedeschi; fra la Pasionarnost’ dell’Eurasiatismo e il postumanesimo dei Cosmisti russi…

Non per nulla il Pontefice Romano, massima espressione delle religioni mondiali, ha incitato le Istituzioni Europee (per quanto inutilmente) alla resistenza agli “Imperi Sconosciuti” (i GAFAM, le società segrete e, soprattutto, l’”Impero Nascosto” americano).  

Contrariamente a questi ultimi,  i grandi imperi della Storia  ancora sopravvissuti (in concreto, le potenze dell’Eurasia), pure nella grande varietà e confusione delle loro posizioni, si richiamano a un’idea di conservazione. Il marxismo cinese non riesce a soffocare l’emergere del linguaggio confuciano, là dove si propone, quale obiettivo strategico per i 100 anni della Repubblica Popolare, non già il Comunismo, né il DaTong, mitico ideale normativo del Confucianesimo, bensì il più equilibrato Xiaokang (la “Società Moderatamente Prospera”) .Il Janata Party, riallacciandosi con ciò al Gandhi di “Hind Swaraj”, esalta “le Dee e gli Dei dell’ India”, lo Yoga e le medicine tradizionali. Ma perfino nell’Occidente anglosassone, roccaforte dei GAFAM e della NSA, e quindi , del Progetto Incompiuto della Modernità erede di tutti i chiliasmi, vi sono personaggi come Assange e Snowden che si battono eroicamente contro gl’ Imperi Sconosciuti.

3.Cos’è il “Conservazionismo”?

Chiamiamo “conservazionismo” questa resistenza trasversale contro gli esiti ultimi del mito del Progresso. Essa si oppone non già in modo episodico (come facevano  i vari conservatorismi del passato ) alle successive “derive” dei mondi “tradizionali” (la democrazia ateniese,  il despotato romano, la “gente nova” di Dante, la Rivoluzione Francese, il macchinismo dei Luddisti, il marxismo degli anticomunisti),- idolatrando invece, chi lo Stato di Natura,chi l’Età dell’ Oro,chi  il Mos Maiorum,chi l’Ancien Régime, chi la società borghese, chi i regimi totalitari, chi le “Trente Glorieuses, –  bensì all’attuale distruzione dell’uomo  quale noi lo conosciamo (quello dell’ Epoca Assiale, che nasce con le grandi culture della scrittura e dura fino a noi), senza avere per altro intanto costruito nulla di veramente alternativo (quella che avrebbe dovuto essere la Nuova Società Organica lanciata da Saint-Simon e al centro di tutte le utopie ottocentesche, ma mai realizzata).

In termini nietzscheani, in conservatorismo rappresenta l’ “Uomo più Brutto”, quello che ha ucciso Dio ma se ne vergogna perché non è all’altezza di sopportare l’ateismo. Di qui il senso di disorientamento generalizzato che pervade la società comntemporanea.

Anche in Europa, s’impone comunque una qualche forma di Katèchon, una forza spirituale capace di trattenere la “transizione” dall’ Umano al Post-Umano. Secondo molti, da Heidegger a Jünger, da Teilhard de Chardin a De Benoist, questa resistenza sarebbe vana (un “mito incapacitante”), perché le stesse tradizioni ancestrali degli Europei porterebbero, attraverso un “piano inclinato”, verso l’Apocalisse. Ma noi obiettiamo, con Dostojevskij, Pannwitz e Daniel A. Bell, che, se la dialettica interna della cultura europea (e soprattutto americana) ha come sbocco fatale l’autodistruzione dell’Umanità, soccorreranno ben presto le altre tradizioni culturali mondiali, che, con la rinnovata forza dei popoli afro-asiatici, impediranno l’autodistruzione provocata dall’ Europa e soprattutto dalla sua postuma estensione. E’ da almeno un secolo che  molti intellettuali europei, da Guénon a Hesse, da Rerih a Jung, da Evola a Panikkar, ci invitano a questa mossa.

In effetti, alla luce del Dubbio del Moderno, risultato della “Vergleichende Epoche” che tutto confronta, -antico e moderno, sacro e profano, Oriente e Occidente-, anche la scelta fra Anticristo e Katèchon, o fra Buddismo e Confucianesimo,  appare esposta al massimo della soggettività.  E, questo, ben si addice, innanzitutto, ai cultori del Katèchon, che si oppongono al mito del Progresso proprio per il suo determinismo, mentre invece essi si ostinano a credere che, come ha detto recentemente De Benoist, “la Storia è aperta”. Se così è, la “de-cisione” di ciascuno di noi può contare nella Storia del Mondo (grazie al “libero arbitrio”). Nello stesso modo, già Matteo Ricci, nella sua opera “Il vero significato del Signore del Cielo”, aveva chiarito come la scelta fra un Buddhismo nichilistico e un Confucianesimo costruttivo è una scelta individuale.  Per altro, quasi tutti  i grandi pensatori europei furono  solidali nella sostanza con la posizione dei Gesuiti. Basti pensare  a tutti coloro che si sono battuti contro lo Zeitgeist: non soltanto ai Novissima Sinica di Leibniz e al Rescrit de l’Empereur de la Chine di Voltaire, ma, anche   alla più tarda critica di Kierkegaaard al Vescovo Mynster,  a quella anti-egualitaria di Tocqueville e di Nietzsche, e a quella anti-irenistica di Freud. Per non parlare poi di Simone Weil che cercava l’”Enracinement” o di Saint Exupéry che voleva “costruire la Cittadella nel cuore dell’Uomo”.

3.Anticristo o Katechon? Una de-cisione esistenziale.

Certo, anche la scelta opposta al Conservazionismo avrebbe , dalla sua parte, delle buone ragioni, dall’ansia di Bene dei chiliasti al desiderio di infinito di Nietzsche, alla volontà di attuare le Scritture, propria di Fiodorov e dei Cosmisti Russi, fino alla religiosità universale di Teilhard de Chardin e di Raimon Panikkar. E proprio per questo, pure in presenza di una lotta mortale per la vita e per la morte, i Conservazionisti debbono mantenere il totale rispetto per i loro, pur mortali, avversari, pretendendo lo stesso da questi ultimi. Anche e soprattutto perché raramente sono del tutto tali, come il Goethe di An die Vereinigten Staaten e del secondo Wilhelm Meister, come il Marx dei Grundrisse. Questa, e non una pretesa tolleranza che sarebbe propria della “democrazia”, costituisce la vera base di una sana dialettica culturale e poltica, diversa dal “pensiero unico” che domina oramai da decenni la scena in Occidente.

Come si vede, non c’è proprio bisogno di andare alla ricerca di nuove strane ideologie, quando siamo immersi fino al collo in una fondamentale lotta culturale, che non verte su vane parole o mode, bensì sulla nostra sopravvivenza esistenziale.

La lotta culturale per e contro il Postumano, così come quella fra le varie versioni dello stesso e della opposizione ad esso, sta sostituendo quella fra le obsolete ideologie sette-ottocentesche. Le “ideologie” del 21° secolo nascono intorno alle modalità con cui opporsi alla Fine dell’ Umano.

Coloro che vorrebbero ri-dare un’anima ai partiti, non hanno, quindi, che l’imbarazzo della scelta. Infatti, a nostro avviso, tutte le aspirazioni tradizionali dei singoli partiti, libertà, solidarietà, tradizione, patria, ambiente, vengono oggi negate dal politicamente corretto, dall’egemonia delle multinazionali, dalla “cancel culture”, dall’omologazione occidentale, dalle retoriche pseudo-ambientaliste delle lobbies “verdi”. Ogni partito potrebbe, e, a nostro avviso, dovrebbe, mettere al primo posto del proprio programma, una di queste battaglie: contro la censura, per l’upgrading delle imprese nazionali e per la partecipazione dei lavoratori,  per la difesa delle culture religiose contro l’adorazione della tecnica, per una vera “sovranità strategica”, per una “ecologia dell’ anima”.

Quello che non è ammissibile è, invece, ciò che succede oggi tutti i giorni, con le varie fazioni dell’”establishment” che fingono (sorridendo o addirittura ridendo in faccia ai cittadini) di azzuffarsi su questioni futili, camuffando o nascondendo l’importanza vitale della questione della Fine dell’ Uomo in nome di un ottimismo idiota in mala fede, che maschera semplicemente la loro felicità per gl’indebiti privilegi ottenuti in cambio della loro connivenza.

4.Il conservazionismo ha a che fare con le “culture da destra”?

Esiste un concetto politico, seppure vago, chiamato “destra”, ma su cui i membri dell’ “establishment” dei più vari orientamenti non cessano di ricamare nell’ ambito dei loro eterni teatrini. Esso trae la sua origine dalla collocazione in parlamento dei diversi gruppi politici, ed ha quale presupposto l’idea ch’essi si distinguano per la loro più calda, o più fredda, adesione al “Progetto Incompiuto della Modernità”, un “pacchetto” che si pretenderebbe unitario di gnoseologia, teologia, filosofia, cultura, etica, politica, economia, tecnologia e società (la “concezione assiale della politica”).

Si tratta di un concetto utile dal punto di vista euristico, visto che normalmente la politica parlamentare si è basata su alleanze fra partiti vicini nello spettro destra-sinistra. Ne consegue che esistano, come oggi in Italia, goverrni di destra, che hanno i loro sostenitori, anche fra gl’intellettuali, e che questo renda opportuna, se non necessaria, una “politica culturale di destra”.

Come è stato rilevato quasi unanimemente, non esiste neppure un’ unica “cultura di destra”, bensì, semmai, una serie di “culture di destra”. Esse hanno una qualche affinità con il conservazionismo, ma non vi si sovrappongono. Da un lato, vi sono delle “culture di destra” come il Futurismo, che sono piuttosto omogenee al Mito del Progresso. Ma anche le altre hanno semmai molto in comune con i Conservatorismi, vale a dire esprimono la nostalgia per questo o per quel periodo storico, ma nessuno la consapevolezza della prossima fine dell’Umanità, e dell’urgenza di opporvisi. Questa consapevolezza, pur essendo alla base delle politiche della maggior parte dei Governi del mondo (Asia, Africa, America Latina), è condivisa da appena qualche decina di intellettuali in tutto il mondo non cooptati dal “mainstream”,  e, nonostante la cogenza delle loro argomentazioni non trova un unitario veicolo politico attraverso cui esprimersi.

Non si può accettare un siffatto isolamento degl’intellettuali “conservazionisti”. Da un lato, occorre ricercare dei momenti di incontro fra di essi ed altre culture, che anche le discusse politiche culturali della destra potrebbero fornire, e, dall’ altro, occorre, da parte di essi, un maggiore attivismo: pubblicistico, politico e di ricerca, tecnologica e pedagogica.

Per ora, constatiamo che gli autori definiti “di destra”, per quanto, teoricamente “vocati” a un compito di critica particolarmente aspra della Modernità, non si sono discostati da quella critica garbata al Postmoderno che accomuna oggi un po’ tutti, da progressisti come Morozov e Zuboff a prelati come Benanti e Peyron. Eppure, per i “conservatori”, il postumano   dovrebbe costituire un pericolo ben più reale ed incombente che tutti quegli altri fenomeni, spesso solo cartacei, ch’essi denunziano. Il postumanesimo è infatti la negazione di ogni libertà umana in ossequio alla vittoria delle macchine; la negazione del concetto di “limite”, base di ogni cultura tradizionale; la pretesa di soppiantare le religioni positive con la religione della tecnica; la sparizione di ogni comunità umana (civiltà, nazione, religione, partito, impresa, famiglia) nell’ ambito di un unico “Phylum Macchinico” a cui noi tutti siamo asserviti; la sparizione della natura entro una macchina universale, sia essa quella dell’industria inquinante, sia essa quella dei pretesi salvatori del mondo che sono anche costruttori di argini che non reggono, di pannelli solari che inquinano, di pale eoliche che rovinano i paesaggi…

Esso meriterebbe un’azione culturale, ma prima ancora, politica, radicale, da parte dell’intelligencija indipendente.

Chiediamo  ai conservatori italiani , che si propongono lodevolmente, non di tornare a quei “mostri sacri” che in fondo non erano “conservazionisti” (come de Maistre o Evola, che all’ atto pratico invitavano i loro lettori alla passività), né di sostituire un’egemonia culturale ad un’altra, bensì di aprire a tutte le idee nuovi spazi di libertà, di dedicare un progetto specifico al conservazionismo internazionale,  mettendo in contatto  fra di loro i suoi autori  emergenti, in modo da  fare dell’ Italia un loro  sbocco politico.

OGGI PRESENTAZIONE DEL LIBRO “ILLYRICUM ET MOESIA”, ORE 14.00 SALA ARANCIO

Oggi, presentazione del libro “Illyricum et Moesia”

SALONE INTERNAZIONALE DEL LIBRO

DI TORINO

INTERNATIONAL BOOK FAIR IN TORINO

18 maggio, Ore 14:00-15:00 18 May. 2:00 p.m- 3:00 p.m.

De Illyrico et Moesia

Percorsi Europei nei Balcani

Sala Arancio, GALLERIA VISITATORI

Pier Virgilio Dastoli, Riccardo Lala, Chiara Marchesini, Marco Margrita e Alessio Stefanoni

Associazione Diàlexis, CNA Torino e Movimento Europeo

Entra nella riunione in Zoom
https://us06web.zoom.us/j/85230016861?pwd=RmJCOWUxa2F1Mmg1K2RSdEV1ZXhQUT09

ID riunione: 852 3001 6861
Passcode: 312737

L’appuntamento delle 18 al Salone off è cancellato.

VI APETTIAMO TUTTI ALLE 14,00 IN SALA ARANCIO

CONTINUA LA MALEDIZIONE DELL’ OLIVETTI

Confermata la fine dell’ Istituto Italiano per l’ Intelligenza Artificiale

Respingendo l’ Assedio di Torino,
il Ducato di Savoia divenne regno

Nel Settembre 2020 il Governo aveva annunziato che, nell’ambito della Strategia Italiana per l’Intelligenza Artificiale,  sarebbe stato creato a Torino un Istituto Italiano per l’ Intelligenza Artificiale.

Avevamo sostenuto il progetto con la massima energia, dedicandovi addirittura il libro “L’Istituto Italiano dell’ Intelligenza Artificiale”, con una prefazione di Markus Krienke, nel quale avevamo ricostruito le basi storiche e filosofiche del progetto, nonché il laborioso iter nelle Istituzioni Europee e nei Ministeri. Avevamo presentato il libro al Salone del Libro 2020. Quest’anno, abbiamo pubblicato un secondo libro, con la prefazione di Enrica Perucchietti, dedicato a”L’Intelligenza Digitale e l’Agenda Digitale”.

FIAT:un impero multinazionale

1.Una delusione prevedibile

Nel settembre del 2020, la sindaca  Appendino aveva annunciato: “L’Istituto italiano per l’Intelligenza artificiale sarà a Torino e avrà l’obiettivo di coordinare le attività di ricerca in questo campo”. Non era mai stato così. L’ attuale sindaco, Stefano Lo Russo, intervistato da La Stampa, conferma: “Quel progetto, va detto con chiarezza, non è mai stato attuato dal Parlamento e non è più tale già da luglio dello scorso anno, quando il governo ha deciso di fare di Torino la sede di un centro per l’intelligenza artificiale associata alla mobilità sostenibile”, uno dei 10 centri che dovrebbero sorgere nel nostro Paese.

L’Istituto  avrebbe dovuto costituire, per così dire, il “risarcimento” di Torino per la mancata  candidatura a sede di una corte secondaria del Tribunale Europeo dei Brevetti (TUB), ma chi aveva letto con attenzione le decisioni prese da governo e parlamento nel 2021 già sapeva che il progetto era stato fortemente ridimensionato, come avevamo anticipato proprio in questo blog. Le novità è che ora tutti lo ammettono, e che, inoltre, l’assegnazione all’ Italia (e la stessa nascita) della corte dei brevetti, è in alto mare (sicché anche l’ “indennizzo” per Torino avrebbe poco senso).

Il caso è tornato di attualità  sui media perché  venerdì 27 maggio il ministro dell’Innovazione e della Ricerca, Maria Cristina Messa – parlando a investitori e istituzioni alla Nuvola Lavazza, riuniti per discutere del PNRR – aveva detto che, sull’intelligenza artificiale, Torinodovrà partecipare a un bando come tutti” e che per la città è previsto invece “un Centro per la mobilità sostenibile che però non ha competenze specifiche sull’intelligenza artificiale”. La legge istitutiva definisce tale centro come segue: “Al fine di incrementare la ricerca scientifica, il trasferimento tecnologico e più in generale l’innovazione del Paese nel settore dell’automotive e di favorire la sua ricaduta positiva nell’ambito dell’industria, dei servizi e della pubblica amministrazione, è istituita la fondazione Centro italiano di ricerca per l’automotive, competente sui temi tecnologici e sugli ambiti applicativi relativi alla manifattura nei settori dell’automotive e aerospaziale, nel quadro del processo Industria 4.0 e della sua intera catena del valore, per la creazione di un’infrastruttura di ricerca e innovazione che utilizzi i metodi dell’intelligenza artificiale. La fondazione ha sede a Torino. Per il raggiungimento dei propri scopi la fondazione instaura rapporti con omologhi enti e organismi in Italia e all’estero.
Sono membri fondatori della fondazione il Ministero dell’economia e delle finanze, il Ministero dell’università e della ricerca e il Ministero dello sviluppo economico, ai quali è attribuita la vigilanza sulla fondazione medesima”.

Il problema a questo punto è che neanche la Fondazione è mai nata. Entro sessanta giorni dall’entrata in vigore della legge il Ministero dell’economia (d’accordo con Mise e Miur) avrebbe dovuto nominare il Comitato di coordinamento. Ma questo non è mai avvenuto.

Inizio modulo

Da venerdì, a Torino circola infine la voce che il Centro italiano per l’intelligenza artificiale alla Città dell’Aerospazio sia stato “scippato” dalla “solita Milano”.

Tuttavia, non è questo il problema principale.

2.Il veto al rilancio di Torino

Togliatti: la città industriale
italo- russa, oggi ferma

Ciò che preoccupa veramente è l’assoluta assenza di programmi, da parte dell’ Europa, per l’intelligenza artificiale, e, da parte dell’ Italia, per Torino.

Per ciò che riguarda l’Europa, avevamo pubblicato l’anno scorso “European Technology Agency”, in cui reclamavamo un progetto centralizzato dell’Europa per stare al passo, da un lato, della legislazione cinese (Made in China 2025 e China Standards 2035), e, dall’ altra, di quella in preparazione in America (lo “Endless Frontier Act”). L’attuale approccio dell’Unione Europea, basato su un investimento molto inferiore a quello dei nostri concorrenti, come pure su un’organizzazione troppo decentrata della ricerca, dove la parte del leone è fatta da hubs” a livello locale e da piccole e medie imprese, sembra fatto apposta per non fare ombra ai GAFAM, i quali sono comunque coinvolti con un ruolo direttivo nelle iniziative europee (come nel caso di GAIA-X).

Come aveva rilevato già l’anno scorso il Prof. Metta, direttore dell’ Istituto Italiano di Tecnologia di Genova, nel Piano Italiano per l’ Intelligenza Artificiale, l’IA è vista come qualcosa che si compra presso altri, non come una tecnologia che si sviluppa autonomamente, e che eventualmente si vende ad altri.

Non parliamo poi dell’idea di Don Luca Peyron, di orientare il previsto Istituto verso la tematica dell’etica dell’ Intelligenza Artificiale. Troncare, sopire, sopire, troncare! Come quando, a proposito della Olivetti, Valletta disse che la Divisione Informatica era “un neo che occorre estirpare”.

Per ciò che riguarda l’Italia, richiamiamo i nostri due libri  “L’Istituto Italiano dell’ Intelligenza Artificiale” e ”Intelligenza Artificiale e  Agenda Digitale che illustrano il collegamento strettissimo fra Intelligenza Artificiale, economia nazionale, geopolitica e futuro dell’ Umanità.

L’Istituto Italiano dell’ Intelligenza, ed ancor più l’Agenzia Europea per la Tecnologia, avrebbero dovuto affrontare di petto proprio il problema dell’ inadeguatezza di Torino, dell’ Italia e dell’ Europa, dopo la distruzione dell’ Olivetti,  ad affrontare l’Era delle Macchine Intelligenti, portando i nostri territori a un livello di Paesi sottosviluppati.

Questo è il risultato del rapporto di tipo coloniale che intratteniamo con gli Stati Uniti, rapporto che risulta sempre più evidente ora che gli USA impongono la loro volontà, come nella riunione di Ramstein, gli Europei pagano (al DoD, ai GAFAM, alla Russia, all’ Ucraina), e gli Ucraini combattono e muoiono per un  “Occidente” a cui non appartengono.

Nell’abisso di arretratezza in cui questa situazione ci sta sprofondando, risulta più che mai urgente immergerci totalmente nella cultura (unica attività che non ci sia stata ancora preclusa), per studiare il rapporto fra cultura e tecnica, fra tecnica e geopolitica, fra informatica e Occidente, fra Occidente e mondo, elaborando una filosofia, una dottrina politica e militare, una strategia economica incentrati sul riscatto del nostro Continente.

Il nostro ultimo libro tratta dell’assenza europea, italiana e torinese

3.Da Emanuele Filiberto al Principe Eugenio, al Senatore Agnelli

I periodi di grandezza di Torino sono sempre stati avviati da atti di forza: dalla battaglia di San Quintino, all’assedio del 1706, a “Terra, Mare, Cielo”.

Quando manca il potere politico, anche l’economia langue. L’ultimo grande sforzo di Torino, con l’espansione internazionale (Togliatti, FIAT Polski, New Holland, Pegaso) è fallito di frante alla delusione del fallimento della Perestrojka.

Oggi, le fabbriche FIAT all’ estero, quando non siano state ri-nazionalizzate per volontà della NATO (come per esempio l’ Avtovaz), sono passate sotto il controllo straniero, quando non addirittura chiuse.

100 anni di sforzi di generazioni di managers, tecnici, lavoratori, per portare il lavoro italiano in tutto il mondo, dall’ Ungheria all’ Indonesia, dall’ Egitto alla Spagna, dal Marocco all’ Argentina, dalla Polonia alla Yugoslavia, dalla Russia al Brasile, dalla Turchia agli Stati Uniti, si sono rivelati inutili. Non siamo più destinati ad essere il centro di imperi economici, bensì docili colonie delle multinazionali del web. E ci stupiamo pure che altri non vogliano condividere questa stessa nostra sorte, e continuino a battersi per restare fra coloro che hanno voce in capitolo circa il futuro del mondo.

RICAPITOLAZIONE E RETTIFICA DEL PROGRAMMA DELLE PRESENTAZIONI AL SALONE DEL LIBRO (Salone In e Off)

SALONE DEL LIBRO DI TORINO 2022

PROGRAMMA “CANTIERI D’ EUROPA”

SALONE IN

21 maggio, Lingotto,

Sala Arancio,ore 12.15

UN PONTE FRA EST E OVEST

PRESENTAZIONE DEL LIBRO: UCRAINA; NO A UN’INUTILE STRAGE 

 Con: Virgilio Dastoli,Riccardo Lala, Marco Margrita Alessio Stefanoni, Enrico Vaccarino

Attenzione: le credenziali Zoom sono state cambiate:

Ora: 21 mag 2022 12:00 AM

Entra nella riunione in Zoom

https://us06web.zoom.us/j/81381685241

ID riunione: 813 8168 5241

Sabato 21 maggio Centro Studi San Carlo, Via Monte di Pietà 1, ore 15.00

L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE  NEI GIORNI  DEL CONFLITTO UCRAINO

PRESENTAZIONE DI: “ INTELLIGENZA ARTIFICIALE E AGENDA DIGITALE”, PENSARE PER PROGETTARE IL FUTURO

Con: Marcello Croce, Ferrante De Benedictis,Riccardo Lala,Marco Margrita, Enrica Perucchietti

Entra nella riunione in Zoom
https://us06web.zoom.us/j/89121340117?pwd=ajFZQ3NEdnlaWDVkUVEvRTAvTzdJZz09

ID riunione: 891 2134 0117
Passcode: 997292

Domenica, 22 Maggio,

Casa del Quartiere  di San Salvario, Via Morgari 10, ore 16.00

GALIMBERTI E CHABOD:

L’IMPRONTA DELLE ALPI OCCIDENTALI SU RESISTENZA ED EUROPA

DAL PASSATO AL FUTURO DELL’ EUROPA

PRESENTAZIONE DEL LIBRO: PROGETTI EUROPEI NELLA RESISTENZA

 Con Pier Virgilio Dastoli, Marcello Croce, Marco Margrita. Aldo Rizza, Alessio Stefanoni

Entra nella riunione in Zoom
https://us06web.zoom.us/j/86298136839

ID riunione: 862 9813 6839