Nella prefazione al libro “La Memoria è il nostro futuro”, ispirato all’ idea-chiave della “Memoria Culturale”di Ian Assmann, il direttore del Museo Egizio di Torino, Christian Greco, ha sviluppato un approfondito discorso sul ruolo che i musei potrebbero, e dovrebbero, avere, nel dibattito contemporaneo circa le identità culturali – un dibattito a nostro avviso determinante per le sorti della pace e della libertà nel mondo-.Discorso ulteriormente allargato con “La cultura è di tutti”, scritto con Paola Dubini, Egea,Milano, 2014. Nel contempo, il Sindaco di Torino ha lanciato un tavolo di lavoro per la candidatura della Città a Capitale Europea della Cultura nel 2033. Il discorso sui musei s’inserisce perfettamente in questa prospettiva, che rientra, a sua volta, a pieno titolo, nella missione e nella storia dell’Associazione Diàlexis.
1.Contro la moderna follia Nessun momento avrebbe potuto essere più appropriato di questo, in cui assistiamo, per usare un termine attualissimo, a una Guerra Senza Limiti (cfr. Liang Qiao , Xiangsui Wang, e al.),fra, da un lato, il blocco culturale, politico e militare “occidentale”, che, pure fra le apparenti divergenze (fra “cultura Woke”, “Cancel Culture”, Politicamente Corretto, Singularity, turbocapitalismo, “progressismo da ZTL”, sovranismo e “Make America Great Again”), condivide l’idea di una missione superiore attribuita all’Occidente, e, dall’ altro, la molteplicità delle infinite culture del resto del mondo (pre-alfabetiche, animistiche, politeistiche, patriarcali, epistocratiche, religiose, comunitarie, conservatrici, monarchiche o ancestrali), a lungo spregiate e perseguitate in quanto barbariche e arretrate (cfr., per esempio, la conquista delle Americhe, la Tratta Atlantica, lo schiavismo, il Trail of Tears, l’ imperialismo, il neo-colonialismo, i genocidi, l’islamofobia, la russofobia, l’”esportazione della democrazia”), ma le quali infine, grazie ad una sorta di “Lunga Marcia” (indipendenza di Cina, India, Vietnam e altri Paesi afro-asiatici; rilancio delle “tigri asiatiche”; miracolo cinese) hanno oramai raggiunto un livello di parità culturale, politica, economica e militare con il “Primo Mondo”, il che che permette loro di esprimere il loro punto di vista circa i grandi temi dell’ Umanità. Qualora si assumano questi diversi orientamenti culturali e storici come un qualcosa di fisso e assoluto, l’“escalation” verso la Terza Guerra Mondiale, in corso in Ucraina, nel Levante e nel Mar della Cina, è inevitabile. Se, invece, come a noi pare più sensato, si vanno a cercare le radici comuni delle diverse culture del mondo, quali esse apparivano per esempio all’ inizio dell’ Epoca Assiale (cfr. Jaspers, Eisenstadt e Assmann), uno “Scontro di Civiltà” sembra più lontano. Visto che qui si parla innanzitutto del Museo Egizio, non vi è chi non veda le similitudini fra l’Antico Egitto e le società ad esso coeve, come in particolare quelle mesopotamiche e anatoliche, con lo stesso ruolo attribuito ai sovrani di diritto divino, le loro mitologie addirittura “traducibili”, come nel trattato di Qadesh, l’etica professionale dei guerrieri montati su carri (pensiamo a Mozi o al Bhagavadgita), il principio di “humanitas” (“ren”仁), che traspare dalla “Regula Aurea”, l’indistinguibilità fra etica e diritto, spezzato dal positivismo giuridico delle poleis (cfr. Antigone)… Anche avvicinandoci nel tempo, i poemi omerici e Gilgamesh, il Mahabharata e il Ramayana sono collocati in una stessa atmosfera etica e letteraria, caratterizzata dall’interazione fra gli uomini e gli dei, dal culto dell’eroe, dal senso del destino, che incombe sugli eroi e sugli stessi dei: un’atmosfera che ha permeato tutte le letterature successive (pensiamo all’Ifigenia di Goethe, ai Sepolcri, a Carlyle, ad Anouilh, alla Cassandra di Christa Wolf, all’ “Eschile, l’éternel perdant” di Kadaré). Infine, i pensatori che hanno gettato le basi del pensiero mondiale, da Mosè a Jina, da Laotse a Confucio, da Zhuangzi a Mozi, da Eraclito a Parmenide, da Socrate a Platone, da Budda ad Aristotele, da Epicuro a Lucrezio, da San Paolo a Sant’Agostino, hanno affrontano tutti, seppure con diversi metodi e linguaggi, le stesse questioni, a partire dall’ indeterminatezza della realtà (Rgveda, Protagora, Socrate, Confucio). Soprattutto il Cristianesimo testimonia l’eredità dei popoli primitivi e medio-orientali (cfr. Rees,Cristianesimo e antiche radici) a cominciare dal tema del Giardino Terrestre (il “Gan Eden” con un chiaro riferimento all’area sud-arabica); per passare al Diluvio Universale, così simile a ciò che si è detto e fantasticato su Atlantide, la Lemuria, Doggerland e Kumari Kandam; per poi venire al Figlio di Dio, alla Resurrezione, alla Trinità, agli Angeli, Arcangeli, Troni e Dominazioni, al Salvatore, all’Aldilà, all’ Apocalisse, all’ascetismo e al monachesimo. I Re Magi che adorano il Bambino non compiono lo stesso rito dei Lama che ancor ora selezionano il Piccolo Budda in giro per il Tibet? E il ricordo di Cristo e i suoi apostoli non è ancora vivissimo nei monasteri del Kashmir e nelle grotte di Chennai? Solo negli ultimi mille anni il pensiero “occidentale”, con Averroè eal-Ghazzali, Hume e Hegel, Marx e Nietzsche, Freud e Jung, Wittgenstein e Heisenberg, De Finetti e Feyerabend, è sembrato allontanarsi dalle basi lato sensu umanistiche dell’Epoca Assiale, per tingersi spesso con il colori del “sospetto”. Sospetto talvolta del tutto giustificato, ma che più spesso rimanda alla “nostalgia” per quelle radici comuni (greche o cristiane, buddiste o zoroastriane).Contemporaneamente emergeva, con la Qabbalà e Newton, St-Simon e Marx, Rostow e Kurzweil, una visione teo-tecnocratica che pretende di cancellare le antiche culture in nome di una pretesa “obiettività” fondata sulla tecnica, vera “sostanza” del mondo e pensiero di Dio : visione che è oggi dominante nella Teoria dello Sviluppo e nella Singularity Tecnologica.
Nostalgia dell’ avvenire Come scrive Greco, “Divenire consapevoli della relatività della visione contemporanea può rappresentare un primo passo per avvicinarsi al passato con la stessa cura e la stessa attenzione che un giorno speriamo venga dedicata alle nostre azioni e ai nostri pensieri..” Ma per noi è ancora di più. E’ lo strumento principe per bloccare la deriva della Modernità verso un mondo senza umanità dominato dagli algoritmi, in cui non vi sarebbe futuro per l’eredità dell’ Epoca Assiale. La contemplazione del passato non costituisce quindi una motivazione per l’immobilismo. I popoli più antichi già anticipavano aspetti della postmodernità, se non della futurologia, anche se li inserivano in una visione più vasta dell’ Uomo. Gli antichi libri sacri e i muri dei templi sono pieni di descrizioni di macchine volanti e di tute spaziali; i protagonisti degli affreschi egizi e cretesi sono multiculturali; l’idea dell’ibernazione quale premessa per la resurrezione è tipicamente egizia; ma neppure la fluidità di genere era certo sconosciuta, anche se con risvolti che certo non sono più ben accetti alla Cancel Culture… L’ethos dei popoli antichi può costituire anche un modello per quelli odierni, anzi, può aiutare a costruire una forza che eviti quella dissoluzione della società che spiana la strada al governo delle macchine intelligenti. La cultura che tutti abbiamo assorbito è l’erede diretta dell’educazione aristocratica, la “paideia” dei Greci, che accomunava, come concetto, i guerrieri spartani e le fanciulle dei “thiasoi”:il “gymnazein kai philosophein”, così come lo Yoga e il Bushido, sono la base della formazione “integrale” del cittadino “optimo jure”, che accoppia cultura fisica e pensiero critico. Non per nulla, “cultura” si diceva, in Greco Antico, “Paideia”, e si dice, in Neoellenico, “Politismòs”. Per questo, è importante la “storia della memoria” (“mnemostoria” di cui parla Dubini), a cui i coniugi Ian e Aleida Assmann hanno dedicato tutta la loro vita scientifica. Abbiamo appena assistito alle Fonderie Teatrali Limone di Moncalieri a una splendida rappresentazione di “Tragùdia”, un’opera in Grecanico calabrese che rivisita in modo innovativo le tragedie classiche del ciclo tebano, dimostrandone la perenne attualità. Ciò che vale per le culture antiche vale anche per le società contemporanee non occidentali. Secondo Lévi-Strauss, la filologia classica costituisce la forma primaria dell’antropologia. E’ noto come i Gesuiti, edificando su una base culturale classica e cristiana, siano divenuti i massimi esperti di Cina, traendone insegnamenti anche per l’Occidente, e diffondendoli in Europa con le loro “Lettres Amusantes et Curieuses”, a cui si abbeverarono gl’Illuministi, e grazie alle quali furono introdotti in Europa concetti fondamentali come quelli dello Stato minimo e dei concorsi pubblici per i funzionari. Ancora questa setytimana il Presidente Mattarella, citando indirettamente l’omonima opera in Cinese di Matteo Ricci, basata sul “De Amicitia” di Cicerone, ha citato l’amicizia quale chiave di volta di un mondo poliedrico, di cui evidentemente Cina e Italia dovrebbero essere protagoniste. Quanto valeva nei secoli XVII e XVIII dovrebbe valere a maggior ragione anche oggi. Lo studio comparato delle culture dovrebbe costituire un freno ai fanatismi, permettendo anche di capire come certe caratteristiche che noi attribuiamo erroneamente e polemicamente agli altri Continenti siano soprattutto un effetto indotto dell’incontro con l’Occidente, come il “socialismo con caratteristiche cinesi” (derivato in parte dal marxismo europeo), il “nazionalismo” russo (discendente dal romanticismo tedesco), il puritanesimo islamico (imitazione di quello anglosassone), il culto esclusivistico del dio/eroe/signore Rama (frutto della “rivalità mimetica” con la jiahad islamica e con la figura di Maometto), e la “nazione palestinese” dall’incontro-scontro degli Arabi con il “Popolo d’Israele”. Ma, soprattutto, la centralizzazione indotta dalla società della comunicazione di massa, e, in particolare, dalla transizione digitale, che, dell’era delle comunicazioni, costituisce il culmine – un fenomeno che parte dalla Presidenza Imperiale americana, dal Complesso Informatico-militare e dalla Società dell’ 1%, ma si è esteso al resto del mondo, dove però viene stigmatizzato come “autocrazia”-. In conclusione, lo studio del passato può e deve essere la fonte per la costruzione del futuro, così come la ricostruzione del Regno di Salomone era l’obiettivo del messianesimo, o gli “aurea saecula” il modello per il “principatus” augusteo, o “le urne dei forti” la scaturigine di una nuova generazione eroica di Italiani.
3.Favorire la poliedricità dei musei L’ignoranza, da parte degli Europei, delle culture degli altri Continenti e delle periferie dell’Europa è abissale, ma grave è anche la censura selettiva della nostra stessa storia. Il compito di chi volesse veramente colmare questo abisso non sarebbe certo facile, richiedendosi il concorso di cultura, Chiese, Europa, Stati, tecnologie ed Istituzioni. Cominciamo, per esempio, dalla parallela ignoranza delle civiltà precolombiane e di quella danubiana. Continuiamo con la Persia e in generale le radici dell’identità europea. Arriviamo infine alle cristianità orientali (malabarica, etiope, monofisita, ariana, nestoriana) e ai popoli dell’ Est Europa (Uralo-Altaici, Unni, Avari, Slavi, Bulgari, Caucasici, Ottomani, Karaiti, Askhenzaziti, Sefarditi). Per concludere poi con i primi secoli della storia americana (dalla Leggenda Nera a quella bianca, dalle colonizzazioni spagnola, olandese, francese e russa, alla tratta atlantica, al “Trail of Tears”, al Trattato di Guadalupe Hidalgo ;cfr.Aleksandar Hemon su “La Stampa”), alla classificazione razziale degl’Italiani (Lombroso,Sergi ), all’Eccezionalismo Americano e i progetti di integrazione europea (Dubois, Podiebrad, Sully, St-Pierre, Santa Alleanza, Trockij, Coudenhove Kalergi, Fulbright, Galimberti, von Ribbentrop…). Tutto ciò potrebbe, e dovrebbe, fare oggetto di un’intensa attività culturale, e, in particolare, museale, incurante delle contrapposte egemonie culturali. Una perspicua esemplificazione di quest’impellente esigenza è costituita proprio dal Museo dell’ Europa, di cui da tempo molti lamentano la mancanza, ma del quale si è riusciti, dopo molti sforzi, soltanto a realizzare una forma quanto mai incompleta, la Casa della Storia Europea di Bruxelles, sotto l’egida del Parlamento Europeo. Orbene, questo museo non risponde purtroppo minimamente alle esigenze di conoscenza evocate dal paragrafo precedente, e, in primo luogo, quella di dare spazio al cosiddetto “patrimonio dissonante”di cui parla Dubini:”l’insieme delle vestigia del passato attorno alle quali diversi gruppi presentano narrazioni fortemente discordanti e spesso in conflitto”. Ricordiamo, come parte del “Patrimonio Dissonante”: le varie nozioni di genealogia dei popoli; la patria originaria degli Indo-europei; le influenze afro-asiatiche;il millenarismo; il Barbaricum; l’Ancien Régime; la Leggenda Bianca e la Leggenda Nera; il colonialismo; i grandi imperi; la nascita delle “nazioni”;l’America; il post-umanesimo; i totalitarismi.. Al contrario, si pretende d’imporre una cosiddetta “Memoria Condivisa”,cioè una serie di luoghi comuni cementati dalla propaganda, in cui i Greci sono i “Buoni” e i Persiani i “Cattivi”; gli Unni sono “Barbari”; i Comuni sono “Borghesi”; gli Anglosassoni costituiscono “un’Avanguardia”; l’Europa Orientale e l’Asia sono “arretrate”, e così via… La Casa della Storia Europea, confondendo Europa con Unione Europea, parte assurdamente solo dalla Rivoluzione Francese, come se non facessero parte della storia europea Goebekli Tepe e la Bibbia, le Piramidi e le Zigurrat, , il mondo greco-romano, l’Euro-Islam, le “Tre Rome”, i Progetti d’integrazione europea (Dubois, Podiebrad, Sully, St-Pierre,la Santa Alleanza, Coudenhove Kalergi, Spinelli, Galimberti, Gorbaciov… ). Quel museo costituisce dunque la plastica rappresentazione dell’incapacità degli Europei di rappresentare la propria identità, per una serie di vizi intrinseci dell’Europa attuale: insufficienza della capacità cognitive e creative della classe dirigente; diktat ideologici; gretti particolarismi… Con quel tentativo, di per sé meritorio, si è almeno evidenziata ed esemplificata un’ enorme lacuna nel panorama museale europeo, che va comunque colmata con un’azione congiunta dell’intelligentija, della politica, dell’ Unione, delle Istituzioni, degli specialisti, delle scuole, dei musei…Senza un’azione siffatta, è impossibile quel rilancio dell’Europeismo che da molti viene invocato, ma per lo più abbinato a concetti, come quello di “Memoria Condivisa”, che ne inficiano l’efficacia, provocando un senso di inautenticità e così tarpando le ali al necessario entusiasmo. La decisione del Sindaco di Torino Lorusso di candidare Torino a Capitale Europea 2033 riapre una discussione da noi avviata da ben 14 anni, prendendo spunto dall’allora proposta candidatura della città per il 2019, a cui avevamo dedicato ben 2 libri.Allora come ora, la nostra proposta era quella che la candidatura non dovesse esaurirsi nella promozione puntuale di un grande evento, bensì costituire un momento determinante di trasformazione del tessuto culturale e sociale del nostro Territorio. In concreto, suggerivamo di compiere una intesi ragionata delle più vitali tradizioni della Città: editoria impegnata, alta tecnologia ed Europa. Tutto ciò si era tradotto in 200 progetti di 50 associazioni riunite nel Comitato della Società Civile per Torino Capitale,e con il sito Torino 2019, che hanno fatto oggetto di un’apposita opera editoriale e di una serie di manifestazioni di accompagnamento presso il Comune. Purtroppo, come noto, il Sindaco aveva deciso allora di non candidare la Città. Tuttavia, l’esperienza acquisita rimane, e può essere utilizzata per la prossima candidatura. Il Museo dell’ Europa (o almeno una mostra a questo proposito) può costituire un elemento centrale del progetto di candidatura, partendo fin da subito con un percorso di avvicinamento. Se il progetto sarà dedicato all’ Europa nel suo complesso, e non solo all’ Unione Europea, esso potrà essere ben accolto anche nel clima di critica dell’ Unione che si sta diffondendo. Senza ovviamente addentrarci qui nei contenuti precisi del progetto, siamo per altro in grado di suggerire almeno i grandi filoni conduttori, che potrebbero tradursi in eventuali sezioni (e/o esposizioni). Essa potrebbe collocarsi in palazzi storici aventi una forte connotazione evocativa, accanto al Museo Egizio e quello del Risorgimento, oppure accanto al Museo di Arte Orientale, che testimoniano le tradizioni culturali europee e internazionali di Torino.
4.Un’ipotesi di Museo Pur con la necessaria provvisorietà e indeterminatezza, ci sentiamo di delineare qui le linee essenziali di un possibile museo dell’ Europa, che potrebbero divenire le sezioni di un museo, e/o oggetto di mostre specifiche durante l’anno di Capitale Europea della Cultura: -le meraviglie d’Europa (dall’ Artico all’ Asia Centrale, i fiordi e il Mediterraneo, le Alpi e le isole); -le origini degli Europei(“Out of Africa”, Neanderthal, neolitico, cacciatori- raccoglitori, agricoltori, il cavallo, il Medio Oriente); -l’Europa nelle scienze umane (geologia, etnografia, linguistica, genetica, teologia, geografia, storia, antropologia, dottrine politiche, scienze strategiche, arte, filosofia, letteratura, architettura,economia, diritto, sociologia, tecnologia); -la “Memoria Culturale” (da Gilgamesh alla Bibbia; da Omero a Orazio; dal Nuovo Testamento al Corano; dalle Crociate ai Progetti d’integrazione; dall’Umanesimo alla Modernità)
-il predecessori (Mesopotamia, Egitto, Anatolia;il mondo greco-romano; Israele; il Barbaricum; il Cristianesimo;l’Euroislam; Bisanzio; i Progetti di Crociata;le grandi esplorazioni (europee ed afroasiatiche); -le tracce delle civiltà (da Cnosso a Stonehenge, da Micene a Delfi, dal Partenone a Pompei, da Santa Sofia a Granada, da Venezia a San Pietroburgo, da Versailles alla nuova Berlino); -i progetti d’ integrazione europea (Saint-Pierre;Saint-Simon; Santa Alleanza; Paneuropa; Ventotene, Galimberti, Fulbright, Schuman); -la “Dekadenz”(Nietzsche, Dostojevskij, Spengler, Guénon, Huxley) e la “Distruzione dell’ Europa” (Benda, Lukàcs, Hillgruber); -il mondo di Yalta (Est e Ovest;Guerra Fredda e Coesistenza Pacifica) e la caduta del Muro (il Dissenso; Gorbachev); -l’Unione Europea (dal Federalismo all’ Unione; vittorie e sconfitte; Brexit); -la Guerra senza Limiti (alla ricerca di un Nuovo Ordine Mondiale; la Società delle Macchine Intelligenti); -il “patrimonio dissonante” (progressismo e perennialismo; Oriente e Occidente; Nord e Sud; Nazioni e Stati-Civiltà).
Una volta si chiamava “la politica dei due forni”, quella che il Governo italiano adottava con l’America e con l’Europa. Assecondando l’una o l’altra a seconda dei casi. Oggi, quando la UE, abbandonate le velleità golliste, giscardiane, mitterrandiane e macroniane “prima maniera”, si è allineata completamente con gli USA, il “secondo forno” è costituito sempre più dalla Cina, I rapporti con la quale sono soggetti ai molteplici umori della politica americana, e, di riflesso, europea. Invece, una politica europea di largo respiro verso la Cina non la coltiva nessuno. D’altronde, questo ha radici lontane, dall’ esaurirsi delle missioni in Cina del Patriarca Rabban, di Giovanni di Montecorvino, dei Gesuiti, che denotano tutte un’incapacità, una carenza, a pensare in grande.
La recente visita di Giorgia Meloni a Pechino, per “ricucire lo strappo con la Cina” si colloca in quella collaudata tradizione italiana (e democristiana). La quale ha fatto scuola in Europa e nel mondo, tanto che si può dire che il “sovranismo” s’identifichi sempre più con questo atteggiamento. Ungheria e Turchia, ma anche Brasile, India, Argentina, Arabia Saudita e Filippine, si distinguono in questo gioco, l’unico che, in un mondo dominato dalle grandi potenze, possa dare un po’ a tutti la possibilità di far valere le proprie ragioni. Ed è questo, per oggi, in pratica, il maggior vantaggio del multipolarismo.
Tuttavia, nel caso dell’ Italia, l’oscillazione in corso, fra il rigetto della Via della Seta e il rinnovato attivismo filo-cinese, è stata veramente repentina e inaspettata.
1.Lo “spirito della Via della Seta”
Lo “Spirito della Via della Seta”, citato la Li Qiang e Xi Jinping negl’incontri della settimana scorsa coincide sostanzialmente con il multipolarismo. Su casi concreti, come l’auto elettrica, significa mantenere in piedi l’apertura dei commerci fra Est e Ovest, quella che aveva portato alla creazione del WTO e all’ adesione, allo stesso, di Russia e Cina.
Esso non coincide, come invece ha detto qualcuno, con “un progetto di espansione mondiale della Cina”. Infatti, la “Via della Seta” o come veniva chiamata in un lontano passato (“Via Regia” o “Periplum Maris Indici”) non era mai stata un’esclusiva della Cina, bensì coinvolgeva altrettanto le Repubbliche Marinare italiane, gl’ imperi Persiano e Bizantino, i potentati mussulmani ed indiani, l’Asia Centrale e il Sud-Est Asiatico (tutte le terre visitate da Marco Polo e dai Gesuiti, oltre che da tanti altri viaggiatori cristiani, buddisti, manichei, mussulmani e cinesi), sì che i suoi punti centrali erano Damasco, Samarcanda, Musiris, Mahabalipuram, Malacca….
Tra parentesi, ai nostri giorni, l’idea di una “Nuova Via della Seta” l’aveva lanciata Hillary Clinton nel 2010.Tuttavia, essa era stata lasciata cadere poco dopo dall’ America, e la Cina se n’era quindi impossessata con gran fragore e grandi investimenti, a partire da un famoso discorso di Xi Jinping nel 2013.
Il concetto centrale delle “Nuove Vie della Seta” è che, dopo lo stallo conseguente all’invasione occidentale, nell’ Ottocento, di Siberia, India e Cina, l’asse centrale del commercio mondiale dovrebbe tornare a posizionarsi, nel XXI° secolo, in Asia, dove viveva (e ancor vivono) i 2/3 della popolazione mondiale. Di questo si erano accorti appunto gli Americani, e per questo avevano abbandonato l’idea della Via della Seta e scoraggiato i loro alleati a parteciparvi, perché uno spostamento dell’asse dei commerci internazionali, da chiunque realizzato, non potrà non comportare anche un mutamento dei rapporti di forza fra modernità occidentale, nuovo confucianesimo, hindutva e islam. L’allontanarsi dell’Asia dal Marxismo non ha comportato, come sperato in Occidente, l’accettazione dell’egemonia americana, bensì la rinascita delle rispettive culture pre-rivoluzionarie, cosa che invece l’Europa non ha potuto conseguire perché ingabbiata nell’ Occidente.
Di qui il primo voltafaccia italiano (l’abbandono del primo Memorandum con la Cina), che oggi viene a sua volta rinnegato.
La giustificazione ufficiosa era stata che, mentre il progetto dell’Occidente, alla caduta del Muro di Berlino, era quello di “assorbire” gradualmente l’ex blocco socialista, paese per paese, fino a inglobare la Cina nel sistema di potere americano-centrico, ci si era presto accorti che l’introduzione, nel sistema cinese, di elementi occidentali, lungi dallo scardinarlo, lo rafforzava. Le trattative fra i vertici degli Stati potevano essere condotte meglio da un Paese a partito unico che da un sistema decentrato come l’Occidente; le enormi imprese cinesi potevano competere molto efficacemente sui mercati mondiali con le multinazionali americane; gli start-upper cinesi avevano più sostegno da parte del PCC di quanto ne avessero quelli americani dall’ ARPA e dalla finanza di Wall Street; c’erano più intellettuali anglo-americani affascinati dal confucianesimo che intellettuali cinesi filo-americani; infine, la Cina ha un mercato in crescita di un miliardo e mezzo di lavoratori e consumatori, il cui accesso è diventato un’esigenza vitale per le imprese occidentali.
Questo è ciò che Americani e Europei chiamano “concorrenza sleale”. Ma perché mai, se un Paese ha un sistema più efficiente nel commercio internazionale, dovrebbe modificarlo per rendersi impotente nella competizione mondiale? E perché l’Italia avrebbe dovuto risentirsi di questo tipo di concorrenza, che danneggia semmai l’economia americana, ma non la nostra?
Oggi, si accusa la Cina di una nuova colpa che tale non è: la sovrapproduzione. La Cina produrrebbe di più di quanto essa sia in grado di consumare. Ma ciò è sempre stato, perché essa è, come l’Italia, un Paese esportatore. E c’è di più. La sovracapacità della Cina è semplicemente l’effetto del “signoraggio del dollaro”. Essendo (ancora) il dollaro la valuta internazionale di riserva e di scambio, nulla di più facile per il Governo americano che stampare sempre più dollari per permettere agli Americani di comprare sempre più merci dai Paesi esportatori, e, in primis, dalla Cina, mantenendo, così, a spese degli altri Paesi, un tenore di vita particolarmente dispendioso, e non sostenuto dalla loro economia reale. Inoltre, il deficit commerciale degli USA è un comodo strumento di ricatto verso i Paesi esportatori, perché un’eventuale riduzione di questo deficit significa indebolimento delle economie dei Paesi esportatori. La via di uscita dal deficit commerciale degli Stati Uniti verso la Cina (e il resto del mondo) sta comunque già delineandosi: è la “de-dollarizzazione”, che, togliendo al dollaro il signoraggio, ridurrà gli Usa a un Paese fra gli altri, costringendo il suo Governo a una politica di austerità e gli Americani a una drastica riduzione del loro tenore di vita, con il corrispondente innalzamento di quello dei partner commerciali degli USA, che potranno finalmente permettersi di comprare le sovracapacità dei Paesi esportatori. Di qui la radicalizzazione della politica americana, non avvezza a “tirare una coperta troppo corta”.
2.Dazi e sanzioni non funzionano
Da quando, all’inizio di questo secolo, si era vista quella formidabile espansione dell’economia cinese, era partita una corsa per ideare e imporre soluzioni di vertice atte a frenare la naturale espansione delle idee, delle politiche, dell’economia e delle imprese cinesi, mediante il “decoupling”, il “re-shoring” e il “friend-shoring”. Si era incominciato ipotizzando di scavalcare il WTO, organizzazione universale delle Nazioni Unite, con due minori associazioni “regionali”, il TFF per l’Occidente e il TIFF per l’Asia-Pacifico, che lasciassero fuori la Cina e la Russia. Quelle due organizzazioni, imposte con trattative segrete, furono bocciate, prima ancora che dai Cinesi, dal mondo imprenditoriale occidentale, che non accettava di vedere la propria libertà di commercio coartata per ambizioni geopolitiche.
Si passò allora ai dazi. Tuttavia, le concomitanti crisi georgiana e ucraina, con le loro sanzioni nei confronti della Russia, offrirono in realtà enormi spazi di mercato alla Cina, per la vendita di beni di consumo, gli investimenti e l’importazione di materie prime, in sostituzione di quelli occidentali.
Adesso, ci si sta rendendo conto che frenare l’ascesa, almeno economica, di un Paese di un miliardo e mezzo di abitanti, non travolto dalle continue crisi che coinvolgono buona parte del mondo, non è materialmente possibile. Ma poi perché la si dovrebbe frenare? Ammesso e non concesso che ne abbiano qualche vantaggio gli Americani, che vantaggio ne avremmo noi Europei, che, da quando siamo prigionieri del nostro cantuccio atlantico, siamo in un’ interminabile fase di sostanziale stagnazione?
Quindi, nuova corsa: questa volta, a riaprire il dialogo.
3.Un nuovo orientamento dell’ Italia?
Così, bene sta facendo il Governo a “ricucire” ciò che aveva esso stesso strappato (cioè il Memorandum sulla Via della Seta). Tanto più che ne è andato di mezzo il nostro sistema industriale, che non ha mai accettato l’esclusione dalla nostra rete delle tecnologie 6G, quasi-monopolio di aziende cinesi, e che si sta sforzando di attirare un investimento cinese nell’automotive per compensare le défaillances di Stellantis. La quale a sua volta ha appena iniziato l’ importazione delle auto elettriche della partner cinese Leapmotors.
Si tratterebbe di uno stabilimento in grado di realizzare 100mila auto in un anno, il primo completamente cinese in Italia (aggirando così i dazi e i divieti europei di incentivi).E, quasi come una beffa, questo produttore sarebbe un (quasi ex) socio di Stellantis, che potrebbe rilevare l’ex stabilimento Maserati di Grugliasco, o insediarsi nella ex Olivetti dell’italo-cinese Professor Chu. Dongfeng è un’azienda a totale capitale pubblico cinese, di Wuhan, ed è fra i partner dell’italiana DR (De Risio), che rimarchia e commercializza auto cinesi in Europa (di recente anche con il marchio Tiger). Ma soprattutto, è socia di Stellantis. Dieci anni fa, difatti, la Dongfeng (una forza produttiva di un paio di milioni di veicoli in patria) fu fra i protagonisti della ricapitalizzazione di PSA Peugeot, arrivando ad averne il 14%. Quota poi ridottasi con Stellantis, ma tutt’ora esistente anche se a poco più dell’1,5%. Per il riacquisto delle sue azioni Stellantis ha già pagato un miliardo e c’era l’intenzione, con l’ultimo buyback in corso, di liberarsi dell’ingombrante partner, soprattutto avendo ormai in corso la Joint Venture con Leapmotor.
In realtà, gli Europei avrebbero tutto l’interesse a non associarsi alla suicida politica americana dei dazi sulle auto elettriche, e a favorire la propria crescita attraverso imprese congiunte con i Cinesi (che è stata la politica tradizionale dei grandi marchi tedeschi).
Inoltre, restano più vivi che mai tutti i legami storici e culturali, da Marco Polo a Matteo Ricci, ma anche da Leibniz a Voltaire, fra Italia (ed Europa) e Cina, due antichi imperi aventi tutto l’interesse a ricreare un nuovo multipolarismo di civiltà tradizionali, come ai tempi della Via della Seta. Il termine non piace in Occidente proprio per questo: perché si richiama a un tempo in cui gli Stati Uniti neppure erano concepibili, e invece Cina e India, Islam e Europa, dominavano la scena internazionale.
Sembra che ora, nell’ incertezza dei rapporti con gli USA e con la UE, il Governo italiano si stia orientando proprio in tal senso, proponendo perfino l’Italia, sulla scia di Orbàn, quale “ponte” fra la UE e la Cina. Il che, nell’interpretazione dei Cinesi, equivale a una partecipazione informale alla Via della Seta. Ma allora, come lamenta Giuseppe Conte, perché è stato abbandonato il vecchio Memorandum che diceva le stesse cose? Oggi, l’Italia ha portato a casa una serie di accordi bilaterali funzionali al business ma rischiosi per tutti quei settori che da sempre sono considerati più sensibili nel rapporto tra Italia e Stati Uniti, oggetto di attenzioni speciali dell’UE, e più in generale nelle relazioni atlantiche. Il nuovo Memorandum, che sostituisce quello lasciato cadere, parla infatti di cose altrettanto, se non più, concrete, come l’automotive e l’intelligenza artificiale (i BAATX).Solo attraverso una cooperazione con la Cina potrebbero nascere delle multinazionali a base italiana ed europea nel campo dell’ informatica, che gli USA temono come la peste, come dimostrato dal caso Olivetti, il cui braccio destro, il Professor Chu, era, guarda caso, italo-cinese. Inutilmente la Commissione, per frenare le avances italiane, richiama la competenza europea in materia di commercio con l’estero, quando essa non ha fatto che eseguire i diktat degli Stati Uniti, e nessuno, tanto meno la Francia e la Germania, ha accettato sue ingerenze nei loro rapporti con la Cina.
Purtroppo, sono proprio quei Paesi, grandi investitori in Cina, a dover ora implementare, loro malgrado, le imposizioni europee sui dazi. Il che ne renderà la realizzazione impossibile.
Pe questo, in realtà, i messaggi dall’incontro Xi-Meloni valgono per tutti gli Europei, che non potranno rilanciare la loro economia se non con delle joint ventures paritetiche con le multinazionali cinesi, come da noi a suo tempo suggerito con “L’Europa corre sulle Vie della Seta”.Proprio per questo, insieme alla premier, sono andati in Cina i leader delle maggiori imprese italiane, ben intenzionate a sfruttare questa finestra di opportunità.
Si sta forse realizzando quanto da noi suggerito con il volume Da Qin?
Come ha detto Xi Jinping, occorrerebbe però, da parte italiana, una maggiore sincerità. Infatti, le cose scritte in questo articolo le sanno tutti, o almeno nel mondo politico e nei ministeri, ma invece si preferisce trincerarsi dietro bugie diplomatiche, quali quelle della “concorrenza sleale” e della “sovracapacità”.
In particolare, le collaborazioni industriali con la Cina dovrebbero partire dal riconoscimento dell’arretratezza tecnologica europea derivante dalle forme attuali di collaborazione all’interno del sistema economico occidentale (e in primis nel settore digitale, e in generale nella alte tecnologie), che potrà essere superato solo con una reale volontà di fare concorrenza alle multinazionali americane.
4.Il Congresso Mondiale di Filosofia a Roma e la Via della Seta Culturale
Come ha commentato alla televisione l’ambasciatore italiano a Pechino, Ambrosetti, in occasione della mostra di Pechino su Marco Polo inaugurata dalla premier, se si vuole commerciare, bisogna innanzitutto intendersi. Si impone dunque innanzitutto una Via della Seta Culturale, che è la più difficile da realizzare, perché equivale alla negazione del sistema concettuale dell’ Occidente.
In questo campo, l’arretratezza degli Europei è abissale. Non solo per via dell’ignoranza generalizzata sulla storia, la geografia, le culture e le lingue dell’ Asia, bensì anche per l’arroganza che ha sempre caratterizzato l’”establishment” occidentale, dall’ “Esquisse” di Condorcet, alla Fenomenologia dello Spirito di Hegel, alle “Leaves of Grass” di Whitman, fino all’idea del primo Fukuyama di una “Fine della Storia” con la vittoria finale dell’American Creed – tutte fondate sull’ idea hegeliana che le culture medio-orientali, indiane e cinesi rappresentino delle fasi “superate” della “Storia Universale”-.
Non a caso il Congresso Internazionale di Filosofia, che si è aperto (guarda caso) a Roma ha per titolo”La filosofia attraverso i confini”, partendo dal documento “Convivialità e dialogo fra i popoli. Termine, “Convivialità” , che ricorda da vicino la “Sobornost’”, che è lo slogan del cristianesimo ortodosso russo. ”(cfr. Solomon e Higgins, From Africa to Zen).
Tuttavia, anche gl’intellettuali “mainstream” che inneggiano alla multiculturalità non sono immuni da profondi retaggi dell’”arroganza romano-germanica” (cfr.Trubeckoj, “Europa e Umanità”), quali, ad esempio, la sostanziale riduzione della realtà al mondo empirico, la pretesa di una logica universale, che in realtà è ricalcata su quella, rigidissima, delle lingue occidentali ribattezzate da qualcuno come “nostratiche”, la centralità della politica, che riduce la filosofia ad ideologia, il mito del progresso…Intanto, la “cancel culture” che era partita come un attacco all’ egemonia WASP nella cultura americana, sta finendo per colpire anche la cultura europea, e addirittura, a ben guardare, quelle afro-asiatiche, accusate di misticismo, patriarcato, autoritarismo. In tale modo, non si riesce in alcun modo a mettersi nei panni degli altri, bensì si continua ad ergersi sul proprio piedestallo ideologico.
Al contrario, l’insegnamento stesso della filosofia non potrebbe più farsi se non in stretta connessione con la filologia generale e comparata. Infatti, una cosa è il pensiero fondato su sistemi alfabetici, che riproducono i suoni, e altro è una filosofia fondata su una scrittura pittografica, che passa immediatamente dal simbolo al concetto, scavalcando le questioni di grammatica, sintassi e pronunzia, potendo così accomunare le logiche di civiltà così diverse come quelle cinese, coreana, giapponese e vietnamita. Quindi, occorrerebbe invertire le basi stesse dello studio “delle filosofie”, partendo, per esempio, dai “Jiaguwen”, i 230 “radicali” che rappresentano le “idee primordiali” delle civiltà siniche e costituiscono gli elementi costitutivi dei 30.000 caratteri cinesi.
Giustamente Roberto Esposito ha criticato su La Stampa anche l’utilizzo ormai assorbente dell’ Inglese anche nella filosofia comparata (che porta ad un’ulteriore banalizzazione del fatto linguistico).Ma la soluzione non è, a nostro avviso, un utilizzo indiscriminato della traduzione, che sta diventando per necessità traduzione automatica, bensì nel dovuto accoppiamento fra una cultura linguistica comparata e l’uso intelligente della traduzione automatica resa possibile dall’ Intelligenza Artificiale, che renderà inutile una “lingua veicolare” e rivaluterà tutte le grandi lingue storiche di cultura (Latino, Greco, Ebraico, Arabo, Persiano, Sanscrito, Tamil, Ge’ez, Cinese Classico, Giapponese Classico), nelle quali gl’intellettuali potranno ricominciare a scrivere e a parlare, disponendo di linguaggi più adeguati per i concetti astratti.
Non c’ è dunque una sola “storia della filosofia” (come si insegna nei nostri licei), bensì un “grappolo” di storie della filosofia (quelle “occidentali”: greco-cristiana-moderna, ebraica, islamiche, russo-ortodosse, americane; quelle “siniche”-le “San Jiao” taoista, confuciana, buddhista-; quelle “indiche”: buddhist e indù; quelle “africane”; quelle pre-colombiane e indigenistiche; quelle pre-alfabetiche).
Quando la cultura europea ha voluto esprimere la sua disperazione per il vuoto creato dagli eccessi del progressismo, essa si è sempre rivolta all’ Oriente (“Il Vero Significato del Signore del Cielo” di Matteo Ricci, i “Novissima Sinica” di Leibniz, il “Rescrit de l’Empereur de la Chine” di Voltaire,il “Westöstlicher Diwan” di Goethe, il “Mondo come Volontà e Rappresentazione” di Schopenhauer, la “ Crisi del Mondo moderno ” di Guénon, la “Waste Land” di Eliot, il “Cammino del Cinabro” di Evola, la “Citadelle” di Saint-Exupéry). I “Conservatori Europei” di oggi, se vogliono costruire credibilmente un’“altra Europa”, non possono certo ignorare questa realtà, che, storicamente, i loro antenati erano stati i primi a individuare. A buon senso, non si può pretendere ch’ essi avallino oltre un certo limite la “cancel culture” della “sinistra bianca” (“Bai Zuo”, cfr:: “La falsa moralità della sinistra bianca occidentale e gli scienziati patriottici”, su “Renren”), che ha trovato espressione, per esempio, nell’ inaugurazione dei Giochi Olimpici di Parigi, mettendosi, con ciò, contro la cultura confuciana dell’ordine, quella indiana delle gerarchie, quella islamica della religione, quella africana e sudamericana della natura.
La riapertura del dialogo con la Cina dovrebbe servire quindi anche e soprattutto per uscire dall’attuale crisi esistenziale dell’ Umanità (che ha come epicentri convergenti l’egemonia dei GAFAM (messa in evidenza per ultimo dalla sentenza Google e dall’invasione dell’ arena politica da parte di Musk), la “Terza Guerra Mondiale (a Pezzi”?) e la “Cancel Culture”(o “Cultura Woke”), così come raccomandato, prima di morire, da Henry Kissinger, e, più recentemente, dal Papa. In questo, l’Italia potrebbe fungere veramente da “ponte” culturale, al di là dei limiti burocratici dei Trattati Europei, anch’essi da riscriversi per esprimere la vera Identità Europea e i veri interessi dell’ Europa e del mondo (cfr. il libro “Da Qin”, da noi pubblicato nel 2018).
I.UNE APPROCHE INNOVATIVEÀ LA REPRISE DE L’INTÉGRATION EUROPÉENNE
Dans ce moment, quand la « Guerre Mondiale en Morceaux », en cours actuellement, ne donne aucun signe d’amélioration, et l’espoir originaire de l’ Occident de sortir victorieux à court terme de l’Ukraine s’éloigne de jour en jour, il est indispensable, d’une part, pour conjurer l’apocalypse nucléaire, et, d’autre part, pour garantir à l’Europe une guide sûre dans une phase difficile de son histoire, de repérer des approches nouvelles aux rapports entre, d’une part, l’Europe Occidentale et Centrale et, de l’autre, les espaces au-delà de l’ ancien « Rideau de Fer ». Si cela n’était pas fait, la crédibilité du Mouvement Européen en tant que guide intellectuelle de l’intégration européenne, et, plus en général, de l’Europe, serait compromise, et l’Europe entière pourrait devenir un champs de bataille d’une guerre fratricide, comme l’Ukraine et Gaza.
Pour éviter ces perspectives extrêmes, pourquoi pas ne pas revenir sur des approches essayées dans le passé, mais abandonnées plus tard, pour esquisser un, ou plusieurs, plans alternatifs de stabilisation, en premier lieu celui suggéré par Mitterrand en 1989 et esquissé en 1991 aux Assises de Prague? Et si Mitterrand et Gorbačëv avaient eu raison, et Havel et Kohl avaient eu tort ? Nous aurions évité les guerres civiles yougoslaves et soviétiques, et aujourd’hui nous ne serions pas au milieu d’une interminable guerre entre Européens, qui détruit notre moral, notre économie et notre avenir.
Sans oublier les questions ouvertes dans les autres « Périphéries » de l’Europe : l’Atlantique du Nord, les Balkans, les ACP3 et le Levant, ni le fait que, comme déclaré à plus reprises, et dernièrement lors de la visite à Péking de Vladimir Poutine, l’objectif russe (et chinois) dans la guerre d’Ukraine n’est pas celui d’un agrandissement territorial ou d’un avantage stratégique, mais celui de bloquer dans toutes les directions l’élargissement de la sphère d’influence américaine accéléré par la chute du Mur de Berlin, si que les deux puissances eurasiatiques seraient prêtes à beaucoup de concessions en échange d’une délimitation de l’espace américain – fût-il en faveur d’un nouveau pouvoir européen-.
Ici, nous allons nous concentrer sur une seule hypothèse et sur un seul projet, ce que nous appellerons le « Projet de Hradčany », développé en 1990 et 1991 par Mitterrand, Gorbatchev et Havel lors de leur rencontre au Chateau de Prague -. Ce projet pourrait être aussi la clef pour aborder d’autres thèmes urgents et également ouverts.
Le plan de Mitterrand partait de l’idée que l’Europe, pour devenir vraiment unie et parvenir à la hauteur de ses importantes ambitions, devrait atteindre une taille bien plus grande de celle actuelle (et comparable à celles de l’Inde et de la Chine), et cela pourrait avoir lieu seulement an agrégeant, dans une Confédération Pan-Européenne, d’une part, une fédération de l’Europe Occidentale (héritière de l’UE), et, d’autre part, une ou plus autres entités étatiques européennes, non tenues à respecter l’Acquis Communautaire. Ce dessin rassemble beaucoup à l’idée d’une « Europe à cercle concentriques », mais avec la différence qu’il ne suppose aucune supériorité de l’Europe Occidentale, parce qu’il serait « polyédrique », pour utiliser une expression de Pape François.
Un tel changement de perspective serait déterminant, permettant aussi de dépasser les principaux conflits en cours :
-les différences d’opinion sur la structure future de l’Europe Occidentale (et, donc, la stratégie pour le Futur de l’ Europe, qui devrait être étalée sur un horizon plus large);
-les rapports d’ hostilité entre le « Monde Russe » et « le Collectif Occidental », qui, dans cette nouvelle perspective, sortiraient de l’état de guerre pour revenir sur la voie des négociations entamées en son temps par Mitterrand et Gorbačëv.
De cette manière :
–On by-passerait les problème insurmontables d’une réforme de l’Union telle qu’elle est aujourd’hui (laquelle se trouve dans l’impasse de la Conférence sur le Futur de l’Europe), parce que l’ « Europe » se dissoudrait dans différents échelons de la Gouvernance Multi-Niveaux, chacun réglé d’une manière conforme à sa mission;
-On pourrait offrir aux puissances antagonistes de l’Occident une voie de sortie des guerres en cours qui ne soit, ni « une victoire » ni une « débâcle », ni pour l’Ukraine, ni pour la Russie (« win-win »), pouvant revitaliser aussi les « Nouvelles Voies de la Soie », entravées par les hostilités en Ukraine et dans la Mer Rouge, mais dont tout le monde ressent la nostalgie.
Le « Projet de Hradčany » devrait permettre aussi de faire renaitre l’autre grand dessin d’avenir discuté dans les années ‘90 et laissé tomber par l’Occident – une architecture commune de sécurité pour l’Europe–, et faciliter aussi une série d’autres objectifs :
-contribuer à donner une fin aux guerres en cours, avec une proposition d’intérêt pour tous les acteurs concernés ;
-soutenir un effort international pour un contrôle structuré de l’Intelligence Artificielle et de la Cyber-guerre dans le cadre de négociations sur les armements sur le modèle des vieux accords pour le contrôle du nucléaire;
-garantir la liberté des peuples d’Europe contre les menaces avancées contre eux par tous le pouvoirs mondiales;
-faire repartir l’économie et la culture, écrasées entre les sanctions et les boycottages.
Objectifs qui nous apparaissent moins utopiques qu’on ne le pense, si on examine l’histoire avec une approche équilibré et non plus sectaire comme aujourd’hui, et qui feront l’objet d’une esquisse synthétique dans les pages qui suivent.
La Confédération de Mitterrand avait été abandonnée parce qu’elle genait les pouvoirs existants, qui préférèrent exaspérer la conflictualité entre
« les démocraties » et les « autocraties » pour garder les privilèges acquis. Toutefois, maintenant que nous avons vu les résultats de ce choix, pourquoi ne pas admettre notre erreur, et y remédier ?6
D’autre part, ce qui oppose l’Europe de l’Est à l’Europe de l’Oust n’est pas tellement la question de la « démocratie », mais, au contraire, celle de la Pasionarnost’. Notion développée par Lev Gumilëv (le fils persecuté d’Anna Akhmatova) sur les traces d’Ibn Khaldûn et de Vernadskij: une synthèse de « romantisme » et de « théorie des nationalités », qui nous pouvons retrouver un peu partout dans les cultures de l’ Europe Orientale :me dans le « Déluge » de Sienkiewicz, dans « Les Payens » de Herczeg comme « Eschile, l’éternel perdant » de Kadaré; dans les sculptures de Meštrovic, dans les films de Tarkovskij comme dans les « Litanies » de Theodorakis.
La Pasionarnost’ suppose que, comme avait écrit Nietzsche, « le bonheur vienne seulement si non voulu », tandis que la « recherche de la félicité » prévue dans la constitution américaine se traduit, par effet de l’hétérogenèse des fins, dans l’aplatissement des désirs et dans l’entropie généralisée, qui préparent le royaume des Machines Intelligentes.
1.Insuffisance du paradigme de l’ « Élargissement »
À partir de la 1ère Guerre Mondiale, les projets d’intégration européenne avaient été axés sur l’objectif, d’un côté, d’éviter une continuation de cette première « Guerre Civile Européenne », et, de l’autre, de mettre l’Europe dans la condition d’intervenir avec une autorité suffisante dans les grandes questions géopolitiques, qui, compte tenu de l’intégration mondiale croissante, étaient de plus en plus dominées par les Grandes Puissances extra-européennes (USA, URSS, Empire Britannique).Cela aboutit sur le projet présenté à la Société des Nations par Aristide Briand, dont la faillite avait été le point de départ de la Déclaration Schuman.
Les Communautés Européennes et l’Union Européenne avaient donné l’impression que ces objectifs étaient en train d’être acquis par la méthode fonctionnaliste proposée par la Déclaration, mais cela n’a pas été le cas. Ce roman contient l’expression plus ouverte des croyance réligieuses et politiques de l’auteur russe
Depuis 45 ans, la dissolution de la Yougoslavie et de l’URSS a entrainé des guerres de succession qui ne se sont encore conclues, et, de l’autre, parce que les principes consolidés en matière d’ »élargissement » européen, qu’on aurait voulu appliquer, n’avaient pas été conçus en vue de ce véritable « dédoublement » de l’ espace européen, tel qu’il s’est manifesté à la fin du XXème Siècle. L’application mécanique de ces principes, imposée par l’Occident, s’est révélée impossible et contreproduisante et que, en tout cas, elle serait inapplicable à cause de la structure e du grand nombre des peuples européens. D’autant plus que, après Brexit, l’importance relative de l’Europe Occidentale par rapport à celle orientale a ne pouvait que décroitre.
Si deux parties paritaires fusionnent entre eux, il s’agit d’un « merger among equals », si qu’une des deux parties ne peut pas prétendre que l’autre accepte toutes ses règles, ni mêe pas sa propre vision du monde. Dans le cas d’espèce, on n’a pas eu d’un «élargissement » vers Est des Communautés Européennes, mais, bien au contraire, une « Fusion à Chaud » entre Est et Ouest, qui est loin d’être accomplie. Les guerres en cours ne sont qu’une suite de la « Guerre Civile Européenne », pour établir une hégémonie sur le Continent, fondée sur un prétendue « supériorité », comparable à celle de la Grande Nation, de l’Orthodoxie ou de la « Race Arienne ». Cette supériorité de l’Occident n’a pas été accepté ni par la Russie, ni par la Turquie, ni par la Biélorussie, ni par la Serbie, mais non plus par la Hongrie et, peut-être, mêeme pas par la Slovaquie et la Pologne.
Pur comprendre l’importance historique de la partie orientale du Continent, au-delà de l’Elbe, des Alpes Orientales et de la Mer Adriatique, il suffit de penser que, parmi les premières réflexions sur l’Identité Européenne nous trouvons celles d’Hippocrate, de Cos, a quelque kilomètres de la côte de l’ Anatolie, celles de Jordanes, un Goth de l’Est qui revendiquait pour Théodoric l’héritage de Rome, de Podiebrad, le roi hussite de Bohème qui proposait le traité pour la fondation d’une Alliance Européenne contre les Ottomans, et d’Alexandre I de Russie, qui lança la Sainte Alliance « russe » conçue comme fondation de la « Nation Chrétienne » européenne.
Coudenhove Kalergi avait des origines Japonaises, byzantines, tchèques et autrichiennes et le siège de sa Pan-europa était à Vienne, et Jean-Paul II était polonais et reprenait textuellement les mots de Viačeslav Ivanov sue les « Deux Poumons » de l’ Europe.
Pour cette raison, il est grave que toutes les institutions principales de l’Union soient restées dans l’espace rhénan (Bruxelles, Strasbourg, Luxembourg, Francfort), tandis que le centre géographique de l’Europe se situe beaucoup plus à Est (en Lituanie, Biélorussie, Ukraine ou, à la limite, Hongrie).
2.La mécanique réelle de la chute du Mur aux apologètes de « l’esprit du capitalisme » qui aurait triomphé en 1989, au début des révolutions de 1989 il y avait trois éléments : le défi « national » de la Pologne, soutenue par le Pape Jean Paul II, contre un « système soviétique» qui la humiliait ; l’idée révolutionnaire de Michail Gorbatchev d’intégrer pacifiquement l’Union Soviétique dans les Communautés Européennes (ou, mieux, la « Maison Commune Européenne »), comme sera requis plus tard par Yeltsine et Poutine, mais jamais pris au sérieux par l’Occident ; enfin, les pressions des États Unis, surtout à travers les Guerres des Étoiles et l’aide à la guérilla afghane.
Ces trois projets parallèles trouvaient leur bases culturelles:
-dans la conviction de l’Église catholique que l’Europe Occidentale e celle Orientale partagent une seule origine culturelle – la civilisation chrétienne médiévale, qui s’était développée dans deux branches principales, celle de l’Est (l’Orthodoxie), e celle de l’Ouest (le Catholicisme), comme anticipé par Ivanov par sa métaphore des « Deux poumons de l’Europe »- ;
-dans l’espoir de Gorbatchev, de Walesa et de Shevardnadze d’une forme d’hybridation entre le socialisme réel et l’économie sociale de marché de l’Europe communautaire (partant de l’observation de Marx que le capitalisme européen s’était développé de manière différente de l’Américain parce qu’il était né dans un contexte féodal) ;
-enfin, dans la convergence tactique entre le projet globaliste américain et les aspirations hégémoniques des l’intégrismes salafite et shiite présents dans l’espace soviétique (Tchétchénie et Talibans).
Surtout, on avait sous-estimé le poids spécifique de l’exceptionnalisme américain, dont le caractère religieux a fait obstacle à accepter une nouvelle narration concurrente, celle européiste, devenue nécessaire pour la réunification culturelle des « Deux Poumons » du Continent. 80 ans après le débarquement en Normandie, le pouvoir d’interdiction par rapport à n’importe quelle manifestation de créativité européenne (voir Olivetti, Zhu, Mattei, Moro) reste absolu. Il suffit de rappeler la fameuse phrase « Fuck the EU », prononcé par Victoria Nulanden même temps qu’elle dictait à l’ambassadeur américain la position du Département d’État sur la personne à nommer comme Premier Ministre ukrainien après l’ Euro- Maidan, qui avait été dressé contre l’Europe avant que contre la Russie .
Le risque de l’Europe est qu’elle, s’identifiant trop avec la Modernité (l’ »Homme sans Qualité », l’ »Homme à une Dimension »), soit entrainée par cette dernière dans son abîme quand elle ne survivra pas à l’Age des Machines Intelligentes. Le même vaut pour son rapport trop étroit avec l’Amérique lors que cette dernière se retirera de l’Europe de l’Est, comme, dans le passé, du Vietnam et de l’Afghanistan. Nous devons nous préparer à tous développements.
Le « Déclin de l’Occident » doit donc être compris plus comme une maladie culturelle, bien décrite par des auteurs tels que Max Weber, Friedrich Nietzsche, Oswald Spengler, Thomas Mann, la psychanalyse e l’Orientalisme, que comme un phénomène historique et politique. Une maladie qui s’est manifesté dans la forme que Lukács avait défini « la Destruction de la Raison » ; Benda, « la Trahison des Clercs » ;et, Anders, «die Antiquiertheit des Menschen », et s’est élargie avec le refus du principe de causalité (de Finetti), ainsi que du concept même de « méthode » (Feyerabend).Et qui confine avec la destruction de l’identité européenne sous le poids du « mainstream » américain.Insuffisence des logiques occidentales
Au cours du 20ème Siècle, l’Europe s’était donc tellement désintégrée du point de vue intellectuel et politique (c’est là la racine de la « mort cérébrale » préconisée par Macron pour l’OTAN), que, aujourd’hui elle n’arrive même plus à prendre les décisions fondamentales pour soi-même, telles que celles sur les hautes technologies, la guerre et la paix, la nature, la procréation, la pauvreté. Elle est encore moins à même d’être, comme elle prétendrait encore maintenant, une avant-garde culturelle, étique, culturelle et technique du monde entier (le « Trendsetter of Worldwide Debate »).
Une telle avant-garde avait été, à partir de la Deuxième Guerre Mondiale,l’Amérique, mais elle aussi est entrée maintenant dans une situation d’« over-stretching » à partir de la crise des « sub-primes » et du retrait de l’Afghanistan. Surtout, son identité est divisée entre la défense à tout pris du « noyau dur » WASP et l’adoption d’une « Culture Woke » qui est l’expression de la majorité « non-WASP », entre la défense à tout prix de l’ «Empire Démocratique » et la poursuite des intérêts de la majorité des électeurs. Jusqu’au point qu’on a imaginé la possibilité d’une nouvelle guerre civile.27
Dans cette situation, au «Zeitalter der Vergleichung », toutes les logiques de la culture occidentale (aristotélique, cartésienne, post-euclidée) ne sont plus suffisantes pour expliquer le monde de la complexité, si que nous sommes obligés chaque jour plus, bon gré mal gré, à faire recours, pour décrire nous-mêmes, à des concepts différents, à partir d’une « Intelligence Artificielle » qui nous est fournie par la Silicon Valley globalisée, pour passer à celui d’une « Démocratie Illibérale » étudiée par un Indo- Américain tel que Fareed Zakaria faisant référence à d’expériences asiatiques, pour arriver à l’« Epistocratie » mandarine, suggérée par Zhang Weiwei, un ancien interprète de Deng Xiaoping.
Tout cela est applicable encore plus en ce qui concerne l’Europe Orientale, que nous ne pouvons pas comprendre sans rappeler à l’esprit les Peuples des Steppes, la Deuxième et la Troisième Rome, le Bogoumilisme, le mythe du Golem, le Sarmatisme, le Socialisme Réel, le Cosmisme, l’Eurasiatisme et la Pasionarnost’. Mais, si nous ne comprenons pas l’Europe Centrale et Orientale, comment pourrions-nous la juger, et même l’orienter, comme nous prétendons?
Une refondation culturelle s’impose au préalable, dont le Mouvement Européen devrait se faire porteur.
3.Les erreurs de l’ Europe
En effet, les difficultés de toutes sortes rencontrées dans l’ »élargissement » des Communautés Européennes et, après, de l’Union Européenne, découlent de leurs blocages culturels. Notamment:
-l’involution de la Russie, du « Socialisme au Visage Humain » de Gorbatchev au libéralisme autoritaire de Yeltsine, et, après, à l’ »Esprit de Pratica di Mare » du premier Putine, jusqu’au « Russkij Konzervatizm » et, enfin, à l’ »Opération Militaire Spéciale », dépend en grand partie de l’ »arrogance romano-germanique », de la présomption immotivée des Occidentaux que leurs propres processus culturels et politiques, témoignant d’une mission messianique immanente à la Modernité, constituent un parcours obligé pour tout le monde (la « Théorie du Développement»). De telle manière, l’intégration dans les Communautés Européennes aurait du impliquer nécessairement l’adoption rigide, par les pays de l’Est, de l’ »Acquis Communautaire », et même de soi-disant « valeurs européens », quand d’autres parties du monde -même les Etats Unis, ou l’Inde-, ne demandent plus l’adhésion contraignante à des soi-disant valeurs « americains » ou « indiens » (lesquels ? le puritanisme WASP ou le LGBTQIA+?; le « Néo-conservatisme » ou la « Cancel Culture”;
-Les rhétoriques de l’Europe ont impliqué le refus de toute concession à la Russie en ce qui concerne son désir d’être admise dans la « Maison Commune Européenne » (l’ OTAN et les CEE) sans un processus humiliant d’examens, qui, si acceptés, auraient sanctionné sa prétendue infériorité, si que Poutine a refusé;
-les mêmes concepts valent pour les involutions comparables en Turquie, et même en Hongrie et au Levant;
-l’incapacité de l’Europe Occidentale de se doter d’une industrie de haute technologie et d’une armée, découle de son refus de reconnaitre de manière objective le développement, dans tout le monde, au-delà des différentes idéologies, d’un « keynésianisme militaire» (américain, russe, chinois), qui a fait croitre des barrières insurmontables autour l’Europe, incapable d’être compétitive avec les autres grandes espaces du monde, et notamment avec l’Amérique et la Chine, protégés par l’interventionnisme des gouvernements;
-les chocs continus entre l’officialité européenne et les opinions publiques des pays orientaux (tels, par exemple, que le refus des différentes démarches pour adhésion de la Russie et de la Turquie, ou la surévaluation du « Processus d’Helsinki» , qui a cristallisé l’application, au processus de Nation-building, des anciennes constitutions soviétique et yougoslave encore après leur échéance juridique, ou, enfin, le double standard sur les « règles du droit » s’il d’agit des Pays Baltes ou de la Hongrie), ont nourri une hostilité généralisée envers l’Union, accusée, non sans motif, d’être un « vassal » des États-Unis;
-l’incapacité de concevoir des sujets politiques différents des Etats nationaux qui dominent l’Union d’aujourd’hui, tandis que le modèle plus actuel dans le XXIème siècle, auquel s’inspirer, paraitraient être les »États-
Civilisation », comme la Chine, et, peut-être, même les États Unis et l’Inde, dont les « états » ne sont, en réalité, que des énormes provinces avec des centaines de millions d’habitants.
Toutefois, la première raison de l’ échec de Hradčany fut « le refus américain d’une structure nouvelle pouvant limiter son influence croissante. George H.W. Bush songeait à attribuer un rôle politique à l’Organisation du traité de l’Atlantique Nord et s’interrogeait sur son extension géographique dont le principe n’était pas arrêté et qui n’était pas la priorité du moment. « La « faute » de l’Europe fut de ne pas s’y opposer, parce que paralysée par l’intériorisation forcée du model américain.
4.Revenir à Hradčany
Malgré l’hostilité générée dans ces 35 ans entre Europe et Monde Russe par les faits du Kossovo, de l’Irak, des révolutions colorées, de Géorgie et d’Ukraine, revenir à Hradčany n’est pas impossible. Il suffirait de faire maintenant, sous l’impression des échecs ainsi provoqués (une douzaine de guerres, le refus, par les peuples, de la Constitution Européenne, Brexit), toutes les démarches que nous n’avions eu le courage de faire en 1990/1991, reprenant les mots de passe oubliés de cette saison politique:
-« ouvrir les portes des États et des systèmes politiques », comme prêchait Jean-Paul II, à travers un dialogue interculturel en bonne foi, qui ne craigne pas d’aborder les différences théologiques ou politiques, essayant de voir, au-delà d’elles, les problèmes et les exigences communes. S’ouvrir à une paix effective comporte de prendre au sérieux les motivations expresses des actions des adversaires, et notamment la requête aux États Unis de renoncer à leur prétentions hégémoniques en faveur d’un système polyédrique (« polycentrique » et « multiculturel ») de droit international sans abolir le principe de légalité, mais l’interprétant de manière équitable- ce qui pourrait se réaliser maintenant grâce à un nouveau probable isolationnisme USA-;
-« une nouvelle Glasnost », à travers une révision critique des Grandes Narrations qui nous cachent aujourd’hui la véritable histoire de l’Identité Européenne;
-une « Confédération de Fédérations » (entre Ouest, Nord-Est e Sud- Est de l’ Europe), comme celle discutée en son temps à Hradčany, qui soit la matérialisation juridique d’une Europe «polyédrique, qui aurait été le contraire de la « Pensée Unique », fusionnant messianisme post-humaniste et exceptionnalisme américain, qui a dominé la politique européenne de cette phase historique;
-« une nouvelle Perestrojka»: une réorganisation radicale des sociétés européennes pour faire face aux défis géopolitiques de l’Intelligence Artificielle, avec la transformation des ouvriers en des auto-entrepreneurs numériques liés à des réseaux publiques-privés; des employés en des managers autogestionnaires de nouvelles plateformes eurasiatiques ; des professionnels en des actionnaires; des entrepreneurs traditionnels en des dirigeants d’agences public-privé pour la digitalisation; des administrateurs locaux en des réorganisateurs du système industriel…
-“une nouvelle Liberalizacija”: l’élimination définitive des entraves à la libre circulation des biens, des capitaux, des personnes, mais surtout des idées, dans toute l’Europe, abattant à cet effet le nouveau « Mur de Berlin » créé par le « De-coupling », les sanctions, le « Re-Shoring », les « Golden Shares », les droits de douane, les délits d’opinion, le « Friend-shoring »,les discriminations cachées; les restrictions contre les « Fake News » et les « Agents étrangers » ;
-« une nouvelle Demokratizacija » : la fin de la subordination des institutions européennes aux pouvoirs forts et aux diktats idéologiques, pour permettre aux peuples d’exprimer leur désir de paix et d’intégration continentale révélé par les sondages, sans la censure toujours plus stricte, typique de ce temps de guerre dans lesquels nous sommes en train d’entrer.
I.LA CONFÉDÉRATION EUROPÉEENNE DANS UNE GOUVERNANCE MONDIALE MULTI-NIVEAUX
La défense de la liberté face aux « Empires Inconnus »
Le fédéralisme mondial doit être conçu aujourd’hui surtout comme une tentative de réagir à l’exigence de centralisation des décisions requise par la Société des Machines Intelligentes tout en sauvegardant les différences (-ou « différances »-) individuelles, sexuelles, de classe, culturelles, locales, ethniques, nationales et continentales, les traduisant en pouvoirs concrets de proposition, décisionnels, de critique et d’action, structurés selon les différentes identités.
Cette centralisation qui ne cesse de s’accroitre est le résultat de la complexité, de la professionnalisation des connaissances et de la politique, de la lutte entre les visions du monde implicite dans le « Zeitalter des Vergleichens»,du rôle de l’ Intelligence Artificiale, et, enfin, de l’état de guerre permanente. Elle se manifeste, au-delà des différentes constitutions formelles, dans l’accroissement du pouvoir des multinationales, des services secrets, des Exécutifs et de leurs chefs, ainsi que dans la restriction de la « Fenêtre d’Overton » imposée au pluralisme culturel par effet de la Pensée Unique, des différentes « Mémoires Partagées » et de la censure (et auto-censure) de guerre. Si chacun a la tendance à en accuser des forces politiques de son propre pays (Trump, Meloni, Erdoğan, Nethaniahu, Modi, outre, bien-entendu, Poutine e Ji Jinping), cette tendance est présente partout dans le monde, modifiant ainsi les « constitutions matérielles » de tous les pays, et les rendant toujours plus similaires parmi elles: des dictatures technologiques orientés à la guerre (Patriot Act, Echelon, Prism, Fake News, EUvsDesinfo).
La base du Fédéralisme est le réseau des « différances », basées sur les libertés individuelles, la famille, les entreprises, les associations, les villes, les régions, les États et les Continents. C’est pour cela que le Fédéralisme est, à moyen terme, la seule force capable de sauvegarder la liberté, e, plus encore, l’existence même, de l’Humanité contre la Société du Contrôle Total. Un droit fédéral européen devrait avoir pour but de bâtir, autour de ces réalités sociales en évolution, des règles juridiques claires, efficaces et flexibles, à même de régler de manière « polyédrique » la vie des sujets sociaux, et permettant ainsi leurs synergies.
L’ordre juridique international actuel correspond à un stade inaccompli de l’évolution du fédéralisme mondial. Il n’a aucune prétention d’être parfait, ni même complet, mais pourrait se révéler utile pour soutenir les forces de l’Europe dans cette phase de résistance à la Société du Contrôle Total. Comme tel, il mérite d’être préservé et perfectionné à travers la nouvelle architecture européenne que nous proposons.
2.La Confédération Pan-Européenne
Une Confédération Pan-Européenne telle que celle discutée en son temps à Hradčany devrait grouper tous ces territoires qui se reconnaissent dans la continuité de l’Identité Européenne (les Europes Occidentale, Méditerranéenne, Centrale et Boréale, Orientale et Pontique-, ainsi que la
« Magna Europa » -des fragments d’ Europe dans les autres Continents-).
Elle devrait être conçue comme un des maillons de la Gouvernance Mondiale Multi-Niveaux, expression de la conception « polyédrique » du monde.
La Confédération devrait être organisée selon le principe de pluralité des ordres juridiques, typique del l‘ »Ancienne Constitution Européenne » de Tocqueville, et de « L’Europe à différentes vitesses », mais sans une hégémonie, ni de l’Europe Occidentale, ni de l’ Amérique, ni d’aucun autre.
A son intérieur, se situeraient des Fédérations Intra-Européennes, telle qu’une Fédération Européenne (héritière de la UE), une Fédération Pan- Russe (ou « eurasiatique », héritière de la Communauté des Etats Indépendants et/ou de l’Union Eurasiatique), probablement une Fédération du Levant, et plusieurs Territoires Confédéraux, non attribuables à d’autre sujets. Enfin, les liaisons structurées spéciales existant à l’heure actuelle, comme celles avec l’Amérique, les ACP (Afrique, Caraïbes et Pacifique), le Moyen-Orient, la Chine (les « Nouvelles Voies de la Soie « devraient etre maintenues et revitalisées. . Le rôle des Pays Britanniques (Angleterre, Ecosse, Galles, Irlande du Nord et Iles Normandes) serait, après Brexit, à définir, partant des accords négociés et signés avec l’Union Européenne.
Les différentes fédérations devraient être organisées selon des principes leurs propres, au moyen d’une pyramide coordonné de Constitutions (sur le modèle de la « Constitution Italienne et Européenne » de Duccio Galimberti), qui garantisse la certitude du droit. Il est significatif que soit l’Empire Russe, soit les États Unis, se basaient, à leurs débuts, sur la lecture de « L’Esprit des Lois » de Montesquieu. Dans les Federalist Papers,
« Publius » se rattachait à l’idée de ce dernier (ainsi que le faisait Catherine II de Russie dans le « Instructions à la Commission Législative »), selon laquelle les « États de grande taille » pourraient être organisés, soit comme des États absolus, soit comme des fédérations. Les États Unis auraient choisi la voie de la fédération, tandis que Catherine avait choisi celle de l’État absolu. C’est de à qui est née la bifurcation (par trop simpliste) entre
« Démocraties » et « Autocraties » («samoderzhavija»)
Certaines des taches typiques d’un État ne pourraient être accomplies
aujourd’hui que par la Confédération :
-Le Système global Européen de Sécurité;
-Les Hautes technologies ;
-Les Politiques économique et industrielle;
-Les Transports;
–L’Environnement;
-Les Migrations.
D’autres seraient du ressort des Fédérations:
-La Culture
-Les Armées;
-La Justice;
-L’ Aménagement du territoire .
Autres encore, des entités euro-régionales, nationales et locales.
Le Système Européen de Sécurité devrait se baser sur des principes parallèles à ceux du contrôle des Armements, à travers une Agence Confédérale de Sécurité, présidant à l’équilibrage des systèmes de défense
, et notamment des systèmes d’Intelligence Artificielle, dans le cadres de futurs, nécessaires, accords globaux, à développer et négocier en parallèle avec la nouvelle architecture européenne de sécurité.
L’Armée de la Fédération Européenne devrait être mise à même d’être un élément d’équilibre avec celles du bloc pan-russes grâce à des traités constitutionnels de l’Union Européenne et de traités sur la dévolution de compétences, de biens et de personnel, avec les USA et la Fédération Russe, tandis que l’Ukraine, en tant que District fédéral, devrait être neutralisée.
3.L’espace central de la Confédération
Le centre de la Fédération se situerait au croisement entre Europe Latine, Europe Germanique et Europe Slave, et, donc, probablement dans des territoires non faisant partie d’aucun de ces grands blocs etno-culturels, tels que la Hongrie ou les Pays Baltes.
Une localisation parfaite pour la capitale confédérale serait Kyiv, qui aime se considérer comme une charnière entre l’ Ouest et l’Est. D’autre part, Tripillya, a coté de Kyiv40, a été la première ville d’Europe, ainsi que Nestor de Kiev écrivait au Moyen Age que « le pays de Rus’ n’a pas des frontières »41 ; l’Ukraine avait accueilli les Huns et les Avars, les Bulgars et les Khazars, les Magyars et les Variagues, les Polovésiens et les Karaïtes, les Gênois et les Vénitiens, les Mongoles et les Tatars, les Nogaï el les Cosaques, les Cherkasses et les Ottomans.
Dans l’Age Moderne, l’Ukraine a été partagée entre les Polonais et les Lithuaniens, les Autrichiens et les Hongrois, les Russes et les Juifs, les Allemands et les Blancs, les Anarchistes et les Bolchéviques…
« Euromaidan » c’est un nom qui est en même temps un programme politique. « Maidan » est Arabe, mais existe aussi en Persan, Turc et Hindi, et signifie simplement « Place » : donc, la « Place de l’Europe ».
Pur pouvoir jouer un rôle en tant que Métropole Confédérale, l’Ukraine devrait se donner un statut fédéral, polyédrique et multilingue, fondé sur des régions largement autonomes, à partir des villes métropolitaines de Kyiv, Kharkiv, Odessa e L’iv, pour passer aux régions du Donbass, de Crimée, de Novorossiya, de Bessarabie, de Budjak, de Boukovine, de Routhénie Cis- carpatique e Trans-carpatique, de Galice, de Polésie, de Volhynie et de Podolie. Ce régime rassemblerait beaucoup au cadre administratif proposé, avant l’Euromaidan, par le parti de Yanukovič.
Le statut d’indépendance et de neutralité de l’Ukraine devrait être garanti par des troupes de ses Régions, de la Confédération, des Fédérations et des Territoires Confédéraux, si nécessaire avec l’aide des Nations Unies.
L’ambition de centralité de tous les peuples de cette zone, que les Polonais appellent « Międzymorze »(« Intermarium ») en serait exaltée, ce qui pourrait compenser leur contrariété pour le fait de devoir convivre avec les Russes.
4.Les Balkans Occidentaux et la Turquie
Les Balkans Occidentaux et la Turquie représentent deux paradoxes, parce que les premiers sont les plus proches à l’Union, et y sont même déjà entrés en partie, et, la deuxième, a présenté sa demande d’accession depuis 1952.
Quant aux premiers, la difficulté de les faire entrer est constitué par leur incapacité à se transformer dans des véritables « états nationaux » comme supposé par le système de l’Union, ayant constitué, dans le temps, un espace de frontière entre l’empire Ottoman et l’ Empire autrichien, la « Vojina Krajina », ou, en Allemand, « Militärgrenze» . Y vivaient des Musulmans et des Orthodoxes -des Slaves, des Albanais et des Valacques-…, ainsi que des Catholiques -Croates, Hongrois, Allemands, Italiens, Dalmatiens et Albanais-..es petits États issus de la désintégration de la Yougoslavie défendaient et défendent l’autonomie de leurs exclaves à « l’étranger », mais la nient aux enclaves à leur intérieur. Les principes d’intégrité territoriale et d’auto- détermination des peuples sont défendus à tour de rôle, mais ne sont pas vraiment applicables
La solution plus simple serait celle d’insérer tous ces pays parmi les territoires confédéraux, sans faire même pas l’effort de les rattacher à des états « nationaux ».En tous cas, il faudrait reconnaitre leur enracinement dans la tradition de la loyauté ethnique déterritorialisée, typique des Empires Ottoman e Autrichien.
Quant à la Turquie, le fait de l’avoir faite attendre plus que 60 ans a certainement exaspéré l’opinion publique d’un pays très orgueilleux, d’autant plus que la Turquie n’est plus un pays pauvre qui avait besoin de l’Union Européenne, mais, bien au contraire, est devenue un pays riche, en plein essor, avec la deuxième armée de l’OTAN et une grande force d’attraction culturale en direction des États islamiques avoisinants.
Son importance, son identité et sa différence par rapport aux autres pays européens suggéreraient d’en faire un partenaire « tous azimuts » dans la Confédération, au même niveau que la Fédération « Eurasiatique » -qu’elle s’appelle « Communauté d’États Indépendants ou « Union Économique Eurasiatique », ou autre encore.
5.Les Fédérations
Les états qui pourraient résulter des évolutions de l’Union Européenne, de la Confédération d’ États Indépendants, de la Turquie et du Levant , seraient régis par des principes différents selon les traditions et les cultures de chaque territoire. D’autre part, chaque zone e la Pan-Europe fait maintenant l’objet de processus de transformation (îles britanniques, Péninsule ibérique, Balkans, Ukraine, Caucase, Palestine).
Dans ce contexte, le fait que la Russie aspire, après la guerre, à représenter une voix unitaire de l’espace euro-asiatique ne serait pas nécessairement en contradiction avec le dessein d’une Confédération Pan-Europeéenne. D’autre part, en 1991 les républiques soviétiques n’avaient pas voté pour la séparation de la Russie (à laquelle elle n’étaient pas liées), mais, au
contraire, pour la dissolution de l’URSS e sa transformation dans l’Union d’États Indépendants, qui existe toujours.
Le même pourrait s’appliquer à une potentielle fédération du Levant , telle qu’imaginé tout au début, englobant Israël, la Cisjordanie et Gaza, mais, peut-être, aussi le Golan, la Jordanie et le Liban. Moins claire la situation dans les Balkans, ou, en tout cas, il y a un commencement d’alliance entre la Turquie, la République Bosniaque e le Kossovo, tandis que, à Est, les Kurdes aspirent à une subjectivité séparée, mai qui pourrait même se réaliser avec la Turquie.
6.Les accord structurés existants
De toutes les côtés on entend parler de la revitalisation de rapports avec le reste du monde que l’Union aurait négligé. Le fait est que, au fil des années, l’Europe avait entamé des rapports avec tous les continents, mais, malheureusement, à cause de sa faiblesse vis-à-vis les états membres, et, surtout, vis-à vis des États Unis, la plupart de ces rapports n’ont pas été cultivé d’une manière sérieuse, au point que quelques-uns ont même été négligemment oubliés, comme ça a été le cas des ACP, abandonnés aux islamistes, aux Russes, au Chinois et à la Turquie.
La restructuration de l’Europe sous la forme d’une Confédération superposée a plusieurs Fédérations pourrait constituer l’occasion pour reprendre le discours sur et avec les ACP au-delà des lieux communs.
Dans le cas des États-Unis et du Royaume-Uni, ces rapports se confondent avec ceux dans l’OTAN et le G7, dont la réforme a été beaucoup discuté des deux côtés, sans rien faire de concret. L’éventuelle élection de Trump, toujours plus probable, rend l’étude de cette réforme encore plus urgente, si que le moment semblerait arrivé de faire de la clarté , d’autant plus que cela est ce que demande depuis longtemps le même candidat Trump. Les chancelleries européennes avaient fait savoir qu’elles étaient en train de préparer un « Plan B » pour le cas d’« abandon » de l’Europe de la part des États-Unis sous Trump. Or, l’heure de ce possible abandon se situe à Novembre, c’est-à-dire dans 5 mois. Le moment est venu d’y penser.
Trump a donné seulement l’impression de souhaiter une réduction des rapports Europe-UE. Toutefois, on peut imaginer que, au moment ou
l’Europe voulait vraiment rationnaliser ces rapports, le pressions deviendraient frénétiques pur éviter l’élimination de beaucoup de privilèges américains en Europe, concernant leurs bases militaires, les technologies, l’intelligence et l’antitrust, privilèges sans lesquels les États Unis ne seraient plus une Grande Puissance.
III.APROFONDIR CETTE ÉTUDE
Si cette approche peut trouver une attention de la part de la société civile et du Mouvement Européen, nous sommes à disposition pour approfondir, soit les thèmes illustrés dans ces pages, soit des thèmes ultérieurs, à partir de possibles plans « B C, D.. ».
Objectif : que l’Europe ne soit pas impréparée même en cas d’extension des hostilités hors de l’Ukraine, Palestine et Afrique du Nord, et aussi dans le celui d’évènements traumatiques à l’intérieur des États-Unis, tous évènement qui ne seraient sans conséquences directes pour l’Europe.
En toutes ces hypothèses, la société civile et le Mouvement Européen pourraient, et devraient, donner une contribution importante pour surmonter des situations d’émergence, même dans des situations de défaut des institutions.
Nel prendere atto di questa interessante iniziativa (cfr.allegato a questo post: il programma verrà postato a parte), che, affrontando il tema a noi caro delle identità, segna un cambio di passo rispetto alle pur numerose manifestazioni tradizionali nella nostra città, invitiamo i nostri lettori a parteciparvi. Riteniamo opportuno pubblicare anche una serie di nostre considerazioni sul tema oggetto della manifestazione e alcune osservazioni volte a possibili miglioramenti per gli anni a venire.
1.Resilienza delle identità Il mondo sta veramente cambiando.
L’identità, che prima sembrava solo “una parolaccia”, è oggi tornata al centro del dibattito culturale e politico. E come potrebbe essere diversamente, se i grandi fenomeni storici che si sviluppano sotto i nostri occhi (rinascita di Israele e della Cina, individualismo democratico, panarabismo, femminismo, crollo dell’ Unione Sovietica e giganteggiare delle sue ex Repubbliche, movimento LGTB+, “fondamentalismi”), si sviluppano tutti nel nome delle identità: culturale, storica, collettiva, etno-nazionale, individuale, nazionale, sessuale, religiosa, di genere? Come noto, la problematica dell’identità nasce con Hume, che, nel suo empirismo, negava il concetto classico di identità personale, ma poi solo per pervenire alla conclusione che l’identità e necessaria, in quanto è la sola cosa che rimane nell’incessante divenire dei fenomeni. Quest’idea fu poi sviluppata dai Romantici, per i quali l’identità era un necessario contrappeso alle illusioni dell’esistenza (un’autenticità che spezza la banalità borghese). Tutto ciò portò all’esaltazione dell’Eroe (Carlyle), e, poi, del Superuomo (Nietzsche). La ricerca della propria identità personale è stata poi alla base della psicanalisi, e la difesa delle identità collettive ha costituito la motivazione prima dei Risorgimenti, delle lotte anti-coloniali e delle guerre civili post-sovietiche. A partire, infine, dal tentativo di omologazione mondiale avviato con la globalizzazione e la pretesa “Fine della Storia”, la difesa delle identità è divenuta la parola d’ordine di tutti i nuovi movimenti, e di quasi tutti gli Stati, ché, altrimenti, gli uni e gli altri, a causa della “Fine della Storia” non avrebbero più neppure avuto una ragion d’essere. Se io ho, o affermo, un’identità, sono costretto, per affermarla, a combattere la globalizzazione, l’omologazione, l’egualitarismo, l’apolidismo. Invece, l’informatica e l’Intelligenza Artificiale stanno facendo temere concretamente la prossima perdita della soggettività umana, rendendo così urgente una generalizzata rivolta identitaria. 2.L’identità quale strumento della politica Oramai, chi non padroneggia la materia delle identità non può avere un peso politico nel XXI Secolo, perché in ogni contesto la politica consiste ormai in ultima analisi nel fronteggiarsi di identità contrapposte: quella tradizionalista e quella “liquida”; quella WASP e quella Woke; quella spagnola e quella catalana; quella pan-serba e quella grande-albanese; quella pan-russa e quella ucraina; quella ebraica e quella palestinese…(anche se nel contesto di un conflitto “identitario” più vasto: tecnocrazia contro umanesimo). Molti vorrebbero svolgere il ruolo di mediatori, ma non ne sono capaci, perché le loro culture non sono così “universali” da permettere loro di comprendere le ragioni delle opposte identità e di comporle in un’unità superiore. Nonostante la sua presunzione, la cultura “progressista”, fondata sullo sviluppo di idee astratte e di un’impersonale “Ragione” è del tutto aliena dall’ empatia con le diverse “Identità”, e, al contrario, finisce per favorire solo l’omologazione universale.In tal modo, si è auto-esclusa dai necessari sforzi di mediazione.
3.I casi post-sovietici e post-jugoslavi
Tra l’altro, le opposte identità che si fronteggiano sono spesso molto più simili di quanto non appaia, perché si riallacciano in ultima analisi al substrato istintuale comune dell’Umanità, alle grandi civiltà ancestrali, alle tradizioni regionali e macro-regionali, ad una convivenza millenaria sui territori…. Per esempio, Russi ed Ucraini condividono quella “etnografia degli Slavi Orientali” ben studiata nell’ era sovietica: hanno in comune eroi (Ol’ga, Vladimir, Razin, Pugaciov), letterature (Il Canto della Schiera di Igor, le Bylyne, Gogol’), uomini politici (Khruscev, Brezhniev). Le loro lingue sono intercambiabili, al punto che, tradizionalmente, la maggior parte della popolazione ucraina parlava il Surzhyk,un miscuglio di lingue slave-orientali, mentre Cakavo, Stokavo, Kajkavo, Ikavo, Jekavo ed Ekavo “se ne fregano” delle frontiere fra le Repubbliche e delle lingue “nazionali” artificiali inventate nell’ultimo quarantennio (Serbo, Croato, Bosniaci, Montenegrino).
Infine, Palestinesi ed Israeliani sono ambedue un miscuglio di popoli diversissimi, ma ambedue accomunati da una lingua e cultura semitica, dal legame con le tradizioni dei Popoli del Libro, dalla centralità della cultura religiosa come fatto dentitario.
E’ solo la modestissima cultura dell’ establishment, “appiattita” sui luoghi comuni e sulle ideologie degli ultimi secoli a non vedere, per esempio, gli aspetti di continuità fra Yamnaya, la Civiltà Danubiana, i Popoli delle Steppe, la Federazione Linguistica Balcanica, il Canto della Schiera di Igor, i Cosacchi, la Guerra di Crimea, l’Ostalgie, come pure gl’Imperatori Illirici, il Glagolitico, i monasteri ortodossi e islamici, Fortis, Tommaseo, Mestrovic, Andric, Kadaré, e, infine, le descrizioni che gli antichi Egizi facevano dei conflitti nell’ Antica Palestina, oppure le figure intermedie dei Samaritani e dei Cristiani arabi orientali.
L’ interesse comune delle diverse identità sarebbe quello di combattere insieme contro l’omologazione mondiale, che sta trovando il suo sbocco nel progetto nichilistico della “Singularity Tecnologica”, ma gli opposti “establishment” non lo comprendono perché già parzialmente obnubilati da quella cultura della globalizzazione che credono di osteggiare. Così, con la “Guerra Mondiale a Pezzi” accelerano la transizione alla Società delle Macchine Intelligenti (AI, droni, sistemi autonomi, cyberguerrieri), le quali prosperano in un contesto di guerra totale.
Il conflitto russo-ucraino costituisce una delle prove più schiaccianti del fallimento della politica sovietica delle nazionalità, studiata e applicata, all’ interno di una formale cornice marxista, dallo stesso Stalin (inviato appositamente a Vienna da Lenin per studiare l’austro-marxismo dell’ Impero Austro-Ungarico), il quale pensava di giocare tanto le nazionalità quanto l’internazionalismo per fare dell’ URSS un Paese veramente federale (attraverso la dialettica “korenizacijai/slijanijeii”). Tuttavia, proprio l’austro-marxismo, a cui i comunisti si ispiravano, non forniva una base sufficiente per fondare un “patriottismo sovietico”, che avrebbe trovato ben più valide ragioni nell’eurasiatismo, concependo quest’ultimo l’URSS come un lontano erede dell’impero mongolo (Trubeckoj, Gumiliov),a sua volta massima incarnazione delle federazioni di popoli delle steppe da sempre esistite, come quelle Unnica, Göktürk, Uigurica, Avarica, Khazara, in continua evoluzione secondo le modalità dell’ “Etnogenesi” teorizzata da Gumiliov.
Come si vede, questa era la ragione profonda per il crollo dell’ Unione Sovietica e della Jugoslavia, e le attuali convulsioni sono dovute essenzialmente allo sforzo per realizzare una radicale inversione di rotta, dall’ austro-marxismo, all’ eurasiatismo. Anche l’idea di due Stati in Palestina soffre della stessa concezione rigida delle nazionalità. Non per nulla, anche Herzl e Buber provenivano dall’ Impero Austro-Ungarico, che nonostante le sue positive premesse, era stato travolto dalla mancata soluzione della questione nazionale.
Nello stesso modo, Tito aveva costruito una federazione sulla falsariga di quella sovietica, esasperando, come in URSS, la “korenizacija” dei popoli “titolari”, così facendo perdere di vista il carattere “pan-europeo” delle Krajine, della costa dalmata, dell’Euroislam, della Macedonia e del Kosovo, e fornendo carburante all’esplosione piccolo-nazionalistico delle guerre jugoslave.
In che modo la consapevolezza delle comunalità fra identità contrapposte possa contribuire alla riduzione delle conflittualità può essere illustrato dall’ approccio da noi adottato nel libro “De Illyrico et Moesia”, dove, facendo leva sulla “federazione linguistica balcanica”iii e sulle tradizioni illiricaiv, cirillo-metodianav, bogumilavi e morlaccavii, abbiamo cercato di ritrovare elementi di continuità fra l’Impero Romano, le presenze slava, neo-latina e islamica. In questo contesto, un approccio macro-regionale e cantonale, lungi dal costituire un’aborrita soluzione di emergenza, potrebbe permettere di mettere in luce la vera identità dei Balcani Occidentali.
3.I limiti del Festival Il Festival dell’1-5 novembre ci pare percorrere finalmente la strada giusta, anche se è ancora caratterizzato da due dimenticanze: l’Identità Europea, mai citata in nessuno dei titoli né dei programmi, e le identità degli altri Continenti che si stanno affermando prepotentemente in questi anni, prime fra le quali quelle islamica e quella cinese. Vi è solo un timido accenno all’ identità “dell’ Occidente”(Cardini), Mancano però le “Identità Continentali”, protagoniste della grande trasformazione in corso nel sistema mondiale, le uniche che, proprio per questa loro attualità. riescano a suscitare riflessioni pertinenti e l’entusiasmo di intellettuali e opinioni pubbliche. Certo, l’identità europea sarà presente, seppure indirettamente, attraverso la presentazione, da parte di Cardini, del suo libro “La deriva dell’ Occidente” ( che per altro è dedicato prioritariamente, più che all’approfondimento di ciò che è specifico dell’ Europa, alla critica a un Occidente a guida americana); quella ebraica ,nel colloquio con Ruth Dureghello; quelle russa e balcanica con Kusturica,che parlerà di Peter Handke.Tutte identità più vaste o più ristrette di quella europea. Eppure, è l’Identità Europea la questione centrale del nostro tempo, perché, nell’”epoca planetaria” dominata dalla competizione per il controllo dell’ Intelligenza Artificiale, non soltanto il potere politico, la prosperità economica e la sicurezza militare, ma la stessa possibilità di sopravvivere nonostante la tirannide del Complesso Informatico-Digitale, dipende dall’ appartenenza a grandi Stati-Civiltà, che non soltanto dispongano delle risorse politiche, tecnologiche, militari ed economiche, per trattare da pari a pari con i colossi del web e con le altre Superpotenze, ma incarnino anche un loro modello specifico di uomo e di società, capace di contribuire in modo originale allo sforzo collettivo per il controllo dell’ Intelligenza Artificiale. Nel caso nostro, l’”Europe-Puissance” quale immaginata a suo tempo da Coudenhove Kalergi e da Giscard d’Estaing. Invece, un’Europa che si concepisca solo come un sottoinsieme all’ interno di un Occidente di cultura americana (nazioni borghesi, millenarismo immanentistico, tecnocrazia travestita da “liberal-democrazia”) non potrà incidere in alcun modo sulla formazione dell’ auspicato Umanesimo Digitale, che non potrebbe sostanziarsi se non in un’industria digitale “sovrana”, in una pedagogia fondata sull’ eccellenza individuale secondo i modelli classici e delle “Religioni del Libro”, in una mobilitazione culturale a tutti i livelli, e in un dialogo serrato con il resto del mondo. L’Occidente attuale persegue invece un millenarismo tecnocraticom ostile alle tradizioni umanistiche, e, come aveva dimostrato la vicenda Olivetti, non permette la nascita in Europa di un Umanesimo Digitale. Un’ “Europa Sovrana” non potrebbe fare a meno d’interrogarsi su che cos’abbiano da insegnarle le culture degli altri Continenti, come per esempio forme attualissime di ascesi intramondana (come quella delle “arti marziali” estremo-orientali); una logica “fuzzy”viii radicata, per esempio, nella struttura di lingue isolanti e di scritture pittografiche come quella cinese (cfr. i Classici Confucianiix); il culto delle tradizioni ancestrali, religiose e familiari (come nell’ Hindutvax); il senso, nel contempo, della comunità e delle gerarchie (Dumontxi). Né di coalizzarsi con loro contro l’egemonia mondiale dei GAFAMxii. Questo proprio nell’ ottica, citata anche nel programma di “Radici” , dello sforzo per controllare l’ Intelligenza Artificiale, che è, prima ancora che un fatto politico, giuridico e tecnologico, una questione di educazione del carattere per un’era, come la nostra (la “Guerra Mondiale a Pezzi”), in cui la resilienza dell’ Umano sarà messa a dura prova, non meno che in epoche passate che noi consideriamo particolarmente difficili per l’Umanità (dalla preistoria, alle Invasioni Barbariche, al Medioevo, alle Guerre Mondiali). Tutto ciò sembra assente (ma potremmo sbagliarci) dalla manifestazione di Novembre , come da quasi tutte le attuali manifestazioni culturali: un po’ per l’ignoranza generalizzata delle culture extraeuropee, un po’ per quel clima di mobilitazione bellica che si è voluto instaurare negli ultimi decenni, ben prima delle guerre in Ucraina e a Gaza, con gli attacchi culturali e polizieschi a tutto quanto è fuori dell’ “Occidente”, un po’, infine, per il tacito consenso fra le diverse forze sociali per evitare di allarmare la popolazione. Nonostante queste lacune, il Festival costituisce comunque un deciso passo in avanti rispetto agli standard torinesi del passato. Cerchiamo perciò di apprezzare tutto il buono della manifestazione, partecipandovi e apportando il nostro contributo. Segnaliamo in particolare gl’interventi di Veneziani, Dureghello, Cardini e Kusturica, sui quali ci ripromettiamo di ritornare. Porgiamo quindi, all’ Assessore Marrone , al direttore della manifestazione Culicchia e ai vertici del Circolo dei Lettori e del Salone del Libro i migliori auguri di successo per “Radici”, cominciando a programmare per il prossimo Salone qualcosa sul tema delle identità, sulla falsariga delle pubblicazioni di Alpina/Dialexis, e, in particolare, di “100.00 anni di Indentità Europea”xiii , di “Intorno alle Alpi Occidentali”xiv e, infine, di “De Illyrico et Moesia”
ALLEGATO
RADICI. IL FESTIVAL DELL’IDENTITÀ
CULTURA & TRADIZIONE
01/11/2023 – 05/11/2023
La Fondazione Circolo dei lettori inaugura Radici, il festival dell’identità (coltivata, negata, ritrovata), in programma dal 1 al 5 novembre, un progetto a cura di Giuseppe Culicchia sostenuto dall’Assessorato all’Emigrazione della Regione Piemonte.
Con ispirazione pirandelliana, il festival chiama grandi artisti e voci a interrogarsi su una nessuna e centomila identità: l’identità individuale e l’identità dei popoli, l’identità di una comunità e quella di una nazione; l’identità come idea che un individuo ha di sé stesso all’interno di una società, a partire da quelle caratteristiche che dovrebbero teoricamente renderlo unico e inconfondibile, ma che il consumismo ha omologato in stili di vita e modelli culturali, come denunciò per primo Pier Paolo Pasolini già, negli anni
« Finito che fu, si levorno le tavole et il re mi pigliò per la mano e disse: ‘Tutte le volte che alcuna persona honorata di virtù e di opre viene a questa mia terra mai lascio di invitarlo, far amicitia seco et honorarlo. Il grande regno di Europa è regno di discorsi fondati nelle ragioni: desidero sapere quello che loro sentono della amicitia’. Io, Matteo, mi raccolsi per alcuni giorni in luogo secreto e raccolsi tutto quanto avevo udito di questa materia desde la mia fanciullezza e feci il seguente libretto» (dal Proemio del “Dell Amicizia” di Matteo Ricci).
Una delle tante contraddizioni dell’ attuale “mainstream” culturale e politico è quella fra una conclamata e plateale apertura a tutti i popoli e le loro culture, e l’isteria da crociata che invece anima il discorso pubblico occidentale sulle principali aree del mondo: Islam, Cina, Russia (sostanzialmente, quelle che si riconoscono nei BRICS, che rappresentano il 41% della popolazione mondiale), ma anche tutte le altre, che arrivano a comprendere i 4/5 dell’umanità.Basti pensare alla recentissima messa al bando in Francia dell’ “abaya”, una tunica femminile moderna di moda in Medio Oriente. Si giungerà a vietare anche il Sari indiano, lo Han Fu cinese e il colbacco pan-russo? Non si dica che questa isteria nasce solo con i venti di guerra che ormai soffiano fra Est ed Ovest, perché si tratta di un fenomeno che si trascina da ben tre secoli:innanzitutto, l’”Esquisse d’un tableau historique des progrès de l’esprit humain” (“Abbozzo di un ritratto storico dei progressi dello spirito umano”), che narra la storia della civilizzazione (occidentale), sostenendo una stretta interconnessione tra il progresso scientifico e lo sviluppo dei diritti umani e della giustizia , per passare al Testamento di Giorgio Washington, ai discorsi di Victor Hugo e all’epistolario di Mazzini, e venire, più recentemente, alla propaganda antisovietica dei maccartisti, a quella anti-islamica, fino al “Russia Bashing” e al “China Bashing”. Invece, se si pretende di rispettare tutti i popoli della terra, bisogna poi anche accettare, e anzi studiare, le loro culture, addirittura nell’ottica di trarne degl’insegnamenti sulle questioni che noi non riusciamo a risolvere con le nostre logiche, non già condannarli a priori in base a nostri specifici schemi mentali. Primo fra i quali, la priorità della politica, per cui i popoli non occidentali vengono condannati in blocco come “autocrazie”, assumendo come determinante solo un lato delle loro caratteristiche, che noi consideriamo politico (rifiuto della “democrazia”), ma non per loro, è piuttosto, antropologico (atteggiamenti esistenziali e sociali, costumi). Questi ultimi, nei BRICs, sono tutt’altro che omogenei. Quale sostanza accomunerebbe infatti, sotto il concetto di “Autocrazia”, la democrazia plebiscitaria russa e quella presidenziale turca, quella federale e cetuale indiana e quella clericale iraniana, il socialismo con caratteristiche cinesi e il latino-americanismo?Soltanto il rifiuto del sistema culturale “occidentale”, basato sul mito del progresso, l’ipocrisia puritana e la “passione per l’eguaglianza” di cui parlava Tocqueville. Questo diffuso rifiuto non è fine a se stesso, bensì l’espressione, quasi inconscia, della rivolta dell’ “homo hierarcicus” extraeuropeo contro l’egemonia dell’ “homo aequalis”euro-americano (Dumont). Per motivi diversissimi, tutti questi sistemi credono fortemente nelle diversità: fra intelligenze (Cina); fra tradizioni ancestrali (India, Russia); fra gruppi umani(Africa); fra carismi (Sudamerica); fra teologie (Israele e Islam).Più che autocratici, sono esistenzialmente differenzialistici. Proprio per questo, essi, secondo il “mainstream” occidentale, sarebbero “il Male”, e andrebbero perciò semplicemente “convertiti” ai riti dell’omologazione ipermodernista, dove “uno vale uno”. Per tutto questo, è stato apprezzabile l’approccio del Presidente della Repubblica al Festival di Rimini,finalmente incentrato sull’ “Amicizia” verso il diverso , anche se poi, anche nelle sue parole, al posto del sano relativismo dell’opuscoletto di Matteo Ricci citato in exergo,è riaffiorata una visione manichea di “noi” che siamo “il Bene” e degli “altri” che sono “il Male”perché ispirati dall’ “odio”. Paradossalmente, proprio gl’”ipermodernisti”, che pretenderebbero di rappresentare la maturità “adulta” dell’ Umanità, emancipata dai dogmatismi , non si rendono conto che il “dubbio moderno”, che attraversa Montaigne e Matteo Ricci, Cartesio e Pascal, Kant e Nietzsche, Rensi e Wittgenstein, De Finetti e Feyerabend, ha reso impossibile concepire valori veramente “fondati”,e che perciò possano essere applicabili “dall’ esterno” a tutte le civiltà, e mediante i quali queste possano essere catalogate e giudicate (come sarebbero, appunto, la “democrazia”,l’”uguaglianza” e lo “Stato di diritto”). Dopo avere criticato un po’ tutti per le loro presunte visioni “essenzialistiche”, sono proprio essi le prime vittime della credenza in “valori non negozoiabili”. Oggi, come diceva Nietzsche, viviamo un un’”era comparatistica”, in cui i pochi giudizi che si possono ancora emettere sono basati su una comparazione fra realtà esistenziali diverse.S’impone invece un approccio basato piuttosto su esigenze esistenziali, come la fede e l’amicizia, capaci di sopravvivere anche nel mondo della complessità, e attraversare più mondi, superando, col “Pari” pascaliano, il “Dubbio sistematico cartesiano. Proprio in tema di amicizia, non si può perciò dimenticare che esiste anche il polo opposto, l’inimicizia (chiamata da Mattarella impropriamente “odio”), e che proprio sulla dialettica fra questi opposti si fonda la storia(Carl Schmitt). Pensare che uno di essi possa essere abolito significa aggregarsi, anche senza saperlo, alle schiere (oggi fortunatamente decrescenti) dei “fanatici dell’ Apocalisse”, che credono seriamente di poter abolire la Storia senza per ciò stesso abolire l’Uomo. Certo, oggi come ai tempi di Matteo Ricci,per l’azione civile e sociale, bisogna partire dall’amicizia fra gli uomini, e, in particolare, fra Est e Ovest, ma senza dimenticare che è in corso la Guerra al Tempo delle Macchine Intelligenti, con cui le macchine stanno tentando di sostituire l’Umanità. E’ intorno a questa guerra uomini-macchine che le grandi civiltà del mondo debbono essere solidali, come giustamente chiedono il Papa e il Presidente della Repubblica. Nel fare ciò, esse debbono però mantenere intatte le loro virtù guerriere, perché questa nuova guerra a difesa dell’ Umano non è meno drammatica e cruenta delle precedenti.E’ consolante questo rinnovato interesse per la figura del combattente capace d’incarnare istanze costruttive, che ha trovato una recentissima espressione nel film “Il Comandante”, che rappresenta l’Italia alla Biennale di Venezia. Ma vediamo in concreto quali sono queste culture “altre” con cui dialogare.
1.La lingua cinese e i “San Yao” La più vasta delle comunità culturali del mondo è costituita dalla Sinosfera, unificata dall’uso millenario dei caratteri cinesi e dalle culture taoista, confuciana e buddhista (le “Tre Scuole”=”San Yao”). Ne fanno parte, oltre alla Cina, le due Coree, il Giappone, il Sud Est Asiatico. Esse sono caratterizzate dal sincretismo – appunto, i “San Yao”-, lo spirito gerarchico, l’epistocrazia (il governo dei più istruiti), Grazie a queste loro caratteristiche, rimaste intatte in 5000 anni di storia, questi Paesi hanno costituito duranti millenni, una serie di imperi fra loro simili, legati da un concetto simile di legittimità (il “Madato del Cielo”=“Tian Ming”), che oggi si sono trasformati in Stati Nazionali (salvo la Cina, che si autodefinisce “Stato-Civiltà”). Il carattere sincretico della civiltà sinica le ha permesso di assorbire, oltre ai proverbiali San Yao, anche le religioni popolari del popolo Han e delle molte minoranze etniche, lo sciamanesimo,lo Shintoismo, il “Cristianesimo con caratteristiche cinesi”, l’Islam, e, infine, la modernità occidentale, sotto la forma del “Socialismo con caratteristiche cinesi”. Mentre gli Occidentali criticano la Cina per il suo centralismo, il suo profondo solidarismo e il suo autoritarismo, i Cinesi ribattono giustamente che, al di là della forma giuridica ricalcata su quella di uno Stato occidentale, in realtà la Cina è estremamente decentrata attraverso vari livelli gerarchici: villaggio, prefettura, città, metropoli, provincia, senza contare le province autonome, le aree metropolitane e l’Area della Grande Baia, con Hong Kong e Macau aventi un loro status speciale. Quanto al solidarismo, esso non è un male, bensì ciò che ha permesso alla Cina di risollevarsi, tornando a prima dei “100 anni di umiliazione”, dalle Guerre dell’ Oppio, ai Taiping, al sacco di Pechino, alla spartizione in sfere d’influenza, ai Signori della Guerra, all’ Occupazione Giapponese, alla Guerra Civile. Quanto all’ autoritarismo, esso costituisce un tratto caratteristico dei “valori asiatici”, dell’ “Homo hierarcicus”, comune con l’india e il Giappone, e si giustifica anche con la situazione di conflittualità con l’Occidente in cui questi Paesi hanno dovuto sopravvivere dopo le Guerre dell’Oppio, il Sacco di Delhi e la Seconda Guerra Mondiale. Le capacità della Cina di indicare nuove vie al resto del mondo, si sta già ora manifestando in modo spettacolare con l’approvazione, da parte del Congresso Americano, dell’”IRA” (“Inflation Reduction Act”), che è una politica industriale ricalcata, secondo le parole del suo promotore (Schmidt)proprio su quella cinese, per non parlare dei treni ad alta velocità e dell’auto elettrica,tecnologie ultramoderne tipiche della transizione ecologica, in cui la Cina sta dimostrando la propria leadership mondiale. Tuttavia, il settore in cui la Cina ha più da insegnare è la filosofia, e, in particolare, la filologia. Infatti, la lingua cinese, e il modo magistrale in cui Confucio (o chi per lui) l’ha forgiata, permette di risolvere problemi che, con la logica rigida delle filosofie occidentali, e, in particolare, delle lingue indoeuropee, non sarebbero conseguibili. Il precipitare a valanga del mondo globalizzato verso la Fine della Storia diviene, in Cina, la prospettiva molto più soft di “uno Xiaokang”, una “società moderatamente prospera”, e perfino la “Grande Armonia “(“Da Tong”), supremo ideale politico del Confucianesimo, si rivela essere, se confrontata con le utopie occidentali, solo la sobria realizzazione della gestione secondo giustizia dell’esistente, in modo né deterministico, né irreversibile. Anche per questi motivi, Fenollosa e Pound consideravano le lingue cinese e giapponese come le più adatte alla poesia, e, nei “Cantos”di quest’ultimo, che si professava confuciano, abbiamo la presenza massiccia di citazioni dagli Analecta. Ora, si dice anche che la Cina è minacciosa, perché la sua pretesa di centralità, espressa addirittura dal suo nome (“Zhong Guo”=”Paese di Mezzo”) sarebbe incompatibile con la sua pretesa di creare un mondo multipolare. Premettiamo subito che tutte le civiltà hanno una pretesa di centralità: quella egizia, quella indù, quella persiana, quella greca, quella romana, quella islamica, quella europea, quella americana. Ciò che distingue dalle altre la nozione cinese di “Tian Xia” (“Ecumene”) è il “Soft power”, il governare “senza fare” (“wei wu wei”) del saggio taoista, che comanda alla natura e agli uomini attraverso l’influenza della sua saggezza e con pratiche che definiremmo “magiche”.Un concetto simile alla Satyagraha o Ahimsa indiana, impropriamente tradotta com “non violenza”. Nello stesso senso, la civiltà sinica è tradizionalmente pacifista, non già nel senso che non conosca la guerra (ché, anzi, fu l’inventrice dell’ Arte della Guerra), bensì in quello che punti a una guerra che minimizza i costi umani. Secondo l’Arte della Guerra di Sun Zu, l’obiettivo del condottiero è “Conquistare il Tian Xia senza uccidere nessuno”, che è precisamente ciò che ispira le Nuove Vie della Seta e l’”allargamento dei BRICs” oggi in corso.
2.L’India, all’ origine di molte cose in Occidente. L’India pare avere già superato la popolazione della Cina. Essa è stata sempre un paese di una tale vastità, da avere esportato, come la Cina, un po’ di tutto: dalla matematica al monachesimo(buddhista), dalla Religione Universale (Din-i-Ilahi), al mito del’Età dell’ Oro vedica (Tilak), fino all’ antimodernismo radicale di Gandhi (“Hind Swaraj”), simboleggiato dall’ arcolaio che è figura della sfera del mondo che l’Imperatore del India (Cakravartin) faceva girare, e che ora ogni Indiano ha potuto fare girare sotto la guida di Gandhi. Si distinguono: -Chakravala chakravartin, sovrano che regna su tutti i continenti come previsto nella cosmografia indiana (monarca universale) -dvipa chakravartin, sovrano che regna su un solo continente -pradesha chakravartin, sovrano locale, che regna su una parte del continente Ma l’India, che ha appena inviato un veicolo sulla Luna, aveva inventato anche, con Mawlana Mawdudi, il moderno Islam politico. Anche l’India, seppure per motivi diversi dalla Cina, appare come l’opposto dell’ Occidente. Infatti, essa conserva integralmente, unica fra le grandi civiltà moderne: -l’integralità dei suoi culti politeistici, appena mitigati dall’ influsso buddhistico; -un sistema di caste ben più complesso e indistruttibile di quello dell’ Ancien Régime europeo. Attualmente, le caste (jiati) sono circa 7500, ed hanno un significato economico e sociale enorme, soprattutto per ciò che riguarda le strategie matrimoniali delle famiglie. La stessa Costituzione indiana, teoricamente contraria alle caste, parla di “caste protette”, e lo sforzo dei ceti deboli è stato, in questi decenni, non già quello di abolire le caste, bensì di inserirsi fra le “caste protette”. Tanto Guénon, quanto Evola, avevano assunto l’India quale modello prioritario per ricostruire le Società Tradizionali, anche se il primo si convertì invece all’ Islam, e il secondo non fu insensibile al fascino nella cultura cinese.
3.L’Islam globale Con circa 2,07 miliardi di fedeli, ossia il 25% della popolazione mondiale, l’islam è la seconda religione del mondo per consistenza numerica (dopo il cristianesimo) e vanta un tasso di crescita particolarmente significativo ( è considerata la religione col tasso di crescita più alto).Il 13% dei musulmani vive in Indonesia, che è anche il paese musulmano più popoloso, il 25% nell’Asia meridionale, il 20% in Vicino Oriente, Maghreb e Medio Oriente e il 15% nell’Africa subsahariana E’ suddiviso in varie denominazioni (sunniti, sciiti, ismaeliti,ma anche alawiti, ahmadiyya, drusi), e varie scuole di pensiero giuridico Hanafismo, Malikismo, Sciafeismo, Hanbalismo e confraternite Sufi (Mawdudiyya,Qadiriyya, Naqsbandiyya, Beqtashiyya, Senussiyya, Salafiyya). Nonostante la grande differenza di culture e costumi, derivanti dalla cronica assenza di unità geopolitica e statuale, ma anche dalla dispersione su tre continenti e su una cinquantina di Stati, gli Islamici hanno comunque delle caratteristiche comuni, in primis la fede nel Corano in lingua araba (al-Qur’an al-‘Arabi), le cinque preghiere quotidiane, il divieto dell’ alcol, il velo femminile (pure nelle infinite varianti locali), l’assenza di clero e la commistione fra diritto civile e religioso. L’Islam è forse il credo che suscita maggiore scandalo negli Occidentali, innanzitutto per il regime consuetudinario differenziato applicato alle donne, e, poi, per il ruolo fortissimo dei teologi ( ‘Ulamà, Fuqahà, che, di badi bene, non sono sacerdoti, bensì semmai giuristi), nella vita politica, sociale e individuale. A causa della sua fortissima coerenza interna e per la sua conservazione di molti aspetti delle società tradizionali, anche pre-islamiche (costumi tribali), l’islam costituisce tuttora un forte polo di aggregazione, anche in Occidente, per coloro che non accettano la globalizzazione occidentale
4.”Africa torna a noi” L’umanità proviene dall’ Africa (“out of Africa”), ed è naturale che questa mantenga più forte l’imprinting dell’uomo primitivo. Ciò costituisce una grande ricchezza, non solo per gli studiosi della storia umana, ma anche per i tentativi di restaurazione di un’umanità più autentica. Per questo, è illusorio tentare di fare della società africana una copia conforme di quellaoccuidentale, ivi compreso il concetto di Stato centralizzato. Certo, per alcune funzioni geopolitiche, esiste l’Organizzazione dell’ Unità Africana; per certe funzioni centrali, esistono degli Stati che sono talvolta importanti federazioni (Nigeria, Sudafrica), ma, al di sotto e con grande resilienza , esistono le etnie (Wolof, Malinke, Dioula, Fulani, Bamileke, Ewe, Hausa, Youruba, Ibo, Zulu, Xhosa, Sotho, ecc…), le tribù, i clan familiari….La politica e la società sono ancora organizzate in base a queste strutture intermedie. Nello stesso tempo, gli Africani non hanno ancora perduto la loro ancestrale energia vitale, ed oggi aspirano ad espandere questa loro vitalità a livello internazionale, da un lato con le migrazioni, dall’ altro con uno sforzo di ulteriore decolonizzazione, contro la tutela dell’ Occidente e a fianco dei BRICS. E’ di questi giorni una serie di insurrezioni nell’ Africa Occidentale contro la tutela occidentale che potrebbero segnare una svolta nella storia dell’ Africa.
5.L’America Latina di Papa Francesco Nonostante che il Sudamerica costituisca il più grande esperimento d’ ibridazione fra popoli, con la sua intatta base etnica vetero-americana (soprattutto in Messico e nelle Ande), con una potente iniezione di Europei, per lo più neolatini (soprattutto intorno al Rio de la Plata),e con i suoi molti nazionalismi, essa si considera come una sola grande nazione, che va dal West statunitense fino alla Terra del Fuoco (“la Patria Grande” di Urarte), e, addirittura, come una “Razza” a parte, tant’è vero che annualmente si celebra in tutta la Latinoamerica, compresi gli USA, “el Dia de la Raza”, una “razza” che i Nordamericani chiamano “Latinos”. E’ difficile dire che cosa costituisca lo specifico del Sudamerica. Forse, il substrato di costumi e di credenze pre-colombiame; forse la forte impronta cattolica; forse ancora la rivalità mimetica con gli USA (Yanquis, Gringos). Certo, l’America Latina sta acquisendo via via un peso maggiore sulla scena internazionale, grazie anche all’elezione di Papa Bergoglio, orgoglioso sostenitore di una specifica via cattolica americana (i Sinodi di Aparecida, Medellin e Puebla, e l’enciclica “Querida Amazonia”), e, infine, con la recentissima adesione di Brasile e Argentina ai BRICS.
6.Il Ruskyj Mir Personalmente credo che la Russia faccia parte dell’Europa perché il suo carattere ibrido (al contempo europeo e asiatico, sedentario e nomade), è in realtà comune a tutta l’Europa Centro-Orientale, con le forti presenze un po’ ovunque di Ashkenazim, Rom, Ugro-Finni ed Uralo-Altaici, islamici e caucasici; con le origini iraniche degli Slavi del Sud, quelle turciche dei Bulgari e quelle uraliche dei Magiari. In questa commistione, le differenze fra gli Slavi Orientali e gli altri popoli dell’Europa centro-orientale sono quantitative, non qualitative. Ciò detto, molti, a cominciare da molti pensatori russi, hanno sottolineato una qualche forma di alternatività fra Russia ed Europa, chi per escludere la Russia, considerata un Paese arretrato, per sua natura ostile all’ Europa (l’”Eredità di Cinggis Khan” del Principe Trubeckoj), chi per vederne un ruolo messianico (la Santa Russia), salvatrice dell’Europa corrotta, sulla falsariga delle vittorie su Napoleone e su Hitler. Il comportamento reciproco di Russia e Europa negli ultimi 35 anni ha portato alle estreme conseguenze questa seconda visione, esasperando l’orientamento anti-tradizionale dell’Europa occidentale-divenuta così a buon titolo oggetto degli strali della Chiesa ortodossa-,mentre la Russia, perduta la missione messianica dell’ era sovietica, ne ha ritrovata una nuova nella dostojevskiana “salvezza dell’ Europa”. La guerra in Ucraina è divenuta così sempre più una guerra di religione fra l’ortodossia russa e la “teologia politica” occidentale. Per questo motivo, questa guerra non potrà cessare fino a quando il dibattito culturale non permetterà di dissolvere “a monte” gli stereotipi degli uni e degli altri: -quello della Modernità quale terra della libertà, che occulta in realtà la presa del potere da parte delle Macchine Intelligenti; -quello dell’ Ortodossia che mantiene intatto l’autentico insegnamento cristiano. In questo senso la cultura potrà avere un ruolo determinante non solo per il Cristianesimo e per l’Europa, ma addirittura per il futuro del mondo.
7.La Civiltà Ebraica Neppure Israele si considera del tutto parte dell’ Occidente. A parte il fatto che Eisenstadt credeva nell’ esistenza di un’autonoma “civiltà ebraica” nel significato dato da Spengler e Toynbee al termine civiltà, e Buber che Israele darebbe divenuto il centro del mondo, soprattutto oggi le tendenze nazional-religiose hanno assunto un peso tale, che l’idea dell’ assimilazione ad un’altra parte del mondo ha perduto in Israele la sua attrattività (cfr. Hazori).
8.Gli “Stati Disuniti d’ America“ In quanto “Paese di emigranti”, gli Stati Uniti hanno avuto la pretesa di “assimilare”,nobilitandole, tutte le culture del mondo, così come assimilavano emigranti da tutto il mondo. L’esempio più tipico di quest’ assimilazione sarebbe costituito dalla cultura pop: dagli “spirituals” al “Jazz”; da”West Side Story” a Woodi Allen; da Exodus a Ben Hur; da Quo Vadis a “I 10 Comandamenti”; da Spartaco a Robin Hood, da Santa Klaus a Barry Lyndon: tutti personaggi eminenti nelle rispettive culture, ma restituiti “americanizzati” dalla cultura pop americana; immagini concrete di ciò che ciascuno di noi dovrebbe diventare. E, tuttavia, questa pretesa si sta incagliando di frante all’ incapacità del nocciolo duro WASP di accettare di trattare su un piede di parità le altre componenti della società americana, in primo luogo gli afro-americani, “immigrati” contro la loro volontà e mantenuti da sempre in uno stato di inferiorità. La pretesa di assimilare le più diverse culture viene oggi attaccata propro dalle principali culture minoritarie come “appropriazione culturale”, mentre quella dei WASPs di affermare una loro autonoma esistenza quali Americani di origine europea viene attaccata dalla “Cancel Culture”, che dipinge l’eredità europea degli USA come la rappresentanza estrema delle epoche passate dedite all’ autoritarismo, al machismo, allo schiavismo, al colonialismo e alla guerra. Gli Stati Uniti sono oggi un Paese molto diviso, fra chi lo vorrebbe unito, ma sempre più lontano dalla sua identità settecentesca, e chi lo vorrebbe nettamente diviso su base etnica. E’ paradossale che questo Paese diviso stia ancora pretendendo di imporre al resto del mondo una propria cultura, quando, al suo interno, non è capace di darsene una ( “Who we are?”di Huntington). Questo costituisce la maggiore debolezza degli USA, che emergerà con ancora maggior forza alle prossime elezioni presidenziali.
9.L’Europa, “Trendsetter of the Global Debate”? L’Europa è ancora più spaesata dell’ America dinanzi a questo mondo che cambia.Intanto, pure di fronte a situazioni storiche palesemente diverse, fa paradossalmente proprie diatribe tipicamente endoamericane, come quella sul razzismo. In secondo luogo, vi è una tensione evidente fra un inedito filo-occidentalismo, comprendente soprattutto la sinistra, e un altrettanto inaspettato convergere di simpatie per i BRICS da parte di tradizioni politiche tanto “di destra”, quanto “di sinistra”. In definitiva, l’Europa è demoralizzata e priva di nerbo: non ha il coraggio di dibattere sulla propria identità, ma preferisce dividersi in opposte partigianerie a favore di altre parti del mondo. Eppure, questa situazione potrebbe costituire l’occasione per un ritorno in grande stile dell’ Europa sul proscenio mondiale, facendosi essa interprete proprio di quella “comparazione” che, secondo Nietzsche, caratterizzerebbe la Modernità. L’Europa ha inaugurato, con i Gesuiti, lo studio comparatistico delle grandi civiltà, e, in primo luogo, la filologia comparata, la sinologia lo studio dei popoli sudamericani. Essa ha posto per prima le questioni che concernono l’’Uebermensch (=Superuomo, Oltre-uomo?), e ha intravisto la sua biforcazione fra una rivisitazione dei valori assiali (Nietzsche) e la Mega-Macchina (Huxley, Anders, Teilhard de Chardin).L’Europa ha tentato, anche se con un approccio macchinoso, supponente e inconcludente, di darsi un corpus Juris che governi e disciplini l’informatica. Con un rinnovato taglio culturale e politico, potrebbe veramente guidare il più che mai necessario cambiamento. 11.Il dialogo internazionale sul cyberspazio Già alla luce di questo esame “comparatistico” delle principali aree di oggi della civiltà mondiale risulta evidente come sia incredibilmente presuntuosa e fanatica la pretesa degli Occidentali di “convertire” il mondo intero ai loro credi, ai loro valori, alla loro logica e alle loro istituzioni, pretesa sconfitta sistematicamente nella storia (al Cyber Pass come in Palestina, in Corea come in Vietnam, a Cuba come in Iran, in Turchia come in Afghanistan,in Cina come in Crimea), e meno sostenibile che mai oggi, di fronte all’ auto-affermazione sempre più assertiva dei BRICS. Visto dunque che si è rivelata impraticabile la strategia della “debellatio” preconizzata da Condorcet e ripresa nel secolo successivo da Emerson e Whitman , occorre ricercare un’altra forma di convivenza mondiale, che viva proprio nella comparazione fra le varie civiltà per trarne soluzioni concrete alle più scottanti questioni dell’oggi. Il che presuppone innanzitutto un nuovo ceto d’intellettuali mondiali, che parta dallo studio della filologia generale e comparata, delle religioni, filosofie e letterature comparate, dalla storia mondiale, dal diritto comparato, dall’ibridazione fra educazione fisica, arte, scienza e politica, fino a pervenire allo stabilimento di un dialogo continuo fra tutti gli ecosistemi, cominciando dal rapporto uomo-macchina. Paradossalmente, mentre non si avvia, e, anzi, si tende piuttosto a chiudere, il dialogo culturale multipolare(per esempio, quello avviato intorno agli Istituti Confucio), le Grandi Potenze si sono rese conto della necessità di un dialogo mondiale almeno sul controllo del Cyberspazio. Nonostante che quest’ultimo non si presti a meccanismi di controllo come quelli adottati a suo tempo per le armi nucleari, per molte ragioni, fra le quali il suo carattere duale ed invisible, nonché la sua gestione da parte di soggetti privati, gli USA e la Cina hanno messo in opera diverse piattaforme formali per il cyber-dialogo (China-U.S. Law Enforcement and Cybersecurity Dialogue; discussioni and cooperazione nell’ ambito dell’ASEAN Regional Forum, l’Interpol Asia and South Pacific Working Party on IT Crime; UNGGE; Guanchao Forum). Non è poi del tutto vero che l’Europa non abbia partecipato, in un qualche modo, a questo trend. Nel corso degli ultimì decenni, l’Unione ha elaborato faticosamente, sulla base delle negative esperienze avute in campo informatico, come per esempio gli scandali Echelon e Prism, in cui le aspettative di tutela della privacy degli Europei erano state grossolanamente violate dalla Intelligence Community, una complessa e macchinosa legislazione in materia, che in teoria permetterebbe una tutela almeno formale dei cittadini, se non fosse che i soggetti che dominano l’informatica europea sono in America e godono di un’impunità di fatto (grazie anche alla connivenza delle Istituzioni) dalla giurisdizione della Corte di Giustizia, che pure le avrebbe sanzionate con le Sentenze Schrems. Ancora recentissimamente è entrato in vigore un ennesimo regolamento europeo che, in violazione delle sentenze Schrems, permette il trasferimento in blocco dei dati degli Europei negli Stati Uniti, dove è certo ch’essi non godono dei diritti europei sulla privacy. Sta di fatto che, dal punto di vista formale, la legislazione europea, elaborata come reazione e come paravento di questa incresciosa impunità, è oggi la più completa in materia, anche se resta deliberatamente inattuata. Ebbene, l’intero “pacchetto” di questa legislazione europea sul digitale, sfrondato del barocchismo della legislazione UE e ridotto all’essenziale, è stato trasformato in legge dalla Repubblica Popolare Cinese, la quale ha riscontrato immediatamente che neppure le multinazionali cinesi dell’ informatica (i BAATX) rispettavano i principi universamente ammessi dell’etica digitale. Tuttavia, visto che i BAATX sono in Cina e sono pienamente soggetti alla legge cinese, immediatamente dopo l’approvazione del pacchetto, i BAATX hanno subito pesanti sanzioni, che per poco non distruggevano perfino l’impero di Jack Ma. Tuttavia, superata questa fase conflittuale, e accettata la supremazia della legge sulla tecnocrazia, i BAATX così “purificati” sono ora stati rilanciati sui mercati internazionali, quale modello di imprese informatiche di orientamento legalitario e umanistico. Nessuno di questi trend è, di per sé, particolarmente positivo, proprio perché manca una base culturale che li unifichi al di là delle difficoltà e contingenze politiche, conferendo ad essi la forza di un reale movimento sociale. Tuttavia, questa è la sola trama oggi avviata che, se s’instaurasse il dovuto clima di dialogo, potrebbe portare a un reale dibattito sul futuro del mondo, che potrebbe evitare il pericoloso baratro di disumanizzazione e di guerra verso cui siamo oggi avviati.
Cette étude affronte le thème de l’introduction du livre numérique dans le marché de l’édition. Il met en évidence ses caractéristiques, ses qualités et ses défauts par rapport au format traditionnel, offre une vision complète des principales questions qu’il soulève et fait le point sur l’évolution du marché du livre numérique international. Alors que la diffusion de plus en plus importante et accélérée du livre numérique apparait inévitable, le monde de l’édition doit nécessairement savoir se rénover et accueillir le nouveau format pour répondre aux nouvelles exigences des lecteurs et saisir les opportunités qu’il offre. Cette étude démontre que le numérique n’est pas en train de prendre la place du livre papier, mais, au contraire, que le lecteur pourra désormais choisir entre différents formats de livres, selon les usages et les différentes situations de lecture. En ne prétendant pas prévoir l’avenir du livre et de la lecture, l’auteur nous offre les clés de lecture pour comprendre la révolution numérique en cours, en prenant appui sur des données et des statistiques concrètes..