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Commento agli eventi del festival “Radici” (Torino, Circolo dei Lettori, 1-5 Novembre 2023)

Abbiamo già segnalato  ai nostri lettori l’interessante festival in oggetto, merito soprattutto degli sforzi dell’ Assessore Marrone e della direttrice del Circolo dei Lettori, Elena Loewenthal.

Facciamo qui una breve sintesi degli eventi a cui abbiamo partecipato, per trarne una rapida conclusione.

1.GIORDANO BRUNO GUERRI E LA CARTA DEL CARNARO

Mercoledì 1 Novembre

Come quasi tutti gli eventi della manifestazione, questa serata ha avuto innanzitutto il merito di portare a conoscenza del grande pubblico aspetti deliberatamente trascurati della cultura moderna e contemporanea. In questo caso, la centralità, non solo della Carta del Carnaro, ma, in generale, della Reggenza Italiana del Carnaro, e della stessa figura di Gabriele d’Annunzio, nella storia della cultura italiana ed europea. Una centralità che non può ridursi a quella di precursore del fascismo, bensì anticipa molti dei “topoi” del Novecento: estetismo, immoralismo, trasversalità.

Quanto alla Carta propriamente detta, l’oratore, Giordano Bruno Guerri, direttore del Vittoriale, casa-museo di D’Annunzio,  ha messo in rilievo come buona parte dei suoi articoli anticipino temi della Costituzione repubblicana, che spesso non sono stati attuati neppure ora. Della Carta si dovrebbe però anche dire che la struttura pan-corporativa della rappresentanza, in essa delineata e non recepita pienamente neppure nell’ ordinamento fascista,  fu realizzata , paradossalmente, soprattutto dalla Repubblica Federativa Jugoslava del Maresciallo Tito, con la sua peculiare forma di “federalismo Integrale”(“ Društveno Samoupravlianije”, al contempo cetuale e nazionale.

Quando, nel 2020, Fiume (Rijeka, che D’Annunzio aveva chiamato “Olocausta”, anticipando così anche quest’espressione) fu la Capitale Europea della Cultura, la città ricordò, seppure in forma polemicail Vate, con una mostra chiamata appunto “Olocausta” (“D’Annunzijeva mučenica”).

2.MARCELLO VENEZIANI: IDENTITA’, RADICI E TRADIZIONI

Venerdì 3 Novembre

Quella di Veneziani è stata soprattutto una requisitoria contro la “Cancel Culture” ( da lui tradotta appropriatamente, anche se liberamente, come “Cancellazione della Cultura”), il cui esiti non possono essere che nichilistici, in quanto, con la cancellazione delle tradizioni culturali, si tagliano le radici e si rende di fatto impossibile l’affermazione delle identità, individuali o collettive.

Certo, è mancata una prospettiva volta a situare adeguatamente il fenomeno nel tempo e nello spazio. Intanto, la Cancel Culture è un fenomeno originariamente e ancora prevalentemente americano, che parte come contestazione, da parte dei “non bianchi” ( cioè afroamericani, sino-americani, indo-americani, ma anche Europei del Sud e dell’ Est) dell’ egemonia WASP  che persiste in un’America oramai multiculturale.

In Europa, il fenomeno è meno evidente. Ma, soprattutto, l’Occidente nel suo complesso rappresenta al massimo un quinto del mondo. In tutto il resto, vi è invece una cura ossessiva delle proprie identità e tradizioni collettive: altro che “cancel culture”. Si pensi all’ Ebraismo in Israele, al Medio Oriente che si concepisce come “mondo islamico”, all’ Europa Orientale, a tutta l’Asia…

Così come l’Ebraismo e l’Ortodossia fanno propria la critica alla pretesa, nel passato, d’imporre l’omogeneità religiosa e culturale dell’ Occidente, e la Cina, con la “Via della Seta” riafferma la pari dignità di Oriente e Occidente, l’antidoto europeo alla “Cancel Culture” starebbe proprio nel farne propri qui suoi elementi che si addicono all’ Europa, vale a dire la critica della “Grande Narrazione Whig” (eresie, chiliasmo, Riforma, populismi, tecnocrazia, americanismo); la rivalutazione delle culture tradizionali e dei grandi Imperi Continentali; lo studio delle parti censurate e neglette delle tradizioni europee (come la Civiltà Danubiana, l’”Atena Nera”, il Barbaricum, l’Euroislam, la Rzeczpospolita polacca, l’antimodernismo…).

3.EMIR KUSTURICA E PETER HANDKE

Venerdì 3 Novembre

Kusturica ha presentato il proprio libro “L’angelo ribelle”, dedicato a celebrare l’amico Peter Handke, attaccato dall’ establishment letterario quando aveva ricevuto il Premio Nobel per la letteratura, a causa dei suoi reportages sulle guerre in Jugoslavia, che si sostenne fossero eccessivamente favorevoli alla Serbia. Si tratta in particolare di:

Un viaggio d’inverno ai fiumi Danubio, Sava, Morava e Drina, ovvero giustizia per la Serbia, trad. Claudio Groff, Torino: Einaudi, 1996

Appendice estiva a un viaggio d’inverno, trad. Claudio Groff, Torino: Einaudi, 1997

Un disinvolto mondo di criminali. Annotazioni a posteriori su due attraversamenti della Iugoslavia in guerra – marzo e aprile 1999, trad. Claudio Groff, Torino: Einaudi, 2002

Kusturica ha denunziato il “dirottamento” del movimento di liberazione dell’Europa dal comunismo, che ci ha portato a una situazione di ancor maggiore illibertà, dominata dal Pensiero Unico, di cui Handke non è stato certo l’unica vittima. Ha però espresso la speranza che nei prossimi anni si manifestino delle  crepe nell’ attuale establishment, che occorrerà sfruttare per provocare un radicale cambiamento.

4.PAOLO NORI: A COSA SERVONO I RUSSI? 

La domanda è più che legittima, ma non ci sembra che l’intervento di Nori abbia fornito una risposta. Certo, l’oratore, nel presentare il proprio romanzo sulla vita di Anna Akhmatova, ha manifestato in modo eloquente come la letteratura russa abbia costituito la passione della sua vita. Tuttavia, ci sembra difficile credere che la missione della Russia sia solo quella di fare appassionare Nori alla letteratura.

In effetti, l’intervento di Nori è stato dedicato soprattutto alla sua identità personale piuttosto che all’ identità collettiva dei Russi. Ma neppure così è andato fuori tema. Non dobbiamo dimenticare che le identità possono essere tanto collettive quanto individuali.E l’intervento rientrava anche nel tema delle radici, perché Nori ha fatto intendere che la sua passione per i Russi deriva in gran parte da vere o presunte affinità con le sue radici familiari, e, in particolare, con l’uso del vernacolo, nonché dalla fascinazione per Dante, condivisa, fra gli altri, con Anna Akhmatova.

Infine, l’’intervento rispondeva anche in un altro modo alla domanda contenuta nel titolo. Lev Gumiliov, figlio di quell’ Akhmatova a cui è dedicato il libro di Nori, aveva infatti concepito l’idea della “Pasionarnost’”, quella capacità d’infervorarsi e di sacrificarsi, che caratterizzerebbe non soltanto i Russi, bensì tutti i popoli delle steppe (il padre di Gumiliov era un ufficiale tartaro zarista, fucilato dai Bolscevichi, e anche l’Akhmatova si richiamava ad un’antenata tartara con lo stesso nome).

Ricordiamo anche che gli antenati degli Indoeuropei sono quel popolo di Yamnaya che si era formato nel quinto Millennio fra il Volga e il Don,  dalla fusione fra popoli uralici e caucasici, e che, per la sua straordinaria vitalità, si espanse prima in Eurasia, me, poi, nel resto del mondo.

Ma questo carattere “passionale” dei Russi (l’”Anima Russa”) è proprio quella caratteristica che manca agli Europei moderni, sì che già  Leontiev, alla fine dell’ Ottocento,   aveva definito  “L’Europeo medio” come “l’inizio della distruzione universale”. Con il dono della sua “passionalità”, i Russi, e, in particolare, gl’intellettuali russi, sarebbero stati chiamati, secondo Tiutčev, Dostojevskij e Blok, a salvare l’Europa dal “putrido Occidente”:

“Unisciti a noi! Via dalla guerra,
Vieni nelle nostre pacifiche braccia!
Sei ancora in tempo – la spada sotterra,
Compagno! Fratello, ti abbraccio!”

Certo, tutti questi autori erano “Russi” nel senso di “Slavi Orientali”, anche se non pochi erano ucraini o bielorussi. E, in effetti, anche il comportamento degli attuali Ucraini, impegnati così “passionalmente” contro la Russia, può essere ricondotto a quella visione “messianica” dei “Russi” (o meglio, dei popoli delle steppe, molti dei quali predecessori degli odierni Ucraini: Sciti, Sarmati, Unni, Avari, Bulgari, Magiari, Cumani, Peceneghi, Mongoli, Tartari, Circassi, Nogai, Cosacchi…).

5.RUTH DUREGHELLO E “TIKKUN HA-‘OLAM”

Più direttamente vicino al tema delle identità collettive il colloquio fra Elena Loewenthal, direttrice del Circolo dei Lettori, e Ruth Dureghello, ex-presidentessa della Comunità Ebraica.

Le due speakers si sono impegnate in un pregnante dibattito teologico, culminato nell’ illustrazione del concetto mishnaico di “Tikkun ha-‘Olam”, che Ruth Dureghello ha voluto tradurre non già con il suo dignificato originario di “Riparazione del Mondo”, bensì come “Miglioramento del Mondo”.

Secondo la Kabbala, il Tikkun è un’opera teurgica, volta a riportare Dio nella sua originaria interezza, mentre l’idea del “miglioramento del Mondo” riporta piuttosto al messianesimo immanentistico della Modernità.

7. FRANCO CARDINI E LA “DERIVA DELL’OCCIDENTE”

Riassumendo il suo recente libro, Cardini ha ripercorso la storia del concetto di Occidente, fino al suo cambiamento di significato dopo  le Guerre Mondiali: da essere sinonimo di “Europa”(come in Spengler), esso si trasformò nella definizione di un complesso più vasto, di cui fanno parte gli Stati Uniti. Il “Tramonto dell’ Occidente” di Spengler non è che il tramonto dell’ Europa, già adombrato nelle opere di Hegel e ripreso dagli autori americani.

Dopo la Seconda Guerra Mondiale, diviene evidente che quel complesso ruota intorno agli Stati Uniti, i quali hanno tessuto, intorno a se stessi, “una ragnatela” di accordi (come scrive Ikenberry): ONU, OCSE, NATO, Comunità Europee, Bretton Woods.

Dopo la caduta del muro di Berlino, queste “ragnatele” (ICANN, WTO) coprono oramai tutta la terra, dando vita all’ “America-Mondo”, un “Impero nascosto”(Immerwahr), o “Sconosciuto” (Papa Francesco), che controlla il mondo intero. Per questo Fukuyama parlava di “Fine della Storia”.

Ora siamo alla “Deriva dell’ Occidente”, perché, di fronte all’invasività di questo impero,  si sono manifestate appunto le reazioni delle identità continentali: ebraica, induista, confuciana, islamica, latinoamericana, ortodossa. Per questo, dalla “Fine della Storia” si è passati oramai allo “Scontro di Civiltà”.

In cui, però, avverte Cardini, l’Europa non può essere confusa nel generico “Occidente”, perché essa si distingue nettamente dall’America. In che cosa, non è chiaro, perché neppure i detrattori dell’ America sono espliciti su questo punto.

E’un argomento sui cui anche l’intervento di Cardini è stato poco esplicito, anche perché si era oramai giunti all’una e mezza della domenica,e occorreva evidentemente liberare la sala.

CONCLUSIONI

Tutti gl’interventi hanno affrontato giustamente con priorità il tema delle radici, che campeggiava nel titolo, e hanno solo sfiorato quello delle identità, ad esso collegato, e il quale, come hanno giustamente posto in evidenza un po’ tutti, costituisce la premessa necessaria per i progetti del futuro.

Crediamo che questi temi meritino un approfondimento, di fronte ad una situazioni internazionale sempre più preoccupante e sempre più fluida, che ben presto permetterà (come ha auspicato Kusturica), e, anzi, secondo noi, addirittura necessiterà, un intervento pesante da parte degli Europei, forse anche militare e politico, ma, innanzitutto, di carattere culturale, per orientare e motivare le future drammatiche scelte.

Per questo, mentre andiamo avanti con i nostri lavori sull’ identità europea e sul futuro nell’ era delle macchine intelligenti, continuiamo a caldeggiare che le Istituzioni (nel caso in ispecie, la Regione Piemonte che ha sponsorizzato il festival) proseguano nell’ opera iniziata. Per parte nostra, saremo sempre lieti di collaborare, come del resto avevamo già fatto in passato con il libro “Intorno alle Alpi Occidentali/Autour des Alpes Occidentales”.

Westlessness/Totaler Verriss: Commenti sulla Conferenza di Monaco sulla sicurezza

“Il Caos Generò Erebos e Notte” (Esiodo, Teogonia)

La Conferenza di Monaco di quest’anno è stata incentrata sul tema “WESTLESSNESS”, un orrido neologismo, che comunque ha dato modo a tutti di riflettere sullo slogan “Occidente”, dai molti e ambigui  significati. La locandina della conferenza la descrive così: “un sentimento, ampiamente diffuso, di sconcerto e inquietudine dinanzi alla crescente incertezza sul futuro e sulla determinatezza dell’Occidente”.

Il testo illustrativo dell’iniziativa prosegue con una serie di domande non chiare, proprio a causa di una chiara definizione di che cosa sia l’”Occidente”: “Il mondo è meno occidentale? Lo stesso ’Occidente sta diventando meno occidentale? Che significa il ritiro dell’ Occidente quale attore dell’ ordine politico? Quale poterebbe risultare una risposta occidentale alle rivalità fra le grandi potenze?”

 

Giustamente, poi, la relazione finale afferma che “non vi è un’idea comune di che cosa l’Occidente rappresenti”.

  1. L’”Occidente” nella storia

 

Secondo la locandina, nei decenni passati, la risposta era stata semplice: “l’adesione alla liberaldemocrazia e ai diritti umani, all’economia di mercato e alla cooperazione internazionale nelle istituzioni internazionali.” Cioè un mix casuale di principi politici tenuti insieme dall’egemonia americana, ma a loro volta mai chiaramente definiti.

 

Invece, prima degli ultimi tre decenni, la risposta era molto diversa e variegata. Nelle lingue afroasiatiche, “Erebu” (Occidente) era la terra tenebrosa a nord del Mediterraneo (l’Europa), dove si trovavano i barbari e le anime dei defunti. Quei barbari erano ciò che oggi chiameremmo “gli Ariani” (cioè il Popolo dei Kurgan), un popolo guerriero che stava conquistando tutta l’Europa, e che Ippocrate per primo aveva battezzato come “Europaioi”.

 

Per i Romani, l’Occidente era Roma contro l’Oriente ellenistico. La sua eredità fu raccolta dai “Franchi”,

che combatterono contro i Greci e gli Arabi, pretendendosi eredi dell’ Impero Romano. Questo spirito di crociata fu poi ripreso dai Puritani, che interpretarono la conquista dell’America come un giudizio di Dio, non solo contro i popoli pagani, ma anche contro i Papisti. Nel momento della decadenza dell’ Europa a causa della Ia Guerra Mondiale, mentre Spengler parlava di un “Tramonto dell’ Occidente”, ma pensando all’ Europa, la Columbia University (in collaborazione con l’ Esercito Americano), lanciava i “Western Studies”, per raccogliere, come aveva profetizzato Kipling, “il fardello dell’ uomo bianco”.

 

In realtà in Europa non erano affatto d’accordo su questa “translatio imperii”, come dimostrano opere come “Amerika” di Kafka, “Europa Vivente” di Malaparte, i “Cantos” di Pound, la “Dialettica dell’Illuminismo” di Horkheimer e Adorno e i racconti di Somerset Maugham. Ma anche altre parti del mondo rivendicavano già allora una propria centralità, come l’India attraverso la Società teosofica e lo Hind Swaraj di Gandhi e la Cina attraverso il Datongshu di Kangyouwei, e la conquistavano combattendo, per esempio con la Marcia del Sale o con la Lunga Marcia.

 

Oggi, l’ideologia “occidentalistica”  ha gettato la maschera, definendosi, con Huntington, “l’ Occidente contro gli altri”, e, con Schmidt e Cohen, come un progetto subordinato a quello degli OTTs.

 

  1. Dalla democrazia dei partiti all’omologazione puritana

 

Nel dopoguerra, l’”Occidente”, inteso come Alleanza Atlantica, poteva avere, almeno formalmente, il significato di “una società pluralistica”. A quell’ epoca, si presentavano, alle “tribune politiche”, una decina di partiti, che andavano dall’ anarchismo (Manifesto), al tradizionalismo (Ordine Nuovo), dallo stalinismo (PCI) al post-fascismo (MSI), dalla socialdemocrazia(PSI) alla monarchia (PDIUM), dal cristianesimo sociale (MCL), dalla democrazia cristiana(DC) al liberalismo (PLI). Anche in alcuni Paesi dell’Est , come la Germania Est, la Jugoslavia e la Polonia, c’erano partiti diversi da quello comunista, ma per legge, facevano parte di un “fronte popolare” , dove l’ “egemonia” gramsciana, sempre per legge, spettava al PC.

 

Oggi, ci viene imposta come “occidente” la fede dogmatica in una teocrazia puritana (quale quella paventata a suo tempo dall’ illuminista Boulanger), in cui sono diventati obbligatori valori angelistici, razionalistici e moralistici tipici di un  puritanesimo interpretato in senso materialistico (quelli contro cui si scagliava per esempio Kierkegaard), mentre invece sono banditi, come “politicamente scorretti”, i valori della differenza, dell’eccellenza, della libertà, della combattività, della tragedia.

 

Non per nulla Angela Merkel è stata una politica della DDR, figlia di un pastore protestante trasferitosi, da Amburgo,  nella Germania comunista, convertitasi alla CDU solo dopo la caduta del Muro, ma abituata all’unanimismo della “Blockpolitik” della DDR. Essa ha imposto come “ragion di Stato tedesca” l’identificazione del pensiero con un moralismo perbenista (erede della “campagna di de-nazificazione), al di fuori del quale vi è l’esclusione e il boicottaggio (vedi ancor oggi il caso del premio Nobel Peter Handke).

 

E’ ovvio che questa visione settaria della democrazia incontri molte critiche dagli eredi ideali dei dieci partiti, di sinistra e di destra, che non si sentono rappresentati dai “valori occidentali”, cioè puritani: si stava meglio quando si stava peggio.  Soprattutto dei veri eredi della DC.

 

Infatti, il bello è che coloro che vengono invece additati come nemici dell’Occidente, o dell’ Europa, lo sono perché sostengono le posizioni che, ai tempi della mia giovinezza, erano sostenuti dalla Democrazia Cristiana, vale a dire il partito cardine dell’ Occidentalismo e dell’ Europeismo: il carattere cristiano (anzi, cattolico) della nazione; la famiglia monogamica; l’indissolubilità del matrimonio; la limitazione delle migrazioni ai fabbisogni economici del Paese ospitante; la preferenza per i lavoratori e i produttori europei…Se, come sostengono i fautori dei “valori occidentali” questi sono talmente universali ch’essi valgono in ogni tempo e in ogni luogo, allora ci dicano chi sbagliava, proprio su questi valori: Adenauer o la Merkel?

 

Il vero rappresentante del PPE, quale partito cristiano, è forse proprio Orbàn, mentre invece la Merkel è, come molti dicono, una “democristiana per caso”.

 

Ragionamenti analoghi valgono anche per l’altro “partito popolare”, quello socialista, anch’esso scosso, non per nulla, da una parallela crisi. Tant’è vero che ora si va verso una “rivolta del centro”

  1. L’illibertà dell’Occidente

 

Un’illustrazione puntuale di questa situazione è data, su “Le Monde”, dall’articolo dello scrittore americano Seth Greenland, “Aujourd’hui l’art aux Etats Unis doit servir un but moral ou didactique”:”Certo, c’è un pugno di produttori che apprezzano la complessità, ma voi, tuttavia, probabilmente, fareste come tutti, mettendo da parte la complessità, e scrivendo invece qualcosa che conforta i punti di vista di chi firmerà poi l’assegno.” Del resto, è ciò che dell’Occidente scriveva Sol’zhenitsin  già negli anni ’70. O, come dice oggi Anna Tokarczuk, mentre, una volta, era politica solo la partecipazione alla vita dei partiti, oggi, non solo l’opera, ma addirittura la vita, degli autori, è politica.

 

Oggi, buona parte dei grandi capolavori dell’ antichità non potrebbero essere, né rappresentati, né messi in scena. Non solo quelli che avevano avuto difficoltà fin dall’ inizio, come per esempio Justine, Les Fleurs du Mal, Praktischer Idealismus o Bagatelles pour un massacre, ma anche opere esaltate da tutti, come:

a)Omero, perché elogia  la guerra, l’orgoglio dinastico, il genocidio, la dialettica servo-padrone, la repressione dei sudditi, il potere maritale,il machismo..

b)Ippocrate, perché vieta aborto ed eutanasia ed  esalta la guerra e lo schiavismo;

  1. c) Erodoto, perchè critica la democrazia ed esalta il militarismo spartano;

d)l’Antigone perché le “leggi non scritte” sono quelle tradizionali e aristocratiche;

e)la poesia cortese perché esalta l’anarchia feudale e lo “ius primae noctis”;

f)il Principe, perché esalta l’omicidio politico;

g)il Mercante di Venezia” perché antisemita,

g)”Al di là del Bene e del Male” di Nietzsche, già solo per il nome;

h)”Le Vergini delle Rocce” e “La vita inimitabile” di D’annunzio per il suo aristocraticismo e immoralismo.

 

D’ altronde, oggi nelle università americane viene addirittura cancellato dai curricula il Livio Andronico, un’opera giovanile e provocatoria di Shakespeare che è piena d’inaudita violenza.

 

Tutte queste contraddizioni dimostrano che l’Occidentalismo è, come il 99,9% dell’attuale discorso culturale e politico, solo una fraudolenta “arma di distrazione di massa”, per non lasciarci pensare ai problemi reali: la fine dell’Umanità; la subordinazione dell’Europa all’ America; la riduzione continua della nostra ricchezza, la fine della libertà. Perchè mai avrebbe senso un colossale apparato di morte come il Complesso Informatico-Digitale della NATO, per difendere una realtà tanto discutibile?

3.Il suprematismo bianco

 

Siccome la Conferenza si situa nel bel mezzo del dibattito, attualizzato da Macron, sulla sovranità europea, il vero oggetto del contendere è quale sia la “lealtà prevalente” su cui basare la strategia geopolitica dell’ Europa.

 

Orbene, personalmente credo tanto fortemente nel “Principio di sussidiarietà”, che non credo che vi debba essere una “lealtà prevalente”, perché tutte hanno funzioni proprie ed autonome: quelle verso l’Umanità, l’Europa, le sue Nazioni, le regioni, le città, le famiglie. Coloro i quali hanno redatto la locandina pensavano che quella verso la NATO fosse la lealtà prevalente, tant’è vero che si agitano molto per scongiurarne un’interpretazione basata su razza, religione cristiana e storia, mentre invece, quella “giusta” sarebbe fondata sulla religione puritana del progresso e del moralismo (che, secondo gli autori, sarebbe la sua “vera natura”).

 

Non nego che questa seconda interpretazione sia esistita ed esista in ampi ambienti, non solo “Occidentali” (perché ha seguaci in varie parti del mondo). Tuttavia, a me non pare che possa dare dei risultati positivi oggi perché è troppo generalizzata. Basti dire che anche Africani e Asiatici fanno di tutto per schiarirsi la pelle e per rimodellare un Islam, un Induismo e un Confucianesimo che assomiglino al Cristianesimo. Ma questa tendenza  fa perdere a ogni civiltà il suo contributo specifico al dibattito sul futuro del mondo.

 

Personalmente credo, sulla scia di Nietzsche, Coudenhove Kalergi, Simone Weil e Giovanni Paolo II, che, almeno per noi, l’Europa sia l’ambito all’ interno del quale meglio si possa organizzare la battaglia per l’avvenire del mondo, e questo non ha nulla a che fare con la razza. Ha molto a che fare con la storia, e lo avrebbe anche con la religione, se le Chiese non stessero divenendo anch’esse succubi delle loro omologhe degli altri Continenti, e si concentrassero di più sui punti di vista degli Europei.

4.Un finto universalismo

 

Nell’ultimo decennio, il punto di forza dell’”Occidentalismo” è divenuta la politica di “accoglienza” indiscriminata dei migranti, anche questa in forte contrasto con le politiche tradizionali europee, che legavano l’immigrazione a esigenze economiche e ai rapporti con gli Stati. Tipici esempi, gli accordi di Evian e di Lomé, che hanno garantito da 70 anni il privilegio dell’ immigrazione  ai cittadini di determinati Paesi amici. Cosa che nessuno sa: la prassi di Polacchi e Ungheresi (anche se non dichiarata), è la semplice continuazione di quella politica,visto che i due Paesi hanno accolto, negli ultimi anni, un numero di immigrati superiore a quelli dei Paesi occidentali, ma riservandosi di scegliere quelli provenienti da Paesi amici, in questo caso, dall’ Ucraina.

 

Invece, l’”Occidentalismo” pretenderebbe che il concetto stesso di “frontiera” non esistesse più, lasciando così arbitre le Grandi Potenze, i guerriglieri e gli scafisti su chi lasciar passare e chi no. Mentre invece, alla frontiera delle Grandi Potenze (per esempio sul Rio Grande), i “loro” immigrati vengono selezionati dalla politica locale in modo rigorosissimo, per accogliere solo quelli funzionali alle loro politiche e alla loro economia.

 

Secondo i teorici del globalismo, essi sarebbero i veri universalisti, perchè “sono i guardiani di tutti, non solo del proprio popolo”. A parte il fatto che quest’agghiacciante espressione dimostra la poca considerazione ch’essi hanno dei loro elettori, resta il fatto ch’essi non sono affatto particolarmente universalisti. Certamente, le frontiere attuali sono irreali, perché non rappresentano la sedimentazione effettiva delle varie civiltà. Tuttavia, il fatto che dei limiti ci siano è indispensabile per stabilire le rappresentanze e i diritti e i doveri di ciascuno.Comunque, una classe dirigente universalista non è quella per cui tutti i Paesi sono eguali, sicché si esime dal conoscerne lingua e cultura, bensì quelle che, oltre ad approfondire doverosamente la cultura del proprio Paese, conoscono bene anche quelle degli altri, per poterle confrontare, definire e negoziare. Non considero perciò universalisti Comenio, Hume o Wilkie, ma, piuttosto, Ippocrate, Erodoto, Marco Polo, Matteo Ricci, Atanasio Kircher, l’Abate di Reynal, Humboldt, Guénon, Eliade, Pound…

 

  1. Un nuovo Maccartismo

 

Certo, può e deve esserci un “compito comune”a livello mondiale , ma questo è il contrario della “Filosofia obscego dela” di Fiodorov (, vale a dire il post-umanismo, che, paradossalmente, anima sotterraneamente gli “Occidentalisti”) : è la lotta contro il “Robottu Okoku”(l’”Impero dei Robot), per il controllo sulle macchine intelligenti.

 

Le parole di Javier Ortega Smith, citate dalla locandina : “Our common enemy, the enemy of Europe, the enemy of liberty, the enemy of progress, the enemy of democracy, the enemy of family, the enemy of life, the enemy of the future is an invasion, an Islamic invasion…” sono assurde, perchè la maggior parte degli immigrati, compresi quelli clandestini, sono di religione cristiana o animista, e, quindi, non spostano l’equilibrio esistente fra le varie religioni “ufficiali”. Ma, soprattutto, occorre tenere a mente che la maggior parte degli Occidentali non sono affatto dei Cristiani “ufficiali”, bensì, indipendentemente se vadano a messa o no, sono in realtà dei fedeli della religione sansimoniana del Progresso (che si sposa benissimo all’attuale cristianesimo protestantizzato), l’unica vera concorrente del cristianesimo effettivo. L’arrivo di cristiani, animisti e islamici che sentono ancora la religione come un  fatto eminentemente spirituale non potrebbe, semmai, fare altro che rafforzare lo stesso Cristianesimo europeo.

 

In ogni caso, la confusione fra Europei e Occidentali è deleteria proprio perché permette di mantenere i viziati rapporti di forza attuali, dove il Complesso Informatico-Militare Occidentale si serve della forza dell’America per impedire il formarsi in Europa di una vera opposizione alla Singularity Tecnologica.

  1. La proposta di Macron

 

Per questo è molto importante che la Westernlessness prosegua e si approfondisca, in modo da lasciare nuovi spazi di manovra a una cultura e a una politica autenticamente europee. Del resto, ciò è quanto ha detto il Presidente Macron, ricordando l’anniversario della fondazione, da parte del Generale De Gaulle, della Force de Frappe. Macron ha anche affermato, a Monaco, che l’Europa deve smetterla di essere il “junior partner” (io direi il protettorato) degli Stati Uniti, anche perché, se è vero che ci sono delle affinità politiche e culturali, non c’è assolutamente un’identità di vedute su tutto, e, in particolare, sulle politiche culturale e di vicinato (la quale ultima  non riguarda, ovviamente, gli Stati Uniti). Del resto, Macron, per dare forza alle sue parole, ha invitato i partners il 12 marzo alla base di Isle Longue, a Brest, a bordo della portaerei Charles de Gaulle. Macron ha anche messo il dito sulla piaga di un tema che ci è caro: l’urgenza di una cultura condivisa della difesa nucleare, per poter essere in chiaro circa la proposta di partecipazione europea alla Force de Frappe.

 

6.Totaler Verriss (“Strappo totale”)

 

Quanto precede va inquadrato in un nuovo stile politico che, prendendo finalmente atto dell’insostenibilità degli attuali nuovi equilibri, postula una discontinuità in tutti i campi: imprenditoriale, ambientale, culturale, politica.

Hilmar Klute fornisce, sulla Sueddeutsche Zeitung, alcuni esempi di questa nuova radicalità, a partire dal gesto di Nancy Pelosi, diffuso dalle televisioni di tutto il mondo, di stracciare il Messaggio sullo Stato dell’Unione mentre Trump stava ancora parlando, per passare alla proposta  del leader dell’ AfD Gauland di sostenere elettoralmente il candidato di estrema sinistra Bodo Ramelow.

Secondo Klute, questa fame di radicalità non viene oggi più dalle estreme, bensì dal centro, a causa dell’inconcludenza di anni e anni di discorsi moderati. Si pensi appunto alla totale negazione, da parte della CDU, di tutti i tradizionali discorsi democristiani, come pure all’ abbandono, da parte della sinistra, di ogni forma di difesa delle classi lavoratrice e di qualsivoglia forma di socialismo.

D’altra parte, proprio sui temi europei, tanto Macron quanto Altmeier hanno ripreso senza tante storie tradizionali temi gollisti e interventisti.

ATTUALITA’ DI NIETZSCHE. COMMENTO A GIAMMETTA

ATTUALITA’ DI NIETZSCHE. COMMENTO A SOSSIO GIAMMETTA

Nell’articolo di Sabato 10 novembre su “La Repubblica”, Sossio Giammetta, cultore appassionato e competente  di Nietzsche, riapre (a mio avviso molto opportunamente), la questione circa l’attualità o inattualità di quel filosofo, che, oggi, equivale sostanzialmente  a quella della sua utilizzabilità per il nostro presente e per il nostro futuro. In breve, secondo Giammetta, Nietzsche si sarebbe sbagliato nel ritenersi “inattuale”, cioè troppo avanti rispetto alla sua epoca, in quanto egli, al contrario, esprimeva benissimo proprio quella cultura della crisi che avrebbe voluto contestare.

Con tutto il rispetto per Giammetta, non condivido questa valutazione, in quanto, invece, il mondo contemporaneo mi appare dominato, proprio come previsto da Nietzsche, da un immane contesa   circa l’ eredità nietzscheana, considerata da tutti più preziosa che mai, quale punto di partenza per interpretare  i conflitti circa l’avvenire dell’ Umanità. Il misconoscimento di questo aspetto della post-modernità è uno dei sintomi dell’ incapacità dell’establishment di comprendere il nostro tempo.

  1. Le interpetazioni del Superuomo

Infatti, le grandi forze culturali e politiche che aspirano a configurare il nostro futuro, vale a dire  la lobby post-umanista che gravita intorno alle Big Five dell’ informatica, una parte delle Chiese, e, infine, perfino la Cina di Xi Jinping,  si muovono, in ultima analisi, intorno all’ interpretazione  di quell’eredità, filtrata, a seconda dei casi, dal messianesimo progressista o dai Classici Confuciani. Cosa che non può stupire perché la “Nietzsche-Manie” è arrivata un po’ dovunque, attraverso Toennies, Spengler, Buber, Mann, Wilde, Trotskij, Lu Xun, Heidegger, Gehlen,  e ancora, attraverso la Nietzsche-Renaissance…

Più precisamente, quelle forze operano oggi, anche inconsapevolmente, sulla scia di una determinata interpretazione del mito del Superuomo, quella che potremmo chiamare genericamente “democratica”, fatta propria in particolare da Gianni Vattimo, quando aveva reso “Uebermensch” con “Oltreuomo”, e da Umberto Eco, quando aveva parlato del “Superuomo di massa”. Questo ”Oltreuomo” è una sorta di nuova specie, che succederà all’ umanità quale noi la conosciamo, presentandosi come un qualcosa di unitario. La sua superiorità deriverà proprio dall’essere unitaria: l’Umanità come un grande individuo, idea affermata espressamente dall’inventore della missilistica,  Tsiolkowskij, e dal Commissario del Popolo Lev Trockij. La più plastica incarnazione di questa visione del Superuomo è rappresentata proprio da Jurij Gagarin, un mito moderno alimentato anche dalla sua morte prematura e misteriosa.

Secondo quest’interpretazione, oggi dominante, il Superuomo realizzerà le aspirazioni recondite dell’ Umanità: secondo Ray Kurzweil, perché, attraverso la tecnica, invererà l’aspirazione buddhistica al nulla; secondo Teilhard de Chardin e secondo gli Hojjatiyyeh sci’iti, perché, attraverso l’unità fra uomo e natura, scienza  tecnica, ricostituirà l’originaria unità dell’ Essere in un “Punto Omega” che rappresenterà la seconda, conclusiva, venuta di Gesù Cristo (e, nella variante islamica, anche del Mahdi); secondo Kang You Wei, l’ultimo ministro imperiale cinese, perché, attraverso una sorta di “socialismo con caratteristiche cinesi”, si sarebbe restaurato il  DaTong, la mitica Grande Armonia dell’ Impero Zhou.

Giammetta ha parzialmente ragione nel vedere in Nietzsche anche il punto di partenza della genesi filosofica delle culture dell’ Asse. Esse condividevano   infatti un secondo gruppo d’interpretazioni del nietzscheanesimo: quelle imperialistiche. Anche per queste, il Superuomo era un’entità collettiva, lo “Herrenvolk”, che, riportato all’ antica purezza dallo Stato Etico, potrà ricostituire la naturale gerarchia umana, ponendo così fine all’era della “décadence”.

A mio avviso, vi è ancora una quarta altra interpretazione, per ora minoritaria, del Superuomo, che chiameremo “eroica”: quella che lo vede proprio come un uomo in carne ed ossa, ma, tuttavia, come si dice oggi, “aumentato”. A oggi, quest’”aumento” (“Enhancement”) non è stato ancora inquadrato adeguatamente perché già soltanto il definirlo richiederebbe una buona dose di antropologia nietzscheana. Non si può dominare il mondo delle macchine aggiungendo, ai loro algoritmi, altri algoritmi, che esprimano il “governo delle regole” e la “Robo-ethics”, ma solo opponendo, alla ripetitività delle macchine, la libera creatività dell’ “uomo superiore”: “ein auf sich rollender Rad”. Quest’ultima interpretazione esigerebbe una sintesi fra le nuove tecnologie cibernetiche e le culture dell’epoca assiale, di cui quella classica e cristana europea non è che una parte. E’, in sostanza l’interpretazione data dal superomismo ebraico di Berdichewsky e Ahad ha-‘Am (lo Tsadiq come Superuomo) e, un secolo dopo, da Stanley Kubrick in “2001 Odissea nello spazio”, la quale , non per nulla, si apre al suono dello Zarathustra di Strauss. Il protagonista di quel film completa il proprio cammino interiore quando, disattivato il  computer di bordo, sprofonda negli strati sconosciuti della propria coscienza, per “morire a se stesso” nella “camera di riflessione”, e, infine, grazie al mitile (la Ka’aba?) che presiede  alla sua morte iniziatica e alla sua resurrezione, per ritornare sulla terra, vero Messia tecnologico, nella veste di un bimbo – “das Kind”-,  protagonista della “terza metamorfosi” dello Zarathustra.

Del resto, questa scena si è già verificata nella realtà, quando il tenente colonnello Petrov ha disinnescato il grande computer “OKO”dell’ Armata Rossa (oh, quanto simile allo HAL di Kubrik!), arrestando, con un atto di suprema decisione e ribellione, la terza guerra mondiale.

2.Fine dell’ Occidente, fine dell’ Europa, o semplice eclisse?

Concordiamo con GIammetta sul fatto che l’opera e la vita di Nietzsche sono coincise con l’apogeo e la decadenza dell’ Occidente. Questo però solo nella misura in cui concepiamo l’Occidente come una realtà unitaria. In effetti, fino al 1885, (data della pubblicazione del Manifest Destiny di John Fiske), o fino al  1889 (data dell’ impazzimento di Nietzsche a Torino), poteva avere un senso considerare gli Stati Uniti, nonostante il loro ribellismo, come una parte di un’unica entità insieme all’ Europa. Tuttavia, a partire da “Manifest Destiny”, l’America si concepirà come un antagonista, che ha superato e sconfitto l’ Europa, e che si accinge ora a raccoglierne l’ eredità. Con  Kipling che, ne “il Fardello dell’ uomo bianco”, trasferisce letteralmente le consegne all’ America.

Questo trasferimento diverrà plasticamente evidente con la 1° Guerra Mondiale, i “rent-lease agreements” fra USA e Inghilterra, che sancirono il trasferimento del centro finanziario mondiale da Londra a New York, con i 14 Punti di Wilson, in cui si impegnavano gli Stati europei a cedere le colonie, e, infine, con l’impiantarsi in Europa di imprese americane e dell’industria culturale americana. Oggi, l’Occidente è nettamente diviso fra l’ America tecnocratica e neo-colonialista del Complesso -informatico-militare, e un’ Europa passiva, che conserva in sé le vestigia di molte antiche civiltà ma non è capace di attualizzarle.

Certamente, l’eredità culturale di Nietzsche, con la sua idea di unificare l’Europa per difenderla dal resto del mondo, ha continuato a ispirare vari aspetti della vita culturale e politica, a cominciare dall’ interpretazione aristocratica dell’ unificazione europea espressa da Coudenhove Kalergi, per continuare con la stessa concezione di una grande guerra per l’egemonia  sull’ Europa fra i “popoli di signori”, che Nietzsche identificava con i Tedeschi, i Russi e gli Ebrei, e  soprattutto l’ambizione di Spinelli di essere, per l’Europa, ciò che Machiavelli era stato per l’Italia.

Come noto, nessuna di queste ipotesi portò in realtà all’ unificazione dell’Europa, anzi, al contrario, tutte  portarono alla divisione di Yalta e alla perdita della sovranità europea. Soprattutto, il progetto spinelliano non ha retto all’assalto funzionalista sostenuto neanche troppo copertamente dalla globalizzazione tecnocratica del  complesso informatico-militare americano.

Giustamente, già Heidegger accusava implicitamente di non aver compreso che la Super-umanità che stava avanzando, più che la sublimazione dell’ individuo, avrebbe rappresentato la sublimazione dell’ Apparato e lo schiacciamento dell’ individualità.

E, nonostante tutto ciò, da un lato tutti continuano a muoversi nello spazio circoscritto da quelle ipotesi, e, dall’ altra, non è ancora stata abbandonata l’idea che l’Europa possa unificarsi e rivendicare un proprio ruolo nel mondo. L’Europa che potrebbe morire è l’”Europe Décadente” di Morin, non già l’”Europa Vivente” che si agita ancora confusamente oltre l’Elba e il Mare Adriatico.

3.Nietzsche oggi

Certamente, le due guerre mondiali costituirono il momento culminante della caduta dell’Europa, e la fine del suo dominio coloniale. L’ideologia della supremazia europea era però così radicata ovunque, nel bene e nel male, che la piena coscienza della realtà ha tardato quasi 100 anni a manifestarsi, fino ad oggi, quando è diventato veramente difficile nasconderla. D’altronde, Nietzsche già aveva profetizzato il grande conflitto interpretandolo come una crisi di crescita, e anticipando, così, la “Kriegsideologie”.

Uno dei motivi per cui quest’autocoscienza non nasce è che, nonostante che, fino dai tempi della guerra con la Spagna del 1898, l’America fosse diventata la nuova potenza coloniale, ed, oggi, essa sia oramai  il più grande impero della storia, essa ha continuato a presentarsi come la potenza anti-coloniale per eccellenza. Di converso,  gli Europei continuano ancor ora a credere di avere dei grandi privilegi verso il resto del mondo, mentre invece non contano più nulla. Perciò, essi, credendo di fare parte della metropoli imperiale, hanno parteggiato ancora sempre, sostanzialmente, per gli Stati Uniti contro il resto del mondo, senza rendersi conto che la loro situazione è oramai per molti versi simile a quella dell’America Latina o del Medio Oriente, ed è deteriore perfino rispetto a quella dell’India, della Russia e della Cina.

Nel frattempo, il post-umanesimo è divenuto la versione egemone del mito del Superuomo. Sa un lato, alcuni, rari, autori, come Alexandre e Benasayag, si stanno  sforzando di costruire una teoria della “paideia” postmoderna capace di coniugare l’”Enhancement” (l’incremento delle capacità umane), con le nuove tecnologie, che a sua volta  non potrà avere nessuno  sbocco  concreto se non attraverso una lettura attenta dell’antropologia nietzscheana. Dall’ altro, il tema del giorno è costituito dal potenziale di crisi bellica implicito nella crescita della Cina e nella resistenza degli USA (Graham Allison, “Destinati alla guerra”). Anche quest’idea di una guerra totale per il dominio della Terra (“l’Ultima Grande Battaglia”) era ben presente in Nietzsche, come dimostra il paragrafo zarathustriano intitolato “Profonda Mezzanotte”: “Chi saranno i signori della Terra?”.

4.Fuori  dal nichilismo

Certamente, la tentazione di attribuire a Nietzsche (per il suo preteso relativismo) la colpa della crisi dell’Europa è forte in tanti. E, anche su questo, ha ragione Giammetta, nell’ affermare che la crisi dell’Europa era in un certo senso inevitabile, in quanto crisi metastorica (Nietzsche quale “destino”). Questa concezione tipicamente nietzscheana  si riallaccia all’ idea della decadenza della civiltà occidentale per un effetto ritardato dell’ascetismo orientale (i “sannyasin”, Buddha), veicolato in Occidente dalla Bibbia e dal Platonismo, una tesi che ha un suo profondo fondo di verità, tant’è vero che è stata ripresa dal “pensiero unico” quale narrazione fondante della contrapposizione Progresso-Reazione, dove il Progresso nasce proprio dai Rinuncianti, dal messianesimo e dal razionalismo, e la Reazione s’identifica con lo spirito dionisiaco, la “bestia bionda” e le grandi personalità amate da Nietzsche, come il Duca Valentino o Napoleone.

Il compito che Nietzsche si era dato era appunto quello di ostacolare quella decadenza, interpretando la Storia (cioè gli ultimi 2500 anni) come un semplice istante di una storia più  ampia (l’Eterno Ritorno), in cui sarebbe stato possibile incastonare un momento di rinascita, sfruttando la stessa direzione di movimento della decadenza universale(il “Grande Meriggio”).

E’ l’idea, oggi attualissima,  di un “reincanto del mondo”, che sarebbe stato avviato proprio dagli eccessi della decadenza. Il “nichilismo” si sarebbe allora tramutato in “prospettivismo”, nell’ “amor fati”, nell’accettazione stoica dell’imperfezione del mondo, che è proprio quel pessimismo assertivo, che Nietzsche contrapponeva all’infondato ottimismo dei progressisti, ed oggi è condiviso da una parte importante della cultura mondiale.

Su questo tema, si sono cimentati molti autori nutriti di un denso background nietzscheano: da Heim a Mann, a Juenger, a Coudenhove-Kalergi, che non è il caso qui di approfondire, anche perché, personalmente, credo che nessuno sia stato capace di esprimere quest’idea fino in fondo, anche perché non c’è stato, fino ad ora, nessun esperimento integrale di “enhancement”.

Certamente, la cultura europea in particolare, e quella occidentale in generale, non sono in grado di rispondere da sole a questa domanda. L’entropia della scienza e della tecnica, che tende a svuotare l’umano per sostituirlo con il macchinico, è strettamente connaturato alla deriva distruttiva del messianesimo materialistico sempre latente nelle “Religioni del Libro” (manicheismo, carmatismo, anabattismo, puritanesimo, teologia della liberazione). Vedo il coraggio di contrapporsi frontalmente, e anche esistenziamente, alla deriva nirvanica  solamente in autori che, pur provenendo da una sofisticata formazione europea, sono stati sovraesposti anche alle culture e religioni orientali. Mi sembra esemplare, a questo proposito, il cosiddetto “Catechismo di Matteo Ricci” (il “Tianzhu Shiji”), opera in Cinese di carattere discorsivo e divulgativo, in cui per altro il dottissimo gesuita, nel prendere posizione a favore del Confucianesimo e contro il Buddhismo, riconosceva  chiaramente che la sua era una scelta affatto soggettiva. Ciò che, in sostanza, era anche la posizione di Nietzsche, il quale tra l’altro, un po’ come Kipling, pur essendo in fondo un imperialista europeo, aspirava a “pensare sovra-europeo”, ed ammirava, come in “East and West”, la forza creatrice dei giovani popoli dell’Oriente.

Soprattutto, Nietzsche si autodefiniva polacco, e non per nulla usava portare baffoni come quelli di Lech Walesa, che, come testimonia il Pan Tadeusz di Mickiewicz (appena tradotto in Italiano), erano caratteristici proprio della Szlachta polacca, da cui Nietzsche  si vantava di discendere. Anche in questo Nietzsche anticipava i tempi. I popoli dell’ Europa Centrale e Orientale, che ai suoi tempi non avevano voce nella competizione politica, ideologica e culturale, dell’ Europa, stanno rivendicando un loro posto in Europa, facendo leva proprio su quell’ eredità storica da cui Nietzsche era istintivamente attirato.