Più che l’analisi formulata da Draghi alla presentazione del libro di Cazzullo “Quando eravamo padroni del mondo” – quasi scontata, e condivisa da tutti, secondo la quale l’Unione Europea non funziona più, ed è, perciò, da reinventare-, stupiscono i commenti dei giornali dell’ “establishment”, e, in primis, quello de “La Repubblica”, che, in altri tempi, si sarebbero limitati ad applaudire. L’articolo di Giovanni Orsina“Perché lo Stato europeo di Draghi è un’idea forte ma irrealizzabile” percorre, sostanzialmente, la strada dell’euroscetticismo, constatando che l’andamento elettorale in tutta Europa, che premia i partiti definiti impropriamente “sovranisti”, va piuttosto nel senso di una riappropriazione di poteri da parte degli Stati membri. Secondo Orsina, s’imporrebbe un compromesso fra il “razionale” federalismo e il sostanziale micro-nazionalismo (che potrebbe trovare la sua espressione al Parlamento Europeo in un allargamento a destra della “Maggioranza Ursula”, verso l’instabile galassia degli europartiti di destra, che si stanno confrontando al loro interno, nella speranza di essere arrivati finalmente alla “stanza dei bottoni”.
Più che l’analisi formulata da Draghi alla presentazione del libro di Cazzullo “Quando eravamo padroni del mondo” – quasi scontata, e condivisa da tutti, secondo la quale l’Unione Europea non funziona più, ed è, perciò, da reinventare-, stupiscono i commenti dei giornali dell’ “establishment”, e, in primis, quello de “La Repubblica”, che, in altri tempi, si sarebbero limitati ad applaudire. L’articolo di Giovanni Orsina“Perché lo Stato europeo di Draghi è un’idea forte ma irrealizzabile” percorre, sostanzialmente, la strada dell’euroscetticismo, constatando che l’andamento elettorale in tutta Europa, che premia i partiti definiti impropriamente “sovranisti”, va piuttosto nel senso di una riappropriazione di poteri da parte degli Stati membri. Secondo Orsina, s’imporrebbe un compromesso fra il “razionale” federalismo e il sostanziale micro-nazionalismo (che potrebbe trovare la sua espressione al Parlamento Europeo in un allargamento a destra della “Maggioranza Ursula”, verso l’instabile galassia degli europartiti di destra, che si stanno confrontando al loro interno, nella speranza di essere arrivati finalmente alla “stanza dei bottoni”.
1.La federazione europea non è nell’ interesse degli Stati Uniti (ANDREW A. MICHTA, “Politico”)
Una spiegazione esauriente del cambiamento di rotta dell’“establishment” si può trovare nell’ articolo di Michta su “Politico” che abbiamo riportato nel post del 24 Novembre u.s, il rafforzamento dell’ Unione, quale vorrebbero (forse) i Governi francese e tedesco, che ha trovato una sua blanda espressione nel documento del “Gruppo dei 12” franco-tedesco, “non è nell’ interesse degli Stati Uniti”.L’optimum è che l’ Europa non si rafforzi troppo, ma neppure si sgretoli, restando in eterno “né carne, né pesce”. Cosa possibile, ma improbabile.
Viene così al pettine il nodo cruciale dell’Unione Europea: nonostante che uno Stato europeo forte, come invoca Draghi, sia da almeno cent’anni un’esigenza urgente per i popoli d’Europa e per il mondo intero (vedi “Pan-europa”, 1923), le classi dirigenti europee, succubi delle vecchie ideologie sette-ottocentesche, come il neo-liberismo internazionale, l’internazionalismo socialista, la teologia della liberazione, il micro-nazionalismo e perfino il “fardello dell’ Uomo Bianco” (e/o “occidentale” o “ariano”), non vi hanno prestato minimamente attenzione, e, quando l’hanno fatto, l’hanno fatto distrattamente, senza dedicarvi eccessivo impegno.
Basti riandare al quasi dilettantistico, anche se sofisticato, progetto di Coudenhove Kalergi, alle oscillazioni di Spinelli fra un federalismo rivoluzionario come quello di Ventotene e un inserimento di fatto nell’establishment funzionalistico ( come commissario ed europarlamentare), e, infine, alla facile liquidazione dei conati europeistici della Francia post-gollista (Giscard d’Estaing, Mitterrand), nonché di Gorbaciov, e perfino del progetto di federazione sotto l’Asse, subito bloccatosi al “Nein” stilato da Hitler al margine dell’ apposito documento di Ribbentrop.
In realtà, come scrivevamo nel post del 24/11, le Comunità Europee avevano esordito nientemeno che con un ordine del giorno approvato dal Senato americano su proposta del Senatore Fulbright, con l’American Commission for a United Europe e con una Dichiarazione Schuman in realtà approntata da Monnet a quattr’occhi con il Segretario di Sato americano Dean Atcheson, sbarcato con un blitz a Parigi il giorno prima dell’ annunzio al Quai d’Orsai.
Le Comunità Europee erano quindi nate da cerchie ristrettissime, più americane che europee, e non avevano mai posseduto, né la ricchezza intellettuale, ne lo spirito combattivo, non diciamo per discostarsi dai desiderata americani, ma neppure per pensare a un proprio autonomo percorso culturale.
2. Sconvolgimento degli equilibri post-1945
Oggi, di fronte al mutamento drammatico dello scenario mondiale, dominato da un’ Intelligenza Artificiale che, sole, possono permettersi le Grandi Potenze; dinanzi allo sconvolgimento del potere di fatto all’ interno degli USA per via della crescente maggioranza “non WASP” (cioè Latinos, Afroamericani, Nativi Americani, Asiatici, più Cattolici, Irlandesi, Gallesi, Scozzesi, Tedeschi, Italiani, Polacchi, Ebrei…), e del conseguente peso della cultura “woke”, e, infine, dinanzi al prevalere economico dell’ Asia e dei BRICS, una nuova ondata in Europa è inevitabile, con o senza l’ Unione Europea.
Tutto ciò rende, da un lato, più urgente che mai, e, dall’ altro, finalmente possibile, un’Europa forte come indicato da Draghi, a patto, però, di abbandonare la cultura “mainstream” del nostro “establishment”, ponendosi come obiettivo, non già di supportare da un ruolo ancillare la prosecuzione del tentativo di presa di controllo sul mondo dei GAFAM, bensì di costruire un’alternativa agli stessi, fondata sulla cultura tradizionale europea, che è critica, elitaria e sociale.
Accertato infatti (come implicitamente fanno tanto Draghi quanto Orsina) che le classi dirigenti europee attuali non sono in grado di esprimere alcun progetto sui temi più importanti, come la sopravvivenza dell’ Umanità, il dialogo multiculturale e la Guerra Mondiale a Pezzi, occorrerebbe partire da una seppur modesta élite capace di pensiero autonomo, che si dedicasse alla comparazione senza pregiudizi con gli altri Continenti, alla risposta alle domande irrisolte dei nostri filosofi e delle diverse confessioni religiose europee, e, infine, all’ educazione degli Europei per il XXI Secolo. Solo una siffatta classe dirigente potrebbe volere, e tentare di realizzare , un’Europa più compatta, talmente sicura di sé da poter permettere senza pericolo alle sue regioni di esprimere quelle distinte identità che contrassegnano il nostro Continente, soddisfacendo così nello stesso tempo le esigenze dei federalisti europei e quelle dei micronazionalisti.
Giovedì 16, il Sindaco di Torino, Lo Russo, ha annunziato che la Città intende porre la propria candidatura a Capitale Europea della Cultura 2033.
Siamo sempre più meravigliati di come temi che noi ponevamo fin dagli Anni 60 siano oramai divenuti, seppure con enorme ritardo, realtà effettiva, e, in particolare, di come quelli che sono stati all’origine, 20 anni fa, dell’ impegno dell’ Associazione Diàlexis, come la politica tecnologica dell’ Europa e Torino Capitale Europea della Cultura, siano solo oggi giunti al centro dell’ interesse delle Istituzioni.
Non vogliamo rivendicare una sorta di “primogenitura”su questi temi, bensì mettere solo in evidenza che, nonostante sia più redditizio attenersi strettamente al “mainstream”, è anche rischioso ignorare le visioni di lungo termine (il deprecato “longtermism”), perché esse finiscono prima o poi per avverarsi.
1.Il Comitato per Torino Capitale Europea della Cultura 2019
Nel caso di Torino, si era fatto tanto parlare nel 2012 di Torino Capitale Europea della Cultura per il 2019, ma poi, all’ ultimo momento, il Sindaco Fassino aveva deciso di non presentare nemmeno la candidatura. Ora l’attuale sindaco, Lo Russo, vuole candidare la città per il 2033, prossima data in cui questo compito spetterà nuovamente all’ Italia. L’idea è senz’altro eccellente, e non per nulla l’Associazione Diàlexis si era data tanto da fare a partire dal 2012 per sostenere la candidatura, innanzitutto creando un comitato a sostegno della stessa, il quale aveva organizzato una serie d’iniziative di accompagnamento, e, poi, pubblicando due instant-book programmatici (“Torino, Capitale Europea della Cultura?”, e “Torino Snodo della Cultura Europea”). Eravamo, e ancora siamoconvinti , infatti, che l’intera Europa e Torino in particolare abbiano una vera e propria urgenza di una “transizione culturale”, che dovrà affiancarsi alle transizioni digitale ed ecologica: ché, altrimenti, queste due sono condannate a degenerare nella direzione di una dittatura tecnocratica post-umanistica.
Le Capitali Europee della Cultura sono una delle pochissime azioni europee di carattere culturale, sì che sarebbe auspicabile che il loro successo costituisse uno stimolo ad allargare di molto lo sforzo europeo per la transizione culturale.
In particolare Torino, orfana, da un lato, dell’ingombrante presenza del Gruppo FIAT, e, dall’ altro, del mondo culturale azionista e comunista, che bene o male presidiava l’industria culturale cittadina, ha un drammatico bisogno, da un lato, di ingenti attività economiche alternative, e, dall’ altro, di una nuova classe dirigente idonea ad affrontare le sfide della Società delle Macchine Intelligenti.
L’intera attività della nostra Associazione negli ultimi 17 anni è stata rivolta a porre le basi teoriche per una siffatta classe dirigente.
Crediamo che molti temi nati nel 2010 dal Comitato della Società Civile per Torino Capitale Europea della Cultura possano essere ripresi oggi. Quello principale era che, perché valga la pena, per una città, di essere “Capitale Europea della Cultura”, bisogna volere esserlo davvero, e non solo durante il fatidico anno in cui si detiene il titolo.Come ha scritto su “La Stampa” Lorenzo Fazio, “L’obiettivo dovrebbe essere fare di Torino la Capitale europea della cultura non solo per un anno, ma per sempre”.
2.Capitale europea della Cultura e Istituto Italiano per l’Intelligenza Artificiale
In pratica, la Città dovrebbe cercare riunire in sé le comnpetenze e la volontà politica pewr dare risposta, sul piano teorico come su quello pratico, alla principale sfida della società contemporanea:la convivenza, da un lato, fra uomini e macchine intelligenti, e, dall’ altro, fra le varie identità umane, universale e continentali, religiose e regionali, ideologiche e nazionali, locali, cittadine e individuali.
A titolo di esempio, ricordiamo che il Governo ha appena approvato lo Statuto dell’Istituto Italiano per la Proprietà Intellettuale con sede a Torino. Questa realtà, lungi dal rappresentare solo un patrimonio tecnologico della Città, potrebbe, e dovrebbe, costituire un fondamentale elemento di cultura, appunto un aiuto per affrontare il problema numero uno del XXI° Secolo: il mantenimento della centralità dell’ Umano pur in un mondo popolato dalle macchine intelligenti, o addirittura “spirituali”. L’”Intelligenza Artificiale” è cultura in tutti i sensi del termine, almeno quanto l’intelligenza umana.
Per fare ciò, s’ impone una vigorosa azione lungo quattro direttive:
-lo studio e il dibattito culturale;
-il recupero delle basi esistenziali e pedagogiche delle civiltà dell’ Epoca Assiale;
-un processo intensivo di “upskilling”digitale dell’ intera società;
-il sostegno alla nascita nel territorio di imprese innovative del settore digitale;
–una vera rivoluzione della struttura economica, demografica e sociale.
Affinché la candidatura a Capitale Europea della Cultura 2033 possa rappresentare un contributo non effimero, una parte, non secondaria, del dossier di candidatura dovrebbe essere dedicata a questi temi, come indicato già nei nostri libri pubblicati nel 2010, non tanto in senso teorico, quanto declinandoli sotto forma di eventi, arte digitale, convegni, musei, produzioni editoriali e cinematografiche. Nel fare ciò, anche l’Istituendo Istituto potrebbe, e dovrebbe, fare la sua parte.
L’Associazione Diàlexis, fedele alla sua missione istitutiva, intendeva sensibilizzare al contempo le Istituzioni e i membri dell’allora Comitato della Società Civile per Torino Capitale Europea della Cultura, con l’obiettivo d’ integrare la società civile nelle attività di accompagnamento della candidatura. Avevamo organizzato per questo una serie di manifestazioni al Comune, alla Fondazione Agnelli, al Circolo dei Lettori e nella sede di Alpina Srl.
Ora, come primo passo, stiamo rieditando il libro “Torino, Capitale Europea della Cultura?”, che, a nostro avviso, può ancora, anche dopo 12 anni, costituire un utile strumento di orientamento delle politiche locali in materia, e che comunque è già acquistabile come e.book presso StreetLib(https://store.streetlib.com/politica-e-societa/intorno-alle-alpi-occidentali-autour-des-alpes-occidentales-identita-di-un-euroregione-identite-dune-euroregion-30081/), e, inoltre, come e.book e in formato cartaceo, il libro, collegato al primo, “Torino, snodo della cultura europea”.
Cercheremo d’interagire con la società civile e con le istituzioni come già fatto in occasione della mancata candidatura del 2012.
4.Il favore del Ministro Sangiuliano
Pare che il motivo per cui il Sindaco Fassino aveva rinunziato allora alla candidatura, che pure si stava preparando, fosse stato un informale parere negativo da parte dell’allora Ministro della Cultura Bray, che avrebbe espresso la propria preferenza per Matera. Premesso che, dal punto di vista giuridico, il Ministero nazionale della Cultura non è l’unico soggetto decisivo nella scelta della città Capitale Europea della Cultura, da effettuarsi anche e soprattutto da parte di una commissione indipendente nominata dall’ Unione Europea, bene ha fatto il Sindaco Lo Russo a chiedere pubblicamente un parere preventivo del Ministro della Cultura, Sangiuliano, il quale ha risposto prontamente e pubblicamente, manifestando il suo (per quanto generico) apprezzamento:”Torino è una naturale capitale della cultura, una città densa di storia e tradizioni che negli ultimi anni ha subito importanti trasformazioni.La sua aspirazione a essere Capitale Europea della Cultura è fondata, come quella di altre città italiane.”
Ciò fatto, s’impone un’azione urgente. Come ha dichiarato a “La Stampa” l’assessora alla Cultura del Comune di Torino, Rosanna Purchia, “o partiamo nel 2024 oppure perdiamo il treno, è un lavoro che si costruisce con il tempo, senza che nessuno ti garantisca la vittoria fino all’ ultimo momento. Matera ci ha lavorato per 9 anni, altre città come Barcellona addirittura 10.”
Nonostante l’incertezza del risultato, proprio la complessità del processo di preparazione di una candidatura fa sì ch’esso abbia un valore di per se stesso, in quanto costringe Istituzioni e società civile a confrontarsi lungamente e approfonditamente sul futuro della città. Non sarebbe in nessun caso un lavoro buttato , anzi, si concreta esso stesso in manifestazioni dotate di un loro peso specifico, in quanto “danno il tono” alla vita culturale, politica e sociale della città candidata, finalizzando tutti gli sforzi in tutti i campi appunto alla candidatura. E’ quanto sostenuto nel nostro libro “Torino, Snodo della cultura europea”, dove venivano censiti una sessantina di progetti per la Capitale Europea della Cultura, che i membri del Comitato erano pronti a realizzare, in consorzio fra di loro o con terzi, o insieme all’ apposita struttura creata dal Comune. Tali progetti, che comunicheremo al più presto al Comune,attualizzati per il 2033.
I punti focali sono:
-affinare la ricerca dell’identità del nostro territorio dopo la fine della società industriale e l’avvio di quella digitale, riscoprendo anche aspetti fino ad oggi trascurati, come la regione transfrontaliera delle Alpi Occidentali(cfr. nostro libro “Intorno alle Alpi Occidentali/Autour des Alpes Occidentales”), l’identità storica piemontese; le tradizioni feudali e sabaude; le culture non conformistiche, anche straniere, come Nietzsche e Michels; l’esperienza olistica olivettiana; la progettualità politica del territorio (cfr. nostro libro “I progetti europei nella Resistenza”),il turismo montano non sciistico;
-concentrarsi sulla cultura delle nuove tecnologie ( Intelligenza Artificiale, proprietà intellettuale, spazio, cyberguerra, cyber-intelligence; ma anche bioingegneria, algoretica, arte digitale, diritto dell’ informatica…), che oggi costituiscono la maggioranza delle questioni culturali, politiche, sociali ed etiche ed etiche più urgenti (cfr. i nostri libri:Habeas Corpus Digitale,Corpus Iuris Technologici,
Re-Starting EU economy via technology-intensive Industries,European Technology Agency,L’Istituto Italiano dell’intelligenzaArtificiale di Torino;L’Europa e l’Agenda Digitale, tutti acquistabili nella forma di e.book tramite StreetLib.
Capiamo che, come emerge dalla lettura della stampa, questa candidatura, come un po’ tutte le candidature per la Capitale Europea della Cultura, sarà per gran parte un portato delle Istituzioni e delle grandi organizzazioni della Società Civile, fornite di un’adeguata superficie finanziaria e organizzativa. Tuttavia, in questo momento di profonda transizione nell’organizzazione delle politiche culturali, non credo si possa impedire a tutta una galassia di soggetti, “mainstream”o no, istituzionali o no, di fornire adeguatamente consorziati, il proprio apporto su temi specifici. Capiamo anche che, in un processo così lungo, la generazione che potrebbe realizzare l’impresa sarà diversa da quella che si era adoperata con noi per Torino capitale 2019. Occorre comunque passare il testimone, affinché la Torino dei nostri figli non sia ancor più decadente e disorientata di quella odierna..
Per questo, puntiamo a ricostituire il Comitato della Società Civile per Torino Capitale Culturale Europea.
Nel prendere atto di questa interessante iniziativa (cfr.allegato a questo post: il programma verrà postato a parte), che, affrontando il tema a noi caro delle identità, segna un cambio di passo rispetto alle pur numerose manifestazioni tradizionali nella nostra città, invitiamo i nostri lettori a parteciparvi. Riteniamo opportuno pubblicare anche una serie di nostre considerazioni sul tema oggetto della manifestazione e alcune osservazioni volte a possibili miglioramenti per gli anni a venire.
1.Resilienza delle identità Il mondo sta veramente cambiando.
L’identità, che prima sembrava solo “una parolaccia”, è oggi tornata al centro del dibattito culturale e politico. E come potrebbe essere diversamente, se i grandi fenomeni storici che si sviluppano sotto i nostri occhi (rinascita di Israele e della Cina, individualismo democratico, panarabismo, femminismo, crollo dell’ Unione Sovietica e giganteggiare delle sue ex Repubbliche, movimento LGTB+, “fondamentalismi”), si sviluppano tutti nel nome delle identità: culturale, storica, collettiva, etno-nazionale, individuale, nazionale, sessuale, religiosa, di genere? Come noto, la problematica dell’identità nasce con Hume, che, nel suo empirismo, negava il concetto classico di identità personale, ma poi solo per pervenire alla conclusione che l’identità e necessaria, in quanto è la sola cosa che rimane nell’incessante divenire dei fenomeni. Quest’idea fu poi sviluppata dai Romantici, per i quali l’identità era un necessario contrappeso alle illusioni dell’esistenza (un’autenticità che spezza la banalità borghese). Tutto ciò portò all’esaltazione dell’Eroe (Carlyle), e, poi, del Superuomo (Nietzsche). La ricerca della propria identità personale è stata poi alla base della psicanalisi, e la difesa delle identità collettive ha costituito la motivazione prima dei Risorgimenti, delle lotte anti-coloniali e delle guerre civili post-sovietiche. A partire, infine, dal tentativo di omologazione mondiale avviato con la globalizzazione e la pretesa “Fine della Storia”, la difesa delle identità è divenuta la parola d’ordine di tutti i nuovi movimenti, e di quasi tutti gli Stati, ché, altrimenti, gli uni e gli altri, a causa della “Fine della Storia” non avrebbero più neppure avuto una ragion d’essere. Se io ho, o affermo, un’identità, sono costretto, per affermarla, a combattere la globalizzazione, l’omologazione, l’egualitarismo, l’apolidismo. Invece, l’informatica e l’Intelligenza Artificiale stanno facendo temere concretamente la prossima perdita della soggettività umana, rendendo così urgente una generalizzata rivolta identitaria. 2.L’identità quale strumento della politica Oramai, chi non padroneggia la materia delle identità non può avere un peso politico nel XXI Secolo, perché in ogni contesto la politica consiste ormai in ultima analisi nel fronteggiarsi di identità contrapposte: quella tradizionalista e quella “liquida”; quella WASP e quella Woke; quella spagnola e quella catalana; quella pan-serba e quella grande-albanese; quella pan-russa e quella ucraina; quella ebraica e quella palestinese…(anche se nel contesto di un conflitto “identitario” più vasto: tecnocrazia contro umanesimo). Molti vorrebbero svolgere il ruolo di mediatori, ma non ne sono capaci, perché le loro culture non sono così “universali” da permettere loro di comprendere le ragioni delle opposte identità e di comporle in un’unità superiore. Nonostante la sua presunzione, la cultura “progressista”, fondata sullo sviluppo di idee astratte e di un’impersonale “Ragione” è del tutto aliena dall’ empatia con le diverse “Identità”, e, al contrario, finisce per favorire solo l’omologazione universale.In tal modo, si è auto-esclusa dai necessari sforzi di mediazione.
3.I casi post-sovietici e post-jugoslavi
Tra l’altro, le opposte identità che si fronteggiano sono spesso molto più simili di quanto non appaia, perché si riallacciano in ultima analisi al substrato istintuale comune dell’Umanità, alle grandi civiltà ancestrali, alle tradizioni regionali e macro-regionali, ad una convivenza millenaria sui territori…. Per esempio, Russi ed Ucraini condividono quella “etnografia degli Slavi Orientali” ben studiata nell’ era sovietica: hanno in comune eroi (Ol’ga, Vladimir, Razin, Pugaciov), letterature (Il Canto della Schiera di Igor, le Bylyne, Gogol’), uomini politici (Khruscev, Brezhniev). Le loro lingue sono intercambiabili, al punto che, tradizionalmente, la maggior parte della popolazione ucraina parlava il Surzhyk,un miscuglio di lingue slave-orientali, mentre Cakavo, Stokavo, Kajkavo, Ikavo, Jekavo ed Ekavo “se ne fregano” delle frontiere fra le Repubbliche e delle lingue “nazionali” artificiali inventate nell’ultimo quarantennio (Serbo, Croato, Bosniaci, Montenegrino).
Infine, Palestinesi ed Israeliani sono ambedue un miscuglio di popoli diversissimi, ma ambedue accomunati da una lingua e cultura semitica, dal legame con le tradizioni dei Popoli del Libro, dalla centralità della cultura religiosa come fatto dentitario.
E’ solo la modestissima cultura dell’ establishment, “appiattita” sui luoghi comuni e sulle ideologie degli ultimi secoli a non vedere, per esempio, gli aspetti di continuità fra Yamnaya, la Civiltà Danubiana, i Popoli delle Steppe, la Federazione Linguistica Balcanica, il Canto della Schiera di Igor, i Cosacchi, la Guerra di Crimea, l’Ostalgie, come pure gl’Imperatori Illirici, il Glagolitico, i monasteri ortodossi e islamici, Fortis, Tommaseo, Mestrovic, Andric, Kadaré, e, infine, le descrizioni che gli antichi Egizi facevano dei conflitti nell’ Antica Palestina, oppure le figure intermedie dei Samaritani e dei Cristiani arabi orientali.
L’ interesse comune delle diverse identità sarebbe quello di combattere insieme contro l’omologazione mondiale, che sta trovando il suo sbocco nel progetto nichilistico della “Singularity Tecnologica”, ma gli opposti “establishment” non lo comprendono perché già parzialmente obnubilati da quella cultura della globalizzazione che credono di osteggiare. Così, con la “Guerra Mondiale a Pezzi” accelerano la transizione alla Società delle Macchine Intelligenti (AI, droni, sistemi autonomi, cyberguerrieri), le quali prosperano in un contesto di guerra totale.
Il conflitto russo-ucraino costituisce una delle prove più schiaccianti del fallimento della politica sovietica delle nazionalità, studiata e applicata, all’ interno di una formale cornice marxista, dallo stesso Stalin (inviato appositamente a Vienna da Lenin per studiare l’austro-marxismo dell’ Impero Austro-Ungarico), il quale pensava di giocare tanto le nazionalità quanto l’internazionalismo per fare dell’ URSS un Paese veramente federale (attraverso la dialettica “korenizacijai/slijanijeii”). Tuttavia, proprio l’austro-marxismo, a cui i comunisti si ispiravano, non forniva una base sufficiente per fondare un “patriottismo sovietico”, che avrebbe trovato ben più valide ragioni nell’eurasiatismo, concependo quest’ultimo l’URSS come un lontano erede dell’impero mongolo (Trubeckoj, Gumiliov),a sua volta massima incarnazione delle federazioni di popoli delle steppe da sempre esistite, come quelle Unnica, Göktürk, Uigurica, Avarica, Khazara, in continua evoluzione secondo le modalità dell’ “Etnogenesi” teorizzata da Gumiliov.
Come si vede, questa era la ragione profonda per il crollo dell’ Unione Sovietica e della Jugoslavia, e le attuali convulsioni sono dovute essenzialmente allo sforzo per realizzare una radicale inversione di rotta, dall’ austro-marxismo, all’ eurasiatismo. Anche l’idea di due Stati in Palestina soffre della stessa concezione rigida delle nazionalità. Non per nulla, anche Herzl e Buber provenivano dall’ Impero Austro-Ungarico, che nonostante le sue positive premesse, era stato travolto dalla mancata soluzione della questione nazionale.
Nello stesso modo, Tito aveva costruito una federazione sulla falsariga di quella sovietica, esasperando, come in URSS, la “korenizacija” dei popoli “titolari”, così facendo perdere di vista il carattere “pan-europeo” delle Krajine, della costa dalmata, dell’Euroislam, della Macedonia e del Kosovo, e fornendo carburante all’esplosione piccolo-nazionalistico delle guerre jugoslave.
In che modo la consapevolezza delle comunalità fra identità contrapposte possa contribuire alla riduzione delle conflittualità può essere illustrato dall’ approccio da noi adottato nel libro “De Illyrico et Moesia”, dove, facendo leva sulla “federazione linguistica balcanica”iii e sulle tradizioni illiricaiv, cirillo-metodianav, bogumilavi e morlaccavii, abbiamo cercato di ritrovare elementi di continuità fra l’Impero Romano, le presenze slava, neo-latina e islamica. In questo contesto, un approccio macro-regionale e cantonale, lungi dal costituire un’aborrita soluzione di emergenza, potrebbe permettere di mettere in luce la vera identità dei Balcani Occidentali.
3.I limiti del Festival Il Festival dell’1-5 novembre ci pare percorrere finalmente la strada giusta, anche se è ancora caratterizzato da due dimenticanze: l’Identità Europea, mai citata in nessuno dei titoli né dei programmi, e le identità degli altri Continenti che si stanno affermando prepotentemente in questi anni, prime fra le quali quelle islamica e quella cinese. Vi è solo un timido accenno all’ identità “dell’ Occidente”(Cardini), Mancano però le “Identità Continentali”, protagoniste della grande trasformazione in corso nel sistema mondiale, le uniche che, proprio per questa loro attualità. riescano a suscitare riflessioni pertinenti e l’entusiasmo di intellettuali e opinioni pubbliche. Certo, l’identità europea sarà presente, seppure indirettamente, attraverso la presentazione, da parte di Cardini, del suo libro “La deriva dell’ Occidente” ( che per altro è dedicato prioritariamente, più che all’approfondimento di ciò che è specifico dell’ Europa, alla critica a un Occidente a guida americana); quella ebraica ,nel colloquio con Ruth Dureghello; quelle russa e balcanica con Kusturica,che parlerà di Peter Handke.Tutte identità più vaste o più ristrette di quella europea. Eppure, è l’Identità Europea la questione centrale del nostro tempo, perché, nell’”epoca planetaria” dominata dalla competizione per il controllo dell’ Intelligenza Artificiale, non soltanto il potere politico, la prosperità economica e la sicurezza militare, ma la stessa possibilità di sopravvivere nonostante la tirannide del Complesso Informatico-Digitale, dipende dall’ appartenenza a grandi Stati-Civiltà, che non soltanto dispongano delle risorse politiche, tecnologiche, militari ed economiche, per trattare da pari a pari con i colossi del web e con le altre Superpotenze, ma incarnino anche un loro modello specifico di uomo e di società, capace di contribuire in modo originale allo sforzo collettivo per il controllo dell’ Intelligenza Artificiale. Nel caso nostro, l’”Europe-Puissance” quale immaginata a suo tempo da Coudenhove Kalergi e da Giscard d’Estaing. Invece, un’Europa che si concepisca solo come un sottoinsieme all’ interno di un Occidente di cultura americana (nazioni borghesi, millenarismo immanentistico, tecnocrazia travestita da “liberal-democrazia”) non potrà incidere in alcun modo sulla formazione dell’ auspicato Umanesimo Digitale, che non potrebbe sostanziarsi se non in un’industria digitale “sovrana”, in una pedagogia fondata sull’ eccellenza individuale secondo i modelli classici e delle “Religioni del Libro”, in una mobilitazione culturale a tutti i livelli, e in un dialogo serrato con il resto del mondo. L’Occidente attuale persegue invece un millenarismo tecnocraticom ostile alle tradizioni umanistiche, e, come aveva dimostrato la vicenda Olivetti, non permette la nascita in Europa di un Umanesimo Digitale. Un’ “Europa Sovrana” non potrebbe fare a meno d’interrogarsi su che cos’abbiano da insegnarle le culture degli altri Continenti, come per esempio forme attualissime di ascesi intramondana (come quella delle “arti marziali” estremo-orientali); una logica “fuzzy”viii radicata, per esempio, nella struttura di lingue isolanti e di scritture pittografiche come quella cinese (cfr. i Classici Confucianiix); il culto delle tradizioni ancestrali, religiose e familiari (come nell’ Hindutvax); il senso, nel contempo, della comunità e delle gerarchie (Dumontxi). Né di coalizzarsi con loro contro l’egemonia mondiale dei GAFAMxii. Questo proprio nell’ ottica, citata anche nel programma di “Radici” , dello sforzo per controllare l’ Intelligenza Artificiale, che è, prima ancora che un fatto politico, giuridico e tecnologico, una questione di educazione del carattere per un’era, come la nostra (la “Guerra Mondiale a Pezzi”), in cui la resilienza dell’ Umano sarà messa a dura prova, non meno che in epoche passate che noi consideriamo particolarmente difficili per l’Umanità (dalla preistoria, alle Invasioni Barbariche, al Medioevo, alle Guerre Mondiali). Tutto ciò sembra assente (ma potremmo sbagliarci) dalla manifestazione di Novembre , come da quasi tutte le attuali manifestazioni culturali: un po’ per l’ignoranza generalizzata delle culture extraeuropee, un po’ per quel clima di mobilitazione bellica che si è voluto instaurare negli ultimi decenni, ben prima delle guerre in Ucraina e a Gaza, con gli attacchi culturali e polizieschi a tutto quanto è fuori dell’ “Occidente”, un po’, infine, per il tacito consenso fra le diverse forze sociali per evitare di allarmare la popolazione. Nonostante queste lacune, il Festival costituisce comunque un deciso passo in avanti rispetto agli standard torinesi del passato. Cerchiamo perciò di apprezzare tutto il buono della manifestazione, partecipandovi e apportando il nostro contributo. Segnaliamo in particolare gl’interventi di Veneziani, Dureghello, Cardini e Kusturica, sui quali ci ripromettiamo di ritornare. Porgiamo quindi, all’ Assessore Marrone , al direttore della manifestazione Culicchia e ai vertici del Circolo dei Lettori e del Salone del Libro i migliori auguri di successo per “Radici”, cominciando a programmare per il prossimo Salone qualcosa sul tema delle identità, sulla falsariga delle pubblicazioni di Alpina/Dialexis, e, in particolare, di “100.00 anni di Indentità Europea”xiii , di “Intorno alle Alpi Occidentali”xiv e, infine, di “De Illyrico et Moesia”
ALLEGATO
RADICI. IL FESTIVAL DELL’IDENTITÀ
CULTURA & TRADIZIONE
01/11/2023 – 05/11/2023
La Fondazione Circolo dei lettori inaugura Radici, il festival dell’identità (coltivata, negata, ritrovata), in programma dal 1 al 5 novembre, un progetto a cura di Giuseppe Culicchia sostenuto dall’Assessorato all’Emigrazione della Regione Piemonte.
Con ispirazione pirandelliana, il festival chiama grandi artisti e voci a interrogarsi su una nessuna e centomila identità: l’identità individuale e l’identità dei popoli, l’identità di una comunità e quella di una nazione; l’identità come idea che un individuo ha di sé stesso all’interno di una società, a partire da quelle caratteristiche che dovrebbero teoricamente renderlo unico e inconfondibile, ma che il consumismo ha omologato in stili di vita e modelli culturali, come denunciò per primo Pier Paolo Pasolini già, negli anni
Abbiamo spesso avuto l’occasione di osservare, senza approfondirla, la distinzione fra “conservatorismo” e “conservazionismo”. Oggi ci sembra il caso, di fronte ai dibattiti sempre più accesi sul conservatorismo e sulle “culture da destra” (cfr. Francesco Giubilei, Gli Intellettuali di destra), di ritornare su quelle definizioni.
Il conservatorismo è un fenomeno praticamente eterno, in quanto in tutte le epoche una parte della società si è volta con nostalgia ai tempi passati. Basti pensare a Platone, a Tacito, a Dante, a Balzac, a Gandhi…Tuttavia, a mano a mano che si procede nel corso dei secoli “storici”, nasce una forma più consapevole e profonda di conservazione: una riflessione sui caratteri “permanenti” dell’Umanità, minacciati, appunto, dal processo storico, che, in modo speculare all’ avanzamento delle tecniche, induce un depotenziamento dell’uomo rispetto all’ “Uomo Universale” dei primordi: dall’Età dell’ Oro, l’epoca eroica, la “Patrios Politeia”, il “Mos Maiorum”,i Primi Cristiani, l’Età Classica, il Rinascimento, il Risorgimento, lo Spirito Dionisiaco.
Questo svuotamento dell’Umano “classico” è stato denunziato in molte delle sue forme: indebolimento dei costumi, varie forme di tirannide, oblio della cultura alta, delle virtù civiche o dell’autenticità delle persone.
Nel 19° e, soprattutto nel 20° secolo, questa disumanizzazione veniva ascritta prioritariamente alla tecnica: l’”alienazione” di Marx, la “gabbia d’acciaio” di Weber, l’”uomo in provetta” di Huxley. Il Mito del Progresso si rivela come un sostanziale regresso, effetto dell’Eterogenesi dei Fini. Lo riconoscono alla fine personaggi diversi, come Goethe, Freud, Heidegger, Peccei, Anders, Fukuyama… Un’opera che rende bene questo clima culturale è la “Waste Land” fu Th.S. Eliot:
«Where is the wisdom we have lost in knowledge? Where is the knowledge we have lost in information?»
«Dov’è la saggezza che abbiamo perso nella conoscenza? Dov’è la conoscenza che abbiamo perso nell’informazione?»
(T.S. Eliot, The Rock, 1934)
Fra il 20° e il 21° secolo, la disillusione per il mito del progresso è oramai generalizzata, anche fra personaggi provenienti da culture progressiste: Pacces, Barcellona, Compagnon, Arpaia, Krastev. Solo qualche ostinato nostalgico (p.es. Pinsker) continua a sostenere che l’uomo non sia mai stato felice come oggi.
1.Il volto oscuro del progresso
Tuttavia, solo oggi la vera ragion d’essere dell’opposizione a questo depauperamento dell’ Umano si rivela in tutta la sua drammaticità: sotto le vesti accattivanti della civilizzazione, della moralizzazione, dello Stato, prima etico e poi democratico, della comodità, della filantropia, della ricerca scientifica, del moralismo, si cela l’affermarsi di un Leviatano, prima politico, poi sociale, e, finalmente, tecnologico: l’Anticristo di Soloviov, l’Impero Nascosto delle sette, dei Poteri Forti, del Complesso Informatico-Digitale, del Politicamente Corretto, del conformismo planetario, della Società del Controllo Totale, fino all’ estinzione dell’ Umano, travolto dall’ Intelligenza Artificiale, come denunziano unanimemente e per iscritto gli stessi guru dell’ informatica inventori dei GAFAM e oggi “lobbisti” delle stesse, chiedendo alle Istituzioni di porre un freno alla ricerca sulla stessa.
La Modernità si rivela così più che mai identificarsi con l’ipocrisia puritana, che impone a tutti, nel nome di un’ incombente Parusìa, la modestia, la trasparenza, l’eguaglianza, la rinunzia, riservando tuttavia ai vertici occulti dei Poteri Forti un potere e un’ambizione senza limiti, quella del Dott. Faustus. L’Umanità non andrebbe avanti senza differenza, gerarchie, pensiero consolidato, ambizione, coercizione, premi e ricompense (in primis, quelle dei tecnocrati e imprenditori); tuttavia, questo non lo si deve dire – anzi, bisogna convincere i più che lì stia il Male Assoluto, in modo che solo i Superiori Sconosciuti, i settari, i “Gatekeepers”, gli agenti segreti, possano imporre la loro volontà a una maggioranza di ebeti che credono nelle favole della Fine della Storia.
Il risultato immediato è il dominio dei GAFAM sul mondo, ma, a breve, sarà il dominio sul mondo delle macchine create dai GAFAM: Intelligenza Artificiale; bioingegneria; cyberguerra; impianti cerebrali; robots; Società del Controllo totale, droni assassini; Fake News, censura automatizzata…
Quello che viene erroneamente definito come “egemonia culturale della sinistra” è, in realtà, la tirannide totalitaria della Modernità Scatenata, che impone ai cittadini un’ agghiacciante omogeneità ( “i Paesi avanzati”; “non lasciare indietro nessuno”; “la Comunità internazionale”; “i Diritti”), ma, soprattutto, vorrebbe spacciare, come “dialettica democratica”, la presenza, all’ interno di questo quadro omogeneo, di alcune insignificanti sfumature, come un liberismo o un sindacalismo di facciata, un Cattolicesimo che ha accettato che la salvezza venga dalla Scienza e dalla Tecnica, o un sovranismo che accetta una occupazione straniera permanente. Invece, le reali alterità, come le culture extraeuropee (come il Confucianesimo e l’Induismo), oppure un autentico relativismo, o ancora la piena rivendicazione delle differenze, vengono ostracizzate al punto da divenire indicibili.
La confusione fra “mainstream” e “sinistra” nesce solo dal fatto che, come giustamente osserva Marcello Foa ne “il sistema (in-)visibile”, vi è stata, negli ultimi decenni, una convergenza, in Occidente, fra i metodi di condizionamento (“propaganda sociologica”) del KGB e della CIA, spesso con la confluenza dello stesso personale politico.
Si spiega così, ad esempio, l’assoluta intercambiabilità fra la “Maggioranza Ursula” e la “Maggioranza Metsola”,visto che le due donne politiche in oggetto, non solo dicono le stesse cose, ma si vestono perfino nello stesso modo.
2.La Dialettica dell’ Illuminismo
Tutto ciò era già stato profetizzato, seppure in forma criptica, nel classico libro di Horkheimer e Adorno “Dialettica dell’ Illuminismo”.
Oggi, il vero problema non è neppure più politico-culturale: è esistenziale. La Fine della Storia si rivela, come ha dovuto riconoscere lo stesso Fukuyama, la Fine dell’Uomo (prevista addirittura entro 10-20 anni a meno che non intervengano eventi drammatici, come la Terza Guerra Mondiale), in cui, di fronte all’ onnipotenza del sistema macchinico, l’Uomo si rivela, come scriveva Anders, antiquato e inutile.
Basti pensare allo scontro oggi in atto in tutto il mondo in corso fra missili ipersonici, sistemi satellitari, droni, servizi segreti e hacker: per esempio, nella guerra in Ucraina, fra Patriot e Kinzhal.
Il “Phylum Macchinico”, come lo chiamava De Landa (cioè l’insieme delle macchine intelligenti operanti come la nuova razza dominatrice del mondo), vero protagonista del XXI° Secolo, appare con il volto accattivante della Libertà, dei Diritti, delle scoperte scientifiche, dell’onnipotenza dell’Uomo, per poi rivelarsi, nei fatti, come l’Anticristo di Soloviov: l’affossatore dell’Umanità. Libertà, Diritti, scoperte scientifiche, onnipotenza dell’Uomo (le “Magnifiche Sorti e Progressive” di Leopardi) sono gli slogan branditi di volta in volta dalle mosche cocchiere delle Macchine Intelligenti (ma, tra l’altro, mai tradotti in pratica), per distruggere il tessuto sociale, trasformando l’Umanità in una massa indifferenziata, debole e instupidita (quella che Tocquevill vedeva sorgere in America), incapace di resistere alla forza delle macchine, uniche adatte a sopravvivere alla Terza Guerra Mondiale. Dove libertà, diritto, dominio dell’ Uomo sulla natura, saranno annientati in una nuova era (la “Posthisthoire” di Gehlen), le cui protagoniste saranno le macchine, almeno fintantoché il software dematerializzato non inghiottirà l‘intero mondo quale noi lo conosciamo, e quindi le macchine stesse (la “Singularity Tecnologica” di Kurzweil).
Per questo, s’ impone oggi più che mai, quale necessaria antitesi, quella “Forza che Trattiene”, quel misterioso Katèchon, di cui parlava San Paolo senza poterlo, né volerlo, spiegare, il quale si oppone alla Fine dell’ Uomo, almeno fintantoché questa non coinciderà con il Giorno del Giudizio. Per via di quest’ultimo inciso, anche il Katèchon si rivela duplice e ambiguo, e, se Sant’Agostino affermava di non comprenderlo, i suoi successivi cultori, dalle Hadith mussulmane a Ottone di Frisinga, da von Bader a Carl Schmitt, fino a Pietro Barcellona e Aleksandr Dugin, sono, su questo punto, almeno altrettanto oscuri e sfuggenti di San Paolo.
Comunque sia, quella dialettica fra l’Anticristo e il Katèchon (la “Dialettica dell’ Illuminismo”) è al cuore stesso della storia contemporanea, come dimostrano le numerosissime prese di posizione contro l’Intelligenza Artificiale, interpretata come fine dell’ Umanità, da parte degli stessi inventori e cultori della stessa.
Essa costituisce lo sbocco finale di una lotta incessante nel corso della storia: fra i Persiani chiliasti e i Greci “catecontici” (basti pensare all’Oracolo di Delfo su Leonida e al Sogno di Dario); fra il nichilistico Buddhismo Hinayana e quello Chan, costruttivo e combattente (per esempio, Bodhidharma e il Monastero di Shaolin); fra l’ansia di Apocalisse degli Anabattisti (vedi la bandiera arcobaleno issata per la prima voltanella battaglia di Frankenhausen, ed ora ripresa da tutti i movimenti progressisti) e il discorso di Lutero ai Principi Tedeschi; fra la Pasionarnost’ dell’Eurasiatismo e il postumanesimo dei Cosmisti russi…
Non per nulla il Pontefice Romano, massima espressione delle religioni mondiali, ha incitato le Istituzioni Europee (per quanto inutilmente) alla resistenza agli “Imperi Sconosciuti” (i GAFAM, le società segrete e, soprattutto, l’”Impero Nascosto” americano).
Contrariamente a questi ultimi, i grandi imperi della Storia ancora sopravvissuti (in concreto, le potenze dell’Eurasia), pure nella grande varietà e confusione delle loro posizioni, si richiamano a un’idea di conservazione. Il marxismo cinese non riesce a soffocare l’emergere del linguaggio confuciano, là dove si propone, quale obiettivo strategico per i 100 anni della Repubblica Popolare, non già il Comunismo, né il DaTong, mitico ideale normativo del Confucianesimo, bensì il più equilibrato Xiaokang (la “Società Moderatamente Prospera”) .Il Janata Party, riallacciandosi con ciò al Gandhi di “Hind Swaraj”, esalta “le Dee e gli Dei dell’ India”, lo Yoga e le medicine tradizionali. Ma perfino nell’Occidente anglosassone, roccaforte dei GAFAM e della NSA, e quindi , del Progetto Incompiuto della Modernità erede di tutti i chiliasmi, vi sono personaggi come Assange e Snowden che si battono eroicamente contro gl’ Imperi Sconosciuti.
3.Cos’è il “Conservazionismo”?
Chiamiamo “conservazionismo” questa resistenza trasversale contro gli esiti ultimi del mito del Progresso. Essa si oppone non già in modo episodico (come facevano i vari conservatorismi del passato ) alle successive “derive” dei mondi “tradizionali” (la democrazia ateniese, il despotato romano, la “gente nova” di Dante, la Rivoluzione Francese, il macchinismo dei Luddisti, il marxismo degli anticomunisti),- idolatrando invece, chi lo Stato di Natura,chi l’Età dell’ Oro,chi il Mos Maiorum,chi l’Ancien Régime, chi la società borghese, chi i regimi totalitari, chi le “Trente Glorieuses, – bensì all’attuale distruzione dell’uomo quale noi lo conosciamo (quello dell’ Epoca Assiale, che nasce con le grandi culture della scrittura e dura fino a noi), senza avere per altro intanto costruito nulla di veramente alternativo (quella che avrebbe dovuto essere la Nuova Società Organica lanciata da Saint-Simon e al centro di tutte le utopie ottocentesche, ma mai realizzata).
In termini nietzscheani, in conservatorismo rappresenta l’ “Uomo più Brutto”, quello che ha ucciso Dio ma se ne vergogna perché non è all’altezza di sopportare l’ateismo. Di qui il senso di disorientamento generalizzato che pervade la società comntemporanea.
Anche in Europa, s’impone comunque una qualche forma di Katèchon, una forza spirituale capace di trattenere la “transizione” dall’ Umano al Post-Umano. Secondo molti, da Heidegger a Jünger, da Teilhard de Chardin a De Benoist, questa resistenza sarebbe vana (un “mito incapacitante”), perché le stesse tradizioni ancestrali degli Europei porterebbero, attraverso un “piano inclinato”, verso l’Apocalisse. Ma noi obiettiamo, con Dostojevskij, Pannwitz e Daniel A. Bell, che, se la dialettica interna della cultura europea (e soprattutto americana) ha come sbocco fatale l’autodistruzione dell’Umanità, soccorreranno ben presto le altre tradizioni culturali mondiali, che, con la rinnovata forza dei popoli afro-asiatici, impediranno l’autodistruzione provocata dall’ Europa e soprattutto dalla sua postuma estensione. E’ da almeno un secolo che molti intellettuali europei, da Guénon a Hesse, da Rerih a Jung, da Evola a Panikkar, ci invitano a questa mossa.
In effetti, alla luce del Dubbio del Moderno, risultato della “Vergleichende Epoche” che tutto confronta, -antico e moderno, sacro e profano, Oriente e Occidente-, anche la scelta fra Anticristo e Katèchon, o fra Buddismo e Confucianesimo, appare esposta al massimo della soggettività. E, questo, ben si addice, innanzitutto, ai cultori del Katèchon, che si oppongono al mito del Progresso proprio per il suo determinismo, mentre invece essi si ostinano a credere che, come ha detto recentemente De Benoist, “la Storia è aperta”. Se così è, la “de-cisione” di ciascuno di noi può contare nella Storia del Mondo (grazie al “libero arbitrio”). Nello stesso modo, già Matteo Ricci, nella sua opera “Il vero significato del Signore del Cielo”, aveva chiarito come la scelta fra un Buddhismo nichilistico e un Confucianesimo costruttivo è una scelta individuale. Per altro, quasi tutti i grandi pensatori europei furono solidali nella sostanza con la posizione dei Gesuiti. Basti pensare a tutti coloro che si sono battuti contro lo Zeitgeist: non soltanto ai Novissima Sinica di Leibniz e al Rescrit de l’Empereur de la Chine di Voltaire, ma, anche alla più tarda critica di Kierkegaaard al Vescovo Mynster, a quella anti-egualitaria di Tocqueville e di Nietzsche, e a quella anti-irenistica di Freud. Per non parlare poi di Simone Weil che cercava l’”Enracinement” o di Saint Exupéry che voleva “costruire la Cittadella nel cuore dell’Uomo”.
3.Anticristo o Katechon? Una de-cisione esistenziale.
Certo, anche la scelta opposta al Conservazionismo avrebbe , dalla sua parte, delle buone ragioni, dall’ansia di Bene dei chiliasti al desiderio di infinito di Nietzsche, alla volontà di attuare le Scritture, propria di Fiodorov e dei Cosmisti Russi, fino alla religiosità universale di Teilhard de Chardin e di Raimon Panikkar. E proprio per questo, pure in presenza di una lotta mortale per la vita e per la morte, i Conservazionisti debbono mantenere il totale rispetto per i loro, pur mortali, avversari, pretendendo lo stesso da questi ultimi. Anche e soprattutto perché raramente sono del tutto tali, come il Goethe di An die Vereinigten Staaten e del secondo Wilhelm Meister, come il Marx dei Grundrisse. Questa, e non una pretesa tolleranza che sarebbe propria della “democrazia”, costituisce la vera base di una sana dialettica culturale e poltica, diversa dal “pensiero unico” che domina oramai da decenni la scena in Occidente.
Come si vede, non c’è proprio bisogno di andare alla ricerca di nuove strane ideologie, quando siamo immersi fino al collo in una fondamentale lotta culturale, che non verte su vane parole o mode, bensì sulla nostra sopravvivenza esistenziale.
La lotta culturale per e contro il Postumano, così come quella fra le varie versioni dello stesso e della opposizione ad esso, sta sostituendo quella fra le obsolete ideologie sette-ottocentesche. Le “ideologie” del 21° secolo nascono intorno alle modalità con cui opporsi alla Fine dell’ Umano.
Coloro che vorrebbero ri-dare un’anima ai partiti, non hanno, quindi, che l’imbarazzo della scelta. Infatti, a nostro avviso, tutte le aspirazioni tradizionali dei singoli partiti, libertà, solidarietà, tradizione, patria, ambiente, vengono oggi negate dal politicamente corretto, dall’egemonia delle multinazionali, dalla “cancel culture”, dall’omologazione occidentale, dalle retoriche pseudo-ambientaliste delle lobbies “verdi”. Ogni partito potrebbe, e, a nostro avviso, dovrebbe, mettere al primo posto del proprio programma, una di queste battaglie: contro la censura, per l’upgrading delle imprese nazionali e per la partecipazione dei lavoratori, per la difesa delle culture religiose contro l’adorazione della tecnica, per una vera “sovranità strategica”, per una “ecologia dell’ anima”.
Quello che non è ammissibile è, invece, ciò che succede oggi tutti i giorni, con le varie fazioni dell’”establishment” che fingono (sorridendo o addirittura ridendo in faccia ai cittadini) di azzuffarsi su questioni futili, camuffando o nascondendo l’importanza vitale della questione della Fine dell’ Uomo in nome di un ottimismo idiota in mala fede, che maschera semplicemente la loro felicità per gl’indebiti privilegi ottenuti in cambio della loro connivenza.
4.Il conservazionismo ha a che fare con le “culture da destra”?
Esiste un concetto politico, seppure vago, chiamato “destra”, ma su cui i membri dell’ “establishment” dei più vari orientamenti non cessano di ricamare nell’ ambito dei loro eterni teatrini. Esso trae la sua origine dalla collocazione in parlamento dei diversi gruppi politici, ed ha quale presupposto l’idea ch’essi si distinguano per la loro più calda, o più fredda, adesione al “Progetto Incompiuto della Modernità”, un “pacchetto” che si pretenderebbe unitario di gnoseologia, teologia, filosofia, cultura, etica, politica, economia, tecnologia e società (la “concezione assiale della politica”).
Si tratta di un concetto utile dal punto di vista euristico, visto che normalmente la politica parlamentare si è basata su alleanze fra partiti vicini nello spettro destra-sinistra. Ne consegue che esistano, come oggi in Italia, goverrni di destra, che hanno i loro sostenitori, anche fra gl’intellettuali, e che questo renda opportuna, se non necessaria, una “politica culturale di destra”.
Come è stato rilevato quasi unanimemente, non esiste neppure un’ unica “cultura di destra”, bensì, semmai, una serie di “culture di destra”. Esse hanno una qualche affinità con il conservazionismo, ma non vi si sovrappongono. Da un lato, vi sono delle “culture di destra” come il Futurismo, che sono piuttosto omogenee al Mito del Progresso. Ma anche le altre hanno semmai molto in comune con i Conservatorismi, vale a dire esprimono la nostalgia per questo o per quel periodo storico, ma nessuno la consapevolezza della prossima fine dell’Umanità, e dell’urgenza di opporvisi. Questa consapevolezza, pur essendo alla base delle politiche della maggior parte dei Governi del mondo (Asia, Africa, America Latina), è condivisa da appena qualche decina di intellettuali in tutto il mondo non cooptati dal “mainstream”, e, nonostante la cogenza delle loro argomentazioni non trova un unitario veicolo politico attraverso cui esprimersi.
Non si può accettare un siffatto isolamento degl’intellettuali “conservazionisti”. Da un lato, occorre ricercare dei momenti di incontro fra di essi ed altre culture, che anche le discusse politiche culturali della destra potrebbero fornire, e, dall’ altro, occorre, da parte di essi, un maggiore attivismo: pubblicistico, politico e di ricerca, tecnologica e pedagogica.
Per ora, constatiamo che gli autori definiti “di destra”, per quanto, teoricamente “vocati” a un compito di critica particolarmente aspra della Modernità, non si sono discostati da quella critica garbata al Postmoderno che accomuna oggi un po’ tutti, da progressisti come Morozov e Zuboff a prelati come Benanti e Peyron. Eppure, per i “conservatori”, il postumano dovrebbe costituire un pericolo ben più reale ed incombente che tutti quegli altri fenomeni, spesso solo cartacei, ch’essi denunziano. Il postumanesimo è infatti la negazione di ogni libertà umana in ossequio alla vittoria delle macchine; la negazione del concetto di “limite”, base di ogni cultura tradizionale; la pretesa di soppiantare le religioni positive con la religione della tecnica; la sparizione di ogni comunità umana (civiltà, nazione, religione, partito, impresa, famiglia) nell’ ambito di un unico “Phylum Macchinico” a cui noi tutti siamo asserviti; la sparizione della natura entro una macchina universale, sia essa quella dell’industria inquinante, sia essa quella dei pretesi salvatori del mondo che sono anche costruttori di argini che non reggono, di pannelli solari che inquinano, di pale eoliche che rovinano i paesaggi…
Esso meriterebbe un’azione culturale, ma prima ancora, politica, radicale, da parte dell’intelligencija indipendente.
Chiediamo ai conservatori italiani , che si propongono lodevolmente, non di tornare a quei “mostri sacri” che in fondo non erano “conservazionisti” (come de Maistre o Evola, che all’ atto pratico invitavano i loro lettori alla passività), né di sostituire un’egemonia culturale ad un’altra, bensì di aprire a tutte le idee nuovi spazi di libertà, di dedicare un progetto specifico al conservazionismo internazionale, mettendo in contatto fra di loro i suoi autori emergenti, in modo da fare dell’ Italia un loro sbocco politico.
Confermata la fine dell’ Istituto Italiano per l’ Intelligenza Artificiale
Respingendo l’ Assedio di Torino, il Ducato di Savoia divenne regno
Nel Settembre 2020 il Governo aveva annunziato che, nell’ambito della Strategia Italiana per l’Intelligenza Artificiale, sarebbe stato creato a Torino un Istituto Italiano per l’ Intelligenza Artificiale.
Avevamo sostenuto il progetto con la massima energia, dedicandovi addirittura il libro “L’Istituto Italiano dell’ Intelligenza Artificiale”, con una prefazione di Markus Krienke, nel quale avevamo ricostruito le basi storiche e filosofiche del progetto, nonché il laborioso iter nelle Istituzioni Europee e nei Ministeri. Avevamo presentato il libro al Salone del Libro 2020. Quest’anno, abbiamo pubblicato un secondo libro, con la prefazione di Enrica Perucchietti, dedicato a”L’Intelligenza Digitale e l’Agenda Digitale”.
FIAT:un impero multinazionale
1.Una delusione prevedibile
Nel settembre del 2020, la sindaca Appendino aveva annunciato: “L’Istituto italiano per l’Intelligenza artificiale sarà a Torino e avràl’obiettivo di coordinare le attività di ricerca in questo campo”. Non era mai stato così. L’ attuale sindaco, Stefano Lo Russo, intervistato da La Stampa, conferma: “Quel progetto, va detto con chiarezza, non è mai stato attuato dal Parlamento e non è più tale già da luglio dello scorso anno, quando il governo ha deciso di fare di Torino la sede di un centro per l’intelligenza artificiale associata alla mobilità sostenibile”, uno dei 10 centri che dovrebbero sorgere nel nostro Paese.
L’Istituto avrebbe dovuto costituire, per così dire, il “risarcimento” di Torino per la mancata candidatura a sede di una corte secondaria del Tribunale Europeo dei Brevetti (TUB), ma chi aveva letto con attenzione le decisioni prese da governo e parlamento nel 2021 già sapeva che il progetto era stato fortemente ridimensionato, come avevamo anticipato proprio in questo blog. Le novità è che ora tutti lo ammettono, e che, inoltre, l’assegnazione all’ Italia (e la stessa nascita) della corte dei brevetti, è in alto mare (sicché anche l’ “indennizzo” per Torino avrebbe poco senso).
Il caso è tornato di attualità sui media perché venerdì 27 maggio il ministro dell’Innovazione e della Ricerca, Maria Cristina Messa – parlando a investitori e istituzioni alla Nuvola Lavazza, riuniti per discutere del PNRR – aveva detto che, sull’intelligenza artificiale, Torino “dovrà partecipare a un bando come tutti” e che per la città è previsto invece “un Centro per la mobilità sostenibile che però non ha competenze specifiche sull’intelligenza artificiale”. La legge istitutiva definisce tale centro come segue: “Al fine di incrementare la ricerca scientifica, il trasferimento tecnologico e più in generale l’innovazione del Paese nel settore dell’automotive e di favorire la sua ricaduta positiva nell’ambito dell’industria, dei servizi e della pubblica amministrazione, è istituita la fondazione Centro italiano di ricerca per l’automotive, competente sui temi tecnologici e sugli ambiti applicativi relativi alla manifattura nei settori dell’automotive e aerospaziale, nel quadro del processo Industria 4.0 e della sua intera catena del valore, per la creazione di un’infrastruttura di ricerca e innovazione che utilizzi i metodi dell’intelligenza artificiale. La fondazione ha sede a Torino. Per il raggiungimento dei propri scopi la fondazione instaura rapporti con omologhi enti e organismi in Italia e all’estero. Sono membri fondatori della fondazione il Ministero dell’economia e delle finanze, il Ministero dell’università e della ricerca e il Ministero dello sviluppo economico, ai quali è attribuita la vigilanza sulla fondazione medesima”.
Il problema a questo punto è che neanche la Fondazione è mai nata. Entro sessanta giorni dall’entrata in vigore della legge il Ministero dell’economia (d’accordo con Mise e Miur) avrebbe dovuto nominare il Comitato di coordinamento. Ma questo non è mai avvenuto.
Togliatti: la città industriale italo- russa, oggi ferma
Ciò che preoccupa veramente è l’assoluta assenza di programmi, da parte dell’ Europa, per l’intelligenza artificiale, e, da parte dell’ Italia, per Torino.
Per ciò che riguarda l’Europa, avevamo pubblicato l’anno scorso “European Technology Agency”, in cui reclamavamo un progetto centralizzato dell’Europa per stare al passo, da un lato, della legislazione cinese (Made in China 2025 e China Standards 2035), e, dall’ altra, di quella in preparazione in America (lo “Endless Frontier Act”). L’attuale approccio dell’Unione Europea, basato su un investimento molto inferiore a quello dei nostri concorrenti, come pure su un’organizzazione troppo decentrata della ricerca, dove la parte del leone è fatta da hubs” a livello locale e da piccole e medie imprese, sembra fatto apposta per non fare ombra ai GAFAM, i quali sono comunque coinvolti con un ruolo direttivo nelle iniziative europee (come nel caso di GAIA-X).
Come aveva rilevato già l’anno scorso il Prof. Metta, direttore dell’ Istituto Italiano di Tecnologia di Genova, nel Piano Italiano per l’ Intelligenza Artificiale, l’IA è vista come qualcosa che si compra presso altri, non come una tecnologia che si sviluppa autonomamente, e che eventualmente si vende ad altri.
Non parliamo poi dell’idea di Don Luca Peyron, di orientare il previsto Istituto verso la tematica dell’etica dell’ Intelligenza Artificiale. Troncare, sopire, sopire, troncare! Come quando, a proposito della Olivetti, Valletta disse che la Divisione Informatica era “un neo che occorre estirpare”.
Per ciò che riguarda l’Italia, richiamiamo i nostri due libri “L’Istituto Italiano dell’ Intelligenza Artificiale” e ”Intelligenza Artificiale e Agenda Digitale che illustrano il collegamento strettissimo fra Intelligenza Artificiale, economia nazionale, geopolitica e futuro dell’ Umanità.
L’Istituto Italiano dell’ Intelligenza, ed ancor più l’Agenzia Europea per la Tecnologia, avrebbero dovuto affrontare di petto proprio il problema dell’ inadeguatezza di Torino, dell’ Italia e dell’ Europa, dopo la distruzione dell’ Olivetti, ad affrontare l’Era delle Macchine Intelligenti, portando i nostri territori a un livello di Paesi sottosviluppati.
Questo è il risultato del rapporto di tipo coloniale che intratteniamo con gli Stati Uniti, rapporto che risulta sempre più evidente ora che gli USA impongono la loro volontà, come nella riunione di Ramstein, gli Europei pagano (al DoD, ai GAFAM, alla Russia, all’ Ucraina), e gli Ucraini combattono e muoiono per un “Occidente” a cui non appartengono.
Nell’abisso di arretratezza in cui questa situazione ci sta sprofondando, risulta più che mai urgente immergerci totalmente nella cultura (unica attività che non ci sia stata ancora preclusa), per studiare il rapporto fra cultura e tecnica, fra tecnica e geopolitica, fra informatica e Occidente, fra Occidente e mondo, elaborando una filosofia, una dottrina politica e militare, una strategia economica incentrati sul riscatto del nostro Continente.
Il nostro ultimo libro tratta dell’assenza europea, italiana e torinese
3.Da Emanuele Filiberto al Principe Eugenio, al Senatore Agnelli
I periodi di grandezza di Torino sono sempre stati avviati da atti di forza: dalla battaglia di San Quintino, all’assedio del 1706, a “Terra, Mare, Cielo”.
Quando manca il potere politico, anche l’economia langue. L’ultimo grande sforzo di Torino, con l’espansione internazionale (Togliatti, FIAT Polski, New Holland, Pegaso) è fallito di frante alla delusione del fallimento della Perestrojka.
Oggi, le fabbriche FIAT all’ estero, quando non siano state ri-nazionalizzate per volontà della NATO (come per esempio l’ Avtovaz), sono passate sotto il controllo straniero, quando non addirittura chiuse.
100 anni di sforzi di generazioni di managers, tecnici, lavoratori, per portare il lavoro italiano in tutto il mondo, dall’ Ungheria all’ Indonesia, dall’ Egitto alla Spagna, dal Marocco all’ Argentina, dalla Polonia alla Yugoslavia, dalla Russia al Brasile, dalla Turchia agli Stati Uniti, si sono rivelati inutili. Non siamo più destinati ad essere il centro di imperi economici, bensì docili colonie delle multinazionali del web. E ci stupiamo pure che altri non vogliano condividere questa stessa nostra sorte, e continuino a battersi per restare fra coloro che hanno voce in capitolo circa il futuro del mondo.
La Savoia era già un’Europa in miniatura. Il suo territorio era stato attribuito dai Romani ai Burgundi, popolo germanico originario dell’ isola baltica di Bornholm (Burgundaholmr), come “premio” per aver combattuto a fianco dei Romani e contro gli Unni sui Campi Catalaunici. I Burgundi (Worms, Gunther, Hagen, Crimilde) sono perciò al centro del Canto dei Nibelunghi e del Waltharius, ma i Romani avevano loro destinato la Sapaudia (Savoia), così chiamata per i suoi abeti (“sapins”).
La Savoia era dunque una contea del regno dei Burgundi, poi “di Arles”. I suoi signori, originariamente franchi, si espansero dai due lati delle Alpi, divenendo vicari imperialoi tanto in Italia quanto in Provenza, eunendo popoli di Langue d’Oil, Langue d’Oc, Franco-Provenzali, Schwytzerduetch, Walser, Piemontesi,Valdesi, Italiani.
Attraverso la Savoia arrivò in Italia il Gotico Internazionale. Emanuele Filiberto e Eugenio di Savoia erano stati i grandi condottieri del Sacro Romano Impero, mentre il Piemonte era stato poi annesso integralmente da Napoleone alla Francia. Lo Statuto Albertino era stato scritto in Francese, e Torino era la città preferita del filosofo tedesco Nietzsche.
Non stupisce dunque che anche in epoca recente gli abitanti dell’antico Ducato avessero mantenuto una tempra al contempo altrettanto internazionale ed altrettanto combattiva (Gramegna). Abbiamo avuto infatti, in Piemonte e in Valle d’Aosta, due dei più dignificativi comandanti partigiani, e, al contempo, teorici dell’ Europa: Duccio Galimberti e Federico Chabod, di cui, deplorevolmente e misteriosamente, nessuno si ricorda.
Emanuele Filiberto, vincitore a San Quintino
2.Duccio Galimberti
Galimberti, avvocato e poi comandante del CLM piemontese per Giustizia e Libertà, ucciso misteriosamente durante una finta liberazione, fu l’unico giurista nel corso della storia ad avere scritto una costituzione coordinata italiana ed europea. Un uovo di colombo: come evitare i continui conflitti di competenze che paralizzano la vita dell’ Unione Europea (Germania, Lituania, Polonia, Ungheria)? Basta scriverle contemporaneamente, come due “gradini” di una stessa costruzione istituzionale.
Oltre a questa geniale idea, la costituzione di Galimberti precede di trent’anni le pur timide prime bozze del Parlamento Europeo, che per altro non furono mai nemmeno discusse.
Infine, si tratta di una costituzione mista, con elementi di democrazia rappresentativa, di socialismo e di corporativismo, che bene incarnava lo spirito dei tempi (per esempio la legislazione tedesca sulla partecipazione, l’Organische Gedanke olandese o il pensiero politico di Simone Weil). Oltre tutto, Galimberti scrisse la sua Costituzione a cavallo dell’8 Settembre, lanciò il suo progetto partigiano direttamente dal balcone del suo studio legale al centro di Cuneo, dopo di che, fatta incetta di armi, si diresse decisamente verso le Alpi per iniziare la lotta armata.
La Sacra di San Michele,simbolo del Piemonte
3.Federico Chabod
Quanto a Chabod, storico valdostano e alpinista, titolare di cattedra a Milano, stava insegnando in questi anni sul tema Europa e Nazione (Storia dell’Idea di Europa, L’idea di nazione). Sopravvenuto l’8 settembre, si dedicò alla lotta partigiana e fu fra i principali coautori della Dichiarazione di Chivasso, un documento in cui le popolazioni alpine delle Alpi Occidentali rivendicarono, per il periodo postbellico, un’ampia autonomia. Infine, fu incaricato di redigere lo statuto della Regione Autonoma Valle d’ Aosta (secondo la falsariga delle idee della Dichiarazione di Chivasso), che fu adottato prima ancora della Costituzione italiana, e fu perciò di modello per le altre Regioni Autonome, nonché per le Comunidades Autònomas spagnole.
In un momento in cui, dopo decine di Trattati, una Convenzione e una Conferenza, l’Europa stenta più che mai a darsi una Costituzione, non sarebbe proprio superfluo se i giuristi, i politici e i movimenti sociali riprendessero umilmente in mano le opere di chi aveva tempestivamente posto il tema della costituzionalizzazione dell’Europa.
Il penitenziario di Ventotene
3.Il Manifesto di Ventotene
Tutto ciò non esclude certo l’importanza del contributo al movimento per l’integrazione europea da parte del Manifesto di Ventotene, altro illustre sconosciuto, anzi, tradito, dalla politica “mainstream”. Il Manifesto si pone, rispetto alla costituzione europea, alla Dichiarazione di Chivasso e alle opere di Chabod, su un piano diverso: quello della riflessione politica (o geopolitica), mentre gli altri si pongono su quelli della costruzione istituzionale, della storia culturale e della “multi-level governance”. Tuttavia, la mancata integrazione di tutti questi livelli in un unico corpus progettuale è stata una delle debolezze del federalismo “politico” à la Spinelli nella sua competizione con il metodo funzionalistico prescelto dai Governi, e, soprattutto, dagli Stati Uniti.
In un momento in cui la chiusura in sordina della Conferenza sul Futuro dell’Europa e l’entusiasmo costruttivistico di Macron richiedono nuove idee, ci sembra necessario aprire un dibattito a tutto tondo e a tutti i livelli con tutte le tradizioni della storia dell’integrazione europea, per elaborare un percorso veramente innovativo ed efficace contro tutti gli ostacoli che ci circondano.
Vi aspettiamo numerosi per avviare questo dibattito
Nel corso di Aprile, Enrica Perucchietti e Riccardo Lala avevano svolto, all’ interno di “Pensare il Futuro”, mini-master organizzato da Azione Futura e Rinascimento Europeo presso il Centro Studi san Carlo, due lezioni circa l’intelligenza artificiale, in cui erano stati presentati, fra l’altro, una serie di documenti di base su quest’argomento dell’Unione Europea e del Governo Italiano, oltre che stralci di documentazione sulle azioni, in questo settore, delle autorità di altri Paesi.
Ora, quei materiali, preceduti da due testi introduttivi dei due docenti, viene presentata al pubblico del Salone Off.
Pur trattandosi di una selezione, è una documentazione importante, raccolta non già per uno sterile scrupolo documentario, bensì con lo scopo di permettere ai lettori di comprendere quali e quante questioni fondamentali per la nostra società si celino dietro la terminologia spesso astrusa del diritto dell’informatica e delle politiche della transizione digitale.
I missili ipersonici sono governati dall’IA
1.Un’evoluzione a ritmo accelerato
Rispetto ad alcune settimane fa, lo stato dell’arte si è ora ulteriormente precisato in due diverse direzioni:
-da un lato, l’intelligenza digitale si sta rivelando quale uno dei protagonisti del conflitto in corso, la cui origine neppur tanto remota si può situare nella corsa fra le Grandi Potenze verso l’Intelligenza Artificiale, con l’ Endless Frontier Act, i missili ipersonici e la cyberguerra;
-dall’ altro, Torino si sta lodevolmente orientando ad essere un centro di eccellenza nel campo dell’ Intelligenza Artificiale, da un lato con la trasformazione, operativa da pochi giorni, da parte di Reply, della storica palazzina del Lingotto, sede del Gruppo FIAT durante due periodi della sua storia, in un laboratorio di produzione di robot e di altri prodotti accomunati dall’ uso dell’ Intelligenza Artificiale, e, dall’ altro, dalla localizzazione, nel grattacielo di Intesa Sanpaolo, della direzione dedicata all’ intelligenza artificiale nel settore finanziario.
Da qualche giorno, al Lingotto si producono i robot
2.Un impegno serrato per il futuro
Questi sviluppi rendono sempre più evidente come l’Intelligenza Artificiale stia divenendo un elemento integrante della cultura generale, che influenza direttamente la vita culturale, politica, geopolitica, economica e sociale di qualsiasi territorio, sicché risulta necessario promuoverne la conoscenza e la padronanza a tutti i livelli.
L’Associazione Culturale Diàlexis, in collegamento, nella misura del possibile, con tutte le forze vive della società, intende promuovere la conoscenza e la consapevolezza di questa realtà sempre più centrale, stimolando anche la volontà politica di Enti, Associazioni, partiti, imprese, di partecipare in modo attivo al suo sviluppo e alle decisioni a livello nazionale e internazionale circa la sua disciplina giuridica ed economica.
Desideriamo discutere con voi le modalità per proseguire questo dialogo, con l’obiettivo di creare un vero movimento di pensiero mirante a formare una cultura europea dell’umanesimo digitale, capace di porre sotto controllo l’onnipotenza delle imprese dell’ informatica, confermata in modo spettacolare in questi giorni , tra l’altro, dalle vicende borsistiche, e perfino militari, del gruppo Tesla, che sembra voler contendere ad Alfabet e a Meta la leadership tecnologica e politica del mondo digitale occidentale.
Le attività dell’ “Associazione Culturale Diàlexis”, che opera da 15 anni nell’ area piemontese per promuovere una cultura più proattiva verso le crescenti difficoltà del territorio e verso le crisi dell’Europa, si stanno rivelando di giorno in giorno più necessarie, in considerazione, da un lato, dello svuotamento del Piemonte da parte dell’imprenditoria e de mondo istituzionale(che, come ha detto Monsignor Nosiglia, “non ha un’idea di futuro”), e, dall’ altro, dell’implosione dell’ Europa sotto l’effetto congiunto delle vecchie carenze irrisolte e del conflitto mondiale fra le grandi potenze.
Per questo, nonostante il mutare delle circostanze e le difficoltà indotte dalla pandemia e dalla guerra, non dobbiamo, e non vogliamo, interrompere la tradizione oramai consolidata di una presenza costante al Salone del Libro di Torino, con le nostre proposte di libri sull’ Europa e di temi ad essi connessi.
Inoltre, poiché quest’anno il Salone è stato collocato il 19-23 di Giugno, e, quindi, non coincide, come spesso accaduto in passato, con il Salone, abbiamo pensato d’introdurre e preparare il Salone con una manifestazione preliminare di riflessione, dedicata alla discussione sul 9 maggio, nei suoi aspetti storici e politici, quale momento cruciale di consapevolezza europea.
Infatti, i libri che presentiamo quest’anno al Salone trattano temi d’importanza fondamentale per l’Europa di oggi, dopo la fine “grigia”, come ha detto il Presidente Mattarella, della Conferenza sul Futuro dell’Europa, la quale presenterà le proprie conclusioni molto in sordina proprio il 9 maggio, eclissata dal clamore della guerra in Ucraina, che l’ Europa non è stata in grado, né di prevenire, né di concludere.
Il primo dei tre libri, dedicato a “Intelligenza Artificiale e Agenda Digitale” è dedicato al tema forse più urgente in questo momento: la comprensione, studio e discussione, degli effetti dell’Intelligenza Artificiale sul futuro dell’Umanità, e delle politiche poste in essere da parte delle diverse Autorità per tenerli sotto controllo.
La seconda opera, che costituisce una ristampa del nostro (tuttora attualissimo) Quaderno 3-2014 (“Ucraina, no a un’inutile strage”), è dedicata all’ inquadramento storico e culturale dell’attuale conflitto, nell’ ottica del recupero dell’ europeità, tanto dell’ Ucraina, quanto della Russia.
La terza, anch’essa a nostro avviso attualissima (Progetti europei nella Resistenza), è dedicata alla rilettura di alcuni dei documenti più pertinenti per la comprensione del progetto europeo del dopoguerra, progetto realizzato solo in piccola parte, ma per la maggior parte inattuato, ed ora arenatosi di fronte all’incapacità dell’Unione di garantire la sovranità europea e la pace in Europa. In questi progetti, il volume rivendica il ruolo centrale delle Alpi Occidentali e del Piemonte.
Tutte le manifestazioni si svolgeranno in parte in presenza, in parte a distanza, mediante collegamenti zoom.
Le tre presentazioni, nel Salone In e nel Salone Off, saranno precedute da un incontro, il 9 maggio, nel quale, nella giornata che, in Europa Occidentale, è dedicata alla commemorazione della Dichiarazione Schuman, e, nell’ Europa Orientale, era stata tradizionalmente dedicata alla fine della Seconda Guerra Mondiale, tenteremo di fare il punto circa le conseguenze che si possono trarre dai temi dei tre libri, circa l’andamento delle drammatiche vicende in corso e le vie di uscita dalla crisi che l’ Europa dovrebbe ricercare.
9 MAGGIO:COMMENTO ALLE CONCLUSIONI DELLA CONFERENZA SUL FUTURO DELL’ EUROPA
La Conferenza sul Futuro dell’ Europa, indetta fin dal 2019, avrebbe dovuto fornire idee condivise sul futuro iter dell’ integrazione europea, attraverso un complesso meccanismo basato, in parte, sulle Istituzioni, e, in parte, sulla “democrazia partecipativa”. La guerra in Ucraina, con le sue origini e conseguenze, vicine e lontane, ha dimostrato, se ve ne fosse bisogno, l’insufficienza di quest’ iniziativa per permettere all’ Europa di vivere appieno la propria esperienza nel 21° secolo, sventando anche le gravissime derive della situazione internazionale.
L’incontro sarà quindi dedicato a tre grandi temi:
-Le Conferenza nella storia dell’ Integrazione Europea;
-Le criticità dell’ Europa attuale di fronte alle sfide del presente e del futuro;
-Una strategia degli Europei per gestire in modo proattivo le trasformazioni in corso.
PROGRAMMA DELLA GIORNATA:
15,30 Inizio dei lavori
15,45 Proiezione dell’estratto della giornata conclusiva della Conferenza sul Futuro dell’ Europa
16,00 Intervento del Presidente del Comitato del Movimento Europeo in Italia