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D.O.G.E. : UNA VITTORIA DELL’ IDEOLOGIA CALIFORNIANA

Il progressivo sovrapporsi della vittoria di Musk a quella di Trump costituisce l’immagine plastica di una mutazione epocale in corso in tutto il mondo, definita genericamente “crisi della democrazia”:

-nell’Impero Americano, il più grande guru dell’ informatica, un finanziere che già domina tutti i mercati strategici, preme (apparentemente, con successo) per essere nominato capo di un progettato “Department of Goverment Efficiency” (“D.O.G.E.”), destinato a porre l’intero Stato americano, che domina il mondo intero,sotto la tutela del Gruppo Musk;

-in Cina, la digitalizzazione si spinge fino a controllare ogni azione dei cittadini, la loro salute, i loro spostamenti;

-in Israele, l’intero popolo palestinese è controllato ininterrottamente dai vari sistemi digitali dell’Esercito e dei servizi segreti, e i ministri possono essere “licenziati” senza motivazione e senza alcun impatto sull’appoggio dei partiti al Governo; inoltre, il Paese, divenuto, grazie a quanto sopra, il massimo esperto mondiale di tecnologie di controllo, rivende queste ultime a tutti i Paesi del mondo;

-in Russia, gli organi governativi sono perennemente riuniti in una tele-conferenze con il Presidente, e perfino le loro relazioni individuali al Presidente sono trasmesse in diretta: il trionfo del “Talk Show”;

-nella UE, si sta preparando una sorta di “mobilitazione generale”(“Rapporto Niinistö),civile e militare,  e vige una censura generale pan-europea contro chiunque non sia allineato sul “politicamente corretto”(il “Digital Services Act”);

-in Ucraina, sono stati sciolti 11 partiti politici ed espropriata la maggior parte delle Chiese, colpevoli di essere restate fedeli al Patriarcato di Mosca.

E si potrebbe andare avanti all’ infinito…

In questo intervento, cercheremo di analizzare le ragioni di questo trend, con particolare riguardo al ruolo di Elon Musk nella nuova costellazione di potere conseguente alla vittoria di Trump.

1.Brave New Word (ll mondo nuovo)

Rivivono in Musk certi aspetti del bolscevismo originario, come il cosmismo (la “colonizzazione dello spazio di Tsiolkovskij,  di Vernadskij , di Bogdanov e del movimento ingegneristico kievano “Do Marsa”= “su Marte”).

Dovunque, l’accresciuta conflittualità fra il progetto  post-modernista incarnato dai GAFAM (le Grandi Piattaforme americane) e quello conservatore (rappresentato dai BRICS) -conflittualità ramificata attraverso tutti gli Stati del mondo-, ha generato una situazione di guerra strisciante e di preparazione bellica permanente fra i grandi Paesi, che rende inevitabile la centralizzazione di tutti i poteri intorno al rispettivo leader e al suo “cerchio magico”, per essere sicuri della rapidità della mobilitazione bellica, per mantenere intatta la retorica ufficiale, per evitare ogni “infiltrazione” ostile, per razionalizzare un’economia sinistrata in vista di una guerra prolungata, per contrastare le catastrofi derivanti dalla crisi ecologica…Questa centralizzazione si appoggia sulle nuove tecnologie digitali di controllo capillare della popolazione, che finiranno per risultare le uniche vere vincitrici di questo confronto, come scritto profeticamente da Manuel De Landa nel suo “La guerra nell’ era delle macchine intelligenti”.

In queste condizioni, che senso ha ripetere stancamente le retoriche della libertà individuale, della separazione fra Stato e Chiesa, della divisione dei poteri, della libertà di opinione, della “privacy” che avevano caratterizzato il XX° secolo? Qui si fa solo più a gara a chi abolisce più libertà, considerandosi ogni realtà indipendente come un focolaio di pericolo, in quanto è possibile che venga conquistato da un “nemico”, e usato per “destabilizzarci”.

L’insistere a tentare di spiegare tutto ciò con gli stereotipi del XX° Secolo è non solo inutile, ma anche sospetto, in quanto è molto probabile che si voglia nascondere in mala fede la realtà delle cose, e in particolare il fallimento di una cultura irrealistica (i “parametri utopico-liberali” di cui parla Giovanni Ursina), che per altro ha sostenuto le carriere di intere generazioni d’intellettuali e di politici.

Quando si attaccano,  con l’accusa di “democrazia illiberale”, alcuni Paesi dell’Unione Europea (Ungheria, Slovacchia) o della NATO (Turchia), in realtà si vuole condannare non già la loro pretesa illibertà, bensì la loro eccessiva indipendenza, che permette loro di non schierarsi al 100% con l’ America, divenendo così a loro volta un pericolo per il controllo centralizzato e militarizzato,da parte  da parte della stessa, degli “alleati” occidentali. Tuttavia, questi Stati  non fanno che ripetere in piccolo quello che già succede in grande nelle grandi potenze (a cominciare dagli Stati Uniti), e anticipando quello che accadrà ancora in tanti altri Stati. Essi debbono centralizzarsi per resistere ai potentissimi condizionamenti del Complesso Informatico-Digitale occidentale (di cui Musk è il tipico esempio)..

D’altronde, le contraddizioni della Modernità che stanno esplodendo ora, e, in particolare, quelle della “democrazia” occidentale, erano già iscritte fin dall’ inizio nel suo DNA. Per esempio, pur parlando di democrazia, lo stessoGeorge Washington ne criticava già,  in nome del “Repubblicanesimo”,  gli aspetti fondamentali: i partiti, il voto popolare e lo spirito di parte.

Il punto è che la democrazia è per sua natura illiberale. Mentre il liberalismo è un’ideologia tipica dell’ aristocrazia del ‘700 che lottava contro lo Stato assoluto inneggiando alla “liberalità” dei signori (pensiamo a Rochefoucauld), la democrazia è quella deriva delle antiche Poleis, denunziata fin da Omero (Tersite), per passare a Socrate, Aristotele e lo “Pseudo-Senofonte”, che le aveva portate ad essere dominate da un pathos plebeo, dalla demagogia, dall’“oclocrazia”(l’”apistos demos” di Aristotele), e, infine, dalla tirannide (i Trenta Tiranni). E che altro è il “trumpismo” (o il “populismo”:la “pancia” del popolo), se non lo spirito plebeo elevato a virtù civica, in quanto la più pura espressione del “popolo” tanto esaltato negli ultimi 200 anni?

“Democrazia illiberale” è un termine assolutamente equivoco, sia se usato in senso dispregiativo, sia usato in senso elogiativo, perché, nell’attuale gergo americaneggiante, tanto “democrazia” quanto “liberale” designano il contrario di quanto avevano significato per almeno mezzo secolo in Europa (per esempio, in “Democrazia Cristiana” e “Partito Liberale”). D’altronde, la traduzione del l’omonimo libro di Zakaria parla giustamente di “democrazia senza libertà”, che ben si attaglia a praticamente tutti gli Stati attuali. Sarebbe forse meglio parlare di  “sistema carismatico-rappresentativo”, in quanto esso  tenta di conciliare l’esigenza di un leader, provocata dalla mobilitazione generale mondiale, con le forme giuridiche della democrazia rappresentativa (così come, nel Principatus augusteo, l’esigenza di un principe provvidenziale veniva conciliata con le forme tradizionali del cursus honorum repubblicano)

Del resto, vi è sempre stato un legame fra “mobilitazione generale” e idolatria del “popolo”, che è quello che, come ben studiato da Jünger, aveva portato ai totalitarismi del 20° Secolo. L’unico modo per por fine alla mentalità da mobilitazione generale è far finire la Terza Guerra Mondiale, rendendo nuovamente possibile, all’interno di ciascuno dei blocchi concorrenti, una forma di pluralismo, non più accusabile di “intelligenza con il nemico”. Vediamo se Trump ne sarà veramente capace.

Questa situazione smentisce in modo definitivo la credenza che, nel XXI° secolo, possano avere ancora una qualche utilità le categorie di “Destra” e di “Sinistra”, ma anche di “Democrazia” e “Autocrazia”, essendo restata in campo solo la distinzione fra “governo degli algoritmi” (come quello che si è instaurato in America grazie alla convergenza delle azioni di Eric Schmidt e di Elon Musk) e il (almeno più “umano”) “governo del leader” (come quelli di Cina, Russia, India, Turchia..).

In questo contesto, l’Europa, disabituata a pensare dall’egemonia del “pensiero unico”, non sa più come orientarsi. Perfino coloro che, per un motivo o per l’altro, amerebbero defilarsi dal Governo delle Macchine Intelligenti, dell’America e della NATO, sono in seria difficoltà, visto che c’è una corsa sfrenata da parte di tutti ad accattivarsi la coppia, ormai onnipotente, “Trump-Musk”, mentre le effettive intenzioni di Trump non sono ancora neppure note. Come ha affermato sprezzantemente Putin, “ciò che manca all’ Europa sono i cervelli”.

La vicenda Trump-Musk dimostra almeno quanto siano ancora diverse l’Europa e l’America.

2.Il ruolo di Elon Musk nell’amministrazione Trump

Come anticipato, vogliamo qui concentrarci però su quella che appare come la vera novità del secondo mandato di Trump, il quale forse ha vinto in questo modo schiacciante non già per l’appoggio di nuove correnti di opinione o all’ “endorsement” di autorevoli “opinion leader”, bensì grazie a un impero finanziario e tecnologico -quello di Musk- che già domina l’Occidente, sui mercati dei media, delle biotecnologie, dell’ intelligenza artificiale, dello spazio,  dell’ autoveicolistica,  delle telecomunicazioni, essendo così in grado di pilotare l’intera società americana e di mettere in ombra gli stessi GAFAM “minori”. E, difatti, Musk ha messo a disposizione di Trump un congruo numero di miliardi, di cui una quota precisa dedicata al voto di scambio, oltre che l’accesso senza limiti e senza censura alla piattaforma “X”, quella che era stata un tempo Twitter, e che Musk ha comprato. Gli mancava solo il timbro di “Direttore tecnico degli Stati Uniti”,cosa che oramai sembrerebbe avere. Infine, è lui il migliore intermediario con Zelenskij, perché buona parte dell’ esito della guerra dipende dalla disponibilità, o meno, della rete Starlink.

Si è superato perfino il concetto marxiano di “Comitato d’affari della borghesia”: l’Amministrazione americana è il dominio privato di due imprenditori-soci, dei quali l’uno, il Presidente e il “junior partner”, anche se rappresenta formalmente lo Stato, ma l’altro, da “CEO”, controlla l’intera società, realizzando così il sogno tecnocratico di Saint-Simon. Altro che “conflitto di interessi”!

Il gigante aerospaziale SpaceX e Tesla di Musk sono entrambe tra le aziende che valgono di più al mondo al mondo. SpaceX è la seconda più grande azienda privata al mondo, con una valutazione di 210 miliardi di dollari. La società di veicoli elettrici Tesla è la decima società quotata, con una capitalizzazione di mercato di oltre 900 miliardi di dollari.

Musk ha una quota del 42% in SpaceX e una quota del 13% in Tesla, e ha anche quote di controllo in X, la piattaforma precedentemente nota come Twitter, e nella startup di intelligenza artificiale generativa xAI. Musk è di gran lunga la persona più ricca del mondo, con un patrimonio netto di circa 280 miliardi di dollari, più di 60 miliardi di dollari in più rispetto al secondo uomo più ricco, il fondatore di Amazon Jeff Bezos.

Ma, soprattutto, Musk incarna nel modo più trasgressivo la “hybris” del Postumanesimo, nei suoi aspetti più inquietanti: l’Intelligenza Artificiale Generativa, le microchip nel cervello, i twitter senza alcuna moderazione, la colonizzazione privata dello spazio, la disoccupazione tecnologica, la maternità surrogata.

In effetti, il progetto di Musk, cioè quello di ufficializzare il controllo dei GAFAM sullo Stato americano, e, con ciò, sull’ Occidente,  non è nuovo. Esso era stato teorizzato da Schmidt e Cohen nel loro libro “The New Digital Age”, concepito dai due autori nel 2003, nella Baghdad ridotta in cenere ed occupata dall’ esercito americano, in cui si suggeriva che Google avrebbe dovuto sostituire la Lockheed nel guidare l’America alla conquista del mondo (“Googleization of the World”). Ed è stato criticato da Evgeny Morozov  quale ultimo tentativo, da parte di una civiltà fallimentare, per bloccare l’esito della Storia, che, di per sé, starebbe voltando le spalle all’ Occidente.

Sempre Schmidt aveva incominciato a mettere in pratica quel progetto, con la creazione di NSCAI, la commissione incaricata dal Congresso di elaborare una strategia per contrastare il superamentodegli USA da parte della Cina, da cui nacque l’Inflation Reduction Act, con cui il Senatore Schumer si proponeva di “mettere fuori mercato il mondo intero”.

Ora, è stata colmata una lacuna nel progetto,  perché Musk (anche se aborre la California, preferendole il Texas) sta non soltanto teorizzando, bensì incarnando nella propria persona, la “ideologia californiana”, che fonde cultura nichilista e intelligenza artificiale, politica tecnocratica e monopolio universale.

Facendo ciò, egli ha dato un significato concreto all’ ideologia M.A.G.A., oscillante vagamente fra l’isolazionismo e il nazionalismo.

3.Il “programma di governo” di Musk

Musk, nonostante che provenga dal campo progressista e abbia sostenuto Trump solo da luglio, ne è divenuto ormai il compagno inseparabile, perfino nei colloqui con Zelenskij, anche se è improbabile che assuma un ruolo ufficiale. Egli ha, inoltre, affermato che “non è necessario alcun compenso, alcun titolo, alcun riconoscimento” per i suoi servizi (ampiamente compensati evidentemente dalla possibilità di difendere dall’ alto i propri interessi), guidando un “Dipartimento per l’efficienza governativa” (D.O.G.E.) che Trump ha pubblicizzato come  “Segretariato per la riduzione dei costi”, con l’obiettivo di tagliare da 2.000 miliardi di dollari o più dal bilancio federale (evidentemente subappaltando funzioni pubbliche alle multinazionali del web, e, in primis, a quelle di Musk, che è già l’insostituibile fornitore dell’ Amministrazione). In un’intervista al podcast Joe Rogan Experience ha detto che spera di “sgomberare il ponte” da regolamenti e agenzie federali indebiti e “ridurre le agenzie [federali] per renderle molto più piccole….assicurarsi che …si attengano a ciò che il Congresso ha autorizzato”.

D’altra parte, le aziende di Musk sono al lavoro anche in Italia per darsi assegnare (vedi scandalo S.O.G.E.I.) delle commesse strategiche, nell’outsourcing dei servizi pubblici, con le quali anche il nostro Paese diventerà dipendente da Musk per il funzionamento stesso dello Stato, così come stafacendo in America, e come avevano già fatto le Istituzioni europee con Microsoft.

Quali siano le sue intenzioni lo ha dimostrato ancora il 13 novembre, con un post sulla sua piattaforma dedicato alle sentenze dei giudici italiani (ed europei) circa i “paesi sicuri”. La forma e il contenuto del post costituiscono un esempio ineguagliato delo stile  di Musk, che interviene non sollecitato su una vicenda giudiziaria italiana ed europea, indicando una soluzione, le dimissioni dei giudici, che è agli antipodi, non solo dell’ ordinamento italiano, ma anche sull’ “ordine giuridico basato sulle regole” di cui l’ America si fa vanto. Per quanto sia pericoloso, e/o sgradito, essere sommersi da immigranti che porteranno anche da noi l’insanabile contraddizione americana fra “Whites” e “Non-Whites”, ancor peggio è essere governati contra legem da Washington da un informatico sud-africano, quasi fossimo un “bantustan” qualunque. Questo dimostra plasticamente che cosa dovrebbe impedire l’ “autonomia strategica” italiana ed europea.

Musk ha affermato inoltre  che, dopo queste elezioni, non ha alcuna  intenzione di smettere di pesare sulla politica. Il suo super comitato di azione “continuerà dopo queste elezioni e si preparerà per le elezioni di medio termine e per eventuali elezioni intermedie”, evidentemente tentando anche di interferire nelle politiche interne degli “alleati”, come faceva già Bannon. Fortunatamente, Trump si era presto stancato di quell’ alleato scomodo.

4. Musk e l’Antitrust

L’idea che il più grande monopolista del mondo sia incaricato dal Presidente di ristrutturare lo Stato americano mette  una fine definitiva dell’illusione  che la “destra” sia favorevole al libero mercato. E’ come incaricare il lupo di guidare una mandria di agnelli. Il che è per altro logico, perché la “destra” trumpiana non è liberista, bensì interventista nell’ economia, ma nell’ ottica attuale della mobilitazione bellica, secondo il collaudato modello del “keynesismo militare”, applicato negli Stati Uniti di Roosevelt, nella Germania nazista e oggi nella Russia di Putin. Il ruolo degli imprenditori è quello di “oligarchi”, fedelissimi del “leader” che possiedono le imprese, ma le gestiscono secondo le esigenze della programmazione bellica (pensiamo per esempio alla programmazione di Todt e di Speer e alle Reichswerke Hermann Göring).

Come ovvio, Musk si è scontrato spesso con i regolatori dell’amministrazione Biden. La FTC guidata da Khan ha colpito X, allora nota come Twitter, con una multa di 150 milioni di dollari, e ha ordinato restrizioni sui metodi di raccolta dati per la pubblicità della società di social media per la pubblicità. La SEC guidata da Gensler si è scontrata con Musk per il suo uso di Twitter nel contesto del suo ruolo in Tesla, risalente a un controverso tweet del 2018 in cui Musk ha affermato di aver ottenuto i fondi necessari per rendere privata la Tesla.

Ci sono poi una serie di cause legali in sospeso e indagini governative contro Musk e le sue aziende,  che  naturalmente apprezzerebbe il clima normativo più leggero lanciato da Trump. Tra le questioni legali e normative che Musk deve affrontare ci sono un appello per ripristinare il suo bonus da 50 miliardi di dollari in azioni Tesla, annullato da un giudice del Delaware a gennaio, un’indagine sui sistemi di guida autonoma di Tesla da parte della National Highway Traffic Safety Administration e un avvertimento segnalato dal Dipartimento di Giustizia sui premi da 1 milione di dollari dell’American PAC ad alcuni elettori di stati indecisi.

Tesla, che rappresenta la maggior parte della ricchezza di Musk rispetto a qualsiasi altra sua azienda, sta già ricevere una formidabile spinta dalle proposte economiche di Trump che probabilmente danneggerebbero i suoi concorrenti di veicoli elettrici, un vantaggio che si è tradotto nel rally delle sue azioni mercoledì, fatto che ha già fatto aumentare il valore delle azioni di Tesla fino a un trilione di dollari.

Al diavolo il conflitto di interessi!

Eppure, la resa incondizionata degli Stati  ai guru dell’informatica non sarebbe in teoria affatto inevitabile. Lo dimostra il caso della Cina.

5.Il precedente di Jack Ma

Ricordiamo che uno scenario analogo si era prodotto recentemente in Cina, dove esistono multinazionali digitali che, seppure presenti solo in quel Paese, hanno dimensioni analoghe a quelle americane (i “BAATX”). Questo è uno degli aspetti più appariscente della presunta defezione della Cina verso il capitalismo, sulla quale non concordiamo, perché, tecnicamente, il socialismo non è la statizzazione di tutta l’economia, bensì “il controllo sociale sui mezzi di produzione”, che è ciò che si sta realizzando in Cina attraverso meccanismi giuridici complessi, comprendenti anche il mercato.

Anche  Jack Ma aveva creato un impero privato simile a quello di Musk (oltre ad assumere atteggiamenti spettacolari ricalcati su Musk, come quando si era presentato ai dipendenti vestito come Michael Jackson.).

Nel frattempo, la Cina aveva approvato a tempo di record una serie di leggi sull’ ICT ispirate a quelle europee, ma più concrete e applicabili, in base alle quali tutte le multinazionali cinesi si sono viste esposte a una pioggia di sanzioni, in quanto, come le loro colleghe occidentali, intralciano continuamente la concorrenza, trascurano la privacy, ecc…(il “Crackdown sui BAATX”).

Quando Ma aveva lanciato una campagna di stampa contro il sistema bancario cinese, che gli negava quel sostegno finanziario che invece Musk ha in Occidente, per trasformare il suo impero industriale e tecnologico cinese in un impero finanziario mondiale, è stato arrestato e detenuto per alcuni mesi, finché ha rinunziato ai ruoli operativi nelle sue società, trasferendosi all’ estero e limitandosi a incassare i dividendi dovutigli in quanto socio di minoranza delle società stesse.

7.Trump e i conservatori

Un altro “miracolo” di Trump è stato quello di trasformare i conservatori, da sempre considerati “dei pariah” della politica, specie europea, in protagonisti ambiti delle politiche nazionali e della UE.

Grazie a ciò, l’”accoppiata” Trump-Musk  ha indebolito con una duplice mossa  un probabile ostacolo al dominio mondiale dei GAFAM: la resistenza in nome dell’umano al “Governo degli algoritmi” di Musk,  così simile al “Governo delle Regole” tanto caro al liberalismo di sinistra. Questa resistenza non potrà venire se non da ambienti “lato sensu” conservatori, come per esempio le Chiese. Probabilmente, la coppia Trump-Musk spera che, essendole essi grati per averli fatti uscire dai loro ghetti, vari tipi di “conservatori”  lascino per un momento da parte le loro legittime ragioni ideali, che concettualmente li opporrebbero al “governo delle macchine” – chi per orgoglio nazionale, chi per umanesimo, che per difesa della libertà-…, e “lavorino” come si dice oggi, con la coppia Trump-Musk e con gli altri grandi soggetti geopolitici modo da non contrastare, bensì da agevolare, il progetto della “Singularity Tecnologica”. Ricordiamoci che Musk, come persona, tiene comportamenti ricalcati sui grandi transumanisti, come Ray Kurzweil e l’iraniano Fereidun Esfandiari. Quest’ultimo (il cui nome originario era la traduzione in Farsi, di quello del Salvatore dell’ Avesta, Thraetona) aveva fatto modificare all’ anagrafe il proprio nome e cognome in  FM-2030, anno in cui, secondo i transumanisti, sarebbero state curate certe malattie, come quella al pancreas di cui egli sarebbe morto dopo poco, e, contestualmente, s’ era fatto ibernare. Ebbene, anche Musk, oltre a fare ricosto alla gestazione surrogata,  ha chiamato il proprio figlio “X Æ xii” (quasi fosse un nuovo modello di macchina).

La battaglia politica che, fino ad oggi, si era svolta essenzialmente all’ interno  dei “parametri utopico-liberali” di Ursina (anche la Democrazia Cristiana, e perfino il Fascismo, erano a loro modo  stregati dal  mito del Progresso), oggi lo spazio  concettuale entro cui si combatte per l’egemonia politica mondiale è sostanzialmente “conservatore” (dall’interpretazione delle varie religioni e tradizioni nazionali a quella del mito moderno del Superuomo, fino ai critici moderni  della Modernità: Ricci, Ibn Khaldun, Nietzsche, Dostojevskij, Huxley, Dumont, Teilhard de Chardin, Burgess, Compagnon).

Come scrive sempre Orsina, “l’ordine utopico-liberale  non abbia saputo  mantenere le sue promesse e … il suo fallimento ne abbia fatto emergere  chiaramente i consistenti tratti di disumanità, l’affidarsi a un esistente essere umano e astratto. Disincantato, decontestualizzato, perfettamente morale e perfettamente razionale”. In sostanza, si è compiuta la Dialettica dell’ Illuminismo descritta da Horkheimer e Adorno.

E’ all’ interno di quest’ ampio spazio politico e culturale (l’unico rimasto oggi relativamente vivo al di fuori del postumanesimo) che si può, e si deve, ora, lanciare una battaglia sulla preservazione dell’ Umano, sulla libertà minacciata, sulla pace nel mondo, sul ruolo delle classi sociali, dei popoli e dei Continenti…). Se necessario, contro tanti falsi “conservatori” che operano come apripista per la Singularity Tecnologica e per il “Governo degli Algoritmi”. Tale critica al progetto post-umanista non dev’essere preconcetta, bensì partire dalle sue (per quanto discutibili) radici storiche :il Mistero dell’ Incarnazione, l’“Antiquatezza dell’Uomo”, il mito dell’ Eterno Ritorno...

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EUROPA HA GIA’ PERSO, INDIPENDENTEMENTE DAL FATTO CHE ABBIA VINTO TRUMP

Lo diceva la rivista online POLITICO October 31, 2024 :”It doesn’t matter if Trump or Harris win. Europe has already lost.”di  Nicholas Vinocur

Secondo quell’Autore, il momento del massimo splendore dei rapporti transatlantici (“Peak America”), era stato raggiunto il June 6, 1994, con la celebrazione dei 50 anni dello Sbarco in Normandia.

1L’età dell’oro dell’ egemonia americana

A quell’ epoca, l’egemonia “culturale” degli USA era incontrovertibile nello sport, nell’entertainment (“EuroDisney — a sort of American colony”); i giornali americani erano fortemente presenti in Europa. Oggi, invecve, gli USA hanno ridimensionato la loro presenza i Europa, salvo che nel settore digitale (per altro intimidito dalla legislazione europea), e le truppe americane nel nostro Continente sono state ridotte da 450.000 a meno di 100.000.

L’inizio di questo disinteresse americano coincise con la presidenza di Barack Obama e con il  suo “Pivot to Asia”.

Secondo Ben Hodges, ex comandante americano in  Europa,  il costo di mantenere tanti soldati ha generato vantaggi proporzionali:  “It was always mystifying to me that people didn’t see what a huge advantage we have with our leadership inside NATO and our relationship with European countries,”

2. Senza gli Stati Uniti, l’Europa sarà persa, oppure sarà salvata?

 La Commissione si sta preparando a un ridimensionamento dell’ impegno americano, ma è divisa quanto alla configurazione dell’ “autonomia strategica europea” .

L’ex Primo ministro finlandese Niniisto ha presentato un rapporto dettagliato sullo stato di preparazione bellica e per la difesa civile L’ Europa non è preparata ad una guerra mondiale, per cui il primo compito sarebbe quello di spiegare ai cittadini europei come sopravvivere nelle prime 72 ore del conflitto. Qualcosa che la Svezia stava facendo 5o anni fa, con la diffusione capillare degli opuscoli “Om kriget komer” (“se viene la guerra”) e “Inte samarbejde”(“non collaborare”). E’ grottesco che vengano riproposte soluzioni  così invecchiate, senza tener conto del mutato scenario tecnologico e geopolitico. La “military preparedness” (EU Preparedness Law) è divenuto un termine corrente nel linguaggio brussellese.stiamo programmando, con folle ritardo e senza un piano concreto, un’economia di guerra.

3.Autonomia strategica e autonomia culturale

 Nicolas Tenzer ha scritto:“Without the United States, Europe is lost

In realtà, l’Europa che “è già perduta” sono gli “Stati Uniti d’ Europa”, cioè il progetto di fare, dell’ Europa, un clone degli Stati Uniti, a questi ultimi subordinato. Al momento del dunque, quando gli USA stanno considerando di usare veramente il loro inaudito arsenale culturale, sociale, tecnologoco, poliziesco, politico, accumulato, per imporre l’accettazione, da parte di tutto il mondo, del Modello Incompiuto della Modernità, non tutti sembrano accettare a scatola chiusa questa decisione, né di qua, né di là dell’ Atlantico.

Come avevano illustrato alcuni Autori, come Simone Weil, Pierre drieu la Rochelle e Pietro Barcellona, l’Europa rappresenta oggi, dal punto di vista culturale, il Katechon di paolina memoria, quella forza che trattiene il mondo dall’Apocalisse (rappresentata dal chiliasmo americano). Essa ha combattuto da secoli contro l’ansia millenaristica della “Dissidence of Dissent” (Huntington), per esempio con le critiche di Sant’Agostino al manicheismo, con le prediche di Lutero contro gli Anabattisti, con la dissertazione di Rousseau per l’accademia di Digione, con “Les Soirées de Saint Petersbourg” di De Maistre, con “La crise de la modernité” di Guénon e la “Rivolta contro il mondo moderno” di Evola, con le opere di Dostojevskij, Soloviov, Leontijev, Trubeckoj , Gumilev, Solzhenitsin.

L’Europa costituisce così l’unica vera alternativa al Progetto della Modernità, ed è per questo che, da quando gli USA hanno l’egemonia mondiale, si fa di tutto per sminuirla: finanziando gli “opposti estremismi”; liquidando le imprese come l’ Eni e l’ Olivetti, che avrebbero potuto contestarne la primazia; ricoprendola di basi militari e di testate nucleari che la espongono a rappresaglie russe; obbligandola a guerre intestine e a sanzionare mezzo mondo…

Non ostante tutto ciò, non è  affatto detto che, nella Terza Guerra Mondiale, l’Europa starà dalla parte degli USA. Ricordiamoci che l’indipendenza degli USA fu imposta all’ Inghilterra dalla Francia vincitrice, con l’aiuto della Spagna. Similmente, non è improbabile che un’autonomia europea risulti da una nuova e diversa ripartizione delle sfere di influenza mondiali.

E’ a questo che l’Europa dev’essere preparata: ad assumere, attraverso la cultura, il controllo di quell’apparato politico, militare e tecnologico che si sta preparando con ben divere intenzioni.

FRA I GAFAM PER TRUMP E IL GATTOPARDISMO EUROPEO

In mezzo alle tragedie, l'”establishment” ostenta soddisfazione.

La scorsa settimana, mentre il Parlamento Europeo ha ratificato il rinnovo dell’incarico a Ursula von Der Leyen, si è svolta a Milwaukee una convention repubblicana che, dopo il fallito attentato a Trump, non ha potuto che consacrarne a gran voce la nomination per il Partito Repubblicano.

Mentre il voto europeo è stato caratterizzato  dall’allagamento ai Verdi dell’alleanza a favore della Presidente uscente, una mossa in sostanza in sostanziale coerenza con il passato, la scelta dei Repubblicani americani sembrerebbe seguire una linea politica, ma soprattutto ideologica, di apparente  rottura con il “mainstream”. In particolare:

-rafforzato messianesimo, sostenuto da un’interpretazione taumaturgica del fallito attentato;

-venature monarchiche (Yarvin);

-teorizzazione della tecnocrazia del web (Srinivasan).

Rottura per altro anche questa a nostro avviso solo apparente perché, come non ci stanchiamo di ripetere da sempre, il vero filo conduttore della storia americana è stato costituito dal messianesimo, prima religioso, poi politico, e, alla fine, tecnologico, che sfocia nel chiliasmo della missione dell’America, sul quale sono d’accordo tutti i partiti.

Dalla presunzione dei primi puritani di costruire in America la biblica “casa sulla collina”, che  tutti avrebbero dovuto imitare, al “White Man’s Burden” che l’America avrebbe ripreso dall’ Inghilterra per portare ovunque la civiltà, per passare poi alla battaglia reaganiana contro l’ “Impero del Male”, al progetto di Kurzweil di realizzare attraverso Google la “Singularity Tecnologica”e l’idea di Eric Schmidt  che Google deve guidare gli USA alla conquista del mondo.

Sulla strada verso la Singularity, Musk ha superato Schmidt e Kurzweil

1.Al di là dei GAFAM

Oggi però si è raggiunto un livello di vicinanza alla Singularity mai fino ad ora nemmeno intravisto, grazie in particolare all’ intervento diretto nella campagna elettorale di “tycoons” informatici come Musk, Thiel e lo stesso Vance, che spostano clamorosamente le loro “donations” da un candidato all’ altro, con l’intento evidente d’imporre le rispettive strategie per il controllo  tecnologico del mondo.

I teorici trumpiani vogliono andare al di là dello stesso  progetto schmittiano di “Googleization of the World”. proclamando apertamente il progetto di Saint Simon: gl’imprenditori quali sacerdoti della Religione della Umanità, attraverso l’attribuzione formale del potere alle multinazionali del web : “Silicon Valley governi il Paese”(Srinivasan).

Si realizza così la previsione di Morozov, che l’informatizzazione costituirà l’arma finale dell’ America-mondo per bloccare a proprio favore la Storia mondiale. Progetto per altro oggi contrastato dalla nascita di un’industria digitale cinese (i BAATX, speculari ai GAFAM, ma soggetti a una disciplina ben più reale: il “crackdown sui BAATX”).

Non per nulla Elon Musk si è qualificato quale il massimo finanziatore di Trump, con 45 milioni di dollari al mese per la campagna elettorale. Come resistere a queste coalizioni di tycoons? E come impedire che l’intero “establishment” europeo, senza nemmeno lo spauracchio di una repressione di tipo “asiatico”, si faccia comprare in blocco sottobanco dagli stessi “donors” che finanziano in modo aperto la politica americana? Ammesso che non l’abbia già fatto, visto come, nonostante le varie finte, si è guardata bene da attaccare seriamente (per esempio sul fisco, sull’antitrust, sulla privacy)i GAFAM, nonostante che questi siano inauditi monopoli che vivono in simbiosi con l’apparato informatico-digitale americano.

Quegli atteggiamenti degl’ideologhi di Trump, che potrebbero sembrare isterici e privi di agganci con la realtà, sono perciò assolutamente comprensibili e razionali in un’America la cui cultura è dominata da sempre dal funesto incrocio fra  messianesimo e plutocrazia, e che si trova anche, oggi, di fronte alla drammatica prospettiva di essere scavalcata in efficienza da Paesi ritenuti “inferiori”, come la Cina e l’India. In questa situazione, è normale che l’establishment ricerchi freneticamente nuovestrategie politiche,se necessario voltando le spalle alle tradizionali retoriche americane dell’ egualitarismo e del liberismo, per abbracciare varie forme di realismo politico, dall’ autoritarismo all’interventismo economico, ritenute più idonee a rallentare l’ascesa dell’ Asia, e, con ciò, la decadenza dell’ Occidente. In questo s’inserisce un ulteriore rafforzamento della figura carismatica di Trump e della sua famiglia, sostenuto, da un lato, dalla sentenza della Corte Suprema del 1° luglio, che sancisce di fatto il principio della superiorità del Presidente sulla legge, caratteristico delle monarchie assolute (“Princeps legibus solutus”).

Uno di questi nuovi percorsi  potrebbe essere costituito dalla scelta di un’ alleanza con la Russia per contrastare la Cina, invertendo così il percorso iniziato a suo tempo da Kissinger negli anni ‘70 del XX secolo. E’ questa la prospettiva più temuta dall’establishment europeo, sbilanciatosi in modo autolesionistico a favore una guerra in Ucraina che, checché esso affermi, costituisce la negazione dei suoi interessi e valori.

Per ciò che riguarda Trump, da un lato,  egli si è immedesimato nello Zeitgeist inaugurato da Putin, Xi Jinping e Modi, basato su una rinascita religiosa, sul nazionalismo economico e su un leader carismatico, una formula divenuta quasi un obbligo per i governi delle grandi potenze in una fase, come questa, caratterizzata da forti rivalità geopolitiche e dall’ imminenza della IIIa Guerra Mondiale, e, dall’ altro, non ha fatto altro che approfondire un trend già avviato sotto Reagan e i due Bush, verso una “presidenza imperiale”.

Anche sotto questo punto di vista, il “motore immobile” verso l’accentramento è costituito dall’ Intelligenza Artificiale, che s’identifica con l’essenza ultima della transizione digitale: un’unica mega-macchina super-intelligente che pensa per tutti, come nei romanzi di Asimov, per il bene di tutti. Il sistema politico occidentale, che sarebbe “basato sulle regole” serve appunto a tenere tutti “legati e imbavagliati” in attesa che i GAFAM completino la costruzione della megamacchina. Le “regole” si riveleranno alla fine essere quegli algoritmi “etici” da tutti auspicati, nei quali la cosiddetta “algoretica” tradurrà il moralismo puritano, nelle sue varie declinazioni de “politicamente corretto” e del “woke”.

Il primo uomo in cui Musk ha fatto inserire una chip cerebrale

2.”Bisogna cambiare tutto perché nulla cambi”

Alla febbrile agitazione della politica americana e dei GAFAM fa da riscontro l’immobilismo europeo, che continua a proporci da decenni lodevoli obiettivi fondati su ideologie tradizionali, ma che sono soffocati sotto un mare di libri “verdi” e “bianchi” e di retoriche buoniste, senza l’ombra di una realizzazione concreta.

A mancare all’ appello non è solo la Federazione Europea, ma anche l’Esercito Europeo, l’Identità Europea,  i Campioni Europei, la Rete Europea, che non possono certo essere surrogati da sempre nuove autorities, da un mare di finanziamenti a pioggia con chiari “biases” ideologici, da generiche politiche per le piccole e medie imprese o   dall’Artificial Intelligence Act. Quello che manca è soprattutto ciò che oggi è più urgente: un piano europeo globale di comprensione, dibattito, controllo e rinnovamento dell’ Intelligenza Artificiale.

Quell’impostazione mistificatrice  risulta evidente da una anche solo rapida lettura del programma presentato dalla von der Leyen, i cui titoli sono bellissimi, ma, quando ci si guarda dentro, tradiscono il vuoto, quando non la falsità:

a)a cominciare dalla pretesa che l’economia sociale di mercato stia dando all’ Europa un vantaggio competitivo, mentre invece l’economia europea sta soffrendo proprio per l’assenza di quella politica, come per esempio la mancanza di programmazione, le carenze della partecipazione dei lavoratori, la mancanza di Campioni Europei, l’assenza dalle grandi piattaforme europee…;

b)per passare al preteso “rispetto delle regole”, quando le multinazionali americane sono in continua violazione delle regole stesse con la connivenza delle Istituzioni europee (vedi sentenze Schrems);

c)continuando con l’informatica, di cui l’ Europa è un consumatore, non un produttore, e di cui si fa solo qualche vago accenno, fra i tanti altri temi molto meno importanti, confessando così, implicitamente, che si vuole la continuazione dell’ attuale situazione di svendita del Continente;

d)e ancora con la Politica di Difesa, che viene vista solo come un finanziamento aggiuntivo alle industrie nazionali, non già come un problema di creazione di un’élite europea, di cultura comune, di patriottismo europeo, di intelligence e di alte tecnologie, e, non ultima, di disponibilità a battersi;

e)Per finire ancora con il discorso sui diritti umani, da imporre agli altri Stati, mentre noi siamo i primi a non rispettare le minoranze etniche (come quelle dei Russi – di milioni di persone sparse in tutto l’UE ma la cui lingua non è riconosciuta-,dei Serbi cacciati irreversibilmente dalla Krajina; dei Catalani, i cui rappresentanti eletti hanno dovuto scontare lunghe pene detentive nelle carceri spagnole); ideologiche (come l’islam politico ,  il cristianesimo integralista-vedi Lefebvre e Viganò-, e perfino quel post-fascismo da cui l’attuale Governo italiano trae in realtà il nocciolo duro dei suoi voti).

Ursula von der Leyen ha espresso efficacemente quest’atteggiamento quando ha affermato, al Vertice Sociale di Porto, citando “il Gattopardo”: bisogna cambiare tutto perché nulla cambi”.

Tra l’altro, una questione di stile: perché il programma della Commissione e il discorso inaugurale sono in Inglese, quando l’ Inghilterra non fa parte della UE? Molto più opportunamente la Maltese Metsola usa spesso l’Italiano.

Occorre riproporre prepotentemente la questione della lingua, ma in modo radicalmente innovativo (uso moderno dell’ lingue classiche, più tradizione digitale -cfr. il nostro libro “Es patrìda gaian”-).

Un’opposizione all’ impostazione dominante ci sarebbe, anche al Parlamento Europeo, oltre che in quelli nazionali,  tanto a destra quanto a sinistra (pensiamo as esempio a Melenchon e Sahra Wagenknecht), ma sembrerebbe proprio che anche i partiti “sovranisti” siano in realtà parte del grande gioco, prestandosi essi a un’opposizione di comodo, ma non attaccando mai gl’interessi strategici dell’ “establishment”. Basti pensare che, sommando i voti di quei vari partiti (assolutamente intercambiabili), quello sovranista risulterebbe essere il primo gruppo politico di questo Parlamento, superiore perfino al PPE, e potrebbe perfino aspirare a proporre il presidente della Commissione.

In realtà, i vari gruppi “sovranisti” si agitano soprattutto  per far credere che esistano davvero, , per mettersi in mostra nei confronti dei loro attuali o potenziali sponsors (Biden, Trump, Putin, GAFAM?) facendo ciò che nella Marina delle Due Sicilie, si chiamava “ammuina”, vale a dire muoversi senza uno scopo sui vascelli.

Per esempio, il Parlamento, così deciso nella scelta pro-ucraina imposta dal Presidente Biden, incomincia già a sfilacciarsi, non solo con Orbàn, ma perfino con Michel, in previsione della vittoria elettorale di Trump in America, a cui tutti finiranno per allinearsi. Il Parlamento Europeo risulta essere, in tal modo, solo la cassa di risonanza delle vicende politiche americane. E’ lì che si adottano le vere scelte politiche, anche per l’ Europa. Del resto, l’idea stessa dell’ integrazione europea postbellica era stata lanciata, nell’ arena politica, da un voto in tal senso del Senato Americano (su proposta del Senatore Fulbright). Come si può pensare che, con una tale premessa, le Istituzioni Europee si esprimano in un senso contrario alla posizione di volta in volta egemonica in America?

Certo, l’attuale situazione kafkiana, con un’America profondamente divisa, il tentativo di Russia e Cina d’influenzare la politica occidentale, la forte consistenza numerica, ma anche la debolezza strutturale, dei sovranisti di destra e di sinistra, aprirebbe parecchi spiragli per una eventuale strategia di critica da parte di minoranze attive desiderose di unificare l’Europa sul serio, e non a parole come si è fatto fino ad ora.

Chi avrà il coraggio d’ incominciare?

GRAZIE A TRUMP, FINALMENTE UN ESERCITO EUROPEO?

Nello scorso fine settimana, Donald Trump aveva dichiarato che, se fosse diventato presidente degli Stati Uniti,  in caso di attacco da parte della Russia non sarebbe corso in aiuto dei partner della NATO che non rispettassero gli impegni di spesa per la difesa (il famoso 2%). Anzi, avrebbe  incoraggiato la Russia ad attaccarli. Come vedremo, quest’affermazione apparentemente paradossale per i motivi che vedremo sta suscitando reazioni  diverse fra gli Europei, alle quali questo post è dedicato. Contrariamente a quanto affermato dai più, non è affatto detto che la minacciata uscita degli USA dalla NATO sia un male per l’Europa, ma solo se gli Europei ne sapranno approfittare per portare avanti i loro progetti di integrazione, a partire dal fondamentale problema della difesa europea.

L’affermazione di Trump è in sé inconsistente, visto che i Paesi vicini alla Russia hanno budget militari superiori al 2%, sicché , se la Russia volesse seguire il suggerimento di Trump, dovrebbe invadere prima dei Paesi  che gli USA sarebbero impegnati a difendere. L’effetto sarebbe comunque una guerra mondiale.Tuttavia, è significativa di un trend che, portato alle sue estreme conseguenze, potrebbe alterare profondamente il rapporto di forze fra Europa e resto del mondo instauratosi con gli accordi di Yalta, come non hanno mancato di rilevare eminenti politici europei.

Cominciamo dal Commissario Gentiloni

Nel suo intervento conclusivo del convegno “L’Unione europea al tempo della nuova guerra fredda. Un manifesto” organizzato lunedì (12 febbraio) dalla Rappresentanza in Italia della Commissione europea Gentiloni, purriconoscendo  i meriti della Commissione europea che “ha fatto un lavoro davvero notevole negli ultimi 5 anni”,  ha osservato però al contempo che “il contesto internazionale è cambiato a una velocità tale da rendere difficile stare al passo.”Di conseguenza, il commissario ha affermato che l’Unione Europea deve decidere se“vuole continuare ad essere l’unico animale erbivoro in un mondo di carnivori, con ciò associandosi alle voci sempre più frequenti che, in considerazione dell’evoluzione della geopolitica mondiale, invocano un allontanamento dalla  retorica pacifistica dominante della UE negli ultimi decenni. Lo stesso Commissario ha dovuto riconoscere  due giorni dopo il peggioramento della situazione economica della UE, dovuto, guarda caso, agli effetti negativi delle politiche aggressive dell’ Occidente verso i Paesi eurasiatici, che hanno provocato il rincaro delle materie prime e dei trasporti, e, quindi, indirettamente, all’atteggiamento rinunziatario dell’ Eurpopa, da sempre contrearia a queste politiche aggressive.

Di qui anche l’impressionante mobilitazione del mondo agricolo, con la prima potente, ed efficace, azione sindacale coordinata a livello paneuropeo.

Veniamo ora alla Germania.

Subito dopo Gentiloni,la candidata capolista del Partito socialdemocratico tedesco alle elezioni europee e vicepresidente del Parlamento europeo, Katarina Barley, ha scatenato un  dibattito sulla costituzione, da parte dell’UE, di un proprio arsenale nucleare. In un’intervista rilasciata martedì a Der Tagesspiegel, Barley ha messo in dubbio l’affidabilità per l’Europa di una protezione nucleare a statunitense:

Alla luce delle ultime dichiarazioni di Donald Trump, [tale protezione] non è più affidabile”, ha affermato Barley.

Sulla strada verso un esercito europeo, [il bisogno di capacità nucleari dell’UE] potrebbe anche diventare un problema”, ha aggiunto.

A sua volta, il Ministro Habeck ha dichiarato che l’economia tedesca sta andando “drammaticamente male”.Anche qui, guarda caso, ci sono di mezzo dazi, sanzioni e controsanzioni, pensati e minacciati già dai tempi del TIFF e del TFF,  che fiaccano la capacità dell’ economia tedesca di fungere da “locomotiva”.

Indipendentemente dalle dichiarazioni di Trump o di chiunque altro, abbandonare le proprie capacità militari all’ arbitrio degli USA, che ci precettano e ci congedano secondo i loro capricci (vedi Irak, Afganistan. Jemen),  è quanto di più imprudente vi possa essere, soprattutto in un mondo in rapida trasformazione, quale quello in cui stiamo vivendo, in cui ciascuno combatte duramente contro tutti in difesa dei propri principi e interessi.

Occorrerà vedere se veramente ci sarà il preannunciato cambio di rotta degli Stati Uniti, che cosa intenda veramente Trump e che cosa convenga all’ Europa. Ricordiamo quanto diceva Franz Josef Strauss, che, cioè, non capiva perchè ci fosse bisogno di 180 milioni di Americani per difendere 400 milioni di Europei da 300 milioni di Sovietici“. Non una bella situazione per l’unità europea, e che va rovesciata al più presto possibile; questa potrebbe essere l’occasione buona, nonostante le difficoltà intrinseche di creare un esercito europeo.

I missili ipersonici cambiano le strategie di deterrenza

1.Instabilità dell’ equilibrio di Yalta

Che lo pseudo-equilibrio mondiale creato con gli accordi di Yalta sarebbe forse  durato a lungo, ma avrebbe comunque incontrato continui ostacoli, lo si poteva prevedere fin dal principio, stante la radicale messa in discussione da una parte non indifferente dell’intelligentija mondiale dei suoi stessi presupposti ideologici, se non teologici. Basti pensare alle critiche rivolte, con fuoco concentrico, alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (contestuale alla creazione delle Nazioni Unite),  da parte: di Herskovitch, presidente dell’ Associazione Antropologica Americana (che sosteneva che i diritti non sono universali, bensì regionali); del rappresentante dell’Arabia Saudita (che preannunziava la redazione di una Carta islamica dei diritti dell’Uomo), e, infine, del delegato cinese (nazionalista, cioè di Taiwan), che aveva dichiarato che il diritto dei Cinesi è quello  “di fare la rivoluzione” (vale a dire la teoria tradizionale del Tian Ming, il Mandato del Cielo).

Così pure, Horkheimer e Adorno, invitati in America dalla comunità ebraica americana per scrivere il loro saggio sulla Personalità Autoritaria, che sarebbe dovuto essere utile per prevenire la rinascita del nazismo, erano sorprendentemente tornati in Europa con il loro esplosivo “Dialettica dell’ Illuminismo”, con cui denunziavano, come responsabile dei totalitarismi e della bomba atomica, proprio la modernità illuministica, la cui massima espressione è costituita dagli Stati Uniti e dalla “Comunità Internazionale” da questi guidata, creata proprio in quegli anni. La Dialettica dell’ Illuminismo consiste proprio nella tendenza, immanente alla Modernità, di perseguire uno stato di perfezione mondana (la Fine della Storia), impossibile da conseguire dato il carattere intrinsecamente finito del mondo. L’esperienza storica dimostra che, a causa di questa impossibilità, le pretese di realizzare la Fine della Storia si sono rivelate in effetti la premessa di grandi sciagure, come le due Guerre Mondiali, i totalitarismi, la Shoah, la bomba atomica, il surriscaldamento ambientale, e l’egemonia delle Macchine Intelligenti (“Eterogenesi dei Fini”).

Infine, avevano acquisito l’indipendenza India e Israele, le quali, nonostante la presentazione “modernistica” e “democratica” che ne è stata fatta in questi decenni, erano, e sono, in realtà innervate da un radicale fondo antimoderno (basti pensare al saggio in Gujarati di GandhiHind Swaraj-, in cui si propugnava una de-modernizzazione dell’ India, e al suo commento del Bhagavad Gita, in cui la Ahimsa (tradotta arbitrariamente come “non violenza”) veniva interpretata alla luce dell’ etica marziale degli Kshatriya. Oppure alle teorie di vari leaders politici e religiosi israeliani, che invocavano, e ancora invocano, l’occupazione dell’intero Levante (Israel haShelemah) in forza di un diritto storico ancorato nella Bibbia (Genesi 15:18-21).

Tutte questioni che, invece di diluirsi col tempo, si sono incancrenite fino all’ attuale esplosiva situazione attuale (cultura woke, islam politico, neo-confucianesimo, Bharatiya Partiya, crisi di Gaza).

L’idea che la connivenza  fra due sistemi ideologici e politici apparentemente ostili , ma accomunati dal razionalismo economicistico (capitalismo americano e socialismo reale), avrebbe potuto bloccare in eterno gli assetti mondiali con l’equilibrio del terrore e la censura ideologica, sterilizzando le diverse istanze culturalistiche dei vari popoli – come per esempio la volontà di indipendenza della Cina e del mondo arabo, così pure come il recupero della cultura islamica e il messianesimo ebraico-, era durata lo spazio di un mattino, cioè fino alla crisi di Cuba, alle guerre di Corea, del Vietnam e dell’ Afganistan. Il crollo del Muro di Berlino, lungi dal rappresentare la Fine della Storia sotto l’egida di un Pensiero Unico sintesi di puritanesimo e marxismo, ha  dato il via alle  pulsioni antimoderne dei vari Continenti: dall’Islam politico al Neo-Eurasiatismo, al “socialismo con caratteristiche cinesi”. Oggi, queste pulsioni stanno trovando la loro manifestazione aperta con la ripresa di visioni del mondo come il Tian Xia, la Sharia, la Terza Roma, l’Hindutva. Che, a nostro avviso, hanno come punto nodale non l’”autocrazia”, bensì il richiamo alle antiche culture “regionali”, che trascendono quelle delle “nazioni moderne”.

L’”establishment” occidentale risponde con una chiusura isterica a questo trend culturale, visto come un inaccettabile attentato alle “conquiste del Novecento”(Ezio Mauro), perché non le capisce, o non vuole capirle, non avendo mai studiato seriamente, né le culture extraeuropee, né i pensatori anticonformisti occidentali ad esse vicini (statisticamente, la maggioranza- dai Gesuiti a Leibniz, a Voltaire, a Schopenhauer, a Pannwitz, a Guénon, a Evola, a Eliade, a Eliot, a Pound, a Saint-Exupéry, a Burgess…)  ma conculcati da secoli da quella setta fanatica che ha monopolizzato i centri del potere occidentale. Quel richiamo alle culture antiche nasce da un’istanza prepolitica, quella di costruire, come volevano Saint Simon e Durckheim, una “Nuova Società Organica”, che colmasse il vuoto lasciato dalla secolarizzazione.

L’”establishment” è invece  troppo occupato a ripetere pappagallescamente le stesse non fondate litanie conformistiche, senza rendersi conto della contraddizione che c’è fra i continui elogi profusi alla differenza e alla tolleranza e la sua incapacità almeno di pensare dall’ interno delle categorie logiche altrui (siano esse filosofiche, linguistiche o religiose). Basti ricordare l’ignoranza generalizzata delle lingue siniche e indiche, oltre che di Arabo ed Ebraico.

Questa provinciale autolimitazione impedisce, infine, di capire, non solo quei 4/5 del mondo che sono estranei all’ “Occidente”, ma perfino ciò che sta accadendo all’interno  dell’Occidente stesso. Incominciando dalla politica estera di Trump, che non è l’inspiegabile stranezza di un vecchio miliardario, e neppure l’ideologia di classe del proletariato americano, bensì semplicemente una realistica presa d’atto delle logiche della guerra tecnologica  nel XXI secolo. Troppi stanno ancora immaginando di vivere nel “mondo bipolare” (che si sta sgretolando), basato sull’ “Equilibrio del Terrore” del secolo scorso, in cui si fronteggiavano i sistemi nucleare americano e sovietico, ricchi, senz’altro, di migliaia di vettori intercontinentali, ma governati da sistemi di controllo rudimentali, come quell’ “OKO” di cui già Popov aveva dimostrato in pochi minuti la fallacia.

Essi non capiscono che, in questo nuovo mondo molto più variegato, i miti che avevano bloccato gli assetti mondiali, come quello dell’automatismo dell’Art.5 dell’Alleanza Atlantica, hanno oramai perduto qualunque credibilità.

I nuovi missili abbattono i satelliti-spia

2.La NATO non può funzionare nell’ attuale situazione delle tecnologie militari

E’ impossibile fare funzionare oggi un sistema di reazione nucleare automatica come voleva essere “OKO”(che rendeva inevitabile il “second strike”), perché i tempi di attacco e reazione sono troppo ristretti (una decina di minuti) e le tipologie degli attacchi troppo variegate. Basti ricordare l’esempio portato da Eric Schmidt ad un incontro con i comandanti dell’aviazione americana, quello che una guerra nucleare venisse scatenata dalla Corea del Nord con l’opposizione della Cina, ipotesi che manderebbe in crisi l’intero castello di carte della “Mutua Distruzione Assicurata”. Infatti, allo stato attuale dei fatti, anche usando l’Intelligenza Artificiale, sarebbe impossibile decidere in pochi minuti quale nemico colpire. Questo mette a nudo la debolezza strutturale  dell’Articolo 5 del Trattato che, lungi dal parlare di automatismo, rimanda a una risposta concertata fra gli Stati Membri, per la quale oggi il tempo non c’è più.

Si richiede un sistema molto più rapido di reazione calibrato sui principi e interessi dell’ Europa Visto che non avrebbe senso avere 30 diverse “Forces de Frappe”, una per ogni Paese d’Europa, tale sistema non può essere che europeo.

Di qui l’esigenza, sentita da tutti, di una maggiore assertività da parte dell’ Europa,  la quale sta parlando da più di 70 anni di “Politica Estera e di Difesa Comune”, ma non ha mai fatto il seppur minimo passo in avanti in questo senso. Senza contare che la struttura stessa dell’Unione Europea è ricalcata sull’organizzazione delle Crociate quale proposta dai primi progetti europei (Dubois, Podiebrad, Sully), su un arco di 700 anni e mai attuati, e non può funzionare per quegli stessi motivi. Del resto, non conseguirono i propri obiettivi neppure l’Impero Francese e l’Asse, che si riproponevano gli stessi obiettivi, ma in un quadro imperiale.

I motivi per l’impossibilità di un esercito europeo risultarono evidenti anche in occasione della negoziazione e del rigetto del trattato CED, precursore dei Trattati di Parigi e di Roma. E’ infatti dal militare che era partito il movimento di integrazione dell’Europa sponsorizzato dagli USA, sulla scia della risoluzione del Senato Americano su proposta del Senatore Fulbright. Infatti, quell’ esercito europeo, composto di 6 divisioni, senza marina, aviazione, servizi segreti, arma missilistica, sarebbe stata praticamente una forza ausiliare delle Forze Armate Americane, per mascherare il riarmo della Germania in funzione antisovietica, ma non risolveva il problema della difesa europea.Il Trattato fu ovviamente bocciato dal parlamento francese.

L’attuale situazione di fatto mette a nudo ancora una volta tutte  le debolezze intrinseche del concetto stesso:

-se, a una minaccia nucleare occorre rispondere in pochi minuti, è necessario che esista un unico centro decisionale in grado di fare partire  subito i missili, ma sapendo almeno dove e perché. Orbene, se lo stesso formidabile sistema americano (come lo era quello sovietico) appare inadeguato a questo compito, come potrebbe esserlo il disarticolato sistema europeo?

-però non basta che qualcuno (nel nostro caso, paradossalmente,  il Presidente francese) abbia il pulsante rosso che comanda i missili nucleari; occorre quanto meno che i missili siano adeguati a distruggere il potenziale bellico nemico, ché, altrimenti, si esporrebbe senza ragione l’Europa alla rappresaglia avversaria;

-infine, sembra impossibile “sganciare” la difesa europea da quella americana, visto che centinaia di testate americane sono imbarcate (con fini ricattatori) sugli aerei tedeschi, italiani e belgi (che non possono sganciarle autonomamente), così esponendo comunque l’Europa Centrale alla distruzione nucleare nel caso di uno scontro frontale fra USA e Russia, e visto anche che il sistema difensivo europeo è totalmemnte esposto al sistema spionistico degli USA.A meno che non siano gli USA a “sganciarsi” veramente dalla NATO come avrebbero capito i nostri governanti, anche se noi non ci crediamo. Pensiamo infatti che Trump voglia togliere agli USA i pochi costi e vincoli a suo carico della NATO, pur mantenendone il controllo di fatto attraverso la propria superiorità politica, militare e spionistica. Per esempio, mantenendo in piedi (come suggerito da Caracciolo) gli accordi bilaterali (segreti) con i Paesi dell’ Asse sconfitti, che garantiscono agli USA l’agibilità dei territori europei, eventualmente trasformandoli in accordi pubblici (e quindi legali), visto che i trattati segreti sono praticamente incoercibili.

Inoltre, è ovvio per tutti fino dai tempi della CED che, per poter usare comunque le armi più moderne in nome di tutta l’ Europa, ci vuole un potere politico unitario, che per altro sarebbe di tutt’altra natura di quelli della UE , perché avrebbe potere di vita e di morte su tutti gli Europei (e deve perciò essere almeno accettato). E infatti già a quell’ epoca si era pensato ad atomiche europee, ma però l’unico risultato pratico era stato quella francese.

L’idea che questo potere unitario possa essere il Parlamento Europeo o il Consiglio Europeo poteva avere un senso nelle condizioni belliche degli anni ’50, quando le guerre erano deliberate dai Parlamenti e le decisioni potevano durare settimane, se non mesi. Non oggi, quando la guerra mondiale può partire in pochi secondi, e deve partire in segreto. Oggi, occorre decidere in 10 minuti, mentre le trattative ai vertici UE durano anni (vedi la questione dei finanziamenti all’ Ucraina). Per questo, o si delega la decisione all’ Intelligenza Artificiale (che è quanto più temiamo, perché costituirebbe automaticamente l’esautoramento dell’ Umanità), o si crea un “imperator” europeo, un “commander-in-chief”, distinto dagli Stati Membri, con potere di vita o di morte (cioè colla valigetta nucleare e il pulsante rosso). E, di fatto, l’accentramento  senza precedenti di poteri a cui assistiamo oggi in Cina, in Russia, in India, en Turchia, e perfino negli Stati Uniti, si giustifica innanzitutto nell’ ottica della preparazione bellica. Ma tutti quei Paesi hanno una struttura politica accentrata, condivisa e presente da secoli, mentre la  nostra incapacità strutturale di creare un sistema di comando unitario è la prima ragione della nostra insignificanza.

D’altronde, perfino negli USA ci si sta interrogando sul loro stesso comando unitario, data l’evidente senescenza dei candidati presidenziali più accreditati, a cui si dubita se si possa attribuire la valigetta nucleare.

Solo se vi fosse un qualsivoglia potere europeo, fornito della leva militare, capace d’incarnare una Identità Europea  condivisa almeno dalle classi dirigenti, l’Europa potrebbe, non solo difendersi da sola, ma anche e soprattutto parlare in modo significativo con le Grandi Potenze. E non necessariamente di guerra, visto che tutti gl’interessi dell’ Europa la portano verso i suoi vicini d’Eurasia (culturali, etnici, demografici, economici..), non verso dazi, sanzioni e controsanzioni.Purtroppo, l’appiattimento sugli USA ci ha portato a perdere le grandi occasioni di pacificazione con l’Est, a partire dalla Confederazione Europea proposta da Mitterrand, dall’ adesione della Russia alla UE richiesta  da Eltsin e perfino da Putin, fino alle Nuove Vie della Seta, con le quali non saremmo arrivati alla  “Terza Guerra Mondiale a Pezzi”a.

Ma, in assenza di una “Nazione europea”(quale accennata timidamente da Benda, da Mosley, da Thiriart e da Barcellona), l’accettazione di un unico centro di potere potrebbe venire solo dalla sussistenza di un progetto centrale per il futuro del Continente, incarnato da una classe dirigente veramente adeguata e radicata in tutto il territorio. Progetto centrale che va ancora creato. In fondo era l’idea di Dubois e di Podiebrad: fondare l’unità europea sulle strutture di comando dell’ esercito europeo (allora, l’esercito di Crociata).

Gli USA possono evitare di difendere l’Italia, che detiene decine
di loro testate nucleari?

3.La questione del 2% del budget militare.

L’innalzamento del livello della spesa militare degli Stati membri della NATO, richiesto da sempre dagli USA,e ribadito da Trump, è certamente necessario, ma non è accettabile nell’attuale quadro degli accordi Europa-USA

Intanto,si parla solo delle spese nazionali di ciascuno Stato, senza tenere conto:

-dell’affitto e manutenzione delle basi USA in Europa (sostenuto in gran parte dai Paesi ospitanti);  Il Pentagono spende per le basi  circa 10 miliardi di dollari  l’anno., ricevendo dagli Stati ospiti una compensazione diretta o indiretta, sì che queste basi costituiscono per gli USA un risparmio rispetto a stazionare le truppe in America;

-del signoraggio del dollaro;

-degli acquisti europei di materiale militare negli USA;

-dei vincoli creati anche sull’ economia civile dall’esistenza di obblighi miltari NATO, come per esempio l’ostacolo alla nascita di imprese concorrenti con quelle americane, o la condivisione di dati riservati degli Europei utilizzati dall’industria americana;

-delle mancate opportunità per l’industria europea derivante dall’esclusione dai finanziamenti americani del DARPA.

Quindi, il costo reale della Difesa in Europa è ben più elevato, e sta incidendo negativamente sull’ andamento dell’ economia, come rivelato proprio ora da Gentiloni.

L’ Europa non spende affatto “poco”per la Difesa, bensì tre volte più della Russia, 240 miliardi contro 84. E gli Stati Uniti, scaricando buona parte dei loro costi sugli alleati, pur essendo il Paese con il maggior budget della difesa, spendono in realtà proporzionalmente molto meno degli Europei.

In definitiva, con l’attuale tipo di “burden sharing”, diretto e indiretto, fra Stati Uniti ed Europa, un ulteriore incremento della spesa europea significherebbe addirittura che l’apparato NATO sarebbe sostanzialmente posto a carico totale dell’ Europa.

A questo punto, ecco spiegato l’eterno mistero di come la Russia, spendendo appena un terzo degli Europei, disponga di un potenziale bellico incomparabilmente superiore. Il vero problema è che, mentre ciò che spende la Russia è focalizzato a una difesa completamente autonoma, contro un attacco che provenga da qualsiasi direzione (“à tous les azimuts”come diceva De Gaulle), la preparazione bellica degli Europei è finalizzata solamente a integrarsi  nella strategia americana, senza la quale  sarebbe inutile. Quindi, non ha tutte quelle ricadute positive sull’economia che avrebbe una politica autonoma.

Una ipotesi di vera e propria “uscita degli USA dalla NATO” comporterebbe invece che l’ Europa si dotasse delle capacità di controllo, logistiche e di intelligence  eguali a quelle degli USA(pensiamo a quei “satelliti spia” intorno ai quali si è acceso il dibattito). Quella “Duplicazione di Risorse” contro cui gli USA hanno sempre combattuto.

Il che significherebbe fondere nell’ Unione una NATO senza USA, ovvero ricreare l’Unione Europea Occidentale. Solo in tal modo l’Europa spenderebbe bene il suo 2%: con un adeguato ritorno culturale, geopolitico, strategico ed economico,  il che le permetterebbe di combattere la sua vera battaglia, quella alla quale essa è vocata.

L’unica azione seria nel conflitto tecnologico sono state le due Sentenze Schrems

4.La reazione alle Macchine Intelligenti quale progetto storico dell’ Europa.

Da trecento anni, i globalisti continuano a ripeterci che l’obiettivo dell’organizzazione internazionale dev’essere il Bene dell’ Umanità. Peccato che, di fronte al progetto tecnocratico dell’Occidente, le visioni del Bene dell’ Umanità si biforcano sempre più: da un lato, gli apocalittici che pensano che l’obiettivo dell’ Umanità sia l’abolizione delle differenze fra individui e popoli, e quindi lavorano per l’abolizione delle individualità e l’imposizione di regole obiettive, quali quelle degli algoritmi; dall’ altra, coloro che pensano che, nell’ impossibilità di realizzare, nella contingenza, un mondo senza conflitti, il massimo di armonia conseguibile nella storia sia costituito da un mondo poliedrico, caratterizzato dalla coesistenza di realtà diverse fra individui, territori, ceti, continenti…

Come abbiamo illustrato in vari precedenti post, la “sfida principale” del XXI Secolo è costituita quindi, non già dalle “autocrazie” che vorrebbero distruggere le nostre “democrazie”(regimi politici fra loro diversissimi e a cui poco importa come gli Europei vogliano governarsi), bensì dal rischio che l’Intelligenza Artificiale prenda il sopravvento sull’Umanità, e, innanzitutto:

-assuma direttamente le decisioni sulla guerra e sulla pace;

-riduca ulteriormente la propensione degli umani alla riproduzione sessuata;

-riorienti le mentalità verso un cieco conformismo;

-ci tolga la capacità di produzione intellettuale autonoma,

– di conseguenza, renda impossibile qualsiasi forma di partecipazione da parte dei cittadini (altro che democrazia!).

Questa è la guerra che l’Umanità deve combattere, una guerra che modificherà la biologia, la cultura, la società, il diritto. Certamente, non tutti sono d’accordo sulla necessità di  questa decisione strategica, così come, in passato, non tutti erano d’accordo su altre decisioni strategiche, come per esempio la diffusione delle religioni di salvezza (Costantino), la schiavitù e, poi, la sua abolizione (la Guerra civile americana), la conquista, da parte dell’ Occidente, del resto del mondo (le Reducciones), il socialismo (Guerra Fredda), il razzismo (seconda guerra mondiale). Per questo ci sono stati sempre (e sempre ci saranno) conflitti , guerre, rivoluzioni. L’ipotesi più probabile è che i prossimi conflitti saranno pro o contro l’Intelligenza Artificiale.

Non per nulla i GAFAM americani sono già profondamente impegnati nei conflitti in tutto il mondo, con lo spionaggio, le manipolazioni del web, la guerra psicologica, le armi autonome, Starlink…Anche i BAATX cinesi sono, a loro modo, presenti sullo scacchiere bellico, ma sono stati ricondotti, dal loro governo (con il cosiddetto “Crackdown  sui BAATX”), a strumenti della strategia complessiva di quel Paese.

Se l’Europa vuole veramente avere un ruolo geopolitico, deve prendere posizione su questo conflitto fondamentale, da cui dipendono tutti gli altri. Anche per questo, una difesa veramente autonoma dell’Europa non potrà farsi come abbiamo spiegato nel precedente post, partendo dall’ articolo di Galli della Loggia del 5 febbraio, se non intorno a un’industria digitale autonoma e una cultura identitaria europea, due facce della stessa medaglia.

Una propria idea identitaria costituisce l’arma principale per una proiezione di potenza nel mondo. Ad esempio, gli Stati Uniti arrivano ovunque, prima di tutto, con le loro lobbies sponsorizzate dallo Stato, le quali diffondono l’idea degli Stati Uniti quali  “la Casa sulla Collina” a cui tutti i popoli debbono ispirarsi (Cotton Mathers, Emerson, Whitman). Pensiamo al Comitato di Corrispondenza costituito dopo la Rivoluzione Americana, con Lincoln che, in Francia,  faceva proseliti per a Massoneria, preparando la Rivoluzione Francese. Ad esempio, fece un siffatto pressing su Voltaire morente per farlo aderire alla Loggia “le Sette Sorelle”. Pensiamo al Filibustering portato avanti in Sudamerica di agenti americani come il Colonnello Walker, e all’ aiuto dato ai moti liberali in Europa (ospitando Kosciuszko, Kossuth, Garibaldi). Pensiamo ai 14 Punti di Wilson, alla Carta Atlantica, al Jazz, a Hollywood, all’ espressionismo astratto, all’Ideologia Californiana, alla Rivolta di Berkeley,alle banche d’affari,  ai social networks, all’ Endowment for Democracy, alle “rivoluzioni” organizzate da Gene Sharp…

Ma anche il mondo islamico ha, come sue avanguardie, gli Imam politicizzati, i convertiti, le comunità nazionali all’ estero. E che dire dei “filocinesi”, degli Istituti Confucio, della Via della Seta?

Orbene, l’Europa ha creduto di potersi spacciare per il “Trendsetter of the Worldwide Debate” senza avere nulla di tutto ciò, ma è stata smentita dai fatti, come hanno dovuto riconoscere un po’ tutti gli esponenti dell’”establishment”, da Borrell a Gentiloni, che hanno confessato di “essere stati ingenui”. Tale ingenuità è consistita, a nostro avviso, nell’aver preso sul serio l’ideologia americana, tentando addirittura di farsene i più zelanti sostenitori, senza comprendere che la mentalità puritana è una costruzione artificiosa che riesce a mala pena a sostenersi nella sua patria di adozione, che, in Europa, viene vista con sospetto, e, nel resto del mondo, viene addirittura smascherata ogni giorno di più come ipocrisia (“l’Uomo Bianco ha la Lingua Biforcuta”). Qualcuno che voglia essere “più realista del re” ha ancor meno credibilità del suo sponsor.

In tal modo, tutta la costruzione ideologica della Modernità, quella “bolla” entro  cui siamo stati educati, si sta rivelando via via, come ha scritto John Grey, come un’”Alba bugiarda”. L’ansia missionaria di conversione dei nativi si è rivelata  una copertura ideologica per il loro genocidio; l’imposizione del principio di eguaglianza nasconde la più radicale diseguaglianza, tanto che i nazisti, per scrivere le leggi razziali, non trovarono nulla di meglio che inviare negli USA  un transatlantico pieno di giuristi per copiare le “Leggi Jim Crow”. Il  preteso egualitarismo si traduce nella ben nota biforcazione fra miliardari e senzatetto, così pure come la pretesa “Rule of Law” si scopre essere stata un ‘importazione forzata negli USA del rigido diritto prussiano, per ovviare al carattere arbitrario della Common Law, palesemente manipolata da una magistratura elettiva, e quindi partitica per definizione e succube dei Poteri Forti.

Orbene, il punto centrale in cui si svela l’ipocrisia puritana è costituito dall’ apparente rifiuto della Ragion di Stato , che sembrerebbe un concetto estraneo e ostile per le cosiddette “democrazie liberali”, le quali  pretendono d’imporre agli Stati una morale simile a quella  individuale, ma poi in realtà compiono continuamente crimini sempre più efferati, cercando di nasconderli con il controllo delle opinioni pubbliche, e, alla mala parata, li giustificano con l’argomento tipico dei totalitarismi: difendere il Progresso. L’Occidente passa buona parte del suo tempo a discutere, bilancino alla mano, della pretesa maggiore o minore moralità del politeismo e del monoteismo, dell’Ebraismo e del Cristianesimo, del Cattolicesimo e del Protestantesimo, dell’ Islam e del marxismo, della Rivoluzione americana e di quella francese, di Israele o dei Palestinesi, della Russia o dell’ Europa…Mentre invece è responsabile delle maggiori catastrofi umanitarie della storia. Basti pensare alla tratta atlantica, al Trail of Tears, alle Guerre dell’ Oppio, all’annessione di metà del Messico e delle Filippine, ai bombardamenti a tappeto compresivi della bomba atomica, ai campi di concentramento per i Nippo-americani e i Tedeschi prigionieri, all’invasione gratuita dell’ Iraq e all’occupazione decennale dell’ Afghanistan…

Per questo, Eric Voegelin, un antinazista austriaco che scriveva in America, aveva dimostrato brillantemente che la “liberaldemocrazia” occidentale non era altro che il terzo volto del totalitarismo.

Per tutti questi motivi, molti sono convinti, in Europa, che il nostro Continente non debba più  seguire l’America nelle sue campagne per l’esportazione della morale internazionale, definita come “democrazia”. Altri invece, preoccupati più che altro di aiutare i loro alleati all’ interno degli USA, vorrebbero fare, dell’ Europa, un Paese di zeloti, che pretende di applicare una politica “morale”, anche là dove l’America crede di dover fare a meno di questa sua eterna finzione, nella speranza di “redimere” l’America dalle sue deviazioni dalla “retta via”(che tali non sono, bensì la seconda faccia della stessa medaglia).

Con tutto questo però non si fa politica estera, bensì solo una cattiva propaganda della setta puritana.

La visione del mondo atta a differenziare l’Europa sulla scena mondiale dev’essere necessariamente diversa da quest’ultima. Fondata sul mantenimento dell’ Umano, e, quindi, della diversità, che si deve tradurre nel rispetto assoluto delle identità extraeuropee, nella condivisione delle decisioni fra le identità intraeuropee, e nell’assoluta libertà di pensiero e di espressione, a dispetto di tutti i puritanismi. L’Europa quale barriera consapevole contro l’omologazione tecnocratica, capace di dialogare con gli altri Continenti, non già per plagiarli, bensì per trovare insieme un discorso culturale che dia un senso compiuto alle spontanee ribellioni contro la deriva nichilistica che la tecnica ci sta imponendo. Facendo tesoro, per questo, delle idee di grandi europei, come Matteo Ricci, Pascal, Leibniz, Voltaire, Guénon, Saint-Exupéry, ma anche di quelle Kang You Wei, di Gandhi, di Soloviov, di Fenollosa, di Pound, di Barcellona…Come scriveva brillantemente quest’ultimo:“L’Europa rappresenta una tappa, un gradino della globalizzazione?Oppure è una resistenza alla globalizzazione? “A nostro avviso, l’Europa può essere la roccaforte di una globalizzazione poliedrica, fondata sulla preservazione di tutte le grandi tradizioni dell’ Epoca Assiale pur entro i vincoli dell’Era delle Macchine Intelligenti.

Horkheimer e Adorno

5.Il”Conservazionismo” europeo

Il 12 febbraio, Sergio Fabbrini aveva scritto un articolo su “Il Sole 24 Ore”, denunziando le contraddizioni del conservatorismo italiano. Contraddizioni che certamente esistono perché  è proprio il conservatorismo in generale ad essere contraddittorio. Per esempio, in una situazione come quella attuale, sembrerebbe compito dei conservatori quello di essere in prima linea nell’opporsi all’egemonia delle Macchine Intelligenti. Invece, i conservatori sono tutti concentrati (come per altro anche i progressisti) nel  difendere la presente società, che ci ha portati fino a questa situazione rischiosissima, e propongono di fatto come modello il ritorno agli anni ’50 e ’60, quelli in cui eravamo un Paese povero e sconfitto, dove un senso di sollievo derivava più che altro dall’ idea che le cose non potessero andare peggio:il cosiddetto “Miracolo Economico”. Purtroppo fu proprio in quegli anni in cui si gettarono le basi dei nostri problemi di oggi: la concessione agli USA, con accordi ancor oggi segreti, di più di 100 basi militari, l’uccisione delle nostre imprese di alta tecnologia, la stessa egemonia culturale marxista, che, certo, non esiste più come tale, ma si è trasformata, con la “Lunga Marcia attraverso le Istituzioni”,  in un Pensiero Unico ben più invasivo, perché fuso con l’egemonia occidentale.

Riproporre quel modello significa nascondere le vere cause dell’attuale declino. Invece, come scriveva Armin Mohler, “Rivoluzione Conserevatrice significa creare qualcosa che valga la pena di essere conservato”

La rivolta dei robot in RUR di Capek

Per questo, crediamo che la legittima reazione alla Modernità in corso nella cultura e nell’opinione pubblica non vada incanalata verso  un “conservatorismo” da perdenti, bensì verso quello che abbiamo chiamato “conservazionismo), vale a dire la preservazione dell’ Umano contro l’egemonia delle macchine”(cfr. il nostro recente opuscolo “Verso le elezioni europee”). Questa sarebbe la giusta via per rispondere alle provocazioni che ci vengono dal resto del mondo, che ha rispolverato giustamente i “San Jiao”, l’Hindutva, i Califfi Ben Guidati, Dostojevskij e Bartolomé de las Casas. Anche se manca attualmente una definizione del “Conservazionismo” che possa servire a livello mondiale. E sarebbe proprio  l’ Europa a poterla fornire, sulla base dell’enorme esperienza accumulata su questi temi (de la Rochefoucault, De Maistre, Tocqueville,  Baudelaire, Nietzsche, Soloviov, Weber, Guénon, Eliade, Evola, Weil, Del Noce, Burgess, Grey).

Il Duca di Sully, autore del “gran Dessin”,
l’ultimo progetto di crociata

6.La Nuova Guerra Civile Americana

Il dibattito circa le rinnovate prese di posizione di Trump sulla NATO si concentra, a nostro avviso non correttamente, sulla questione delle armi all’ Ucraina. Se tutto si riducesse a questo, non vedremmo nessuna importante novità per l’Europa. Invece, le posizioni isolazionistiche in America potrebbero avere conseguenze di più ampio respiro, portando addirittura a una frattura ancora più pesante fra l’ Imperialismo Democratico del Deep State e il resto del Paese, fino a giungere a una vera e propria Seconda Guerra Civile Americana quale quella profetizzata nell’omonimo  film di John Dante, di cui sembrano manifestarsi le prime avvisaglie con le tensioni fra forze federali e nazionali al confine col Messico.

In questo scenario, potrebbero veramente riaprirsi i giochi in Europa per un autentico Potere Europeo, che, in tempi rapidissimi,  parta da un progetto culturale globale, passi per la creazione di una classe dirigente alternativa a quella attuale, e sfoci nella ripresa in mano delle sparse membra di un’ Europa devastata dalla crisi culturale, dalle forze centrifughe e dalle pressioni militari, per rifondare un forte Stato Europeo, capace di portare avanti l’agenda dell’ Umano sullo scacchiere internazionale, fornendo veramente gli strumenti per il dibattito internazionale (Trendsetter of the Worldwide Debate). Per esempio, con la filologia, la filosofia e la teologia comparate; con  il confronto  delle dottrine politiche greche, romane, cristiane e moderne occidentali con quelle cinesi, indiane, islamiche; con la ripresa dell’ educazione classica contro quell’”Educazione anti-autoritaria” contro cui giustamente si scagliava Adorno, e che in effetti, in alcuni decenni, ha livellato l’umanità per renderla atta al dominio Macchine Intelligenti.

Ciò detto, per essere presi sul serio e non essere scambiati da tutti per l’ennesima volta con una semplice pedina dell’America, dovremmo dotarci anche di un deterrente credibile anche militare- non necessariamente nucleare, perché le tecnologie di oggi  (cyberguerra, condizionamento della  ma mente, disinformazione, missili ipersonici e spaziali) forniscono in abbondanza armi ancora più decisive, e per giunta non ben conosciute dagli avversari-.

Teniamo presente che, per i problemi più delicati (come per esempio sulla guerra a Gaza), sono stati esclusi dalle trattative perfino i rispettivi governi, mentre chi tratta veramente (per esempio su Gaza) sono i rispettivi servizi segreti (che sono quelli che “hanno veramente le mani in pasta” in queste cose, e forse hanno il vero potere ovunque). Ora, l’Unione Europea non ha neppure un servizio segreto. Come può discutere con gli altri di intelligenza artificiale?

Qualunque cosa intendiamo fare, occorre muoverci subito, perché, tanto la Terza guerra mondiale, quanto la Singularity Tecnologica, oramai, incombono. Di converso, ciò che si deciderà (anche sul campo) sarà decisivo per gli assetti dell’umanità, e, in particolare, dell’Europa, nel prossimo secolo. Non possiamo farci trovare impreparati. Questo sarebbe il compito della classe dirigente europea. Purtroppo, quella attuale è inadeguata, e un’altra non è alle viste. Nonostante tutto, come diceva Mao Tse Dong, ”Grande è la confusione sotto il cielo; quindi, la situazione è eccellente!”.

CI SIAMO: LE MACCHINE INTELLIGENTI STANNO PRENDENDO IL POTERE. Commenti sul bando dei GAFAM contro Trump .

Il Campidoglio di Washington imita deliberatamente la Basilica di San Pietro

Il bando, decretato dai GAFAM, contro Trump e i suoi sostenitori, ha portato allo scoperto tutte le ambiguità dell’attuale sistema “occidentale”, che non a caso avevo definito, nel precedente post, come “un mix casuale di sistemi politici, tipico degli Stati Uniti”. Dove, come vediamo ancora in questi giorni, c’e di tutto: tecnocrazia e teocrazia, società segrete e servizi segreti, capitalismo e egualitarismo, democrazia rappresentativa e populismo, cetualismo e razzismo, burocrazia e imperialismo, fondamentalismo e materialismo, gatekeepers e whistleblowers…L’avanzata del potere delle macchine intelligenti, in corso da 75 anni, ha oramai fatto saltare il precario equilibrio preesistente: il momento scatenante è stato l’assalto al Campidoglio istigato dal discorso di Trump.

Questa situazione americana sta provocando un terremoto anche nell’intensa produzione legislativa dell’ Unione Europea in materia digitale, e, in particolare, relativamente al Digital Services Act presentato dalla Commissione come uno strumento del’ Europa per divenire il “trendsetter del dibattito globale” .

La questione è strettamente legata al dibattito dell’anno scorso sulla rimozione dal web dei contenuti terroristici, secondo cui le piattaforme sarebbero tenute a bandire entro un’ora contenuti sospetti,  installando dei filtri a questo scopo. E’ evidente che l’introduzione di filtri automatici per i contenuti equivale a conferire ai computer il compito della valutazione politica ed etica del pensiero umano, cioè il compito tradizionalmente riservato all’ Inquisizione e alla censura statale. Questo rappresenterebbe veramente la presa del potere culturale e politico, da parte delle macchine, sull’Umanità. Ma c’è di più. Vista l’assoluta latitanza degli Europei su questo mercato, chi dovrebbe applicare i filtri sarebbero i GAFAM americani in America. Ora, per tutto ciò che attiene al terrorismo, in America si applicano il Patriot Act e il CLOUD Act, che sanciscono la totale disponibilità dei dati all’ Intelligence Community, e contro i quali sono state adottate dalla Corte di Giustizia europea le sentenze Schrems. In pratica, in questo modo contorto le Istituzioni Europee stanno dando carta bianca ai servizi americani di controllare, con l’intelligenza artificiale, l’attività in rete degli Europei, proprio per quanto riguarda argomenti sensibili in materia geopolitica. Ma il guaio è che, con il conflitto USA-Cina, si tende a dare una valutazione geopolitica di tutto, come ai tempi del Maccartismo e di Stalin. In questo contesto, gli spazi di libertà divengono di giorno in giorno più illusori.

A ciò si aggiunga che la nuova amministrazione americana è strettamente legata, da un lato, attraverso Blackrock, a Wall Street, e, dall’ altro, attraverso Kamala Harris, ai GAFAM, e allora capiamo come stia formandosi un formidabile blocco di potere, attraverso il quale, tanto in America quanto in Europa, si sta rivelando il dominio diretto delle multinazionali dell’ informatica su tutto l’ “Occidente”. Con l’ambizione di estendere questo dominio a tutta l’umanità. Un vero “Stato come comitato d’affari della borghesia”.

Dan Brown ha posto in evidenza i messaggi masssonici impliciti nell’ architettura di Washington

1.Perché l’assalto al Campidoglio è stato deliberatamente provocatorio?

L’assalto dei trumpiani ha avuto una portata più simbolica che reale, giacché esso, senza la cooperazione di almeno parte delle Forze Armate, era del tutto inidoneo, non diciamo a realizzare un colpo di Stato, ma, addirittura, a intimorire i senatori, che, in effetti, hanno infine decretato la vittoria di Biden. Ma è stato molto importante come fatto simbolico, a causa del carattere squisitamente teocratico del sistema americano, che fa sì che trattare irrispettosamente il Campidoglio rappresenti un atto sacrilego, perché significa  non credere in tutta la mitologia messianica dell’America, “una nazione con l’anima di una chiesa” per dirla con Chesterton.

Come aveva ben posto in evidenza Dan Brown, l’architettura stessa di Washington (come per altro anche quelle di Parigi, Londra, Camberra e New Delhi), è tutta fondata sulla simbologia massonica (che, tra l’altro, riprende quella dell’ area templare egizia di Luxor). “Il Simbolo Perduto” è  tutto un’esaltazione di quest’architettura simbolica, che lo scrittore usa come palcoscenico per una lotta mortale fra due opposte anime dell’ebraismo e della massoneria. Uno scenario evocato sotto vari punti di vista dal “complottismo” dell’ Alt-Right che sostiene (o sosteneva) Trump. 

In particolare, la “Rotunda” al centro dell’ edificio, la cui cupola caratterizza il Campidoglio, è un vero e proprio tempio. Ai tempi di Washington e Jefferson, nel Campidoglio, dove ancora non c’era la cupola, si celebrava la messa domenicale. Il pittore italo-greco Brumidi, che aveva lavorato per molti anni a San Pietro a Roma, aveva rappresentato nella cupola, anziché le figure divine usuali nelle Chiese cattoliche, Giorgio Washington quale padre degli Dei, circondato da figure mitologiche e allegoriche. La cupola, aggiunta al Campidoglio in seguito, vuole infatti imitare e superare San Pietro, per significare che la nuova religione civile americana è destinata a sostituire, in quanto religione universale, quella cattolica.

Dunque, assalire in quel modo il Campidoglio significa desacralizzare l’“American Creed” ufficiale, ancor più di quanto non abbia fatto l’opposto movimento “Cancel Culture”, che ha attaccato sì molti importanti personaggi e miti del “canone occidentale” (melius, americano), ma non le idee centrali della sua religione politica, e, anzi, sembra prendersela piuttosto con la tradizione euro-americana.

Si tratta, come si vede, di una lotta per l’”anima dell’America”, che tenta di rispondere alla domanda di HuntigtonWho we are”. La risposta però è altamente conflittuale. Ognuno degli assiomi tradizionali dell’American Creed si sta frantumando, non essendo possibile darne un’interpretazione semplice e persuasiva.

Gli Europei dovrebbero guardarsi bene dall’ immischiarsi in questa battaglia, così come debbono smetterla di impartire lezioni agli altri Paesi del mondo, e pretendere invece che anche gli altri non si immischino nella nostra vita politica. L’Europa non è una costruzione ideologica, bensì è anch’essa un mix, risultato della convivenza millenaria, sul suo territorio, dei suoi popoli e delle sue culture, un mix diversissimo da quelli americano, cinese o indiano. Noi non siamo in grado di comprendere totalmente loro, come dimostrano le carenze della nostra cultura e gli errori della nostra storia. E presumibilmente neppure loro sono in grado di capire noi.

Cerchiamo d’ interpretare, ciononostante, i recenti eventi americani, per quanto possono essere utili ai nostri fini.

I famosi “sciamani” che hanno assaltato il Campidoglio citano innanzitutto
il Tea Party di Boston

2.La dissacrazione dell’”American Creed”

Ciò che ha scandalizzato Americani e americanisti è stato il tono provocatoriamente sacrilego dell’invasione da parte di personaggi che inalberavano simboli delle tradizioni americane minoritarie, dal suprematismo bianco al “Tea Party” (realizzato con un travestimento da pellerossa), dai Sudisti al “complottismo”. Una “cancel culture” a rovescio, che, come quella afro-americana, mira a fare uscire gli Stati Uniti dallo American Creed.

Come  scrive l‘edizione tedesca della testata russa online Sputnik, la scena  ricorda molto quelle ripetutesi come un rito a Belgrado, in Ucraina, Georgia, Moldavia ,Bierlorussia, Bolivia e Venezuela,nelle repubbliche centroasiatiche e nelle primavere arabe, da attivisti che non facevano mistero del loro inquadramento da parte della “diplomazia pubblica” americana (leggi “covert operations”), così implicitamente banalizzando la retorica che aveva  accompagnato quel genere di manifestazioni.

I rivoluzionari del Tea Party erano travestiti da Indiani

3.La negazione, in nome della democrazia, della libertà di parola

Innanzitutto, la pretesa che la “liberal-democrazia” possa risolvere magicamente  tutti i problemi proprio grazie al suo carattere intrinsecamente contraddittorio si sta rivelando illusoria.

Il liberalismo delle origini aveva avviato  una battaglia della libertà di stampa contro le forme di censura regie ed ecclesiastiche dell’ “Ancien Régime”, ma fin da subito aveva dovuto fare i conti con la censura rivoluzionaria e poi borghese, sì che molti autori diversi come Voltaire, Novalis, Gioberti e Baudelaire avevano dovuto constatare come fosse difficile pubblicare opere controcorrente.

Nel XX secolo, nei Paesi liberal-democratici, la tradizionale  “censura” si era trasformata in varie forme di persecuzione, come quelle a cui erano state esposte, da parte dell’ editoria occidentale o dei Governi, opere come “Praktischer Idealismus” di Coudenhove-Kalergi o “Il Dott. Zhivago”, nonché le condanne per reati di opinione dei letterati collaborazionisti (Pound, Brasillach e Céline), e infine l’autocensura di personaggi come Heidegger e Pavese.

Nel frattempo, i reati di opinione hanno proliferato: quelli legati ai fascismi, ai negazionismi, ai comunismi, all’ etica sessuale, alla libertà sessuale…

Infine, si è scatenata l’ondata terroristica verso ogni cosa che abbia fare con il passato, da Cristoforo Colombo a Shakespeare, da Caterina II alla  Confederazione del Sud, da Lenin a  Churchill (la “cancel culture”)…E’ l’orgia del nichilismo “democratico”, che, come scrivevamo, s’identifica in fin dei conti con il mito del mondo nuovo propiziato dalle macchine intelligenti. E, difatti, i GAFAM se ne fanno paladini e garanti.

Giacché, per costoro, l’etica coincide con l’adeguarsi all’ ultimo grido dell’evoluzione ideologica (e quindi sociale), il passato va pubblicamente condannato con cerimonie collettive di autodafé, e chi si ostina a inalberare simboli del passato è automaticamente un reprobo, che va svergognato sulla pubblica piazza. Il che, per l’Europa, ha un risvolto particolarmente negativo perché essa è proprio il passato dell’America, sicché condannare la cultura classica, medievale o umanistica, rappresenta la forma estrema del tradizionale Europe-Bashing americano.

Di qui, l’affannarsi di tutti, nel corso del nuovo secolo, per organizzare la caccia alle “fake news”, che in gran parte sono effettivamente tali, ma troppo spesso sono semplicemente l’espressione di un dissenso da una vulgata imposta. Questo soprattutto perché la versione offerta, della storia e dell’attualità, da parte dell’accademia e dei media occidentali è sempre più deliberatamente distorta in modo settario, come per ciò che concerne il peso relativo delle informazioni sull’Occidente atlantico rispetto  quelle sul resto del mondo (“from Plato to NATO”), per ciò che concerne la violenza nel corso della storia (i vari “libri neri”), il reale pensiero dei grandi autori (Socrate, Tucidide, Rousseau, Voltaire, Marx, Freud), i più importanti fenomeni sociologici ed economici (il “capitalismo”, il “socialismo”, il “fascismo”)…

Pur dando tutto ciò per acquisito, resta il fatto che l’ultima evoluzione della vicenda, vale a dire la messa al bando, da parte dei GAFAM, di ogni espressione sui social da parte del Presidente Trump, nonché l’oscuramento del sito indipendente Parler (e, per un istante, perfino del sito del giornale italiano “Libero”), ha lasciato senza fiato anche molti critici europei del Presidente Trump, a cominciare da Angela Merkel ed Emmanuel Macron. La tesi che simili decisioni dovrebbero poter  essere adottate solo da organismi pubblici, e non da aziende private, coglie solo una minima parte del problema. E anche con essa si fa in sostanza l’apologia della censura.

L’articolo di Carlos De Martin su “La Stampa” del 13 gennaio ha chiarito in modo esemplare la sostanza giuridica della questione:


“Un pugno di uomini residenti negli Stati Uniti prende decisioni -non di rado opportunistiche- che riguardano la sfera comunicativa di miliardi di persone.Giuste o sbagliate che siano le loro decisioni, ci va bene così?”

Le questioni irrisolte sono di quattro ordfini:

1)se tutte queste limitazioni alla libertà di parola abbiano una giustificazione dal punto di vista storico, costituzionale, etico e anche pratico;

2)come fare a garantire sul web un trattamento simile a quello della vita “offline”;

3) se non sia l’esistenza stessa dei “gatekeepers” del mondo digitale a dover essere ridiscusso;

4)che senso abbia la pretesa della UE di legiferare intensamente su imprese americane, intrinsecamente connesse con il “deep State”, e sulle quali l’Unione Europea, come dimostra il caso Schrems, non ha alcun potere.

La vicenda di Edward Snowden ha dimostrato la stretta correlazione
fra piattaforme e polizie politiche.

4. Le limitazioni della libertà nell’ era delle macchine intelligenti

Come abbiamo scritto nel post precedente, le tradizionali norme dei diversi ordinamenti relative alla modulazione delle libertà rispondevano a un approccio ancora ottimistico (spesso troppo) alla storia, dove si pensava che l’umanità sarebbe restata sempre sostanzialmente simile a se stessa, salvo che ci si sarebbe addirittura potuto permettere il lusso di lavorare continuamente ad un perfezionamento che portasse vicino a una società ideale. Ma la storia ha dimostrato che le cose non stanno così. Il mondo è da sempre in movimento (“Panta rhei”), e i primi a crederlo, e a volerlo, sono i nostri contemporanei, succubi del mito del Progresso. Quindi, è inutile lavorare in una prospettiva di perennità, bensì occorre situarsi nella storia.

Orbene, il problema che  abbiamo oggi è che, nel nostro periodo storico, le macchine intelligenti (che siano l’Intelligenza Artificiale o i Big Data, la NSA o lo Hair Trigger Alert, le piattaforme o l’Amministrazione Digitale), sono talmente più forti, non solo di tutti noi, ma perfino degli Stati e delle organizzazioni internazionali, che svincolarci dalla loro morsa  costituisce l’obiettivo prioritario. A questo punto, i concetti penalistici che valevano nei vari ordinamenti (per esempio quelli sull’”oltraggio”, sul “vilipendio”, sull’ “apologia di reato” o sulle “notizie false e tendenziose”), pur giusti in astratto, non sono più adeguati. Tutti contenevano principi di verità: vietare il propagarsi dell’odio, lo scatenamento di reazioni inconsulte, la diminuzione dolosa dell’onore  altrui. Ma qui siamo di fronte a fenomeni molto peggiori: la diffusione deliberata di comportamenti aberranti, la manipolazione del subconscio, il monitoraggio puntuale di ogni essere umano. Questi dovrebbero essere considerati oggi i reati più gravi, non quelli residui dal “codice Rocco”, né i nuovi reati di opinione inventati dal “politicamente corretto”.

Bisogna colpire prima di tutto l’avanzata del potere macchinico, il quale, nonostante tutte le programmazioni etiche, è fatto prescsamente per rendere inesorabile l’omologazione universale.

L’uso improprio dei principi giuridici ha portato al prosperare della mafia, al segreto sulle stragi di Stato, alla tolleranza nei confronti dei reati degli alleati…

4.Vietare online ciò che è vietato offline

Questo non vuol dire che si debbano creare nuovi reati solo perché il mezzo di comunicazione è più raffinato e più potente. Evidentemente, i beni protetti, che si tratti della libertà di pensiero, di espressione, di stampa, di associazione, oppure della tutela dell’ onore, della pubblica quiete.. sono sostanzialmente gli stessi, solo che l’ambito della loro esplicazione è più vasto.

Già oggi, senza neppure bisogno, né dei social, né di nuove norme, tutto il sistema giuridico è divenuto così complesso ch’esso viene manipolato da tutti impunemente portando ad abusi assurdi. L’intero regime del segreto, sia esso il segreto di Stato, quello militare, quello commerciale o quello istruttorio, è completamente deviato dai fini previsti dalla legge e rovesciato a fini propagandistici, monopolistici, truffaldini, criminali, elettoralistici, spionistici ed antinazionali (basti pensare all’uso degli avvisi di garanzia o del segreto di Stato). Infatti, è il  sistema politico nel suo complesso ad essere basato sullo sfruttamento scientifico dell’ignoranza (propaganda), del conformismo (politicamente corretto), della ristrettezza mentale (anticulturalismo), del rancore (populismo) e della disinformazione (grandi narrazioni).

Badiamo dunque alle priorità, e lasciamo per un momento da parte le piccolezze e gli anacronismi (che sono comunque anch’essi tantissimi, troppi).

5.I “Gatekeepers” non debbono semplicemente esistere

Tutta la retorica circa il “governo delle regole”, che tanto piace ai politici e agl’intellettuali occidentali, prospera, in mala fede, proprio su questo scollamento abissale fra la teoria e la realtà.

Do’ atto  ad Angela Merkel, Emmanuel Macron e Thierri Breton, ma perfino a Giorgia Meloni e Matteo Salvini, di aver commentato negativamente   la censura, da parte dei GAFAM,  a Trump, ai trumpiani e a Parler. Non dubito che la Commissione emanerà un’ennesima “grida manzoniana” come il GDPR, in cui si vieteranno severamente questi comportamenti.

Peccato che i social networks rilevanti per la libertà di parola degli Europei siano, come scrive De Martin, tutti americani, così come tutte le imprese di alta tecnologia. Quei networks americani, legati a filo doppio al DARPA e a Wall Street (oltre che a molti politici e industriali europei), non obbediscono neppure alla legge americana. Figuriamoci se si curano di ciò che dicono gli Europei, o dei regolamenti dell’Unione, che già ora vengono impunemente violati da questi ultimi. Si noti anche che ieri i GAFAM erano giunti perfino ad estendere il bando alla versione online del giornale italiano “Libero” (anche se all’ultimo momento hanno avuto il buon senso di fare marcia indietro).

L’unico modo per poter legiferare in base alla nostra cultura e ai nostri principi sul mondo digitale è crearne uno nostro, dove non sia possibile togliere la parola a nessuno, tanto meno da un continente lontano. Coerentemente con il programma, enunziato da Macron, Altmaier, Le Maire e Breton, di un “autonomia strategica europea”.

Quindi, totale adesione alla proposta di De Martin della creazione di piattaforme pubbliche: “contemplando anche opzioni pubbliche, come fece l’ Europa dopo il nazismo e il fascismo con l’istituzione di robuste televisioni pubbliche.”. Che io intendo come una pluralità di piattaforme europee in regime di concorrenza, capaci di operare worldwide, con una proprietà diffusa, e con regole anticoncentrazione all’ interno stesso del mercato europeo (sulle quali ritorneremo in altra sede).

Invece, nel Recovery Fund/Next Generation non c’ è nessuna posta dedicata alla creazione di piattaforme sovrane europee, che sappiano tener testa, sui mercati mondiali, ai GAFAM e ai BATX, e, in più, garantiscano la libertà di parola dei cittadini europei. Basti citare il commento del Presidente turco Erdogan: “bene, allora usiamo i social networks turchi“. Peccato che, mentre esistono social networks turchi, o russi, o coreani, o israeliani, non esistano networks europei. E’un caso o è voluto?

Tuttavia, visto che i soldi del Recovery Fund non li ha ancora spesi nessuno, siamo in tempo per fare i necessari, immediati, cambiamenti, perché questa è, come il COVID-19, un’emergenza vitale per gli Europei, non diversamente dalla lotta al COVID-19 (anzi, ancora di più).Faremo una precisa proposta.

E non si invochino qui le solite retoriche della concorrenza. Fra i GAFAM la concorrenza non c’è, e in tutti questi decenni le autorità antitrust occidentali non hanno fatto nulla per cambiare la situazione (anzi, i Governi ne sono stati ben contenti perché i GAFAM le aiutano a controllare il resto del mondo). Si noti che in Cina, dove, paradossalmente, c’è già una concorrenza fra i BATX, in aggiunta, proprio per quanto   riguarda social networks, le autorità antitrust e di borsa sono intervenute pochi giorni fa impedire l’ingigantirsi del gruppo di Jack Ma sulla falsariga di quelli americani.

Le piattaforme sono i terminali del mondo macchinico all’ interno del mondo umano

6. Le piattaforme quali avanguardie avanzate della macchinizzazione universale

Spero solamente che questa vicenda faccia riflettere finalmente qualcuno su queste elementari verità, che da sempre non mi stanco di urlare in tutte le direzioni, mentre tutti, a cominciare dai più diretti responsabili, di qualsivoglia Paese ed orientamento politico, fanno semplicemente finta di non avere sentito.

Se ora, dopo quest’ ultima flagrante prepotenza che, dall’ America, si proietta automaticamente sull’ Europa, la situazione qui da noi dovesse rimanere inalterata, dovremo concluderne che esiste veramente un “complotto” a favore delle macchine intelligenti fra tutti coloro che contano, come in quei film distopici (guarda caso, americani, e che da qualche anno sono scomparsi dalla circolazione), in cui una forza aliena s’installava sulla terra, e, trasformando tutti in mutanti, con un meccanismo che definiremmo “virale”, prendeva il controllo della stessa e sterminava gli umani.

Non è qui il caso di ripetere, fino alla nausea, la descrizione dei meccanismi con cui ciò possa, in concreto, essere fatto già alla luce delle informazioni oggi disponibili. Tuttavia, dopo la censura dei GAFAM dell’altro giorno, è evidente che tutto può ora accadere, ed è molto probabile che accadrà.

L’Europa è, come sempre, la più indifesa, e deve svegliarsi subito.

Quanto a Trump, il fatto ch’egli sia stato boicottato dai social americani è paradossale. Il 6 gennaio, egli aveva appena emanato severe norme restrittive  contro otto app cinesi.

Come si vede, l’intenzione censoria è oramai generalizzata, e, quindi, i pericoli che qui denunciamo sono più che mai incombenti. Come scrive Corrado Augias ne “La Repubblica” di Giovedì 14 gennaio, “il modo di scampare a questa forma di dittatura non è semplice – ammesso che ce ne sia uno.”Contrariamente ad Augias, noi vediamo questa scappatoia, ed abbiamo già pubblicato 4 libri per illustrarla; altri seguiranno fra breve.

DAL VERTICE NATO ALLA CONFERENZA SUL FUTURO DELL’ EUROPA

Il libro “La nuova guerra civile” dell’ anno scorso, tratta della distruzione dell’ Europa conseguente ai suoi dissidi interni

Come sempre, accolgo con interesse le iniziative del Professor Cardini, ultima fra le quali,  quella di concentrare, tramite il suo blog, sul rapporto con la NATO l’attenzione del pubblico, sollecitando i commenti dei lettori. Mi sembra infatti che il Presidente Macron, al di là delle sue contingenti prese di posizione, stia avviando proprio in questi giorni, con le sue esternazioni,  una vera e propria rivoluzione ideale sulla geopolitica dell’ Europa,  in termini che vale la pena di commentare testualmente: « J’essaie de comprendre le monde tel qu’il est, je ne fais la morale à personne. J’ai peut-être tort. »

A mio avviso Macron ha però torto almeno quando afferma che non si può rimproverare a qualcuno di non aver visto in passato ciò che si stava avvicinando ( « Peut-on reprocher à quiconque de ne pas l’avoir vu il y a cinq ou dix ans?)” .In effetti, le verità sulla NATO, sulla guerra informatica e commerciale e sulla società del controllo totale si potevano prevedere da almeno 20 anni, se non da 70, quando  noi ne avevamo appunto scritto. Cito solo alcune tappe fondamentali della rivoluzione esistenziale in corso:

-1941-1960: conferenze Macy sull’informatica;

-1968: “2001 , Space Odyssey” di Kubrick , realizzato insieme alla NASA;

-1993: conferenza alla NASA di Vernor Vinge sulla Singularity;

-2000: “The future does not need us”, di Bill Joy;

-2005, “The Singularity is near”, di Ray Kurzweil;

-2007: Prism;

-2011: “The Net Delusion”, di Evgeny Morozov;

-2013: fuga di Snowden.

Coloro che non hanno visto (o non hanno voluto vedere) queste realtà sono i leaders dei Paesi europei, che in teoria sarebbero pagati profumatamente per guidare il nostro Continente studiando il futuro, ma che invece hanno ben altre priorità.

Quanto ai cittadini europei, come scrive Cardini,”se la NATO bombarda da qualche parte tra Europa, Asia e Africa, ne siamo tutti responsabili. I nostri politici e i nostri media accettano la cosa come se fosse del tutto normale e ne parlano il meno possibile. Vorremmo impegnarci a modificare questa situazione: ad essere più coscienti, più attivi, più presenti. Magari a rimettere in causa anche le ragioni per le quali, in passato, tanti europei hanno riposto tanta fiducia e tanta speranza in quell’organismo. Lo meritava davvero, oltre settant’anni fa? Lo merita ancora, oggi? Chi decide al suo interno? Quanto ci costa? Quanto incide sulla nostra sovranità politica e territoriale? Tutti ne siamo corresponsabili, nessuno può tirarsi fuori: abbiamo coscienza di tutto ciò? O preferiamo seguire l’esempio di quanti, a proposito della Shoah, hanno detto ‘io non so, io non c’ero, io non ne sapevo nulla?’ ”

Perciò, raccogliendo l’invito di Cardini, dedichiamo anche noi questo post alla NATO e al Vertice di Londra di questa settimana.

La “Repubblica dei due Popoli”, vale a dire la Grande Polonia dei Secoli XVII e XVIII

1.L’”aurea libertà” dell’aristocrazia polacca e la distruzione dell’ Europa

Credo che la situazione attuale dell’Europa possa essere illustrata bene con l’esempio storico del declassamento e del crollo, nel XVIII Secolo, della “Repubblica Polacco-Lituana”, multinazionale e multiculturale, per due secoli il più grande Stato d’Europa, distrutto in duecento anni dalla fondazione per colpa della sua inadeguatezza istituzionale. Il Regno polacco, trasformatosi nel 1659 nella “Repubblica dei due Popoli” (comprendente anche Prussia, Paesi Baltici, Bielorussia, Ucraina, Moldova e un “Parlamento dei Quattro Paesi” ebraico), alla fine del XVII Secolo era retto dal principio del “Liberum Veto”, che prevedeva, per qualunque decisione, il consenso di tutti i membri della Dieta federale. Questo sistema, che assomigliava molto al sistema consensuale delle attuali Istituzioni europee, veniva definito apologeticamente come “Aurea Libertà”, perché garantiva un potere enorme ai ceti privilegiati; in realtà, esso condusse la “Repubblica”, nel giro di un secolo, alla sparizione e i suoi popoli all’ asservimento. Si diffuse in proposito un gioco di parole. Mentre i sostenitori dell’ Aurea Libertà avevano coniato il motto “Nie rządem Polska stoi, ale swobodami obywateli” (La Polonia prospera non per il suo governo, ma per le libertà cittadine), i critici ne leggevano l’incipit come “nierządem”, cioè ”disordine”: dunque, “La Polonia si regge sul disordine”. La stessa ambiguità vale per l’Unione Europea, dove viene oggi esaltato ogni genere di libertà, ma, in realtà, su qualunque argomento siamo condannati ad attuare semplicemente il volere di poteri esterni, che mirano al nostro asservimento e alla distruzione del nostro Continente, mentre chi ne trae profitto è soltanto una casta “bibéronnée dans les campus américains”(come scrive Le Monde Diplomatique), i cui lussi e i cui capricci vengono contrabbandati come “diritti umani” dall’ideologia del “liberalismo progressista”. Secondo Mearsheimer, infatti, lungi dal costituire una meritoria e disinteressata forma di impegno civile,  “l’egemonia liberale è una strategia di pieno impiego per l’establishment della politica estera”.

Un importante corollario del Liberum Veto era il divieto di riforme legislative senza l’unanimità dei notabili: “Nic nowego brzez nas” (“nulla di nuovo senza di noi(anche questo un possibile motto dell’Unione, dove gli stessi temi, e, in primis, la Politica Estera e di Difesa Comune, sono in discussione da ben 70 anni senza mai essere approdati a una qualche conclusione). Come si vede, la Polonia, lungi dal costituire un elemento estraneo nell’ Unione Europea, ne è  stata una sorta di anticipazione.

Il Liberum Veto spalancò ovviamente le porte alle potenze straniere, che corrompevano i nobili affinché esercitassero il loro voto contro le decisioni ad esse sgradite. In tal modo, la “Rzeczpospolita” divenne uno Stato a sovranità limitata, dove il re (in genere straniero) veniva scelto dall’ esterno, e, il più sovente, dallo zar di Russia. Quando però la Russia inviò proprie truppe in Polonia, il Re di Prussia reagì con un’avveniristica “covert operation”, immettendo sul mercato una gran quantità di monete polacche contraffatte, così provocando la crisi economica  che portò al crollo della “Rzeczpospolita”.Alla fine, Russia, Prussia e Austria invasero definitivamente la Polonia decidendo di cancellare completamente il Regno, e di dividersene i territori.

L’Unione Europea, sottoposta contemporaneamente al protettorato americano e all’influenza crescente di Russia e Cina, si trova oggi in una situazione molto simile a quella della Polonia del sei-settecento, in cui nessuno ha il diritto di agire tempestivamente in difesa della “ragion di Stato europea”. Ogni decisione viene bloccata dalla casta in nome di una pretesa “aurea libertà”, sicché è ovvio che le tre maggiori potenze mondiali, a cominciare dagli USA, per poi allargarsi ad altre, siano portate a ingerirsi nella vita politica interna dell’Europa attraverso influenze culturali e sociali e con la corruzione, che siano già passate dall’occupazione militare,  e si accingano ad arrivare ben presto alla spartizione (le cui linee iniziano ora a delinearsi). Ancor ora, questa situazione deteriorata viene esaltata come se fosse un’”aurea libertà”, ma non passerà molto tempo che se ne vedranno le incredibili conseguenze. Basti vedere che cosa è diventato il Medio Oriente grazie a un secolo di debolezza interna e di continue ingerenze esterne, senza nessuna potenza egemone interna che tenga fuori i guastafeste.

Rispetto alle due situazioni citate, quella dell’Europa di oggi si distingue però, come già detto, per il ruolo centrale dell’informatica (cfr par. 2, infra).

 

Jan Sobieski a Vienna, il sovrano che aveva portato la Grande Polonia al centro della politica europea

2.Finalmente parliamo di politiche estere “à tous les azimuts”

L’essenziale della riflessione di Macron è un brusco richiamo degli Europei al realismo sulla reale situazione geopolitica dell’ Europa :

«  l’Europe était guidée par une logique dont la primauté était économique, avec la conviction sous-jacente que l’économie de marché convient à tout le monde. Et ce n’est pas vrai ou plus. Nous devons tirer des conclusions: c’est le retour d’un agenda stratégique de la souveraineté. »

Un richiamo al realismo che trova un riscontro anche nella più recente politologia americana (per esempio, in John Mearsheimer).

Che bisogni tornare alla sovranità, è dimostrato innanzitutto dall’aggressione all’ Europa delle multinazionali del web: “Si nous n’agissons pas, dans cinq ans, je ne pourrai plus dire à mes concitoyens: ‘Vos données sont protégées’ »…Detto fatto, la Francia e l’Italia hanno finalmente introdotto una modesta web tax sui profitti delle multinazionali informatiche. Questo è bastato, a sua volta, a Trump per inasprire ulteriormente le sanzioni contro gli Europei, in primo luogo contro la Francia, ma il monito riguarda anche l’Italia, che, nella legge di Bilancio 2020, ha previsto un’aliquota del 3% per i colossi del web. Tuttavia, le ragioni vere del conflitto sono altre. Come hanno chiarito Evgeny Morozov, Shoshana Zuboff e Limes online, attraverso le “GAFA” l’America controlla globalmente le nostre società e le nostre economie. Una tassa del 3% non compensa affatto quest’ enorme drenaggio di cassa, e, soprattutto, di potere, che si potrebbe arginare solo “nazionalizzando i dati” degli Europei (cioè immagazzinandoli in Europa). Perciò, questa tassa, pur così osteggiata da Trump, è in realtà soltanto come il famoso “piatto di lenticchie” per il quale Esaù aveva rinunziato alla primogenitura.

Come si è potuti arrivare a questo punto? Per Macron, si sarebbe trattato di un colossale abbaglio ideologico, che aveva ingenerato una strana reticenza (io direi di censura) per tutta la problematica internazionale dell’ ITC, una reticenza che, sempre secondo Macron, è stata perfino “imposta”, da qualcuno (che Macron non nomina): « Je pense que l’agenda européen lui a été imposé pendant des années et des années. Nous étions trop lents sur de nombreuses questions. Nous avons discuté de ces questions. Mais ce n’était pas vraiment une question que nous voulions nous poser, car nous vivions dans un monde où les alliances étaient sécurisées et qui maximisait les échanges commerciaux ».

Si trattava in sostanza del mito della Fine della Storia, un’antichissima ideologia a cui si faceva finta di credere per compiacere l’America : » L’idéologie dominante avait une idée de la fin de l’histoire. Donc, il n’y aura plus de grandes guerres, la tragédie a quitté la scène, tout est merveilleux. L’agenda primordial est économique, non plus stratégique ni politique. En bref, l’idée sous-jacente est que si nous sommes tous liés par des entreprises, tout ira bien, nous ne nous ferons pas du mal. D’une certaine manière, l’ouverture indéfinie du commerce mondial est un élément de la paix.« Quello che il Papa ha chiamato “angelismo”: un’idea, quella del « doux commerce », nata per altro in Francia con Benjamin Constant e che ha avuto un lunga storia nel mondo anglosassone (l’ “internazionalismo liberale”).

Tuttavia, per dirla con Toni Negri,  si trattava di un imbroglio, ben presto scoperto : »Sauf que, dans quelques années, il est devenu évident que le monde était en train de se séparer, que la tragédie était revenue sur scène, que les alliances que nous pensions être indestructibles pouvaient être renversées, que les gens pouvaient décider de tourner le dos, que pourrait avoir des intérêts divergents. Et qu’à l’heure de la mondialisation, le garant ultime du commerce mondial pourrait devenir protectionniste. Les principaux acteurs du commerce mondial pourraient avoir un programme qui soit davantage un programme de souveraineté politique…. « 

Ingannati da quell’imbroglio, gli Europei  avevano dimenticato il ruolo direttivo della politica (tanto caro, per esempio, al Presidente De Gaulle):« D’une certaine manière, nous avons complètement abandonné ce qui était autrefois la ‘grammaire’ de la souveraineté, des questions d’intérêt général qui ne peuvent pas être gérées par les entreprises. » Quindi, Macron critica anche l’idea del « deperimento dello Stato », che, secondo l’ideologia mondialistica di fine ‘900, sarebbe stato sostituito dalle multinazionali : » Les entreprises peuvent être votre partenaire, mais c’est le rôle de l’État de gérer ces choses. »

Dunque, come per De Gaulle, «La politique d’abord, l’intendance suivra » . Sul piano delle politiche europee, quanto precede ha, come conseguenza, che si deve perseguire un sovranismo europeo, che sia comparabile a quelli americano e cinese. Infatti, meritano rispetto solo gli Stati che siano sovrani come l’ America e la Cina:« J’ai toujours dit à nos partenaires, qu’ils soient américains ou chinois: ‘Je vous respecte parce que vous êtes souverains’. Je pense donc que l’Europe ne sera respectée que si elle reconsidère sa propre souveraineté. »Dunque, con buona pace dei nostri « sovranisti », non può essere sovrano uno Stato che non abbia dimensioni comparabili a quelle di America e Cina, anche se la nostra classe dirigente, priva di un proprio orientamento culturale, non si muoverà in tal senso se non quando vi sarà portata da qualcun altro.

E, in effetti, la causa prima della debolezza, nel ‘700, della Polonia, e, ora, dell’Europa, è quella di non possedere al suo interno, come i suoi vicini, un soggetto politico forte (ieri, come le imperatrici di Austria e di Russia e il Re di Prussia, oggi, come  i presidenti americano e cinese), in grado di coniugare diplomazia, lobby e forza militare, senza essere intralciato nelle sue politiche estera e di difesa.

La corsa verso l’informatica proprio deriva dal fatto che l’America s’illude di poter realizzare artificialmente una “fine della Storia” a proprio favore attraverso il monopolio dell’ ICT(come dimostra l’isteria contro l’uso di tecnologie Huawei), attraversando così indenni questo momento sfavorevole (Caracciolo, Mearsheimer).

Infatti, la situazione è complicata dal fatto che la politica estera e di difesa è ormai  essenzialmente una questione cibernetica, e l’Europa, che non ha un potere digitale unitario, ma, anzi, è completamente immersa nel sistema digitale americano, non ha alcun margine di manovra, in nessun senso. Infatti, i dati dei nostri cittadini, delle nostre imprese e dei nostri eserciti, sono tutti immagazzinati nei server di Salt Lake City, che, come è stato confermato dalla sentenza Schrems, sono completamente disponibili alle 16 agenzie americane di intelligence, per effetto di leggi ormai secolari, che -Obama ha dichiarato- l’America non abrogherà mai. In una notte in cui, come nel 1983, qualcuno dovesse decidere, come il tenente colonnello Petrov, se schiacciare o no il pulsante della 3° Guerra Mondiale, quel qualcuno non saremo sicuramente noi, e la nostra posizione non sarà certamente considerata da nessuno, se non nel ruolo di bersagli (vedi testate nucleari americane permanentemente montate sui nostri bombardieri, come ricorda molto opportunamente Manlio Dinucci sul blog di Cardini).

Da questo problema fondamentale derivano tutti gli altri, per altro neppur essi irrilevanti. In una società completamente informatizzata, se non abbiamo la possibilità, ma neppure il diritto, di avere un’autonoma gestione dei nostri dati, non possiamo, né proteggere la nostra economia, basata sulla proprietà intellettuale, né avere una vita politica autentica, perché questa sarà sempre manovrata dai dossier segreti raccolti su di noi. E, se non possiamo avere, né un’economia autonoma, né una politica autentica, continuerà in eterno la nostra decadenza culturale, economica, politica e militare, fino al completo esaurimento di ogni nostra risorsa. E’ per questo che non siamo in grado di formulare i nostri progetti, né a breve, né a medio, né a lungo termine -perché intuiamo che, a meno di un miracolo, le cose non potranno se non peggiorare, e, comunque, la realizzazione dei nostri progetti non dipenderà da noi-. I nostri governanti possono solo fingere di governare.

In definitiva, per Macron la sovranità tecnologica europea dev’essere equidistante fra Cina e Stati Uniti« En ce qui concerne la 5G, nous nous référons principalement aux relations avec les fabricants chinois; en matière de données, nous parlons principalement de relations avec les plateformes américaines. »

Certo, quest’ obiettiva esigenza (intravvista, anche se a malincuore,  da tutti gli osservatori) è difficile da digerire per una classe dirigente nichilistica, che, formatasi nel XX secolo al marxismo e al sessantottismo, era riuscita con grande sforzo, per sopravvivere,  a  riconvertirsi al neo-liberismo occidentale, e ora si vede condannata allo sforzo di una  nuova migrazione intellettuale, per giunta  verso siti che nemmeno conosce.

La politica  mondiale è dominata da imperi assertivi, con cui l’ Europa non riesce a confrontarsi

3.L’Italia: scenario per eccellenza dell’ imbroglio “angelista”

Ciò che più assomiglia all’antica “Aurea Libertas” polacca è l’atteggiamento di sudditanza, al limite dell’alto tradimento (per usare un termine di Salvini), che i leader europei dimostrano verso quelli extraeuropei. Quando le varie fazioni americane vengono in Italia per farsi dare le prove pro o contro il Russiagate, Salvini preferisce dimettersi per non urtarsi con nessuno, soprattutto perché Trump ha appena officiato “Giuseppi”; e, tuttavia, per l’America Salvini non è ancora abbastanza allineato, sicché si fanno gli occhi dolci alla Meloni. Di Maio firma il memorandum sulla Via della Seta, ma, su richiesta degli USA, ne “sfronda” tutti i business più succosi, fino a far crollare le nostre esportazioni in Cina; poi, l’Ambasciatore cinese convoca a rapporto Beppe Grillo per una ramanzina, e l’Italia si astiene da commenti su Hong Kong, ma subito dopo permette a un oppositore anti-cinese di collegarsi via Skype con il nostro Parlamento. A questo punto, il Ministro degli Esteri cinese e l’ambasciata in Italia emettono una dura reprimenda. Siamo arrivati ad Arlecchino servo di due padroni. Non si era detto concordemente che tutti si devono astenere dalle ingerenze nella politica interna degli altri Stati, e che il commercio internazionale dev’essere libero? Giustamente, si afferma anche che quest’ultimo dovrebbe essere una competenza dell’Unione Europea. E, in effetti, ci sarebbero anche i “poteri impliciti” di quest’ultima Ma, quando pure ne avesse i poteri, essa sarebbe in grado di comportarsi in modo diverso dai leader italiani? La debolezza è degli Europei in generale, non solo dell’Italia o dell’Unione. Abbiamo una visione di quello che vogliamo essere fra 1, 5, 10, 20, 50, 100 anni, e di quali passi dobbiamo percorrere per arrivarci? Secondo Angelo Bolaffi, “ad oggi non c’è ancora un’idea precisa di quale possa essere questa ‘terza via’ e l’ Europa rischia per questo di essere schiacciata in una ‘global tech war’, nella guerra per il dominio globale della tecnologia”. Francamente, a me sembra di averla, questa idea, e di esprimerla. Tuttavia, sono i meccanismi viziati della comunicazione e del consenso che hanno, fino ad ora, reso impossibile la comunicazione dei contenuti genuinamente europei.

 

 

 

 

 

Arianespace, un’eredità gaullista

4.La  Conferenza fra funzionalismo e federalismo

Francia e Germania hanno proposto, forse tempestivamente, o forse già oltre il tempo massimo, di organizzare per il 2020 una “Conferenza sul futuro dell’ Europa”, in cui ci si ripromette di affrontare tutti i temi in sospeso. In particolare, Macron sembra intenzionato a porre la questione della difesa comune. Una volta tanto, concordo con il trafiletto di Sergio Fabbrini su “Il Sole 24 Ore”della scorsa domenica: “Viste le divisioni tra gli Stati membri, la Conferenza potrebbe finire per fare propria una visione continuista del futuro dell’ UE. Si tratta di un rischio perché non si esce dallo stallo in cui ci troviamo riscaldando la stessa minestra. Occorrerebbe invece cambiare il paradigma di riferimento dell’integrazione, riconoscendo con realismo l’insufficienza di quello fino ad ora predominante, il metodo funzionalista (basato sull’idea di un’integrazione continua) dovrebbe essere sostituito da un metodo federalista (basato invece sulla definizione costituzionale delle istituzioni e delle competenze dell’ UE)”.

Il problema è che nessuno si sofferma mai bene a vedere che cosa sono gli approcci, rispettivamente, “funzionalista” e “federalista”, di cui tanto si è parlato nell’ ambiente europeista. Il  funzionalismo è quella tendenza culturale, assolutamente attuale, che ritiene che tutte le realtà umane si possano ridurre a funzioni, traducibili in algoritmi, e trasferibili su altri “vettori”. Esso deriva dalla “religione della scienza” dei sansimoniani e prelude al transumanesimo. In politica, Mitrany lo usò per contraddire Spinelli, sostenendo invece la “Dichiarazione Schuman”, con l’idea che le collaborazioni su aspetti tecnici avrebbero sviluppato una “solidarietà di fatto” fra gli Europei. Questo significava pensare che gli uomini fossero uniti solo dall’economia, e non da motivazioni psicologiche, politiche o spirituali. Al contrario, il “federalismo” come lo concepiva originariamente Spinelli era un approccio rivoluzionario, con cui egli sperava di fare accettare, nella confusione postbellica, una federazione europea molto lontana dalle realtà di fatto dell’epoca. Spinelli si sbagliava, evidentemente perché, nel 1941 (al tempo del Patto Molotov-Ribbentrop), non si poteva ovviamente immaginare come sarebbe finita la IIa Guerra Mondiale, e, in particolare, che i pochissimi federalisti, come del resto buona parte dei leader antifascisti, non avrebbero avuto alcuna reale presa sugli aspetti militari, essendo tra l’altro la maggior parte restata in Svizzera, senza partecipare neppure alle operazioni partigiane. Il potere alla fine della guerra spettò pertanto agli Alleati, e, in piccola parte, alle burocrazie prebelliche, i quali appoggiarono, alla fine, almeno il progetto funzionalistico, ma con grandi tentennamenti, e non avrebbero comunque approvato il progetto federalistico di Spinelli, che mirava a togliere peso all’ apparato statale nazionale, alle lobby ad esso collegate e soprattutto alle potenze vincitrici.

Infatti, difficilmente una federazione viene creata pacificamente, come dimostrato dai casi degli USA, del Sudafrica,  dell’ URSS e dell’ India. Di qui il cosiddetto “machiavellismo” a cui furono costretti i padri fondatori delle Comunità Europee, e, in primis, di Spinelli, che tentarono di far passare comunque la loro impostazione, pur non avendo in mano delle grosse carte. Oggi, è escluso più che mai un colpo di mano di una parte di alcuni Europei nei confronti di altri, ma il temporaneo squilibrio di forza politica fra Macron, da un lato, la leadership tedesca azzoppata, dall’ altra, e, infine, quella degli altri Stati membri, è così ragguardevole, che Macron potrebbe anche tentare una forzatura, per esempio per ciò che concerne la politica estera e di difesa. Qui, Fabbrini, che pure teme, e giustamente, le solite rifritture, cade però anch’egli nel “déja vu”, quando paventa l’ipotesi che Macron “non la utilizzerà per avanzare la visione egemonica della Francia di De Gaulle”. Non capisco infatti in che altro modo si potrebbe fare avanzare una politica estera e di difesa europea in un mondo completamente digitalizzato, se non mettendo a disposizione dell’ Europa, attraverso un colpo di mano francese, un web autonomo da quello americano, così come De Gaulle aveva creato dal nulla (e messo a disposizione dell’ Europa), i missili balistici intercontinentali usati dall’ Ariane per i lanci civili e dall’Ente Spaziale Europeo e di Arianespace, i Treni ad Alta Velocità (TGV) per avviare le Reti Transeuropee, e, infine, l’ Airbus, per avviare un’industria europea aerospaziale e di difesa.

Per realizzare tutto ciò, Macron rilancia praticamente il decisionismo gollista : Je suis en faveur d’une efficacité accrue, d’une décision plus rapide et plus claire, d’un changement du dogme et de l’idéologie qui nous animent collectivement aujourd’hui.”Macron conta di utilizzare, a questo fine, i cosiddetti “poteri impliciti” della Commissione, in particolare attraverso le deleghe attribuite a Thierry Breton : « Sur bon nombre de ces sujets, la Commission européenne est compétente: le numérique, le marché unique et maintenant la défense dans le cadre d’une coopération renforcée. C’est d’ailleurs le portefeuille français de la prochaine Commission ».

Ricordiamo che, se non ci fosse stato De Gaulle, non avremmo neppure quello straccio d’integrazione “funzionalistica” che oggi abbiamo attraverso i “caMPIONI EUROPEI”, anche se, qualitativamente, non si discosta dalle soluzioni del XIX Secolo: la Società della Navigazione sul Reno, il Treno Mitropa e l’Orient Express, voluti dai Sansimoniani.

I Whistleblowers

  1. Un’occasione d’oro per dire la propria opinione

Certo, anche ora, nonostante la crisi dell’interventismo liberale,  neanche un’America “realista e nazionalista” come la vorrebbe Mearsheimer, potrà non “stare a guardare”, come dimostrato dalle rappresaglie sulla Web Tax, ma è questo il momento più propizio per l’ Europa per ingaggiar battaglia. Tutti coloro i quali, da 70 anni, non fanno che lamentarsi dell’Europa, vuoi perché troppo tecnocratica, vuoi perchè lontana dai cittadini, vuoi perché poco sociale, vuoi infine perché poco sovrana, non possono permettersi di restarsene inattivi dinanzi all’occasione fornita dalla Conferenza. Altrimenti, si rivelerebbe troppo chiaramente che le loro proteste sono meramente strumentali, per far sfogare la giusta rabbia degli Europei senza modificare lo status quo e non  attirarsi, così,  le ire dei poteri forti. Concordo però con Fabbrini sul pericolo che la Conferenza  si riveli un ennesimo giro a vuoto, anche perché già il documento preparatorio  elude i temi più scottanti.

Eppure, se la classe politica non ascolterà mai proteste motivate e vibrate dei cittadini, continuerà a comportarsi come Don Ferrante: “sopire, troncare, troncare, sopire”, fingendo di attivarsi e in realtà bloccando ogni tentativo di soluzione. Fattivamente, Cardini chiede a tutti di commentare sul suo blog i post sulla NATO, cosa che noi stiamo già facendo con questo articolo. Invito intanto tutti a partecipare a questo dibattito, tramite il blog di Cardini e/o il mio.

Certo che ci sono varie soluzioni alternative alla NATO, e sono precisamente quelle  di una difesa autonoma dell’Europa, come proposto, fra le righe, da Macron, e di una serie di  accordi con i Paesi vicini per la prevenzione dei casi di guerra, come accennato fin dall’ inizio da Putin e, all’ ultimo vertice, perfino da Stoltenberg.

Intanto, mentre l’America è un’”ideocrazia”, o , come diceva Chesterton, ”una nazione con l’anima di una Chiesa”, che ritiene suo dovere religioso quello di imporre a tutto il mondo, non soltanto l’adozione dei suoi sistemi economici e sociali, ma addirittura l’adesione ai suoi valori, e, perfino, alle sue idiosincrasie, l’Europa dice invece di credere nella diversità delle grandi tradizioni culturali del mondo, come testimoniato dai suoi grandi autori, come De Las Casas, Ricci, Goethe, Schopenhauer….

Secondo Mearsheimer, l’identità americana, al di là della prevalenza attuale del liberalismo progressismo, ha comportato sempre una qualche necessità d’ ingegnarsi nella vita di tutti i paesi del mondo, imponendo loro il proprio controllo -culturale, ideologico, giuridico, economico e militare-, mentre invece l’Europa non sente tradizionalmente questo bisogno, perché essa è, come dice il Papa, “poliedrica”. Ci sono in Europa Lapponi e Turchi, Irlandesi e Ebrei, Inglesi e Russi, ciascuno con sue tradizioni, religioni, culture, abitudini, esigenze e interessi diversi. Perché mai questi Europei dovrebbero andare in giro per il mondo, come pretenderebbe Stoltenberg, a bombardare, occupare, reprimere, indottrinare, per attuare gli ordini, le idee e gli interessi di qualcun altro? Non riesco a trovare argomenti validi  per contestare agl’Islamici le loro monarchie e repubbliche islamiche, così come noi abbiamo il Regno d’Inghilterra, con la Regina che è a capo, tanto della Chiesa ,quanto della Massoneria; né, ai Cinesi,  di organizzare il loro impero, di dimensioni uniche nel suo genere, con gli stessi criteri collaudati con cui l’hanno gestito con successo da cinquemila anni, e che assomigliano moltissimo a quelli della Chiesa Cattolica.

In secondo luogo, “America First” significa come minimo “Europe Second”. Ammesso che esista un “Occidente” e che i due popoli vogliano veramente coesistere, non si capisce perché trecento milioni di Americani pretendano di guidare in eterno almeno seicento milioni di Europei.

Ne deriva che le esigenze di difesa dell’Europa sono in ogni caso sostanzialmente più modeste di quelle americane, e possono essere soddisfatte con un minore costo e dispendio di energie, soprattutto se non fossimo più costretti a disperdere le nostre forze per obiettivi che non sono i nostri.Quindi, secondo Ezio Mauro, oggi manca proprio il collante storico politico, storico, culturale di un’ideologia comune alle due sponde dell’Atlantico, quello che fino ad ora era stato  costituito dalla fiducia nel progresso, che giustifichi la NATO: “L’alleanza è una pura, gigantesca sopravvivenza, che deve giustificare se sterssa in un mondo a-occidentale”.

Vorremmo impegnarci, come chiede Cardini, “a modificare questa situazione: ad essere più coscienti, più attivi, più presenti..” Nessuno s’illude che si tratti di un compito semplice. Come ha scritto Le temps, « bousculer la plus puissante coalition militaire mondiale ne suffit pas. Encore faut-il avoir un plan pour en modifier le cap. Et disposer des clés pour déverrouiller l’étreinte américaine”

Quello che i critici della NATO non fanno, e dovremmo o incominciare a fare noi, sarebbe proprio indicare dei punti di proposta alternativi, partendo dalla comprensione del ruolo della guerra nelle società del XXI Secolo, e, in particolare, del suo rapporto con i miti messianici come quelli del Progresso, dello Stato Mondiale e della Singularity. In secondo luogo, occorre effettuare uno studio dei possibili scenari geopolitici futuri, per comprendere quali siano le effettive esigenze di difesa dell’Europa nei prossimi decenni. Infine, occorre vedere quali strumenti esistano per fare fronte a queste esigenze. Solo allora si potrà effettuare un’analisi di dettaglio della NATO, nelle sue motivazioni, nella sua genesi, nel suo funzionamento. Infine, confrontando le esigenze dell’Europa con la realtà vera della NATO, occorrerà studiare una strategia per riuscire a svincolarsi dalla stessa, o a ridimensionarla, predisponendo per tempo un assetto alternativo che sia, nel contempo, possibile e necessario.

In sostanza, mettere in pratica la massima di Sun Zu “Se conosci te stesso e il tuo nemico, vincerai cento battaglie”.

1923: L’Europa si sveglia

HUAWEI AND EUROPE: LET’S PURCHASE G5 TECHNOLOGIES FOR A EUROPEAN ITC AGENCY!

The Pearl River Megacity, with shown the Dong Guan Metropolis

The new Huawei campus in Dong Guang, in the middle of the new megacity of the Pearl River (as large as Germany), will host the headquarters of the Huawei  Group. The campus consists of full scale perfect copies of 12 historical centers of European towns, chosen in a non trivial way, i.e.,  avoiding the most commercialised locations, such as the Pisa Tower or the San Marco Square, and, instead,  in search for hidden pearls of European culture, from Verona to the Heidelberg castle, up to the Alhambra and al Generalife of Granada (moreover Paris, Burgundy, Fribourg, Český Krumlov, Budapest…)-places that even Europeans often ignore-. This “ideal town”, built according to the examples of Pienza, Sabbioneta, Palmanova and Zamość, constitutes in itself a well-conceived challenge to the present non-existence of a European ICT culture.

It represents also the most recent example of  the spirit by which China, or at least a part of it, is facing the challenges of modernity, a spirit which is evidently traditional, or, more precisely, “axial” (from the idea of an “axial era”, to which Jaspers, Eisenstadt, Kojève and Assman have made reference). This spirit is made still more evident by the continuous quotations of Chinese and European antique, starting from the Clay Army and the Great Wall , not to speak of the Hanfu movement, and arriving at the clonation, everywhere, of European monuments, with a devotion that we do not have here in Europe.

Olivetti with Mario Chou: A Euro-Chinese alliance

1. Ren Zhengfei’s Offer

Also the offer of Ren Zhengfei, Huawei’s  CEO, to sell (or, better, to licence) to a foreign competitor his technology, falls doubtless within that “perennialist” mood. According to  Sun Tzu’s “Art of War”, the objective of a commander is “To conquer the Tian Xia without killing anybody”. Already here we can appreciate the differences with Google. In fact, in their book “The New Digital Era”, two board members of Google, Schmidt and Cohen, explained how they had worked out together, in a  Baghdad destroyed by American bombs, the newest Google strategy, which would have been “to substitute Lockheed in leading America in the conquest of the world”.

It is said that also Ren would have incited his shareholders-staff members to move towards world conquest. However, he has not linked this program to a military or ideological agenda, but, as it seems, to a cultural vision.

In a certain sense, President Trump is right in thinking that the ongoing economic and technological by-pass, by China, of the United States, is due to the ability of Chinese people in copying the West. In fact, all civilisations which have progressed and won have massively “copied” their predecessors (Babylon, Assyria, Persia, Macedonia, Rome…).All extra-European countries (America, Russia, Turkey, Japan, India, after the colonial period, have massively copied Europe, starting from religion  (Brahmo-Samaj, Bahai, Taiping), going further to ideology (nationalism, monarchy, liberalism, marxism, fascism), and economy (free market, socialism), for arriving at technology (ITC, high speed trains, ecology, space). If we want to qualify this as a “theft”, well, theft would be the equivalent for “history”.The USA are the most blatant case of a continuous “theft”, having “stolen” their land to Indians, their freedom from blacks, the North American territory from European settlers, their ideas from Britons and Hiberians, culture and technology from German and Jews…

The idea of a “New Europe” in China represents  a response to the ideas of Hegel on the “End of History” with Europe and to the one of neo-Hegelians that America is the “real” end of History. If the Spirit of the World follows westwards the course of the sun, then, after America, it will enlighten again China (and Eurasia).

 

The Chous: a Chinese-Italian family

2.Trump’s Struggle to Curb China

In any case, that eternal  will to emulate other peoples had never been pushed forward so insistently as in the case of the China of the last 30 years, arriving up to cloning the very hidden idea of modernity, the revolution of intelligent machines. But China is able to do more than what USA could ever have dreamed, because China includes in itself, under a sole leadership, a universe which is larger than the whole West, a universe including top technologies and primitive societies, a large cultivated bourgeoisie and a very numerous Lumpenproletariat, wide bureaucratic and managerial middle classes and a myriad of SME: that “unity in diversity” which everybody extols, but that cannot be achieved elsewhere, in  countries of  widespread homologation. On the contrary, China’s empire has been in a position to play on several economic tables, from war communism to the most extreme laissez-faire, from maoism to international finance, from free market to “military keynesism”. Still now, China is in a position to mobilise in a differentiated ways millions of migrant workers as well as officers, of entrepreneurs and of scientists, on all terrains and on the most different economic landscapes . In such way, it has been able to escape the bottlenecks of a “mono-thematical” development path, such as  Soviet-type planning and/or Anglo-saxon neo-liberalism.

Trump, having abandoned (as it was overdue) the hypocrisy of the preceding Presidents, is  acting rationally when he, as the defender of the United States, tries openly to put a brake to this unprecedented growth of China. However, he cannot escape the consequences of the limited scale of his country and the -albeit weak- “checks and balances” which still limit his freedom of movement -first of all, the existence of the European Union (which he considers as his worst enemy)-.It is not a case if he is making every effort for imitating China, starting from concentrating all powers in himself and from deleting the few veto powers remained to Europeans. It is also normal, in the logic of international power struggles, that Trump succeeds partially to curb the growth of China together with the welfare of the rest of the world, but it is very unlikely that his successes becomes decisive.

In fact, since 4000 years, East has been transferring technologies westwards (agriculture, writing, papyrus, purpure, strategies, silk, potteries, glass, compass, gunpowder, printing, paper money), and 500 that the West transfers technologies eastwards (metallurgy, steam and internal combustion  engines, newspapers, cars, radio, movies, energy, television, space, ITC). It is a sort of “communicating vessels”. The contractual forms may vary ad infinitum, but, in substance, it is still not possible, as long as intelligent machines will not impose their own world empire, that, in the whole world, only one supplier exists for any essential object of demand. A similar situation would in any case generate a war aiming at the forceful appropriation of the new technologies. China has just now prevented a similar strike from the part of Google, Microsoft, Apple, Facebook and Amazon, from one side resisting the dissolving influences of its peripheries, and, from another, creating, as it has done, Chinese homologues of the “Big Five” (Baidoo, Alibaba, Tencent).

The first Internet, Minitel, was European

3.The End of the Silicon Valley Monopoly

After having created an alternative to the Silicon Valley, China is offering to the rest of the world an opportunity for real competition, creating two parallel ITC ecosystems, not limited to “either bloc’s” territory, but worldwide. Paradoxically, the existence of a competition at least worldwide is a traditional  pretention of Western “free market” rhetoric and one of the bases of both US ad EU competition policy. In abidance with this principle, US and UE enforcers had not hesitated, in the XX century, to impose “orders to divest” to Standard Oil, SKF and General Electric. Well: since nobody in the world dares now to issue a (badly needed) “order to divest” against the Big Fives, enjoying an absolute power everywhere, Ren has issued against himself an “order to divest”, thus  supplying an example which may have a disruptive impact worldwide. If Huawei has felt obliged to break-up its own monopoly, why should the Big Five not do the same?

In view of the foregoing, it is impossible to prevent Chinese technologies to flow into the rest of the world ,even if this constitutes an outrageous challenge to the hegelian and weberian dogma that the economic development of modernity is a direct and unescapable consequence of the puritan (American) revolution. This dogma, evoked a long time ago by Marx as a justification for slavery in the States and, by Rostow, as a basis for his “Development Theory”, represents the “hidden engine” of American power, in the same way as theology represented, according to Benjamin, the hidden engine of marxism. If this dogma would fall, not just the West, but also modernity, and even the United States, would fall apart.

 

Olivetti and Chou: prematurely disappeared

4.Huawei proposal

In the last few days, myriads of hypotheses have been worked out for explaining Ren’s proposals. Most of them are inspired by eternal  anti-Chinese biases. First of all, the suspicion that the proposal is “a tactical trick”, or that it is the evidence that Huawei is desperate, for not being able to sell enough mobiles and other equipment in the West.

The truth is that the whole life of today’s technologies is based upon IPR transfer contracts: nobody has been able to exploit forever an invention under a monopoly; since ever there have been an “exhaustion of rights”, a “trickle-down effect”, licences and know how agreements. This contractual and commercial transfer of technologies has represented since ever a physiological form of international technical cooperation, albeit some “pathological” cases of forced transfer of technology have existed, like the capture and deportation of von Brown and of Antonov. China is trying precisely to avoid that things may follow again that course.

Moreover, the transformations under way in world economy are so fast, that the role of Chine, as the focal point of this economy, cannot but change without interruption, so that what was true yesterday is no more true today. If China had been transformed in the ‘90ies, by US multinationals, by the delocalisation of their productions, into the “manufacturer of the world”, China is new becoming (always in symbiosis with Western economic milieus), “the brain of the world”. In such situation, it is no more so important, for China, that telecom products are manufactured within the Huawei universe: what is strategic is to govern the international supply chain as a qualified partner for its players. In the same way as Google, Apple, Microsoft, Facebook, Amazon and Alibaba already do.

A licence of the G5 technology, as liberal as it may be, would not put an end to Huawei’s “intellectual leadership”, whose force derives precisely from continuous innovation. The Dong Guan campus will be used precisely for nurturing innovation worldwide. The fact of having been built “copying”  the bulwarks of European culture (and not of the American, Russian, islamic or Indian), shows that the model, and the natural partner, for these developments is Europe. This for two reasons: one is historical, since DA QIN has represented since ever the mirror image pole of the Silk Roads, at which China has looked since the times of the Former Han; the other, geopolitical, because Europe is, today, the mirror-image of China, and therefore is complementary to it in culture, politics, technology and economy.

Olivetti: a piemontese entrepreneur with universal  ambitions

5.Challenging the Cultural and Technological Backwardness of Europe

From the technological point of view, Europe appears, at the down of the Era of Intelligent Machines, as an underdeveloped country: “If it is true that Europe has, in extra-UE commerce, a positive balance of manufacturing export as a whole, it shows a deficit as to high technology productions. In 2015, the European deficit has been of 63,5 billion Euro, especially, but not only, towards China: also the United States, Korea, Japan, and even Vietnam and Thailand, have achieved a an export surplus in high tech products towards  the European Union… “(Francesca and Luca Balestrieri, “Guerra Digitale”). As the cited authors are writing, “The discontinuity marking the beginning of the second phase of the digital revolution should offer theoretically to Europe the opportunity for a change of direction: in the new mix of converging technologies, the European excellence in sectors like robotics, automation and -in general- manufacturing 4.0, could foster the birth of new global champions, having their roots in Europe. The critical element consists in the ability to work out an effective European scale industrial policy.”

According to me, the absence of Europe from high tech is a consequence of a generally favourable geopolitical and intellectual environment (i.e. of motivated vanguard engineers, such as von Braun, Turing, Olivetti, Chou, or, in the US, Wiener, von Neumann, Esfandiari, Kurzweil…; of initiatives like Minitel or Programma 101; of an independent military decision-making center like DARPA, financing  ITC as intrinsically “dual”; of intelligence networks apt to prevent the theft of technologies).Perhaps, also of secret agreements with the US.

Notwithstanding all that, if, in the XX century, European countries still could have hoped to maintain their “European lifestyle” while remaining simple “followers” of the US, they cannot nurture such hope after the digital revolution, dominated by the Silicon Valley, Dong Guan, Xiong’an, Bangaluru, Internet providers,digital intelligence, Big dat, quantic computing and 5G.

In Europe, nobody has yet understood that today’s societies have  overcome the axle-ages logics, as well as the ones of modernity, based upon religion, humanism, rationality, law, personality, freedom, state, industry, society. Those elements have been substituted with ICT, machine dominance, “Big Data”, “hair trigger alert”, social media, Big Five, virtual mankind. Who is not in a position to master this complex world will step quickly down, to the level of a passive object, of a Guinea pig, of a mere archaeological fund, from which to dig new ideas (as it happens in the Dong Guan campus).

Today, US, China, Russia, India, Israel, Iran, have their own Big Data, their own digital intelligence, their own ICT pundits, their own OTTs…We don’t. For this reason, we have lost any possible geopolitical status and even the capability to survive economically and culturally.

 

Vega: Italy’s Luncher, is a part of the European Arianespace Consortium

6.Let’s Build-Up a European ICT Agency

Escaping this decadence spiral requires a cultural shock and new technologies. Both of them could come from Dong Guan : from one side, regenerating our pride of belonging to “DA QIN”, the other major  pole, together with Asia, of human civilisation, and, from the other side, utilising  5G technologies, which represent the ICT of the future. For both things, we need China.

As Francesca and Luca Balestrieri are writing, “The forecasts of the next few years include so many variables, that bi-polarity does not appear to be a destiny necessarily scratch us by the logic of a new cold war: although, at present, the scene is dominated by the US and China, the second phase of digital revolution is still open to a possible wider dissemination of industrial power and to a more sophisticated geopolitical landscape.”

Having in mind such objectives and such strategy, Europe should organise a negotiating package with Huawei, to which not only the European ITC multinationals, but also other subjects may be involved, first of all the European Union, possibly as such. I cannot see why, as we have a European Space Agency, we could not have also a European ICT Agency, which operates, directly or via financial vehicles (such as Aerospatiale), as a player on the market of digital products and services, acquiring premium technology where it is available, and creating the new (and today not existing) ruling classes of the European ICT society, in the same way as, for the design of “Programma 101”, Adriano Olivetti had hired (upon recommendation of Enrico Fermi), the Italian-Chinese engineer Mario Chou.

After the deception of the neo-liberal and post-humanist rhetorics, everywhere a very interventionist mood towards ICT is gaining momentum, alongside the examples of the US DARPA and of the Chinese Committee for the Unification of Civil and Military. Well: if even Great Powers need such instruments for disputing mutually about the technological world dominance, imagine if we Europeans do not need a similar approach for avoiding to be reduced to the role of “digital primitives”, as a consequence of the most spectacular “market failure” of world history.

Also we must build-up our humanist-digital campus, including both the best traditions of all phases of Europe’s history and a selected anthology of all cultures of the world.

HUAWEI E EUROPA : ACQUISTIAMO LA TECNOLOGIA DEi 5G PER UN’AGENZIA DIGITALE EUROPEA!

L’Olivetti ELEA , il primo personal, era italiano, e fu progettato dall’ italo-cinese Mario Chou.

Il nuovo campus della Huawei, a Dong Guang, e al centro della nascente città metropolitana sul Fiume delle Perle, grande come la Germania,  ospiterà gli Enti centrali del gruppo Huawei. Esso consiste delle riproduzioni integrali a grandezza naturale dei centri storici di 12 città europee, scelte in  modo non banale ed evitando le localizzazioni più commercializzate, come la Torre di Pisa o Piazza San Marco, e andando  invece  alla ricerca di perle nascoste della cultura europea, da Verona al castello di Heidelberg, fino all’ Alhambra di Granada (e inoltr Parigi, la Borgogna, Friburgo, Cesky Krumlov, Budapest…), che spesso neppure gli Europei conoscono.Questa “città ideale” costruita sui modelli di Pienza, Sabbioneta, Palmanova, Zamosc e San Pietroburgo, costituisce di per sé una ben congegnata provocazione nei confronti dell’inesistenza , a oggi, di una cultura europea dell’informatica.

Essa costituisce anche l’ esempio più recente dello spirito con cui la Cina, o parte di essa, sta affrontando le sfide della post-modernità è chiaramente tradizionale, o, per usare un termine più appropriato, “assiale” (cioè dell’era delle grandi civiltà, cfr. Jaspers, Eisenstadt, Cojève, Assmann). Questo è reso evidente dalle citazioni sempre più ossessive delle antichità cinesi ed europee. A partire dall’esercito di terracotta e dalla Grande Muraglia, senza parlare del movimento Hanfu, per giungere alla frenesia con cui vengono clonati un po’ ovunque tutti i monumenti dell’Occidente, con un’attenzione e una cura che in Europa certamente non abbiamo.

Mario Chou era stato segnalato a Olivetti da Enrico Fermi

1.L’offerta di Reng Zhenfei

Anche l’offerta di Reng Zhenfei, Amministratore delegato della Huawei, di vendere  (o, più precisamente, di licenziare), a un concorrente estero la sua tecnologia, rientra certamente in quello spirito “perennialista”. Secondo l’“arte della guerra” di Sun Zu, l’obiettivo di un condottiero è quello di “conquistare il Tian Xia senza uccidere nessuno”. Già in questo possiamo apprezzare la differenza con Google. Infatti, nell’ opera “The New Digital Age”, due membri del Consiglio di Amministrazione di Google, Schmidt e Cohen, raccontavano di aver elaborato insieme, nella Baghdad distrutta dalle bombe americane, la nuova strategia di Google, che sarebbe quella di “sostituire la Lockheed nel guidare l’America alla conquista del mondo”. Pare che anche…avrebbe incitato i suoi azionisti-soci-collaboratori a muovere alla conquista del mondo, però non ha associato questa conquista ad una strategia bellica.

Si è detto che anche Ren avrebbe esortato i propri azionisti-collaboratori a marciare alla conquista del mondo. Tuttavia, non ha legato questo programma a un programma militare o ideologico, ma, a quanto pare, a una visione culturale.

In un certo senso, ha ragione il Presidente Trump nel ritenere che l’attuale “sorpasso” della Cina sugli Stati Uniti nei campi economico e tecnologico, sia dovuto all’ abilità dei Cinesi nel copiare l’Occidente. Infatti, tutte le civiltà che hanno progredito e vinto hanno copiato massicciamente quelle precedenti (Babilonia, l’ Assiria, la Persia, la Macedonia, Roma…). Tutti i Paesi extra-europei (America, Russia, Turchia, Giappone, India), a partire dal colonialismo, hanno copiato massicciamente l’Europa, a cominciare dalla religione (il Brahmo-Samaj, i Bahai, i Taiping), per passare all’ ideologia (il nazionalismo, la monarchia, il liberalismo, il marxismo, il fascismo), e continuare con l’ economia (libero mercato, socialismo), fino alla tecnologia (informatica, alta velocità, ecologia, spazio). Se questo è un “furto”, esso è costitutivo dell’idea stessa di “storia”, e gli Stati Uniti sono il caso più flagrante di “furto”, avendo “rubato” la terra agl’Indiani, la libertà agli Africani, il territorio agli Europei, le idee a Inglesi e Iberici, la cultura e la tecnologia a Tedeschi ed Ebrei…

L’idea di una “Nuova Europa” in Cina rappresenta una risposta alle idee di Hegel sulla “Fine della Storia”in Europa e a quelle dei Neo-hegeliani  circa l’ America quale “vera” fine della Storia. Se lo Spirito del Mondo segue il corso del sole verso Occidente,. Allora, esso, dopo l’ America, illuminerà nuovamnte la Cina (e l’ Eurasia).

Adriano Olivetti, l’imprenditore piemontese che realizzò l’ELEA

2.La lotta fra Trump per frenare la Cina

Comunque, nessuno aveva mai spinto quella tendenza emulatoria così   avanti come ha fatto la Cina degli ultimi 30 anni, giungendo addirittura a emulare la stessa ragion d’essere occulta della modernità occidentale, la rivoluzione delle macchine intelligenti.  Se la Cina riesce là dove l’America non può arrivare è perché la Cina, da sola, racchiude in sé, sotto un’unica guida, un universo grande quanto l’intero Occidente, un universo in cui  coesistono le più avanzate tecnologie e società ancora primitive, una vasta borghesia colta e un vastissimo sottoproletariato, un grande ceto medio burocratico e manageriale e una miriade di piccole e medie imprese: l’”unità nella diversità”, tanto esaltata da tutti, ma che non può essere realizzata là dove c’è invece una grande omogeneità. La Cina ha potuto così giocare su tutti i tavoli, dal comunismo di guerra al laissez-faire più sfrenato, dallo stalinismo alla finanza internazionale, dal libero mercato al “keynesismo militare”. Essa continua a poter mobilitare in modo differenziato centinaia di milioni di migranti e di funzionari, d’imprenditori e di professionisti, su tutti gli scacchieri e su tutti i varabili scenari economici mondiali (dalla guerra fredda alla lotta al sottosviluppo, dalle delocalizzazioni alla rivoluzione digitale…).In questo modo, essa è riuscita fino ad ora ad evitare l’”impasse” di una linea di sviluppo monocorde, sia essa la programmazione sovietica o il neo-liberismo anglo-americano.

Trump , avendo abbandonato (finalmente) l’ipocrisia dei presidenti precedenti, ha anche le sue ragioni, in quanto difensore degli Stati Uniti, nel tentare palesemente di arginare questa tumultuosa crescita della Cina, ma ne è ostacolato dalle limitate dimensioni del suo Paese e dai seppur modesti “check and balances” che, in Occidente, limitano ancora la sua libertà di manovra, a cominciare dall’ esistenza dell’ Unione Europea (ch’egli considera infatti come la sua peggiore nemica). Non per nulla egli sta facendo di tutto per imitare la Cina, a cominciare dalla concentrazione del potere sulla sua persona e dal tentativo di ridurre ulteriormente i margini di manovra degli Europei. E’ anche normale, nell’ottica della lotta fra grandi potenze, che la crescita della Cina e il conseguente benessere del resto del mondo vengano in qualche modo frenati dall’ azione di Trump, ma non è probabile un suo sostanzioso successo.

Sono, infatti, 4000 anni che l’ Oriente trasferisce tecnologia in Occidente (agricoltura, scrittura, papiro, porpora, strategia, seta, porcellana, vetro, bussola, polvere da sparo, stampa, carta moneta), come 500 che l’Occidente ritrasferisce la tecnologia in Oriente (cannoni, motori a vapore e a scoppio, giornali, automobili, radio, cinema, energia atomica, televisione, spazio, informatica).Vi è cioè una sorta di “principio dei vasi comunicanti”. Il tipo di rapporto contrattuale potrà variare ad libitum, ma, nella sostanza, non è (ancora) ammissibile, fintantoché le Macchine Intelligenti non imponessero un proprio impero mondiale, che esista nel mondo un unico fornitore dei beni più essenziali. Una situazione del genere sfocerebbe senz’altro in una guerra per l’appropriazione “manu militari” delle nuove tecnologie.La Cina ha già sventato un siffatto colpo di mano da parte di Google, Microsoft, Apple, Facebook e Amazon, resistendo alle spinte disgregatrici sullev sue province periferiche e creando, come ha fatto, omologhi cinesi per le “Big Fives” (Baidoo, Alibaba, Tencent).

 

Mario Chou con Adriano Olivetti

3.Fine del monopolio della Silicon Valley

Avendo costituito un’ alternativa alla Silicon Valley, la Cina sta offrendo al resto del mondo l’opportunità di una reale concorrenza, creando due ecosistemi digitali paralleli, non limitati al territorio di ciascun blocco, bensì a livello mondiale. Una concorrenza che, paradossalmente, costituisce una delle rivendicazioni tradizionali  delle retoriche del libero mercato, e una delle basi delle politiche della concorrenza, tanto negli Stati Uniti quanto in Europa.A tutela della quale non si era esitato, neln XX Secolo,  ad emettere i cosiddetti “orders to divest” contro la Standard Oil, la SKF e la General Electric. Orbene, visto che nessuno nel mondo ha oggi più il coraggio di emettere un “order to divest” (giustificato quant’altri mai) nei confronti delle Big Five, perché queste dispongono ovunque di un potere assoluto, , è lo stesso Ren  a emettere  (contro se stesso) un “oder to divest”, dando, così, un esempio che potrà avere un impatto dirompente in tutto il mondo. Se la Huawei si è sentita obbligata a spezzare il proprio stesso monopolio, perché non dovrebbero farlo anche le Big Five?

In questo scenario, si capisce anche che è impossibile impedire che le tecnologie sviluppate in Cina possano essere applicate nel resto del mondo, anche se ciò costituisce un vulnus inaccettabile al dogma hegeliano e weberiano che lo sviluppo economico della modernità è una conseguenza diretta e inscindibile della rivoluzione puritana (americana).Questo dogma, invocato a suo tempo da Marx a giustificazione dello schiavismo in America  e da Rostow per la sua “teoria dello sviluppo”, costituisce il motore occulto della potenza americana, così come la teologia costituiva, per Benjamin, la forza occulta del Marxismo.S e cadesse questo dogma, si sfalderebbero non solo l’Occidente, ma la modernità, e gli stessi Stati Uniti.

La famiglia Chou

4.La mossa di Huawei

In questo breve lasso di tempo, sono state formulate, sulla mossa cinese,  le ipotesi più svariate, per lo più ispirate a immarcescibili  pregiudizi anticinesi, soprattutto quella che si tratterebbe solo di una mossa tattica, di un trucco, oppure che essa sarebbe la prova  che la Huawei è disperata per non poter più vendere abbastanza telefonini e materiale logistico in Occidente.

La verità è che la vita stessa delle tecnologie moderne è fondata sulla contrattualistica della proprietà industriale : nessuno è mai riuscito a sfruttare per sempre un’invenzione in regime di monopolio; da sempre ci sono stati l’”esaurimento dei diritti” , il “trickle down effect”, le licenze, i trasferimenti di know-how. Questi trasferimenti per via contrattuale e commerciale hanno costituito da sempre la forma fisiologica delle collaborazioni tecnologiche internazionali, anche se non sono sconosciuti casi “patologici” di trasferimento forzoso di tecnologia, come quello realizzato manu militari dopo la Seconda Guerra Mondiale, arrestando e trasferendo a forza von Braun e Antonov. La Cina sta cercando proprio di evitare che si arrivi a tentativi di questo tipo.

Inoltre, le trasformazioni in corso nell’economia mondiale sono così rapide, che il ruolo della Cina , in quanto parte oramai centrale di questa economia, è condannata a mutare continuamente. Ciò che era vero fino a ieri non lo è più oggi. Se, per volontà  delle multinazionali americane, che, negli Anni 90 vi avevano delocalizzato il grosso delle loro produzioni, essa era divenuta la “manifattura del mondo”, oggi essa  sta diventando, sempre in simbiosi con gli ambienti economici occidentali, il “cervello del mondo”. In questa situazione, non è essenziale produrre in Cina, ma neanche all’ interno dell’universo Huawei, tutto il materiale telefonico. L’importante è controllare la filiera internazionale, per imporsi quale partner qualificato di coloro che vi operano. Così come fanno Google, Facebook, Amazon e Alibaba, che in pratica gestiscono le attività di altri.

La licenza della tecnologia 5G, per quanto offerta nei termini più liberali, non arresterà dunque l’“intellectual leadership”di Huawei, la cui forza consiste proprio nell’innovazione continua. Il campus” di Dong Guan servirà proprio per coltivare innovazione per tutto il mondo. Il fatto che esso sia costruito “copiando” le roccaforti della cultura europea (e non di quella americana, russa, islamica o indiana), dimostra che il modello e il partner elettivo di questi sviluppi è l’Europa. Questo per due motivi, l’uno storico, perché DA QIN ha costituito da sempre il polo speculare delle Vie della Seta, al quale la Cina ha guardato sin dal tempo degli Han Anteriori, e l’altro, geopolitico, perché l’Europa è, oggi, speculare e quindi complementare nei campi culturale, politico, tecnologico ed economico, alla Cina.

Il Minitel, il primo Internet, era europeo

5.Sfidiamo l’arretratezza culturale e tecnologica dell’ Europa

Dal punto di vista tecnologico, l’Europa appare, all’alba della Società delle Macchine Intelligenti, come un paese sottosviluppato:
“Se è vero che l’ Europa ha nel commercio extra-UE un saldo positivo dell’industria manifatturiera nel suo complesso, registra però un deficit nei prodotti ad alta intensità tecnologica. Nel 2015, il disavanzo europeo è stato di 63,5 miliardi di euro, soprattutto verso la Cina, ma non solo: anche Stati Uniti, Corea, Giappone e persino Vietnam e Thailandia hanno segnato un più nello scambio di prodotti high tech con l’ Unione Europea….”(Francesca e Luca Balestrieri, “Guerra Digitale”). Come scrivono gli autori citati, “La discontinuità che segna l’inizio della seconda fase della rivoluzione digitale offrirebbe sulla carta all’ Europa l’opportunità di un cambio di marcia: nel nuovo mix di tecnologie convergenti, l’eccellenza europea in settori come la robotica, l’automazione e -in generale -la manifattura 4.0 potrebbe portare alla nascita di nuovi campioni globali, questa volta radicati in Europa. Il fattore critico è però la capacità di elaborare un’efficace politica industriale a dimensione europea. “

L’assenza dell’ Europa dai settori di punta delle nuove tecnologie deriva dall’ assenza di un ambiente geopolitico ed intellettuale complessivamente favorevole (di innovatori motivati e all’ avanguardia come a suo tempo von Braun,Turing, Olivetti, Chou, o, in America, Wiener, von Neumann, Esfandiari, Kurzweil…; d’ iniziative come quelle del Minitel e di Programma 101; di un  centro decisionale militare autonomo come il DARPA americano, che finanzia l’industria digitale in quanto tipicamente “duale”; di reti d’intelligence capaci d’impedire il furto delle tecnologie).Forse anche da accordi segreti con l’ America.

Tuttavia, se, nel XX° secolo, i Paesi europei potevano ancora sperare di mantenere il loro “European life style” restando dei semplici “followers” dell’ America, essi non possono più nutrire questa speranza dopo l’avvento dell’ economia digitale, dominata dalla Silicon Valley, da Dong Guan, Xiong’an, Bangalore, dai providers di Internet, dai Big Data, dai computers quantici e dai 5G.

In Europa non si è ancora capito che le società attuali hanno oramai abbandonato, non solo  le logiche della società assiale, ma anche quelle della Modernità, fondate su religione, umanesimo, razionalità, diritto, personalità, libertà, Stato, industria, società. Oggi, quegli elementi sono oramai stati sostituiti dall’ informatica, dal macchinismo, dai “big data”, dall’”hair trigger alert”, dai “social media”, dalle “Big Five”, dall’uomo virtuale. Chi non è in grado di padroneggiare questo complesso mondo mondo decade rapidamente a suddito, a cavia, a mero reperto archeologico da cui ricavare le nuove realtà (come il campo di Dong Huang).

Oggi, USA, Cina, Russia, India, Israele, Iran, hanno i loro Big Data, i loro sistemi di intelligence, i loro guru dell’ informatica, le loro OTTs, ecc…Noi no. Per questo abbiamo già perduto ogni rilevanza geopolitica e stiamo perdendo addirittura la capacità di sopravvivere economicamente e culturalmente.

Uscire da questa spirale discendente richiede una scossa culturale e nuove tecnologie. Ambedue le cose potrebbero venirci da Dong Guan: da un lato, il rilancio dell’orgoglio di appartenere a “Da Qin”, l’altro grande polo, insieme all’ Asia, della civiltà umana, e, dall’ altro,  l’utilizzo delle tecnologie 5G, che rappresentano l’informatica del futuro. Per tutte e due queste cose, abbiamo bisogno della Cina.

Come scrivono Francesca e Luca Balestrieri, “Nello scenario dei prossimi anni vi sono dunque troppe variabili perché si debba considerare il bipolarismo come un destino, in cui restare schiacciati nella logica della nuova guerra fredda: anche se al momento la scena è occupata da Stati Uniti e Cina, la seconda fase della rivoluzione digitale è tuttora aperta a una possibile più larga distribuzione del potere industriale e a più complessi assetti geopolitici”.

Con quest’obiettivo e con questa strategia, l’Europa dovrebbe organizzare un pacchetto negoziale con Huawei, a cui possano partecipare, ma non solo, le multinazionali europee dell’informatica, ma anche altri soggetti, primo fra i quali l’Unione Europea, addirittura in quanto tale. Non si vede perché, come esiste un’Agenzia Spaziale Europea, non possa esistere anche un’ Agenzia Digitale Europea, la quale si ponga, direttamente o attraverso società-veicolo (come Arianespace), come attore sul mercato dei prodotti e servizi digitali, acquisendo tecnologia di punta là dove essa è disponibile e creando le nuove (oggi inesistenti) classi dirigenti della società digitale europea, così come, per la progettazione del “Programma 101”, l’Ing. Olivetti aveva reclutato (su raccomandazione di Enrico Fermi) ,l’italo-cinese Ing. Chou.

Dopo trent’anni di delusioni dalle retoriche neo-liberistiche e post-umanistiche, sta prendendo piede ovunque un atteggiamento altamente interventistico delle Grandi Potenze nei confronti dell’ universo digitale, sulla falsariga del DARPA americano e del Comitato cinese per l’Unificazione del Civile e del Militare. Orbene, se di questo hanno bisogno addirittura le due Grandi Potenze che si contendono il controllo tecnologico del mondo, figuriamoci se non ne abbiamo bisogno noi Europei, ormai ridotti a dei “primitivi digitali” a causa del più spettacolare “fallimento del mercato” che la storia ricordi!

Anche noi dobbiamo costruire il nostro campus umanistico-digitale, comprendente e le migliori tradizioni di tutte le fasi della storia europea, e un’antologia selettiva di tutte le culture del mondo.

NE’ CON SOROS, NE’ CON BANNON, MA CON L’EUROPA Contributo a una “rettifica dei nomi” dei nuovi schieramenti europei.


Un tempo si diceva che, con l’avvento della democrazia, era finita la diplomazia segreta, e ci si avviava verso un’epoca di trasparenza. Tutto ciò sarà anche parzialmente vero, però oggi stiamo assistendo a un’altra, non meno grave, forma di opacità: la politica trasformata in sceneggiata, che non ci permette più di capire che cosa sia vero e che cosa sia falso nelle grandi questioni che riguardano l’Umanità (la questione delle “fake news”, ma portata all’ ennesima potenza). In questo modo, si impedisce che il tanto decantato processo democratico possa mai portare a una qualsivoglia decisione concreta, e, questo, in un mondo in cui decisioni drammatiche debbono essere assunte in ogni momento, e quindi vengono prese in un modo assolutamente opaco da alcuni individui, spesso occulti.

Il caso più preoccupante è quello del Presidente Trump, che, prova, qua e là, a realizzare  (giuste  o  sbagliate  che  fossero)  le  promesse fatte agli elettori, per essere poi rimbeccato e violentemente contestato da tutto l’ “establishment”, e, quindi, rimangiarsi (almeno formalmente), tutto quanto detto e fatto fino al giorno prima. Sicché, tutti insieme, gli Americani riescono a occultare, con quella che Nixon chiamava “tattica del pazzo” (quello che ora Trump chiama ‘l’elemento sorpresa’), quali siano le reali intenzioni dell’America: « È importante che ‘i pianificatori non siano troppo razionali nel determinare […] quali siano gli obiettivi che contano di più per l’oppositore”, che vanno comunque tutti colpiti. “Non è bene dare di noi stessi un’immagine troppo razionale o imperturbabile”. “Il fatto che gli USA possano diventare irrazionali e vendicativi, nel caso che i loro interessi vitali siano attaccati, dovrebbe far parte dell’immagine che diamo in quanto nazione.” È “giovevole” per la nostra condotta strategica che “alcuni elementi possano sembrare fuori controllo”. »

Ricordiamo solo alcune delle prese di posizione di questa Presidenza: introduzione di dazi commerciali contro tutti i principali Paesi del mondo; cancellazione dei trattati sul clima e con l’ Iran; spostamento dell’ ambasciata in Israele, da Tel Aviv, a Gerusalemme; la definizione dell’Europa come “nemico”; la minaccia di ritirare 35.000 soldati dalla Germania se gli Europei non aumentano le spese militari al 4% del PIL(800 miliardi di dollari) l’anno; la proposta a Macron di lasciare la Unione Europea; l’invito a Theresa May a farle causa, e, all’ Europa stessa, di abbandonarla….Dietro di esse c’è certamente una logica, e questa è che gli USA resteranno ancora per poco tempo così forti da  potersi imporre con le minacce e con i ricatti, perché dopo comincerà un’era veramente multipolare in cui la voce degli altri Paesi del mondo li sovrasterà.

La “politica come sceneggiata” rende comunque  difficile non farsi travolgere dai riflessi condizionati deliberatamente provocati dai potenti e dai sistemi di comunicazione di massa. A mio avviso, il modo migliore per opporvisi è fare, di tempo in tempo, un’opera di chiarificazione dei concetti: quella che Soctate chiamava “maieutica”, e Confucio “Rettificazione dei nomi”. Mi avvarrò, nel fare questo, di riferimenti incrociati ad articoli pubblicati in questi giorni da autorevoli giornalisti su vari giornali italiani.

 

 

1.Gl’irreali schieramenti attuali

 

 

Non più affidabilmente di quella americana si comporta  anche la classe dirigente italiana (vecchia e nuova), divisa nei tre improbabili partiti dei “sovranisti”, degli “europeisti” e degli “antiamericani”:

 

 

-i pretesi “sovranisti” affermano di voler riaffermare la sovranità nazionale (cioè degli spesso improbabili Stati nazionali sette-ottocenteschi), ma, paradossalmente, se la prendono, come capro espiatorio, proprio con quell’Unione Europea, che è la principale stampella su cui si appoggiano tali obsoleti Stati, e non, invece, con gli Stati Uniti, che da 70 anni occupano proprio tali Stati -esemplificazione eclatante della loro  “non sovranità” – ( Steve Bannon, come già Zbygniew Brzezinski, la chiama, senza mezzi termini, “protettorato”-), e ora si permettono addirittura di dichiarare l’Europa come “loro nemico” , nonostante la cieca obbedienza a i loro ordini per tutti questi anni. Ora che Bannon si propone espressamente di orientare, finanziare e inquadrare i movimenti “sovranisti” europei nello stesso Parlamento europeo, i “sovranisti” ci dovranno spiegare di chi essi difendono la sovranità: dell’ Europa o dell’ America?;

 

 

-i pretesi “europeisti”, che si limitano (come ci ricorda, su “Il Sole 24 Ore”, Sergio Fabbrini), a ripetere all’ infinito i presunti meriti delle Comunità Europee e dell’Unione Europea, ma senza avanzare alcun programma concreto, e   (aggiunge Rumiz su “La Repubblica”), con “uno spaventoso vuoto narrativo”. Infine, essi sembrano difendere più   l’”Occidente” che non l’ Europa,  vista la loro “totale assenza di passione per l’ Europa”(Rumiz). Molti di costoro hanno inizialmente sostenuto l’internazionalismo comunista, poi quello gauchista, poi ancora quello delle multinazionali e della Rete, e ancora oggi tifano per la Clinton, per Obama e per Soros;

 

 

-i pretesi “antiamericani”, che, prima delle elezioni, erano diventati numerosissimi, a sinistra come a destra, perchè inseguivano gli umori della maggioranza degli elettori,  e, dopo le elezioni, sono letteralmente scomparsi, con gli scongiuri di non voler mettere in discussione la NATO (mentre la può mettere in discussione lo stesso Presidente degli Stati Uniti), con i loro precipitosi viaggi a Washingron, con gli applausi a Steve Bannon, ennesimo “avatar” dell’egemonia americana, questa volta teorizzata dalla destra di Trump per “americanizzare”, infine, dopo il centro e la sinistra, anche i “sovranisti”.

 

 

In realtà, dietro a tutti questi gruppi si vedono sempre all’opera le eterne lobbies americane e filo-americane, che si  sono da sempre travestite nei  modi più svariati  per orientare meglio gli Europei: ieri Lafayette, Dupont de Nemour, Talleyrand, Mazzini, Trockij, la Banca Schroeder, i “servizi deviati”; oggi, “le cancellerie”, , le holding editoriali, i “think tanks” trasversali. Non per nulla, Bannon parla di “riorientare” (cioè mettere in riga) “i Paesi amanti della libertà”(cioè i passivi alleati degli USA), vale a dire di consolidare con mezzi diversi un ”Occidente” che le politiche dei globalisti americani hanno ormai screditato e polverizzato.

 

 

Un esempio tipico dei discorsi di queste lobbies è fornito dall’articolo su “La Stampa” dell’ Ambasciatore Massolo, che incitava, come sempre, gl’Italiani alla “politica dei due forni”, attaccandosi, ora alla greppia americana, ora alla greppia russa, senza rivendicare mai  un’ autonoma missione civile, e svalutando, per questo, il  ruolo dell’ Europa.   La quale ultima è oggi invece  indispensabile, seppure in forme radicalmente nuove, almeno per sopravvivere nello scontro fra le grandi potenze, a cui non possono opporsi solo calcoli opportunistici: si può lottare solo se si ha una diversa visione di se stessi e dell’ Umanità.

 

 

2.L’Europa autentica

 

 

Oggi più che mai, nessuno si prende veramente cura dell’Europa, intesa quale insieme di popoli concreti, con le loro terre, le loro culture, le loro ambizioni, le loro rivendicazioni, in leale, ma ferma, competizione, con il resto del mondo, senza pretese colonialistiche ma anche senz’ alcuna tolleranza per i “diktat” da parte di chicchessia.

 

Nel fondo della loro anima, questi nostri popoli non s’identificano, né con il mitizzato, ma fortunatamente inesistente, “ceto medio”, che si pretenderebbe decerebrato e facile preda della demagogia, né con l’ipocrita retorica millenaristica e puritana, che ha predicato per secoli libertà, fraternità ed eguaglianza, per tendere possibili, in realtà, un generalizzato razzismo, la Tratta Atlantica, il Trail of Tears, il terrore rivoluzionario e la bomba atomica, né, infine con le smargiassate dei tanti pseudo-rivoluzionari, che, da sinistra o da destra, hanno esaltato per decenni le lotte di liberazione di tutti i popoli del mondo, ma non ne hanno avviata neppure una, che sarebbe spettata proprio a loro: quella dell’ Europa.

 

Ma qual’ è l’”anima” del nostro Continente?

 

 

Rumiz vorrebbe che si “narrasse con l’anima” il nostro Continente. Ma siamo sicuri che quei pochi che, come lui, stanno cercando di farlo, stiano raccontandoci l’Europa vera, quella che emerge chiaramente dalle nostre culture e dai nostri monumenti, e non il, ben diverso, “Occidente”? Già Freud lamentava che “la coscienza europea” occultasse l’ “identità Europea”:                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                 il radicamento dell’ Europa nelle religioni monoteistiche, nella tecnica o nella sintesi liberal-democratica volutamente non definisce l’ Europa nella sua essenza, bensì si limita ad enumerare dei fenomeni comuni a vari Continenti. Come tale, esso non serve per guidare il comportamento degli Europei così come l’“American creed” guida quello degli Americani.

 

Vogliamo invece parlare qualche volta d’Ippocrate, di Leonida, di Dante, di Podiebrad, del “Rescrit de l’ Empereur de la Chine” di Voltaire, della “finlandizzazione” di   Czartoryski, dei “Buoni Europei” di Nietzsche, della “Religione della Libertà” di Croce,  della Costituzione Europea di Galimberti, della “Sfida Americana” di Servan-Schreiber? Questi sono i rari personaggi, momenti e passaggi in cui l’Europa è stata evocata apertamente e specificamente, secondo l’ insegnamento di Chabod, come alternativa ad altri modelli: gli “Europaioi” definiti come liberi nel senso di “autonomoi”, l’Italia come “giardin dell’ Impero”; il patto pacifico fra i sovrani, seguendo l’esempio unitario della Cina; la “Nazione Cristiana” di Novalis e di Alessandro I; la “Force de Frappe” gaulliana. Tutte cose cancellate invece dalla memoria collettiva attraverso scelte politiche ufficiose dei Governi tenute praticamente segrete, come quella operata dai Ministri della Cultura di Blois, consistente precisamente nell’ignorare la storia dell’ Europa prima del 1945.

 

Secondo  questa cosiddetta “memoria condivisa”, l’ integrazione europea nascerebbe all’ improvviso, come per miracolo, per il solo effetto dello spavento per le atrocità della II Guerra Mondiale. L’identità europea sarebbe quindi soltanto la sommatoria delle ideologie che si sono imposte a partire da quella.  Ma, a quel punto, come fare a dare delle  priorità al governo dell’ Europa,

 

 

3.Prepararsi al peggio


Al di là di ogni considerazione europea, questa “tattica del pazzo” costituisce un pericolo permanente per la sopravvivenza dell’ Umanità, perché la drammatizzazione artificiale di ogni trattativa, tipica dei negoziati finanziari o forensi, trasposta in campo geopolitico, può portare fino alla guerra totale.

 

Ma anche a prescindere da Trump, scrive Roberto Castaldi su “L’Espresso”, oggi “l’Europa è un vuoto di potere, una bassa pressione, intorno a cui si concentrano crisi geopolitiche”, e questo costituisce un ulteriore pericolo. Tuttavia, c’è da chiedersi se i vetusti suggerimenti proposti da  Castaldi, come la comunitarizzazione della “Force de Frappe” (che pure sarebbe da se sola una rivoluzione), siano sufficienti in un momento dominato, come il nostro, dalla cyberguerra e dalle guerre asimmetriche, di fronte alle quali i pochi missili nucleari francesi, contrariamente che ai tempi di De Gaulle (quando erano “à tous les azimuts”, cioè puntati anche contro gli USA), sono oramai ben poca cosa.

 

Infatti, come scrive su “La Stampa” Gianni Vernetti, il declino dell’egemonia americana porterà a un conflitto per il controllo del nostro Continente, a cui gli Europei devono essere preparati, per non subirlo passivamente, bensì per divenirne, al contrario, i vittoriosi protagonisti. Dunque, è forse un problema già il fatto che Trump sia molto titubante a tener fede alla clausola (per altro puramente cartacea) dell’ art. 5 del Trattato NATO, che impegna i firmatari alla difesa reciproca contro attacchi di terzi, ma ben  più grave è che Trump abbia qualificato gli Europei come “dei nemici”. Chi, infatti, dopo De Gaulle, ha approntato strumenti di difesa “à tous les azimuths”, vale a dire anche contro un’eventuale aggressione americana (che sarebbe coerente con certi atteggiamenti di Trump)?

 

Speriamo che tutto possa risolversi pacificamente, con l’accettazione di quel naturale riorentamento progressivo dell’ Europa verso l’Eurasia, tanto aborrito da Brzezinski e da Bannon, che permetterà  in primo luogo di rovesciare pacificamente l’innaturale rapporto di forze all’ interno dell’ Occidente. Segnaliamo per altro anche l’interessante scelta, da parte di due intellettuali belgi, di arruolarsi come volontari nelle truppe del loro Paese, col deliberato proposito di acquisire quelle competenze militari che forse saranno purtroppo necessarie agli Europei in quel frangente: “si vis pacem, para bellum”. Basti pensare a come è stato facile destabilizzare, con le “primavere arabe”, cinque importantissimi Stati a noi vicini, provocando una micidiale guerra internazionale, più lunga della Seconda Guerra Mondiale.

 

4.Le elezioni del 2019

 

 

Visto che tanto i “sovranisti”, quanto gli “europeisti”, si stanno preparando a presentarsi come coalizioni possibilmente coerenti alle prossime Elezioni Europee, spero che tanto gli uni, quanto gli altri, porgano orecchio a questi nostri argomenti. Né gli uni, né gli altri, devono dimenticare che se, insieme, essi coprono la totalità del Parlamento Europeo, invece, l’enorme maggioranza degli Europei non è rappresentata da nessuno dei loro uomini : alcuni, perchè appartenenti a Paesi Europei non facenti parte della UE; gli altri, perchè, pur potendo votare per il PE, si rifiutano maggioritariamente di farlo, essendo contrari alle politiche di tutti gli attuali partiti organizzati, tutti egualmente indifferenti alle vere sorti dell’ Europa e mossi da ben altri interessi.

 

 

A queste centinaia di milioni di Europei, occorrerà proporre, come afferma l’omonimo manifesto firmato da molti intellettuali europei tra cui Rémi Brague e Chantal Delsol, “Un’Europa a cui possiamo credere”.

PROTEZIONISMO E INFORMATICA, In margine alla multa di Google

L’’imporsi dell’ informatica come fenomeno centrale del XXI Secolo ha stravolto,  già di per sé, molti dei presupposti -filosofici, politici, economici e giuridici- delle società contemporanee, a partire dalle idee di libertà, di Stato e di concorrenza, rendendo obsolete, tra l’altro, le vecchie ideologie e le vecchie scuole economiche e giuridiche. E’evidente, infatti, che le Big Five non sono soltanto delle imprese, ma corrispondono anche, contemporaneamente,  a ciò che un tempo erano     gli Stati, le Chiese e i servizi segreti. Difendere l’Umano contro i Big Data e l’uomo artificiale richiede molta più energia e ingegnosità che non difendere i cittadini  separatamente contro lo Stato, la Chiesa o la repressione poliziesca, come si era fatto nel ‘600 con l’Habeas Corpus, nel ‘700 con il Toleration Act, o nell’ Ottocento con le costituzioni liberali.

Per questo le Autorità americane stanno giustamente ripensando all’intero impianto della legislazione antimonopolistica, nata proprio in America per difendere, prima che i consumatori, la stessa democrazia, la quale non può coesistere con un potere preponderante, superiore a quello di Stato, Chiesa e polizia messe insieme. Infatti, le Big Five spiano quotidianamente ciascuno di noi, a cominciare dal Papa e dal Presidente degli Stati Uniti, manipolano le elezioni in tutti i Paesi del mondo, ma soprattutto in America, rivendono i nostri dati acquisendo un potere economico che permette loro di acquistare aziende aerospaziali e interi territori, catene editoriali e fabbriche automobilistiche, catene distributive e fabbriche di robot: distruggendo l’intero ceto imprenditoriale e gran parte di quelli tecnici e operai, in tutto l’ Occidente.

Ma, per fermare le Big Five, non resta che ricreare la concorrenza (per esempio, quella dei concorrenti europei che oggi non ci sono).

La polemica forzata di Trump contro la decisione della Commissione ha se non altro il pregio di mettere in evidenza una serie di verità lapalissiane che tutti hanno preferito ignorare per molti decenni. Al di là dei mutevoli e mistificati rapporti in politica interna, vi è una sostanziale convergenza fra, da un lato, il perpetuarsi dello strapotere delle Big Five, e, dall’ altra, le politiche protezionistiche, aperte o nascoste, dello Stato Americano, di oggi e di ieri.

1.L’informatica quale arma suprema del XXI Secolo

Dato, infatti, il carattere centrale dell’ informatica nella società di oggi, e, soprattutto, di domani, essa rappresenta oggi l’arma suprema, superiore perfino a quella nucleare. Come ha detto il Presidente Putin, “chi controlla l’ Intelligenza Artificiale controlla il mondo”. Questo l’avevano scritto per primi Eric Schmidt e Jared Cohen, membri del CdA di Google: “mentre,  nel XX Secolo, era stata la Lockheed a guidare l’America alla conquista del mondo, nel XXI secolo, questo compito spetterà a Google”. D’altra parte, questo lo sapeva per primo il Department of Defence americano, che, in piena Seconda Guerra Mondiale, aveva lanciato “AAA Predictor”, un programma che aspirava  nientemeno che a prevedere le mosse del nemico. Se non è questa l’Intelligenza Artificiale! E, nello stesso modo, lo sapevano  i vertici del PCUS, che, dal 1983, avevano affidato la decisione della eventuale rappresaglia nucleare, a un sistema informatico detto “OKO” (Occhio).

E’ questo il motivo per cui tutti gli Europei (Governi, Istituzioni, partiti, imprenditoria) non hanno mai fatto nulla contro lo strapotere delle Big Five, concepito come una semplice e logica estensione della cessione agli Stati Uniti del diritto di pace e di guerra. Ed è questo per cui il seppur modesto attacco odierno della Commissione alla Google viene descritto da Trump come un’insopportabile prevaricazione degli Europei, che va repressa al più presto.

L’approccio di Trump si differenzia perciò da quello di Obama solamente per lo stile. L’Amministrazione Obama si era illusa di rendere irreversibile il predominio delle Big Five (e, quindi, del proprio Complesso Informatico-Militare), attraverso il TTIP e il TTP, mettendo al bando  come “protezionismo” ogni misura volta a rafforzare le nascenti industrie europea e giapponese del Web Poiché non si sono potuti stipulare i due trattati, si è scelto ora il rude approccio di Trump: non potete multare la Google (seppure applicando la normativa antitrust, che è un prodotto del liberismo giuridico americano) perché la Google è americana, e gli Europei stanno già  traendo fin troppi  vantaggi (quali?) dalla cooperazione con l’America. L’atteggiamento di Trump è simile a quello del lupo nella favola di Esopo/Fedro e Lamartine, in cui  questo  animale divora l’agnello dopo averlo accusato di una colpa irrisoria e comunque impossibile (avere sporcato l’acqua d’un ruscello quando in realtà era l’agnello ad essere a valle del lupo).

2.L’insostenibilità della subordinazione europea

Addirittura, l’insufficienza economica, a parere di tutti, della multa miliardaria comminata a Google dalla Commissione, rispetto all’ enormità dei danni causati dall’ impresa, mette a nudo l’insostenibilità di un tipo di rapporto, fra Europa e America, fondato su una totale sproporzione di potere. Infatti, già soltanto  mantenendosi entro i ristrettissimi limiti del diritto europeo positivo (ripetiamolo, di origine americana) esisterebbero  strumenti ben più efficaci, come l’”order to divest”, che nessuno si sogna però neppure di suggerire. Ricordo che questa soluzione era stata applicata fin dagli inizi dell’antitrust americano a conglomerate, come la Standard Oil, ben meno minacciose che non le Big Five di oggi. Quanto poi alle diatribe euro-americane, avevo avuto modo già negli anni ’70 di assistere ad un “order to divest” piuttosto discutibile, quello contro la SKF svedese (per cui lavoravo), evidentemente per favorire i suoi concorrenti americani.

Ma c’e di più: sempre secondo la stessa teoria liberistica, lo Stato deve intervenire nell’ipotesi di un “fallimento del mercato”. Ebbene, questo è appunto il nostro caso, perché, senza un aiuto dello Stato (o meglio dell’ Unione Europea), un’industria europea del web non sorgerà mai, e, quindi, in Occidente non sorgeranno mai dei concorrenti delle Big Five come Alibaba o Baidu in Cina .E giacché, senza un’industria informatica autonoma, non è possibile, né una politica di difesa, né un’industria delle comunicazioni, né un sistema commerciale efficiente, né un’industria dei trasporti, ecc…, se l’ Europa non si dota della sua autonoma  industria del web, essa sarà condannata a una decadenza rapidissima, sul genere di quella che stiamo già sperimentando in Italia, dove da più di un decennio,  la “crescita”, mai superiore all’ 1%, non compensa neppure l’inflazione programmata. Non per nulla, l’Italia costituisce un caso estremo di rinunzia a tutte le tecnologie di punta: dall’ informatica (ricordiamo il caso Olivetti), al nucleare (vedi referendum), alle portaerei (vedi il caso delle nostre portaelicotteri), alla propulsione aerospaziale (caso Fiat Avio). Un’Italia priva delle industrie di punta è condannata a non offrire più alcun posto di lavoro interessante, soprattutto per gl’intellettuali, i managers, gl’ingegneri, i finanzieri, i legali, perché questi si concentrano ovunque là dove c’è un potere effettivo: intorno alla Silicon Valley, a Shenzhen, al Pentagono, al Cremlino,  a Wall Street, a Gerusalemme, a Pechino, a Riad….Qui restano solo posti da politici di second’ordine, da burocrati esecutori, da camerieri, da contabili e  lavoratori manuali in attesa di essere sostituiti dai robot…

La difesa d’ufficio che il Presidente Trump sta facendo di Google conferma che si tratta di una lotta per la sopravvivenza fra le economie americana ed europea. D’altronde, il caso di Cambridge Analytica dimostra che anch’egli, come già Obama, non avrebbe vinto le elezioni senza l’appoggio determinante delle Big Five. Dove poi l’influenza russa, per altro non dimostrata e non specificata, sarebbe stata infinitesimale rispetto a quella, confessa, di Facebook e di suoi partners.

Urge un’azione da parte della società civile per fare pressione sulle Autorità Europee. Se l’Unione Europea non saprà tutelare i suoi cittadini contro questa che è la minaccia più grave nei confronti della nostra libertà e della nostra stessa sopravvivenza, non vedo come essa possa rivendicare una qualsivoglia legittimità democratica, e come faccia a evitare il prevalere di forze che promettono (sinceramente o meno), nuovi assetti, radicalmente diversi.