Il progressivo sovrapporsi della vittoria di Musk a quella di Trump costituisce l’immagine plastica di una mutazione epocale in corso in tutto il mondo, definita genericamente “crisi della democrazia”:
-nell’Impero Americano, il più grande guru dell’ informatica, un finanziere che già domina tutti i mercati strategici, preme (apparentemente, con successo) per essere nominato capo di un progettato “Department of Goverment Efficiency” (“D.O.G.E.”), destinato a porre l’intero Stato americano, che domina il mondo intero,sotto la tutela del Gruppo Musk;
-in Cina, la digitalizzazione si spinge fino a controllare ogni azione dei cittadini, la loro salute, i loro spostamenti;
-in Israele, l’intero popolo palestinese è controllato ininterrottamente dai vari sistemi digitali dell’Esercito e dei servizi segreti, e i ministri possono essere “licenziati” senza motivazione e senza alcun impatto sull’appoggio dei partiti al Governo; inoltre, il Paese, divenuto, grazie a quanto sopra, il massimo esperto mondiale di tecnologie di controllo, rivende queste ultime a tutti i Paesi del mondo;
-in Russia, gli organi governativi sono perennemente riuniti in una tele-conferenze con il Presidente, e perfino le loro relazioni individuali al Presidente sono trasmesse in diretta: il trionfo del “Talk Show”;
-nella UE, si sta preparando una sorta di “mobilitazione generale”(“Rapporto Niinistö”),civile e militare, e vige una censura generale pan-europea contro chiunque non sia allineato sul “politicamente corretto”(il “Digital Services Act”);
-in Ucraina, sono stati sciolti 11 partiti politici ed espropriata la maggior parte delle Chiese, colpevoli di essere restate fedeli al Patriarcato di Mosca.
E si potrebbe andare avanti all’ infinito…
In questo intervento, cercheremo di analizzare le ragioni di questo trend, con particolare riguardo al ruolo di Elon Musk nella nuova costellazione di potere conseguente alla vittoria di Trump.
1.Brave New Word (ll mondo nuovo)
Rivivono in Musk certi aspetti del bolscevismo originario, come il cosmismo (la “colonizzazione dello spazio di Tsiolkovskij, di Vernadskij , di Bogdanov e del movimento ingegneristico kievano “Do Marsa”= “su Marte”).
Dovunque, l’accresciuta conflittualità fra il progetto post-modernista incarnato dai GAFAM (le Grandi Piattaforme americane) e quello conservatore (rappresentato dai BRICS) -conflittualità ramificata attraverso tutti gli Stati del mondo-, ha generato una situazione di guerra strisciante e di preparazione bellica permanente fra i grandi Paesi, che rende inevitabile la centralizzazione di tutti i poteri intorno al rispettivo leader e al suo “cerchio magico”, per essere sicuri della rapidità della mobilitazione bellica, per mantenere intatta la retorica ufficiale, per evitare ogni “infiltrazione” ostile, per razionalizzare un’economia sinistrata in vista di una guerra prolungata, per contrastare le catastrofi derivanti dalla crisi ecologica…Questa centralizzazione si appoggia sulle nuove tecnologie digitali di controllo capillare della popolazione, che finiranno per risultare le uniche vere vincitrici di questo confronto, come scritto profeticamente da Manuel De Landa nel suo “La guerra nell’ era delle macchine intelligenti”.
In queste condizioni, che senso ha ripetere stancamente le retoriche della libertà individuale, della separazione fra Stato e Chiesa, della divisione dei poteri, della libertà di opinione, della “privacy” che avevano caratterizzato il XX° secolo? Qui si fa solo più a gara a chi abolisce più libertà, considerandosi ogni realtà indipendente come un focolaio di pericolo, in quanto è possibile che venga conquistato da un “nemico”, e usato per “destabilizzarci”.
L’insistere a tentare di spiegare tutto ciò con gli stereotipi del XX° Secolo è non solo inutile, ma anche sospetto, in quanto è molto probabile che si voglia nascondere in mala fede la realtà delle cose, e in particolare il fallimento di una cultura irrealistica (i “parametri utopico-liberali” di cui parla Giovanni Ursina), che per altro ha sostenuto le carriere di intere generazioni d’intellettuali e di politici.
Quando si attaccano, con l’accusa di “democrazia illiberale”, alcuni Paesi dell’Unione Europea (Ungheria, Slovacchia) o della NATO (Turchia), in realtà si vuole condannare non già la loro pretesa illibertà, bensì la loro eccessiva indipendenza, che permette loro di non schierarsi al 100% con l’ America, divenendo così a loro volta un pericolo per il controllo centralizzato e militarizzato,da parte da parte della stessa, degli “alleati” occidentali. Tuttavia, questi Stati non fanno che ripetere in piccolo quello che già succede in grande nelle grandi potenze (a cominciare dagli Stati Uniti), e anticipando quello che accadrà ancora in tanti altri Stati. Essi debbono centralizzarsi per resistere ai potentissimi condizionamenti del Complesso Informatico-Digitale occidentale (di cui Musk è il tipico esempio)..
D’altronde, le contraddizioni della Modernità che stanno esplodendo ora, e, in particolare, quelle della “democrazia” occidentale, erano già iscritte fin dall’ inizio nel suo DNA. Per esempio, pur parlando di democrazia, lo stessoGeorge Washington ne criticava già, in nome del “Repubblicanesimo”, gli aspetti fondamentali: i partiti, il voto popolare e lo spirito di parte.
Il punto è che la democrazia è per sua natura illiberale. Mentre il liberalismo è un’ideologia tipica dell’ aristocrazia del ‘700 che lottava contro lo Stato assoluto inneggiando alla “liberalità” dei signori (pensiamo a Rochefoucauld), la democrazia è quella deriva delle antiche Poleis, denunziata fin da Omero (Tersite), per passare a Socrate, Aristotele e lo “Pseudo-Senofonte”, che le aveva portate ad essere dominate da un pathos plebeo, dalla demagogia, dall’“oclocrazia”(l’”apistos demos” di Aristotele), e, infine, dalla tirannide (i Trenta Tiranni). E che altro è il “trumpismo” (o il “populismo”:la “pancia” del popolo), se non lo spirito plebeo elevato a virtù civica, in quanto la più pura espressione del “popolo” tanto esaltato negli ultimi 200 anni?
“Democrazia illiberale” è un termine assolutamente equivoco, sia se usato in senso dispregiativo, sia usato in senso elogiativo, perché, nell’attuale gergo americaneggiante, tanto “democrazia” quanto “liberale” designano il contrario di quanto avevano significato per almeno mezzo secolo in Europa (per esempio, in “Democrazia Cristiana” e “Partito Liberale”). D’altronde, la traduzione del l’omonimo libro di Zakaria parla giustamente di “democrazia senza libertà”, che ben si attaglia a praticamente tutti gli Stati attuali. Sarebbe forse meglio parlare di “sistema carismatico-rappresentativo”, in quanto esso tenta di conciliare l’esigenza di un leader, provocata dalla mobilitazione generale mondiale, con le forme giuridiche della democrazia rappresentativa (così come, nel Principatus augusteo, l’esigenza di un principe provvidenziale veniva conciliata con le forme tradizionali del cursus honorum repubblicano)
Del resto, vi è sempre stato un legame fra “mobilitazione generale” e idolatria del “popolo”, che è quello che, come ben studiato da Jünger, aveva portato ai totalitarismi del 20° Secolo. L’unico modo per por fine alla mentalità da mobilitazione generale è far finire la Terza Guerra Mondiale, rendendo nuovamente possibile, all’interno di ciascuno dei blocchi concorrenti, una forma di pluralismo, non più accusabile di “intelligenza con il nemico”. Vediamo se Trump ne sarà veramente capace.
Questa situazione smentisce in modo definitivo la credenza che, nel XXI° secolo, possano avere ancora una qualche utilità le categorie di “Destra” e di “Sinistra”, ma anche di “Democrazia” e “Autocrazia”, essendo restata in campo solo la distinzione fra “governo degli algoritmi” (come quello che si è instaurato in America grazie alla convergenza delle azioni di Eric Schmidt e di Elon Musk) e il (almeno più “umano”) “governo del leader” (come quelli di Cina, Russia, India, Turchia..).
In questo contesto, l’Europa, disabituata a pensare dall’egemonia del “pensiero unico”, non sa più come orientarsi. Perfino coloro che, per un motivo o per l’altro, amerebbero defilarsi dal Governo delle Macchine Intelligenti, dell’America e della NATO, sono in seria difficoltà, visto che c’è una corsa sfrenata da parte di tutti ad accattivarsi la coppia, ormai onnipotente, “Trump-Musk”, mentre le effettive intenzioni di Trump non sono ancora neppure note. Come ha affermato sprezzantemente Putin, “ciò che manca all’ Europa sono i cervelli”.
La vicenda Trump-Musk dimostra almeno quanto siano ancora diverse l’Europa e l’America.
2.Il ruolo di Elon Musk nell’amministrazione Trump
Come anticipato, vogliamo qui concentrarci però su quella che appare come la vera novità del secondo mandato di Trump, il quale forse ha vinto in questo modo schiacciante non già per l’appoggio di nuove correnti di opinione o all’ “endorsement” di autorevoli “opinion leader”, bensì grazie a un impero finanziario e tecnologico -quello di Musk- che già domina l’Occidente, sui mercati dei media, delle biotecnologie, dell’ intelligenza artificiale, dello spazio, dell’ autoveicolistica, delle telecomunicazioni, essendo così in grado di pilotare l’intera società americana e di mettere in ombra gli stessi GAFAM “minori”. E, difatti, Musk ha messo a disposizione di Trump un congruo numero di miliardi, di cui una quota precisa dedicata al voto di scambio, oltre che l’accesso senza limiti e senza censura alla piattaforma “X”, quella che era stata un tempo Twitter, e che Musk ha comprato. Gli mancava solo il timbro di “Direttore tecnico degli Stati Uniti”,cosa che oramai sembrerebbe avere. Infine, è lui il migliore intermediario con Zelenskij, perché buona parte dell’ esito della guerra dipende dalla disponibilità, o meno, della rete Starlink.
Si è superato perfino il concetto marxiano di “Comitato d’affari della borghesia”: l’Amministrazione americana è il dominio privato di due imprenditori-soci, dei quali l’uno, il Presidente e il “junior partner”, anche se rappresenta formalmente lo Stato, ma l’altro, da “CEO”, controlla l’intera società, realizzando così il sogno tecnocratico di Saint-Simon. Altro che “conflitto di interessi”!
Il gigante aerospaziale SpaceX eTesla di Musk sono entrambe tra le aziende che valgono di più al mondo al mondo. SpaceX è la seconda più grande azienda privata al mondo, con una valutazione di 210 miliardi di dollari. La società di veicoli elettrici Tesla è la decima società quotata, con una capitalizzazione di mercato di oltre 900 miliardi di dollari.
Musk ha una quota del 42% in SpaceX e una quota del 13% in Tesla, e ha anche quote di controllo in X, la piattaforma precedentemente nota come Twitter, e nella startup di intelligenza artificiale generativa xAI. Musk è di gran lunga la persona più ricca del mondo, con un patrimonio netto di circa 280 miliardi di dollari, più di 60 miliardi di dollari in più rispetto al secondo uomo più ricco, il fondatore di Amazon Jeff Bezos.
Ma, soprattutto, Musk incarna nel modo più trasgressivo la “hybris” del Postumanesimo, nei suoi aspetti più inquietanti: l’Intelligenza Artificiale Generativa, le microchip nel cervello, i twitter senza alcuna moderazione, la colonizzazione privata dello spazio, la disoccupazione tecnologica, la maternità surrogata.
In effetti, il progetto di Musk, cioè quello di ufficializzare il controllo dei GAFAM sullo Stato americano, e, con ciò, sull’ Occidente, non è nuovo. Esso era stato teorizzato da Schmidt e Cohen nel loro libro “The New Digital Age”, concepito dai due autori nel 2003, nella Baghdad ridotta in cenere ed occupata dall’ esercito americano, in cui si suggeriva che Google avrebbe dovuto sostituire la Lockheed nel guidare l’America alla conquista del mondo (“Googleization of the World”). Ed è stato criticato da Evgeny Morozov quale ultimo tentativo, da parte di una civiltà fallimentare, per bloccare l’esito della Storia, che, di per sé, starebbe voltando le spalle all’ Occidente.
Sempre Schmidt aveva incominciato a mettere in pratica quel progetto, con la creazione di NSCAI, la commissione incaricata dal Congresso di elaborare una strategia per contrastare il superamentodegli USA da parte della Cina, da cui nacque l’Inflation Reduction Act, con cui il Senatore Schumer si proponeva di “mettere fuori mercato il mondo intero”.
Ora, è stata colmata una lacuna nel progetto, perché Musk (anche se aborre la California, preferendole il Texas) sta non soltanto teorizzando, bensì incarnando nella propria persona, la “ideologia californiana”, che fonde cultura nichilista e intelligenza artificiale, politica tecnocratica e monopolio universale.
Facendo ciò, egli ha dato un significato concreto all’ ideologia M.A.G.A., oscillante vagamente fra l’isolazionismo e il nazionalismo.
3.Il “programma di governo” di Musk
Musk, nonostante che provenga dal campo progressista e abbia sostenuto Trump solo da luglio, ne è divenuto ormai il compagno inseparabile, perfino nei colloqui con Zelenskij, anche se è improbabile che assuma un ruolo ufficiale. Egli ha, inoltre, affermato che “non è necessario alcun compenso, alcun titolo, alcun riconoscimento” per i suoi servizi (ampiamente compensati evidentemente dalla possibilità di difendere dall’ alto i propri interessi), guidando un “Dipartimento per l’efficienza governativa” (D.O.G.E.) che Trump ha pubblicizzato come “Segretariato per la riduzione dei costi”, con l’obiettivo di tagliare da 2.000 miliardi di dollari o più dal bilancio federale (evidentemente subappaltando funzioni pubbliche alle multinazionali del web, e, in primis, a quelle di Musk, che è già l’insostituibile fornitore dell’ Amministrazione). In un’intervista al podcastJoe Rogan Experience ha detto che spera di “sgomberare il ponte” da regolamenti e agenzie federali indebiti e “ridurre le agenzie [federali] per renderle molto più piccole….assicurarsi che …si attengano a ciò che il Congresso ha autorizzato”.
D’altra parte, le aziende di Musk sono al lavoro anche in Italia per darsi assegnare (vedi scandalo S.O.G.E.I.) delle commesse strategiche, nell’outsourcing dei servizi pubblici, con le quali anche il nostro Paese diventerà dipendente da Musk per il funzionamento stesso dello Stato, così come stafacendo in America, e come avevano già fatto le Istituzioni europee con Microsoft.
Quali siano le sue intenzioni lo ha dimostrato ancora il 13 novembre, con un post sulla sua piattaforma dedicato alle sentenze dei giudici italiani (ed europei) circa i “paesi sicuri”. La forma e il contenuto del post costituiscono un esempio ineguagliato delo stile di Musk, che interviene non sollecitato su una vicenda giudiziaria italiana ed europea, indicando una soluzione, le dimissioni dei giudici, che è agli antipodi, non solo dell’ ordinamento italiano, ma anche sull’ “ordine giuridico basato sulle regole” di cui l’ America si fa vanto. Per quanto sia pericoloso, e/o sgradito, essere sommersi da immigranti che porteranno anche da noi l’insanabile contraddizione americana fra “Whites” e “Non-Whites”, ancor peggio è essere governati contra legem da Washington da un informatico sud-africano, quasi fossimo un “bantustan” qualunque. Questo dimostra plasticamente che cosa dovrebbe impedire l’ “autonomia strategica” italiana ed europea.
Musk ha affermato inoltre che, dopo queste elezioni, non ha alcuna intenzione di smettere di pesare sulla politica. Il suo super comitato di azione “continuerà dopo queste elezioni e si preparerà per le elezioni di medio termine e per eventuali elezioni intermedie”, evidentemente tentando anche di interferire nelle politiche interne degli “alleati”, come faceva già Bannon. Fortunatamente, Trump si era presto stancato di quell’ alleato scomodo.
4. Musk e l’Antitrust
L’idea che il più grande monopolista del mondo sia incaricato dal Presidente di ristrutturare lo Stato americano mette una fine definitiva dell’illusione che la “destra” sia favorevole al libero mercato. E’ come incaricare il lupo di guidare una mandria di agnelli. Il che è per altro logico, perché la “destra” trumpiana non è liberista, bensì interventista nell’ economia, ma nell’ ottica attuale della mobilitazione bellica, secondo il collaudato modello del “keynesismo militare”, applicato negli Stati Uniti di Roosevelt, nella Germania nazista e oggi nella Russia di Putin. Il ruolo degli imprenditori è quello di “oligarchi”, fedelissimi del “leader” che possiedono le imprese, ma le gestiscono secondo le esigenze della programmazione bellica (pensiamo per esempio alla programmazione di Todt e di Speer e alle Reichswerke Hermann Göring).
Come ovvio, Musk si è scontrato spesso con i regolatori dell’amministrazione Biden. La FTC guidata da Khan ha colpito X, allora nota come Twitter, con unamulta di 150 milioni di dollari, e ha ordinato restrizioni sui metodi di raccolta dati per la pubblicità della società di social media per la pubblicità. La SEC guidata da Gensler si è scontrata con Musk per il suo uso di Twitter nel contesto del suo ruolo in Tesla, risalente a un controverso tweet del 2018 in cui Musk ha affermato di aver ottenuto i fondi necessari per rendere privata la Tesla.
Ci sono poi una serie di cause legali in sospeso e indagini governative contro Musk e le sue aziende, che naturalmente apprezzerebbe il clima normativo più leggero lanciato da Trump. Tra le questioni legali e normative che Musk deve affrontare ci sono un appello per ripristinare il suo bonus da 50 miliardi di dollari in azioni Tesla, annullato da un giudice del Delaware a gennaio, un’indagine sui sistemi di guida autonoma di Tesla da parte della National Highway Traffic Safety Administration e un avvertimento segnalato dal Dipartimento di Giustizia sui premi da 1 milione di dollari dell’American PAC ad alcuni elettori di stati indecisi.
Tesla, che rappresenta la maggior parte della ricchezza di Musk rispetto a qualsiasi altra sua azienda, sta già ricevere una formidabile spinta dalle proposte economiche di Trump che probabilmente danneggerebbero i suoi concorrenti di veicoli elettrici, un vantaggio che si è tradotto nel rally delle sue azioni mercoledì, fatto che ha già fatto aumentare il valore delle azioni di Tesla fino a un trilione di dollari.
Al diavolo il conflitto di interessi!
Eppure, la resa incondizionata degli Stati ai guru dell’informatica non sarebbe in teoria affatto inevitabile. Lo dimostra il caso della Cina.
5.Il precedente di Jack Ma
Ricordiamo che uno scenario analogo si era prodotto recentemente in Cina, dove esistono multinazionali digitali che, seppure presenti solo in quel Paese, hanno dimensioni analoghe a quelle americane (i “BAATX”). Questo è uno degli aspetti più appariscente della presunta defezione della Cina verso il capitalismo, sulla quale non concordiamo, perché, tecnicamente, il socialismo non è la statizzazione di tutta l’economia, bensì “il controllo sociale sui mezzi di produzione”, che è ciò che si sta realizzando in Cina attraverso meccanismi giuridici complessi, comprendenti anche il mercato.
Anche Jack Ma aveva creato un impero privato simile a quello di Musk (oltre ad assumere atteggiamenti spettacolari ricalcati su Musk, come quando si era presentato ai dipendenti vestito come Michael Jackson.).
Nel frattempo, la Cina aveva approvato a tempo di record una serie di leggi sull’ ICT ispirate a quelle europee, ma più concrete e applicabili, in base alle quali tutte le multinazionali cinesi si sono viste esposte a una pioggia di sanzioni, in quanto, come le loro colleghe occidentali, intralciano continuamente la concorrenza, trascurano la privacy, ecc…(il “Crackdown sui BAATX”).
Quando Ma aveva lanciato una campagna di stampa contro il sistema bancario cinese, che gli negava quel sostegno finanziario che invece Musk ha in Occidente, per trasformare il suo impero industriale e tecnologico cinese in un impero finanziario mondiale, è stato arrestato e detenuto per alcuni mesi, finché ha rinunziato ai ruoli operativi nelle sue società, trasferendosi all’ estero e limitandosi a incassare i dividendi dovutigli in quanto socio di minoranza delle società stesse.
7.Trump e i conservatori
Un altro “miracolo” di Trump è stato quello di trasformare i conservatori, da sempre considerati “dei pariah” della politica, specie europea, in protagonisti ambiti delle politiche nazionali e della UE.
Grazie a ciò, l’”accoppiata” Trump-Musk ha indebolito con una duplice mossa un probabile ostacolo al dominio mondiale dei GAFAM: la resistenza in nome dell’umano al “Governo degli algoritmi” di Musk, così simile al “Governo delle Regole” tanto caro al liberalismo di sinistra. Questa resistenza non potrà venire se non da ambienti “lato sensu” conservatori, come per esempio le Chiese. Probabilmente, la coppia Trump-Musk spera che, essendole essi grati per averli fatti uscire dai loro ghetti, vari tipi di “conservatori” lascino per un momento da parte le loro legittime ragioni ideali, che concettualmente li opporrebbero al “governo delle macchine” – chi per orgoglio nazionale, chi per umanesimo, che per difesa della libertà-…, e “lavorino” come si dice oggi, con la coppia Trump-Musk e con gli altri grandi soggetti geopolitici modo da non contrastare, bensì da agevolare, il progetto della “Singularity Tecnologica”. Ricordiamoci che Musk, come persona, tiene comportamenti ricalcati sui grandi transumanisti, come Ray Kurzweil e l’iraniano Fereidun Esfandiari. Quest’ultimo (il cui nome originario era la traduzione in Farsi, di quello del Salvatore dell’ Avesta, Thraetona) aveva fatto modificare all’ anagrafe il proprio nome e cognome in FM-2030, anno in cui, secondo i transumanisti, sarebbero state curate certe malattie, come quella al pancreas di cui egli sarebbe morto dopo poco, e, contestualmente, s’ era fatto ibernare. Ebbene, anche Musk, oltre a fare ricosto alla gestazione surrogata, ha chiamato il proprio figlio “X Æ xii” (quasi fosse un nuovo modello di macchina).
La battaglia politica che, fino ad oggi, si era svolta essenzialmente all’ interno dei “parametri utopico-liberali” di Ursina (anche la Democrazia Cristiana, e perfino il Fascismo, erano a loro modo stregati dal mito del Progresso), oggi lo spazio concettuale entro cui si combatte per l’egemonia politica mondiale è sostanzialmente “conservatore” (dall’interpretazione delle varie religioni e tradizioni nazionali a quella del mito moderno del Superuomo, fino ai critici moderni della Modernità: Ricci, Ibn Khaldun, Nietzsche, Dostojevskij, Huxley, Dumont, Teilhard de Chardin, Burgess, Compagnon).
Come scrive sempre Orsina, “l’ordine utopico-liberale non abbia saputo mantenere le sue promesse e … il suo fallimento ne abbia fatto emergere chiaramente i consistenti tratti di disumanità, l’affidarsi a un esistente essere umano e astratto. Disincantato, decontestualizzato, perfettamente morale e perfettamente razionale”. In sostanza, si è compiuta la Dialettica dell’ Illuminismo descritta da Horkheimer e Adorno.
E’ all’ interno di quest’ ampio spazio politico e culturale (l’unico rimasto oggi relativamente vivo al di fuori del postumanesimo) che si può, e si deve, ora, lanciare una battaglia sulla preservazione dell’ Umano, sulla libertà minacciata, sulla pace nel mondo, sul ruolo delle classi sociali, dei popoli e dei Continenti…). Se necessario, contro tanti falsi “conservatori” che operano come apripista per la Singularity Tecnologica e per il “Governo degli Algoritmi”. Tale critica al progetto post-umanista non dev’essere preconcetta, bensì partire dalle sue (per quanto discutibili) radici storiche :ilMistero dell’ Incarnazione, l’“Antiquatezza dell’Uomo”, il mito dell’ Eterno Ritorno...
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“Un giorno, a Mirafiori torneranno a crescere i fiori”
(Edoardo Agnelli)
Gli attuali scontri e polemiche intorno all’eredità degli Agnelli e alla crisi di Stellantis, per quanto di per se stessi rilevantissimi e interessanti, costituiscono soprattutto un’ottima occasione per riflettere sui rapporti fra cultura e tecnica. In effetti, la FIAT ha avuto un ruolo così centrale nella configurazione di Torino e dell’Italia, che la sua vera e propria sparizione non può non lasciare perplessi circa molte delle “Grandi Narrazioni” in cui siamo vissuti immersi: quella del Progresso, quella dell’industrialismo, quelle del Capitalismo e del Socialismo, quella dell’Imprenditore, quella della classe operaia, quella della società opulenta.
Ma prima occorre ripercorrere i momenti salienti della storia di Torino e della FIAT, nonché dell’ attuale crisi dell’ industria automobilistica in Europa, ai quali questo post è dedicato, riservandoci di svolgere in altra sede le nostre considerazioni più generali sui temi di cui sopra.
1.Duemilacinquecento anni di storia di Torino (cfr. il nostro “Intorno alle Alpi Occidentali/Autour des Alpes Occidentales”).
Nonostante che Torino sia oramai identificata, nei luoghi comuni, con l’industria automobilistica, in realtà la nostra “parentesi FIAT” è durata non più di un secolo, mentre le tradizioni millenarie della città sono soprattutto militari (Giulio Cesare, Emanuele Filiberto, Eugenio di Savoia, Vittorio Emanuele II), religiose (Claudio di Torino, i Valdesi, Don Bosco, Papa Bergoglio) e culturali (Alfieri, Nietzsche, Michels, Gramsci, Gobetti, Einaudi,Olivetti, Galimberti, Pavese, Del Noce). Anche senza la FIAT, Torino sarebbe quindi rimasta una grande città europea.
Già nel III secolo a.C. era presente nell’area torinese un grande villaggio, probabilmente collocato alla confluenza dei fiumi Po e Dora, che si sarebbe chiamato Taurasia (o, per altre fonti, Taurinia), che, nel 218 a.C., fu distrutto da Annibale.
Nel 58 a.C. Cesare, allora proconsole, fece insediare nell’area un accampamento militare, come posizione strategica per la via delle Gallie, per poi ampliarlo nel 44 a.C. (anno della sua morte) a una prima colonia, chiamata Iulia Taurinorum, inaugurandolo con un sacrificio i cui resti sono ancora conservati (ma, chissà perché, non esposti) dal Museo Archeologico. Tuttavia, la definitiva fondazione della città avvenne grazie al suo figlio adottivo Ottaviano Augusto, primo imperatore romano, che, intorno al 28 a.C., vi dedusse una seconda colonia, ”), col nome di Augusta Taurinorum, il cui impianto urbano a castrum sarà quello che ancora adesso è rilevabile nella parte antica della città (il “Quadrilatero Romano”).
Intorno all’800, il vescovo Claudio di Torino sostiene tesi iconoclastiche.Dal 1280 al 1418, Torino fa parte dei feudi degli Acaia. Nel 1404: Ludovico di Savoia-Acaia promuove la formazione di un centro di insegnamento superiore, su sollecitazione di alcuni “magistri” fuggiti dalle sedi universitarie di Pavia e Piacenza. Nel 1506, Erasmo da Rotterdam consegue a Torino la laurea in Teologia.
Nel 1562, Emanuele Filiberto, vittorioso a San Quintino, trasferisce a Torino la capitale e dichiara l’Italiano lingua ufficiale nei feudi orientali del Ducato di Savoia.
Nel 1706, Torino sfugge, con l’apporto del Principe Eugenio, all’ assedio dei Francesi, e viene a fare parte del Regno di Sardegna (la cui capitale resta però Sassari, mentre la corte risiede a Torino, almeno fino alla conquista francese).
Nel 1800, Torino viene annessa all’ Impero Napoleonico.
Nel 1821, ufficiali piemontesi ribelli diedero inizio a un’insurrezione issando la bandiera tricolore per la prima volta nella storia risorgimentale presso la cittadella di Alessandria, insieme a quella carbonara, seguiti subito dopo dai presidi di Vercelli e Torino. In quell’occasione fu emesso da parte dei generali insorti il famoso Pronunciamento, un proclama con il quale si decise l’adozione di una Costituzione, improntata su quella spagnola di Cadice del 1812
Il nuovo sovrano Carlo Felice revocò la Costituzione.
Nel 1854,il Regno partecipa alla Guerra di Crimea
Nel 1859: Seconda Guerra d’indipendenza, e,nel 1861, Torino diviene capitale del Regno d’Italia
Nel 1862, Luserna di Rorà diventa sindaco di Torino. Durante il suo mandato, la città perde il ruolo di capitale, che nel 1864viene assegnato a Firenze. La notizia provoca accese proteste, che sfociano in una manifestazione in Piazza San Carlo, davanti alla sede della Prefettura, che vengono represse nel sangue, con ben 52 morti fra la popolazione civile.Per la città inizia un periodo difficile,paragonabile agli anni che stiamo vivendo ora, per una perdita, non soltanto di prestigio, ma anche di posti di lavoro: solo nel primo anno, Torino perde 32.000 dei suoi 224.000 abitanti.
Luserna di Rorà rifiuta l’indennizzo offerto dal governo italiano, e avvia un intenso programma di industrializzazione che sarà seguito anche dai suoi successori, e contribuirà a portare Torino all’avanguardia dell’industria italiana (cfr. Albina Malerba, Gustavo Mola di Nomaglio, Roberto Sandri-Giachino ,a cura di, Prove di Risorgimento su uno scenario europeo. Emanuele Luserna di Rorà. La famiglia e il suo tempo da Bene Vagienna a Torino all’Italia, Centro Studi Piemontesi, Torino 2008),
1866: Terza Guerra d’Indipendenza
1888: Nietzsche a Torino scrive “L’Anticristo”, “Il crepuscolo degli idoli” ed “Ecce Homo” .Sempre a Torino, il 3 gennaio 1889 avviene il suo crollo mentale: mentre si trova nei pressi del suo alloggio in piazza Carignano, vedendo un cavallo che traina una carrozza fustigato a sangue dal cocchiere, abbraccia l’animale, piangendo e baciandolo.
Il 9 gennaio 1889, l’amico Franz Overbeck, allarmato dai contenuti delle ultime lettere e preoccupato per il suo crollo psichico, lo porta in treno a Basilea.
2.Momenti salienti della storia della FIAT
La Fiat era divenuta, nel corso del XX Secolo, non solo il maggior gruppo economico italiano, ma anche il simbolo delle civiltà industriale. Per questo, la sua vera e propria scomparsa costituisce oggi un presagio del superamento della società industriale e delle sue mitologie.
Viene fondata a Torino l’11 luglio 1899 (sei mesi dopo la pazzia di Nietzsche), in un periodo di vivace espansione industriale della città. Il primo stabilimento viene inaugurato nel 1900 in Corso Dante; vi lavorano 35 operai e vi si producono24 autovetture. Il presidente della società è Ludovico Scarfiotti, mentre Giovanni Agnelli è segretario del Consiglio. Giovanni Agnelli nel 1902 diviene amministratore delegato. Dal 1903 la Fiat viene quotata in borsa e sorgono nuove società con funzioni specifiche: Società Carrozzeria industriale, Fiat Brevetti, S.A. Garages Riuniti Fiat-Alberti-Storero. Gli stabilimenti Fiat, accanto alle auto per uso civile e per competizione, producono veicoli industriali, motori marini, autocarri, tram, taxi, cuscinetti a sfera. Il 23 giugno 1908 Giovanni Agnelli divenuto dal 1906, a seguito di un aumento di capitale, azionista di maggioranza della Fiat, venne denunciato dal questore di Torino per “illecita coalizione, aggiotaggio in borsa e falsi in bilancio”. Nel 1913, Agnelli sarà assolto.
Nel 1911: Guerra italo-turca.
1915: Prima Guerra Mondiale. Inizio della progettazione dello Stabilimento del Lingotto.
Con lo scoppio della guerra, grande sviluppo ha la produzione di camion militari, di aerei, di autoambulanze, di mitragliatrici e di motori per sommergibili. La FIAT crea a Mosca la FIAT-Izhorski, che fornisce carri armati allo Stato russo, prima impero, poi Repubblica sovietica, oltre ad altri diversi eserciti europei.
La fabbrica del Lingotto, la più grande d’Europa, diventerà rapidamente il simbolo dell’industria automobilistica italiana, un modello di architettura futuristica e una delle immagini più note della stessa città di Torino.In quegli anni, la Fiat amplia le proprie attività nel settore siderurgico e ferroviario, in quello elettrico e nel campo delle linee di trasporto pubblico
Alla Grande Guerra segue un decennio di estrema complessità e di profonde trasformazioni. Ne viene coinvolta anche la Fiat, le cui fabbriche vengono occupate dagli operai nel settembre 1920 (il “Biennio Rosso”). Nel novembre dello stesso anno Giovanni Agnelli diviene presidente del consiglio di amministrazione. Nel1922: Marcia su Roma
Nel 1923, entra in funzione il nuovo stabilimento del Lingotto.Fiat dà vita alla SAVA, società di credito al consumo, con lo scopo di favorire la vendita rateale delle automobili. Cresce la partecipazione a società italiane e straniere e nasce l’IFI (Istituto Finanziario Industriale) per coordinarne la fitta rete. Nel 1924 incominciano ad operare gli impianti di Mosca per la costruzione di automobili e di camion su licenza Fiat. Per conto delle Ferrovie dello Stato viene organizzata, per la prima volta al mondo, la costruzione in serie di automotrici elettriche e diesel. Nel 1928, Vittorio Valletta è nominato direttore generale.
Nel 1934 viene progettata una vettura di piccola cilindrata: la 508 chiamata “Balilla”. Ne saranno prodotte 113.000 unità, con una versione sportiva (508 S) ed una a quattro marce (71.000 unità).
Nel 1936, esce la Fiat 500 “Topolino”, disegnata da Dante Giacosa: da quell’anno al 1955 se ne produrranno 510.000 esemplari. A conferma dell’orientamento verso la produzione di massa, nel 1937 iniziano a Torino i lavori per la costruzione dello stabilimento di Mirafiori. Inaugurato da Mussolini il 15 maggio 1939, ospita 22.000 operai su due turni, i dipendenti Fiat in quegli anni sono circa 55.000. Nel 1945 muore il senatore Giovanni Agnelli e nel luglio del ’46 Vittorio Valletta assume la presidenza della Fiat. I finanziamenti del piano Marshall nel 1948 consentono di completare la ricostruzione degli impianti. Il personale passa da 55.674 a 66.365, gli utili, stazionari nel corso della guerra, azzerati dopo il 1943, e in perdita nel 1946, ricominceranno a crescere nel 1948. La ripresa produttiva postbellica vede l’uscita della Fiat 500 B berlinetta e giardinetta, dei modelli 1100E e 1500E, e di una vettura a carrozzeria portante, la Fiat 1400. Continua la ricerca nel campo dei motori marini e aerei, e nel 1951 è prodotto dalla Sezione Velivoli il primo velivolo militare italiano a reazione : il G 80. Nel 1956, il G 91 di Fiat, progettato dal team dell’ Ingegner Gabrielli vince un concorso NATO per la produzione di un caccia tattico.
Nel 1955 è presentata la Fiat 600, utilitaria di cui saranno costruite oltre 4.000.000 di unità. Segue due anni dopo, la Nuova 500 che raggiungerà i 3.678.000 esemplari. Il numero complessivo dei dipendenti passa in questo decennio dai 70 agli 80.000, la produzione passa dalle 70.800 autovetture del 1949 alle 339.300 del 1958.
Tra il 1956 e il 1958, si conclude il raddoppio degli stabilimenti di Mirafiori, che alla fine degli anni 60 arriverà a toccare la cifra di oltre 50 mila lavoratori. Si sviluppa la produzione di trattori agricoli e di macchine movimento terra. Nascono nuovi stabilimenti in Sudafrica, Turchia e Jugoslavia, Argentina e Messico. Le attività di impianti e costruzioni edili di Fiat coordinate dalla Impresit conoscono un forte sviluppo internazionale: l’impianto elettrico di Kariba sullo Zambesi, la diga di Dez in Iran e quella di Roiseires sul Nilo blu in Sudan, il salvataggio dei tempi egizi di Abu Simbel, la galleria autostradale del Gran San Bernardo.
Nel decennio compreso tra il 1959 e il 1968 la produzione Fiat passa da 425.000 a 1.751.400 autovetture, e il rapporto tra numero di abitanti e numero di autovetture passa da 96 a 28 abitanti per ogni auto. Anche le esportazioni conoscono una forte crescita: da 207.049 autovetture a 521.534 Aumentano inoltre la produzione di veicoli commerciali, da 18.968 a 68.200, e quella di trattori, da 22.637 a 52.735. Il personale raddoppia: da 85.117 dipendenti, passa a 158.445, con un incremento più accentuato degli operai rispetto agli impiegati.
Nel 1964 nasce la Fiat 850, nuova utilitaria di vasta diffusione cui seguono ben presto altri modelli di cilindrata superiore: la 124 e la 125 che assumeranno nel 1968 il marchio Fiat a rombi, ancora oggi utilizzato. 1966: Costruzione di Togliattigrad, la città-fabbrica in URSS. Nel 1966, Giovanni Agnelli, nipote del fondatore, diviene presidente della Società.
Viene deciso il potenziamento della presenza Fiat nel Sud, che già si era articolata attorno agli impianti di Reggio Calabria, Bari, Napoli. Si avvia così la realizzazione degli stabilimenti di Termini Imerese, Cassino e Termoli, per la produzione di autovetture, e di Sulmona, Lecce, Brindisi e Vasto. Al boom economico fa seguito un lungo periodo di assestamenti sociali: il 1969 è l’anno in cui la conflittualità aziendale raggiunge il culmine, con un totale di 15 milioni di ore di sciopero. L’ondata di conflittualità ha pesanti ripercussioni sui livelli di redditività aziendale.
Nasce nel 1971 la 127, la prima Fiat a trazione anteriore. La vettura incontra molto successo di mercato e alla fine del 1974 sarà prodotta la milionesima 127. Crisi petrolifera e innovazione tecnologica spingono verso una crescente automazione dei processi produttivi: già nel 1972 entrano in funzione a Mirafiori i primi 16 robot nella linea di produzione del modello 132, e nel 1974 quelli di Cassino. Nel 1978 nasce “Robogate”, il nuovo sistema robotizzato e flessibile di assemblaggio delle scocche, attivo negli stabilimenti di Rivalta e di Cassino, realizzato da Comau che diventerà ben presto leader mondiale
Nel 1978 avviene la fusione per incorporazione della Lancia Spa in Fiat Spa, rimane il marchio Lancia per la commercializzazione. Nel 1979, il settore Auto si costituisce in società autonoma di cui Giovanni Agnelli è presidente e comprende i marchi Fiat, Lancia, Autobianchi, Abarth e Ferrari. Il marchio Ferrari era già stato acquisito nel 1969 al 50%, quota che salirà poi all’87%.
Alla fine degli anni ’70, Fiat si consolida in una struttura a holding. Le molteplici attività produttive, che nel lungo periodo di Valletta erano distribuite in sezioni, costituiscono società autonome che si ripartiscono in Settori. Nel 1980, Cesare Romiti, entrato alla Fiat come direttore finanziario nel 1974, diviene amministratore delegato del Gruppo. Grandissimo sviluppo conoscono in questo periodo sia la Fiat Ferroviaria che l’Iveco. Fiat Ferroviaria progetta avanzate tecnologie con carrelli a ruote indipendenti e ad assetto variabile che porteranno alla produzione del Pendolino, treno ad alta velocità con cui si aggiudicherà importanti commesse in molte nazioni europee. Iveco diventa il marchio internazionale in cui confluiscono le attività di produzione dei veicoli industriali. Il marchio Iveco comprende Fiat, Om, Lancia, Magiruz, Unic e lo spagnolo Pegaso dal 1991.
Nel1980, “Marcia dei 40000” contro il predominio dei sindacati
Nel 1983 viene presentata la Uno. Ne saranno prodotte 6.272.796 unità. L’anno seguente la Fiat Auto Spa acquisisce l’Alfa Romeo Spa e le sue consociate, mentre nel 1993, con il prestigioso marchio Maserati, ai raggiunge l’attuale composizione dei marchi auto. Continuano a crescere gli accordi internazionali per la produzione su licenza Fiat e le partecipazioni societarie, sviluppando in modo particolare le attività industriali nel campo delle telecomunicazioni e le attività industriali nella componentistica. In quest’area, attraverso un programma di acquisizioni e scorpori, viene data attuazione ad un nuovo assetto organizzativo che porta Magneti Marelli ad assumere nel 1987, attraverso UFIMA, il ruolo di holding industriale con funzioni di governo e controllo di oltre 60 imprese in tutto il mondo. Con la diffusione dell’elettronica, la componentistica viene o a giocare un ruolo determinante nello sviluppo del mezzo di trasporto privato. Nel 1991 inizia la costruzione di nuovi stabilimenti a Pratola Serra e a Melfi. Il Gruppo Fiat affronta la crisi dei primi anni ’90 con l’ampliamento della presenza internazionale che le consente di realizzare più del 60% del fatturato fuori Italia.
Con l’acquisizione, nel 1991, delle attività trattoristiche ed agricole della Ford Motor Co, il settore delle macchine di movimento terra si internazionalizza assumendo il marchio New Holland. Nel 1993 si accorda con la Hitachi Co Machinery Ltd ed estende le joint venture esistenti, giungendo così ad essere uno dei principali produttori mondiali con circa il 20% della produzione globale. Iveco stabilisce joint venture e attività produttive in India e in Cina per la produzione dei veicoli leggeri Daily. Il 28 febbraio 1996, Cesare Romiti subentra come presidente, funzione che svolgerà fino al 1998, quando gli succederà l’avvocato Paolo Fresco. Paolo Cantarella viene nominato amministratore delegato. L’auto innovativa di questi anni è la Fiat Punto
A partire dal settembre 1997, la Capogruppo lascia corso Marconi per trasferirsi nella storica palazzina Fiat del Lingotto, nel comprensorio che nel frattempo si è trasformato in centro fieristico e congressuale. Gli stabilimenti in Brasile e in Argentina vengono ampliati, viene lanciata la Palio, una world car studiata per adattarsi a usi diversi e molteplici mercati. Ben presto Fiat diviene il maggior produttore in Brasile, Argentina, Polonia e Turchia.
In quel momento, quando la FIAT era un gruppo multidivisionale e multiprodotto di primaria importanza a livello mondiale, incomincia però un’opera di smantellamento dello stesso, assai più avanzata di quelli comunque in corso negli stessi anni nell’ industria europea a causa della posizione subordinata dell’ Europa sullo scenario geopolitico.
3.Lo smantellamento del Gruppo FIAT
Fra le due guerre mondiali, il motto della FIAT era stato, in coerenza con la politica imperialistica dell’ epoca: “terra, mare, cielo”.
Nel dopoguerra, anche in seguito a contatti riservati fra la direzione aziendale e il Governo americano, si operò con un profilo più dimesso, preparando perfino il terreno, con dismissioni come SIMCA, RIV e Sezione Velivoli, ad un’opposta politica di ridimensionamento del gruppo.
Nel 1985, una disputa con Ford sul controllo azionario, al quale questa non vuole rinunciare, offre a Cesare Romiti ottimi argomenti per convincere l’avvocato alla rinuncia ad un previsto accordo.
Una storia destinata a ripetersi nel 2000 quando l’offerta della Daimler Chrysler per l’acquisto di una Fiat Auto già minata da una crisi che sarebbe esplosa in tutta la sua gravità solo pochi mesi più tardi, viene sdegnosamente rifiutata. ll costruttore tedesco è pronto a conferire alla holding torinese il 12% delle azioni.
Nel 2000, Accordo con la General Motors, che si tramuterà in una vittoria del Gruppo nel 2005 grazie ad un’abile gestione del contratto da parte di Sergio Marchionne.
2002.Cessione della Fiat Ferroviaria
2003 Morte dell’ Avvocato Agnelli
2007 Accordo FIAT-Chrysler
L’intesa iniziale prevede la possibilità per Fiat di acquistare una quota del 35% di Chrysler, accompagnata da un’opzione per prendere il controllo della società, ed arrivare cosi a detenere il 55% in un momento successivo.
2009-2014: creazione della FCA. La sede di FIAT Auto è spostata in Olanda e i suoi centri direzionali divengono Londra e Dearborn.
2004: Vendita della FIAT Avio al fondo Carlyle.
2012: Morte di Marchionne
2014: Estinzione di FIAT spa
2015 Dalla fusione fra FCA e, nasce Stellantis, a trazione francese.La sede operativa viene trasferita a Parigi e l’Amminstratore Delegato è Tavares.
2019: Cessione della Magneti Marelli
2022: Operazione Militare Speciale. Cessione da Stellantis allo Stato russo dello stabilimento di Togliattigrad
2024: Chiusura della Maserati e cessione di Magirus (parte del gruppo IVECO)
4.Gli ultimi sviluppi
Nell’ambito della causa fra Margherita Agnelli e il figlio Alain Elkann, i difensori di Margherita hanno affermato che il ruolo di Presidente della Stellantis (e il controllo della Exor) potrebbe essere sottratto a John Elkann, per effetto dell’azione penale promossa dallo Stato. Queste parole sono contenute in una lettera dell’avvocato Dario Trevisan, legale di fiducia di Margherita Agnelli.
Al centro delle critiche di Trevisan e della sua assistita, c’è soprattutto Dicembre, società che controlla Exor e quindi Stellantis, Ferrari e Juventus. L’avvocato di John, Clark, sostiene che il controllo della Dicembre sarebbe “blindato” grazie a un atto notarile, firmato allo studio Grande Stevens il 24 marzo 1999, in cui si legge rebbe: “Qualora il signor Giovanni Agnelli mancasse o per qualsiasi ragione fosse impedito, l’amministrazione nella sua identica posizione con gli stessi poteri e prerogative sarà assunta dal signor John Philip Elkann”».
2024 Sequestro da 74,8 milioni per frode fiscale ai fratelli Elkann. Nel settembre 2024,la Procura di Torino, dopo un sopralluogo nelle case degli Elkann e nell’ufficio del commercialista Ferrero, ha emesso un provvedimento di sequestro nei confronti di John, Lapo e Ginevra Elkann Eredità Agnelli, sequestro da 74,8 milioni per frode fiscale ai fratelli Elkann. La difesa: «Ricostruzioni non condivisibili»
La Procura di Torino emette il provvedimento nei confronti di John, Lapo e Ginevra. Trovato memorandum per eludere il fisco: Irpef evasa per 42,8 mln
La presenza di un unico produttore su tutto il territorio nazionale aveva a rappresentato per mezzo secolo un’eccezione rispetto ad altri Paesi, come Germania e Francia, dove coesistono più gruppi. Tale anomalia è da ricondurre naturalmente al ruolo non solo industriale, ma anche e soprattutto politico che la Fiat aveva avuto in questo Paese. L’indotto che si è sviluppato intorno ai siti ex-Fiat è di conseguenza fortemente integrato con la produzione di questi stabilimenti, arrivando in molti casi a lavorare in monocommittenza per il gruppo italo-francese. Diventa quindi evidente che le dismissioni innescate da Stellantis non si fermano ai muri degli impianti della multinazionale, ma il loro impatto ha dei risvolti negativi per le tutte aziende che producono componentistica.
Lo stabilimento di Mirafiori è al suo diciassettesimo anno consecutivo di cassa integrazione, mentre a Pomigliano d’Arco la cassa integrazione durata quindici anni si è conclusa solo a inizio 2024, ma senza certezza alcuna per i prossimi modelli allocati.
Il crollo nella produzione di autovetture rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, -23,8%. A questo calo contribuiscono tutti gli stabilimenti di assemblaggio di auto, fatta eccezione per Pomigliano d’Arco, mentre Mirafiori e Melfi hanno dimezzato la produzione e Cassino registra un -40%.
Che esista un trend di delocalizzazione verso l’est Europa non è una novità: gli stabilimenti in Polonia e in Serbia sono in diretta competizione con i siti italiani per l’allocazione dei modelli produttivi ormai da tempo. Sia lo stabilimento di Tychy che quello di Gliwice si trovano nella Zona Economica Speciale (ZES) di Katowice, che avrebbe dovuto avere un carattere temporaneo, ma invece continua ad esistere. Gli sgravi fiscali, uniti ad un costo del lavoro molto più esiguo – in Polonia un operaio Stellantis guadagna intorno gli €800 al mese – rendono particolarmente attrattivi questi due siti industriali. Si è molto parlato anche del caso di Kragujevac, lo stabilimento serbo dove è attualmente in produzione la 500L e dove è stata assegnata la nuova ‘Pandina’ elettrica, grazie a €190 milioni di investimenti di cui €48 messi dal governo serbo. Anche qui, oltre al contributo pubblico negli investimenti, va notato che un operaio serbo guadagna circa €600 al mese.
La vera novità sembrerebbe rappresentata dal nuovo impulso di investimenti verso il Nord-Africa, nell’ottica di un’espansione nel mercato della regione. Nonostante i volumi dei siti in Algeria e in Marocco non siano ancora sostitutivi rispetto alle produzioni in Italia, gli investimenti sono stati ingenti, coerentemente con una politica di sfrenata compressione dei costi: lo stipendio medio di un operaio Stellantis in Marocco si aggira sui €320 al mese, mentre in Algeria €250 al mese. In Marocco, nella fabbrica di Kenitra, dove attualmente si produce la nuova Fiat Topolino e che in futuro vedrà la produzione della Fiat Multipla, Stellantis ha avviato €300 milioni di investimenti per allargare lo stabilimento con l’obiettivo di raddoppiare la capacità produttiva. Nello stabilimento algerino di Orano, aperto a fine 2023, si produce invece la Fiat 500 Hybrid, e sono stati di recente annunciati €200 milioni di investimenti.(cfr. Report Fim Cisl su dati produzione e occupazione 1° trimestre 2024, 5 aprile 2024. https://www.cisl.it/wp-content/uploads/2024/04/Stellantis-FIM-CISL-Report-produzione-I%C2%B0-Trimestre-2024).
5.La crisi della Volkswagen
Purtroppo, la crisi dell’ auto in Europa non è limitata, né alla FIAT, né al Gruppo Stellantis. Anche la VW, uno dei gruppi più forti del mondo, è in mezzo alla tempesta. I risultati economici sono deludenti, a causa del l’insieme della situazione geopolitica dell’ Europa: aumento del costo dell’ energia a causa delle guerre in corso; inflazione mondiale; blocco degli intercambi con i mercati più promettenti (Cina e Russia), su cui la Germania di Angela Merkel aveva scommesso, inadeguata programmazione delle transizioni ecologica e digitale, su cui la UE a traino tedesco aveva fortemente, ma maldestramente, puntato…
E’ in discussione non solo l’industria manifatturiera, bensì l’intero “Modell Deutschland”, di cui la Volkswagen, con la VW-Gesetz, costituiva la punta di diamante.(video”Stimmung äußerst eisig”, Annette Deutskens, NDR, zu den Tarifverhandlungen bei VW
Con o senza dazi, queste auto si faranno strada sulle strade europee perché il forte sostegno del governo centrale consente loro di proporre continuamente prodotti “freschi”.
Ma non tutto è perfetto neanche per questi marchi.L’immagine della Cina e dei suoi prodotti è ancora un problema in Europa e soprattutto negli Stati Uniti. Dopo aver prodotto per molti anni copie di bassa qualità di prodotti occidentali, i produttori cinesi stanno ora cercando di accaparrarsi una fetta dei mercati occidentali con prodotti di alta qualità. Tuttavia, molti consumatori sono ancora riluttanti perché associano la Cina alla bassa qualità.
I marchi provenienti dalla Cina sono così tanti che è impossibile fare un bilancio complessivo. Mentre alcuni puntano sul proprio know-how per esportare le loro auto (BYD è uno di questi), altri nascondono la loro vera identità creando nuovi marchi esclusivamente per i mercati occidentali.
Una di queste è DR Automobiles e i suoi sottomarchi EVO, Tiger, ICH-X e Sportequipe. I loro prodotti non sono diversi dai modelli di Chery, BAIC e JAC,tuttavia, per la maggior parte del pubblico si tratta di auto italiane o comunque non cinesi. L’operazione di “rebadge” consente a questi marchi cinesi di evitare problemi di percezione negativa e di guadagnare più facilmente terreno in mercati come l’Italia e la Spagna. Nel 2023, i marchi di DR Automobiles hanno immatricolato più di 34.000 unità, principalmente in Italia e Spagna. Nel 2023, era il secondo produttore cinese in Europa, dietro solo a MG. Quest’ultimo è un altro esempio di come la Cina si nasconda utilizzando un marchio occidentale. Sebbene sia nato 100 anni come marchio britannico fa, MG, acquisito nel 2007 dalla cinese SAIC, è stato interamente progettato, prodotto e pianificato in Cina.
L’anno scorso, questo marchio ha venduto 840.000 nuovi veicoli a livello globale, di cui 248.000 unità sono state immatricolate in Europa. È di gran lunga il marchio cinese più venduto nella regione e rappresenta circa il 70% di tutte le auto cinesi vendute in Europa. Paradossalmente, MG è estremamente impopolare in Cina, perché, in un periodo di forte nazionalismo, è considerato un marchio straniero.
Recentemente, la Cirelli Motor Company ha iniziato a vendere auto in Italia ribattezzando veicoli Dongfeng, BAIC, Seres e FAW. Nel primo trimestre di quest’anno sono state immatricolate in Italia 25 unità.EMC, che sta per Eurasia Motor Company, offre due SUV di Geely e Chery e un’utilitaria di Yudo. Poi c’è Elaris, che ribattezza prodotti di Hycan, AION e Skywell.Infine, altrte case automobilistiche, come Chery, hanno appena creato i propri marchi per i mercati esteri. Jaecoo e Omoda sono due di questi i. Omoda, ad esempio, fino a marzo ha registrato 330 unità del suo primo SUV in Europa. Lynk & Co è un altro marchio dal nome inglese. Questa strategia funzionerà?
NUMERO DI AUTO VENDUTE IN EUROPA CON I NUOVI MARCHI CINESI
Lo diceva la rivista online POLITICO October 31, 2024 :”It doesn’t matter if Trump or Harris win. Europe has already lost.”di Nicholas Vinocur
Secondo quell’Autore, il momento del massimo splendore dei rapporti transatlantici (“Peak America”), era stato raggiunto il June 6, 1994, con la celebrazione dei 50 anni dello Sbarco in Normandia.
1L’età dell’oro dell’ egemonia americana
A quell’ epoca, l’egemonia “culturale” degli USA era incontrovertibile nello sport, nell’entertainment (“EuroDisney — a sort of American colony”); i giornali americani erano fortemente presenti in Europa. Oggi, invecve, gli USA hanno ridimensionato la loro presenza i Europa, salvo che nel settore digitale (per altro intimidito dalla legislazione europea), e le truppe americane nel nostro Continente sono state ridotte da 450.000 a meno di 100.000.
L’inizio di questo disinteresse americano coincise con la presidenza di Barack Obama e con il suo “Pivot to Asia”.
Secondo Ben Hodges, ex comandante americano in Europa, il costo di mantenere tanti soldati ha generato vantaggi proporzionali: “It was always mystifying to me that people didn’t see what a huge advantage we have with our leadership inside NATO and our relationship with European countries,”
2. Senza gli Stati Uniti, l’Europa sarà persa, oppure sarà salvata?
La Commissione si sta preparando a un ridimensionamento dell’ impegno americano, ma è divisa quanto alla configurazione dell’ “autonomia strategica europea” .
L’ex Primo ministro finlandese Niniisto ha presentato un rapporto dettagliato sullo stato di preparazione bellica e per la difesa civile L’ Europa non è preparata ad una guerra mondiale, per cui il primo compito sarebbe quello di spiegare ai cittadini europei come sopravvivere nelle prime 72 ore del conflitto. Qualcosa che la Svezia stava facendo 5o anni fa, con la diffusione capillare degli opuscoli “Om kriget komer” (“se viene la guerra”) e “Inte samarbejde”(“non collaborare”). E’ grottesco che vengano riproposte soluzioni così invecchiate, senza tener conto del mutato scenario tecnologico e geopolitico. La “military preparedness” (EU Preparedness Law) è divenuto un termine corrente nel linguaggio brussellese.stiamo programmando, con folle ritardo e senza un piano concreto, un’economia di guerra.
3.Autonomia strategica e autonomia culturale
Nicolas Tenzer ha scritto:“Without the United States, Europe is lost
In realtà, l’Europa che “è già perduta” sono gli “Stati Uniti d’ Europa”, cioè il progetto di fare, dell’ Europa, un clone degli Stati Uniti, a questi ultimi subordinato. Al momento del dunque, quando gli USA stanno considerando di usare veramente il loro inaudito arsenale culturale, sociale, tecnologoco, poliziesco, politico, accumulato, per imporre l’accettazione, da parte di tutto il mondo, del Modello Incompiuto della Modernità, non tutti sembrano accettare a scatola chiusa questa decisione, né di qua, né di là dell’ Atlantico.
Come avevano illustrato alcuni Autori, come Simone Weil, Pierre drieu la Rochelle e Pietro Barcellona, l’Europa rappresenta oggi, dal punto di vista culturale, il Katechon di paolina memoria, quella forza che trattiene il mondo dall’Apocalisse (rappresentata dal chiliasmo americano). Essa ha combattuto da secoli contro l’ansia millenaristica della “Dissidence of Dissent” (Huntington), per esempio con le critiche di Sant’Agostino al manicheismo, con le prediche di Lutero contro gli Anabattisti, con la dissertazione di Rousseau per l’accademia di Digione, con “Les Soirées de Saint Petersbourg” di De Maistre, con “La crise de la modernité” di Guénon e la “Rivolta contro il mondo moderno” di Evola, con le opere di Dostojevskij, Soloviov, Leontijev, Trubeckoj , Gumilev, Solzhenitsin.
L’Europa costituisce così l’unica vera alternativa al Progetto della Modernità, ed è per questo che, da quando gli USA hanno l’egemonia mondiale, si fa di tutto per sminuirla: finanziando gli “opposti estremismi”; liquidando le imprese come l’ Eni e l’ Olivetti, che avrebbero potuto contestarne la primazia; ricoprendola di basi militari e di testate nucleari che la espongono a rappresaglie russe; obbligandola a guerre intestine e a sanzionare mezzo mondo…
Non ostante tutto ciò, non è affatto detto che, nella Terza Guerra Mondiale, l’Europa starà dalla parte degli USA. Ricordiamoci che l’indipendenza degli USA fu imposta all’ Inghilterra dalla Francia vincitrice, con l’aiuto della Spagna. Similmente, non è improbabile che un’autonomia europea risulti da una nuova e diversa ripartizione delle sfere di influenza mondiali.
E’ a questo che l’Europa dev’essere preparata: ad assumere, attraverso la cultura, il controllo di quell’apparato politico, militare e tecnologico che si sta preparando con ben divere intenzioni.
Di fronte ai conflitti mortali che attanagliano l’Umanità, la disputa su Stato e Nazione ingaggiata in questi giorni con Giorgia Meloni da alcuni giornalisti, come Ezio Mauro, appare addirittura surreale.
1.Stato o nazione, una falsa alternativa
Mentre le critiche contro l’attuale premier ruotano intorno ad un’accusa di criptofascismo, l’idea della nazione che prevale sullo Stato (di cui Mauro accusa la Meloni) è esattamente il contrario della tradizionale critica fascista (mussoliniana e gentiliana) verso il nazionalismo, in quanto, per essi, non era la nazione che creava lo Stato, bensì lo Stato che creava la nazione (“Nation Building”). E, comunque, l’impero aveva oramai superato Stato e nazione, come risulta più che mai evidente oggi, quando assistiamo ad un conflitto generalizzato fra le grandi aree del mondo.
2.Un mondo dominato dai GAFAM e dalle Macchine Intelligenti
Ambedue quelle teorie sono infatti fuori tempo massimo di fronte alla realtà dei fatti di un mondo macchinico che assedia, tanto gli Stati, quanto le Nazioni, e minaccia perfino l’Europa, l’Impero americano e lo Stato-Civiltà cinese. Quando Elon Musk dialoga alla pari con Trump, Putin e Xi Jinping sulla guerra in Ucraina e sul futuro di Taiwan, rischiando di scatenare in America una nuova guerra civile. Quanto gli “spioni” di tutto il mondo, ma prima di tutto americani, hanno costituito dossiers su tutti noi, e in particolare sui nostri politici, per ricattarli e fare scattare scandali a orologeria quando non rispettino le direttive atlantiche.
Con Musk (e con gli “spioni”)possono dialogare alla pari solo la Cina e, forse, gli Stati Uniti e la Russia.I difensori di uno status quo ammantato di retorica “democratica” (è il caso di Mauro) si preoccupano del “nazionalismo democratico” di Meloni che avrebbe la colpa di tracciare i propri limiti sulla base di “tradizione”, “pratica religiosa”, “famiglia”, “identità culturale”, non già sul “patriottismo costituzionale”. Invece, non si rendono conto che, né l’uno, né l’altro, può sopravvivere in un mondo governato centralmente dai GAFAM secondo meccanismi tecnici impersonali.Né lo Stato nazionale italiano, né la “nazione” italiana, hanno neppure le risorse intellettuali per partecipare a questo dibattito. Un dibattito che, senza Ippocrate, Cartesio, Pascal, Lessing, Voltaire, Kant, Hegel, de Maistre, Kierkegaard,Dostojevskij, Nietzsche, Freud, Coudenhove Kalergi, Saint-Exupéry,Drieu La Rochelle, non può neppure iniziare.
Chi spadroneggia nel mondo è l’”Impero nascosto” americano con i suoi GAFAM, a cui possono opporsi soltanto altri imperi di pari spessore.
Seguendo due opposte, ma convergenti, scuole di pensiero, i politici di sinistra e di destra vivono invece in simbiosi con i GAFAM, ne accettano le lusinghe, delegano loro importantissime funzioni pubbliche e di sicurezza, disattendendo sistematicamente sentenze come quelle Schrems, e teorizzando addirittura questo loro comportamento, come ha fatto il garante europeo della privacy, il polacco Wewiòrowski, in base al fatto che“è meglio condividere le informazioni con chi ha gli stessi nostri valori”. Certo, la nostra privacy è in ottime mani.
Abbiamo l’impressione che gli uni e gli altri facciano deliberatamente a gara nel “parlare di altro” per distrarre l’attenzione dell’ opinione pubblica, delle Autorità e delle Forze Armate, dal vero e urgente pericolo che siamo correndo: quello di una guerra mondiale tecnologica combattuta, sul territorio europeo, dalle Macchine Intelligenti dei due blocchi, senza che l’Europa si possa difendere, ma, anzi, essendo invasa da bombe atomiche e droni assassini altrui, attirati dalle basi NATO e dalle testate nucleari che queste contengono. Peggio che ai tempi della Guerra Fredda, la cui definizione ufficiale era “coesistenza pacifica”, ed era davvero più “pacifica” dell’ attuale “Terza Guerra Mondiale”.
Da questa prospettiva non ci può salvare, né lo Stato nazionale italiano, semplice “clone” dello standard “occidentale”, né la “nazione” moderna, espressione, secondo le idee di Fichte, Herder e Mazzini, del generale moto verso il “Progresso”, che ci hanno invece portati alla “Guerra nell’ Era delle Macchine Intelligenti”. Ci vuole un’ Europa che, come l’India e la Cina, ricostruisca, in modo moderno, gli antichi Imperi in cui si erano incarnate le sue variegate tradizioni, divenendo essa stessa uno “Stato-Civiltà”, e dando così il proprio contributo, originale ma non egemonico, alla definizione del futuro del mondo.
Uno dei recenti libri più preveggenti e premonitori sull’avvenire dell’ Umanità è stato“La guerra al tempo delle macchine intelligenti” di Manuel De Landa, del 1991.
L’Autore, partendo dalla “teoria del Caos”, descrive, in modo assolutamente originale (anche se ispirato, in ultima analisi, da Eraclito), la storia umana come una storia di armi, intesa cioè come l’evoluzione, con una forma di parassitismo, delle macchine dal comportamento umano, e, in particolare, dal comportamento bellico.
Le macchine sono sempre state prioritariamente armi, dall’amigdala, all’ arco, alle armature, alle armi bianche, fino a quelle da sparo, ai veicoli, e, finalmente, alle macchine intelligenti, anch’esse nate come sottoprodotto dei finanziamenti pubblici per la Difesa (il DARPA, fondatore di DARPANET, alias Internet).
In questi ultimi 30 anni, le macchine hanno fatto progressi da gigante, incominciando a sostituirsi agli umani in molti compiti, a cominciare da quelli bellici. Con questa “Guerra Mondiale a Pezzi”,il “Phylum Macchinico” (come lo chiama De Landa) incomincia a orientare il comportamento degli umani, innanzitutto influenzando le elezioni, e, poi, guidando le strategie belliche, commerciali e finanziarie.
E’ significativo che i vertici delle società informatiche (che potrebbero essere visti come degli “ambasciatori del Phylum Macchinico”) svolgano un ruolo sempre più importante nella politica americana, e, di riflesso, riescano ad incidere in modo decisivo anche sui Paesi occidentali influenzati dalle scelte americane. Ultimi casi, la presunta corruzione dei vertici di Sogei da parte del gruppo Musk, come pure l’acquisizione, da parte di un fondo americano, della principale impresa robotica italiana.
1. l’Intelligenza Artificiale in Ucraina, Palestina e Iran
Nel frattempo, le guerre in Ucraina e nel Medio Oriente proseguono con un ampio utilizzo dell’intelligenza artificiale, e, in primo luogo, dei droni assassini, usati tra l’altro nell’ uccisione mirata di leaders politici o militari avversari (in cui eccelle Israele, ma anche Hamas ci sta tentando).
Come è oramai abbastanza chiaro a tutti, il rischio che le armi guidate dall’intelligenza artificiale sfuggano di mano è elevatissimo, anche perché esistono compiti di tecnica militare (come la programmazione e la guida di scenario, come la sorveglianza contro attacchi imprevisti, come l’antiaerea – pensiamo all’ “Iron Drome” israeliano-), che sono oggi svolti quasi esclusivamente da macchine intelligenti, il cui funzionamento, specie in condizioni di stress, non sempre è ineccepibile, così come aveva dimostrato plasticamente già nel 1983 il fallimento del sistema sovietico “OKO”.
Per questo motivo, per quanto importanti possano essere i vari settori di applicazione dell’algoretica, e le diverse discipline giuridiche che sono state escogitate per farvi fronte, nessuno di esse supera per rilevanza il settore Difesa. Anche perché, con l’abbandono della Coesistenza Pacifica e dei Trattati per il Controllo degli Armamenti, l’entrata in campo di nuovi attori, i missili ipersonici e la proliferazione nucleare, gli scenari bellici divengono sempre più indecifrabili, rendendo quasi impossibile il compito degli strateghi “umani”, come illustrato brillantemente da Eric Schmidt ai vertici dell’aeronautica militare americana.
al Circolo dei Lettori di Questo tema è stato illustrato e discusso Torino il 28 ottobre da Francesca Farruggia, dell’ Università di Roma 1 e da Ettore Greco, vice-Direttore dell’IAI.
Il risultato del dibattito è stato piuttosto sconfortante.
Innanzitutto, gli oratori hanno constatato che, purtroppo, negli ultimi decenni, la situazione del controllo degli armamenti si è deteriorata per una serie concomitante di sviluppi: il deterioramento dei rapporti fra Ovest, Est e Sud del Mondo; i conflitti armati in corso; la maggior efficienza delle armi di distruzione di massa (in particolare i missili ipersonici e i droni di tutti i tipi). Ciò ha portato all’ uscita, da parte delle grandi potenze, dalla quasi totalità dei trattati per il controllo degli armamenti. Le discussioni in corso presso le Nazioni Unite e il Consiglio d’Europa, a cui si riferisce il nostro libro “La regolamentazione internazionale dell’Intelligenza Artificiale”
2.L’esigenza di nuovi trattati internazionali sull’Intelligenza Artificiale nel settore della Difesa
Il principio basilare del controllo umano, sancito dalle scarse norme esistenti in materia, diviene sempre più evanescente di fronte a guerre nucleari che si potrebbero concludere anche solo in pochi minuti. Questo ha reso l’uso dell’ Intelligenza Artificiale inevitabile. Probabilmente, il controllo va spostato alla fase della programmazione, ma l’esito diventa sempre più aleatorio. Probabilmente, occorrerà tonare a limitazioni delle disponibilità di certi tipi di armi di distruzione di massa.
Nello stesso tempo, nonostante l’intercessione in tal senso da parte di eminenti personaggi super partes – come il PapaHenry Kissinger(poco prima della sua morte), e, infine, il Segretario generale delle Nazioni Unite, Guterres-, i negoziatori dei nuovi trattati internazionali sono lontanissimi dall’ estendere al settore Difesa (ma perfino a quello delle grandi piattaforme) gli atti normativi sull’ IA in discussione di fronte al legislatore europeo e internazionale.
Addirittura, quello che è in discussione alle Nazioni Unite sarebbe un trattato molto limitativo, limitato all’ uso bellico dei soli droni. Eppure, anche questo trattato è fermo da moltissimi anni.
In questa situazione, vi è, parallelamente alla corsa agli armamenti, anche quella all’ Intelligenza Artificiale. Ciò che è più preoccupante è il fatto che, fra i “vantaggi” dei robot, vi è anche e soprattutto quello di essere in grado di sopravvivere anche in condizioni ambientali che sarebbero esiziali per gli umani, primo fra questi, quello della guerra NBC (la “Guerra Nucleare, Batteriologica e Chimica”), il che rende sempre più realistico lo scenario della sostituzione dell’uomo con le macchine in occasione della guerra in corso, e grazie ad essa.
Infine, desta preoccupazione anche il fatto che molte delle ideologie più in voga (a cominciare dal Postumanesimo, per continuare con la “Fine della Storia”, fino ai diversi integralismi religiosi), abbiano un’origine e una matrice prettamente apocalittiche, dove l’Apocalisse, coerentemente con le sue radici zoroastriana e biblica, non costituisce un evento traumatico e isolato, bensì un processo che avvolge tutta la storia,e che è, per alcuni, positivo, e, per i più, inevitabile. Ciò restringe sempre più il ruolo riconosciuto al Libero Arbitrio, già soffocato dalle teologie protestanti, e, poi, dalle impostazioni scientistiche, secondo cui non esisterebbe la libertà umana, in quanto ogni azione sarebbe preordinata da natura, genetica, storia, economia e medicina.
3.E’un pericolo evitabile?
Certo, neppure le tesi di coloro che credono che l’umanità possa determinare, almeno parzialmente, la propria sorte, sono esenti da contraddizioni. Intanto, normalmente si tratta di scettici, che, in coerenza con le idee di Wittgenstein, Heisenberg, De Finetti e Feierabend, non credono di avere alcuna garanzia che le proprie azioni possano avere un qualsivoglia impatto sulla realtà. In secondo luogo, negando che vi sia alcuna comunicazione fra essere e dover essere, non possono fondare le proprie scelte su nulla. In terzo luogo, quand’anche essi ravvisino la radice dei comportamenti umani a elementi irrazionali, come l’istinto, l’intuito, la fede o il sentimento, non possono chiamare questo “libertà”, perché anche in questi casi gli umani sono più trascinati che non attivi.
Vi è una contradizione fra l’onnipotenza e l’onniscienza di Dio.
Forse, l’unico fondamento credibile in un mondo relativistico è costituito dall’ identità, elemento contestato fin dal suo”scopritore”, Hume, ma sempre risorgente sotto nuove forme, individuali o collettive, quale ragion d’essere misteriosa ma efficiente del comportamento di persone, gruppi e popoli. Ciò che ci spaventa delle Macchine Intelligenti è proprio che esse ci tolgono l’Identità. Se i nostri comportamenti sono sempre più conformati da meccanismi impersonali e comunque non umani, dove vanno a finire la nostra unicità, i nostri legami, le nostre tradizioni? Questa è la grande paura a cui si danno molti e contraddittori nomi: nichilismo,comunismo, relativismo, globalizzazione, capitalismo…
I più cercano di convincerci che la tecnica è “neutra”, nel senso che se ne può fare tanto un uso “buono” (per esempio, alleviare le malattie) quanto un uso “cattivo” (per esempio, bombardare). Non condividiamo questo semplicismo. La tecnica è “antiumana” per il fatto stesso che mira a sostituirci. Questo è “un bene” per coloro che da tempo predicavano la necessità di cancellare l’Umanità (i primi buddhisti, Teilhard de Chardin, forse Nietzsche), ma non lo è per coloro che credono che l’istinto di auto-conservazione (“Selbst-behauptung”) sia legittimo, e, forse, provvidenziale.
Così come ci risulta difficile comprendere come possa funzionale la libertà umana, altrettanto difficile sembra immaginare come si possa por fine a questa corsa verso l’autodistruzione. Alcuni affermano, facendo seguito, chi al determinismo marxista , chi alla teoria dello sviluppo di Rostow, che è impossibile frenare lo sviluppo tecnico, e che non resta che adeguarsi (l’”Uomo Antiquato” di Anders;l’”Anarca”di Juenger). Altri, come Heidegger, pensano che solo una Teofania (l’”Evento”) possa salvarci.
Questi dubbi filosofici spiegano forse la difficoltà di convincere l’opinione pubblica e le autorità ad impegnarsi in questa materia, tanto sul piano teorico (cercando di trovare una teoria convincente su quanto ci sta accadendo), e sul piano pratico (cercando di delineare dei percorsi per la fuoriuscita da questo pericolo).Infatti, è facile scoraggiarsi di fronte all’ enormità della sfida e alla vaghezza delle idee in proposito
Nessuno nega la difficoltà di questo compito, specie per una popolazione deresponsabilizzata da decenni di propaganda, di partitocrazia, di burocrazia, di declino economico. Eppure, se mai vi fu l’esigenza di un impegno pubblico, questo è ora. I pericoli della Bomba, del surriscaldamento atmosferico, delle migrazioni incontrollate, sono nulla in confronto al pericolo di una guerra totale accompagnata dal sopravvento delle Macchine Intelligenti.
4.La nostra campagna
Buona parte delle nostre attività ruotano intorno a questa problematica:
a)la cultura contemporanea offre strumenti per progettare il futuro?
b)Vale ancora il principio che “è meglio che vi sia qualcosa piuttosto che non vi sia nulla?”
c)Quale forza può restituire all’ Umanità ormai insterilita la motivazione a vivere e a svilupparsi?
d)Un adeguato mix di culture mondiali può supplire al nichilismo di quella occidentale?
e)In che modo trarre profitto dall’auto-affermazione del Sud del Mondo per ringiovanire il dibattito filosofico?
f)Quale apporto può fornire l’Europa a questo dibattito?
g)Come può l’Europa portare avanti questo contributo nonostante la sua debolezza geopolitica e militare?
h)Come giocano in tutto questo le lotte politiche all’ interno degli Stati Uniti?
i)I BRICS e le Nazioni Unite possono esercitare un ruolo proattivo davanti allo spadroneggiare dei GAFAM nei Paesi occidentali?
l)Quali contenuti dare ai trattati internazionali in gestazione, per colmare le intollerabili lacune in materia di Intelligenza Artificiale Militare e di predominio incontrastato dei GAFAM?
Per questo abbiamo redatto il documento di lavoro “La regolamentazione internazionale dell’ Intelligenza Artificiale” .
Invitiamo tutti a dare il loro contributo di idee e di azione.
5.”Non copiare”?(cfr.Francesco Giavazzi, Corriere della Sera)
Per quanto vari aspetti dell’ Intelligenza Artificiale che ad altri sembrano essenziali (come roboetica, transizione verde, arretratezza europea) siano messi in ombra, a nostro avviso, dall’ incombere della Terza Guerra Mondiale, purtuttavia, quest’ultima ha anche un impatto così onnipervasivo, da condizionare tutti i settori della vita umana, e, in primo luogo, la competizione economica mondiale, che anche quest’ultima, all’ alba della Singularity, non può essere descritta se non come una “guerra economica”.
Senza perderci in complesse elucubrazioni teoriche, vorremmo ricordare alcuni esempi nella storia industriale piemontese, in cui si vede che, a dispetto delle consolanti “grandi narrazioni” dell’ “establishment”, l’avanzamento tecnologico nel XX° secolo è stato strettamente legato a fattori bellici. Incominciando dal sostegno della RIV all’esercito russo zarista già nel 1912, allo “spezzatino” della SKF ordinato dall’ antitrust americano, dal ruolo determinante esercitato sullo sviluppo di Torino dal contributo della Fiat allo sforzo bellico, nella guerra italo-turca, nella 1° e nella 2° guerra mondiale, per passare ai ruoli di intelligence dell’ Ing. Olivetti e alle singolari circostanze della morte sua e del Prof.Chu, “padre” dell’ informatica Olivetti, come pure all’ importanza del militare e dell’ aerospaziale per FIAT Avio e Alenia, con collaborazioni tanto con la Russia, quanto con l’Ucraina.
La politica di privilegiare il “copiare” rispetto all’ “inventare” risale proprio alla subordinazione dell’economia italiana ai grandi gruppi internazionali, che sta dietro al delitto Matteotti, come alla cancellazione dell’ Olivetti informatica, agli accordi nel settore aerospaziale, al boicottaggio dei campioni europei, come Concorde, Auditel, Airbus, EADS…
Gli Americani, divenuti dominanti, non potevano accettare di essere secondi a un loro “alleato” in nessun campo, come si vide con l’inspiegabile ordine dato alla General Motors di comprare (per chiuderla), la Olivetti elettronica proprio mentre stava realizzando (clandestinamente, sotto la nuova governance americana), di 44000 personal computers al mercato americano.
Il timore di fare la fine di Olivetti e di Mattei ha spinto gl’imprenditori italiani verso una politica di bassissimo profilo. Ricordo un’indagine all’ interno del Gruppo FIAT, in cui i 12 Capi-Settore avevano risposto unanimemente che era meglio copiare che non inventare. Ricordo anche il grande stupore di tutti quando avevo intrapreso un’indagine simile all’ interno del Settore Componenti, basata su una raccolta di dati sulle licenze attive e passive, da cui risultava che, contrariamente ai miti correnti, le società del settore ricevano, per brevetti e know-how, più canoni di quanto ne pagassero a terzi. Evidentemente, la paura di ritorsioni aveva spinto tutti, anche coloro che la proprietà intellettuale l’avevano, a nasconderla accuratamente. Ma, come scrive Giavazzi sul Corriere della Sera, “Quando un’economia raggiunge la frontiera della tecnologia, ‘crescere per imitazione’ ,non è più possibile: bisogna innovare, saperlo fare”.
Orbene, non è che gl’Italiani non lo sappiano fare, è che gli si è impedito di farlo, e per un periodo così lungo, che essi vi si sono veramente disabituati.La frontiera della tecnologia la si era raggiunta molto tempo fa, con i primi motori a reazione e i primi computer, che si è manovrato in modo che restassero per sempre appannaggio degli USA, o, qualche volta, degli Anglosassoni in generale, sempre per mantenere l’Europa sottomessa. Pensiamo per esempio ai cacciabombardieri Tornado e Typhoon, o ai motori Safran, co-prodotti con imprese americane e inglesi con formule di “risk and revenue sharing” in cui il “lead partner” è sempre stato un’impresa anglosassone.
Ancor peggiore è la situazione nell’ informatica, in cui,60 anni dopo i primi computer Olivetti, imprese europee di dimensioni apprezzabili non ce ne sono ancora, e i Governi trattano sempre (in modo poco trasparente) con i soli GAFAM.
La soluzione suggerita da Gavazzi è quella sempre adottata in realtà in questi 80 anni: dare incentivi a imprese (o filiali) localizzate in Europa (ma magari di proprietà americana), per progetti americani (basti pensare a tutto il settore aeronautico). L’incremento della spesa militare conseguente alla guerra in Ucraina non ha fatto che peggiorare questa situazione, a causa della gran massa di acquisti diretti negli USA (magari con i soldi del PNRR). E questo proprio quando il Parlamento Americano, con l’Inflation Reduction Act, ha fatto proprio l’obiettivo del Senatore Shumer, quello di “mettere fuori mercato il mondo intero”.
Cosa che si sta realizzando puntualmente (ma nei soli paesi occupati dagli USA, come Germania-vedi VW-, Europa e Giappone), mentre il resto del mondo (p.es., Cina, Paesi Arabi, Russia) sta procedendo a gonfie vele.
Ha suscitato giustamente scalpore il fatto che Israele abbia attaccato ripetutamente e deliberatamente le basi UNIFIL sotto il comando italiano, provocando tra l’altro gravi ferimenti di Caschi Blu – un’azione che il Ministro della Difesa Crosetto ha giustamente definito come “crimine di guerra”-.
Questo scalpore è giustificato soprattutto dal fatto che la “Guerra Mondiale a Pezzi”, oramai non più tanto a pezzi, sta scalfendo una gran quantità di luoghi comuni impostici da decenni dai media occidentali. Fra questi, il più pernicioso è stato quello relativo alla presunta “imminenza della Pace Perpetua”, veicolato dalla retorica delle Organizzazioni Internazionali e dell’ Unione Europea.
Mentre le Nazioni Unite hanno appena fatto il punto sulla loro pretenziosa Agenda 2030, esse si vedono addirittura attaccate militarmente da uno dei propri membri, che l’accusa di essere troppo imparziali nel conflitto con i Palestinesi, mentre invece, secondo Israele, questi ultimi sarebbero dei “terroristi”, da sterminarsi semplicemente, senza curarsi del diritto internazionale umanitario. I Caschi Blu dovrebbero quindi farsi da parte in seguito a semplici intimazioni dell’Esercito Israeliano (che, tra l’altro, non si capisce perché improvvisamente sia diventato per tutti “IDF”, all’Americana, anziché, in Ebraico, “Tsahal”), e, in caso contrario, rassegnarsi ad essere cannoneggiati. Come se non bastasse, lo stesso Segretario Generale dell’ ONU viene praticamente messo al bando da Israele, immemore del fatto che la sua stessa creazione era stata opera dell’ ONU.
Non che le critiche di Israele siano del tutto infondate. L’inasprirsi della crisi dimostra la debolezza della funzione di “Peace-Keeping” internazionale, ma ciò non è ”colpa” di nessuno: è la Post-Modernità che, qui come altrove, mette a nudo le contraddizioni della Modernità, due fra le quali riguardano, tra l’altro, proprio Israele e l’ ONU. Su Israele c’è da chiedersi se sia veramente, come pretendeva Herzl, uno “Stato laico”, nel qual caso non si comprenderebbe tutta quest’ansia di ristabilire i confini biblici (Yisrael ha-Shelomah), di ricostruire il Tempio e di usare la Torah come unica vera Costituzione. D’altronde, visto che Israele non è una “razza” bensì un “popolo” etno-culturale, esso non esisterebbe nemmeno se non ci fossero la Bibbia e la sua lingua. Di converso, i Neturei Karta combattono l’idea di uno Stato ebraico nel tempo presente (tempo che ritengono ancora di esilio), poiché ritengono contrario all’autentica tradizione religiosa ebraica lo stabilirlo senza aspettare che Erets Israel venga esplicitamente donata dall’Altissimo. Pertanto, la pretesa sionista di costituire uno “Stato ebraico laico” sarebbe semplicemente l’ennesima “hybris” di alcuni eresiarchi, né più né meno di quella dei “Costruttori di Dio” cristiani o dei Baha’i persiani (che, guarda caso, hanno sede proprio in Israele): un’ennesima manifestazione di quella “religione secolarizzata” che è al centro della Modernità.
Queste religioni secolarizzate, che, con Lessing, pretendono di realizzare sulla terra le promesse escatologiche delle religioni tradizionali, paradossalmente, in ossequio all’Eterogenesi dei Fini, mentre propugnano la Pace Perpetua, stanno trasformando le religioni in strumenti di lotta fra le diverse parti del mondo (Singularity contro Tradizione; Hindutva contro Shari’a), perché, abbandonate le pretese di salvezza individuale, sono divenute semplicemente la divinizzazione della volontà di potenza dei singoli Stati-Civiltà. Del resto, anche il Puritanesimo è una versione secolarizzata del Protestantesimo, così come la il “socialismo islamico” lo è dell’Islam. L’ accusa di “integralismo”rivolta tradizionalmente alle versioni “conservatrici” (“quietiste”) delle singole religioni, si rivela invece adeguata solo alle loro emulazioni laicistiche, come la “religione dell’ umanità di Saint Simon, il Sionismo e la “Nazione dell’ Islam”, camuffamenti dell’espansionismo di popoli che si pretendono “superiori”.
Di qui anche la sterilità delle Chiese ufficiali ( succubi neppur troppo copertamente di quelle religioni secolarizzate), le quali continuano a predicare la pace senza più trovare argomenti concreti a favore della stessa.
Ma contraddittoria è anche la natura stessa dell’ ONU, nata proprio dalla pretesa del progressismo puritano, espressa alla sua fondazione da Eleanor Roosevelt, di imporre la Pace Perpetua. Tale pace perpetua avrebbe costituito il suggello del progetto messianico americano quale espresso da Winthrop, Cotton Mather, Emerson, Whitman, Friske e Wilkie. Non per nulla il Palazzo di Vetro è situato nel cuore di Manhattan, sotto il completo controllo dell’America. La Seconda Guerra Mondiale sarebbe stata l’ ultima delle guerre perchè poi tutto il mondo sarebbe stato diretto dalla “ragnatela delle istituzioni dirette da Washington”(cfr. Ikenberry).
Sono stati i fatti stessi a ribellarsi a questa proteiforme “hybris”. I conflitti attualmente in corso non sono nati ieri, bensì parecchi millenni fa, e continuano a riproporsi sempre negli stessi termini: l’uno, lungo fra il Don, il Donetz e il Dniepr, fra i popoli indo-europei e turcici dei Kurgan e delle steppe, e, l’altro, fra “Il Fiume d’ Egitto” e l’Eufrate, fra popoli semitici e hamitici dei deserti. Dietro a tutto ciò ci sono, da un lato, la “Distinzione mosaica” (fra Vero e Falso, cfr. Jan Assmann), dall’ altro la pretesa di tutti i contendenti d’incarnare una divina volontà di pace e giustizia, che trae le proprie radici dal mondo antico, e precisamente da quella Persia (Eranshahr) che è oggi il vero antagonista di Israele (perché entrambi perseguono la stessa utopia). Ed è fra Egitto, Persia e Palestina che nasce la pretesa millenarista. Questi destini sono stati configurati dalla geografia: sono collocati ai punti di passaggio obbligati fra l’Asia e, da un lato, l’Europa, e, dall’ altro l’Africa, che tutti i contendenti pretendono di tenere sotto il proprio controllo. Le illusioni postmoderne di risolverli “con una bacchetta magica” in base a formule astratte sta scontrandosi con la realtà, e la sta perfino peggiorando.
La sopravvivenza dell’Umanità è stata uno degli obiettivi di base di ogni cultura. Nel mondo moderno iperconnesso, quest’obiettivo richiede uno sforzo congiunto di tutti i popoli. Nel mondo ipertecnologico delle Macchine Intelligenti, senza questo sforzo è assicurata la Fine dell’Uomo: come aveva riconosciuto Kant, la Pace Perpetua si rivela come un grande cimitero.
Per questo, a partire dal Sacro Romano Impero e dal re hussita Podiebrad, e poi via via attraverso Postel, Crucé, Saint-Pierre, Pufendorf, Novalis, Nicola II, Coudenhove Kalergi, Wilson, Spinelli, si è venuta configurando una teoria delle organizzazioni internazionali. Teoria che comunque non indica alcun antidoto all’ incombente mortalità del cosmo, dell’ Umanità e delle civiltà. Anche alla luce dell’ esperienza, occorre ora perciò un approccio più realistico, secondo cui la Storia non finirà con un evento taumaturgico, bensì presumibilmente con il suicidio dell’ Umanità (vedi bomba atomica, Singularity, Terza Guerra Mondiale, surriscaldamento atmosferico, denatalità), e perciò il nostro compito ragionevole è, nella migliore delle ipotesi, “salvare il Cosmo”, almeno finché sarà possibile (il Katèchon), e per il resto attendere la Fine, che, secondo la tradizione cristiana, “verrà come un ladro nella notte”. L’ebraismo ha un’eccezionale espressione a questo proposito: “Tikkun ha-Olam” (“riparare il mondo”), che non è l’impossibile “Raddrizzare il legno storto dell’ Umanità” (Kant, Berlin), bensì si apparenta a quella quotidiana ricostruzione del Divino attraverso i Riti di cui parla anche Eliade.
1.Il Paese degli Ariani (Iran)
L’eternità delle guerre in corso è dimostrato dalle vicende (pre-istoriche, storiche e post-istoriche) delle tre aree in questione: la Persia, la Palestina e le Steppe Pontiche.
Una delle opere che più hanno inciso sulla formazione della cultura postmoderna è il “Così parlò Zarathustra” di Nietzsche, sconcertante, da un lato, perché è talmente ben costruito, da poter rappresentare, letterariamente, e perfino linguisticamente, quasi un “sequel” del Zand i Bahman Yasn, il principale libro sacro zoroastriano, ma, dall’ altro, perché costituisce una sorta d’implicita ritrattazione della dottrina zoroastriana di una lotta cosmica fra un Dio del Male e un Dio del Bene, quest’ultimo rappresentato sulla terra dal sovrano achemenide.
Lo zoroastrismo rappresenterà così il modello prototipico del messianesimo ebraico e degl’imperi provvidenziali cristiani e islamici successivi. Non per nulla la nascita di Cristo è salutata, per primi, “nella pienezza dei Tempi”, dai Re Magi. I Persiani zoroastriani sconfiggeranno e imprigioneranno l’imperatore romano Valeriano, per poi essere a loro volta sconfitti dalle armate islamiche. C’è anche da chiedersi in che misura l’idea di Jihad, così centrale nell’ Islam, non sia che un’eredità della guerra santa dell’imperatore persiano contro Angra Mayniu. Del resto, uno dei compagni di Maometto era il “Principe di Persia”. La Persia ha mantenuto il proprio spirito antagonistico alimentando sette islamiche rivoluzionarie, come gli Shi’iti, i Carmati e gli Assassini, e varie religioni post-zoroastriane, come il Manicheismo, il Mazdakisno e il Paulicianesimo (poi reincarnatosi in Europa nel Bogumilismo e nel Catarismo) Più recentemente, la Persia ha generato nuove sette molto inclini al Technological Sublime, come i Baha’i, e, dentro l’Islam, gli Hojjatiyye.
I Persiani continueranno a costituire un elemento di disordine nel Medio Oriente, poiché, memori di quelle antiche glorie, ambiscono ancor sempre a dominarlo, se non altro culturalmente, con la loro letteratura e le influenze delle loro lingue, e perciò non accettano l’egemonia culturale, né dell’ Occidente, né degli Arabi, né dei Sunniti, né di Israele. La rivoluzione khomeinista, che si presentò come alternativa al mondo islamico sunnita, continua dunque la tradizione messianica e rivoluzionaria dello zoroastrismo, per altro ancora vivo e vegeto nel Paese, e spesso richiamato dai dissidenti anti-khomeinisti.
Ma i veri eredi dello Zoroastrismo sono i progressisti occidentali, i quali hanno trasfuso nel progressismo laicista l’enfasi posta dai Persiani nell’Apocalisse, intesa come conquista del mondo da parte di un Salvatore (Shaoshant) sotto la guida di Ahura Mazda, e la conseguente vittoria del Bene Assoluto sul Male Assoluto. D’altronde, gli Hojjatiyye considerano l’invenzione di Internet come un segno dell’avvicinarsi dell’avvento del Mahdi.
Invece, le cosiddette “autocrazie”, nemiche dell’ Occidente progressista, sono i veri epigoni culturali degli antichi Greci, in quanto culture tragiche, belliciste e aristocratiche sul modello degli Spartani delle Termopili, a cui sembrano ispirati i vari al-Qaida, ISIS, Hamas e Hezbollah, con i loro leaders che cercano la morte gloriosa in battaglia. Significativamente, come racconta Erodoto, il generale persiano Mardonio, dopo avere represso la rivolta della Ionia, impone alle poleis locali d’instaurare governi democratici in sostituzione di quelli aristocratici che si erano ribellati alla Persia.
2.Peleset, Peleshtim, Filastin
Sin dall’antichità l’egemonia degli Hyksos venne identificata con il soggiorno in Egitto degli Ebrei, e, in particolare, con le storie bibliche di Giuseppe e Mosè. Gli Hyksos (Heka khasut, cioè “i capi di un Paese straniero” )giunsero in Egitto attorno al 1700 a.C., portandovi il cavallo e il carro da guerra.
Dopo l’Esodo dall’Egitto, cominciava la conquista di Cana’an da parte del popolo ebraico. I “Revisionisti Israeliani” (p.es., Finkielkraut) sostengono che una vera e propria “Conquista di Canaan” intesa come grande campagna militare, non è mai avvenuta, e si è invece trattato di un graduale spostamento di popoli, dalle rive del Mare Mediterraneo, alle colline della Palestina. Sia come sia, si era sviluppata comunque di una guerriglia continua, a cui ben si confanno le descrizioni contenute in tutta la Bibbia, per altro facilmente sovrapponibili a quelle attuali di Gaza, della Cisgiordania e del Libano:“due dei figli di Giacobbe, Simeone e Levi, fratelli di Dina, presero ciascuno la propria spada, assalirono la città che si riteneva sicura, e uccisero tutti i maschi.” – “Passarono a fil di spada anche Camor e suo figlio Sichem, presero Dina dalla casa di Sichem, e uscirono.” – “I figli di Giacobbe si gettarono sugli uccisi e saccheggiarono la città, perché la loro sorella era stata disonorata” – “presero le loro greggi, i loro armenti, i loro asini, quanto era nella città e nei campi.” – “Portarono via come bottino tutte le loro ricchezze, tutti i loro bambini, le loro mogli e tutto quello che si trovava nelle case….“
Queste vicende ricalcano inoltre quella della Guerra di Troia, narrata dalla letteratura greca, e quelle documentate nei monumenti dei sovrani mesopotamici e nei poemi ittiti, hurritici e mitannici.
Il meccanismo è sempre lo stesso: Dio, attraverso i profeti, incita il popolo ebraico a conquistare le diverse città di Canaan, sterminandone gli abitanti. La scena si ripete all’ infinito. Vengono menzionati infiniti popoli e città: Amalek; Og; Sicon; Madian;Gerico ; Ai; Gabaon; Machedda; Libna;Eglon; Ebron;Debir;i Ferezei;Gerusalemme;Sefat;Moav;Succot;Lais; i Filistei;Ammon;Galgala;gli Aramei;i Siriani;Tifsach…
Tutto ciò è confermato dalle Lettere di Tell el-Amarna, che dimostrano come le città cananee si lamentassero con il Faraone degli attacchi di popolazioni barbare, che essi definivano come “Habiru” o “Jahu.”
Sulla Stele di Merneptah ( 1200 circa a.C.), è narrato l’esito vittorioso di una spedizione militare, al seguito della quale :”Ysyrỉ3r fk.t;bn pr.t =f” (“Ysrỉr è desolato;il seme suo non c’è”)
Da vari studiosi moderni, Ysrỉr viene identificato con Israele. Si tratterebbe pertanto della prima testimonianza storica relativa al popolo ebraico. Il nome Ysrỉr non è accompagnato, come accade per le città o stati presenti nella lista, dall’ideogramma raffigurante tre montagne stilizzate indicante un regno. L’ideogramma associato invece, un uomo e una donna, indica una popolazione di natura nomade.Invece, i Palestinesi (Filistei, Peleset, Peleshtim, Filastin), sono spesso identificati con uno dei Popoli del Mare che vediamo sbarcare sulla parete del tempio di Medinet Habu , Sherden, Sheklesh, Ekwesh .
Questa conflittualità ricorrente ricorda i tentativi egemonici attribuiti dalla Bibbia ai regni di Davide e Salomone, le invasioni babilonesi, assire, persiane e macedoni, fino alle Guerre Giudaiche e all’inizio della Diaspora.
Di non minore importanza, per il Levante, le, questa volta documentatissime, Crociate volte a riconquistare la Terra Santa dal dominio islamico, le quali che durarono circa 600 anni. La prima (1096-1099) permise di istituire i primi quattro Stati crociati: la Contea di Edessa, il Principato di Antiochia, il Regno di Gerusalemme e la Contea di Tripoli. A livello popolare, essa scatenò un’ondata di rabbia cattolica che si espresse nei massacri degli ebrei e il violento trattamento dei cristiani ortodossi “scismatici” dell’est.
La protezione dei Cristiani in Terrasanta costituì poi il pretesto per la Guerra di Crimea, e il Libano è stato anch’esso oggetto di violente dispute fra comunità religiose, che hanno portato a varie guerre civili (cfr. infra).
Infine, la stessa nascita dello Stato di Israele si inserisce in un piano di destabilizzazione del Medio Oriente dopo la sconfitta dell’Impero Ottomano, posto in essere da Francia e Inghilterra con gli Accordi Sykes/Picot, piano che non ha ancora cessato di esercitare i suoi effetti perversi.
3.Le steppe pontiche (u-Krajine=sulla frontiera)
La cultura “Jamnaja” (“delle tombe a pozzo”) si colloca fra una fase tarda dell’età del rame e l’inizio dell’età del bronzo, nella regione fra il Bug e il Dnestr e gli Urali (la steppa pontica), in un periodo che va dal XXXVI al XXIII secolo a.C.. Si ritiene che gli Jamnaja siano stati i primi domesticatori di cavalli per uso di trasporto cavaliere e di carri con ruote, che avevano facilitato gli spostamenti e diffuso questa tecnologia. I resti del più arcaico carro con ruote trainato da cavalli, sono stati trovati nel kurgan della “Storožova mohyla” (Dniepropetrovsk, oggi Dniprò”), in Ucraina. Il sito sacrificale di Luhansk (Lugansk, nel Donbass, al centro degli attuali combattimenti) recentemente scoperto, è stato descritto come un santuario collinare dove si praticavano sacrifici umani..
Anche grazie ai cavalli, gli Jamnaja furono un popolo particolarmente guerriero e conquistatore (gli “Ariani”), che si espanse rapidamente tanto in Europa, quanto in Asia. Dopo di essi, attraversarono le steppe pontiche Sciti, Sarmati, Unni, Avari, Bulgari, Khazari, Peceneghi .Questi ultimi sono i Polovesiani (Polovcy), di cui narra il Canto del Principe Igor (anno 1080)e a cui sono dedicate le “Danze Polovesiane”.
Dopo secoli di combattimenti che coinvolsero molti popoli dell’ area -Bizantini, Bulgari, Rus’ di Kiev, Cazari e Magiari-,nel XIII Secolo,l’Impero Mongolo conquistò, fa le altre cose, le attuali Ucraina e Russia. Una delle principali battaglie per la liberazione delle stesse fu la Battaglia di Kulikovo, sul Don, sotto la guida di Dmitri Donskoj, nel 1378.
L’Ucraina fece poi parte di quella serie di fortificazioni al confine con l’ Impero Ottomano (che andavano dell’ Impero austriaco, della Polonia e della Russia) dette Krajine (confini). Esse furono custodite da guerrieri di origini internazionali (Giannizzeri, Granicari, Graenzer, Serbi, Hajduk, Honved, Karaim, Lipka Tatarlar). Nell’ attuale Ucraina, essi si chiamarono Cosacchi, da un termine turco che significa “cavalieri delle steppe”, e la Krajina polacca e russa si chiamò “Ukrajina”. Il suo cuore era costituito dalle fortezze sul Dniepr (Zaporishkaja Sich). Si combatté in quest’area fra Cosacchi, Turchi, Polacchi, Svedesi e Russi. Vi furono anche due importanti rivolte di Cosacchi: quella di Stenka Razin e quella di Pugaciov.
La Guerra diCrimea costituì uno snodo fondamentale della storia europea, come testimonia il suo ruolo nella unificazione italiana, vedendo essa la nascita di una coalizione antirussa a cui partecipò il Regno di Sardegna, anticipatrice dell’ attuale “Kollektiv Zapada”, che contende alla Russia l’egemonia sulla Europa Orientale.
Durante la Guerra Civile Russa, l’Oriente dell’ Ucraina fu sede della repubblica di Kharkiv, dell’ effimero Stato “bianco” di Denikin, della repubblica anarchica di Makhnò e di quelle sovietiche del Donbass e Krivoj Rog. Successivamente alla vittoria sovietica, quelle regioni patirono in modo particolare l’Holodomor (la carestia nella Russia Meridionale), e la “campagna di dekulakizzazione”.
L’invasione e la spartizione della Polonia dopo il Patto Molotov Ribbentrop comportò lo scatenamento della guerra in tutta la regione pontica. Bandera e l’UPA, addestrati a Praga sotto l’egida di Rosenberg, entrarono a Leopoli in divise naziste, proclamando lo Stato indipendente ucraino, a cui si riallaccia l’attuale narrativa “nazionale” ucraina.
La battaglia di Stalingrado, decisiva per le sorti del conflitto, si svolse precisamente all’ incontro fra Don e Volga. L’area fra il Dniepr e il Volga fu il centro di fondamentali combattimenti fra l’Esercito Tedesco, spalleggiato da truppe italiane, rumene, ungheresi, francesi, slovacche, croate, e scandinave e da volontari anticomunisti di tutta Europa, dei Paesi arabi, dell’Asia Centrale e dell’India, e, dall’ altra, l’Armata Rossa.
La resa di von Paulus a Stalingrado e la “ritirata di Russia” delle truppe dell’Asse segnarono l’inizio della sconfitta di Hitler.
Su tutto questo si può consultare il nostro libro “Ucraina no a un’inutile strage”.
Per tutto quanto precede, ci sembra che sarebbe impossibile stupirsi dell’attuale guerra, che, a sua volta, dura oramai da 10 anni.Ha suscitato giustamente scalpore il fatto che Israele abbia attaccato ripetutamente e deliberatamente le basi UNIFIL sotto il comando italiano, provocando tra l’altro gravi ferimenti di Caschi Blu – un’azione che il Ministro della Difesa Crosetto ha giustamente definito come “crimine di guerra”-.
questi, il più pernicioso è stato quello relativo alla presunta “imminenza della Pace Perpetua”, veicolato dalla retorica delle Organizzazioni Internazionali e dell’ Unione Europea.
Mentre le Nazioni Unite hanno appena fatto il punto sulla loro pretenziosa Agenda 2030, esse si vedono addirittura attaccate militarmente da uno dei propri membri, che l’accusa di essere troppo imparziali nel conflitto con i Palestinesi, mentre invece, secondo Israele, questi ultimi sarebbero dei “terroristi”, da sterminarsi semplicemente, senza curarsi del diritto internazionale umanitario. I Caschi Blu dovrebbero quindi farsi da parte in seguito a semplici intimazioni dell’Esercito Israeliano (che, tra l’altro, non si capisce perché improvvisamente sia diventato per tutti “IDF”, all’Americana, anziché, in Ebraico, “Tsahal”), e, in caso contrario, rassegnarsi ad essere cannoneggiati. Come se non bastasse, lo stesso Segretario Generale dell’ ONU viene praticamente messo al bando da Israele, immemore del fatto che la sua stessa creazione era stata opera dell’ ONU.
Non che le critiche di Israele siano del tutto infondate. L’inasprirsi della crisi dimostra la debolezza della funzione di “Peace-Keeping” internazionale, ma ciò non è ”colpa” di nessuno: è la Post-Modernità che, qui come altrove, mette a nudo le contraddizioni della Modernità, due fra le quali riguardano, tra l’altro, proprio Israele e l’ ONU. Su Israele c’è da chiedersi se sia veramente, come pretendeva Herzl, uno “Stato laico”, nel qual caso non si comprenderebbe tutta quest’ansia di ristabilire i confini biblici (Yisrael ha-Shelomah), di ricostruire il Tempio e di usare la Torah come unica vera Costituzione. D’altronde, visto che Israele non è una “razza” bensì un “popolo” etno-culturale, esso non esisterebbe nemmeno se non ci fossero la Bibbia e la sua lingua. Di converso, i Neturei Karta combattono l’idea di uno Stato ebraico nel tempo presente (tempo che ritengono ancora di esilio), poiché ritengono contrario all’autentica tradizione religiosa ebraica lo stabilirlo senza aspettare che Erets Israel venga esplicitamente donata dall’Altissimo. Pertanto, la pretesa sionista di costituire uno “Stato ebraico laico” sarebbe semplicemente l’ennesima “hybris” di alcuni eresiarchi, né più né meno di quella dei “Costruttori di Dio” cristiani o dei Baha’i persiani (che, guarda caso, hanno sede proprio in Israele): un’ennesima manifestazione di quella “religione secolarizzata” che è al centro della Modernità.
Queste religioni secolarizzate, che, con Lessing, pretendono di realizzare sulla terra le promesse escatologiche delle religioni tradizionali, paradossalmente, in ossequio all’Eterogenesi dei Fini, mentre propugnano la Pace Perpetua, stanno trasformando le religioni in strumenti di lotta fra le diverse parti del mondo (Singularity contro Tradizione; Hindutva contro Shari’a), perché, abbandonate le pretese di salvezza individuale, sono divenute semplicemente la divinizzazione della volontà di potenza dei singoli Stati-Civiltà. Del resto, anche il Puritanesimo è una versione secolarizzata del Protestantesimo, così come la il “socialismo islamico” lo è dell’Islam. L’ accusa di “integralismo”rivolta tradizionalmente alle versioni “conservatrici” (“quietiste”) delle singole religioni, si rivela invece adeguata solo alle loro emulazioni laicistiche, come la “religione dell’ umanità di Saint Simon, il Sionismo e la “Nazione dell’ Islam”, camuffamenti dell’espansionismo di popoli che si pretendono “superiori”.
Di qui anche la sterilità delle Chiese ufficiali ( succubi neppur troppo copertamente di quelle religioni secolarizzate), le quali continuano a predicare la pace senza più trovare argomenti concreti a favore della stessa.
Ma contraddittoria è anche la natura stessa dell’ ONU, nata proprio dalla pretesa del progressismo puritano, espressa alla sua fondazione da Eleanor Roosevelt, di imporre la Pace Perpetua. Tale pace perpetua avrebbe costituito il suggello del progetto messianico americano quale espresso da Winthrop, Cotton Mather, Emerson, Whitman, Friske e Wilkie. Non per nulla il Palazzo di Vetro è situato nel cuore di Manhattan, sotto il completo controllo dell’America. La Seconda Guerra Mondiale sarebbe stata l’ ultima delle guerre perchè poi tutto il mondo sarebbe stato diretto dalla “ragnatela delle istituzioni dirette da Washington”(cfr. Ikenberry).
Sono stati i fatti stessi a ribellarsi a questa proteiforme “hybris”. I conflitti attualmente in corso non sono nati ieri, bensì parecchi millenni fa, e continuano a riproporsi sempre negli stessi termini: l’uno, lungo fra il Don, il Donetz e il Dniepr, fra i popoli indo-europei e turcici dei Kurgan e delle steppe, e, l’altro, fra “Il Fiume d’ Egitto” e l’Eufrate, fra popoli semitici e hamitici dei deserti. Dietro a tutto ciò ci sono, da un lato, la “Distinzione mosaica” (fra Vero e Falso, cfr. Jan Assmann), dall’ altro la pretesa di tutti i contendenti d’incarnare una divina volontà di pace e giustizia, che trae le proprie radici dal mondo antico, e precisamente da quella Persia (Eranshahr) che è oggi il vero antagonista di Israele (perché entrambi perseguono la stessa utopia). Ed è fra Egitto, Persia e Palestina che nasce la pretesa millenarista. Questi destini sono stati configurati dalla geografia: sono collocati ai punti di passaggio obbligati fra l’Asia e, da un lato, l’Europa, e, dall’ altro l’Africa, che tutti i contendenti pretendono di tenere sotto il proprio controllo. Le illusioni postmoderne di risolverli “con una bacchetta magica” in base a formule astratte sta scontrandosi con la realtà, e la sta perfino peggiorando.
La sopravvivenza dell’Umanità è stata uno degli obiettivi di base di ogni cultura. Nel mondo moderno iperconnesso, quest’obiettivo richiede uno sforzo congiunto di tutti i popoli. Nel mondo ipertecnologico delle Macchine Intelligenti, senza questo sforzo è assicurata la Fine dell’Uomo: come aveva riconosciuto Kant, la Pace Perpetua si rivela come un grande cimitero.
Per questo, a partire dal Sacro Romano Impero e dal re hussita Podiebrad, e poi via via attraverso Postel, Crucé, Saint-Pierre, Pufendorf, Novalis, Nicola II, Coudenhove Kalergi, Wilson, Spinelli, si è venuta configurando una teoria delle organizzazioni internazionali. Teoria che comunque non indica alcun antidoto all’ incombente mortalità del cosmo, dell’ Umanità e delle civiltà. Anche alla luce dell’ esperienza, occorre ora perciò un approccio più realistico, secondo cui la Storia non finirà con un evento taumaturgico, bensì presumibilmente con il suicidio dell’ Umanità (vedi bomba atomica, Singularity, Terza Guerra Mondiale, surriscaldamento atmosferico, denatalità), e perciò il nostro compito ragionevole è, nella migliore delle ipotesi, “salvare il Cosmo”, almeno finché sarà possibile (il Katèchon), e per il resto attendere la Fine, che, secondo la tradizione cristiana, “verrà come un ladro nella notte”. L’ebraismo ha un’eccezionale espressione a questo proposito: “Tikkun ha-Olam” (“riparare il mondo”), che non è l’impossibile “Raddrizzare il legno storto dell’ Umanità” (Kant, Berlin), bensì si apparenta a quella quotidiana ricostruzione del Divino attraverso i Riti di cui parla anche Eliade.
1.Il Paese degli Ariani (Iran)
L’eternità delle guerre in corso è dimostrato dalle vicende (pre-istoriche, storiche e post-istoriche) delle tre aree in questione: la Persia, la Palestina e le Steppe Pontiche.
Una delle opere che più hanno inciso sulla formazione della cultura postmoderna è il “Così parlò Zarathustra” di Nietzsche, sconcertante, da un lato, perché è talmente ben costruito, da poter rappresentare, letterariamente, e perfino linguisticamente, quasi un “sequel” del Zand i Bahman Yasn, il principale libro sacro zoroastriano, ma, dall’ altro, perché costituisce una sorta d’implicita ritrattazione della dottrina zoroastriana di una lotta cosmica fra un Dio del Male e un Dio del Bene, quest’ultimo rappresentato sulla terra dal sovrano achemenide.
Lo zoroastrismo rappresenterà così il modello prototipico del messianesimo ebraico e degl’imperi provvidenziali cristiani e islamici successivi. Non per nulla la nascita di Cristo è salutata, per primi, “nella pienezza dei Tempi”, dai Re Magi. I Persiani zoroastriani sconfiggeranno e imprigioneranno l’imperatore romano Valeriano, per poi essere a loro volta sconfitti dalle armate islamiche. C’è anche da chiedersi in che misura l’idea di Jihad, così centrale nell’ Islam, non sia che un’eredità della guerra santa dell’imperatore persiano contro Angra Mayniu. Del resto, uno dei compagni di Maometto era il “Principe di Persia”. La Persia ha mantenuto il proprio spirito antagonistico alimentando sette islamiche rivoluzionarie, come gli Shi’iti, i Carmati e gli Assassini, e varie religioni post-zoroastriane, come il Manicheismo, il Mazdakisno e il Paulicianesimo (poi reincarnatosi in Europa nel Bogumilismo e nel Catarismo) Più recentemente, la Persia ha generato nuove sette molto inclini al Technological Sublime, come i Baha’i, e, dentro l’Islam, gli Hojjatiyye.
I Persiani continueranno a costituire un elemento di disordine nel Medio Oriente, poiché, memori di quelle antiche glorie, ambiscono ancor sempre a dominarlo, se non altro culturalmente, con la loro letteratura e le influenze delle loro lingue, e perciò non accettano l’egemonia culturale, né dell’ Occidente, né degli Arabi, né dei Sunniti, né di Israele. La rivoluzione khomeinista, che si presentò come alternativa al mondo islamico sunnita, continua dunque la tradizione messianica e rivoluzionaria dello zoroastrismo, per altro ancora vivo e vegeto nel Paese, e spesso richiamato dai dissidenti anti-khomeinisti.
Ma i veri eredi dello Zoroastrismo sono i progressisti occidentali, i quali hanno trasfuso nel progressismo laicista l’enfasi posta dai Persiani nell’Apocalisse, intesa come conquista del mondo da parte di un Salvatore (Shaoshant) sotto la guida di Ahura Mazda, e la conseguente vittoria del Bene Assoluto sul Male Assoluto. D’altronde, gli Hojjatiyye considerano l’invenzione di Internet come un segno dell’avvicinarsi dell’avvento del Mahdi.
Invece, le cosiddette “autocrazie”, nemiche dell’ Occidente progressista, sono i veri epigoni culturali degli antichi Greci, in quanto culture tragiche, belliciste e aristocratiche sul modello degli Spartani delle Termopili, a cui sembrano ispirati i vari al-Qaida, ISIS, Hamas e Hezbollah, con i loro leaders che cercano la morte gloriosa in battaglia. Significativamente, come racconta Erodoto, il generale persiano Mardonio, dopo avere represso la rivolta della Ionia, impone alle poleis locali d’instaurare governi democratici in sostituzione di quelli aristocratici che si erano ribellati alla Persia.
2.Peleset, Peleshtim, Filastin
Sin dall’antichità l’egemonia degli Hyksos venne identificata con il soggiorno in Egitto degli Ebrei, e, in particolare, con le storie bibliche di Giuseppe e Mosè. Gli Hyksos (Heka khasut, cioè “i capi di un Paese straniero” )giunsero in Egitto attorno al 1700 a.C., portandovi il cavallo e il carro da guerra.
Dopo l’Esodo dall’Egitto, cominciava la conquista di Cana’an da parte del popolo ebraico. I “Revisionisti Israeliani” (p.es., Finkielkraut) sostengono che una vera e propria “Conquista di Canaan” intesa come grande campagna militare, non è mai avvenuta, e si è invece trattato di un graduale spostamento di popoli, dalle rive del Mare Mediterraneo, alle colline della Palestina. Sia come sia, si era sviluppata comunque di una guerriglia continua, a cui ben si confanno le descrizioni contenute in tutta la Bibbia, per altro facilmente sovrapponibili a quelle attuali di Gaza, della Cisgiordania e del Libano:“due dei figli di Giacobbe, Simeone e Levi, fratelli di Dina, presero ciascuno la propria spada, assalirono la città che si riteneva sicura, e uccisero tutti i maschi.” – “Passarono a fil di spada anche Camor e suo figlio Sichem, presero Dina dalla casa di Sichem, e uscirono.” – “I figli di Giacobbe si gettarono sugli uccisi e saccheggiarono la città, perché la loro sorella era stata disonorata” – “presero le loro greggi, i loro armenti, i loro asini, quanto era nella città e nei campi.” – “Portarono via come bottino tutte le loro ricchezze, tutti i loro bambini, le loro mogli e tutto quello che si trovava nelle case….“
Queste vicende ricalcano inoltre quella della Guerra di Troia, narrata dalla letteratura greca, e quelle documentate nei monumenti dei sovrani mesopotamici e nei poemi ittiti, hurritici e mitannici.
Il meccanismo è sempre lo stesso: Dio, attraverso i profeti, incita il popolo ebraico a conquistare le diverse città di Canaan, sterminandone gli abitanti. La scena si ripete all’ infinito. Vengono menzionati infiniti popoli e città: Amalek; Og; Sicon; Madian;Gerico ; Ai; Gabaon; Machedda; Libna;Eglon; Ebron;Debir;i Ferezei;Gerusalemme;Sefat;Moav;Succot;Lais; i Filistei;Ammon;Galgala;gli Aramei;i Siriani;Tifsach…
Tutto ciò è confermato dalle Lettere di Tell el-Amarna, che dimostrano come le città cananee si lamentassero con il Faraone degli attacchi di popolazioni barbare, che essi definivano come “Habiru” o “Jahu.”
Sulla Stele di Merneptah ( 1200 circa a.C.), è narrato l’esito vittorioso di una spedizione militare, al seguito della quale :”Ysyrỉ3r fk.t;bn pr.t =f” (“Ysrỉr è desolato;il seme suo non c’è”)
Da vari studiosi moderni, Ysrỉr viene identificato con Israele. Si tratterebbe pertanto della prima testimonianza storica relativa al popolo ebraico. Il nome Ysrỉr non è accompagnato, come accade per le città o stati presenti nella lista, dall’ideogramma raffigurante tre montagne stilizzate indicante un regno. L’ideogramma associato invece, un uomo e una donna, indica una popolazione di natura nomade.Invece, i Palestinesi (Filistei, Peleset, Peleshtim, Filastin), sono spesso identificati con uno dei Popoli del Mare che vediamo sbarcare sulla parete del tempio di Medinet Habu , Sherden, Sheklesh, Ekwesh .
Questa conflittualità ricorrente ricorda i tentativi egemonici attribuiti dalla Bibbia ai regni di Davide e Salomone, le invasioni babilonesi, assire, persiane e macedoni, fino alle Guerre Giudaiche e all’inizio della Diaspora.
Di non minore importanza, per il Levante, le, questa volta documentatissime, Crociate volte a riconquistare la Terra Santa dal dominio islamico, le quali che durarono circa 600 anni. La prima (1096-1099) permise di istituire i primi quattro Stati crociati: la Contea di Edessa, il Principato di Antiochia, il Regno di Gerusalemme e la Contea di Tripoli. A livello popolare, essa scatenò un’ondata di rabbia cattolica che si espresse nei massacri degli ebrei e il violento trattamento dei cristiani ortodossi “scismatici” dell’est.
La protezione dei Cristiani in Terrasanta costituì poi il pretesto per la Guerra di Crimea, e il Libano è stato anch’esso oggetto di violente dispute fra comunità religiose, che hanno portato a varie guerre civili (cfr. infra).
Infine, la stessa nascita dello Stato di Israele si inserisce in un piano di destabilizzazione del Medio Oriente dopo la sconfitta dell’Impero Ottomano, posto in essere da Francia e Inghilterra con gli Accordi Sykes/Picot, piano che non ha ancora cessato di esercitare i suoi effetti perversi.
3.Le steppe pontiche (u-Krajine=sulla frontiera)
La cultura “Jamnaja” (“delle tombe a pozzo”) si colloca fra una fase tarda dell’età del rame e l’inizio dell’età del bronzo, nella regione fra il Bug e il Dnestr e gli Urali (la steppa pontica), in un periodo che va dal XXXVI al XXIII secolo a.C.. Si ritiene che gli Jamnaja siano stati i primi domesticatori di cavalli per uso di trasporto cavaliere e di carri con ruote, che avevano facilitato gli spostamenti e diffuso questa tecnologia. I resti del più arcaico carro con ruote trainato da cavalli, sono stati trovati nel kurgan della “Storožova mohyla” (Dniepropetrovsk, oggi Dniprò”), in Ucraina. Il sito sacrificale di Luhansk (Lugansk, nel Donbass, al centro degli attuali combattimenti) recentemente scoperto, è stato descritto come un santuario collinare dove si praticavano sacrifici umani..
Anche grazie ai cavalli, gli Jamnaja furono un popolo particolarmente guerriero e conquistatore (gli “Ariani”), che si espanse rapidamente tanto in Europa, quanto in Asia. Dopo di essi, attraversarono le steppe pontiche Sciti, Sarmati, Unni, Avari, Bulgari, Khazari, Peceneghi .Questi ultimi sono i Polovesiani (Polovcy), di cui narra il Canto del Principe Igor (anno 1080)e a cui sono dedicate le “Danze Polovesiane”.
Dopo secoli di combattimenti che coinvolsero molti popoli dell’ area -Bizantini, Bulgari, Rus’ di Kiev, Cazari e Magiari-,nel XIII Secolo,l’Impero Mongolo conquistò, fa le altre cose, le attuali Ucraina e Russia. Una delle principali battaglie per la liberazione delle stesse fu la Battaglia di Kulikovo, sul Don, sotto la guida di Dmitri Donskoj, nel 1378.
L’Ucraina fece poi parte di quella serie di fortificazioni al confine con l’ Impero Ottomano (che andavano dell’ Impero austriaco, della Polonia e della Russia) dette Krajine (confini). Esse furono custodite da guerrieri di origini internazionali (Giannizzeri, Granicari, Graenzer, Serbi, Hajduk, Honved, Karaim, Lipka Tatarlar). Nell’ attuale Ucraina, essi si chiamarono Cosacchi, da un termine turco che significa “cavalieri delle steppe”, e la Krajina polacca e russa si chiamò “Ukrajina”. Il suo cuore era costituito dalle fortezze sul Dniepr (Zaporishkaja Sich). Si combatté in quest’area fra Cosacchi, Turchi, Polacchi, Svedesi e Russi. Vi furono anche due importanti rivolte di Cosacchi: quella di Stenka Razin e quella di Pugaciov.
La Guerra diCrimea costituì uno snodo fondamentale della storia europea, come testimonia il suo ruolo nella unificazione italiana, vedendo essa la nascita di una coalizione antirussa a cui partecipò il Regno di Sardegna, anticipatrice dell’ attuale “Kollektiv Zapada”, che contende alla Russia l’egemonia sulla Europa Orientale.
Durante la Guerra Civile Russa, l’Oriente dell’ Ucraina fu sede della repubblica di Kharkiv, dell’ effimero Stato “bianco” di Denikin, della repubblica anarchica di Makhnò e di quelle sovietiche del Donbass e Krivoj Rog. Successivamente alla vittoria sovietica, quelle regioni patirono in modo particolare l’Holodomor (la carestia nella Russia Meridionale), e la “campagna di dekulakizzazione”.
L’invasione e la spartizione della Polonia dopo il Patto Molotov Ribbentrop comportò lo scatenamento della guerra in tutta la regione pontica. Bandera e l’UPA, addestrati a Praga sotto l’egida di Rosenberg, entrarono a Leopoli in divise naziste, proclamando lo Stato indipendente ucraino, a cui si riallaccia l’attuale narrativa “nazionale” ucraina.
La battaglia di Stalingrado, decisiva per le sorti del conflitto, si svolse precisamente all’ incontro fra Don e Volga. L’area fra il Dniepr e il Volga fu il centro di fondamentali combattimenti fra l’Esercito Tedesco, spalleggiato da truppe italiane, rumene, ungheresi, francesi, slovacche, croate, e scandinave e da volontari anticomunisti di tutta Europa, dei Paesi arabi, dell’Asia Centrale e dell’India, e, dall’ altra, l’Armata Rossa.
La resa di von Paulus a Stalingrado e la “ritirata di Russia” delle truppe dell’Asse segnarono l’inizio della sconfitta di Hitler.
Su tutto questo si può consultare il nostro libro “Ucraina no a un’inutile strage”.
Questo scalpore è giustificato soprattutto dal fatto che la “Guerra Mondiale a Pezzi”, oramai non più tanto a pezzi, sta scalfendo una gran quantità di luoghi comuni impostici da decenni dai media occidentali. Fra questi, il più pernicioso è stato quello relativo alla presunta “imminenza della Pace Perpetua”, veicolato dalla retorica delle Organizzazioni Internazionali e dell’ Unione Europea.
Mentre le Nazioni Unite hanno appena fatto il punto sulla loro pretenziosa Agenda 2030, esse si vedono addirittura attaccate militarmente da uno dei propri membri, che l’accusa di essere troppo imparziali nel conflitto con i Palestinesi, mentre invece, secondo Israele, questi ultimi sarebbero dei “terroristi”, da sterminarsi semplicemente, senza curarsi del diritto internazionale umanitario. I Caschi Blu dovrebbero quindi farsi da parte in seguito a semplici intimazioni dell’Esercito Israeliano (che, tra l’altro, non si capisce perché improvvisamente sia diventato per tutti “IDF”, all’Americana, anziché, in Ebraico, “Tsahal”), e, in caso contrario, rassegnarsi ad essere cannoneggiati. Come se non bastasse, lo stesso Segretario Generale dell’ ONU viene praticamente messo al bando da Israele, immemore del fatto che la sua stessa creazione era stata opera dell’ ONU.
Non che le critiche di Israele siano del tutto infondate. L’inasprirsi della crisi dimostra la debolezza della funzione di “Peace-Keeping” internazionale, ma ciò non è ”colpa” di nessuno: è la Post-Modernità che, qui come altrove, mette a nudo le contraddizioni della Modernità, due fra le quali riguardano, tra l’altro, proprio Israele e l’ ONU. Su Israele c’è da chiedersi se sia veramente, come pretendeva Herzl, uno “Stato laico”, nel qual caso non si comprenderebbe tutta quest’ansia di ristabilire i confini biblici (Yisrael ha-Shelomah), di ricostruire il Tempio e di usare la Torah come unica vera Costituzione. D’altronde, visto che Israele non è una “razza” bensì un “popolo” etno-culturale, esso non esisterebbe nemmeno se non ci fossero la Bibbia e la sua lingua. Di converso, i Neturei Karta combattono l’idea di uno Stato ebraico nel tempo presente (tempo che ritengono ancora di esilio), poiché ritengono contrario all’autentica tradizione religiosa ebraica lo stabilirlo senza aspettare che Erets Israel venga esplicitamente donata dall’Altissimo. Pertanto, la pretesa sionista di costituire uno “Stato ebraico laico” sarebbe semplicemente l’ennesima “hybris” di alcuni eresiarchi, né più né meno di quella dei “Costruttori di Dio” cristiani o dei Baha’i persiani (che, guarda caso, hanno sede proprio in Israele): un’ennesima manifestazione di quella “religione secolarizzata” che è al centro della Modernità.
Queste religioni secolarizzate, che, con Lessing, pretendono di realizzare sulla terra le promesse escatologiche delle religioni tradizionali, paradossalmente, in ossequio all’Eterogenesi dei Fini, mentre propugnano la Pace Perpetua, stanno trasformando le religioni in strumenti di lotta fra le diverse parti del mondo (Singularity contro Tradizione; Hindutva contro Shari’a), perché, abbandonate le pretese di salvezza individuale, sono divenute semplicemente la divinizzazione della volontà di potenza dei singoli Stati-Civiltà. Del resto, anche il Puritanesimo è una versione secolarizzata del Protestantesimo, così come la il “socialismo islamico” lo è dell’Islam. L’ accusa di “integralismo”rivolta tradizionalmente alle versioni “conservatrici” (“quietiste”) delle singole religioni, si rivela invece adeguata solo alle loro emulazioni laicistiche, come la “religione dell’ umanità di Saint Simon, il Sionismo e la “Nazione dell’ Islam”, camuffamenti dell’espansionismo di popoli che si pretendono “superiori”.
Di qui anche la sterilità delle Chiese ufficiali ( succubi neppur troppo copertamente di quelle religioni secolarizzate), le quali continuano a predicare la pace senza più trovare argomenti concreti a favore della stessa.
Ma contraddittoria è anche la natura stessa dell’ ONU, nata proprio dalla pretesa del progressismo puritano, espressa alla sua fondazione da Eleanor Roosevelt, di imporre la Pace Perpetua. Tale pace perpetua avrebbe costituito il suggello del progetto messianico americano quale espresso da Winthrop, Cotton Mather, Emerson, Whitman, Friske e Wilkie. Non per nulla il Palazzo di Vetro è situato nel cuore di Manhattan, sotto il completo controllo dell’America. La Seconda Guerra Mondiale sarebbe stata l’ ultima delle guerre perchè poi tutto il mondo sarebbe stato diretto dalla “ragnatela delle istituzioni dirette da Washington”(cfr. Ikenberry).
Sono stati i fatti stessi a ribellarsi a questa proteiforme “hybris”. I conflitti attualmente in corso non sono nati ieri, bensì parecchi millenni fa, e continuano a riproporsi sempre negli stessi termini: l’uno, lungo fra il Don, il Donetz e il Dniepr, fra i popoli indo-europei e turcici dei Kurgan e delle steppe, e, l’altro, fra “Il Fiume d’ Egitto” e l’Eufrate, fra popoli semitici e hamitici dei deserti. Dietro a tutto ciò ci sono, da un lato, la “Distinzione mosaica” (fra Vero e Falso, cfr. Jan Assmann), dall’ altro la pretesa di tutti i contendenti d’incarnare una divina volontà di pace e giustizia, che trae le proprie radici dal mondo antico, e precisamente da quella Persia (Eranshahr) che è oggi il vero antagonista di Israele (perché entrambi perseguono la stessa utopia). Ed è fra Egitto, Persia e Palestina che nasce la pretesa millenarista. Questi destini sono stati configurati dalla geografia: sono collocati ai punti di passaggio obbligati fra l’Asia e, da un lato, l’Europa, e, dall’ altro l’Africa, che tutti i contendenti pretendono di tenere sotto il proprio controllo. Le illusioni postmoderne di risolverli “con una bacchetta magica” in base a formule astratte sta scontrandosi con la realtà, e la sta perfino peggiorando.
La sopravvivenza dell’Umanità è stata uno degli obiettivi di base di ogni cultura. Nel mondo moderno iperconnesso, quest’obiettivo richiede uno sforzo congiunto di tutti i popoli. Nel mondo ipertecnologico delle Macchine Intelligenti, senza questo sforzo è assicurata la Fine dell’Uomo: come aveva riconosciuto Kant, la Pace Perpetua si rivela come un grande cimitero.
Per questo, a partire dal Sacro Romano Impero e dal re hussita Podiebrad, e poi via via attraverso Postel, Crucé, Saint-Pierre, Pufendorf, Novalis, Nicola II, Coudenhove Kalergi, Wilson, Spinelli, si è venuta configurando una teoria delle organizzazioni internazionali. Teoria che comunque non indica alcun antidoto all’ incombente mortalità del cosmo, dell’ Umanità e delle civiltà. Anche alla luce dell’ esperienza, occorre ora perciò un approccio più realistico, secondo cui la Storia non finirà con un evento taumaturgico, bensì presumibilmente con il suicidio dell’ Umanità (vedi bomba atomica, Singularity, Terza Guerra Mondiale, surriscaldamento atmosferico, denatalità), e perciò il nostro compito ragionevole è, nella migliore delle ipotesi, “salvare il Cosmo”, almeno finché sarà possibile (il Katèchon), e per il resto attendere la Fine, che, secondo la tradizione cristiana, “verrà come un ladro nella notte”. L’ebraismo ha un’eccezionale espressione a questo proposito: “Tikkun ha-Olam” (“riparare il mondo”), che non è l’impossibile “Raddrizzare il legno storto dell’ Umanità” (Kant, Berlin), bensì si apparenta a quella quotidiana ricostruzione del Divino attraverso i Riti di cui parla anche Eliade.
1.Il Paese degli Ariani (Iran)
L’eternità delle guerre in corso è dimostrato dalle vicende (pre-istoriche, storiche e post-istoriche) delle tre aree in questione: la Persia, la Palestina e le Steppe Pontiche.
Una delle opere che più hanno inciso sulla formazione della cultura postmoderna è il “Così parlò Zarathustra” di Nietzsche, sconcertante, da un lato, perché è talmente ben costruito, da poter rappresentare, letterariamente, e perfino linguisticamente, quasi un “sequel” del Zand i Bahman Yasn, il principale libro sacro zoroastriano, ma, dall’ altro, perché costituisce una sorta d’implicita ritrattazione della dottrina zoroastriana di una lotta cosmica fra un Dio del Male e un Dio del Bene, quest’ultimo rappresentato sulla terra dal sovrano achemenide.
Lo zoroastrismo rappresenterà così il modello prototipico del messianesimo ebraico e degl’imperi provvidenziali cristiani e islamici successivi. Non per nulla la nascita di Cristo è salutata, per primi, “nella pienezza dei Tempi”, dai Re Magi. I Persiani zoroastriani sconfiggeranno e imprigioneranno l’imperatore romano Valeriano, per poi essere a loro volta sconfitti dalle armate islamiche. C’è anche da chiedersi in che misura l’idea di Jihad, così centrale nell’ Islam, non sia che un’eredità della guerra santa dell’imperatore persiano contro Angra Mayniu. Del resto, uno dei compagni di Maometto era il “Principe di Persia”. La Persia ha mantenuto il proprio spirito antagonistico alimentando sette islamiche rivoluzionarie, come gli Shi’iti, i Carmati e gli Assassini, e varie religioni post-zoroastriane, come il Manicheismo, il Mazdakisno e il Paulicianesimo (poi reincarnatosi in Europa nel Bogumilismo e nel Catarismo) Più recentemente, la Persia ha generato nuove sette molto inclini al Technological Sublime, come i Baha’i, e, dentro l’Islam, gli Hojjatiyye.
I Persiani continueranno a costituire un elemento di disordine nel Medio Oriente, poiché, memori di quelle antiche glorie, ambiscono ancor sempre a dominarlo, se non altro culturalmente, con la loro letteratura e le influenze delle loro lingue, e perciò non accettano l’egemonia culturale, né dell’ Occidente, né degli Arabi, né dei Sunniti, né di Israele. La rivoluzione khomeinista, che si presentò come alternativa al mondo islamico sunnita, continua dunque la tradizione messianica e rivoluzionaria dello zoroastrismo, per altro ancora vivo e vegeto nel Paese, e spesso richiamato dai dissidenti anti-khomeinisti.
Ma i veri eredi dello Zoroastrismo sono i progressisti occidentali, i quali hanno trasfuso nel progressismo laicista l’enfasi posta dai Persiani nell’Apocalisse, intesa come conquista del mondo da parte di un Salvatore (Shaoshant) sotto la guida di Ahura Mazda, e la conseguente vittoria del Bene Assoluto sul Male Assoluto. D’altronde, gli Hojjatiyye considerano l’invenzione di Internet come un segno dell’avvicinarsi dell’avvento del Mahdi.
Invece, le cosiddette “autocrazie”, nemiche dell’ Occidente progressista, sono i veri epigoni culturali degli antichi Greci, in quanto culture tragiche, belliciste e aristocratiche sul modello degli Spartani delle Termopili, a cui sembrano ispirati i vari al-Qaida, ISIS, Hamas e Hezbollah, con i loro leaders che cercano la morte gloriosa in battaglia. Significativamente, come racconta Erodoto, il generale persiano Mardonio, dopo avere represso la rivolta della Ionia, impone alle poleis locali d’instaurare governi democratici in sostituzione di quelli aristocratici che si erano ribellati alla Persia.
2.Peleset, Peleshtim, Filastin
Sin dall’antichità l’egemonia degli Hyksos venne identificata con il soggiorno in Egitto degli Ebrei, e, in particolare, con le storie bibliche di Giuseppe e Mosè. Gli Hyksos (Heka khasut, cioè “i capi di un Paese straniero” )giunsero in Egitto attorno al 1700 a.C., portandovi il cavallo e il carro da guerra.
Dopo l’Esodo dall’Egitto, cominciava la conquista di Cana’an da parte del popolo ebraico. I “Revisionisti Israeliani” (p.es., Finkielkraut) sostengono che una vera e propria “Conquista di Canaan” intesa come grande campagna militare, non è mai avvenuta, e si è invece trattato di un graduale spostamento di popoli, dalle rive del Mare Mediterraneo, alle colline della Palestina. Sia come sia, si era sviluppata comunque di una guerriglia continua, a cui ben si confanno le descrizioni contenute in tutta la Bibbia, per altro facilmente sovrapponibili a quelle attuali di Gaza, della Cisgiordania e del Libano:“due dei figli di Giacobbe, Simeone e Levi, fratelli di Dina, presero ciascuno la propria spada, assalirono la città che si riteneva sicura, e uccisero tutti i maschi.” – “Passarono a fil di spada anche Camor e suo figlio Sichem, presero Dina dalla casa di Sichem, e uscirono.” – “I figli di Giacobbe si gettarono sugli uccisi e saccheggiarono la città, perché la loro sorella era stata disonorata” – “presero le loro greggi, i loro armenti, i loro asini, quanto era nella città e nei campi.” – “Portarono via come bottino tutte le loro ricchezze, tutti i loro bambini, le loro mogli e tutto quello che si trovava nelle case….“
Queste vicende ricalcano inoltre quella della Guerra di Troia, narrata dalla letteratura greca, e quelle documentate nei monumenti dei sovrani mesopotamici e nei poemi ittiti, hurritici e mitannici.
Il meccanismo è sempre lo stesso: Dio, attraverso i profeti, incita il popolo ebraico a conquistare le diverse città di Canaan, sterminandone gli abitanti. La scena si ripete all’ infinito. Vengono menzionati infiniti popoli e città: Amalek; Og; Sicon; Madian;Gerico ; Ai; Gabaon; Machedda; Libna;Eglon; Ebron;Debir;i Ferezei;Gerusalemme;Sefat;Moav;Succot;Lais; i Filistei;Ammon;Galgala;gli Aramei;i Siriani;Tifsach…
Tutto ciò è confermato dalle Lettere di Tell el-Amarna, che dimostrano come le città cananee si lamentassero con il Faraone degli attacchi di popolazioni barbare, che essi definivano come “Habiru” o “Jahu.”
Sulla Stele di Merneptah ( 1200 circa a.C.), è narrato l’esito vittorioso di una spedizione militare, al seguito della quale :”Ysyrỉ3r fk.t;bn pr.t =f” (“Ysrỉr è desolato;il seme suo non c’è”)
Da vari studiosi moderni, Ysrỉr viene identificato con Israele. Si tratterebbe pertanto della prima testimonianza storica relativa al popolo ebraico. Il nome Ysrỉr non è accompagnato, come accade per le città o stati presenti nella lista, dall’ideogramma raffigurante tre montagne stilizzate indicante un regno. L’ideogramma associato invece, un uomo e una donna, indica una popolazione di natura nomade.Invece, i Palestinesi (Filistei, Peleset, Peleshtim, Filastin), sono spesso identificati con uno dei Popoli del Mare che vediamo sbarcare sulla parete del tempio di Medinet Habu , Sherden, Sheklesh, Ekwesh .
Questa conflittualità ricorrente ricorda i tentativi egemonici attribuiti dalla Bibbia ai regni di Davide e Salomone, le invasioni babilonesi, assire, persiane e macedoni, fino alle Guerre Giudaiche e all’inizio della Diaspora.
Di non minore importanza, per il Levante, le, questa volta documentatissime, Crociate volte a riconquistare la Terra Santa dal dominio islamico, le quali che durarono circa 600 anni. La prima (1096-1099) permise di istituire i primi quattro Stati crociati: la Contea di Edessa, il Principato di Antiochia, il Regno di Gerusalemme e la Contea di Tripoli. A livello popolare, essa scatenò un’ondata di rabbia cattolica che si espresse nei massacri degli ebrei e il violento trattamento dei cristiani ortodossi “scismatici” dell’est.
La protezione dei Cristiani in Terrasanta costituì poi il pretesto per la Guerra di Crimea, e il Libano è stato anch’esso oggetto di violente dispute fra comunità religiose, che hanno portato a varie guerre civili (cfr. infra).
Infine, la stessa nascita dello Stato di Israele si inserisce in un piano di destabilizzazione del Medio Oriente dopo la sconfitta dell’Impero Ottomano, posto in essere da Francia e Inghilterra con gli Accordi Sykes/Picot, piano che non ha ancora cessato di esercitare i suoi effetti perversi.
3.Le steppe pontiche (u-Krajine=sulla frontiera)
La cultura “Jamnaja” (“delle tombe a pozzo”) si colloca fra una fase tarda dell’età del rame e l’inizio dell’età del bronzo, nella regione fra il Bug e il Dnestr e gli Urali (la steppa pontica), in un periodo che va dal XXXVI al XXIII secolo a.C.. Si ritiene che gli Jamnaja siano stati i primi domesticatori di cavalli per uso di trasporto cavaliere e di carri con ruote, che avevano facilitato gli spostamenti e diffuso questa tecnologia. I resti del più arcaico carro con ruote trainato da cavalli, sono stati trovati nel kurgan della “Storožova mohyla” (Dniepropetrovsk, oggi Dniprò”), in Ucraina. Il sito sacrificale di Luhansk (Lugansk, nel Donbass, al centro degli attuali combattimenti) recentemente scoperto, è stato descritto come un santuario collinare dove si praticavano sacrifici umani..
Anche grazie ai cavalli, gli Jamnaja furono un popolo particolarmente guerriero e conquistatore (gli “Ariani”), che si espanse rapidamente tanto in Europa, quanto in Asia. Dopo di essi, attraversarono le steppe pontiche Sciti, Sarmati, Unni, Avari, Bulgari, Khazari, Peceneghi .Questi ultimi sono i Polovesiani (Polovcy), di cui narra il Canto del Principe Igor (anno 1080)e a cui sono dedicate le “Danze Polovesiane”.
Dopo secoli di combattimenti che coinvolsero molti popoli dell’ area -Bizantini, Bulgari, Rus’ di Kiev, Cazari e Magiari-,nel XIII Secolo,l’Impero Mongolo conquistò, fa le altre cose, le attuali Ucraina e Russia. Una delle principali battaglie per la liberazione delle stesse fu la Battaglia di Kulikovo, sul Don, sotto la guida di Dmitri Donskoj, nel 1378.
L’Ucraina fece poi parte di quella serie di fortificazioni al confine con l’ Impero Ottomano (che andavano dell’ Impero austriaco, della Polonia e della Russia) dette Krajine (confini). Esse furono custodite da guerrieri di origini internazionali (Giannizzeri, Granicari, Graenzer, Serbi, Hajduk, Honved, Karaim, Lipka Tatarlar). Nell’ attuale Ucraina, essi si chiamarono Cosacchi, da un termine turco che significa “cavalieri delle steppe”, e la Krajina polacca e russa si chiamò “Ukrajina”. Il suo cuore era costituito dalle fortezze sul Dniepr (Zaporishkaja Sich). Si combatté in quest’area fra Cosacchi, Turchi, Polacchi, Svedesi e Russi. Vi furono anche due importanti rivolte di Cosacchi: quella di Stenka Razin e quella di Pugaciov.
La Guerra diCrimea costituì uno snodo fondamentale della storia europea, come testimonia il suo ruolo nella unificazione italiana, vedendo essa la nascita di una coalizione antirussa a cui partecipò il Regno di Sardegna, anticipatrice dell’ attuale “Kollektiv Zapada”, che contende alla Russia l’egemonia sulla Europa Orientale.
Durante la Guerra Civile Russa, l’Oriente dell’ Ucraina fu sede della repubblica di Kharkiv, dell’ effimero Stato “bianco” di Denikin, della repubblica anarchica di Makhnò e di quelle sovietiche del Donbass e Krivoj Rog. Successivamente alla vittoria sovietica, quelle regioni patirono in modo particolare l’Holodomor (la carestia nella Russia Meridionale), e la “campagna di dekulakizzazione”.
L’invasione e la spartizione della Polonia dopo il Patto Molotov Ribbentrop comportò lo scatenamento della guerra in tutta la regione pontica. Bandera e l’UPA, addestrati a Praga sotto l’egida di Rosenberg, entrarono a Leopoli in divise naziste, proclamando lo Stato indipendente ucraino, a cui si riallaccia l’attuale narrativa “nazionale” ucraina.
La battaglia di Stalingrado, decisiva per le sorti del conflitto, si svolse precisamente all’ incontro fra Don e Volga. L’area fra il Dniepr e il Volga fu il centro di fondamentali combattimenti fra l’Esercito Tedesco, spalleggiato da truppe italiane, rumene, ungheresi, francesi, slovacche, croate, e scandinave e da volontari anticomunisti di tutta Europa, dei Paesi arabi, dell’Asia Centrale e dell’India, e, dall’ altra, l’Armata Rossa.
La resa di von Paulus a Stalingrado e la “ritirata di Russia” delle truppe dell’Asse segnarono l’inizio della sconfitta di Hitler.
Su tutto questo si può consultare il nostro libro “Ucraina no a un’inutile strage”.
4.Urgenza della riforma delle Organizzazioni Internazionali
Come scrivevamo, la pace e la Fine della Storia erano state da sempre al centro degli sforzi per la creazione di un’ organizzazione internazionale, a partire dal trattato per la “Pax Aeterna” fra l’Impero romano e quello partico, per passare al “Landfridt” della Dieta di Worms, continuando con il Nouveau Cynée di Emeric Crucé e il Trattato per la Pace Perpetua di Saint-Pierre, con i suoi commenti da parte dei grandi illuministi, fino alla Santa Alleanza e alle conferenze per la Pace di fine ‘800. Tutti questi movimenti non arrestarono minimamente le moltissime guerre degli ultimi due millenni. Men che mai a ciò servirono la Società delle Nazioni e le Nazioni Unite.
Infatti, premesso che un certo grado di conflittualità è inevitabile se si vuole evitare un totalitario potere mondiale (lo Stato Mondiale di Juenger), un certo qual controllo di tale conflittualità è possibile solo se : (i) si accetta un certo grado di imperfezione delle cose umane; (ii)si mettono sul tavolo le reali cause dei conflitti.
Non per nulla l’attuale situazione è nata dal fallimento della pretesa internazionalistica del bolscevismo, e dalla conseguente sostituzione dell’URSS con la Comunità di Stati Indipendenti (tutt’ora viva e vegeta).
Orbene, oggi, quelle due condizioni non sembrano soddisfatte.
Quanto alla prima, tutti, compresi i promotori di un nuovo ordine mondiale (tranne la Cina), si propongono quali portatori di un’idea salvifica millenaristica di ordinamento internazionale, quand’anche differente tanto da quella sovietica, quanto da quella americana.
Quanto alla seconda, nessuno sta considerando che la reale causa dei conflitti, seppure parziali, in corso, risale alla pretesa occidentale di creare un potere mondiale unitario, pretesa contestata dalle altre parti del mondo. Prima di iniziare l’Operazione Militare Speciale, la Russia e la Cina avevano espresso chiaramente questo loro obiettivo di sventare il progetto americano di “Fine della Storia” attraverso la creazione di nuovi “paesi satelliti”, come l’Ucraina e Taiwan, destinati a corrodere l’identità di Russia e Cina, per sostituirle con piccoli Stati teleguidati dall’ Occidente (come accaduto per esempio con i Baltici o con l’Iraq “cantonalizzato”).
Andare incontro alle esigenze di tutti significa invece riconoscere Cina, Russia, Iran, Corea del Nord (ma anche India, Brasile, Cuba), come interlocutori pienamente legittimi e “di pari grado”, senza progettare la loro distruzione e sostituzione con nuovi Stati “rivoluzionari”, come faceva a suo tempo l’URSS.
Più in generale, i conflitti nel mondo si potranno almeno attutire quando tutte le grandi aree del mondo possederanno un loro ecosistema digitale autonomo, corrispondente alla loro specifica identità, e non potranno più, di conseguenza, essere controllati centralmente a distanza da Salt Lake City, dalla Silicon Valley o da Langley.
L’allargamento dei BRICS a inizio 2024 verso Iran, Etiopia, Egitto ed EAU e il vertice dei BRICS, attualmente in corso a Kazan’,iniziano a configurare, nella pratica, la visione cinese di una coalizione di stati capaci di sfidare l’egemonia occidentale. Oggigiorno, i BRICS rappresentano il 45 percento della popolazione mondiale e una quota del Pil (PPP) che supera quella del G7. Nonostante che i BRICS, su carta, ben supportino l’agenda di Pechino, la Cina è consapevole che, all’interno del gruppo, continuano a sussistere tensioni che potrebbero andare ad inficiare la coesione del progetto e il raggiungimento di obiettivi comuni. Paesi come India e Brasile, soprattutto, seppur partecipino attivamente alla vita dei BRICS, non mantengono le medesime posizioni anti-occidentali di Cina e Russia.
Manca però ancora un discorso culturale unificante, in grado di cogliere, pur salvaguardando la “poliedricità” del mondo, dei punti di incontro, per esempio, fra il socialismo con caratteristiche cinesi, il conservatorismo russo, il terzomondismo tradizionale, il panislamismo e l’hindutva, alla luce della transizione verso l’era delle Macchine Intelligenti.
Per questo, nessuno è stato ancora in grado di formulare proposte motivate circa la fine dei conflitti in corso, o almeno per una tregua.Per quanto riguarda il caso ucraino, avevamo indicato che una soluzione potrebbe venire dal riconoscimento del carattere europeo di Russia e Turchia, il che porterebbe automaticamente a un ruolo centrale dell’ Ucraina, e conseguentemente al venir meno della conflittualità fra questi tre poli.
Qualcosa di analogo potrebbe avvenite anche con Israele, nell’ ambito di una “Magna Europa” fondata, non già come l’Occidente attuale, sulle religioni secolarizzate, bensì sul ritorno all’humus culturale comune dell’ “Epoca Assiale” (cfr. Simone Weil, Saint-Exupéry, Eisenstadt, Eliade, Assmann, Frankopan).
4.Urgenza della riforma delle Organizzazioni Internazionali
Come scrivevamo, la pace e la Fine della Storia erano state da sempre al centro degli sforzi per la creazione di un’ organizzazione internazionale, a partire dal trattato per la “Pax Aeterna” fra l’Impero romano e quello partico, per passare al “Landfridt” della Dieta di Worms, continuando con il Nouveau Cynée di Emeric Crucé e il Trattato per la Pace Perpetua di Saint-Pierre, con i suoi commenti da parte dei grandi illuministi, fino alla Santa Alleanza e alle conferenze per la Pace di fine ‘800. Tutti questi movimenti non arrestarono minimamente le moltissime guerre degli ultimi due millenni. Men che mai a ciò servirono la Società delle Nazioni e le Nazioni Unite.
Infatti, premesso che un certo grado di conflittualità è inevitabile se si vuole evitare un totalitario potere mondiale (lo Stato Mondiale di Juenger), un certo qual controllo di tale conflittualità è possibile solo se : (i) si accetta un certo grado di imperfezione delle cose umane; (ii)si mettono sul tavolo le reali cause dei conflitti.
Non per nulla l’attuale situazione è nata dal fallimento della pretesa internazionalistica del bolscevismo, e dalla conseguente sostituzione dell’URSS con la Comunità di Stati Indipendenti (tutt’ora viva e vegeta).
Orbene, oggi, quelle due condizioni non sembrano soddisfatte.
Quanto alla prima, tutti, compresi i promotori di un nuovo ordine mondiale (tranne la Cina), si propongono quali portatori di un’idea salvifica millenaristica di ordinamento internazionale, quand’anche differente tanto da quella sovietica, quanto da quella americana.
Quanto alla seconda, nessuno sta considerando che la reale causa dei conflitti, seppure parziali, in corso, risale alla pretesa occidentale di creare un potere mondiale unitario, pretesa contestata dalle altre parti del mondo. Prima di iniziare l’Operazione Militare Speciale, la Russia e la Cina avevano espresso chiaramente questo loro obiettivo di sventare il progetto americano di “Fine della Storia” attraverso la creazione di nuovi “paesi satelliti”, come l’Ucraina e Taiwan, destinati a corrodere l’identità di Russia e Cina, per sostituirle con piccoli Stati teleguidati dall’ Occidente (come accaduto per esempio con i Baltici o con l’Iraq “cantonalizzato”).
Andare incontro alle esigenze di tutti significa invece riconoscere Cina, Russia, Iran, Corea del Nord (ma anche India, Brasile, Cuba), come interlocutori pienamente legittimi e “di pari grado”, senza progettare la loro distruzione e sostituzione con nuovi Stati “rivoluzionari”, come faceva a suo tempo l’URSS.
Più in generale, i conflitti nel mondo si potranno almeno attutire quando tutte le grandi aree del mondo possederanno un loro ecosistema digitale autonomo, corrispondente alla loro specifica identità, e non potranno più, di conseguenza, essere controllati centralmente a distanza da Salt Lake City, dalla Silicon Valley o da Langley.
L’allargamento dei BRICS a inizio 2024 verso Iran, Etiopia, Egitto ed EAU e il vertice dei BRICS, attualmente in corso a Kazan’,iniziano a configurare, nella pratica, la visione cinese di una coalizione di stati capaci di sfidare l’egemonia occidentale. Oggigiorno, i BRICS rappresentano il 45 percento della popolazione mondiale e una quota del Pil (PPP) che supera quella del G7. Nonostante che i BRICS, su carta, ben supportino l’agenda di Pechino, la Cina è consapevole che, all’interno del gruppo, continuano a sussistere tensioni che potrebbero andare ad inficiare la coesione del progetto e il raggiungimento di obiettivi comuni. Paesi come India e Brasile, soprattutto, seppur partecipino attivamente alla vita dei BRICS, non mantengono le medesime posizioni anti-occidentali di Cina e Russia.
Manca però ancora un discorso culturale unificante, in grado di cogliere, pur salvaguardando la “poliedricità” del mondo, dei punti di incontro, per esempio, fra il socialismo con caratteristiche cinesi, il conservatorismo russo, il terzomondismo tradizionale, il panislamismo e l’hindutva, alla luce della transizione verso l’era delle Macchine Intelligenti.
Per questo, nessuno è stato ancora in grado di formulare proposte motivate circa la fine dei conflitti in corso, o almeno per una tregua.Per quanto riguarda il caso ucraino, avevamo indicato che una soluzione potrebbe venire dal riconoscimento del carattere europeo di Russia e Turchia, il che porterebbe automaticamente a un ruolo centrale dell’ Ucraina, e conseguentemente al venir meno della conflittualità fra questi tre poli.
Qualcosa di analogo potrebbe avvenite anche con Israele, nell’ ambito di una “Magna Europa” fondata, non già come l’Occidente attuale, sulle religioni secolarizzate, bensì sul ritorno all’humus culturale comune dell’ “Epoca Assiale” (cfr. Simone Weil, Saint-Exupéry, Eisenstadt, Eliade, Assmann, Frankopan).
Il Governo Meloni si è posto giustamente fin dall’ inizio un problema effettivo: quello dell’“egemonia culturale” nel mondo postmoderno, sulla quale si sono spese oramai tonnellate d’inchiostro, e si stanno ancora scrivendo molti libri.
Contrariamente a quanto sembrerebbe emergere dai limitatissimi dibattiti nostrani, si tratta di una questione addirittura universale, derivante dalla transizione epocale in corso nel mondo intero, in un sistema dominato dalla cultura di massa. Dovunque imperversa più che mai un nuovo “Kulturkampf”, una lotta fra sette ideologizzate per imporre la coincidenza della propria ideologia con la “vera” missione della propria Nazione (la democrazia, l’armonia, la fede, il monoteismo, il politeismo). Questione non marginale anche da noi, visto che i vertici delle nostre Istituzioni ribadiscono quotidianamente la centralità di una nostra ”ideologia nazionale” (i “Valori Condivisi”), anche se ciascun gruppo ha idee lievemente diverse sul loro contenuto. In Usa, fra Suprematisti Bianchi e intellettuali Woke; in India, fra Hindutva e identità minoritarie; nell’ Europa Orientale, fra l’interpretazione russa della storia e quella ucraina; in Palestina, fra la vulgata biblica e quella cananea; nei Balcani, fra Greci e Macedoni….
Ora, questo Kulturkampf è arrivato fino nell’ aula del Parlamento Europeo, con il Presidente pro-tempore dell’Unione e la Presidentessa della Commissione che si sono affrontati a pochi metri di distanza in uno scontro degno, non già di due Istituzioni europee ispirate al dialogo istituzionale per la difesa dell’Europa, bensì dei leader di due rivali gruppuscoli estremisti sessantottini. E non ha stonato, perciò, in questo clima, l’intervento di Ilaria Salis, epigona di quel periodo storico. Del resto, quel che resta del dibattito politico è un pallido strascico della “Lunga Marcia Attraverso le Istituzioni” di Rudi Dutschke, nelle sue due versioni, gauchista e misoneista.
Ben venga, per altro, questo rinnovamento della conflittualità, che ci permetterà ben presto di portare dinanzi al Parlamento Europeo la questione della “vera” identità europea, che dovrebbe essere al centro dei suoi interessi (cfr. il nostro “Quaderno” “Verso le elezioni europee, I partiti europei nella tempesta”).
Occorre però avvertire che, in questo contesto, i termini “Destra” e “Sinistra”, tanto centrali nell’Ottocento e Novecento, hanno oramai un valore puramente archeologico, perché il conflitto centrale del XXI è quello fra Post-Modernità (principio d’indeterminazione, multiculturalità, multipolarismo, Stati-Civiltà) e Post-Umanesimo (Singularity, egualitarismo, one-worldism, politicamente corretto, cultura Woke).
1.La traslazione dell’egemonia culturale in funzione della Terza Guerra Mondiale
La scena a cui abbiamo assistito a Strasburgo ci dice però soprattutto che la guerra in corso in Ucraina, in Palestina e in Libano sta imponendo ovunque uno stile militarizzato dei comportamenti (simile a quello fra il 1914 e il 1950), che è arrivato al cuore delle Istituzioni Internazionali e dell’ Europa.
In particolare, la contrapposizione fra l’“egemonia culturale della sinistra” e quella ambita dalla destra costituisce semplicemente il riflesso italiano di uno spostamento culturale in corso negli “establishment” del mondo intero in preparazione della Terza Guerra Mondiale (quella cosiddetta fra le “Democrazie” e le “Autocrazie”, che dovrebbe costituire un “sequel” della Seconda – fra le “Democrazie” e i “Fascismi”-). E, difatti, così essa era stata progettata fin già da Churchill, che l’aveva chiamata “Operation Unthinkable”, e che si sta tentando di realizzare ora. In vista di quell’”operazione”, sarebbe occorso recuperare (con Gladio), all’alleanza occidentale, una parte del postfascismo, che avrebbe potuto, meglio delle ideologie centriste, fornire una giustificazione teorica credibile all’ aspetto bellicistico, autoritario e conquistatore della democrazia americana (il Maccartismo). Infatti, l’interpretazione tradizionale delle società occidentali come società fondamentalmente “progressiste” (millenarismo, nichilismo, egualitarismo, femminilizzazione, pacifismo, edonismo) le spinge naturalmente verso l’auto-distruzione, il che ostacola gravemente la preparazione bellica. Perciò molti, riallacciandosi all’ “Operazione Unthinkable”, al Maccartismo e a Gladio, sottendono che quando si parla di “Destra” si parli in realtà di “Postfascismo”. Ancor più precisamente, si tratta, a nostro avviso, di una battaglia sull’ interpretazione storica del postfascismo, in quanto, tanto il Regno del Sud e il CLN, quanto la Repubblica Sociale, potevano essere considerati collettivamente come “postfascisti”, non solo per l’ovvio motivo che il PNF era stato appena sciolto e quindi tutta la società ne era profondamente impregnata, ma anche e soprattutto perché, in un modo o nell’ altro, tutti ne riprendevano “pro quota” l’ideologia, l’organizzazione e la prassi, che proprio per questo non sono mai finite: chi il “culto della personalità”, chi la retorica rivoluzionaria, chi l’organizzazione di massa, che il sindacalismo, chi il machismo, chi i rapporti con la Chiesa o gl’industriali. E tutti lo spirito militaresco: alla “Gladio Nera” si opponeva la “Gladio Rossa”, e ben presto sarebbero sopravvenuti le Brigate Rosse e la Rote Armee Fraktion.
Sono questi “residui” del Ventennio che sono ritornati interessanti per l’Occidente, perché permettono di formare militari motivati (se non fanatici), come quelli di Tsahal e del Battaglione Azov.
La destra italiana è rimasta così identificata da tutti, in sostanza, con la difesa delle ragioni di chi aveva scelto la Repubblica Sociale o il Regno del Sud, e la Sinistra con coloro che pretendevano di riallacciarsi al CLN (il tutto con grossolane forzature, di cui l’esempio più eclatante è “Bella Ciao”, che non fu mai cantata dai partigiani, ma si inventò molti anni dopo per nascondere “Fischia il vento e soffia la bufera”). Il che spiega gli accaniti dibattiti su questioni storiche ormai fuori tempo massimo.
Poiché si tratta oggi di dare una giustificazione ideologica alla “guerra contro le autocrazie”, si tenta dunque di separare e salvare il nocciolo “progressista” del fascismo (popolo e nazione, plebisciti, modernizzazione, borghesia), che ne farebbero un movimento “occidentale”, dalle sue (queste, accidentali) componenti tradizionalistiche (culto dell’ antico, clerico-fascismo, patriarcato, militarismo, gerarchia), che invece lo renderebbero affine alle attuali “autocrazie” (regimi diversissimi fra di loro, ma spesso accomunati dal culto dei miti ancestrali, dalla teocrazia, dal machismo, dal ruolo dell’ esercito, da strutture verticali di potere). Una sintesi che per altro nessuno, che noi sappiamo, è stato ancora in grado di operare, ma che andrebbe fatta.
E’ in questo contesto che la Destra può credibilmente sostenere che, a partire dal secondo dopoguerra, si è perpetuata , sotto lo slogan dell’ antifascismo, un’ egemonia culturale della Sinistra, vale a dire degli eredi ideologici putativi del CLN (che accomunavano marxisti e filo-occidentali), e che tale egemonia deve ora finire (per aprire la nuova fase, quella dell’”alleanza contro le autocrazie”, in cui l’elemento discriminante sarà l’occidentalismo). Sul fatto che quell’egemonia vi sia stata, nulla quaestio; sul perché, è altrettanto ovvio: l’Asse era stato sconfitto dagli Alleati, e la monarchia con il referendum, sicché i ceti intellettuali preesistenti erano stati costretti a cercarsi nuovi sponsors.
Date quelle premesse storiche, altrettanto ovvie le debolezze ideologiche della Destra, che, avendo ripreso (anch’essa indebitamente) le eredità già fra loro confliggenti del Fascismo-Regime, del Fascismo-Movimento, della Repubblica Sociale e della tradizione risorgimentale sabauda (fosse essa monarchica, liberale o mazziniana), era stata indebolita ulteriormente , da un lato dalle defezioni opportunistiche, e, dall’ altro, dalle obiettive discriminazioni (epurazioni e altre).Ma, soprattutto, la Destra post-bellica sarà di fatto molto lontana dal fascismo perché il discredito di quest’ultimo aveva permesso il riemergere, seppure in sordina, di correnti culturali antimoderne prima marginali (come lo spiritualismo e il liberalismo conservatore), in concorrenza con esso. Inoltre, la centrale presenza della Democrazia Cristiana toglieva peso tanto alla Sinistra quanto alla Destra. Infine, l’Occidente a guida americana non rispondeva affatto all’ immagine che se ne facevano i conservatori italiani: era animato dal messianesimo protestante, e quindi anti-cattolico; alimentava nel suo seno il Post-Umanesimo; era la culla (allora incompresa) dell’ ideologia gender…
In effetti, un vero identikit della destra non è mai stato disegnato da nessuno, e oggi è troppo tardi per farlo, perché Destra e Sinistra si sono oramai sciolte, sostituite dalla lotta fra Post-Modernità e Post-Umanesimo. Oggi sarebbe invece ora di sviluppare una teoria unitaria del mondo multipolare, con le sue diversità e i suoi progetti comuni, e del suo avversario, la Singularity.
La Sinistra aveva avuto a prima vista un gioco relativamente facile a denunziare le incoerenze, l’ignoranza, la grettezza, la limitatezza della “cultura di destra”, portata avanti per decenni da alcuni pochi volenterosi, i quali, incuranti della sconfitta, delle ristrettezze, delle persecuzioni, hanno perseverato in modo individualistico, scoordinato e quasi segreto a lavorare su vecchi autori e vecchi concetti.
E, tuttavia, occorre intanto notare che neanche la cultura di Sinistra, nonostante il favore dei potenti, la propaganda, le prebende, le carriere, le case editrici, i media, ha prodotto, in 80 anni, un solo D’Annunzio, Pirandello, Ungaretti, Marconi, Puccini, Mascagni, Gentile, Evola, De Chirico, Marinetti, Sironi…La sua vittoria è stata importata dall’ esterno e sterile. Chi creava e inventava in quegli anni stava altrove: Eliade, Asimov, Burgess, Horkheimer e Adorno, Buber, Eisenstadt, Wiener, Tarkovskij, Kieslowsky, Lukàcs, Sartre, Heidegger, Solzhenicin, Voegelin, Marcuse, Kissinger…Lo stesso dicasi dell’ enorme sproporzione fra il peso politico della DC e la sua incapacità di animare una forte cultura, sicché la cultura di destra, recuperando autori del passato o operanti fuori dall’ Italia, aveva comunque acquisito, nonostante le sue pecche, una sua dignità culturale, come testimoniato dal gran numero di case editrici e riviste culturali. Tutto ciò è però oggi sostituito da Post-Modernità e Post-Umanesimo.
Ciò detto, l’idea gramsciana di un’ “egemonia culturale” piace oggi a molti, perché è, in un mondo di ipocrisia “democratica”, un modo elegante e sfuggente per parlare bene della “dittatura”(di sinistra o di destra). E’ noto infatti che Gramsci, teorizzando l’”egemonia culturale del Partito Comunista”, prendeva sostanzialmente posizione per una politica dei Fronti Popolari, poi realizzata pienamente in Germania Est, Polonia e Jugoslavia, che da noi veniva invece stigmatizzata come “dittatura comunista”, ma veniva poi praticata di fatto con il nome di “Arco Costituzionale”.
Orbene, l’idea dei “fronti popolari” (o “nazionali” : “narodnye fronty”) è stata , “mutatis mutandis” la stessa formula del Fascismo, vale a dire quella di una alleanza fra tutte le forze che rappresentano “il popolo”n si fronte a un’emergenza nazionale (la Guerra Tradita, il Biennio Rosso, il “Dolchstoss”). Si noti che, nel primo Governo Mussolini, c’erano, oltre ai fascisti (rappresentati da Mussolini, fresco di socialismo massimalista), socialdemocratici, anarco-sindacalisti, liberali, popolari e monarchici. L’”egemonia” spettava, ovviamente, ai fascisti. Per un breve periodo, perfino il PCI, illegale e fuoriuscito, aveva propugnato, sul modello cinese del KuomingTang, l’”entrismo” nel Partito Fascista (l’”Appello ai fratelli in camicia nera”).
Si noti però anche che, con “egemonia”, si vorrebbe descrivere una forma di potere basata sul “soft power”,mentre tanto l’egemonia comunista che quella fascista si reggevano solo in parte sulla cultura egemone, per altre sulla legge o sulla violenza di Stato. Per questo, sono state definite come “totalitarismo”. Ma Tocqueville, Voegelin, Molnar, Neumann e Marcuse hanno messo in evidenza che, in realtà, anche la “democrazia liberale” dell’ Occidente è una forma di totalitarismo, in quanto anch’essa è un’attualizzazione della cosiddetta “Nuova Società Organica” profetizzata da Saint Simon. Per ciò che ci riguarda più da vicino, poi, nell’attuale società “occidentale”, questa natura “totalitaria” è più evidente che mai, dato che tutte le informazioni su ciascuno di noi sono oramai contenute in modalità digitale nei server della NSA a Salt Lake City; che l’Italia è occupata da ben 113 basi americane; che vi è il divieto inviolabile (“tabù”) di rivelare le radici indeterminate e irrazionali di ogni cultura, e in primis quella moderna; che i “poteri forti” orientano di nascosto la società coperti dal più assoluto segreto; che solo chi accetta passivamente queste premesse è ammesso nei posti che contano; che tutto ciò è necessariamente coperto dall’ ipocrisia; che i comportamenti religiosi, politici, commerciali, artistici, e perfino sportivi, sono il risultato di quel formidabile meccanismo di “propaganda” ben descritto da Berneis nell’ omonimo libro e da Packard nei “Persuasori Occulti”; che, come dimostrato per esempio dalla vicenda di Cambridge Analytica, l’utilizzo di Internet ha peggiorato ulteriormente la situazione…Non manca neppure l’aspetto brutale, con Hiroshima e Nagasaki, il napalm, le Extraordinary Renditions, Gaza, l’UNIFIL…
La cosiddetta “egemonia culturale” s’identifica, nel linguaggio americano, con la “Finestra di Overton”, che delimita il campo dei modelli di pensiero ammessi nel “discorso pubblico”, che sono i soli a godere di una vera “libertà di pensiero”, mentre tutti gli altri (per esempio il relativismo assoluto, il neo-paganesimo, il nazi-fascismo, il tradizionalismo cristiano, ebraico e islamico, il pan-sindacalismo, il vetero-marxismo) non riescono a trovare nessun canale di espressione, e, quando, raramente, vi riescono, sono soggetti a ogni genere di rappresaglie.
A nostro avviso, l’egemonia culturale non è un concetto auspicabile, perché verte sull’ idea che vi sia un pensiero-guida che porta l’Umanità verso il progresso, e che, pertanto, si abbia diritto di imporre questo pensiero. Cosa che di fatto è avvenuta e avviene con la scuola laicistica ottocentesca, con la Dottrina del Fascismo, con la Memoria Condivisa, con i Valori Comuni europei. Si tratta in realtà dell’ ideologia di guerra dell’ Occidente, che la usa per delegittimare le culture orientali, pre-alfabetiche e pre-moderne, e, di conseguenza, l’attuale pretesa del “Sud del Mondo” di essere trattato su un piede di parità con l’Occidente.
Al contrario, oggi si impone, come ha detto Papa Francesco al Parlamento Europeo, una visione “poliedrica”, che permetta un reale dialogo fra le varie parti del mondo, rintracciando i “Valori spessi” comuni al di sotto della congerie dei “Valori Sottili”, specifici a ogni singolo continente, religione, nazione, ideologia, regione, ceto sociale, città o individuo (Hans Kueng).
2.Ineludibilità dell’esoterismo
La realtà è che nessuna società, e, in particolare, nessuna società democratica, può permettersi una completa trasparenza culturale (cfr. Nadia Urbinati).
In particolare, l’”Egemonia Culturale” è un portato del dominio della propaganda nelle società democratiche, teorizzato dal già citato Berneis, uno dei pensatori determinanti per la Modernità. Nelle società di massa, l’omogeneità culturale è un’esigenza primaria da tutti conclamata, ed attuata massicciamente attraverso i discorsi dei politici e degli opinionisti, i giornali, i libri di scuola….In queste società, dove l’ideologia ha sostituito la teologia (Lessing, Saint-Simon, Michelet, Mazzini, Trockij, Lunacarskij, Blok, Teilhard de Chardin), il ruolo dei media è comunque una forma di propaganda per il potere esistente, attraverso le mediazioni della scuola e dell’ editoria pubblica e privata. Innanzitutto, in questa società relativistica, non è possibile parlare apertamente proprio della inconoscibilità delle basi dei valori (Pascal, Nietzsche, Wittgenstein, De Finetti, Lukàcs), perché ciò scatenerebbe il caos politico e sociale, sì che opere fondamentali, come “Dialettica dell’ Illuminismo” e “Idealismo Pratico” abbiano penato enormemente per essere pubblicate. Il lavoro degl’intellettuali dev’essere censurato: per questo sono stati inventati il “politicamente corretto”, la “Cancel Culture” e la cultura Woke. Dalla censura deriva poi l’esigenza dell’autocensura, che si traduce in nicodemismo, esoterismo e appiattimento.
Fino dai tempi di Atene, solo i cittadini optimo jure della polis democratica potevano accedere ai Misteri Eleusini, e Roma ci ha lasciato tracce inequivocabili di esoterismo – dalle catacombe ai mitrei, ai templi di Iside-…
Averroè aveva teorizzato apertamente una cultura a due livelli: i filosofi, che parlano col Principe, e i teologi che parlano col popolo. Stessa teoria aveva espresso il cinese Zhuangzi, criticando l’universalista Mozi: “Insegnare questa dottrina ad altri non è amarli; richiedere a se stessi di praticarla non è amore di sé; le vie del santo non possono annullare i cuori dei mortali. Non sono la via del mondo. Solo Mozi ne è all’ altezza, ma tutti gli altri non ci riescono!”)
Ne era derivata la teoria della “doppia verità” dell’ averroismo latino. Il resto lo avevano fatto le Società Segrete, a cominciare dalla Massoneria.
Con Gramsci, la “teologia” marxista puntava a un’ egemonia culturale che si sarebbe affiancata alla cultura popolare italiana, che, per il nostro Autore, era quella cattolica. Non è chiaro se Gramsci ambisse a costituire una forma di sapere esoterico , per le élite (che la cultura marxista comunque ebbe) , lasciando al cattolicesimo il ruolo di cultura delle masse (divisione del lavoro tipica della Ia Repubblica). In realtà, il concetto di “nazional-popolare” lascia presumere che ambedue le culture potessero coesistere a tutti i livelli.
Per tutte queste ragioni, il gramscismo è sempre piaciuto alla politica di destra, a cominciare da Giancarlo Fini. Anche perché Gentile, e perfino Croce, erano stato cultori di Marx, al punto che buona parte dei marxisti italiani erano restati, nel fondo, o gentiliani, o crociani.
Quindi, nulla di nuovo nel libro del nuovo ministro della cultura Alessandro Giuli, “Gramsci è vivo, Sillabario per un’egemonia contemporanea”, che però, anche per i motivi sopra citati, può risultare utile per accreditare ulteriormente FdI come parte integrante del “consensus” progressista ed occidentale, di cui si afferma di voler difendere e diffondere i “valori”. Il che è, a sua volta, in Italia come nel resto del mondo, un passaggio storico necessario (anche se sotto molti aspetti discutibile) per la inevitabile “trasmutazione di tutti i valori” profetizzata da Nietzsche ed oggi grandiosamente in corso. Ad esempio, in Russia, si era partiti dal millenarismo di Trockij e Lunacarkij, per passare al riformismo della NEP, al conservatorismo staliniano, al nazionalismo della Grande Guerra Patriottica, alla Politica delle Nazionalità, al dissenso, alla Glasnost’, alla Perestrojka, al neo-liberalismo, al conservatorismo russo, e, infine, al tradizionalismo dell’era putiniana. Così pure in Cina avevamo avuto prima la Rivoluzione Culturale, poi le Quattro Modernizzazioni, e, ora, lo Xiaokang di Xi Jinping.
Entro l’ atmosfera nicodemista dell’attuale politica culturale, persino l’ironico discorso inaugurale del neo-ministro Giuli alla Commissione Cultura ha avuto una sua logica, in quanto sarebbe stato impossibile illustrare seriamente in quel contesto siffatti complessi processi storici, e allora è più saggio fingersi pazzi, tenendone però il debito conto nell’ azione politica pratica…Se non altro perché un secolo di diseducazione ha disabituato gli Europei a ragionare con le proprie teste, sì che s’impone più che mai una comunicazione a più strati, suggestiva e allusiva, come quella propugnata da Averroè.
Quello che interessa però è il dopo. La politica culturale dell’Italia continuerà ad essere asservita al disegno globale della “Guerra fra le democrazie e le autocrazie”, e quindi, come scrive Lagioia su “La Repubblica”, ad essere concepita come un “parco a tema”? Oppure si sfrutterà l’opportunità offerta dalla “Trasmutazione di tutti i valori” in corso a livello mondiale, per una partenza veramente nuova, nella costruzione di una nuova identità europea che ci eviti la Seconda Guerra Civile Europea?
Giustamente, Massimo Recalcati indica la via verso una rinascita della società europea in una rinascita della capacità, da parte dei giovani, di desiderare. Ma questo significa fuoriuscire dalla mentalità occidentale, dove si pretende che la felicità sia un diritto costituzionale, mentre invece essa è uno stato esistenziale che sopravviene (come scriveva Nietzsche, solo se “non voluta”), come conseguenza della fedeltà tenace al proprio desiderio più alto. Non per nulla, Saint-Exupéry poneva al centro della propria opera più sistematica il valore de “la Ferveur”, ch’egli immaginava caratterizzare l’immaginario impero berbero intorno alla sua “Citadelle”.
Uno dei pochi pregi di questi Anni ’20 del XXI° Secolo è stato quello di aver portato in superficie le contraddizioni dell’età postmoderna, e, questo, soprattutto, nella nostra Europa:
-Prima contraddizione-la neutralità della tecnica, demitizzata dalla politicizzazione dell’ informatica
-Seconda contraddizione-la Fine della Storia, demitizzata dalla “Guerra senza Limiti”
-Terza contraddizione-la Pace Perpetua, demitizzata dalla guerra ormai millenaria in Palestina
Alla fine del secolo precedente ,era stata diffusa l’idea che l’economia sarebbe stata la forza trainante della politica, e ciò avrebbe reso la vita di tutti più semplice e pacifica. Ciò era stato interpretato, al tempo dell’ “egemonia culturale della sinistra”, come equivalente ad un preteso “carattere irreversibile del socialismo”, in quanto il marxismo avrebbe risolto in senso materialistico l’”Enigma della Storia”; poi, dopo la caduta del Muro, come il convergere di tutto il mondo sul modello consumistico (l’”Uomo a una Dimensione”), e, infine, dopo le Guerre del Golfo, come il sigillo del prevalere definitivo del sistema occidentale: la “Fine della Storia” teorizzata dal primo Fukuyama.
Negli ultimi decenni, si è visto invece che la storia, lungi dall’essere terminata, si è messa a correre più che mai, con l’Islam politico, la Società del Controllo Totale, il multipolarismo, i GAFAM, le guerre in Irak, Afghanistan, Georgia, Siria, Libia, Yemen, Ucraina, la Via della Seta….In questa storia rinnovata, l’informatica svolge non casualmente un ruolo centrale, con la Transizione Verde, i Droni, i Missili ipersonici, l’Intelligenza Artificiale, Echelon, Prism, Snowden, Assange, l’invasione di campo nella politica da parte di Kurzweil, Zuckerberg, Schmidt, Musk, Jack Ma…
In particolare, il Ventunesimo si annunzia, non già come la Pace Perpetua, bensì come un secolo di conflitti immani. Avevamo infine subito per tutto questo tempo un indottrinamento martellante circa il fatto che, grazie alla IIa Guerra Mondiale, all’Alleanza Atlantica e all’ Unione Europea, saremmo alfine pervenuti a quell’era fortunata, profetizzata nell’ Apocalisse e laicizzata da Kant e da Hegel, in cui, finiti tutti i conflitti, l’unico fatto rilevante per il divenire umano sarebbe stato lo sviluppo della scienza e della tecnica (la “Posthistoire” di Kojève e di Gehlen). Invece, non solo i conflitti ancestrali, come quelli palestinese-israeliano (che ha radici nella Bibbia), indo-pakistano (dei tempi delle invasioni islamiche) e greco-turco (che risale alla caduta di Costantinopoli), non hanno cessato d’infuriare in sempre nuove forme, ma perfino nel cuore dell’Europa si è riacceso ora più che mai, prima in Transnistria e in Georgia, e, poi in Ucraina, uno scontro fra la Russia e l’ Occidente, che rischia, secondo le stesse dichiarazioni dei protagonisti, di degenerare in una Terza Guerra Mondiale combattuta con armi atomiche.
Si tratta di una trasversale “guerra di religione”, fra i seguaci di un’interpretazione immanentistica e deterministica dell’Apocalissee i sostenitori di una concezione “aperta” della storia, che si apparenta alla Seconda Lettera di San Paolo ai Tessalonicesi, ma anche alle concezioni cicliche della storia, indica e sinica. Essa può anche essere definita, come avevano scritto dei generali cinesi, come una “Guerra Senza Limiti”, combattuta in tutti i campi della convivenza umana: teologia, cultura, società, scienza, tecnica, politica, economia…ma anche “sul campo di battaglia” (per usare un termine tornato drammaticamente di moda).
Sul “fronte europeo” di questa guerra combattono, dunque, da un lato, l’”ideologia californiana”, sintesi fra provvidenzialismo puritano e transumanesimo (incarnatasi nella NATO e nella UE), e, dall’ altro, l’idea paolina del Katèchon, tramandataci da Ottone di Frisinga, Timoteo di Pskov, von Baader, Dostojevskij, Soloviov, Schmitt , Pietro Barcellona, e, per ultimi, Dugin e il Patriarcato di Mosca. Esso si presenta dunque qui come una Guerra Civile, anzi, la prosecuzione (in termini più radicali) delle due Guerre Mondiali, già definite appunto, da Ernst Nolte, come “Guerra Civile Europea”. Infatti, sono europei tanto la Russia, quanto l’Ucraina, tanto i filo-americani, quanto i “sovranisti europei”. Anche ideologicamente, vengono mobilitati Cosacchi e Chiese ortodosse, la Terza Roma e l’Europa delle Nazioni, l’ebraismo internazionale e il Parlamento europeo….
Questa paradossale coincidenza fra le due parti in conflitto, che addirittura si confondono e si scambiano i ruoli, rende questa vicenda particolarmente dolorosa. Basti ricordare come le opere letterarie classiche (Nestore di Kiev, il Canto della Schiera del Principe Igor, Mazeppa, la Fontana di Bahcisaray, Taras Bul’ba, l’Armata a Cavallo..) non facciano alcuna distinzione fra i due Paesi in guerra oggi in guerra. Oppure guardare qualche puntata del serial “Sluga Naroda”, che ha costituito la singolare “campagna elettorale” dello Zelenskij attore comico. Nel serial, tutti, a cominciare da Zelenskij stesso, allora esclusivamente russofono e perfino ignaro dell’ Ucraino, parlavano russo, e, quando qualcuno si azzardava anche soltanto a parlare con accento ucraino, veniva sbeffeggiato da tutti nella sala del Consiglio dei Ministri di Kiev.
Quella dolorosa sensazione è ancor più acuita dalla confusione che si è riscontrata all’ Europarlamento sulla votazione circa l’autorizzazione all’ Ucraina all’uso delle armi occidentali contro il territorio russo, che ha dimostrato ancora una volta, qualora ce ne fosse bisogno, che, sulle grandi questioni storiche, l’”establishment” non ha un progetto per l’ Europa, e si lascia guidare, chi dal servilismo verso gli USA, chi da un ben motivato timore per le basi americane in Italia che custodiscono bombe nucleari, chi, infine, da riflessi condizionati del tempo della Guerra Fredda.
1.Fine degli equivoci europei
Il crollo dei tre miti, quello dell’egemonia dell’economia, quello della Fine della Storia e quello della Pace Perpetua, ha comportato automaticamente la perdita di credibilità delle Retoriche dell’Europa quali consolidatesi dopo la caduta del Muro di Berlino. Il progetto di integrazione europea quale delineatosi nell’ immediato Dopoguerra conteneva in effetti un elevato grado di ambiguità. Da un lato, la tradizione europeistica “alta” risalente a Ippocrate, Erodoto, Strabone, Eginardo, Dante, Dubois, Podiebrad, Sully, Saint-Pierre e Coudenhove-Kalergi, che vedeva l’ Europa unita come un’esigenza permanente di carattere geopolitico (una “Translatio Imperii” parallela a quelle della Cina e dell’ India, incarnantasi nell’”Ancienne Constitution Européenne” di Tocqueville). Dall’altra, l’ideologia della Fine dellaStoria, incarnatasi nel messianismo persiano ed ebraico, nel provvidenzialismo imperiale romano, nel gioachimismo, nella “Dissidence of Dissent” protestante (Anabattismo, Komensky, Puritanesimo),nella filosofia tedesca ( Kant, Hegel, Marx, Nietzsche), nel One-Worldism di Willkie e di Benda, nella teologia materialistica di Teilhard de Chardin, nel funzionalismo di Mitrany e di Haas, nello storicismo di Kojève e perfino nel federalismo di Spinelli e, soprattutto, di Albertini.
In una prima fase, che va dalla fondazione di Paneuropa da parte d Coudenhove Kalergi (1923) fino alla Dichiarazione di Copenhaghen del 1973 sull’Identità Europea, caratterizzato dall’ opera di Coudenhove Kalergi, Simone Weil, Duccio Galimberti, Altiero Spinelli, De Gaulle, Schuman.., le due tradizioni si erano equilibrate in un modo che tutto sommato corrispondeva alla “Ragion di Stato europea” delle Comunità Europee, stretta fra ortodossia atlantica e “modello sociale renano”.
Invece a partire dagli Anni Novanta, sotto l’influenza congiunta della “Lunga Marcia attraverso le Istituzioni” del Sessantottismo, teorizzata da Rudy Dutschke, dell’ Ideologia Californiana e del massiccio afflusso di reduci dal Socialismo Reale (come la stessa Merkel), s’impose sempre più la visione della costituenda nuova Unione Europea quale Fine della Storia, una visione parallela all’ideologia americana della Singularity Tecnologica, ambedue eredi dell’egemonia culturale marxista, che non poteva però più coniugarsi con il blocco del Socialismo Reale.
Il confluire di queste tendenze nichilistiche stava (e sta) portando l’Umanità, e comunque, l’Occidente, verso l’autodistruzione, generata dalla sostituzione dell’uomo con le macchine, passando per il nichilismo, il moralismo, il razionalismo, l’egualitarismo, la burocrazia, il Worldwide Web, Prism, l’ideologia gender, il Manifesto Cyborg, la Società del Controllo Totale, il Pensiero Unico, il Politically Correct, la bioingegneria…Sembrava certo che, come profetizzato da Kurzweil, l’”Ultimo Uomo” nietzscheano avrebbe passato le consegne alle “Macchine Spirituali”, vero “Uebermensch”, e queste avrebbero “deciso il destino dell’ Universo”, come scriveva, appunto, Kurzweil. Solo alcuni, isolati, autori (come Simone Weil e Pietro Barcellona ), avevano visto invece ”, sulla scia di Dostojevskij, l’ Europa quale punto di partenza per un rovesciamento della prospettiva modernistica (l’”Europa quale Katèchon).Una base, ahimè, troppo ristretta per fondarvi un vero movimento politico o anche culturale. In generale, prevaleva il pessimismo culturale (il “Mito Incapacitante”: Huxley, Asimov, Heidegger, Anders, Guénon, Evola, Zolla), finché, dal “di Fuori”, per dirla con Roberto Esposito, non sono venute le spinte che stanno sconvolgendo i termini della questione.
Il richiamo, fatto da Giorgia Meloni alla consegna del Global Citizen Award, al “Tramonto dell’ Occidente” è quindi anacronistico. Quel celeberrimo libro di Spengler si riferiva in realtà alla fine dell’ Occidente Europeo, che coincideva con l’inizio dell’ Occidente Americano, quale celebrato nel curriculum della Columbia University sui “Western Studies”. Il declino di oggi è invece quello dell’Occidente Americano, che, come diremo in conclusione, potrebbe essere una splendida occasione per la rinascita dell’ Occidente Europeo. Non è che gli Europei, contrariamente agli Americani, “si vergognino delle loro tradizioni”: essi si rendono semplicemente conto che queste (eccellenza, cultura alta, differenza) non sono le stesse dell’America (egualitarismo, “midbrow”, omologazione). Mentre il “patriottismo europeo” è un sentimento costruttivo e necessario (per quanto raro, e, quasi, casuale), il preteso “patriottismo occidentale” di nuovissimo conio è una trappola, che permette agli omologatori e alle Macchine Intelligenti di calpestare le nostre identità. Quello italiano infine, non può “funzionare” nella storia se non è parte di quello europeo.
2.Le metamorfosi del “Sud del Mondo”
Nel periodo che va dalla Conquista dell’ America alla creazione dell’Unione Indiana e della Repubblica Popolare Cinese (nel 1949), i popoli del Sud del Mondo, e, più in generale, quelli “non occidentali”, avevano subito la storia in modo essenzialmente passivo, dalla festa avvelenata ordita da Pizarro contro gl’Incas (cfr. Blas Valera, Exsul Immeritus), alla Tratta Atlantica, alla distruzione delle Reducciones, al Trail of Tears, alle Guerre dell’ Oppio, all’Assedio di Delhi, allo Stato Libero del Congo, alla dissoluzione degl’imperi ottomano e russo, fino alle bombe di Hiroshima e Nagasaki.
Oggi invece essi si pongono quale elemento propulsivo della cultura e dell’economia mondiale.
E’ vero che i “14 Punti” di Wilson, la Conferenza di Baku dell’ Internazionale Comunista e la “Sfera Asiatica di Co-prosperità” del Giappone avevano già affermato il principio della decolonizzazione, ma si trattava sempre e soltanto di spinte “umanitarie” dei nuovi Stati emergenti del Nord del Mondo, per portare dalla loro parte i popoli coloniali, sostituendo, al “colonialismo” classico, il “neo-colonialismo”.
Invece, con la creazione della Unione Indiana, della Repubblica Popolare Cinese e, perché no, anche di Israele, e con il classico “Dialettica dell’ Illuminismo” di Horkheimer e Adorno, iniziava ad affermarsi il principio della “Teshuvà” (Leo Strauss), del “ritorno” alle civiltà tradizionali. Il Mahatma Gandhi era vestito come un Sadhu dell’ India Meridionale, e usava l’arcolaio (oggi sulla bandiera dell’ India), metafora del “Cakravartin”, l’imperatore universale Hindu. La sua evoluzione ideologica era iniziata dalla lettura del Bhagavad Gita (il “Canto dell’ Illuminato” del Mahabharata); la sua prima opera programmatica, “Hind Swaraj”(“L’Indipendenza dell’ India”) partiva dal rifiuto della civiltà occidentale moderna..Anche l’inno della RPC incomincia con le parole “起来!不愿做奴隶的人们= alzatevi voi che non volete essere schiavi!”!
Inizia così la fase storica della vera e propria “decolonizzazione”, che avrà, come punti salienti, le rivoluzioni nazionali arabe e africane. Alla Conferenza di Bandoeng, il Sud del Mondo si identifica con i “Paesi non Allineati” e con la Cina. Tuttavia, questo movimento è ancora caratterizzato dall’ essere quei Paesi “in Via di Sviluppo”, per cui vi si destinavano programmi internazionali, appunto, di aiuto allo sviluppo. E’ solo con il crollo dell’Unione Sovietica che la Cina assurge a modello privilegiato per i Paesi non occidentali, e che la Russia intraprende un percorso di trasformazione, che la spinge, alla fine, a porsi come vertice ideologico del movimento di opposizione alla modernizzazione, riallacciandosi così alle tesi di Roma “Terza Roma” e alle profezie di Soloviov sull’ Anticristo. Nello stesso tempo, l’ascesa delle “Tigri Asiatiche”, e, poi, le “Nuove della Via della Seta” promuovono il sorpasso dell’Asia sull’ America quale centro economico e tecnologico del mondo, sospingendola alla ricerca di “Valori Asiatici” comuni quale contrappeso a quelli “Occidentali”.
C’è solo da chiedersi (come affermava alla TV russa Viaceslav Nikonov) se non sia un po’ paradossale che la Russia, il Paese nordico per eccellenza, si proponga come leader del Sud del Mondo.
La guerra generalizzata in corso in Ucraina, Medio Oriente e Sahel, che rischia in ogni momento di estendersi al Mar della Cina, e, quindi, al mondo intero, costituisce l’occasione in cui i ciascuno dei due contendenti: la NATO e il Sud Globale, rivelano in modo palese (anche se tutt’altro che esaustivo) le loro rispettive motivazioni, che vengono ricondotte soprattutto alla “lotta per il riconoscimento”. Il “Sud Globale” contesta all’ Occidente (e soprattutto agli Stati Uniti), di pretendere, pur rappresentando poco più del 10% della popolazione mondiale , di negare, in teoria come in pratica, ogni legittimità alla gran varietà di culture del mondo( fra cui anche l’ Europa), considerate semplice “preistoria” dell’ America. A sua volta, l’”Occidente”, nelle sua due varianti -imperial-progressista e isolazionista-populista- insiste nel suo “eccezionalismo”(che si traduce nell’ “eccezionalimo americano”). Le “regole” tanto invocate dall’ Occidente, si rivelano essere quelle che tutelano, come ha detto Boris Johnson, l’egemonia occidentale, e vengono perciò regolarmente disattese quando a fruirne potrebbero essere gli “altri”: pensiamo ad esempio all’ “autodeterminazione” dell’Europa dall’ America, della Catalogna dalla Spagna, del Donbass dalla Russia, della Palestina da Israele, che viene respinta quali lesione dell’ integrità territoriale di Stati sovrani nell’ ambito dell’ intoccabile Ordine Mondiale postbellico, mentre simili concetti non sono valsi per gli Stati Uniti nei confronti dell’ Inghilterra, degli Stati italiani pre-unitari invasi dal Regno di Sardegna, del Kossovo sottratto alla Serbia, di Timor Leste e del Sudan Meridionale. Del resto, l’intero diritto internazionale si regge sulla consuetudine e, in sostanza, sul diritto del più forte (“ex facto oritur ius”). La maggior parte degli Stati del mondo è di costruzione recente, frutto di compromessi fra le Grandi Potenze e/o di atti fondativi quanto meno equivoci. Dedurne l’esistenza di altrettante “Nazioni” con una loro autonoma missione nella Storia è quindi fuorviante. Si pensi all’ indipendenza degli USA, dovuta in gran parte all’influenza della Francia di Luigi XIV, o a quella della Grecia, concordata fra Russia, Inghilterra e Stati tedeschi, e ambedue fondate su quella “sostituzione etnica” che i pretesi “sovranisti” dicono di voler oggi evitare come il fumo negli occhi.
3.La lotta per l’Intelligenza Artificiale
Della contrapposizione fra “The West and the Rest”, teorizzata già da Huntington in “Clash of Civilisations” non viene posta tuttavia in evidenza la natura più profonda: questa Guerra di Religione fra due ideologie (“democrazie” e “autocrazie”) è in realtà solo l’aspetto exoterico di un conflitto più profondo ed esistenziale, fra, da un lato, l’Intelligenza Artificiale, e , dall’ altro le culture dell’ epoca assiale (San Jiao, Sanata Karma, cultura classica europea, Religioni del Libro, filosofie dei popoli pre-alfabetici). Infatti, l’Intelligenza Artificiale pretende oramai di costituire l’avvenire stesso del mondo, sostituendo il mondo umano, e riallacciandosi così alle sette apocalittiche e all’ idea di un Intelletto Attivo/Spirito Assoluto/Superuomo/Punto Omega, secondo cui “L’Uomo è qualcosa che va superato”. Mentre l’”Occidente” (Teilhard de Chardin, Kurzweil) saluta questa sostituzione come il compimento di antiche profezie le varie culture del mondo non intendono affatto essere “superate”, perché hanno, della storia, una visione ciclica (gli Eoni,il DaTong), quando proprio non ignorano addirittura (Cinese, Giapponese) il futuro grammaticale, oppure si attengono all’ idea paolina che la Parusìa “verrà come un ladro”, e non va “accelerata”.
Giacché, come affermato da gran tempo da Vladimir Putin, “chi controlla l’intelligenza artificiale controlla il mondo”, è ovvio che questa “guerra di religione” si combatta, in modo sempre più evidente, intorno all’ Intelligenza Artificiale. Già i progetti Echelon e Prism consistevano nel tentativo dell’Intelligence Community americana di avvolgere il mondo intero in una rete digitale capace di controllare ogni singolo movimento dell’ Umanità. Con i Social Networks, questo controllo si era diffuso a livello capillare attraverso le 6 grandi multinazionali americane dell’ informatica (i GAFAM). Come reazione, da un lato la Cina aveva creato le proprie multinazionali (i BAATX, di dimensioni ancor maggiori di quelle americane), e, dall’ altro, l’Unione Europea aveva tentato di mascherare la propria assenza con la pretesa efficacia extraterritoriale del proprio diritto dell’ informatica (il GDPR, l’Artificial Intelligence Act e il Digital Service Act), che però, come hanno dimostrato le sentenze Schrems, non può funzionare verso i GAFAM per la connivenza delle Autorità europee e nazionali con quelle americane. Del resto, il primo che abbia tentato di applicare in modo extraterritoriale il Digital Services Act una norma (per quanto assurda) del Digital Services Act (il Commissario Breton), si è dovuto dimettere nel giro di pochi giorni denunziando un preteso complotto contro di lui di Ursula von der Leyen.
I lodevoli principi (difesa della privacy, controllo umano sull’ AI) tradotti così male nella pratica dal legislatore europeo, sono stati invece recepiti in toto dalla legislazione cinese, con la sola differenza che, giacché la legge cinese è applicabile direttamente senza sconti alle multinazionali di quel Paese, ha portato immediatamente ad un’ondata di sanzioni (il “Crackdown sui BAATX”), fino a giungere all’ arresto di Jack Ma, il carismatico guru dell’informatica cinese, ridotto a un “silent partner” dell’impero da lui creato.
A questo punto, la lotta per il controllo dell’ AI si è frazionata in molti rivoli, confondendosi da un lato con la politica interna americana (con Musk che sostiene Trump e la Commissione Europea che pretende di censurare la sua creatura X), e con la guerra in Ucraina (con Musk che prima concede Starlink all’ Ucraina, poi gliela nega), e, dall’ altra, con la politica europea (la campagna, attualmente in corso su pressione delle multinazionali e capeggiata da Mario Draghi, per alleggerire le ,già inefficaci, norme sull’Intelligenza Artificiale, e l’ennesimo ,ma infruttuoso, rilancio, per esempio, da parte di Roberta Bria, della proposta di creare delle imprese informatiche europee –come se non esistessero già le inefficienti QWANT e GAYA-X, che occorrerebbe intanto far funzionare-).
Oggi, i GAFAM scendono nell’ arena politica “a gamba tesa”, con Schmidt che dirige ufficialmente la loro lobby al Congresso, Altman in bilico fra gli Arabi e Macron, e Musk che “premia” Giorgia Meloni a Washington, in attesa che Trump gli affidi un incarico di governo. E ne hanno ben d’ondevisto che c’è, una qualche timida mossa da parte dell’antitrust americano che agita per l’ennesima volta lo spuntato spauracchio dello “spezzatino” di Google (cosa che si sarebbe dovuta fare da decenni). Peccato che a nessuno venga in mente di fare un vero “spezzatino” come quello attuato dalla Cina, dove, per ogni servizio reso in Occidente dai GAFAM, c’è un analogo servizio cinese reso da uno o più BAATX, ma con un maggior numero di utenti e con più concorrenza.
La Russia, anche in considerazione delle diverse dimensioni del mercato e della diversità delle lingue, ha percorso un iter intermedio.Già a partire dalla metà degli anni Novanta, essa aveva proposto agli Stati Uniti una bozza di trattato internazionale sulla sicurezza delle informazioni che fu però rifiutata da Washington, in quanto – secondo gli Americani – implicava un controllo statale sui dati nel web (cosa che per altro negli USA è continua, da parte della NSA, come sanno Snowden e Schrems). La Russia propose poi, senza successo, la stessa nozione di sicurezza delle informazioni in seno alle Nazioni Unite (da sempre schierate a fianco dei GAFAM).
Nel 2014, la Russia ha adottato una legge che obbliga tutte le aziende che operano online a mantenere e gestire i dati dei cittadini russi su server locati sul territorio nazionale.. La legge dimostra anche il crescente allineamento politico tra Russia e Cina, dopo la firma di accordi bilaterali che delineano una visione condivisa per il futuro di internet. Uno di questi è l’accordo di cooperazione sulla sicurezza internazionale delle informazioni del 2015: già allora si sottolineò l’importanza di diffondere l’idea di un “internet sovrano”.
Nel 2019,è entrata in vigore anche una legge che vieta la diffusione online di “fake news” da parte di mezzi di comunicazione di massa e singoli cittadini, simile a quella europea che Breton ha improvvidamente tentato di applicare a Musk e a Trump. Questa stretta legislativa sulla libertà d’espressione può essere spiegata come tentativo per arginare le manifestazioni di dissenso popolare Tuttavia, la guerra in corso dimostra che il controllo su Internet serve, più che ad arginare proteste popolari, ad impedire alle piattaforme ostili di utilizzare i dati degli utenti nazionali, che sono, innanzitutto, una risorsa commerciale determinante, ma, soprattutto, forniscono dati fondamentali sulla preparazione bellica (andamento della popolazione e dell’ economia, consumo di energia e materie prime…, orientamenti dell’ opinione pubblica.. ), che permettono di orientare le azioni belliche nella guerra in corso.
Nonostante questo, la legge russa non prevede ,come quella cinese, l’isolamento totale dell’ internet nazionale da quello occidentale (e questa può essere la ragione di varie “débacles” nell’ Operazione Militare Speciale, dovute alla cooperazione delle intelligence occidentali), bensì si limita a porre in essere le condizioni per staccarsene in caso di emergenza. Paradossalmente, questa completa frattura non si è ancora verificata, forse perché (anche a causa delle dimensioni del mercato) le piattaforme russe non sono in grado di soddisfare tutte le esigenze degli utenti locali. La collaborazione con la Cina potrebbe colmare questa lacuna.
4.Le Grandi Piattaforme (GAFAM e BAATX) non sono imprese, bensì Stati totalitari
Nei giorni scorsi, il “team” di Facebook ha rimosso un articolo pubblicato sul sito “Nessun dorma” di Franco Cardini e, appunto, condiviso sulla sua pagina social. Franco Cardini ha risposto che “La motivazione iniziale – ‘il post non rispetta gli standard della community’ – risponde al solito refrain di una piattaforma che spesso non si fa scrupoli nel rimuovere contenuti “scomodi” che non rispondono al pensiero unico ma all’opinione individuale, “libera”, espressa altresì in modo civile. Forse nessuno di noi ha ancora veramente capito in cosa consistano ‘gli standard della community’ e quali siano le circumnavigazioni algoritmiche che decidono di rimuovere un contenuto senza troppi complimenti. “
Sul fatto che le piattaforme digitali siano un fenomeno abnorme, che stravolge tutti i concetti sui quali si sono basati fino ad oggi diritto ed economia, sono oramai d’accordo tutti, perfino l’FMI, che suggerisce agli USA di dare più spazio all’ antitrust, imbavagliato da quando, essendo caduto, nel 1989, il Muro di Berlino, i GAFAM hanno potuto esercitare senza limiti (anche e soprattutto a vantaggio della NSA) i loro poteri esorbitanti.
Come ha scritto su Milano Finanza Emilio Cavano, “abbiamo creato mostri. E’ tempo di arginarli.”
Nessuno, per altro, si è curato di descrivere nel dettaglio tutti i settori in cui l’informatica è determinante, e quindi i tipi di diritto con cui dovrebbe venire in contatto, e da cui dovrebbe, ma non viene , essere regolato. Tentiamo qui di farlo noi:
AREE DI ATTIVITA UMANE
RUOLO ATTUALE DEI GAFAM
DIRITTO APPLICABILE
Religione
La religione della tecnologia si è sostituita, come previsto da Saint-Simon e Teilhard de Chardin, a quelle tradizionali
Diritto costituzionale. Diritto ecclesiastico
Cultura
L’Intelligenza Artificiale si è sostituita a quella umana
Diritto dei mezzi di comunicazione
Politica
Il web è il principale canale di dibattito
Diritto costituzionale
Difesa
L’IT è essenzialmente spionaggio
Diritto sul segreto militare Diritto penale militare
Economia
I GAFAM sono le imprese con il maggior livello di capitalizzazione
Legislazione di banca e borsa Antitrust
Fiscalità
I GAFAM sfuggono quasi completamente al fisco
Diritto fiscale internazionale
Liberà di espressione
Il web, divenuto il più importante mezzo di comunicazione, condiziona pesantemente l’opinione pubblica
Legislazione sulla stampa, la censura e le elezioni
E’ impressionante che tutti i politici europei e nazionali intrattengano rapporti strettissimi con i guru dei GAFAM, che palesemente sfruttano il mercato europeo senza dare nulla in cambio, sottraendo all’ Europa miliardi di dati dei cittadini europei, senza mai neanche porsi la questione che invece si pongono a ragione le autorità cinesi e perfino americane, vale a dire che quei guru contano molto più di loro e hanno assoggettato i loro Stati ad una vera e propria tutela. Una tutela totalitaria, perché essa non ammette concorrenza: si infiltrano nelle nostre menti, le controllano e le censurano, e, comunque, spostano inimmaginabili flussi finanziari fuori dai nostri Paesi.
L’idea che la tecnica sia “neutra” è smentita dai fatti: i guru dell’ informatica sono dichiaratamente partigiani di una visione del mondo millenaristica, e costituiscono, con le loro idee, le loro alleanze, i loro soldi, le loro lobbies, le loro macchine, dei portatori potentissimi delle ideologie postumanistiche.
5.L’obiettivo dell’ Europa, ma anche delle Nazioni Unite, non può essere la Pace Perpetua
L’esperienza storica dimostra che il conflitto è coessenziale all’Umanità, come affermavano già Eraclito, Bertran de Borns, De Maistre, Nietzsche e Freud. Abolire l’alterità equivale ad abolire l’Umanità, come ben sapeva lo stesso Kant, a torto indicato come il cantore della “Pace Perpetua”. Infatti, come scriveva lo stesso Kant, non si può “raddrizzare il legno storto dell’ Umanità” (Isaiah Berlin). Proprio questo costituisce infatti la Hybris, fonte prima dell’ Eterogenesi dei Fini(Wolff), in forza della quale i comportamenti umani sortiscono normalmente l’effetto opposto a quello perseguito dai loro autori. Ciò che i Greci chiamavano “fthonos ton theon”(“invidia degli Dei”), la stessa che, nella mitologia mesopotamica e nella Bibbia, aveva provocato il Diluvio Universale, e che oggi si manifesta nelle nevrosi, nella disoccupazione tecnologica, nelle Macchine Intelligenti e nella minaccia atomica. Esempio tipico, il tentativo di Serse, descritto da Erodoto nelle sue Storie, di portare la Persia, con la conquista dell’intera Europa, a “confinare con il regno degli Dei”. Una pretesa millenaristica del mazdeismo ereditata, in Europa, non già dalle culture classiche, bensì dalle eresie delle Religioni del Libro, alle quali si è riallacciata la Modernità.
Per questo motivo, il “Patto per il Futuro” delle Nazioni Unite, appena adottato al Palazzo di Vetro con l’opposizione della Russia e dei suoi alleati e con l’astensione della Cina, suona come l’ennesima kafkiana “grida manzoniana” in un momento in cui centinaia di migliaia di soldati combattono su sempre nuovi fronti e gragnuole di missili, droni e altre armi intelligenti radono al suolo interi Paesi (come la Palestina, il Libano e il Donbass), mentre le potenze nucleari si minacciano reciprocamente l’uso dell’ arma nucleare. Basti, per convincersene, scorrere alcuni paragrafi del documento allegati al presente post.Questo, in palese contrasto con quanto affermato da Giorgia Meloni, che le organizzazioni internazionali non devono costituire un club dove si redigono “documenti inutili”.
Le Organizzazioni Internazionali, e perfino le Chiese, non raggiungeranno nessuno dei loro obiettivi fintantoché seguiranno la retorica di un mondo perfetto, mentre potranno invece essere determinanti se si renderanno conto che, oggi più che mai, l’obiettivo primario, comune a tutti, è quello di sopravvivere (alla fame, alle bombe, alle macchine intelligenti): obiettivo per altro brillantemente conseguito per molti millenni grazie alle culture tradizionali, e che rischia di andare perduto a causa della frenesia perfettistica imperante, che andrebbe stroncata alla base, con una dottrina totalmente opposta.
6.L’Europa deve passare dal campo dei fanatici millenaristi a quello della preservazione del Cosmo
Dalla più tenera infanzia, eravamo stati educati a credere a una Grande Narrazione occidentale che partiva dalla centralità del materialismo volgare rivestito di un moralismo ipocrita (la Prima Repubblica, le Comunità Europee); ci spiegava che la Storia è un faticoso percorso dalla scimmia al Superuomo (la “Teoria dello Sviluppo”); che i popoli antichi ed extraeuropei erano arretrati (Fukuyama); che i Moderni e gli Americani sono superiori (Huntington), e che il futuro dell’ Umanità sarebbe stato radioso (Teilhard de Chardin, Kurzweil). Se ci si provava ad obiettare che , mentre noi oggi siamo divenuti incapaci di creare (in tutti i sensi)perché le macchine ci hanno sostituiti, gli antichi avevano le piramidi e Gilgamesh, il Partenone e Omero, la Bibbia e il Colosseo, l’esercito di Terracotta e il Genji Monogatari, l’Alhambra e la Divina Commedia, l’Ermitage e i Sepolcri, tutti ti “saltavano addosso” in nome del Progresso. Ora, un po’ meno.
Oggi, questa Grande Narrazione si presenta nella sua forma più pura, quella dello “Scontro di Civiltà” teorizzato nel secolo scorso da Samuel Huntigton. Un blocco di parole d’ordine ”auf nichts gestellt”, per dirla con Goethe,cioè di assai dubbio significato, messe insieme e ripetute maniacalmente per dare una fittizia illusione di realtà e coerenza: Centralità dell’ Uomo, Libertà, Democrazia, Governo delle Regole, Nazione, Autodeterminazione, Integrità Territoriale, Comunità Internazionale, Multilateralismo.
Ammesso che avessero originariamente un senso reale, l’hanno perduto con la Guerra Fredda, il crollo dell’ URSS, l’informatica, le Covert Operations…
Oggi, invece, l’”establishment” dovrebbe addirittura esercitare una radicale autocritica, constatando che la scienza moderna ha distrutto la fede nel mondo obiettivo (Wittgenstein, Heisenberg, De Finetti, Feierabend); che lo sviluppo della cultura comporta anche la crescita della violenza (Auschwitz, Hiroshima, Nagasaki); che la tecnologia non sa più come ovviare ai suoi “effetti collaterali” (surriscaldamento atmosferico); che Internet ci rende stupidi (Nicholas Carr); che l’obiettivo dell’ Intelligenza Artificiale è la distruzione dell’ Umanità (Bill Joy, Martin Rees). Contrariamente a quanto scrive Ezio Mauro su “La Repubblica”, non solo, nel “sistema occidentale”, non siamo mai stati liberi, ma tanto meno lo siamo ora nell’ Era delle Macchine Intelligenti. E’ vero che, come scrive Mauro, l’Intelligenza Artificiale e la guerra stanno anche stravolgendo concetti che parevano consolidati – nel caso specifico, quello di libertà-. Ma questo stravolgimento era in corso da gran tempo nella cultura “mainstream”, per esempio con l’attribuzione di una connotazione di libertà a delle Rivoluzioni Atlantiche violente e genocidarie (pensiamo al colonnello Lynch, alle stragi di Lione); a movimenti nazionali non condivisi ed invece eterodiretti, per esempio dal Governo inglese, dalla Loggia Ausonia, dai finanziamenti occidentali a Mussolini…
A partire dalla Rivoluzione Americana e fino ad oggi, veniva considerato ovvio che qualunque impegno civico, a sinistra come a destra, fosse volto verso una “società ideale”, con più etica, più cultura, più scienza, più tecnica, più benessere per tutti (il “mondo migliore” a cui ha fatto riferimento ancor ieri a Washington Giorgia Meloni). Oggi, l’impegno civico presuppone invece una scelta, pro o contro un “nuovismo” privo di logica e di progetto, e comunque deve dare la priorità alla reale preservazione del cosmo, senza retoriche “gride manzoniane” che nascondono soltanto una generale complicità con l’avanzata della Società del Controllo Totale.
Giustamente, Giorgia Meloni ha affermato che occorre invece agire. Combattere per la libertà europea è cetamente, oggi,più necessario che mai, ma ciò non significa certo appiattirsi sugli ordini da Occidente per fare la “guerra contro le autocrazie”, bensì elaborare una strategia con cui l’Europa possa uscire da questa guerra come indipendente da tutte le potenze esterne, divenendo essa stessa un autonomo Stato-Civiltà, capace di dare il proprio contributo, innanzitutto intellettuale, alla lotta mondiale attualmente in corso per il controllo sulle Macchine Intelligenti e, quindi, per la sopravvivenza dell’ Umanità.
ALLEGATO
ESTRATTO DAL “PATTO PER IL FUTURO”DELLE NAZIONI UNITE
“Action 21. We will adapt peace operations to better respond to existing
challenges and new realities.
42. United Nations peace operations, understood as peacekeeping
operations and special political missions, are critical tools to maintain
international peace and security. They face increasingly complex challenges
and urgently need to adapt, taking into account the needs of all Member States
and troop- and police-contributing countries, and the priorities and
responsibilities of host countries. Peace operations can only succeed when
political solutions are actively pursued and they have predictable, adequat e
and sustained financing. We reaffirm the importance of enhanced
collaboration between the United Nations and regional and subregional
organizations, in particular the African Union, including their peace support
operations and peace enforcement authorized by the Security Council to
maintain or restore international peace and security. We decide to:
(a) Call on the Security Council to ensure that peace operations are
anchored in and guided by political strategies, deployed with clear, sequenced
and prioritized mandates that are realistic and achievable, exit strategies and
viable transition plans, and as part of a comprehensive approach to sustaining
peace in full compliance with international law and the Charter;
(b) Request the Secretary-General to undertake a review on the future
of all forms of United Nations peace operations, taking into account lessons
learned from previous and ongoing reform processes, and provide strategic
and action-oriented recommendations for the consideration of Member
States on how the United Nations toolbox can be adapted to meet evolving
needs, to allow for more agile, tailored responses to existing, emerging and
future challenges;
18
(c) Ensure that peace operations engage at the earliest possible stage
in planning transitions with host countries, the United Nations country team
and relevant national stakeholders;
(d) Take concrete steps to ensure the safety and security of the
personnel of peace operations and improve their access to health facilities,
including mental health services;
(e) Ensure that peacekeeping operations and peace support
operations, including peace enforcement, authorized by the Security Council
are accompanied by an inclusive political strategy and other non -military
approaches and address the root causes of conflict;
(f) Encourage the Secretary-General to convene regular high-level
meetings with relevant regional organizations to discuss matters pertaining
to peace operations, peacebuilding and conflicts;
(g) Ensure adequate, predictable and sustainable financing for African
Union-led peace support operations mandated by the Security Council in line
with Security Council resolution 2719 (2023) of 21 December 2023.
Action 22. We will address the serious impact of threats to maritime
security and safety.
43. We recognize the need to address the serious impact of threats to
maritime security and safety. All efforts to address threats to maritime
security and safety must be carried out in accordance with international law,
including particularly as reflected in the principles embodied in the Charter of
the United Nations and the 1982 United Nations Convention on the Law of the
Sea,13 taking into account other relevant instruments that are consistent with
the Convention. We decide to:
(a) Enhance international cooperation and engagement at the global,
regional, subregional and bilateral levels to combat all threats to maritime
security and safety, in accordance with international law;
(b) Promote information-sharing among States and capacity-building
to detect, prevent and suppress such threats in accordance with international
law.
Action 23. We will pursue a future free from terrorism.
44. We strongly condemn terrorism in all its forms and manifestations
committed by whomever, wherever, whenever. We reaffirm that all terrorist
acts are criminal and unjustifiable regardless of their motivation or how their
perpetrators may seek to justify them. We highlight the importance of putting
measures in place to counter the dissemination of terrorist propaganda,
preventing and suppressing the flow of financing and material means for
terrorist activities, as well as recruitment activities of terrori st organizations.
We reaffirm that terrorism and violent extremism conducive to terrorism
cannot and should not be associated with any religion, civilization or ethnic
group. We will redouble our efforts to address the conditions conducive to the
spread of terrorism, prevent and combat terrorism, build States’ capacity to
prevent and combat terrorism and strengthen the role of the United Nations
system. The promotion and protection of international law, including
international humanitarian law and international human rights law, and
respect for human rights for all and the rule of law are the fundamental basis
__________________
13 United Nations, Treaty Series, vol. 1833, No. 31363.
19
of the fight against terrorism and violent extremism conducive to terrorism.
We decide to:
(a) Implement a whole-of-government and whole-of-society approach
to prevent and combat terrorism and violent extremism conducive to
terrorism, including by addressing the drivers of terrorism, in accordance with
international law;
(b) Address the threat posed by the misuse of new and emerging
technologies, including digital technologies and financial instruments, for
terrorist purposes;
(c) Enhance coordination of the United Nations counter -terrorism
efforts and cooperation between the United Nations and relevant regional and
subregional organizations to prevent and combat terrorism in accordance
with international law, while considering revitalizing efforts towards the
conclusion of a comprehensive convention on international terrorism.
Action 24. We will prevent and combat transnational organized crime and
related illicit financial flows.
45. Transnational organized crime and related illicit financial flows can pose
a serious threat to international peace and security, human rights and
sustainable development, including through the possible links that can exist
in some cases between transnational organized crime and terrorist groups.
We decide to:
(a) Scale up efforts in addressing transnational organized crime and
related illicit financial flows through comprehensive strategies, including
prevention, early detection, investigation, protection and law enforcement,
tackling the drivers, and engagement with relevant stakeholders;
(b) Strengthen international cooperation to prevent and combat
transnational organized crime in all its forms, including when committed
through the use of information and communications technology systems, and
we welcome the elaboration of the draft United Nations Convention against
Cybercrime.
Action 25. We will advance the goal of a world free of nuclear weapons.
46. A nuclear war would visit devastation upon all humankind and we must
make every effort to avert the danger of such a war, bearing in mind that “a
nuclear war cannot be won and must never be fought”. We will uphold our
respective obligations and commitments. We reiterate our deep concern over
the state of nuclear disarmament. We reaffirm the inalienable right of all
countries to develop research, production and use of nuclear energy for
peaceful purposes without discrimination, in conformity with their r espective
obligations. We decide to:
(a) Recommit to the goal of the total elimination of nuclear weapons;
(b) Recognize that, while the final objective of the efforts of all States
should continue to be general and complete disarmament under effective
international control, the immediate goal is elimination of the danger of a
nuclear war and implementation of measures to avoid an arms race and clear
the path towards lasting peace;
(c) Honour and respect all existing security assurances undertaken,
including in connection with the treaties and relevant protocols of nuclear –
weapon-free zones and their associated assurances against the use or threat
of use of nuclear weapons;
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(d) Commit to strengthening the disarmament and non-proliferation
architecture and work to prevent any erosion of existing international norms
and take all possible steps to prevent nuclear war;
(e) Seek to accelerate the full and effective implementation of
respective nuclear disarmament and non-proliferation obligations and
commitments, including by adhering to relevant international legal
instruments and through the pursuit of nuclear-weapon-free zones to enhance
international peace and security and the achievement of a nuclear -weaponfree
world.
Action 26. We will uphold our disarmament obligations and commitments.
47. We express our serious concern at the increasing number of actions that
are contrary to existing international norms and non -compliance with
obligations in the field of disarmament, arms control and non -proliferation.
We will respect international law that applies to weapons, means and methods
of warfare, and support progressive efforts to effectively eradicate the illicit
trade in arms. We recognize the importance of maintaining and strengthening
the role of the United Nations disarmament machinery. An y use of chemical
and biological weapons by anyone, anywhere and under any circumstances is
unacceptable. We call for full compliance with and implementation of relevant
treaties. We reaffirm our shared determination to exclude completely the
possibility of biological agents and toxins being used as weapons and to
strengthen the Convention on the Prohibition of the Development, Production
and Stockpiling of Bacteriological (Biological) and Toxin Weapons and on
Their Destruction.14 We decide to:
(a) Revitalize the role of the United Nations in the field of disarmament,
including by recommending that the General Assembly pursue work that could
support preparation of a fourth special session devoted to disarmament
(SSOD-IV);
(b) Pursue a world free from chemical and biological weapons and
ensure that those responsible for any use of these weapons are identified and
held accountable;
(c) Address emerging and evolving biological risks through improving
processes to anticipate, prevent, coordinate and prepare for such risks,
whether caused by natural, accidental or deliberate release of biological
agents;
(d) Identify, examine and develop effective measures, including
possible legally binding measures, to strengthen and institutionalize
international norms and instruments against the development, production,
acquisition, transfer, stockpiling, retention and use of biological agents and
toxins as weapons;
(e) Strengthen measures to prevent the acquisition of weapons of
mass destruction by non-State actors;
(f) Redouble our efforts to implement our respective obligations under
relevant international instruments to prohibit or restrict conventional weapons
due to their humanitarian impact and take steps to promote all relevant
aspects of mine action;
(g) Strengthen our national and international efforts to combat, prevent
and eradicate the illicit trade in small arms and light weapons in all its aspects;
__________________
14 Ibid., vol. 1015, No. 14860.
21
(h) Address existing gaps in through-life conventional ammunition
management to reduce the dual risks of unplanned conventional ammunition
explosions and the diversion and illicit trafficking of conventional ammunition
to unauthorized recipients, including to criminals, organized criminal groups
and terrorists.
Action 27. We will seize the opportunities associated with new and
emerging technologies and address the potential risks posed by their
misuse.
48. We recognize that rapid technological change presents opportunities
and risks to our collective efforts to maintain international peace and security.
International law, including the Charter, will guide our approach to addressing
these risks. We decide to:
(a) Advance further measures and appropriate international
negotiations to prevent an arms race in outer space in all its aspects, which
engage all relevant stakeholders, consistent with the provisions of the Treaty
on Principles Governing the Activities of States in the Exploration and Use of
Outer Space, including the Moon and Other Celestial Bodies; 15
(b) Advance with urgency discussions on lethal autonomous weapons
systems through the Group of Governmental Experts on Emerging
Technologies in the Area of Lethal Autonomous Weapons Systems with the
aim to develop an instrument, without prejudging its nature, and other possible
measures to address emerging technologies in the area of lethal autonomous
weapons systems, recognizing that international humanitarian law continues
to apply fully to all weapons systems, including the potential development and
use of lethal autonomous weapons systems;
(c) Enhance international cooperation and capacity-building efforts in
order to bridge the digital divides and ensure that all States can safely and
securely seize the benefits of digital technologies;
(d) Continue to assess the existing and potential risks associated with
the military applications of artificial intelligence and the possible
opportunities throughout their life cycle, in consultation with relevant
stakeholders;
(e) Request the Secretary-General to continue to update Member
States on new and emerging technologies through the report of the Secretary-
General on current developments in science and technology and their
potential impact on international security and disarmament efforts.
III. Science, technology and innovation and digital cooperation
49. Science, technology and innovation have the potential to accelerate the
realization of the aspirations of the United Nations across all three pillars of its
work. We will only realize this potential through international cooperation to
harness the benefits and take bold, ambitious and decisive steps to bridge the
growing divide within and between developed and developing countries and
accelerate progress on the 2030 Agenda. Billions of people, especially in
developing countries, do not have meaningful access to critical life-changing
technologies. If we are to make good on our promise to leave no one behind,
sharing science, technology and innovation is essential. Innovations and
scientific breakthrough that can make our planet more sustainable and our
__________________
15 Ibid., vol. 610, No. 8843.
22
countries more prosperous and resilient should be affordable and accessible to
all.
50. At the same time, we must responsibly manage the potential risks posed
by science and technology, in particular the ways in which science, technology
and innovation can perpetuate and deepen divides, in particular the gender
gap and patterns of discrimination and inequality within and between
countries and adversely impact the enjoyment of human rights and progress
on sustainable development. We will deepen our partnerships with relevant
stakeholders, especially the international financial institutions, the private
sector, the technical and academic communities and civil society, and we will
ensure that science, technology and innovation is a catalyst for a more
inclusive, equitable, sustainable and prosperous world for all, in which all
human rights are fully respected.
51. Digital and emerging technologies, including artificial intelligence, play a
significant role as enablers of sustainable development and are dramatically
changing our world. They offer huge potential for progress for the benefit of
people and planet today and in the future. We are determined to realize this
potential and manage the risks through enhanced international cooperation,
engagement with relevant stakeholders, and by promoting an inclusive,
responsible and sustainable digital future. We have an nexed a Global Digital
Compact to this Pact in this regard.
Action 28. We will seize the opportunities presented by science, technology
and innovation for the benefit of people and planet.
52. We will be guided by the principles of equity and solidarity, and promote
the responsible and ethical use of science, technology and innovation. We
decide to:
(a) Foster and promote an open, fair and inclusive environment for
scientific and technological development and cooperation worldwide,
including through actively building trust in science and global collaboration on
innovation;
(b) Increase the use of science, scientific knowledge and scientific
evidence in policymaking and ensure that complex global challenges are
addressed through interdisciplinary collaboration;
(c) Encourage talent mobility and circulation, including through
educational programmes, and support developing countries to retain talent
and prevent a brain drain while providing suitable educational and working
Dopo mesi di attesa, è stato finalmente stato pubblicato il “Rapporto Draghi”, commissionato dalla Presidente von der Leyen, che avrebbe avuto l’ambizione (veramente sproporzionata) di risolvere l’annosa, e sempre più spinosa, questione del declino , economico ma anche civilizzatorio, etico, culturale, politico e militare, dell’ Europa.
Il documento è stato accolto, senza avere neanche il tempo di leggere le sue centinaia di pagine, da un coro di critiche provenienti da tutte le parti, a cominciare dal ministro tedesco Lindner, alla rivista online Politico, su base americana, fino al Movimento Europeo in Italia.Sergio Fabbrini, sulle pagine de “Il Sole 24 Ore”, si azzarda perfino a dire che il rapporto finirà probabilmente nel cassetto.
Abbiamo giusto avuto la possibilità di scorrere il documento, evidenziandone i passaggi più determinanti. Cercheremo di illustrare perché esso appaia anche a noi fortemente inadeguato in un momento in cui, di fronte a sfide inaudite (IIIa Guerra Mondiale, Società del Controllo Totale,declino economico), l’Europa avrebbe però anche davanti a sé, se lo volesse, importanti opportunità di salvezza , in particolare attraverso un’ autentica sovranità europea, in tutti i campi (culturale, sociale, politica, economica, giuridica, militare),opportunità che il documento sembra deliberatamente non voler cogliere, a nostro avviso per tre sostanziali motivi:
-è limitato all’ economia, senza considerare le fondamentali sfide culturali e politiche sottostanti;
-anche in campo economico, finge di non tener conto della subordinazione agli Stati Uniti dell’ Europa, che limita enormemente i margini di azione di quest’ultima anche in campo economico (vedi caso Olivetti, industria militare, dazi e sanzioni con Russia e Cina);
-minimizza deliberatamente il ruolo dell’ informatica nella società contemporanea, per non essere costretto a toccare gl’interessi di quella ristrettissima élite che oramai domina il mondo (i “GAFAM”).
Per questo, è necessario premettere, alle considerazioni specifiche sul Rapporto, una panoramica del contesto politico odierno, in cui esso s’inserisce
1.Le vittorie “sovraniste” alle recenti elezioni
I media dell’ establishment ci stanno sommergendo di allarmismo per l’esito delle elezioni tedesche (ma, prima ancora, slovacche, francesi, ungheresi….),che hanno premiato più che mai i cosiddetti “sovranisti”, senza però affrontare seriamente le ragioni di questi risultati. Secondo molti opinionisti, più che “sovranisti”, questi partiti sarebbero addirittura “neonazisti”, mentre a noi sembrano qualcosa di molto diverso, visto che, semmai, hanno una visione “kleindeutsch”(Piccolo-tedesca) della Germania (com’era quella di Bismarck, di Rathenau, dei congiurati del 20 luglio e della DDR, e che Hitler aveva invece contrastato) , non certo una visione “ariana” orientata verso un “Grossdeutsches Reich” imperiale, come quella dei nazisti. Si noti che il partito nazionaldemocratico, ostracizzato nella Repubblica Federale, faceva parte, nella DDR, del “Fronte Popolare” insieme al Partito Socialista Unitario (comunista), al Partito Liberal-Democratico e alla Democrazia Cristiana (Ost-CDU).
Questi e simili riferimenti fantasiosi e propagandistici al passato contribuiscono ulteriormente all’incomprensione dei grandi problemi dell’ Europa, passati e presenti, sì che s’impone una vera e propria “riscrittura della storia”.
Come ha affermato Sahra Wagenknecht, grande vincitrice, in Germania Orientale, con Alice Weidel, delle recenti elezioni amministrative in Turingia e Sassonia, la verità è che gli elettori tedeschi hanno semplicemente voluto uscire da una conflittualità con la Russia che, oltre a mettere in pericolo Germania (e Italia), con i loro magazzini pieni di testate nucleari americane, e quindi primi bersagli dei missili nucleari russi, ha palesemente portato alla rovina l’economia tedesca -occidentale come orientale-(e, indirettamente, anche quella italiana): basti guardare alla Volkswagen che, dopo la distruzione del North Stream, chiude le fabbriche in Germania, e agli Americani che vogliono riprendersi la Chrysler dalla Stellantis, sì che la Regione Piemonte è costretta a corteggiare i Cinesi per poter riavere una qualche industria automobilistica. Viene celebrato come una vittoria il fatto che, mentre Stellantis chiude Mirafiori, la Dongfeng abbia almeno aperto a Torino una concessionaria e abbia invaso di suoi modelli il Salone dell’ Auto.
Qui c’entra ben poco la presunta “mentalità autoritaria” dei cittadini dell’ Est tedesco e europeo (che io chiamerei piuttosto, con Gumilev, “Passionarnost’’, cioè, allo stesso tempo, impegno emotivo in ciò che si fa, e capacità di “soffrire” per conseguire obiettivi importanti e condivisi), quanto piuttosto una maggiore lucidità propria di chi ha potuto confrontare dal vivo le tre ideologie del Novecento, e quindi constatarne quella sostanziale equivalenza, fra di esse già rilevata da Eric Voegelin. Comunque, ci si chiede perché mai dovrebbero essere dei fans dell’ideologia anglosassone gli eredi degli Slavi Occidentali (Vendi, Sorbi, Lusaziani), di Martin Lutero, della Prussia, di Nietzsche e della DDR, e, in particolare, i cittadini di Karl-Marx-Stadt (ora Chemnitz).
In realtà, oggi è tutto il progetto degli establishment del secondo dopoguerra ad essere finito in crisi, a cominciare dall’economia per arrivare alla cultura. Come affermava Italia Oggi (“ O l’Europa è unita, oppure è niente”), questa è infatti la crisi della democrazia nazionale, vale a dire della democrazia dei singoli Paesi qui in Europa: “Stanno venendo al pettine le contraddizioni tra le dinamiche globali dell’economia e della finanza e il fragile tessuto della nazionalità/statualità della politica e delle politiche” (democratiche)….Le classi dirigenti di Francia, di Germania, di Inghilterra, di Spagna, d’Italia… hanno continuato a filtrare il mondo e a far politica interna e estera sulla base del consenso democratico dei propri elettorati. Potevano fare diversamente? No. Perché non soltanto i loro elettorati hanno continuato a collocarsi mentalmente nel mondo in base a immarcescibili vissuti e categorie, ma anche perché le strutture statuali e giuridiche sono nazionali.” Professionalità della politica, carattere nazionale degli Stati e democrazia rappresentativa hanno fra loro legami strettissimi: come messo in rilievo da vari autori, “simul stabunt, simul cadent”.
Nonostante la loro propaganda, gli Stati nazionali non sono più in grado di svolgere una qualche funzione reale in un mondo solcato da conflitti globali esistenziali, ai quali è impossibile non reagire.
1.Gli Stati-civiltà
Come scriveva Italia Oggi, “La causa ultima non è il collasso dell’ordine mondiale di Yalta. È la globalizzazione dell’economia, la globalizzazione della comunicazione e, si intende, l’ascesa di nuovi soggetti mondiali: Cina, India, Nigeria, Brasile ecc…”Infatti, “La globalizzazione è politicamente, giuridicamente e istituzionalmente ingovernabile dagli Stati nazionali…..” Eppure, “ Le opinioni pubbliche e i pubblici elettorali non vedono alternative possibili alle minacce della globalizzazione, pur sfruttandone tutte le opportunità, se non una: lo Stato-nazione..”
In realtà, le opinioni pubbliche europee sono pilotate per mille rivoli da una “società dell’1%”, con baricentro nel mondo anglosassone (cfr. Kipling, Mead), che ha manovrato da tre secoli la storia per sostituire gl’imperi europei (e anche quelli Qing e Mogul), con i manovrabili “Stati nazionali”(vedi i cosiddetti “Risorgimenti nazionali” , la “Guerra Civile Europea”, ma anche la Rivolta dei Sepoys e la Guerra dell’ Oppio), e non ammetterà mai, fino all’ orlo della sua sconfitta finale, che possa nascere un’Europa forte e competitiva con gli USA, ai quali ultimi i membri dell’ establishment devono le loro carriere, legandovi le proprie fortune. E’ questo, e non le presunte trame dei “sovranisti”, il motivo per cui una “vera” Europa (Coudenhove Kalergi, Galimberti, Spinelli) non si è ancora fatta nel giro di ben 75 anni dai Trattati di Roma.
Non è però neanche esatto che, come afferma Italia Oggi, “Putin, Trump, Xi Jin-ping e Narendra Modi hanno rilanciato la sfida dello Stato-nazione”. Quelli che costoro dirigono non sono Stati-“nazioni”, bensì Stati-civiltà (ciascuno composto da decine di “nazioni”-Moscovia, Siberia, Cecenia, Tatarstan, Daghestan, Donbass, Crimea..;East Coast, Far West, Midwest, California, Texas,Dixieland, Porto Rico, Guam,Hawaii; Grandi Pianure, Cina Meridionale, Mongolia, Tibet, Xinjiang,”Greater Gulf Area”, Taiwan; Kashmir, Punjab, Rajasthan, Valle del Gange, Assam, Gujarat, Deccan, Tamil Nadu, Kerala, Karnataka, Orisha, Bengala, Andamane, Nicobare…).
Gli Occidentalisti, che si guardano bene dal condannare l’impero americano, pretenderebbero invece, in ossequio al principio “divide et impera”, che tutti quegli Stati Nazionali che abbiamo enumerato si staccassero dall’ India o dalla Cina, come il Pakistan o Taiwan (ma non dagli Stati Uniti). Qualcosa di nuovo a questo proposito si sta muovendo anche al confine fra India e Bangladesh dopo il colpo di Stato contro Sheikh Hasina.
Gli Stati-civiltà incarnano, ciascuno, una sua specifica visione del mondo e una specifica strategia per salvare l’ Umanità dalla tecnica dispiegata (“the Final Century” di Martin Reed). Però,”con qualche differenza tra i quattro: quello russo non è uno Stato-nazione, ma uno Stato-nazioni e perciò rivendica territori ex-imperiali, quale l’Ucraina; Trump rinuncia definitivamente a collocare gli Usa come baricentro dell’ordine mondiale, per affidare loro la più modesta missione di difendere la propria egemonia economica e finanziaria, mediante accordi/conflitti bilaterali; Xi-Jin-ping tende a porsi quale fabbrica del mondo, pratica un imperialismo commerciale su scala mondiale, rivendica Taiwan quale parte integrante dell’antico territorio cinese; Narendra Modi è, per ora, più rivolto ad affermare l’egemonia politico-religiosa indù rispetto a oltre 200 milioni di mussulmani indiani.”
Quello che conta è che, “quale che sia il giudizio storico-politico che si dà di queste quattro manifestazioni del nazionalismo, occorre riconoscere che hanno tutte lo stesso physique du rôle: numero di abitanti, potenza economica e/o militare, influenza sul mondo. Il loro discorso ha una sua forza materiale.”
“Physique du rôle” che, né gli Stati membri della UE, né la UE stessa, hanno. Di conseguenza, “quello degli inglesi e dei francesi (che continuano a partecipare per diritto al Consiglio di sicurezza dell’Onu) e quello dei tedeschi e degli italiani ecc… è un nazionalismo straccione. Il nazionalismo non ha più fondamento storico-politico, è diventato un ‘signaculum in vexillo’, da affiggere sugli stendardi nel corso delle campagne elettorali”.
Paradossalmente, i primi ad avere preso atto della fine degli Stati nazionali europei, sostituiti dagl’imperialismi, erano già stati Lenin e Mussolini, e l’unico ad avere tentato di costruire (sotto altro nome) un nuovo impero inglobante tanti Stati nazionali (quelli creati da Lenin) era stato Stalin (di cui ancora sopravvive l’inestricabile intrico di Repubbliche, Repubbliche Autonome e Province Autonome). Tutti, per altro, tentativi falliti, per l’ostilità del solo “Impero Nascosto” (quello americano, cfr. Daniel Immerwahr).
Lo stesso si può dire, ad ancor maggior ragione, anche del “sovranismo europeo” post-gollista (Giscard, Macron), a cui non corrisponde, a oggi, nessuna visione del mondo alternativa a quella americana, sicché non si capisce perché in Europa gli “integrati” dovrebbero sostenere l’Europa anziché l‘ America, e come i “dissidenti” potrebbero votare in modo alternativo, se, da Macron a Le Pen, da Weber a Scholz, da Schlein a Meloni, tutti fanno a gara per sostenere le scelte dell’America, catastrofiche per l’ Europa.
In realtà, dovunque nel mondo ci sarebbe bisogno di culture “continentali” capaci di sostituire quelle “nazionali”, e, invece, questo processo è appena agl’inizi in ciascuno Stato-Civiltà (e in Europa non è ancora neppure iniziato; cfr. l’ultimo numero di “Domino”; “L’Europa eravamo noi”.).
In America, vi è l’ovvia polarizzazione, prevista già da Tocqueville, fra “Whites” e “Non-Whites”, una distinzione più forte che mai, anche se, ormai, dispersa per vari rivoli: Woke, MAGA, Tedesco-americani… In Russia, la transizione, dall’originario cosmismo e futurismo di Trotskij e Lunacharskij, a un’interpretazione “quasi demestriana” del “pensiero russo” (sulla falsariga delle “Soirées de Saint Petersbourg”), è ancora incompiuta. In Cina, la ciclopica sintesi fra il complesso mondo dei San Jiao confuciani e il socialismo con caratteristiche cinesi non ha ancora trovato un teorico adeguato; in India, non è ancora stata scritta una versione attualizzata delle varie sintesi messianiche proposte in passato (fra quelle di Tagore, Aurobindo, Savarkar, Ambedkar e Gandhi, e altre). Non parliamo della confusione ideologica nel mondo islamico, il più grande agglomerato di popoli del mondo, che si dimostra tutto fuorché totalitario, con le sue poliedriche sfaccettature teologiche, etniche, storiche, linguistiche, istituzionali, partitiche e sociologiche).
Su tutto ciò incombe la nascita della “Società del Controllo Totale”, che, come oramai tutti stanno ammettendo, sta oramai permeando senza più infingimenti innanzitutto il mondo del web, livellando di fatto tutte le identità. Sostituire, a questo questo livellamento, un’umanità variegata e vitale costituisce il grande “compito comune” del XXI Secolo.
Nonostante la grande positività delle culture non-europee, per il loro contributo a scalfire la “grande narrazione” tecnocratica occidentale (per dirla con John Ness ,“From Plato to NATO”), manca ancora un “trait d’union”, capace d’ interconnettere i grandi temi comuni dei vari continenti nell’ottica del XXI Secolo. Tali non sono stati infatti i tentativi di sintesi operati, per esempio, dall’ Imperatore Mughal Akbar (“Din-i -Ilahi”), o le opere occidentali sulla Philosophia Perennis (Leibniz, Guénon, Evola, Zolla, Besant), che mancavano di spessore comparatistico e filologico.
I teorici dell’“occidentalismo” vedono questo “trait d’Union” (per loro negativo) nella cosiddetta “autocrazia”, che, però, è un concetto tutt’altro che univoco ed efficiente. Che cosa c’è di comune fra la repubblica turca, dove l’opposizione ha potuto ancora recentemente sfidare alle elezioni il Presidente; quella iraniana, dove la competizione fra i politici “costituzionali”, cioè islamici sciiti (come da noi sarebbe fra i partiti “democratici e moderati”), si fa nelle urne; la Cina, dove quest’ultima ha luogo all’ interno del partito comunista, ma questo ha un numero di iscritti proporzionalmente superiore a quello di quanti svolgono politica attiva in qualsivoglia altro Paese; la Russia, dove ci sono decine di partiti, e già solo in Parlamento ce ne sono 7 come nella maggior parte dei Paesi occidentali, e il partito di Putin non ha la maggioranza assoluta, ma è costretto a fare un governo di coalizione con il Partito Liberal-democratico?
D’altronde, la tendenza al centralismo accomuna tutti gli Stati del mondo a causa della natura della Società del Controllo Totale, dove tutto è concentrato in grandi server, che sono controllati, o da una multinazionale, o uno Stato, che ne usano ed abusano per mantenere il loro potere. Il più grande di questi, che conserva dati dei GAFAM e del Governo americano, si troverebbe a Salt Lake City. Basti vedere i casi di Echelon, Prism, Wikileaks, Schrems, Cambridge Analytica, Trump, X…
Anche quando oggi in Europa si parla di “multiculturalismo” si compie, in realtà, una grande mistificazione: anziché valorizzare le culture “altre”, “sfruttando” l’immigrazione per accrescere la cultura dei nostri cittadini e delle nostre Istituzioni, si pretende invece di “integrare” gl’immigrati e i loro figli in una cultura occidentale che neppure è nostra, per farli diventare come noi o per egualizzare tutti su un modello di “uomo senza qualità”, governato dagli algoritmi. In realtà, tutta l’insolubile problematica dell’immigrazione e del “razzismo” è, come buona parte dei dibattiti attuali, una semplice scopiazzatura di fenomeni degli USA , che serve solo a farci assomigliare sempre più agli Americani, in modo da non potercene più staccare. L’Europa non è un paese di immigrati, bensì un Paese di emigrazione, e, quindi, le sue esigenze sono molto diverse da quelle dell’ America.
Ciò rientra nel generale sforzo per rimodellare una futura società europea rendendola priva delle doti che sono necessarie per riconquistare la nostra indipendenza e creatività: cultura, assertività, patriottismo, salute, forza di volontà… Occorrerebbe perciò fare chiarezza a livello mondiale sulle cause, le modalità e le direttrici del fenomeno migratorio.
Molto più appropriato sarebbe parlare, come fa Panikkar, di “transculturalità”
2.L’Europa nel dibattito mondiale
Ma, soprattutto, stiamo perdendo l’occasione per recuperare una futura cultura originale europea quale nostro contributo aggiuntivo al grande dibattito mondiale, soprattutto sui temi seguenti:
-il relativismo dall’ Ecclesiaste a Eraclito, a Protagora, a Tertulliano,a Montaigne, a Pascal, a Kant, a Nietzsche, a Wittgenstein, a Heisenberg, a De Finetti e Feyerabend, da leggersi in relazione ai RgVeda, e quale presupposto per il ritorno alla cultura del tragico;
-l’alleanza ecumenica delle religioni e delle culture mondiali contro l’appiattimento indotto dalla “Religione del Progresso”;
-la concezione cinese dell’armonia universale (DaTong, Héxié), da leggersi, in relazione a quelle di “Kosmos” e di “Karma”, quali basi culturali per un mondo multipolare;
-il culto degli eroi omerici e dei Patriarchi biblici , modelli della nostra cultura classica, non dissimili da quelli del Mahabharata e del Ramayana, rivissuto dal mito dell’ eroe romantico di Byron, Leopardi e Carlyle;
-il senso delle gerarchie sociali tipico del confucianesimo e dell’induismo, letto alla luce della Patrios Politeia greca e dell’Ancienne Constitution Européenne di Tocqueville;
-l’”Ecologia dell’anima” dei Giapponesi e dei popoli andini, vista con la lente della lettera pastorale “Laudato sì”;
-la ricerca occidentale dell’ eccellenza, speculare all’epistocrazia del sistema estremo-orientale dei concorsi pubblici e opposto al presente culto dell’ eguaglianza e dell’ indifferenziazione;
-la “Passionarnost” dei popoli nomadi , teorizzata da Ibn Khaldun e da Gumilev- fondamento ideale degl’imperi delle steppe (Yamnaya, unno, turchi, avaro, bulgaro, magiaro, mongolo, tataro, polacco e russo)-.
Su “La Repubblica” è comparsa recentemente una perorazione di Linda Laura Sabbadini sulla necessità del multiculturalismo nel rapporto con le giovani generazioni di migranti, descritto come ”valori del rispetto della persona e della sua libertà, dei diritti e della democrazia”, contrapposta all’ “oscurantismo medioevale, che regna in molti paesi da cui si fugge”. Questo però non è il classico multiculturalismo europeo, come lo intendevano, per esempio, Matteo Ricci, Nietzsche, Guénon o Panikkar, concepito per permettere anche a noi di difendere le nostre tradizioni culturali contro il livellamento modernistico, bensì il tentativo dell’imposizione ad altri, da parte del nostro establishment, delle concezioni del mondo occidentale, quale propugnata per esempio da Condorcet, Whitman e Kipling.
Affinché l‘Europa possa divenire uno “Stato-Civiltà” capace di competere con USA, Russia, India e Cina, essa deve darsi una sua autonoma politica culturale, che comprenda anche un suo specifico punto di vista sui rapporti con il resto del mondo (Stati-civiltà, minoranze interne e immigrazione). A nostro avviso, la comprensione di questi rapporti dialettici potrebbe e dovrebbe costituire il contributo specifico dell’ Europa alla costruzione di un ordine mondiale interculturale. Per questo è importante studiare attentamente le opere di coloro che si sono sforzati di tematizzare ciò che le culture extraeuropee possono insegnare all’ Occidente. Mi riferisco innanzitutto a Raimòn Panikkar, teologo gesuita indo-spagnolo, teorico del “disarmo culturale”, termine che oggi fa inorridire molti, ma che è più che mai attuale, come unico rimedio all’ incipiente IIIa Guerra Mondiale.
Come abbiamo scritto in precedenti post, quest’ultima è una guerra di religione fra due differenti progetti escatologici: quello della fuoriuscita dal mondo umanistico quale conosciamo e abbiamo studiato, verso una società di macchine intelligenti dove non vi sia più Storia (la “Singularity Tecnologica”), e quello, opposto, della prosecuzione in forme diverse della Storia umana ereditata dalle grandi civiltà del passato: il Mondo Multipolare.
3.Una soluzione effettiva per la pace dovrà avere un ben maggiore spessore culturale e storico
Il fatto che tutti si affannino a escogitare e proporre sempre nuove formule per la pace in Ucraina e in Palestina, ma nessuna di queste venga neppur presa in considerazione dalle altre parti in causa, dimostra che la possibile pace non potrà limitarsi a stabilire una nuova sistemazione per i territori contesi, bensì, tenendo conto delle poste molte più ampie in gioco, dovrà dare un orientamento per la geopolitica del futuro, non solo per la Russia, l’Ucraina, o gli Stati Uniti, ma per gli equilibri del mondo intero. E questo significa creare un contesto che disinneschi innanzitutto il conflitto sino-americano per l’egemonia mondiale. Ma ciò non potrà avvenire senza la previa individuazione di un nuovo ordine mondiale accettabile da tutti, e, in particolare, da tutti gli Stati-civiltà e dalle loro concezioni del mondo.
Gli sforzi in corso da parte di India, Cina e Germania per suggerire una proposta di pace poggia, invece, su assai deboli fondamenti culturali, da sostituirsi con un rinnovato atteggiamento di interculturalità quale sopra delineato.
Innanzitutto, si dovrà abbandonare la convinzione, ahimé, troppo diffusa, che ci sia bisogno comunque di uno “Stato-Guida” mondiale, che conduca l’Umanità verso il Progresso. Abbiamo avuto la Persia achemenide, Israele, Roma, il Califfato, il Sacro Romano Impero, la Spagna asburgica, la Francia rivoluzionaria, l’Impero inglese, l’URSS e gli Stati Uniti. Ora è entrata in lizza anche la Cina. Se, però, l’obiettivo comune non dovrebbe più essere quello di accelerare il corso del Progresso, bensì, come dice ormai la maggioranza, quello di frenarlo, l’idea del Paese-Guida perde di attualità. Si tratta ora, più che di “fare”, di “non fare”: non inquinare, non esplodere bombe atomiche, non creare intelligenze artificiali troppo intelligenti, non spiare i cittadini…Queste cose possono essere fatte anche “in parallelo”, in base ad accordi internazionali, senza che nessuno debba necessariamente “guidare”.
In secondo luogo, occorrerà estendere, e di molto, il concetto di “tolleranza”, abolendo concetti come “fake news”, “discorsi di odio”, “arretratezza”, “male assoluto”, “correttezza politica”, e ammettendo, nel linguaggio pubblico internazionale, concetti che sono stati fino ad oggi tabù, come per esempio “tradizioni”, “valori asiatici”, “tribù”, “costituzioni non scritte, e/o comunitarie”, ….Come è stato più volte affermato, l’idea di tolleranza è una forma di arroganza: io ti tollero anche se so che sei inferiore e hai torto, perché io sono migliore, più potente, più saggio e magnanimo. Invece della tolleranza, occorre tornare all’”humanitas” (in cinese, “Ren=仁”):homo sum, nihil humanum mihi alienum puto.
In terzo luogo, occorrerà regolamentare l’equilibrio internazionale dei potere, istituendo procedure (sulla falsariga di quelle parzialmente esistenti per il nucleare), che pongano sotto controllo i conflitti totali, in particolare nei settori del digitale e dell’ Intelligenza Artificiale, come affermato tra gli altri, da Kissinger, da Harari e perfino dal Papa. Tema centrale: l’escalation e il “first strike”.
4.Il Rapporto Draghi nella guerra mondiale.
Il “Rapporto Draghi” risulta intanto troppo datato, in quanto molti dei dati citati risalgono a 2/4 anni fa, mentre la situazione dell’ economia e delle società europee si è nel frattempo ulteriormente deteriorata.
In secondo luogo, il “Rapporto” non ha preso atto del fatto che l’attuale situazione di guerra guerreggiata ha messo in evidenza in modo definitivo che l’economia è oggi solo più uno dei vari campi di battaglia nella “guerra senza limiti”, sicché nulla si muove oggi in base ad un’ottica puramente economica. Gl’investimenti sono sostenuti, o almeno orientati, dagli Stati, in considerazione di obiettivi strategici: per esempio con il “Made in China 2015”, e la corrispondente legislazione americana, fatta, a detta dei promotori, “per mettere fuori mercato il mondo intero”. Perciò, mentre il Rapporto si preoccupa, giustamente ,della necessità di enormi nuovi investimenti pubblici europei a favore dell’ innovazione (investimenti s cui, tra parentesi, non sono già d’accordo, né la von der Leyen, né il Governo tedesco), e mentre invoca un molto migliore coordinamento delle politiche industriali, tecnologiche e scolastiche, indica poi però, come strumenti operativi ,
istituti che noi già quattro anni fa indicavamo come superati nel nostro libro “European Technology Agency” e nel nostro carteggio con Ursula Von der Leyen e con i membri della Commissione e del Consiglio, vale a dire, tra gli altri, lo European Innovation Center, lo European Innovation Center e il cloud europeo di GAYA-X.
Avevamo suggerito, in quell’ occasione, la creazione di una European Technology Agency capace di coordinare, “hands on”, tutti gli sforzi europei nel settore delle nuove tecnologie.Inoltre, avevamo indicato quale compito prioritario la creazione di un Ecosistema Digitale Europeo, completamente mancante da 50 anni per non urtare gli interessi dei GAFAM americani, ma sempre più indispensabile perché lo sviluppo di qualsivoglia economia si fonda sul controllo assoluto di proprie tecnologie informatiche, quale quello detenuto da USA e Cina.
.
Di quest’obiettivo non vi è praticamente traccia, ma solo qualche vago accenno, mentre invece Draghi si è dilungato, nella sua intervista con la stampa, ad attaccare l’effetto deterrente della legislazione europea sull’ ICT sull’operatività in Europa multinazionali del web, che egli considera evidentemente utili ed ineliminabili: ‘Abbiamo proclamato che l’innovazione era al centro della nostra azione, e poi abbiamo fatto tutto il possibile per mantenerla a un livello basso’.”, ha osservato.“Su questo”, ha continuato, “la posizione normativa dell’Ue nei confronti delle aziende tecnologiche ostacola l’innovazione: l’Ue ha ora circa 100 leggi incentrate sulla tecnologia e oltre 270 regolatori attivi nelle reti digitali in tutti gli Stati membri. Molte leggi dell’UE adottano un approccio precauzionale, dettando specifiche pratiche commerciali ‘ex ante’ per evitare potenziali rischi ‘ex post’. Ad esempio, l’AI Act impone requisiti normativi aggiuntivi sui modelli di Intelligenza artificiale per uso generale che superano una soglia predefinita di potenza di calcolo, una soglia – si puntualizza nel rapporto – che alcuni modelli all’avanguardia superano già’.
‘In terzo luogo” – ha aggiunto l’ex presidente della Bce, citando sempre il proprio rapporto -, “le aziende digitali sono scoraggiate dal fare affari in tutta l’UE tramite filiali, poiché devono affrontare requisiti eterogenei, una proliferazione di agenzie di regolamentazione e la ‘gold plating’ (ovvero un’applicazione che va oltre i requisiti minimi richiesti, ndr) della legislazione Ue da parte delle autorità nazionali. In quarto luogo, le limitazioni all’archiviazione e all’elaborazione dei dati creano elevati costi di conformità’. Secondo Draghi, quindi, ‘la conclusione è che gran parte di questa legislazione si applica alle grandissime aziende, a cinque o sei grandi aziende statunitensi, e in realtà noi stiamo uccidendo le nostre piccole aziende. Non abbiamo grandi aziende come negli Stati Uniti, le nostre sono tutte piccole aziende, quindi con questa legislazione che ci siamo dati siamo in realtà autodistruttivi, stiamo uccidendo le nostre aziende’”.
5.L’industria militare
Secondo l’interpretazione datane dalla stampa, l’elemento qualificante del “Rapporto Draghi” sarebbe il peso particolare dato all’ industria europea della Difesa. Personalmente, credo di saperne qualcosa in quanto, oltre alle tradizioni familiari, ho diretto per una dozzina di anni il Servizio Giuridico del Settore Aviazione della FIAT, coinvolto, fra l’altro, mei progetti dei caccia europei Tornado ed Eurofighter, nei missili dell’ Esercito Italiano e degli Emirati Arabi Uniti, in Eurocopter, nei residui delle attività nucleari italiane, oltre che nelle collaborazioni per i lanciatori con la Francia e con l’Ucraina.
Pertanto, credo di comprendere la logica che potrebbe presiedere a un rafforzamento dell’ industria europea della Difesa e le logiche seguite da Draghi. Visto che, sotto pressione americana, gli Europei sono sempre più sospinti a spendere di più per il militare, il concetto furbescamente adottato è che, almeno, si spenda in prodotti europei, e non in quelli americani.
Personalmente, ho avuto da sempre un approccio molto diverso, basato su una visione olistica dell’ “industria della difesa”.Perciò, mi riservo di ritornare sull’ argomento commentando la serie di articoli che compariranno su “Il Sole XIV Ore”.
Premesso che, stante la situazione, sarebbe illogico non pensare a un rafforzamento della nostra industria di difesa, in termini di maggiore coordinamento e di ottimizzazione delle ricadute economiche, noi riteniamo che ci si dovrebbe attenere, anche e soprattutto, ai criteri seguenti:
-dual use, estendendo la programmazione a tutte le industrie connesse,come informatica, Intelligenza Artificiale e aerospazio;
-una cultura europea della difesa intesa quale strumento di unificazione delle élites militari;
-informatizzazione delle forze armate;
-selettività delle spese, privilegiando le tecnologie più avanzate;
-comando unificato sotto un vertice militare forte e coeso;
-consolidamento, grazie all’ investimento pubblico, dell’ industria europea della Difesa intorno a un gruppo finanziario paneuropeo, quale avrebbe dovuto essere (ma non è stato) l’EADS
dibattito fra budddhismo e confucianesimo, fra Modernità e Tradizione
Giustamente Gabriele Segre su La Stampa di Venerdì fa notare la contraddizione fra le dichiarazioni di apertura agli avversari dei politici “mainstream” («non c’è niente che l’America non possa fare, quando lo facciamo insieme», di Joe Biden nella sua lettera di rinuncia alla candidatura presidenziale,o l’impegno preso da Macron di lavorare per una Francia sempre più «plurale»),e l’ effettiva chiusura a un reale confronto con le opposizioni, politiche, ma, prima ancora, culturali:“Questo spirito inclusivo non sembra comprendere proprio ‘tutti’ i cittadini. La Presidente della Commissione non ha voluto incontrare gli esponenti dell’estrema destra europea e pare chiaro che l’«insieme» di Biden non comprendesse la compagnia dei trumpiani, considerato che, in occasione del loro ormai storico dibattito televisivo, i due non si sono nemmeno stretti la mano. Esempio seguito da alcuni tra i deputati francesi de ‘La France Insoumise’ nei confronti dei colleghi del ‘Rassemblement National’. “
1. E’ il dialogo nella natura della democrazia?
“Se la nostra democrazia è per definizione un contratto sociale che si prefigge di dare rappresentanza a tutte le forme che compongono il vivere civile, allora essa è chiamata ad includere anche le istanze più centrifughe e perturbanti, partendo dall’assunto che tutti i sentimenti pubblici, in quanto esistenti, trovano già spazio di cittadinanza e partecipazione al dibattito politico”.
Veramente, questo obiettivo era/è sentito come proprio e perseguito più dai sistemi autodefinentisi “totalitari” ”(o, almeno, delle “democrazie consociativistiche”, come la Svizzera) che da quelli che si proclamano “democratici”: mentre i sistemi totalitari pretendono di costituire una sintesi delle correnti ideali del popolo (il “fascismo”, i “fronti popolari/nazionali”) , la democrazia (intesa, come vuole Canfora, come “forza del popolo”) sembrerebbe portata piuttosto al giustizialismo, al linciaggio, alla ghigliottina, ai “tribunali del popolo”. D’altra parte, è per questo che un po’ tutte le forme politiche mantengono un volto duplice: esoterico/exoterico, essendo restie a un’eccessiva trasparenza verso “il popolo”. Pensiamo ai Misteri Eleusini nella “democratica” Atene o al peso delle società segrete nelle moderne società “democratiche”…
Dall’ altro lato, basta pensare ai molti volti del fascismo, studiati per esempio da Volt (razzismo ed anarco-sindacalismo, spiritualismo e corporazione proprietaria, monarchia e socialismo nazionale, conservatorismo e mazzinianesimo, clerico-fascismo e liberalismo laicista), sì che la cultura, che ha bisogno di confronto e di dibattito, vi si sviluppò forse più che nell’epoca successiva, in cui, semmai, fiorirono quegl’ingegni ch’erano nati proprio nel ventennio: Moravia e Morante; Pavese e Einaudi; Spirito e De Sica; De Chirico e Toscanini.
Certo, anche la Prima Repubblica “nata dalla Resistenza” aveva altrettanti volti,spesso ereditati da quelli del regime precedente (neo-fascismo e operaismo, cristianesimo sociale e comunismo, monarchia e socialismo, liberalismo e social-democrazia, cristianesimo sociale e mazzinianesimo). Tuttavia, nel corso di questi ultimi ottant’anni, le differenze fra queste “anime”, all’ inizio ben chiare ed evidenti, si sono ottuse a tal punto, che è difficile discernere gli eredi di quelle antiche “anime”.Invece, si è imposto un “pensiero unico” che non ammette contraddizioni. Non diversamente che in America, basta accennare a infrangere un qualunque tabù del “mainstream” (sia esso sessuale o storico, geopolitico o ideologico) per decadere al ruolo di reietto, venendo legittimamente licenziato ed iscritto in una lista di proscrizione.
Questo deriva da un’evoluzione naturale della società, per dirla con Saint-Simon, da un’ “Eta’ organica” (l’”Ancien Régime”), attraverso una “Età Critica” (la “Guerra Civile Europea”), verso una “Nuova Società Organica” (l’”Era delle Macchine Spirituali” di Kurzweil).Seguendo un filo rosso che va da Lessing a Hegel, da Saint-Just a Saint-Simon, da Emerson a Whitman, da Mazzini a Lukàcs, il sistema occidentale si sta impegnando più che mai a realizzare “il Progetto Incompiuto della Modernità” (il “Primo Programma Sistemico dell’ Idealismo Tedesco”), fondato sui due binari paralleli dello sviluppo illimitato delle aspirazioni alchemiche alla trasformazioni del mondo fisico e dell’ applicazione sistematica nella società dello spirito ascetico (un’”ascesi intramondana” basata sulla rinunzia alla “Volontà di Potenza”).La prima permette la dematerializzazione del mondo e la sua trasformazione in numero; la seconda, la trasfusione della vita dal vissuto umano al sistema informatico delle regole, che elimina il “potere dell’ uomo sull’ uomo”, abolendo pero l’uomo stesso.
Perché questa transustanziazione mistica sia possibile, il soggetto deve perdere innanzitutto ogni possibilità di scelta autonoma, sganciata dal sistema macchinico, fino a perdere una sua identità specifica.Ciò si realizza per gradi, per esempio con l’indebolimento di religioni, generi, classi sociali, etnie, imperi, nazioni, ideologie, a favore di “imperi sconosciuti”, di multinazionali, burocrazie, di una generalizzata retorica che fa appello a istinti omologanti, quali lo spirito di branco, l’invidia, lo spirito censorio.
Esso costituisce il preludio della sostituzione del governo delle macchine al governo degli uomini. A questo percorso è finalizzato il “Pensiero Unico”, secondo il quale occorre perseguire l’universale in luogo dell’”identitario”, l’asessuato in opposizione al “sessualizzato”, l’”uguaglianza” in quanto opposta alla “differenza”. La gerarchia, il carisma, la leadership devono essere trasferiti, dalle persone, a quel “sistema” impersonale, che, da “burocrazia”, si sta trasformando in una “megamacchina”. Solo così si aboliranno i conflitti, perché si aboliranno gli umani, con le lor identità, le loro frustrazioni, le loro ambizioni, le loro differenze…
Tutto ciò è un’anticipazione del governo delle macchine spirituali, dove il futuro del mondo è deciso dal sistema digitale di Mutua Distruzione Assicurata; l’ideologia è forgiata dall’ Intelligenza Artificiale “educata” con dei testi “politicamente corretti” e purificata dai “bias” attraverso il sistema informatizzato di rilevamento e cancellazione delle “fake news”; le scelte politiche sono mediate dai “Big Data”; la scuola è basata su una “memoria condivisa” costruita coi computers e censurata dai Gatekeepers, ecc…
Dato tutto ciò, si comprende bene come coloro che si sentono investiti del compito di realizzare questo “Progetto Incompiuto della Modernità” siano convinti di essere separati, dagli “altri” da un abisso, di carisma, di consapevolezza, e perfino di etica, perché andare contro il Progresso è come andare contro Dio. A questo punto, è assolutamente logico ch’essi rifiutino ogni possibilità di dialogo, adottando teorie e prassi come quelle di Lukàcs, che, come scrittore, accusava i propri avversari di non essere altro che dei predecessori di Hitler, e, come ministro della cultura, bandiva dalle biblioteche ungheresi i libri di quegli stessi avversari. In questo contesto sono nate teorie assurde come “il Male Assoluto” o “il fascismo eterno”, che precludono ogni comprensione della storia e della filosofia, confondendo tutto in un enorme calderone, dove Augusto, Costantino, Machiavelli, Nietzsche, Khomeini, Bin Laden o Putin diventano “fascisti”, e Giulio Cesare, Rousseau, Gandhi, divengono “progressisti” , nonostante siano fra gli intellettuali che più pesantemente hanno contribuito al mantenimento di antiche tradizioni e a combattere le moderne superstizioni.
Per mantenere questa barriera, viene stabilito, prima in America, poi anche in Europa, un nuovo canone che distingue il vero dal falso, il giusto dall’ ingiusto, e scomunica chi non vi si adegua. Anche la dilatazione a dismisura della contrapposizione “fascisti-antifascisti” è strumentale alla creazione e rafforzamento del nuovo canone e delle sue scomuniche, e ha poco a che fare con il fascismo effettivo. Così, sono “fascisti” Pound, Juenger e Evola, che non hanno mai avuto una tessera, mentre sono “antifascisti” Pajetta, Ingrao o Napoletano che hanno cominciato le loro carriere nelle organizzazioni di massa del fascismo.
2.L’”autoesclusione” dei “conservatori”
Secondo Segre, i sovranisti (per esempio, al Parlamento Europeo) sono corresponsabili di quella situazione. “D’altro canto, le stesse forze che si sentono investite dai cittadini della volontà di cambiamento non possono pretendere di imporla autoescludendosi: è la strategia migliore affinché il proprio progetto non si realizzi”.In un certo senso, ha ragione. A mano a mano che il “Pensiero unico” si afferma, i “Conservatori” ne hanno accettato i sottintesi, a partire da quello dell’ “Irreversibilità del progresso”, autocondannandosi al ruolo di “laudatores temporis acti”. In questo loro sterile ruolo, essi sono stati accettati ed incoraggiati dall’ “establishment”, perché, in tal modo, essi addirittura rafforzano il ruolo del progressismo, dimostrando che questo non è totalitario,bensì aperto al pluralismo, e, nel contempo, che esso è invincibile.
Questa connivenza ha garantito ai conservatori la sopravvivenza e un modesto mercato “captive”, ma ha deteriorato gravemente la qualità delle loro produzioni culturali, rispetto a quelle dei loro predecessori- per esempio, di Matteo Ricci, di Rousseau, di De Maistre, di Balzac, di Kiekegaard, di Nietzsche, di Heidegger, di Guénon, di Schmidt, di Eliot, di Pound, di Evola-.
Grazie a questo atteggiamento dei conservatori, non vi sono più contrappesi intellettuali al Progressismo, neppure nei suoi aspetti più controversi: la sua pretesa di innegabile positività della Storia (negata già perfino da Rousseau), o il suo equivoco legame con la tecnica (Heidegger, Anders), e non si sono riprese in alcun modo le tesi di quegl’intellettuali che proponevano uno scontro frontale con esso (per esempio, Dostojevskij e Gandhi).
L’idea di Segre che sia possibile un dibattito alla pari con i “conservatori” parte infatti proprio dal fatto che anche costoro hanno accettano, in un qualche modo, il progresso: “Nel nome di quel progresso che tutti invocano, ogni parte, invece, dovrebbe sentirsi chiamata non solo a conoscere l’altro, ma a riconoscere ruolo e dignità delle sue aspirazioni, attraverso la condivisione di spazi, in cui l’emotività politica possa trasformarsi in progetto.”
In realtà, non è vero che tutti invochino il progresso, perché non sono mancati, e ancora non mancano, intellettuali antimoderni (Compagnon,Moderne, Antimoderne), più numerosi di quanto appaia a prima vista, ma intimoriti dal “Politicamente Corretto” e dalla “Cultura Woke”. Soprattutto in relazione alla necessità di una “governance” dell’ Intelligenza Artificiale, la maggior parte degli interventi sono animati da una critica antimoderna alla tecnica dispiegata. Anche la rivolta del Sud del Mondo ha riportato alla ribalta visioni del mondo come il Confucianesimo, il Sanata Dharma, lo sciamanesimo e l’Islam quietista.
Ci chiediamo se l’apertura al dialogo invocata da Segre si estenda a coloro che contestano il Mito del Progresso, vale a dire la credenza in un “Lieto Fine” della Storia, non già in senso metafisico, bensì quale completa realizzazione terrena degli obiettivi della tecnica, e quale abolizione del conflitto fra gli uomini. Può sembrare un aspetto marginale e intellettualistico, eppure è su questo “dettaglio” che si giocano i maggiori conflitti di oggi.
A nostro avviso, è proprio perché ci sono molti scottanti problemi che il “mainstream” culturale occidentale e progressista non è riuscito a risolvere, che sarebbe il momento d’ ingaggiare un dibattito serrato fra Moderni e Antimoderni (e fra Occidentali e Orientali, il che spesso è la stessa cosa), sull’epistemologia, sulle religioni comparate, sulla transizione digitale, sulla pace nel mondo, sul governo della tecnica, sull’ Europa. Su tutti questi punti, i classici argomenti modernistici si stanno rivelando inconcludenti e controproducenti, come dimostrano il surriscaldamento atmosferico, la IIIa Guerra Mondiale a Pezzi, la decadenza del’ Europa, la crisi delle nuove generazioni, ecc…
In questo senso, occorre senz’altro raccogliere al più presto l’appello di Segre per “Luoghi delle idee dove stringersi la mano” , il che, in concreto, dovrebbe significare, da un lato, la fine della repressione del pensiero critico e dei suoi portatori, e, dall’ altra, una rinnovata assertività degli Anti-Moderni e dei cultori del mondo multipolare.