Per quanto l’idea di un Declino dell’ Occidente sia oramai entrata addirittura a far parte dei luoghi comuni, l’ultimo libro di Todd (ovviamente subito attaccato in modo furibondo dalla stampa dell’establishment) riesce ancora a distinguersi per la sua originalità, consistente in una lettura molto più analitica del consueto dei vari anelli che ci congiungono con la transizione geopolitica oramai atto sotto i nostri occhi.
1.Nichilismo e decadenza
Innanzitutto, il ruolo, nella decadenza dell’Occidente, del nichilismo, concepito comel’incapacità, tanto del pensiero, quanto delle religioni, occidentali, di risolvere in modo credibile le proprie contraddizioni, per giungere fino al momento attuale, in cui le nostre società non hanno addirittura più alcun fondamento logico, né esistenziale, su cui posare. Quell’essere “auf nichts gestellt” anticipato già da Goethe, e ripreso perfino da Spinelli nei suoi diari “notturni”.
Un nichilismo che, per Todd (e per tanti altri), è coevo e coestensivo della moderna secolarizzazione, ma che, invece, a mio avviso, trova le proprie radici molti secoli, se non millenni,prima: già nelle teologie negative, nei presocratici, nella tragedia greca e nella Patristica, il che fa, del “Tramonto dell’ Occidente” un dramma da gran tempo annunziato.
Come sostenevano brillantemente già Hegel, Nietzsche e Weber, anche per Todd “il cristianesimo è stato la matrice religiosa di ogni nostra successiva credenza collettiva”. La crisi dell’Occidente viene perciò ricondotta, in modo per altro non molto originale, alla crisi dell’ identificazione fra “Cristianità ed Europa”, per dirla con la fortunata formula di Novalis. O, come aveva scritto il giurista Boeckenfoerde,“La modernità vive di premesse ch’essa non può garantire”
Ciò è particolarmente vero, per Todd, nei Paesi protestanti, dove la religione civile moderna s’identificava proprio con un millenarismo secolarizzato(cfr. Max Weber), mirabilmente espresso da William Blake:
“And did those feet in ancient time Walk upon England’s mountains green? And was the holy Lamb of God On England’s pleasant pastures seen?
And did the Countenance Divine Shine forth upon our clouded hills? And was Jerusalem builded here Among these dark Satanic mills?
Bring me my bow of burning gold: Bring me my arrows of desire: Bring me my spear: O clouds unfold! Bring me my chariot of fire.
I will not cease from mental fight, Nor shall my sword sleep in my hand Till we have built Jerusalem In England’s green andpleasant land. “
Orbene, se tale era l’obiettivo originario della Modernità – quello di realizzare nell’ immanenza gli obiettivi perseguiti nella trascendenza dalle religioni di salvezza-, è proprio questa “Religione Civile” quella che non funziona più, rendendo quest’Occidente a guida anglosassone particolarmente debole nei confronti del resto del mondo.
La secolarizzazione dell’ Occidente ha seguito ovunque, per Todd, varie fasi, di cui citiamo qui solo le ultime:
-una prima, definita come “zombi”, “in cui perdurava la maggior parte dei costumi e dei valori della religione ormai scomparsa (in particolare, la capacità di agire collettivamente)”.Esempio tipico:L’idea delle “Radici cristiane dell’ Europa”, che significa che il Cristianesimo è già finito, sostituito dalla Religione del Progresso, che utilizza dei valori cristiani come base per la propria etica;
-la seconda, quella attuale, definita come “stato zero”: “un vuoto religioso assoluto, in cui gli individui sono privi di ogni credenza religiosa sostitutiva”. E, quindi, anche di una serie di corollari, quali “il sentimento nazionale, l’etica del lavoro, una morale sociale vincolante, la capacità di sacrificarsi per la comunità”.E’ la società attuale, in cui, alla mancanza di fondamenti culturali, subentrano gli automatismi della società del controllo totale.
2.Nichilismo e guerra in Ucraina
Secondo Todd, la logica di questa transizione sarebbe messa in definitiva evidenza dalla guerra in Ucraina, che, secondo quest’autore, sarebbe stata scatenata nel 2022 dai Russi in base ad una valutazione obiettiva proprio del processo di degenerazione dell’Occidente (“Gniloj Zapad”), per altro da essi teorizzato con dovizia di particolari fin dall’ inizio dell’ Ottocento (cfr. Derzhavin, Danilevskij, Tiutchev, Dostojevskij, Leontijev, Soloviov, Berdjajev).
Gli autori dell’ “establishment” italiano stanno finalmente incominciando a prendere doverosamente sul serio i progetti culturali della Russia. Per esempio, Ezio Mauro, su “La Repubblica del 13 Ottobre, osserva la grande coerenza fra l’intervento di Putin alla Conferenza di Monaco sulla sicurezza, contro il modello unipolare, con cui “puntava a proporsi come l’artefice in esclusiva di un modello alternativo, l’architetto di un nuovo ordine mondiale, capace di costruire un diverso sistema da proporre ai Paesi non occidentali come una vera e propria rivoluzione conservatrice, emancipatrice e autonoma, con l’obiettivo titanico di spostare l’assedel mondo sottraendolo all’ Ovest, con il cambio di riferimento che ne consegue”.In realtà, la ricostruzione di Mauro è reticente, perché Putin, inoccasione dei 50 anni di Europa, aveva pubblicato, sulla prima pagina de “La Stampa” di Torino un lungo articolo in cui, dopo avere affermato che l’Unione Europea costituiva la miglior realizzazione politica del XX° Secolo, aveva anche affermato di sentirsi, in quanto pietroburghese, a tutti gli effetti europeo. E, nell’incontro a Berlino con l’Associazione dei manager tedeschi, aveva paragonato la propria vocazione a “fare l’Europa”, a quella di Kohl, il quale aveva appena riunificato la Germania: “rimbocchiamoci le maniche”! La trasformazione della politica russa deriva dal rifiuto da parte europea di questa “fusione fra eguali”, mentre l’agenda segreta dell’Occidente prevedeva invece (e ancora prevede) l’assorbimento graduale degli Slavi Orientali, con l’obiettivo di mantenerli subordinati culturalmente, ideologicamente, politicamente, economicamente e militarmente, all’ Occidente a guida americana, sisfacendo infine la Federazione Russa nello stesso mocdo in cui era stata disfatta l’Unione Sovietica.
Dopo lo storico scontro fra von Der Leyen e Orbàn al Parlamento Europeo, anche Sergio Fabbrini, su “Il Sole 2riabilita quest’ultimo:”Il merito di Viktor Orban è stato quello di sfidare aprertamente la maggioranza che sostiene Von der Leyen. Il suo demerito è quello di non offrie alternative alle politiche perseguite dalla Commissione Europea.” In sostanza, Orbàn riempie un vuoto enorme, che spiega l’irrilevanza del sistema politico europeo. Infatti, quest’ultimo, che si pretenderebbe modello di liberaldemocrazia da imporsi al mondo intero, manca invece dell’elemento fondamentale di un sistema liberale: l’opposizione: è quindi oggi un’ideocrazia totalitaria governata da una minoranza di fanatici messianici. Orbàn, ponendosi apertamente come unico serio oppositore riconosciuto alle politiche del sistema costruito intorno alla von der Leyen, ha fatto ripartire una dialettica parlamentare indispensabile per una trasformazione radicale dell’Unione senza eventi traumatici . Infatti, egli afferma espressamente contro l’Unione Europea, di volerne cambiarne mentalità, ideologie, significato e programmi.
E ciò è fondamentale in questo momento, come conferma il recentissimo libro di RayKurzweil, “The Singulartity is Nearer”, c’è sullo sfondo l’urgenza della corsa all’ Intelligenza Artificiale, che potrebbe sparigliare le carte (cfr.p.es. Evgeny Morozov). Per questo Eric Schmidt e il Senatore Schumer si sono tanto adoprati per fare approvare dal Congresso uno stanziamento straordinario per l’informatica, e Musk e Altmann sfidano ogni genere di limiti legislativi per realizzare al più presto i loro obiettivi post-umanistici.
In sostanza, la Singularity (ora prevista dallo stesso Kurzweil, che ne è il più grande progettista, per il 2029, cioè fra 5 anni) avrebbe come effetto immediato il controllo assoluto, da parte del sistema digitale, sull’ insieme dei dati su tutti i cittadini dell’Emisfero Occidentale, e, quindi, sulla gestione, da parte loro, della gran parte delle loro disponibilità finanziarie, per lo più “offshore”. Tale controllo viene già usato come strumento di ricatto nel caso di disubbidienza alle direttive americane (come ci ha insegnato per esempio la vicenda degli oligarchi russi). Todd ci informa anche che, a partire dagli Anni Ottanta, quelle disponibilità che erano “parcheggiate” in Svizzera, al riparo da occhi indiscreti, anche americani, ma con tassi d’interesse bassissimi (se non negativi), sia stata recentemente sparsa nei paradisi fiscali situati in territori coloniali controllati dai “Five Eyes” anglosassoni: Isole Vergini, Samoa, Palau, Marshall, isole britanniche, Costa Rica e Panama.
Todd spiega l’assoluta disciplina atlantica dimostrata negli ultimi tempi dall’“establishment” europeo in gran parte con questo controllo poliziesco, divenuto centrale per l’America, da un lato, per controbilanciare la propria perdita di influenza economica sul resto del mondo (vedi de-dollarizzazione), e, dall’ altro, per compensare lo squilibrio crescente della bilancia commerciale USA nei confronti degli altri Paesi occidentali, che potrebbe conferire a questi ultimi, una rinnovata influenza sull’America.
Ma anche sul fronte dell’informatica il giornalismo “mainstream” sta riposizionandosi rapidamente. Commentando, per “Il Sole 24 Ore” del 13 “Technopolitique” di AsmaMhalla e “The Tech Coup” di Marietje Schaake, Luca de Biase esordisce affermando che il potere dei GAFAM “è cresciuto a dismisura. Sono accolti da primi monistri e presidenti, in mezzo mondo, come capi di stato.E come talisi comportano.Anche perché molto spesso, praticamente, lo sono.I leader delle Big Tech decidono il codice- la legge- che governa il comportamento di miliardi di persone. Organxzzano la soluzione di controversie, puniscono e premiano i loro utenti, in base a criteri che loro stessi definiscono, senza alcuna trasparenza. Hanno una politica estera. Intervengono nelle guerre e scelgono in quale campo stare nelle battaglie elettorali.” Dice Mhalla: “sono vettori della potenza americana e nello stesso tempo si trovano in dialettica con il potere politico degli Stati Uniti..”
Quanto alle alternative, è chiaro che nessuno vuole proporle perché, in un momento, come questo, di grande conflittualità nel mondo, c’è il rischio che chi lo facesse in modo serio venga travolto in modo brutale dai poteri forti. Basta vedere come Israele usi la forza in modo indiscriminato non solo contro i suoi avversari e i propri nemici dichiarati, bensì perfino contro le Nazioni Unite e contro i suoi alleati appena recalcitranti come l’ Italia. “La Stampa” enumera oggi ben 174 attacchi di Israele contro il diritto internazionale.
Per altro, l’attività di Alpina e di Diàlexis è stata fin dal principio basata sull’ idea di fornire queste alternative, stante la carenza del mondo politico. Basti ricordare “Cento Idee per l’ Europa” e, più recentemente, “Verso le Elezioni Europee, I partiti europei nella tempesta”, che invitiamo tutti a rileggere e discutere.
3.” Se l’Ucraina perde la guerra a vincere è l’Europa”
Secondo Todd,in netta controtendenza rispetto ai media mainstream, « È l’esito di questa guerra che deciderà il destino dell’Europa. Se la Russia venisse sconfitta in Ucraina, la sottomissione europea agli americani si prolungherebbe per un secolo. Se, come credo, gli Stati Uniti verranno sconfitti, la Nato si disintegrerà e l’Europa sarà lasciata libera.” “Infatti,”Con 144 milioni di abitanti, una popolazione in calo e 17 milioni di kmq, lo Stato russo fa già fatica ad occupare il suo territorio. La Russia non avrà né i mezzi né il desiderio di espandersi, una volta ricostituiti i confini della Russia pre-comunista. L’isteria russofobica occidentale, che fantastica sul desiderio di espansione russa in Europa, è semplicemente ridicola per uno storico serio ».Invece, chi ha un bisogno esistenziale di continuare a controllare l’ Europa, e, per questo, è disposto a qualunque cosa, è il Complesso Informatico-Digitale americano, che, grazie all’ Europa, riesce a mantenere un certo equilibrio con il resto del mondo:«Durante la guerra in Iraq, dopo il Kosovo, Putin, Schröder e Chirac hanno tenuto conferenze stampa congiunte. Questo terrorizzava Washington. Sembrava che l’America potesse essere espulsa dal continente europeo. La separazione della Russia dalla Germania divenne quindi una priorità per gli strateghi americani. Peggiorare la situazione in Ucraina è servito a questo scopo. Costringere i russi ad entrare in guerra per impedire l’integrazione di fatto dell’Ucraina nella Nato è stato, inizialmente, un grande successo diplomatico per Washington.”
5.Fra 5 anni, la Singularity
Le trasformazioni in corso, dall’Intelligenza Artificiale alla bioingegneria, dalle armi autonome alla conquista dello spazio, procedono senz’ alcun coordinamento politico. Esse sono invece nelle mani di una ristrettissima cerchia di addetti ai lavori, da Musk a Zuckerberg, da Altmann a Durov, che, lungi dall’ accettare le regole imposte dalle autorità, impartiscono essi stessi ordini alle stesse, disponendo del denaro, delle conoscenze, degli strumenti e dei media, da cui dipende il futuro dei politici e dei funzionari, e delle informazioni riservate sulla loro vita e sui loro patrimoni (cfr. supra). Basti vedere i massicci, e indisturbati, interventi, sulla politica americana, di Zuckerberg, Schmidt e Musk, e l’atteggiamento servile verso gli stessi da parte dei vertici americani ed europei.
Todd cita a questo punto una frase illuminante di Heidegger: “Ciò che è veramente inquietante non è che il mondo diventi un mondo completamente tecnico. Di gran lunga più inquietante è che l’uomo non sia affatto preparato a questa trasformazione del mondo”.
Così, la tempistica della Singularity sarà determinante per il futuro dell’ Umanità, e innanzitutto per l’esito dei conflitti in corso. Si noti che Kurzweil insiste sulla sua originaria previsione della Singularity per il 2029, mentre Elon Musk ed altri indicano date ancor più ravvicinate, cioè nel bel mezzo dei conflitti in corso.
E’ significativo che, invece, i media mainstream non sottolineino affatto questo nesso temporale, che incide pesantemente sulle ragioni e il significato dell’incipiente guerra (cfr. Morozov, supra). Secondo Kurzweil, ci vorranno altri 16 anni, dal 2029 al 2045 perché la corteccia cerebrale dell’Umanità venga collegata al cloud, come si tenta di fare con il suo Progetto Neuralink e con il progetto DARPA “Neural Engineering System Design”. In quel momento, gli esseri umani si identificherebbero con l’ Intelligenza Artificiale, come era stato previsto già addirittura da Averroè con il suo Intelletto Attivo, da Hegel con il suo lo Spirito Assoluto e da Vernadskij con la sua Noosfera.
Si tratterebbe allora, nello stesso tempo, della vittoria della Ragione Astratta e della Morte dell’Umanità, grazie alla sparizione di tutte le forme di vitalità, prosciugate dall’ onnipotenza della Ragione.
Una singolare coincidenza: per il 2049, Xi Jinping si ripropone di fare, della Cina, uno Xiaokang, vale a dire “una società moderatamente prospera”, un modello confuciano molto meno millenaristico delle varie versioni occidentali della “Fine della Storia”, ma soprattutto della “Singularity Tecnologica”, che ci viene proposta per il 2029-2047 . E’ questa la ragione più profonda dell’ opposizione fra il Sud del Mondo e il Complesso Informatico-Militare occidentale, che non può essere ridotta all’ antitesi “democrazia-autocrazia”, ma che ci propongono, in realtà, due progetti globali in concorrenza fra di loro..
La tanto discussa presidenza ungherese dell’ Unione per il secondo semestre del 2024 ha scelto, come proprio simbolo, il cubo di Rubik e, come slogan, il simil-trumpiano “Make Europe Great Again”. Non si vede in ciò, né nel programma per il semestre ungherese, nulla di anti-europeo, come invece vorrebbero in tanti. Anzi, sembrerebbe che il Governo ungherese voglia condurre delle tradizionali politiche europeiste, come quella per la pace, quella per la competitività globale, quella per le identità culturali e le minoranze, con pari, se non maggiore, determinazione, di altre, precedenti, presidenze.
D’altro canto, l’Ungheria ha tradizioni di “europeità” non inferiori a quelle di nessun altro Paese. Tradizionalmente, una monarchia multietnica, comprensiva di Slovacchi, Rumeni, Szekler, Turchi, Cumani, Peceneghi, Alani, Croati, Bosniaci, Dalmati, Valacchi, Ruteni, Tedeschi, Ebrei, governata da dinastie europee come gli Anjou e gli Asburgo, ha dato all’ Europa apporti culturali importanti, come Liszt e Herczeg, e ha contribuito alla caduta del sistema sovietico con la rivolta del 1956 e con le riforme del 1989.
Anche la fondazione al Parlamento Europeo di un nuovo gruppo politico sovranista con Austriaci, Sloveni e Slovacchi, da Capodistria a Uzhgorod, evoca le tradizioni pan-europee dell’ Austria-Ungheria.
1.L’Europa-alternativa all’ America-
In un momento in cui gli USA difendono con le unghie e con i denti il loro eccezionalismo, la Cina pretende di divenire la prima potenza mondiale e la Russia sta combattendo da due anni una guerra fratricida pur di non essere tagliata fuori dal “Grande Gioco”, sembra assolutamente illogico che nessuna forza politica o Stato membro (salvo, solo inizialmente, Macron) abbia innalzato il vessillo di un sovranismo europeo.
Si conferma sempre più l’impressione che l’integrazione europea, votata per primo dal Senato Americano (senatore Fulbright) e finanziata dall’ ACUE (vicino alla CIA), avesse veramente per obiettivo quello di fare accettare in modo soft il declassamento dell’Europa, soprattutto rispetto agli Stati Uniti, un declassamento profetizzato da Washington, Whitman, Mazzini, Kipling e Trockij, e realizzato in pratica con il Piano Marshall, il Sessantottismo e, in ultimo, con i GAFAM. Uno degli anelli della “ragnatela” di istituzioni guidate dall’ America (Ikenberry). La pretesa di “avere realizzato ottant’anni di pace” sarebbe dunque solo una metafora per dire che abbiamo accettato di diventare innocui, rinunziando a una nostra propria identità.
Il problema è che non è affatto vero che l’Identità Europea sia solo una brutta copia di quella americana, così come, in fondo, ci si vorrebbe far credere. Al contrario, è l’America ad essersi allontanata nel ‘700 dal “mainstream” della millenaria cultura europea, con la sua “passione per l’ eguaglianza”, così temuta da Tocqueville, con la “Super-soul” di Emerson, anticipatrice della SingularityTecnologica e controbilanciata dall’ Uerbermensch nietzscheano, con la sua massificazione condannata da Kafka e da Céline, con la censura ideologica smascherata da Sol’zhenitzin e da Kadaré (oggi, il Politicamente Corretto, la Cancel Culture e la cultura Woke).
D’altronde, come ricordato da Luciana Castellina in “50 anni d’Europa”, il“capitalismo europeo” si distingue da quello americano per essersi formato, come già osservava Marx nei “Grundrisse”, in un contesto non già capitalistico, bensì feudale.Nessuna contraddizione fra questa dimensione “comunitaria” e il rifiuto di quell’ approccio utopico che, mirando solo a distruggere i parametri esistenti, ha per effetto la distruzione della stessa coesione sociale.Esempio tipico, l’approccio sindacale fondato su una pretesa “autonomia di classe”, che ha portato, in Italia, all’assenza di una solida partecipazione dei lavoratori, e, come conseguenza, alla spoliazione, da parte degli azionisti, della nostra base industriale (cfr. casi FIAT e Alitalia)
Sarebbe dunque ora che si parlasse maggiormente della sovranità europea, certo in termini militari, ma, prima ancora, in termini culturali, sociali, politici, ideologici, finanziari ed economici. Purtroppo, fino ad ora i pochi che hanno tentato questa strada, da Coudenhove Kalergi a Olivetti, da De Gaulle a Servan-Schreiber, hanno dovuto sempre abbandonare le loro ambizioni.
3.Orban vs. Macron
Ciò detto, esiste una strategia orbaniana per “Make Europe Great Again”, più efficace del progetto macroniano, che sta così miseramente naufragando, e sostitutiva dello stesso? O non si tratta anche qui dell’ennesimo patetico sforzo di pochi volenterosi che si sacrificano inutilmente per una causa immaginaria, come i Ragazzi della Via Pàl?
Il programma del Secondo Semestre fa giustamente riferimento al Cubo di Rubik, che, secondo il Governo magiaro , è significativo dell’abilità ungherese nel risolvere problemi complicati (pensiamo anche alla “penna Birò”). Tuttavia, il problema è che la debolezza europea ha radici più lontane, nel rapporto irrisolto fra la “poliedricità” etnica e sociale europea (Papa Francesco) e una “Translatio Imperii” ben più evanescente del corrispondente “Tian Ming” cinese. Ancor oggi, l’eredità imperiale europea è contesa, come dopo Diocleziano, fra l’”Impero Nascosto” americano, la Terza Roma russa, il “Mavi Vatan” turco, la pretesa di egemonia culturale “romano-germanica” di Bruxelles, e, non ultima, l’ambizione del Vaticano di rappresentare un potere universale. Per giunta, il Patriarca greco di Costantinopoli ha usato il termine “Konstantiniyye” al posto di “Istanbul”e firmando il progetto di pace ucraino usando il simbolo imperiale dell’ aquila bicipite.
Come si vede, questioni ben al di sopra delle attuali beghe fra i partiti “sovranisti” al Parlamento Europeo, che, anzi, anche per opera di Orbàn, sono oramai frammentati in ben quattro gruppi in competizione fra di loro. Come scrive La Repubblica,“In questo modo svanisce il sogno di costituire un “supergruppo” di destra cui aspirava anche la premier italiana. E l’inquilina di Palazzo Chigi proverà ancora oggi a evitare la quadrupla spaccatura. Sta facendo buon viso a cattiva sorte cogliendo qualche aspetto positivo. In primo luogo allontanare il sospetto di poter essere associata al “putinismo” di Orbán. Pericolo che comprometterebbe l’unica vera bussola di Fdi in politica estera durante questi due anni, l’atlantismo.
E poi potrebbe marcare l’idea che i Conservatori essere definiti di estrema destra visto che alla loro destra ci sono altri due gruppi. Ma è solo una autoassoluzione. Resta il fatto che i sovranisti stanno perdendo la prova dell’unità e presentandosi così divisi non rappresentano nemmeno potenzialmente una alternativa.”
In realtà, l’idea stessa del “sovranismo europeo” è viziata dal richiamo a un’era mitica, che non è mai esistita. Se è chiaro che “l’America era grande” nel mondo unipolare subito dopo la caduta del Muro di Berlino, e la Cina “era grande” al tempo dell’Impero, quand’è che “l’Europa era stata grande”? Forse nella Belle Epoque, quando essa era travagliata dalle Guerre Balcaniche, la Spagna veniva sconfitta dagli USA e la Russia dal Giappone? Oppure al tempo del Maccartismo, quando semplicemente si trasformò l’industria militare dell’ Asse in industria produttrice di beni di consumo?
La nostra grandezza, se ci sarà, sarà nel futuro.
4.Le dialettiche storiche dell’ Europa
D’altronde, l’affermazione di un eccezionalismo europeo, per esempio in Nietzsche e in Coudenhove Kalergi, è stata sempre limitata e aleatoria. Una buona base di riflessione, un punto di partenza. Certo, non un punto di arrivo. Il “Partito della Vita” di Nietzsche si perse per strada a causa della follia sopravvenuta del suo ideatore, mentre Paneuropa perdette ogni credibilità dopo la Seconda Guerra Mondiale, venendo scavalcata dal progetto “funzionalistico” dei Governi, abilmente appropriatosi della retorica federalistica.
Una seria riaffermazione dell’Identità Europea presupporrebbe una riflessione approfondita sulle dialettiche storiche dell’Europa prima dell’ integrazione post-bellica, fra le radici orientali (nelle steppe e nel Medio-Oriente), e le tradizioni autoctone dei Cacciatori-Raccoglitori e del Barbaricum, fra le “Migrazioni di Popoli” e i monoteismi mediterranei, fra la Pasionarnost’ orientale e il messianesimo occidentale.
Purtroppo, questa riflessione, avviata, nel corso del tempo, da una serie di autori, non ha avuto fino ad oggi seguito, né fra l’Intelligentija, né fra i politici, né nell’ opinione pubblica.
5.Kadaré e l’identità europea
Ad esempio, il primo giorno della presidenza ungherese è morto, quasi inosservato, uno degli scrittori che più hanno contribuito al dibattito sull’ Identità Europea, l’albanese Ismail Kadaré, autore, oltre che di tanti romanzi, anche di saggi come “L’identità europea degli Albanesi “ e “Eschilo il gran perdente” che ha come obiettivo quello di rintracciare la continuità fra lo spirito tragico della Grecità e la cultura popolare albanese, incentrata sui valori “tribali” della Besa (“fiducia”) e del Kanun (“legge tradizionale”).
Si tratta di temi essenziali per l’identità europea, a cui avevamo dedicato anche il nostro libro “De Moesia et Illirico”, incentrato sulla ricerca di un’Identità Balcanica quale parte integrante ed essenziale di quella europea.
A causa del suo rapporto non facilissimo con il regime di Enver Hoxha, Kadaré era stato, e viene tuttora descritto, come un “dissidente”, quando si dovrebbe parlare piuttosto di “emigrazione interna” come nel caso di Juenger. La realtà è che egli aveva espresso benissimo (per esempio in “Chi ha riportato Doruntina?” e “l’Inverno”) la cultura sostanzialmente nazionalista e tradizionalista della società comunista albanese, non dissimile per altro da quella di tutti gli altri regimi dell’ex blocco sovietico.
Quando Kadaré era venuto a Torino, gli avevo chiesto, paragonandolo a Sol’zhenitzin, perché, finito il socialismo reale, fossero finiti i grandi letterati dell’ Est. Nessuna risposta.
Purtroppo, il “Mainstream” attuale riesce a vedere tutti i fatti sociali solo attraverso le lenti deformanti dell’ideologia progressista-democratica, secondo cui esisterebbero sempre e ovunque due sole posizioni: quella progressista, che vede ogni fatto umano come inserito in un progresso indefinito, dalla naturale irrazionalità, a una fase finale retta dal razionalismo utilitaristico, che porterebbe alla fine di tutti i conflitti, ma, in realtà, consiste nel trasferimento del potere agli algoritmi, e quella dei “Conservatori”, che si sforzano inutilmente di rallentarlo, ma alla fine restano sempre sconfitti. Tutti gli altri valori e punti di vista sono irrilevanti, e vengono schedati solo sulla base di quel metro. Così, non si comprendono i fenomeni più rilevanti della storia culturale, come, appunto, Kadaré. Il quale aveva reagito giustamente al colonialismo culturale delle critiche per la sua partecipazione al Parlamento albanese e all’ Associazione degli Scrittori.
Tanto i pretesi “Progressisti” quanto i pretesi “Conservatori” sono danneggiati da questo circolo vizioso, che non permette loro di conseguire nessuno degli obiettivi che essi sembrano proporsi, perdendo così sempre più di credibilità nei confronti degli elettori, che trovano, nell’ astensione, l’unico strumento per manifestare il loro desiderio di alternative radicali.
Come sempre, invitiamo i nostri quattro lettori a guardare al di là di questo schema semplificatore, cercando di vedere la reale complessità delle tradizioni culturali europee, come per esempio quella dei popoli pre-alfabetici, ancora presenti nelle aree uralica ed artica; dei popoli delle steppe, ai margini della Russia, dell’Ungheria, dell’ Ucraina, della Turchia; quella cattolica-romana; quella slavo-ortodossa; quella euro-islamica; quella mitteleuropea; quelle atlantica e iberica…
Alla luce di questa prospettiva, le forze che a torto o a ragione vengono considerate alternative allo stato attuale delle cose dovrebbero preoccuparsi su come divenirlo davvero, esprimendo veramente le tendenze più profonde dei nostri popoli, delusi dalle promesse di pace e prosperità dell’Occidente (l’”Alba Bugiarda”di Grey)così come dall’utopia irrealizzabile del comunismo (“il Dio che ha fallito”di Silone).
Non per riesumare, come dice il “mainstream”, il “nazifascismo”, bensì per permettere finalmente alla cultura europea di esprimere liberamente le proprie aspirazioni proibite, come nelle visioni geopolitiche eurasiatiche dei Gesuiti e di Leibniz (i “Novissima Sinica”); nella critica di Nietzsche e di Simone Weil contro la deculturazione dell’Occidente; nelle idee sociali di Toniolo, d’ Annunzio e Ugo Spirito concretizzatesi nel “Modello Renano” teorizzato da Michel Albert(la “partecipazione” , la “cogestione”)…Vedi il nostro libro “Verso le elezioni europee”.
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Tutte cose che c’erano negli originali progetti europei, e che sono andate misteriosamente perdute per quella colpevole “Eterogenesi dei Fini”, che dobbiamo smettere di tollerare.
I.UNE APPROCHE INNOVATIVEÀ LA REPRISE DE L’INTÉGRATION EUROPÉENNE
Dans ce moment, quand la « Guerre Mondiale en Morceaux », en cours actuellement, ne donne aucun signe d’amélioration, et l’espoir originaire de l’ Occident de sortir victorieux à court terme de l’Ukraine s’éloigne de jour en jour, il est indispensable, d’une part, pour conjurer l’apocalypse nucléaire, et, d’autre part, pour garantir à l’Europe une guide sûre dans une phase difficile de son histoire, de repérer des approches nouvelles aux rapports entre, d’une part, l’Europe Occidentale et Centrale et, de l’autre, les espaces au-delà de l’ ancien « Rideau de Fer ». Si cela n’était pas fait, la crédibilité du Mouvement Européen en tant que guide intellectuelle de l’intégration européenne, et, plus en général, de l’Europe, serait compromise, et l’Europe entière pourrait devenir un champs de bataille d’une guerre fratricide, comme l’Ukraine et Gaza.
Pour éviter ces perspectives extrêmes, pourquoi pas ne pas revenir sur des approches essayées dans le passé, mais abandonnées plus tard, pour esquisser un, ou plusieurs, plans alternatifs de stabilisation, en premier lieu celui suggéré par Mitterrand en 1989 et esquissé en 1991 aux Assises de Prague? Et si Mitterrand et Gorbačëv avaient eu raison, et Havel et Kohl avaient eu tort ? Nous aurions évité les guerres civiles yougoslaves et soviétiques, et aujourd’hui nous ne serions pas au milieu d’une interminable guerre entre Européens, qui détruit notre moral, notre économie et notre avenir.
Sans oublier les questions ouvertes dans les autres « Périphéries » de l’Europe : l’Atlantique du Nord, les Balkans, les ACP3 et le Levant, ni le fait que, comme déclaré à plus reprises, et dernièrement lors de la visite à Péking de Vladimir Poutine, l’objectif russe (et chinois) dans la guerre d’Ukraine n’est pas celui d’un agrandissement territorial ou d’un avantage stratégique, mais celui de bloquer dans toutes les directions l’élargissement de la sphère d’influence américaine accéléré par la chute du Mur de Berlin, si que les deux puissances eurasiatiques seraient prêtes à beaucoup de concessions en échange d’une délimitation de l’espace américain – fût-il en faveur d’un nouveau pouvoir européen-.
Ici, nous allons nous concentrer sur une seule hypothèse et sur un seul projet, ce que nous appellerons le « Projet de Hradčany », développé en 1990 et 1991 par Mitterrand, Gorbatchev et Havel lors de leur rencontre au Chateau de Prague -. Ce projet pourrait être aussi la clef pour aborder d’autres thèmes urgents et également ouverts.
Le plan de Mitterrand partait de l’idée que l’Europe, pour devenir vraiment unie et parvenir à la hauteur de ses importantes ambitions, devrait atteindre une taille bien plus grande de celle actuelle (et comparable à celles de l’Inde et de la Chine), et cela pourrait avoir lieu seulement an agrégeant, dans une Confédération Pan-Européenne, d’une part, une fédération de l’Europe Occidentale (héritière de l’UE), et, d’autre part, une ou plus autres entités étatiques européennes, non tenues à respecter l’Acquis Communautaire. Ce dessin rassemble beaucoup à l’idée d’une « Europe à cercle concentriques », mais avec la différence qu’il ne suppose aucune supériorité de l’Europe Occidentale, parce qu’il serait « polyédrique », pour utiliser une expression de Pape François.
Un tel changement de perspective serait déterminant, permettant aussi de dépasser les principaux conflits en cours :
-les différences d’opinion sur la structure future de l’Europe Occidentale (et, donc, la stratégie pour le Futur de l’ Europe, qui devrait être étalée sur un horizon plus large);
-les rapports d’ hostilité entre le « Monde Russe » et « le Collectif Occidental », qui, dans cette nouvelle perspective, sortiraient de l’état de guerre pour revenir sur la voie des négociations entamées en son temps par Mitterrand et Gorbačëv.
De cette manière :
–On by-passerait les problème insurmontables d’une réforme de l’Union telle qu’elle est aujourd’hui (laquelle se trouve dans l’impasse de la Conférence sur le Futur de l’Europe), parce que l’ « Europe » se dissoudrait dans différents échelons de la Gouvernance Multi-Niveaux, chacun réglé d’une manière conforme à sa mission;
-On pourrait offrir aux puissances antagonistes de l’Occident une voie de sortie des guerres en cours qui ne soit, ni « une victoire » ni une « débâcle », ni pour l’Ukraine, ni pour la Russie (« win-win »), pouvant revitaliser aussi les « Nouvelles Voies de la Soie », entravées par les hostilités en Ukraine et dans la Mer Rouge, mais dont tout le monde ressent la nostalgie.
Le « Projet de Hradčany » devrait permettre aussi de faire renaitre l’autre grand dessin d’avenir discuté dans les années ‘90 et laissé tomber par l’Occident – une architecture commune de sécurité pour l’Europe–, et faciliter aussi une série d’autres objectifs :
-contribuer à donner une fin aux guerres en cours, avec une proposition d’intérêt pour tous les acteurs concernés ;
-soutenir un effort international pour un contrôle structuré de l’Intelligence Artificielle et de la Cyber-guerre dans le cadre de négociations sur les armements sur le modèle des vieux accords pour le contrôle du nucléaire;
-garantir la liberté des peuples d’Europe contre les menaces avancées contre eux par tous le pouvoirs mondiales;
-faire repartir l’économie et la culture, écrasées entre les sanctions et les boycottages.
Objectifs qui nous apparaissent moins utopiques qu’on ne le pense, si on examine l’histoire avec une approche équilibré et non plus sectaire comme aujourd’hui, et qui feront l’objet d’une esquisse synthétique dans les pages qui suivent.
La Confédération de Mitterrand avait été abandonnée parce qu’elle genait les pouvoirs existants, qui préférèrent exaspérer la conflictualité entre
« les démocraties » et les « autocraties » pour garder les privilèges acquis. Toutefois, maintenant que nous avons vu les résultats de ce choix, pourquoi ne pas admettre notre erreur, et y remédier ?6
D’autre part, ce qui oppose l’Europe de l’Est à l’Europe de l’Oust n’est pas tellement la question de la « démocratie », mais, au contraire, celle de la Pasionarnost’. Notion développée par Lev Gumilëv (le fils persecuté d’Anna Akhmatova) sur les traces d’Ibn Khaldûn et de Vernadskij: une synthèse de « romantisme » et de « théorie des nationalités », qui nous pouvons retrouver un peu partout dans les cultures de l’ Europe Orientale :me dans le « Déluge » de Sienkiewicz, dans « Les Payens » de Herczeg comme « Eschile, l’éternel perdant » de Kadaré; dans les sculptures de Meštrovic, dans les films de Tarkovskij comme dans les « Litanies » de Theodorakis.
La Pasionarnost’ suppose que, comme avait écrit Nietzsche, « le bonheur vienne seulement si non voulu », tandis que la « recherche de la félicité » prévue dans la constitution américaine se traduit, par effet de l’hétérogenèse des fins, dans l’aplatissement des désirs et dans l’entropie généralisée, qui préparent le royaume des Machines Intelligentes.
1.Insuffisance du paradigme de l’ « Élargissement »
À partir de la 1ère Guerre Mondiale, les projets d’intégration européenne avaient été axés sur l’objectif, d’un côté, d’éviter une continuation de cette première « Guerre Civile Européenne », et, de l’autre, de mettre l’Europe dans la condition d’intervenir avec une autorité suffisante dans les grandes questions géopolitiques, qui, compte tenu de l’intégration mondiale croissante, étaient de plus en plus dominées par les Grandes Puissances extra-européennes (USA, URSS, Empire Britannique).Cela aboutit sur le projet présenté à la Société des Nations par Aristide Briand, dont la faillite avait été le point de départ de la Déclaration Schuman.
Les Communautés Européennes et l’Union Européenne avaient donné l’impression que ces objectifs étaient en train d’être acquis par la méthode fonctionnaliste proposée par la Déclaration, mais cela n’a pas été le cas. Ce roman contient l’expression plus ouverte des croyance réligieuses et politiques de l’auteur russe
Depuis 45 ans, la dissolution de la Yougoslavie et de l’URSS a entrainé des guerres de succession qui ne se sont encore conclues, et, de l’autre, parce que les principes consolidés en matière d’ »élargissement » européen, qu’on aurait voulu appliquer, n’avaient pas été conçus en vue de ce véritable « dédoublement » de l’ espace européen, tel qu’il s’est manifesté à la fin du XXème Siècle. L’application mécanique de ces principes, imposée par l’Occident, s’est révélée impossible et contreproduisante et que, en tout cas, elle serait inapplicable à cause de la structure e du grand nombre des peuples européens. D’autant plus que, après Brexit, l’importance relative de l’Europe Occidentale par rapport à celle orientale a ne pouvait que décroitre.
Si deux parties paritaires fusionnent entre eux, il s’agit d’un « merger among equals », si qu’une des deux parties ne peut pas prétendre que l’autre accepte toutes ses règles, ni mêe pas sa propre vision du monde. Dans le cas d’espèce, on n’a pas eu d’un «élargissement » vers Est des Communautés Européennes, mais, bien au contraire, une « Fusion à Chaud » entre Est et Ouest, qui est loin d’être accomplie. Les guerres en cours ne sont qu’une suite de la « Guerre Civile Européenne », pour établir une hégémonie sur le Continent, fondée sur un prétendue « supériorité », comparable à celle de la Grande Nation, de l’Orthodoxie ou de la « Race Arienne ». Cette supériorité de l’Occident n’a pas été accepté ni par la Russie, ni par la Turquie, ni par la Biélorussie, ni par la Serbie, mais non plus par la Hongrie et, peut-être, mêeme pas par la Slovaquie et la Pologne.
Pur comprendre l’importance historique de la partie orientale du Continent, au-delà de l’Elbe, des Alpes Orientales et de la Mer Adriatique, il suffit de penser que, parmi les premières réflexions sur l’Identité Européenne nous trouvons celles d’Hippocrate, de Cos, a quelque kilomètres de la côte de l’ Anatolie, celles de Jordanes, un Goth de l’Est qui revendiquait pour Théodoric l’héritage de Rome, de Podiebrad, le roi hussite de Bohème qui proposait le traité pour la fondation d’une Alliance Européenne contre les Ottomans, et d’Alexandre I de Russie, qui lança la Sainte Alliance « russe » conçue comme fondation de la « Nation Chrétienne » européenne.
Coudenhove Kalergi avait des origines Japonaises, byzantines, tchèques et autrichiennes et le siège de sa Pan-europa était à Vienne, et Jean-Paul II était polonais et reprenait textuellement les mots de Viačeslav Ivanov sue les « Deux Poumons » de l’ Europe.
Pour cette raison, il est grave que toutes les institutions principales de l’Union soient restées dans l’espace rhénan (Bruxelles, Strasbourg, Luxembourg, Francfort), tandis que le centre géographique de l’Europe se situe beaucoup plus à Est (en Lituanie, Biélorussie, Ukraine ou, à la limite, Hongrie).
2.La mécanique réelle de la chute du Mur aux apologètes de « l’esprit du capitalisme » qui aurait triomphé en 1989, au début des révolutions de 1989 il y avait trois éléments : le défi « national » de la Pologne, soutenue par le Pape Jean Paul II, contre un « système soviétique» qui la humiliait ; l’idée révolutionnaire de Michail Gorbatchev d’intégrer pacifiquement l’Union Soviétique dans les Communautés Européennes (ou, mieux, la « Maison Commune Européenne »), comme sera requis plus tard par Yeltsine et Poutine, mais jamais pris au sérieux par l’Occident ; enfin, les pressions des États Unis, surtout à travers les Guerres des Étoiles et l’aide à la guérilla afghane.
Ces trois projets parallèles trouvaient leur bases culturelles:
-dans la conviction de l’Église catholique que l’Europe Occidentale e celle Orientale partagent une seule origine culturelle – la civilisation chrétienne médiévale, qui s’était développée dans deux branches principales, celle de l’Est (l’Orthodoxie), e celle de l’Ouest (le Catholicisme), comme anticipé par Ivanov par sa métaphore des « Deux poumons de l’Europe »- ;
-dans l’espoir de Gorbatchev, de Walesa et de Shevardnadze d’une forme d’hybridation entre le socialisme réel et l’économie sociale de marché de l’Europe communautaire (partant de l’observation de Marx que le capitalisme européen s’était développé de manière différente de l’Américain parce qu’il était né dans un contexte féodal) ;
-enfin, dans la convergence tactique entre le projet globaliste américain et les aspirations hégémoniques des l’intégrismes salafite et shiite présents dans l’espace soviétique (Tchétchénie et Talibans).
Surtout, on avait sous-estimé le poids spécifique de l’exceptionnalisme américain, dont le caractère religieux a fait obstacle à accepter une nouvelle narration concurrente, celle européiste, devenue nécessaire pour la réunification culturelle des « Deux Poumons » du Continent. 80 ans après le débarquement en Normandie, le pouvoir d’interdiction par rapport à n’importe quelle manifestation de créativité européenne (voir Olivetti, Zhu, Mattei, Moro) reste absolu. Il suffit de rappeler la fameuse phrase « Fuck the EU », prononcé par Victoria Nulanden même temps qu’elle dictait à l’ambassadeur américain la position du Département d’État sur la personne à nommer comme Premier Ministre ukrainien après l’ Euro- Maidan, qui avait été dressé contre l’Europe avant que contre la Russie .
Le risque de l’Europe est qu’elle, s’identifiant trop avec la Modernité (l’ »Homme sans Qualité », l’ »Homme à une Dimension »), soit entrainée par cette dernière dans son abîme quand elle ne survivra pas à l’Age des Machines Intelligentes. Le même vaut pour son rapport trop étroit avec l’Amérique lors que cette dernière se retirera de l’Europe de l’Est, comme, dans le passé, du Vietnam et de l’Afghanistan. Nous devons nous préparer à tous développements.
Le « Déclin de l’Occident » doit donc être compris plus comme une maladie culturelle, bien décrite par des auteurs tels que Max Weber, Friedrich Nietzsche, Oswald Spengler, Thomas Mann, la psychanalyse e l’Orientalisme, que comme un phénomène historique et politique. Une maladie qui s’est manifesté dans la forme que Lukács avait défini « la Destruction de la Raison » ; Benda, « la Trahison des Clercs » ;et, Anders, «die Antiquiertheit des Menschen », et s’est élargie avec le refus du principe de causalité (de Finetti), ainsi que du concept même de « méthode » (Feyerabend).Et qui confine avec la destruction de l’identité européenne sous le poids du « mainstream » américain.Insuffisence des logiques occidentales
Au cours du 20ème Siècle, l’Europe s’était donc tellement désintégrée du point de vue intellectuel et politique (c’est là la racine de la « mort cérébrale » préconisée par Macron pour l’OTAN), que, aujourd’hui elle n’arrive même plus à prendre les décisions fondamentales pour soi-même, telles que celles sur les hautes technologies, la guerre et la paix, la nature, la procréation, la pauvreté. Elle est encore moins à même d’être, comme elle prétendrait encore maintenant, une avant-garde culturelle, étique, culturelle et technique du monde entier (le « Trendsetter of Worldwide Debate »).
Une telle avant-garde avait été, à partir de la Deuxième Guerre Mondiale,l’Amérique, mais elle aussi est entrée maintenant dans une situation d’« over-stretching » à partir de la crise des « sub-primes » et du retrait de l’Afghanistan. Surtout, son identité est divisée entre la défense à tout pris du « noyau dur » WASP et l’adoption d’une « Culture Woke » qui est l’expression de la majorité « non-WASP », entre la défense à tout prix de l’ «Empire Démocratique » et la poursuite des intérêts de la majorité des électeurs. Jusqu’au point qu’on a imaginé la possibilité d’une nouvelle guerre civile.27
Dans cette situation, au «Zeitalter der Vergleichung », toutes les logiques de la culture occidentale (aristotélique, cartésienne, post-euclidée) ne sont plus suffisantes pour expliquer le monde de la complexité, si que nous sommes obligés chaque jour plus, bon gré mal gré, à faire recours, pour décrire nous-mêmes, à des concepts différents, à partir d’une « Intelligence Artificielle » qui nous est fournie par la Silicon Valley globalisée, pour passer à celui d’une « Démocratie Illibérale » étudiée par un Indo- Américain tel que Fareed Zakaria faisant référence à d’expériences asiatiques, pour arriver à l’« Epistocratie » mandarine, suggérée par Zhang Weiwei, un ancien interprète de Deng Xiaoping.
Tout cela est applicable encore plus en ce qui concerne l’Europe Orientale, que nous ne pouvons pas comprendre sans rappeler à l’esprit les Peuples des Steppes, la Deuxième et la Troisième Rome, le Bogoumilisme, le mythe du Golem, le Sarmatisme, le Socialisme Réel, le Cosmisme, l’Eurasiatisme et la Pasionarnost’. Mais, si nous ne comprenons pas l’Europe Centrale et Orientale, comment pourrions-nous la juger, et même l’orienter, comme nous prétendons?
Une refondation culturelle s’impose au préalable, dont le Mouvement Européen devrait se faire porteur.
3.Les erreurs de l’ Europe
En effet, les difficultés de toutes sortes rencontrées dans l’ »élargissement » des Communautés Européennes et, après, de l’Union Européenne, découlent de leurs blocages culturels. Notamment:
-l’involution de la Russie, du « Socialisme au Visage Humain » de Gorbatchev au libéralisme autoritaire de Yeltsine, et, après, à l’ »Esprit de Pratica di Mare » du premier Putine, jusqu’au « Russkij Konzervatizm » et, enfin, à l’ »Opération Militaire Spéciale », dépend en grand partie de l’ »arrogance romano-germanique », de la présomption immotivée des Occidentaux que leurs propres processus culturels et politiques, témoignant d’une mission messianique immanente à la Modernité, constituent un parcours obligé pour tout le monde (la « Théorie du Développement»). De telle manière, l’intégration dans les Communautés Européennes aurait du impliquer nécessairement l’adoption rigide, par les pays de l’Est, de l’ »Acquis Communautaire », et même de soi-disant « valeurs européens », quand d’autres parties du monde -même les Etats Unis, ou l’Inde-, ne demandent plus l’adhésion contraignante à des soi-disant valeurs « americains » ou « indiens » (lesquels ? le puritanisme WASP ou le LGBTQIA+?; le « Néo-conservatisme » ou la « Cancel Culture”;
-Les rhétoriques de l’Europe ont impliqué le refus de toute concession à la Russie en ce qui concerne son désir d’être admise dans la « Maison Commune Européenne » (l’ OTAN et les CEE) sans un processus humiliant d’examens, qui, si acceptés, auraient sanctionné sa prétendue infériorité, si que Poutine a refusé;
-les mêmes concepts valent pour les involutions comparables en Turquie, et même en Hongrie et au Levant;
-l’incapacité de l’Europe Occidentale de se doter d’une industrie de haute technologie et d’une armée, découle de son refus de reconnaitre de manière objective le développement, dans tout le monde, au-delà des différentes idéologies, d’un « keynésianisme militaire» (américain, russe, chinois), qui a fait croitre des barrières insurmontables autour l’Europe, incapable d’être compétitive avec les autres grandes espaces du monde, et notamment avec l’Amérique et la Chine, protégés par l’interventionnisme des gouvernements;
-les chocs continus entre l’officialité européenne et les opinions publiques des pays orientaux (tels, par exemple, que le refus des différentes démarches pour adhésion de la Russie et de la Turquie, ou la surévaluation du « Processus d’Helsinki» , qui a cristallisé l’application, au processus de Nation-building, des anciennes constitutions soviétique et yougoslave encore après leur échéance juridique, ou, enfin, le double standard sur les « règles du droit » s’il d’agit des Pays Baltes ou de la Hongrie), ont nourri une hostilité généralisée envers l’Union, accusée, non sans motif, d’être un « vassal » des États-Unis;
-l’incapacité de concevoir des sujets politiques différents des Etats nationaux qui dominent l’Union d’aujourd’hui, tandis que le modèle plus actuel dans le XXIème siècle, auquel s’inspirer, paraitraient être les »États-
Civilisation », comme la Chine, et, peut-être, même les États Unis et l’Inde, dont les « états » ne sont, en réalité, que des énormes provinces avec des centaines de millions d’habitants.
Toutefois, la première raison de l’ échec de Hradčany fut « le refus américain d’une structure nouvelle pouvant limiter son influence croissante. George H.W. Bush songeait à attribuer un rôle politique à l’Organisation du traité de l’Atlantique Nord et s’interrogeait sur son extension géographique dont le principe n’était pas arrêté et qui n’était pas la priorité du moment. « La « faute » de l’Europe fut de ne pas s’y opposer, parce que paralysée par l’intériorisation forcée du model américain.
4.Revenir à Hradčany
Malgré l’hostilité générée dans ces 35 ans entre Europe et Monde Russe par les faits du Kossovo, de l’Irak, des révolutions colorées, de Géorgie et d’Ukraine, revenir à Hradčany n’est pas impossible. Il suffirait de faire maintenant, sous l’impression des échecs ainsi provoqués (une douzaine de guerres, le refus, par les peuples, de la Constitution Européenne, Brexit), toutes les démarches que nous n’avions eu le courage de faire en 1990/1991, reprenant les mots de passe oubliés de cette saison politique:
-« ouvrir les portes des États et des systèmes politiques », comme prêchait Jean-Paul II, à travers un dialogue interculturel en bonne foi, qui ne craigne pas d’aborder les différences théologiques ou politiques, essayant de voir, au-delà d’elles, les problèmes et les exigences communes. S’ouvrir à une paix effective comporte de prendre au sérieux les motivations expresses des actions des adversaires, et notamment la requête aux États Unis de renoncer à leur prétentions hégémoniques en faveur d’un système polyédrique (« polycentrique » et « multiculturel ») de droit international sans abolir le principe de légalité, mais l’interprétant de manière équitable- ce qui pourrait se réaliser maintenant grâce à un nouveau probable isolationnisme USA-;
-« une nouvelle Glasnost », à travers une révision critique des Grandes Narrations qui nous cachent aujourd’hui la véritable histoire de l’Identité Européenne;
-une « Confédération de Fédérations » (entre Ouest, Nord-Est e Sud- Est de l’ Europe), comme celle discutée en son temps à Hradčany, qui soit la matérialisation juridique d’une Europe «polyédrique, qui aurait été le contraire de la « Pensée Unique », fusionnant messianisme post-humaniste et exceptionnalisme américain, qui a dominé la politique européenne de cette phase historique;
-« une nouvelle Perestrojka»: une réorganisation radicale des sociétés européennes pour faire face aux défis géopolitiques de l’Intelligence Artificielle, avec la transformation des ouvriers en des auto-entrepreneurs numériques liés à des réseaux publiques-privés; des employés en des managers autogestionnaires de nouvelles plateformes eurasiatiques ; des professionnels en des actionnaires; des entrepreneurs traditionnels en des dirigeants d’agences public-privé pour la digitalisation; des administrateurs locaux en des réorganisateurs du système industriel…
-“une nouvelle Liberalizacija”: l’élimination définitive des entraves à la libre circulation des biens, des capitaux, des personnes, mais surtout des idées, dans toute l’Europe, abattant à cet effet le nouveau « Mur de Berlin » créé par le « De-coupling », les sanctions, le « Re-Shoring », les « Golden Shares », les droits de douane, les délits d’opinion, le « Friend-shoring »,les discriminations cachées; les restrictions contre les « Fake News » et les « Agents étrangers » ;
-« une nouvelle Demokratizacija » : la fin de la subordination des institutions européennes aux pouvoirs forts et aux diktats idéologiques, pour permettre aux peuples d’exprimer leur désir de paix et d’intégration continentale révélé par les sondages, sans la censure toujours plus stricte, typique de ce temps de guerre dans lesquels nous sommes en train d’entrer.
I.LA CONFÉDÉRATION EUROPÉEENNE DANS UNE GOUVERNANCE MONDIALE MULTI-NIVEAUX
La défense de la liberté face aux « Empires Inconnus »
Le fédéralisme mondial doit être conçu aujourd’hui surtout comme une tentative de réagir à l’exigence de centralisation des décisions requise par la Société des Machines Intelligentes tout en sauvegardant les différences (-ou « différances »-) individuelles, sexuelles, de classe, culturelles, locales, ethniques, nationales et continentales, les traduisant en pouvoirs concrets de proposition, décisionnels, de critique et d’action, structurés selon les différentes identités.
Cette centralisation qui ne cesse de s’accroitre est le résultat de la complexité, de la professionnalisation des connaissances et de la politique, de la lutte entre les visions du monde implicite dans le « Zeitalter des Vergleichens»,du rôle de l’ Intelligence Artificiale, et, enfin, de l’état de guerre permanente. Elle se manifeste, au-delà des différentes constitutions formelles, dans l’accroissement du pouvoir des multinationales, des services secrets, des Exécutifs et de leurs chefs, ainsi que dans la restriction de la « Fenêtre d’Overton » imposée au pluralisme culturel par effet de la Pensée Unique, des différentes « Mémoires Partagées » et de la censure (et auto-censure) de guerre. Si chacun a la tendance à en accuser des forces politiques de son propre pays (Trump, Meloni, Erdoğan, Nethaniahu, Modi, outre, bien-entendu, Poutine e Ji Jinping), cette tendance est présente partout dans le monde, modifiant ainsi les « constitutions matérielles » de tous les pays, et les rendant toujours plus similaires parmi elles: des dictatures technologiques orientés à la guerre (Patriot Act, Echelon, Prism, Fake News, EUvsDesinfo).
La base du Fédéralisme est le réseau des « différances », basées sur les libertés individuelles, la famille, les entreprises, les associations, les villes, les régions, les États et les Continents. C’est pour cela que le Fédéralisme est, à moyen terme, la seule force capable de sauvegarder la liberté, e, plus encore, l’existence même, de l’Humanité contre la Société du Contrôle Total. Un droit fédéral européen devrait avoir pour but de bâtir, autour de ces réalités sociales en évolution, des règles juridiques claires, efficaces et flexibles, à même de régler de manière « polyédrique » la vie des sujets sociaux, et permettant ainsi leurs synergies.
L’ordre juridique international actuel correspond à un stade inaccompli de l’évolution du fédéralisme mondial. Il n’a aucune prétention d’être parfait, ni même complet, mais pourrait se révéler utile pour soutenir les forces de l’Europe dans cette phase de résistance à la Société du Contrôle Total. Comme tel, il mérite d’être préservé et perfectionné à travers la nouvelle architecture européenne que nous proposons.
2.La Confédération Pan-Européenne
Une Confédération Pan-Européenne telle que celle discutée en son temps à Hradčany devrait grouper tous ces territoires qui se reconnaissent dans la continuité de l’Identité Européenne (les Europes Occidentale, Méditerranéenne, Centrale et Boréale, Orientale et Pontique-, ainsi que la
« Magna Europa » -des fragments d’ Europe dans les autres Continents-).
Elle devrait être conçue comme un des maillons de la Gouvernance Mondiale Multi-Niveaux, expression de la conception « polyédrique » du monde.
La Confédération devrait être organisée selon le principe de pluralité des ordres juridiques, typique del l‘ »Ancienne Constitution Européenne » de Tocqueville, et de « L’Europe à différentes vitesses », mais sans une hégémonie, ni de l’Europe Occidentale, ni de l’ Amérique, ni d’aucun autre.
A son intérieur, se situeraient des Fédérations Intra-Européennes, telle qu’une Fédération Européenne (héritière de la UE), une Fédération Pan- Russe (ou « eurasiatique », héritière de la Communauté des Etats Indépendants et/ou de l’Union Eurasiatique), probablement une Fédération du Levant, et plusieurs Territoires Confédéraux, non attribuables à d’autre sujets. Enfin, les liaisons structurées spéciales existant à l’heure actuelle, comme celles avec l’Amérique, les ACP (Afrique, Caraïbes et Pacifique), le Moyen-Orient, la Chine (les « Nouvelles Voies de la Soie « devraient etre maintenues et revitalisées. . Le rôle des Pays Britanniques (Angleterre, Ecosse, Galles, Irlande du Nord et Iles Normandes) serait, après Brexit, à définir, partant des accords négociés et signés avec l’Union Européenne.
Les différentes fédérations devraient être organisées selon des principes leurs propres, au moyen d’une pyramide coordonné de Constitutions (sur le modèle de la « Constitution Italienne et Européenne » de Duccio Galimberti), qui garantisse la certitude du droit. Il est significatif que soit l’Empire Russe, soit les États Unis, se basaient, à leurs débuts, sur la lecture de « L’Esprit des Lois » de Montesquieu. Dans les Federalist Papers,
« Publius » se rattachait à l’idée de ce dernier (ainsi que le faisait Catherine II de Russie dans le « Instructions à la Commission Législative »), selon laquelle les « États de grande taille » pourraient être organisés, soit comme des États absolus, soit comme des fédérations. Les États Unis auraient choisi la voie de la fédération, tandis que Catherine avait choisi celle de l’État absolu. C’est de à qui est née la bifurcation (par trop simpliste) entre
« Démocraties » et « Autocraties » («samoderzhavija»)
Certaines des taches typiques d’un État ne pourraient être accomplies
aujourd’hui que par la Confédération :
-Le Système global Européen de Sécurité;
-Les Hautes technologies ;
-Les Politiques économique et industrielle;
-Les Transports;
–L’Environnement;
-Les Migrations.
D’autres seraient du ressort des Fédérations:
-La Culture
-Les Armées;
-La Justice;
-L’ Aménagement du territoire .
Autres encore, des entités euro-régionales, nationales et locales.
Le Système Européen de Sécurité devrait se baser sur des principes parallèles à ceux du contrôle des Armements, à travers une Agence Confédérale de Sécurité, présidant à l’équilibrage des systèmes de défense
, et notamment des systèmes d’Intelligence Artificielle, dans le cadres de futurs, nécessaires, accords globaux, à développer et négocier en parallèle avec la nouvelle architecture européenne de sécurité.
L’Armée de la Fédération Européenne devrait être mise à même d’être un élément d’équilibre avec celles du bloc pan-russes grâce à des traités constitutionnels de l’Union Européenne et de traités sur la dévolution de compétences, de biens et de personnel, avec les USA et la Fédération Russe, tandis que l’Ukraine, en tant que District fédéral, devrait être neutralisée.
3.L’espace central de la Confédération
Le centre de la Fédération se situerait au croisement entre Europe Latine, Europe Germanique et Europe Slave, et, donc, probablement dans des territoires non faisant partie d’aucun de ces grands blocs etno-culturels, tels que la Hongrie ou les Pays Baltes.
Une localisation parfaite pour la capitale confédérale serait Kyiv, qui aime se considérer comme une charnière entre l’ Ouest et l’Est. D’autre part, Tripillya, a coté de Kyiv40, a été la première ville d’Europe, ainsi que Nestor de Kiev écrivait au Moyen Age que « le pays de Rus’ n’a pas des frontières »41 ; l’Ukraine avait accueilli les Huns et les Avars, les Bulgars et les Khazars, les Magyars et les Variagues, les Polovésiens et les Karaïtes, les Gênois et les Vénitiens, les Mongoles et les Tatars, les Nogaï el les Cosaques, les Cherkasses et les Ottomans.
Dans l’Age Moderne, l’Ukraine a été partagée entre les Polonais et les Lithuaniens, les Autrichiens et les Hongrois, les Russes et les Juifs, les Allemands et les Blancs, les Anarchistes et les Bolchéviques…
« Euromaidan » c’est un nom qui est en même temps un programme politique. « Maidan » est Arabe, mais existe aussi en Persan, Turc et Hindi, et signifie simplement « Place » : donc, la « Place de l’Europe ».
Pur pouvoir jouer un rôle en tant que Métropole Confédérale, l’Ukraine devrait se donner un statut fédéral, polyédrique et multilingue, fondé sur des régions largement autonomes, à partir des villes métropolitaines de Kyiv, Kharkiv, Odessa e L’iv, pour passer aux régions du Donbass, de Crimée, de Novorossiya, de Bessarabie, de Budjak, de Boukovine, de Routhénie Cis- carpatique e Trans-carpatique, de Galice, de Polésie, de Volhynie et de Podolie. Ce régime rassemblerait beaucoup au cadre administratif proposé, avant l’Euromaidan, par le parti de Yanukovič.
Le statut d’indépendance et de neutralité de l’Ukraine devrait être garanti par des troupes de ses Régions, de la Confédération, des Fédérations et des Territoires Confédéraux, si nécessaire avec l’aide des Nations Unies.
L’ambition de centralité de tous les peuples de cette zone, que les Polonais appellent « Międzymorze »(« Intermarium ») en serait exaltée, ce qui pourrait compenser leur contrariété pour le fait de devoir convivre avec les Russes.
4.Les Balkans Occidentaux et la Turquie
Les Balkans Occidentaux et la Turquie représentent deux paradoxes, parce que les premiers sont les plus proches à l’Union, et y sont même déjà entrés en partie, et, la deuxième, a présenté sa demande d’accession depuis 1952.
Quant aux premiers, la difficulté de les faire entrer est constitué par leur incapacité à se transformer dans des véritables « états nationaux » comme supposé par le système de l’Union, ayant constitué, dans le temps, un espace de frontière entre l’empire Ottoman et l’ Empire autrichien, la « Vojina Krajina », ou, en Allemand, « Militärgrenze» . Y vivaient des Musulmans et des Orthodoxes -des Slaves, des Albanais et des Valacques-…, ainsi que des Catholiques -Croates, Hongrois, Allemands, Italiens, Dalmatiens et Albanais-..es petits États issus de la désintégration de la Yougoslavie défendaient et défendent l’autonomie de leurs exclaves à « l’étranger », mais la nient aux enclaves à leur intérieur. Les principes d’intégrité territoriale et d’auto- détermination des peuples sont défendus à tour de rôle, mais ne sont pas vraiment applicables
La solution plus simple serait celle d’insérer tous ces pays parmi les territoires confédéraux, sans faire même pas l’effort de les rattacher à des états « nationaux ».En tous cas, il faudrait reconnaitre leur enracinement dans la tradition de la loyauté ethnique déterritorialisée, typique des Empires Ottoman e Autrichien.
Quant à la Turquie, le fait de l’avoir faite attendre plus que 60 ans a certainement exaspéré l’opinion publique d’un pays très orgueilleux, d’autant plus que la Turquie n’est plus un pays pauvre qui avait besoin de l’Union Européenne, mais, bien au contraire, est devenue un pays riche, en plein essor, avec la deuxième armée de l’OTAN et une grande force d’attraction culturale en direction des États islamiques avoisinants.
Son importance, son identité et sa différence par rapport aux autres pays européens suggéreraient d’en faire un partenaire « tous azimuts » dans la Confédération, au même niveau que la Fédération « Eurasiatique » -qu’elle s’appelle « Communauté d’États Indépendants ou « Union Économique Eurasiatique », ou autre encore.
5.Les Fédérations
Les états qui pourraient résulter des évolutions de l’Union Européenne, de la Confédération d’ États Indépendants, de la Turquie et du Levant , seraient régis par des principes différents selon les traditions et les cultures de chaque territoire. D’autre part, chaque zone e la Pan-Europe fait maintenant l’objet de processus de transformation (îles britanniques, Péninsule ibérique, Balkans, Ukraine, Caucase, Palestine).
Dans ce contexte, le fait que la Russie aspire, après la guerre, à représenter une voix unitaire de l’espace euro-asiatique ne serait pas nécessairement en contradiction avec le dessein d’une Confédération Pan-Europeéenne. D’autre part, en 1991 les républiques soviétiques n’avaient pas voté pour la séparation de la Russie (à laquelle elle n’étaient pas liées), mais, au
contraire, pour la dissolution de l’URSS e sa transformation dans l’Union d’États Indépendants, qui existe toujours.
Le même pourrait s’appliquer à une potentielle fédération du Levant , telle qu’imaginé tout au début, englobant Israël, la Cisjordanie et Gaza, mais, peut-être, aussi le Golan, la Jordanie et le Liban. Moins claire la situation dans les Balkans, ou, en tout cas, il y a un commencement d’alliance entre la Turquie, la République Bosniaque e le Kossovo, tandis que, à Est, les Kurdes aspirent à une subjectivité séparée, mai qui pourrait même se réaliser avec la Turquie.
6.Les accord structurés existants
De toutes les côtés on entend parler de la revitalisation de rapports avec le reste du monde que l’Union aurait négligé. Le fait est que, au fil des années, l’Europe avait entamé des rapports avec tous les continents, mais, malheureusement, à cause de sa faiblesse vis-à-vis les états membres, et, surtout, vis-à vis des États Unis, la plupart de ces rapports n’ont pas été cultivé d’une manière sérieuse, au point que quelques-uns ont même été négligemment oubliés, comme ça a été le cas des ACP, abandonnés aux islamistes, aux Russes, au Chinois et à la Turquie.
La restructuration de l’Europe sous la forme d’une Confédération superposée a plusieurs Fédérations pourrait constituer l’occasion pour reprendre le discours sur et avec les ACP au-delà des lieux communs.
Dans le cas des États-Unis et du Royaume-Uni, ces rapports se confondent avec ceux dans l’OTAN et le G7, dont la réforme a été beaucoup discuté des deux côtés, sans rien faire de concret. L’éventuelle élection de Trump, toujours plus probable, rend l’étude de cette réforme encore plus urgente, si que le moment semblerait arrivé de faire de la clarté , d’autant plus que cela est ce que demande depuis longtemps le même candidat Trump. Les chancelleries européennes avaient fait savoir qu’elles étaient en train de préparer un « Plan B » pour le cas d’« abandon » de l’Europe de la part des États-Unis sous Trump. Or, l’heure de ce possible abandon se situe à Novembre, c’est-à-dire dans 5 mois. Le moment est venu d’y penser.
Trump a donné seulement l’impression de souhaiter une réduction des rapports Europe-UE. Toutefois, on peut imaginer que, au moment ou
l’Europe voulait vraiment rationnaliser ces rapports, le pressions deviendraient frénétiques pur éviter l’élimination de beaucoup de privilèges américains en Europe, concernant leurs bases militaires, les technologies, l’intelligence et l’antitrust, privilèges sans lesquels les États Unis ne seraient plus une Grande Puissance.
III.APROFONDIR CETTE ÉTUDE
Si cette approche peut trouver une attention de la part de la société civile et du Mouvement Européen, nous sommes à disposition pour approfondir, soit les thèmes illustrés dans ces pages, soit des thèmes ultérieurs, à partir de possibles plans « B C, D.. ».
Objectif : que l’Europe ne soit pas impréparée même en cas d’extension des hostilités hors de l’Ukraine, Palestine et Afrique du Nord, et aussi dans le celui d’évènements traumatiques à l’intérieur des États-Unis, tous évènement qui ne seraient sans conséquences directes pour l’Europe.
En toutes ces hypothèses, la société civile et le Mouvement Européen pourraient, et devraient, donner une contribution importante pour surmonter des situations d’émergence, même dans des situations de défaut des institutions.
In questi giorni, assistiamo alla riscoperta dell’Identità Europea (e di tutte le identità continentali) quale elemento essenziale per affrontare le sfide più attuali, dalla guerra in Ucraina all’Intelligenza Artificiale. Questa riscoperta non è immotivata, poiché le scelte che ci attendono sono così drammatiche, che potranno essere fatte solo in base ad una consapevolezza profonda delle identità che ci uniscono (e spesso ci dividono). Questo si ripercuote anche positivamente sulla campagna elettorale per le Elezioni Europee, nella quale finalmente fanno finalmente capolino le questioni identitarie.
Intanto, l’incitamento del Segretario Generale della NATO, Stoltenberg, agli Stati membri della NATO affinché autorizzino l’uso, contro il territorio russo, delle armi da essi messe a disposizione dell’Ucraina, ha messo in evidenza l’imbarazzo degli Europei circa la guerra in corso che -lo si voglia o no- è una guerra fra Europei, che, per origine e meccanica, potrebbe riprodursi un po’ dovunque nel nostro Continente (in Catalogna, Bosnia, Kossovo, Cipro, Kurdistan, Nagorno-Karabagh, Gagauzia, Moldova, Transnistria, Carpazi, Paesi Baltici..), tenendo conto che quasi tutti gli Stati che si pretendono “nazionali” in realtà comprendono una percentuale non indifferente di “popoli minoritari”. Ma, soprattutto, la guerra in corso è innanzitutto la terza guerra civile europea, e i discorsi fatti da molti sull’Identità Europea, se non riescono a frenarla, sono soltanto chiacchere in malafede.
L’Italia è particolarmente determinata nell’ opporsi a tale iniziativa, mentre l’Ungheria ha minacciato perfino di uscire dalla NATO. E’ chiara anche nei sondaggi l’insoddisfazione della maggior parte degli Europei per l’immotivato incancrenirsi, negli ultimi 30 anni, della frattura fra Europa Occidentale e Comunità di Stati Indipendenti, che potrebbe portare in qualunque momento a una guerra nucleare nel cuore dell’Europa, scatenata per esempio da un malfunzionamento dei sistemi elettronici di contrasto agli attacchi nucleari, quale quello verificatosi nel 1983 con il sistema sovietico “OKO”.
Perciò, il dibattito scatenato da quell’ affermazione di Stoltenberg ha richiamato anche la centralità dell’uso bellico dell’Intelligenza Artificiale. Infatti, il primo caso di uso di armi a lunga distanza denunziato dalla Russia riguarda proprio un impianto di avvistamento radar, che costituisce un elemento essenziale della difesa digitale. Accecare i sistemi di allerta elettronica dell’avversario è la prima possibile causa di un’eventuale scoppio accidentale della guerra nucleare. Eppure, gli Stati si ostinano a sostenere addirittura che “le armi autonome non esistono”.
Questa situazione, che, tra altro, può avere effetti immediati sulle Elezioni Europee (come è stato recentemente in Serbia e in Slovacchia) porterà, in caso di guerra generalizzata, ad ancor più drammatiche fratture all’ interno dell’Europa, che accelereranno la presa di controllo, sull’ intera società, delle macchine intelligenti. Infatti, “Le guerrier du futur est un robot.”, cfr. L.Alexandre, La guerre des intelligences à l’ère de ChatGTP”.Che costituisce il massimo dei pericoli, ancor prima di quello di una guerra nucleare.
Per questo motivo, è utile richiamare brevemente le ragioni degli attuali conflitti, e le questioni in base alle quali gli Europei sono chiamati pressantemente a schierarsi.
1.La politica dei blocchi quale effetto della seconda globalizzazione
Le Guerre Mondiali erano state tali perchè fin da un secolo si era assistito a una forma di globalizzazione, vale a dire la costituzione d’imperi intercontinentali che si contendevano il primato sul mondo: americano, britannico, francese, russo, tedesco, giapponese, cinese, che avevano partecipato al conflitto coinvolgendo i loro sudditi extraeuropei, morti a decine di milioni per queste guerre fra Europei.
Dopo le Guerre Mondiali, gl’imperi giapponese, tedesco e francese si erano dileguati, mentre gli altri avevano assunto una natura ideologica (democrazia, comunismo, socialismo con caratteristiche cinesi). L’Europa era stata resa impotente dividendola fra Impero americano e Blocco Sovietico, e le culture “mainstream” erano state mobilitate per dare una base culturale credibile a quella realtà contronatura. Infatti, i due “blocchi” avevano le loro radici comuni nelle “Rivoluzioni Atlantiche” e condividevano il Mito del Progresso.
Nel 1989, l’establishment americano aveva preteso che la caduta del Muro di Berlino avesse rappresentato la “Fine della Storia” quale la intendevano Kant, Hegel, Marx e Kojève, sicché si sarebbe instaurato finalmente un solo Stato mondiale fondato sull’ etica puritana e sui GAFAM (Google, Apple, Facebook, Amazon, Microsoft), e, governato da Washington e da New York (lo “One-Worldism” di Wilkie, o l’ “America-Mondo” di Valladao). In questo scenario, proliferarono i teorici del Post-Umanesimo, che miravano, e ancora mirano, all’utopia definita da Ray Kurzweil come “Singularity Tecnologica”, vale a dire la fusione dell’ uomo con la macchina, della macchina con la natura e dell’Universo con il nulla: l’Apocalisse tecnologica, altimo avatar di quelle religiose e rivoluzionarie.
Alla fine del ‘900, le resistenze esercitate dalla Serbia e dall’integralismo islamico contro l’allargamento al Vecchio Continente dell’ “America-Mondo” avevano però costretto l’establishment a correggere il tiro, proclamando, con George Bush Jr., la “Giustizia senza limiti”, vale a dire l’applicazione pratica, con a guerra in Afghanistan, dello “Scontro di Civiltà”, o dell’“Occidente contro Tutti”, come sintetizzato, nel libro “Scontro di Civiltà”, da Samuel Huntington. Vale a dire che l’allargamento dell’ America-Mondo non sarebbe più avvenuto in forma relativamente pacifica, bensì con uno sforzo coordinato, culturale e militare. A tale fine, il Parlamento Americano ha stanziato negli anni somme enormi (l’”Endowment for Democracy”) per realizzare, fuori della sfera d’influenza occidentale, le cosiddette “Rivoluzioni Colorate”, usando, quale strumento principe, i social networks, secondo un vero e proprio “manuale operativo” scritto da Gene Sharp, “From Dictatorship to Democracy”.
Rivoluzioni che furono effettivamente tentate, ma con scarso successo, in Serbia, Georgia, Siria, Iran, Egitto, Libia, Tibet, Hong Kong e, finalmente, in Ucraina, dove l’”Euromaidan” è sfociato, prima, in una guerra civile, poi, nell’ attuale guerra di attrito. Non per nulla, nel frattempo, i GAFAM espandevano a tutto il mondo la propria influenza con le grandi piattaforme e l’”Ideologia Californiana”, mentre le 16 agenzie di Intelligence avvolgevano il globo con una rete inestricabile di controlli digitali (Echelon e Prism). Le due reti, quella privata dei GAFAM e quella pubblica delle agenzie di intelligence, si sono praticamente fuse, grazie a una consolidata legislazione americana sul segreto epistolare, che è forzabile dall’ intelligence militare con procedure semplici e segrete.
Come sappiamo, questi tentativi di omogeneizzare il mondo con Internet, le Guerre Umanitarie e le Rivoluzioni Colorate si è per ora arenato, non tanto e non soltanto per la resistenza diretta dei Governi interessati, bensì anche e soprattutto perché il caos provocato dalle Rivoluzioni Colorate ha spesso prodotto effetti non voluti, come il nascere di nuovi regimi altrettanto, se non più, anti-americani dei precedenti.
Soprattutto, varie parti del mondo (come la Russia e la Turchia), sentendosi particolarmente esposte a queste pressioni (per esempio il colpo di Stato di Guelen), hanno modificato le loro precedenti politiche di dialogo, per rendere le loro società meno permeabili alle Guerre Umanitarie e alle Rivoluzioni Colorate, appoggiandosi, in ciò, alle loro tradizioni storiche -per lo più antiche tradizioni imperiali che le configurano quali centri egemoni di soggetti politici continentali più vasti (Cina, India, Islam),e in ciò adeguandosi paradossalmente, con una forma di “rivalità mimetica”, al modello dell’ “Impero Nascosto” americano- .Questo sforzo sembra avere sempre più successo, con la creazione dei BRICS, dei BAATX cinesi e della Via della Seta, con l’abbandono americano dell’ Afghanistan e con l’esito delle guerre in Cecenia, in Georgia, in Siria, in Libia e in Palestina.
Come ha scritto il 22 maggio Massimo Cacciari sulle pagine de “La Stampa”, “la vera questione: che l’ Occidente, oggi l’Occidente americano, non è più strutturalmente in grado di confrontarsi con gli altri Grandi Spazi sulla base di una propria volontà egemonica. Occorre saper ‘tramontare’ da tale volontà, non per sparire, ma, all’ opposto, per dar vita a un nuovo Nomos della Terra multipolare, policentrico”.
Sotto un altro punto di vista, proprio lo sviluppo tumultuoso dei GAFAM ha reso evidente che la storia sarà decisa da una “Guerra fra Intelligenze” (fra intelligenza naturale e artificiale, fra GAFAM e BAATX cinesi, cfr. Alexandre, La Guerre des Intelligences), che l’umanità potrà frenare solo organizzandosi in una Comunità Internazionale con progetti condivisi. Oggi, i due pilastri di tale comunità sono due grandi blocchi (l’Occidente a guida americana e l’Organizzazione di Shanghai),che “mettono a disposizione” le loro enormi risorse ciascuno a favore di uno dei contendenti della “Guerra fra Intelligenze”(La Singularity Tecnologica o il Socialismo con caratteristiche Cinesi). La “Guerra delle Intelligenze” tende così a sfociare nella Terza Guerra Mondiale, mentre il dialogo fra USA e Cina avviato dalle iniziative di Kissinger costituisce solo un pallido tentativo di pacificazione, che non frena affatto la Terza Guerra Mondiale.
Quelle due superpotenze digitali non riescono infatti neppur esse a rappresentare adeguatamente le istanze delle loro parti componenti, e quindi ad esprimere, nello sforzo per controllare l’IA, il meglio delle rispettive tradizioni. Nell’Occidente, si distinguono un’America che è totalmente soggetta alle scelte dei GAFAM, che costituiscono la sua forza nel mondo, e un’Europa Occidentale con tradizioni, interessi e comportamenti molto divaricati, ma che non riesce neanche a concepire un progetto autonomo. Fra i BRICS, si distinguono una Cina all’avanguardia mondiale nei campi economico e digitale, e con la propensione a limitare il peso delle sue multinazionali (il “Crackdown sui BAATX”), una Russia più arretrata tecnologicamente, e culturalmente vicina all’Europa, un’India avanzata digitalmente ma con scarso peso politico, e un mondo islamico estremamente frammentato. In definitiva,“L’extraordinaire diversité des discours sur l’IA e sur les réponses à y apporter est inquiétante :nous ne pouvons pas gérer un tel changement de civilisation sans un consensus minimum».
2.Il suggerimento di Cacciari: riscoprire culture europee dimenticate
Per questo, il chiarirsi delle strategie digitali di ciascuna parte del mondo, con un dibattito “piramidale” a tutti i livelli e un riaccorpamento generalizzato dei poteri decisionali secondo il Principio di Sussidiarietà, costituisce un necessario presupposto per quel tentativo di risposta unitaria all’ IA – che, purtroppo, verrà forse solo dopo che quest’ennesima guerra mondiale avrà dimostrato l’evidenza e l’urgenza dei pericoli qui da noi denunziati (e perciò troppo tardi)-.
Ne consegue tra l’altro che, al fine di inserirsi anch’essa in modo fattivo in questo processo collettivo di chiarimento a livello mondiale, l’Europa dovrebbe aprirsi a prospettive nuove, nella direzione indicata, sempre da Cacciari, nell’ articolo citato, cioè rifuggendo tanto dalla provinciale tentazione che sembrerebbe emergere dal trend elettorale populista, quanto dall’arroganza della cultura progressista e occidentale.
Può sembrare sorprendente, ma non per noi, che Cacciari, conscio dello slittamento culturale in corso nell’ opinione pubblica in vista delle Elezioni Europee, indichi la speranza di una nuova prospettiva per l’Europa nella riscoperta delle tradizioni minoritarie “orientalistiche” del conservatorismo europeo, quello che in altra sede abbiamo chiamato “conservatorismo critico”:”Eppure vi è stato un pensiero conservatore, per quanto assolutamente minoritario in queste destre, che si è mosso in una direzione opposta, di riconoscimento pieno della grandezza delle altre civiltà, nel senso della comparazione e dell’ approfondimento reciproco. Queste correnti andrebbero meditate, anche da parte di molte ‘sinistre’, che mai hanno fatto sul serio i conti con il pensiero ‘in grande’ di certa destra europea.”
Pensiamo che Cacciari si riferisca ad esempio a Pannwitz, a Fenollosa, a Spengler, a Eliade, a Guénon, a Trubeckoj, a Saint-Exupéry, a Pound, a Evola, a Gumilev. Tutti autori ben più vicini alle culture indica, medio-orientale, delle steppe e dei deserti, cinese.., che non a quelle occidentali. Autori che le “culture di destra” apprezzavano e studiavano fin dagli Anni ’30 (gli “Anticonformistes des Années Trente”, ma che il “mainstream” ha sempre tenuto ai margini, con una vera e propria “censura”, costata, a taluni di essi, anche vere e proprie persecuzioni.
Secondo Alexandre: “Les choix que nous allons faire d’ici au 2100 nous engagent pour toujours et certains seront irréversibles. La gouvernance et la régulation des technologies qui modifient notre identité – manipulation génétique, sélection embryonnaire, IA, fusion neurone-transistor, colonisation du cosmos -seront fondamentales. »A questo punto si comprende bene perché, nonostante la retorica pacifistica generalizzata, sia impossibile impedire oggi lo scatenamento guerre molto pesanti e rischiose: semplicemente, le poste in gioco sono troppo elevate per potervi rinunziare, anche se per lo più gli attori in gioco non ne sono completamente consapevoli. Si tratta, “mutatis mutandis”, delle stesse poste in gioco, ad esempio, nelle Guerre Persiane, nella “fitna” fra Sunniti e Sciiti, nello scontro fra l’Impero Cinese e i Taiping: della sfida fra la “hybris” millenaristica e l’”autonomia” pluralistica (Ippocrate ed Erodoto). Solo che, allora, si trattava di dispute teoriche; qui, invece, della loro realizzazione pratica (del loro “inveramento”) grazie alla potenza della tecnica.
Ma, prima ancora della “Singularity Tecnologica” che annullerebbe l’Umanità, se non il cosmo stesso, già ora siamo sottoposti a un unico totalitario ecosistema digitale governato dagli algoritmi secondo la loro logica intrinseca, da cui ogni vitalità (l’”Elan Vital” di Bergson)viene , in un modo o nell’ altro, eliminata. Peggio che nel Socialismo Reale. Già ora, un anticipo della tirannide post-umana promossa dai GAFAM, ci viene fornito dalla “Religione Woke”, che, negli Stati Uniti, ha praticamente eliminato, nel mondo intellettuale, la libertà di pensiero e di espressione, instaurando una censura assoluta di tutto ciò che possa ricordare anche vagamente le tradizioni, il passato e perfino qualche brandello si soggettività autonoma (Braunstein, “La Réligion Woke”):tutto ridotto a “orrori” che non bisogna più ripetere. Qualcosa di molto simile alle frenesie sessantottine e all’”Eros e Civiltà” marcusiano, poi sfociati nelle Brigate Rosse e nella Rote Armee Fraktion.
Non per nulla, il “Woke” è sospinto energicamente avanti dai GAFAM, che vedono, nell’appiattimento universale, il necessario presupposto per il proprio controllo totalitario su tutte le società umane.
Per questo vari soggetti politici (Chiese, Cina, Russia, Islam, India) accomunati dall’ istinto di autoconservazione, hanno tentato in vario modo di ostacolare l’omologazione mondiale, e questo ha dato luogo a vari tipi di scontro (dalle guerre dell’ex Unione Sovietica, della ex Jugoslavia, e del Medio Oriente, fino ai disordini generalizzati in Africa e agli attuali movimenti sociali e studenteschi in Europa).
La posizione sull’ AI dei grandi blocchi geopolitici si può sintetizzare come segue:
-l’America ha inventato l’IA con le Conferenza Macy, con ARPANET, Internet e i GAFAM, e il Governo Americano, pur riconoscendo in principio la necessità di una regolamentazione, di fatto lascia ai GAFAM la massima libertà di azione, perché essi costituiscono di fatto il più potente strumento della sua espansione mondiale (l’”Impero Sconosciuto” di cui parla il Pontefice), e preme per rallentare la regolamentazione internazionale, sperando di rendere irreversibile il controllo dei GAFAM almeno sull’Occidente, come prevedeva già qualche anno fa Evgeny Morozov. D’altronde, come ben messo in evidenza da Braunstein, la “Religione Woke” si pone in continuità con i vari “Awakenings” protestanti americani, che sono all’ origine, tanto della Rivoluzione Americana, quanto della “Giustizia senza Limiti” di Bush;
-La Cina è stata da sempre consapevole dei pericoli costituiti da un internet a guida americana, ed è riuscita, con un lavoro pluridecennale a più strati, a creare un proprio ecosistema digitale, con le proprie piattaforme e con i propri controlli, a tutela dei cittadini (copiato dalle leggi europee), ma anche e soprattutto dello Stato e dell’ Esercito (con interventi pesanti sui guru dell’ informatica che non vi si adeguino: il “Crackdown sui BAATX”). Essa ha accettato di buon grado l’appello di Henry Kissinger per una regolamentazione internazionale che parta dagli usi militari, e ne ha parlato con il vertice americano;
-L’Europa ha scelto deliberatamente, per non entrare in rotta di collisione con gli USA, di non avere una propria industria digitale, restando tributaria degli USA per tutta una serie di attività vitali (intelligence, internet, difesa, nuove tecnologie). In cambio, essa si vanta di essere all’ avanguardia della regolamentazione dell’ICT, tanto per la privacy quanto per l’IA. Peccato che le sue regolamentazioni non abbiano alcun effetto pratico, perché i GAFAM e l’Intelligence Community americani controllano l’intero ecosistema digitale e perfino la politica, e quindi sfuggono a qualsiasi controllo dell’Unione;
-gli Organismi Internazionali hanno tentato, come doveroso dal punto di vista istituzionale, di fare qualcosa, per esempio con la “Bozza di Convenzione-Quadro” elaborata da una commissione del Consigli d’Europa, o come la Dichiarazione delle Nazioni Unite, ma sono state bloccate dalle Grandi Potenze, che desiderano che queste decisioni siano in mano a un club ristretto, che poi presenterà il fatto compiuto come un verdetto inesorabile della Storia, a cui nessuno penserà neppure lontanamente di opporsi.
3.L’Europa, anello indispensabile della governance mondiale dell’ IA.
In tutto ciò, la posizione dell’Europa è particolarmente ondivaga.
Dopo avere approvato, e abbondantemente propagandato, due importanti pacchetti legislativi, il DGPR e l‘AI Act, l’Europa è sostanzialmente assente dal dibattito internazionale sull’ IA, nonostante che il Papa e le Nazioni Unite abbiano chiaramente indicato quale dovrebbe essere il prossimo percorso:
-un pacchetto negoziale basato su un trattato generale applicabile al civile e al militare, al pubblico e al privato, da elaborare fin da subito;
-creazione di un’Agenzia Internazionale delle Nazioni Unite sul modello dell’ AIEA.
La realtà è che gli Stati Uniti e i GAFAM non cessano di fare pressione sugli Stati membri e sulla Commissione perché si segua invece un percorso diverso:
-postposizione del trattato;
-esclusione delle imprese private e del militare;
-firma solo da parte dei Paesi occidentali.
Un trattato così depotenziato non servirebbe a nulla in quanto:
-il pericolo più grave è costituito dall’ uso militare dell’ IA, su cui si deve trovare un accordo anche con la Cina e con la Russia;
-il secondo è costituito dal controllo dei GAFAM su tutte le società umane, che non viene contrastato con vaghe enunciazioni di principio;
-manca del tutto un risvolto culturale, educativo e formativo fuori dal conformismo tecnocratico e moraleggiante imperante.
Se vi è oggi una “missione culturale dell’ Europa”, essa è quella di svelare che l’attuale “mainstream” occidentale, che trae le sue “radici” dal Vecchio Mondo, non è -che si tratti del “wokismo” o del tradizionale atteggiamento WASP-, un fenomeno universale, bensì un qualcosa di tipicamente americano (“the Dissidence of Dissent”, per dirla con Huntington), che ha estremizzato a tal punto vecchie idee europee del messianesimo, del relativismo e della democrazia, dal renderle insostenibili e irriconoscibili.
In questa luce, occorre, come proponevano gli autori sopra citati e come propone oggi Cacciari, studiare e rivalutare le culture asiatiche, anche se la soluzione indicata nell’ articolo di cui sopra ci sembra troppo semplicistica:”L’Autorità non sta nelle mani di un Capo, né in un Paese né sulla faccia della terra, ma è la Relazione stessa, sono le norme e le leggi che la stabiliscono e regolano e che tutti riconoscono perché vedono in esse le garanzie della loro stessa pace.”Questa è infatti semplicemente la definizione del “Dao” contenuta nel Dao De Ching di Lao Tse e nei Classici Confuciani.
E, secondo Cacciari, questa costituirebbe addirittura la fine del dissidio fra Destra e Sinistra (se non della pace mondiale) Ma qui cadiamo di nuovo in una prospettiva utopica. Infatti, il Dao è il risultato della dialettica fra Yin e Yang (maschile e femminile) proprio quella che la cultura woke vuole eliminare. E, infatti, Mao pensava che la dialettica destra-sinistra sia ineliminabile. Cacciari è ancora nostalgico della Fine della Storia, solo che, invece di concepirla secondo il “mainstream” occidentale, la concepisce secondo il filone cinese della “Grande Armonia” (“Datong”).
Comunque, il mondo multipolare non può, per definizione, essere dominato da una sola cultura, fosse pure la millenaria cultura cinese, che sembra avere comunque la meglio in una prospettiva di lungo termine. Questo perché il compito che attende la nuova generazione è assolutamente inedito, e richiede un contributo intellettuale di tutti, al di fuori della portata di ogni singola cultura. Del resto, più saggio appare l’approccio islamico, secondo cui “se Dio avesse voluto, avrebbe fatto di noi un’unica setta”.
Ciò che l’Europa può fare è essere il catalizzatore, il “Trendsetter”, di questo dibattito mondiale (come voleva l’attuale Commissione, che però non sapeva neppure da dove cominciare, perché manca dei necessari presupposti culturali e della necessaria indipendenza politica).
Per fare ciò, l’Europa deve avere una propria identità, che non può essere, né quella americana, né quella cinese, né quella islamica. Essa deve riscoprire senza paraocchi l’integralità la propria cultura, che non è solo una sommatoria di razionalismo greco, di legalismo romano e di monoteismo giudaico-cristiano, ma anche lo spirito dionisiaco dei nomadi delle steppe, il misticismo euro-islamico, la pasionarnost’ slava, lo spirito critico degl’intellettuali indipendenti, classificati abusivamente come “illuministi”…Basta con le censure a Omero, Ippocrate, Erodoto, Eraclito, Socrate, Tacito, Jordanes, i Provenzali, Machiavelli, i Gesuiti, Nietzsche, Soloviov, Dostojevskij, Simone Weil, Burgess…
Solo sulla base di un’antropologia personalistica assertiva e critica (opposta alle cosiddette “Educazioni anti-autoritarie”, e soprattutto alla “cultura woke”), il singolo cittadino potrà avere la forza intellettuale e di volontà necessaria per opporsi al determinismo della tecnocrazia e alle coercizioni quotidiane della rete e del “politicamente corretto”.
L’Europa nel suo complesso dev’essere libera di confrontarsi alla pari, senza complessi d’inferiorità, con gli altri continenti (“orgogliosamente volta al mondo” come scriveva Vörösmarty) : con l’ America, certo, ma soprattutto con la Russia, con la Turchia, con Israele, con l’Islam (con i quali essa è intrinsecamente connessa), con la Cina, l’India, il Sud-America…, prendendo spunto, ove sia necessario, da tutte le alte culture.
Innanzitutto, deve uscire al più presto da questa guerra fratricida, motivata da un falso confronto fra l’Europa ortodossa e quella romano-germanica inventato a tavolino dai think tanks americani (Huntington), e deve fare anche di tutto per fare terminare quello fra Israele e il mondo mussulmano, che è alle soglie della sua casa.
Essa deve formulare su queste basi una sua proposta di pace, che veda l’Europa e la sua missione al centro del nuovo sistema multipolare, in quanto punto di equilibrio del “Parallelogramma delle Forze” mondiale. Per fare ciò, non può e non deve identificarsi unilateralmente con nessuno dei blocchi oggi in conflitto, come giustamente incominciano a suggerire alcuni intellettuali e politici.
Così, quando tutto ciò sarà finito, potremmo dedicarci alla vera battaglia del nostro tempo: quella per il controllo dell’Intelligenza Artificiale, intorno alla quale dovremmo coalizzare il mondo intero.
Non cessiamo di constatare che, dopo 70 anni di faticosa integrazione, finalmente, con due guerre alle porte, le tematiche europee, e, in primis, la principale fra di esse, quella dell’ identità dell’ Europa, incomincia ad entrare al centro del dibattito pubblico.
Perciò, mentre ci congratuliamo con l’amico Marcello Croce per la sua nuova opera, che speriamo sia posta al cuore di un rinnovato dibattito, segnaliamo che, a nostro avviso, occorrerebbe uno studio e un dibattito approfondito, non solo di questo tema, ma anche di qurelli ad esso collegati a monte e a valle, dalla storia senza censure dell’ Europa, al ruolo dell’ Europa nel mondo.
Su quest’ultimo punto, anticipiamo un prossimo post su questo sito, destinato a proporre alcune idee circa la collocazione dell’ Identità Europea nel quadro delle identità continentale nell’ ora del loro confronto con l’Intelligenza Artificiale.
Sollecitiamo anche un dibattito serrato circa il collegamento del tema dell’Identità Europea con quello del Ruolo dell’ Europa nel Mondo, in particolare in questo momento in cui, per la prima volta, la NATO chiede agli Stati Europei di combattere in prima persona, sul suolo europeo, una guerra contro un’altro Stato europeo.
Mentre diffondiamo un’ulteriore volta il programma della giornata di domani 9 maggio (Giornata dell’ Europa 2024),una manifestazione più attuale che mai, vorremmo aggiungere che il tema centrale di tale giornata -il trattato internazionale sull’ Intelligenza Internazionale-, non solo ha costituito il centro dell’ opera degli ultimi anni di vita di Henry Kissinger, ma ha fatto anche oggetto della “Lettera all’ Europa” apparsa su “l’Avvenire” di ieri mattina (All.1).
A nostro avviso, occorrerebbe chiarire ancor di più la centralità dell’ Intelligenza Artificiale nella Guerra Mondiale a Pezzi, oggi in corso, nonché illustrare i meccanismi che vanno dalla macchinizzazione del mondo (Heidegger) alla Società del Controllo Totale (Morozov), dalla Guerra Senza Limiti (generali cinesi) allo Hair Trigger Alert (Schmidt), al “Dead Hand”(in Russo, “Miortvaja Rukà) , tutte tappe di un’escalation praticamente automatica, che potrebbe scattare in qualunque momento, se non è già in qualche modo avviata.
Come indicato nella “Lettera all’ Europa”, è proprio qui che la pretesa (probabilmente irrealistica) dell’ Unione Europea di essere il “Trendsetter of the Worldwide Debate” viene messa alla prova.
Questo è, a nostro avviso, il punto cruciale del dibattito sull’ Europa.
L’ inconcludenza europea che ci ha portati, dopo 80 anni, alla “Guerra senza Limiti”, va superata con un’analisi approfondita e senza pregiudizi dei meccanismi reali (e non immaginari) del mondo post-moderno, e con un’azione energica di rinnovamento che rifugga tanto dalle “Retoriche dell’ Europa” e, quanto dai riflessi pavloviani delle ideologie sette-ottocentesche.
Vi attendiamo tutti domani e per le attività che svilupperemo verso il Trattato Internazionale sull’ Intelligenza Artificiale, e, in generale, verso una Mult-level Governance mondiale d’impostazione “poliedrica”, che, senza pretendere di cancellare la conflittualità (che è insita nell’ umano), ci permetta almeno un momento di riflessione e dialogo (una moratoria?).
Vi aspettiamo!
In caso di dubbi, telefonare a:
3401602582
3357761536
Come ogni anno fin dal 2007, anche nel 2024 l’Associazione Diàlexis organizza, intorno al Salone Internazionale del Libro di Torino, una serie di manifestazioni, sotto il titolo, ormai consolidato, di “Cantieri d’ Europa”, con i suoi partners Movimento Europeo, CNA, Studio Ambrosio & Commodo, IPSEG e Rinascimento Europeo.
Il caso vuole che, come già in alcuni degli anni passati, il 9 maggio 2024, Giornata dell’Europa, cada proprio all’interno del calendario del Salone, sicché abbiamo potuto inserire anche questa volta, fra quelli che accompagnano il Salone, il dibattito sullo stato di avanzamento dell’integrazione europea.
Nel corso dei 17 anni dei “Cantieri d’ Europa”, il mondo e l’Europa sono cambiati drammaticamente. L’onnipervasività dell’Intelligenza Artificiale, l’emergenza del Sud Globale e le guerre attualmente in corso in tutti i continenti hanno reso più urgente che mai per l’ Europa focalizzarsi sulle sue priorità storiche, la cui cogenza è oramai conclamata da tutti: identità continentale, geopolitica del digitale e governance multi-livello e multipolare.
Per questo, abbiamo articolato i Cantieri d’Europa del 9/10 maggio 2024 in tre distinte manifestazioni:
-la tradizionale celebrazione, presso il Centro Studi San Carlo, della Giornata dell’Europa, attraverso un dibattito bipartisan sul libro di Pier Virgilio Dastoli ed Emma Bonino “A che ci serve l’ Europa”;
-la presentazione, nel Salone, del libro “L’Istituto per l’ Intelligenza Artificiale di Torino” dell’ Associazione Diàlexis, con un dibattito fra esperti sull’evoluzione, attualmente in corso, del concetto di un’ agenzia nazionale per l’IA;
-un convegno, presso il Centro Studi San Carlo, dedicato alla discussione sul contributo italiano alle trattative per una disciplina pattizia internazionale dell’Intelligenza Artificiale;
-la presentazione, sempre al Centro Studi san Carlo, del Libro Verde del Movimento Europeo in Europa, “Scriviamo insieme il futuro dell’ Europa”
A che ci serve l’Europa – Emma Bonino,Pier Virgilio Dastoli,Luca Cambi – copertina
9 maggio,
Ore 10,30
Centro Studi San Carlo, Via Monte di Pietà 1
Ore 10,30
CELEBRAZIONE DELLA “GIORNATA DELL’ EUROPA”
Dibattito sul libro: A che ci serve l’ Europa,
di Pier Virgilio Dastoli e Emma Bonino, con Luca Cambi.
Partecipano gli Autori,
Con: Brando Benifei,candidato al PE per il PD, Alessio Stefanoni della CNA, e Ferrante De Benedictis, Consigliere al Comune di Torino
Presenta la manifestazione: Marco Margrita, del Direttivo di Rinascimento Europeo
Introduce i Cantieri d’ Europa 2024: Riccardo Lala
Modera: Marco Zatterin
A 73 anni dalla ormai “Dichiarazione Schuman”, a cui fa riferimento la Giornata dell’Europa del 9 giugno, è più che mai giunto il momento di chiederci se l’evoluzione effettuale delle Comunità Europee, e la trasformazione di queste ultime nell’Unione Europea, non abbia costituito piuttosto un’involuzione dell’originaria intuizione politico/culturale, di Spinelli, e di tanti altri precursori dell’integrazione europea, da Coudenhove Kalergi a Simone Weil, da Galimberti a Gorbachev, da Mitterrand a Giovanni Paolo II. Certo, il punto di partenza era stato immaginato dai più come una qualche forma di unione “leggera” (per ultima la “Confederazione Europea” proposta da Mitterrand nel 1989), ma questo non escludeva, ed, anzi, postulava, la costituzione e l’espansione di un nocciolo duro, espressione di un’unione prima esistenziale che giuridica fra gli Europei (”la Patria Comune del Cuore” di Stefan Zweig). La presunta contrapposizione fra un’Europa “federale”, accentratrice e tecnocratica, e un’”Europa dei Popoli”, decentrata e identitaria, invalsa nella polemica politica parlamentare, non coglie, infatti, l’essenza del progetto europeo, che dovrebbe essere al contempo poliedrico all’ interno ed assertivo nel mondo, grazie a un’appropriata distribuzione dei ruoli e delle lealtà fra società civile, imprese, Enti locali, Stati Nazionali e “Europe Puissance”(Giscard, Macron), ciascuno fornito di una sua propria distinta identità, ma tutti convergenti su una finalità comune, secondo il modello di quello che Tocqueville aveva chiamato “l’Antica Costituzione Europea”.
Una risposta a quel dubbio, e lo scioglimento di questa pretesa contraddizione, risultano più che mai necessari alla vigilia di questa tornata di elezioni europee, che sarà determinante per affrontare i temi più drammatici dell’oggi -dalla disciplina internazionale dell’AI alla latente “Nuova Guerra Civile Europea”, nonché, infine, all’urgenza di un “centro dirigente” autorevole per fare fronte a una situazione internazionale drammatica e imprevedibile (AI, Ucraina, Medio Oriente)-.
Pur essendo tutte fortemente indebolite dalla “Fine delle Grandi Narrazioni”, le famiglie politiche tradizionali, rappresentate dai vari gruppi politici del Parlamento Europeo, stanno ritornando al centro dell’interesse della pubblica opinione avendo recuperato, almeno in parte, la loro originaria vocazione a sfidarsi sulle grandi alternative storiche dell’Europa. Speriamo che la legislatura che prenderà l’avvio da queste elezioni si dimostri all’altezza della drammaticità della situazione e dell’esigenza di un salto di qualità non solo istituzionale, ma anche culturale ed etico.
Il recentissimo e documentato libro di Dastoli e Bonino ci fornisce un ulteriore stimolo per una riflessione su questo tema, con l’intervento di relatori di grande competenza, impegnati in gruppi politici europei diversi e divergenti, che illustreranno le diverse prospettive in discussione e i relativi programmi.
La nuova Strategia Italiana per l’Intelligenza Artificiale 2024-2026 Spiegata Semplice | Intelligenza Artificiale Italia Blog
Ore 13,30
Salone Internazionale del Libro
Lingotto Fiere, Via Nizza, 294
Sala Arancio
L’Italia e la regolamentazione internazionale dell’Al”,
Presentazione del libro “L’Istituto italiano dell’Intelligenza Artificiale di Torino”, a cura dell’Associazione Diàlexis, Alpina, Collana Tamieia, e di un libro bianco sull’argomento
L’Italia ospita il G7, dedicato, fra l’altro, alla regolamentazione dell’lntelligenza Artificiale. Sarà illustrato un libro bianco dell’Associazione Diàlexis per il Governo ltaliano sulle proposte di legislazione internazionale.
A cura di CNA, Movimento Europeo in Italia, Associazione Dialexis, Rinascimento Europeo e Studio Ambrosio & Commodo
Dopo l’approvazione, da parte del Parlamento Europeo, dell’Artificial Intelligence Act, le nuove frontiere del dibattito sulla governance dell’IA si sono spostate, dal livello europeo, verso i piani nazionale e globale. Passando attraverso le diverse strategie nazionali italiane, purtroppo, il previsto Istituto dell’ Intelligenza Artificiale di Torino ha perso, con il tempo, la sua centralità, essendo emersi altri Enti regolatori. Nel frattempo, si sta tentando, seppure faticosamente, di giungere a una disciplina concordata sul piano globale, di cui si discute in un’altra manifestazione dei Cantieri d’ Europa.
Il libro dell’Associazione Dialexis “L’Istituto Italiano dell’Intelligenza artificiale di Torino” permette di ricostruire la storia dell’idea di un istituto nazionale, e la sua evoluzione fino alla situazione di oggi, quando è stata anticipata la strategia del Governo 2024-2026, la quale prevede, tra l’altro, l’ istituzione, nell’ambito della Presidenza del Consiglio, di una Fondazione per l’Intelligenza Artificiale e di un Istituto a Torino dedicato all’ automotive e all’ Aerospaziale. Ne discutono esperti interdisciplinari, caratterizzati da profili culturali diversi, per fornire un orientamento circa questa fluida materia.
Ore 15,30
Centro Studi San Carlo, Via Monte di Pietà 1
Con: Brando Benifei, Marcello Croce, Pier Virgilio Dastoli, Ferrante De Benedictis, Fabrizio Lala, Riccardo Lala, Marco Margrita, Alessio Stefanoni
Presenta e modera: Stefano Commodo
UN’AGENZIA MONDIALE PER L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE
(E PER IL CONTRASTO ALLA GUERRA MONDIALE)
La centralità dell’Intelligenza Artificiale in tutte le attività umane è stata confermata, per ultimo, dalla notizia della CNN secondo cui essa verrebbe utilizzata già oggi con l’impiego sul campo di armi autonome -in particolare, nella guerra in Palestina-. Non per nulla, l’ultima, meritoria, fatica di Henry Kissinger prima della sua morte è stata quello di persuadere i vertici americani e cinesi a inserire, nel dialogo faticosamente riavviato a San Francisco, la regolamentazione internazionale dell’ IA, ivi compresa un’agenzia internazionale sul modello dell’ AIEA. Basti pensare ai vari segmenti della difesa strategica nucleare delle Grandi Potenze: “Hair Trigger Alert”, missili ipersonici, al sistema “Dead Hand”.
L’IA è oggi considerata la risorsa bellica decisiva, com’era un tempo la bomba atomica, sì che un dialogo sulla nuova auspicata regolamentazione potrebbe, e dovrebbe, costituirebbe il primo tassello strategico per una governance mondiale, tanto militare, quanto civile, al passo con i tempi.
L’Associazione Diàlexis propone, con questa manifestazione, alle Associazioni e Istituzioni sue partner, di avviare un dialogo e una mobilitazione, volti a fornire una base conoscitiva permanente all’ Italia (chiamata fin da giugno a sviluppare questo tema in quanto Paese ospite del G7 2024), attraverso la costituzione di un gruppo di lavoro che ambisca a farsi portavoce della società civile. Punto di partenza di questa mobilitazione, un libro verde, di cui verrà illustrata la bozza riassumente lo stato dell’arte delle trattative, un abbozzo di proposta e un piano di lavoro per approfondire insieme gli svariati percorsi altamente specialistici che occorrerà percorrere per essere veramente i “Trendsetter of the Worldwide Debate”, come ambirebbero le Istituzioni europee.
CENTRO STUDI SAN CARLO
Ore 17,30
PRESENTAZIONE DEL LIBRO VERDE DEL MOVIMENTO EUROPEO IN ITALIA SUL FUTURO DELL’ EUROPA
ORE 17,30
CENTRO STUDI SAN CARLO
Via Monte di Pietà1
PRESENTAZIONE DEL LIBRO VERDE DEL MOVIMENTO EUROPEO SUL FUTURO DELL’ EUROPA
AGENDA DIGITALECENTRO STUDI SAN PAOLO
ALL.1
lettera dei vescovi: «Cara Europa, ritrova l’anima e la pace»
Matteo Maria Zuppi e Mariano Crociata mercoledì 8 maggio 2024
I presidenti Cei Zuppi e Comece Crociata si rivolgono al Continente in vista delle prossime elezioni: servono ideali comuni e valori coltivati. Diciamo no a divisioni e nazionalismi
Tra il 6 e il 9 giugno le elezioni per il Parlamento Europeo – ANSA
COMMENTA E CONDIVIDI
Cara Unione Europea,
darti del tu è inusuale, ma ci viene naturale perché siamo cresciuti con te. Sei una, sei “l’Europa”, eppure abbracci ben 27 Paesi, con 450 milioni di abitanti, che hanno scelto liberamente di mettersi insieme per formare l’Unione che sei diventata. Che meraviglia! Invece di litigare o ignorarsi, conoscersi e andare d’accordo! Lo sappiamo: non sempre è facile, ma quanto è decisivo, invece di alzare barriere e difese, cancellarle e collaborare. Tu sei la nostra casa, prima casa comune. In questa impariamo a vivere da “Fratelli Tutti”, come ha scritto un tuo figlio i cui genitori andarono fino alla “fine del mondo” per cercare futuro.
Nel cuore un desiderio
Ti scriviamo perché abbiamo nel cuore un desiderio: che si rafforzi ciò che rappresenti e ciò che sei, che tutti impariamo a sentirti vicina, amica e non distante o sconosciuta. Ne hai bisogno perché spesso si parla male di te e tanti si scordano quante cose importanti fai! Durante il Covid lo abbiamo visto: solo insieme possiamo affrontare le pandemie. Purtroppo, lo capiamo solo quando siamo sopraffatti dalle necessità, per poi dimenticarlo facilmente! Così, quando pensiamo che possiamo farcela da soli finiamo tutti contro tutti.
Dagli inizi ad oggi Non possiamo dimenticare come prima di te, per secoli, abbiamo combattuto guerre senza fine e milioni di persone sono state uccise. Tutti i sogni di pace si sono infranti sugli scogli di guerre, le ultime quelle mondiali, che hanno portato immense distruzioni e morte. Proprio dalla tragedia della Seconda guerra mondiale – che ha toccato il male assoluto con la Shoah e la minaccia alla sopravvivenza dell’umanità intera con la bomba atomica – è nato il germe della comunità di Paesi sovrani che oggi è l’Unione Europea. C’è stato chi ha creduto che le nazioni non fossero destinate a combattersi, che dopo tanto odio si potesse imparare a vivere assieme. Tra quelli che ti hanno pensata e voluta non possiamo dimenticare Robert Schuman, francese, Konrad Adenauer, tedesco, e Alcide De Gasperi, italiano: animati dalla fede cristiana, essi hanno sentito la chiamata a creare qualcosa che rendesse impossibile il ritorno della guerra sul suolo europeo. Hanno pensato con intelligenza, ambizione e coraggio. Non sono mancati momenti difficili, ma la forza che viene dall’unità ha mostrato il valore del cammino intrapreso e la possibilità di correggere, aggiustare, intendersi. La Comunità Europea venne concepita nel 1951 attorno al carbone e all’acciaio, materie allora indispensabili per fare la guerra, per prevenire ogni velleità di farne uso ancora una volta l’uno contro l’altro. In realtà quei tre grandi uomini, e tanti altri con loro, hanno cercato di più, e cioè la riconciliazione tra i popoli e la cancellazione degli odi e delle vendette. Trovare qualcosa su cui lavorare insieme, anche solo sul piano economico, come dimostrano i Trattati firmati a Roma nel 1957, è stato l’inizio di un cammino che ha visto poco alla volta nuovi popoli entrare nella Comunità e, dopo la caduta del muro di Berlino, nel 1989, il cambiamento del nome, nel 1992, in Unione Europea, e l’allargamento, nel 2004, ai Paesi dell’allora Patto di Varsavia, ben dieci in una volta. I problemi non sono mancati, ma quanto sono stati importanti la moneta unica e l’abbattimento delle barriere nazionali per la libera circolazione delle persone e delle merci! Ultimo, l’accordo sulla riforma con il Trattato di Lisbona, entrato in vigore nel 2009.
Il senso dello stare insieme Cara Unione Europea, sei un organismo vivo, perciò forse viene il momento per nuove riforme istituzionali che ti rendano sempre più all’altezza delle sfide di oggi. Ma non puoi essere solo una burocrazia, pur necessaria per far funzionare organizzazioni così complesse come quella che sei diventata. Direttive e regolamenti da soli non fanno crescere la coesione. Serve un’anima! In questi anni abbiamo visto compiere passi avanti significativi, quando per esempio hai accompagnato alcuni Paesi a superare le crisi economiche, ma abbiamo anche dovuto registrare fasi di stallo e difficoltà. E queste crescono quando smarriamo il senso dello stare insieme, la visione del nostro futuro condiviso, o facciamo resistenza a capire che il destino è comune e che bisogna continuare a costruire un’Europa unita.
Il ritorno della guerra Perciò, qualche volta ci chiediamo: Europa, dove sei? Che direzione vuoi prendere? Sono questi anche gli interrogativi del Papa: «Guardando con accorato affetto all’Europa, nello spirito di dialogo che la caratterizza, verrebbe da chiederle: verso dove navighi, se non offri percorsi di pace, vie creative per porre fine alla guerra in Ucraina e ai tanti conflitti che insanguinano il mondo? E ancora, allargando il campo: quale rotta segui, Occidente?» (Discorso, Lisbona, 2 agosto 2023). In tutti questi anni siamo molto cambiati e facciamo fatica a capire e a tenere vivo lo spirito degli inizi. Dopo un così lungo periodo di pace abbiamo pensato che una guerra su territorio europeo sarebbe stata ormai impossibile. E invece gli ultimi due anni ci dicono che ciò che sembrava impensabile è tornato. Abbiamo bisogno di riprendere in mano il progetto dei padri fondatori e di costruire nuovi patti di pace se vogliamo che la guerra contro l’Ucraina finisca, e che finisca anche la guerra in corso in Medio Oriente, scoppiata a seguito dell’attacco terroristico del 7 ottobre scorso contro Israele, e con essa l’antisemitismo, mai sconfitto e ora riemergente. Lo dice così bene anche la nostra Costituzione italiana: è necessario combattere la guerra e ripudiarla per davvero! Se non si ha cura della pace, rischia sempre di tornare la guerra. Lo diceva Robert Schuman nella sua Dichiarazione del 9 maggio 1950, che ha dato avvio al processo di integrazione europea: «L’Europa non è stata fatta: abbiamo avuto la guerra». Egli si riferiva al passato, ma le sue parole valgono anche oggi. L’unità va cercata come un compito sempre nuovo e urgente. Non dobbiamo aspettare l’esplosione di un altro conflitto per capirlo!
Il ruolo internazionale e la tentazione dei nazionalismi Che ruolo giochi, Europa, nel mondo? Vogliamo che tu incida e porti la tua volontà di pace, gli strumenti della tua diplomazia, i tuoi valori. Risveglia la tua forza così da far sentire la tua voce, così da stabilire nuovi equilibri e relazioni internazionali. Le tue divisioni interne non ti permettono di assumere quel ruolo che dalla tua statura storica e culturale ci si aspetterebbe. Non vedi il rischio che le tue contrapposizioni intestine indeboliscano non solo il tuo peso internazionale ma anche la capacità di far fronte alle attese dei tuoi popoli? Tanti pensano di potere usufruire dei benefici che tu hai indubbiamente portato, come se fossero scontati e niente possa comprometterli. La pandemia o le periodiche proteste, ultima quella degli agricoltori, ci procurano uno sgradevole risveglio. Capiamo che tanti vantaggi acquisiti potrebbero svanire. Il senso della necessità però non basta a spingere sempre e tutti a superare le divisioni. Alcuni vogliono far credere che isolandosi si starebbe meglio, quando invece qualunque dei tuoi Paesi, anche grande, si ridurrebbe fatalmente al proverbiale vaso di coccio tra vasi di ferro. Per stare insieme abbiamo bisogno di motivazioni condivise, di ideali comuni, di valori apprezzati e coltivati. Non bastano convenienze economiche, poiché alla lunga devono essere percepite le ragioni dello stare insieme, le uniche capaci di far superare tensioni e contrasti che proprio gli interessi economici portano con sé nel loro fisiologico confrontarsi. Ha detto Papa Francesco: «In questo frangente storico l’Europa è fondamentale. Perché essa, grazie alla sua storia, rappresenta la memoria dell’umanità ed è perciò chiamata a interpretare il ruolo che le corrisponde: quello di unire i distanti, di accogliere al suo interno i popoli e di non lasciare nessuno per sempre nemico. È dunque essenziale ritrovare l’anima europea» (Discorso, Budapest, 28 aprile 2023). Vorremmo che tutti sentissimo l’orgoglio di appartenerti, Europa. Oggi appare distante, a volte estraneo, tutto ciò che sta oltre i confini del proprio Paese. Eppure, le due appartenenze, quella nazionale e quella europea, si implicano a vicenda. La tua è stata fin dall’inizio l’Unione di Paesi liberi e sovrani che rinunciavano a parte della loro sovranità a favore di una, comune, più forte. Perciò non si tratta di sminuire l’identità e la libertà di alcuno, ma di conservare l’autonomia propria di ciascuno in un rapporto organico e leale con tutti gli altri. Valori europei e fede cristiana Le nostre idee e i nostri valori definiscono il tuo volto, cara Europa. Anche in questo la fede cristiana ha svolto un ruolo importante, tanto più che dal suo sentire è uscito il progetto e il disegno originario della tua Unione. Come cristiani continuiamo a sentirne viva responsabilità; e del resto troviamo in te tanta attenzione alla dignità della persona, che il Vangelo di Cristo ha seminato nei cuori e nella tua cultura. Soffriamo non poco, perciò, nel vedere che hai paura della vita, non la sai difendere e accogliere dal suo inizio alla sua fine, e non sempre incoraggi la crescita demografica. «Penso – dice il Papa – a un’Europa che non sia ostaggio delle parti, diventando preda di populismi autoreferenziali, ma che nemmeno si trasformi in una realtà fluida, se non gassosa, in una sorta di sovranazionalismo astratto, dimentico della vita dei popoli. […] Che bello invece costruire un’Europa centrata sulla persona e sui popoli, dove vi siano politiche effettive per la natalità e la famiglia […], dove nazioni diverse siano una famiglia in cui si custodiscono la crescita e la singolarità di ciascuno» (Discorso, Budapest, 28 aprile 2023). Il tema dei migranti e le sue implicazioni Cara Europa, tu non puoi guardare solo al tuo interno. Non si può vivere solo per stare bene, ma stare bene per aiutare il mondo, combattere l’ingiustizia, lottare contro le povertà. Ormai da decenni sei il punto di arrivo, il sogno di tante persone migranti che da diversi continenti cercano entro i tuoi confini una vita migliore. Tanti vogliono raggiungerti perché sono alla ricerca disperata di un futuro. E molti, con il loro lavoro, non ti aiutano forse già a prepararne uno migliore? Non si tratta di accogliere tutti, ma che nessuno perda la vita nei “viaggi della speranza” e tanti possano trovare ospitalità. Chi accoglie, genera vita! L’Italia è spesso lasciata sola, come se fosse un problema solo suo o di alcuni, ma non per questo deve chiudersi. Prima o poi impareremo che le responsabilità, comprese quelle verso i migranti, vanno condivise, per affrontare e risolvere problemi che in realtà sono di tutti. Tu rappresenti un punto di riferimento per i Paesi mediterranei e africani, un bacino immenso di popoli e di risorse nella prospettiva di un partenariato tra uguali. Compito essenziale perché in realtà un soggetto sovranazionale come l’Unione non può sussistere al di fuori di una reciprocità di relazioni internazionali che ne dicano il riconoscimento e il compito storico, e che promuovano il comune progresso sociale ed economico nel segno dell’amicizia e della fraternità.
Compiti e sfide Cara Europa, è tempo di un nuovo grande rilancio del tuo cammino di Unione verso una integrazione sempre più piena, che guardi a un fisco europeo che sia il più possibile equo; a una politica estera autorevole; a una difesa comune che ti permetta di esercitare la tua responsabilità internazionale; a un processo di allargamento ai Paesi che ancora non ne fanno parte, garanzia di una forza sempre più proporzionata all’unità che raccogli ed esprimi. Le esigenze di innovazione economica e tecnica (pensiamo all’Intelligenza Artificiale), di sicurezza, di cura dell’ambiente e di custodia della “casa comune”, di salvaguardia del welfare e dei diritti individuali e sociali, sono alcune delle sfide che solo insieme potremo affrontare e superare. Non mancano purtroppo i pericoli, come quelli che vengono dalla disinformazione, che minaccia l’ordinato svolgimento della vita democratica e la stessa possibilità di una memoria e di una storia non falsate. Insieme alle riforme istituzionali democraticamente adottate, c’è bisogno di far crescere un sentire comune, un apprezzamento condiviso dei valori che stanno alla base della nostra convivenza nell’Unione Europea. Ci vuole un nuovo senso della cittadinanza, un senso civico di respiro europeo, la coscienza dei popoli del continente di essere un unico grande popolo. Ne siamo convinti: è innanzitutto questo senso di comunità di cittadini e di popoli che ci chiedi di fare nostro, cara Europa.
Le prossime elezioni Le prossime elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo e la nomina della Commissione Europea sono l’occasione propizia e irripetibile, da cogliere senza esitazione. Purtroppo, a farsi valere spesso sono le paure e il senso di insicurezza di fronte alle difficoltà. Anche questo andrebbe raccolto e ascoltato per mostrare come proprio tu sia lo strumento e il luogo per affrontare e vincere paure e minacce. Facciamo appello, perciò, a tutti, candidati e cittadini, a cominciare dai sedicenni che per la prima volta in alcuni Paesi andranno a votare, perché sentano quanto sia importante compiere questo gesto civico di partecipazione alla vita e alla crescita dell’Unione. Non andare a votare non equivale a restare neutrali, ma assumersi una precisa responsabilità, quella di dare ad altri il potere di agire senza, se non addirittura contro, la nostra libertà. L’assenteismo ha l’effetto di accrescere la sfiducia, la diffidenza degli uni nei confronti degli altri, la perdita della possibilità di dare il proprio contributo alla vita sociale, e quindi la rinuncia ad avere capacità e titolo per rendere migliore lo stare insieme nell’Unione Europea. L’augurio che ti facciamo, cara Unione Europea, è che questa tornata elettorale diventi davvero un’occasione di rilancio, un risveglio di entusiasmo per un cammino comune che contiene già, in sé e nella visione che proietta, un senso vivo di speranza e di impegno motivato e convinto da parte dei tuoi cittadini.
Un nuovo umanesimo europeo Sogniamo perciò ancora con Papa Francesco: «Con la mente e con il cuore, con speranza e senza vane nostalgie, come un figlio che ritrova nella madre Europa le sue radici di vita e di fede, sogno un nuovo umanesimo europeo, “un costante cammino di umanizzazione”, cui servono “memoria, coraggio, sana e umana utopia”» (Discorso, Vaticano, 6 maggio 2016).
Matteo Maria Zuppi, cardinale, presidente della Conferenza episcopale italiana Mariano Crociata, arcivescovo, presidente della Comece
ALL.2
Verso le elezioni. La lettera dei vescovi: «Cara Europa, ritrova l’anima e la pace»
Matteo Maria Zuppi e Mariano Crociata mercoledì 8 maggio 2024
I presidenti Cei Zuppi e Comece Crociata si rivolgono al Continente in vista delle prossime elezioni: servono ideali comuni e valori coltivati. Diciamo no a divisioni e nazionalismi
Tra il 6 e il 9 giugno le elezioni per il Parlamento Europeo – ANSA
COMMENTA E CONDIVIDI
Cara Unione Europea,
darti del tu è inusuale, ma ci viene naturale perché siamo cresciuti con te. Sei una, sei “l’Europa”, eppure abbracci ben 27 Paesi, con 450 milioni di abitanti, che hanno scelto liberamente di mettersi insieme per formare l’Unione che sei diventata. Che meraviglia! Invece di litigare o ignorarsi, conoscersi e andare d’accordo! Lo sappiamo: non sempre è facile, ma quanto è decisivo, invece di alzare barriere e difese, cancellarle e collaborare. Tu sei la nostra casa, prima casa comune. In questa impariamo a vivere da “Fratelli Tutti”, come ha scritto un tuo figlio i cui genitori andarono fino alla “fine del mondo” per cercare futuro.
Nel cuore un desiderio
Ti scriviamo perché abbiamo nel cuore un desiderio: che si rafforzi ciò che rappresenti e ciò che sei, che tutti impariamo a sentirti vicina, amica e non distante o sconosciuta. Ne hai bisogno perché spesso si parla male di te e tanti si scordano quante cose importanti fai! Durante il Covid lo abbiamo visto: solo insieme possiamo affrontare le pandemie. Purtroppo, lo capiamo solo quando siamo sopraffatti dalle necessità, per poi dimenticarlo facilmente! Così, quando pensiamo che possiamo farcela da soli finiamo tutti contro tutti.
Dagli inizi ad oggi Non possiamo dimenticare come prima di te, per secoli, abbiamo combattuto guerre senza fine e milioni di persone sono state uccise. Tutti i sogni di pace si sono infranti sugli scogli di guerre, le ultime quelle mondiali, che hanno portato immense distruzioni e morte. Proprio dalla tragedia della Seconda guerra mondiale – che ha toccato il male assoluto con la Shoah e la minaccia alla sopravvivenza dell’umanità intera con la bomba atomica – è nato il germe della comunità di Paesi sovrani che oggi è l’Unione Europea. C’è stato chi ha creduto che le nazioni non fossero destinate a combattersi, che dopo tanto odio si potesse imparare a vivere assieme. Tra quelli che ti hanno pensata e voluta non possiamo dimenticare Robert Schuman, francese, Konrad Adenauer, tedesco, e Alcide De Gasperi, italiano: animati dalla fede cristiana, essi hanno sentito la chiamata a creare qualcosa che rendesse impossibile il ritorno della guerra sul suolo europeo. Hanno pensato con intelligenza, ambizione e coraggio. Non sono mancati momenti difficili, ma la forza che viene dall’unità ha mostrato il valore del cammino intrapreso e la possibilità di correggere, aggiustare, intendersi. La Comunità Europea venne concepita nel 1951 attorno al carbone e all’acciaio, materie allora indispensabili per fare la guerra, per prevenire ogni velleità di farne uso ancora una volta l’uno contro l’altro. In realtà quei tre grandi uomini, e tanti altri con loro, hanno cercato di più, e cioè la riconciliazione tra i popoli e la cancellazione degli odi e delle vendette. Trovare qualcosa su cui lavorare insieme, anche solo sul piano economico, come dimostrano i Trattati firmati a Roma nel 1957, è stato l’inizio di un cammino che ha visto poco alla volta nuovi popoli entrare nella Comunità e, dopo la caduta del muro di Berlino, nel 1989, il cambiamento del nome, nel 1992, in Unione Europea, e l’allargamento, nel 2004, ai Paesi dell’allora Patto di Varsavia, ben dieci in una volta. I problemi non sono mancati, ma quanto sono stati importanti la moneta unica e l’abbattimento delle barriere nazionali per la libera circolazione delle persone e delle merci! Ultimo, l’accordo sulla riforma con il Trattato di Lisbona, entrato in vigore nel 2009.
Il senso dello stare insieme Cara Unione Europea, sei un organismo vivo, perciò forse viene il momento per nuove riforme istituzionali che ti rendano sempre più all’altezza delle sfide di oggi. Ma non puoi essere solo una burocrazia, pur necessaria per far funzionare organizzazioni così complesse come quella che sei diventata. Direttive e regolamenti da soli non fanno crescere la coesione. Serve un’anima! In questi anni abbiamo visto compiere passi avanti significativi, quando per esempio hai accompagnato alcuni Paesi a superare le crisi economiche, ma abbiamo anche dovuto registrare fasi di stallo e difficoltà. E queste crescono quando smarriamo il senso dello stare insieme, la visione del nostro futuro condiviso, o facciamo resistenza a capire che il destino è comune e che bisogna continuare a costruire un’Europa unita.
Il ritorno della guerra Perciò, qualche volta ci chiediamo: Europa, dove sei? Che direzione vuoi prendere? Sono questi anche gli interrogativi del Papa: «Guardando con accorato affetto all’Europa, nello spirito di dialogo che la caratterizza, verrebbe da chiederle: verso dove navighi, se non offri percorsi di pace, vie creative per porre fine alla guerra in Ucraina e ai tanti conflitti che insanguinano il mondo? E ancora, allargando il campo: quale rotta segui, Occidente?» (Discorso, Lisbona, 2 agosto 2023). In tutti questi anni siamo molto cambiati e facciamo fatica a capire e a tenere vivo lo spirito degli inizi. Dopo un così lungo periodo di pace abbiamo pensato che una guerra su territorio europeo sarebbe stata ormai impossibile. E invece gli ultimi due anni ci dicono che ciò che sembrava impensabile è tornato. Abbiamo bisogno di riprendere in mano il progetto dei padri fondatori e di costruire nuovi patti di pace se vogliamo che la guerra contro l’Ucraina finisca, e che finisca anche la guerra in corso in Medio Oriente, scoppiata a seguito dell’attacco terroristico del 7 ottobre scorso contro Israele, e con essa l’antisemitismo, mai sconfitto e ora riemergente. Lo dice così bene anche la nostra Costituzione italiana: è necessario combattere la guerra e ripudiarla per davvero! Se non si ha cura della pace, rischia sempre di tornare la guerra. Lo diceva Robert Schuman nella sua Dichiarazione del 9 maggio 1950, che ha dato avvio al processo di integrazione europea: «L’Europa non è stata fatta: abbiamo avuto la guerra». Egli si riferiva al passato, ma le sue parole valgono anche oggi. L’unità va cercata come un compito sempre nuovo e urgente. Non dobbiamo aspettare l’esplosione di un altro conflitto per capirlo!
Il ruolo internazionale e la tentazione dei nazionalismi Che ruolo giochi, Europa, nel mondo? Vogliamo che tu incida e porti la tua volontà di pace, gli strumenti della tua diplomazia, i tuoi valori. Risveglia la tua forza così da far sentire la tua voce, così da stabilire nuovi equilibri e relazioni internazionali. Le tue divisioni interne non ti permettono di assumere quel ruolo che dalla tua statura storica e culturale ci si aspetterebbe. Non vedi il rischio che le tue contrapposizioni intestine indeboliscano non solo il tuo peso internazionale ma anche la capacità di far fronte alle attese dei tuoi popoli? Tanti pensano di potere usufruire dei benefici che tu hai indubbiamente portato, come se fossero scontati e niente possa comprometterli. La pandemia o le periodiche proteste, ultima quella degli agricoltori, ci procurano uno sgradevole risveglio. Capiamo che tanti vantaggi acquisiti potrebbero svanire. Il senso della necessità però non basta a spingere sempre e tutti a superare le divisioni. Alcuni vogliono far credere che isolandosi si starebbe meglio, quando invece qualunque dei tuoi Paesi, anche grande, si ridurrebbe fatalmente al proverbiale vaso di coccio tra vasi di ferro. Per stare insieme abbiamo bisogno di motivazioni condivise, di ideali comuni, di valori apprezzati e coltivati. Non bastano convenienze economiche, poiché alla lunga devono essere percepite le ragioni dello stare insieme, le uniche capaci di far superare tensioni e contrasti che proprio gli interessi economici portano con sé nel loro fisiologico confrontarsi. Ha detto Papa Francesco: «In questo frangente storico l’Europa è fondamentale. Perché essa, grazie alla sua storia, rappresenta la memoria dell’umanità ed è perciò chiamata a interpretare il ruolo che le corrisponde: quello di unire i distanti, di accogliere al suo interno i popoli e di non lasciare nessuno per sempre nemico. È dunque essenziale ritrovare l’anima europea» (Discorso, Budapest, 28 aprile 2023). Vorremmo che tutti sentissimo l’orgoglio di appartenerti, Europa. Oggi appare distante, a volte estraneo, tutto ciò che sta oltre i confini del proprio Paese. Eppure, le due appartenenze, quella nazionale e quella europea, si implicano a vicenda. La tua è stata fin dall’inizio l’Unione di Paesi liberi e sovrani che rinunciavano a parte della loro sovranità a favore di una, comune, più forte. Perciò non si tratta di sminuire l’identità e la libertà di alcuno, ma di conservare l’autonomia propria di ciascuno in un rapporto organico e leale con tutti gli altri. Valori europei e fede cristiana Le nostre idee e i nostri valori definiscono il tuo volto, cara Europa. Anche in questo la fede cristiana ha svolto un ruolo importante, tanto più che dal suo sentire è uscito il progetto e il disegno originario della tua Unione. Come cristiani continuiamo a sentirne viva responsabilità; e del resto troviamo in te tanta attenzione alla dignità della persona, che il Vangelo di Cristo ha seminato nei cuori e nella tua cultura. Soffriamo non poco, perciò, nel vedere che hai paura della vita, non la sai difendere e accogliere dal suo inizio alla sua fine, e non sempre incoraggi la crescita demografica. «Penso – dice il Papa – a un’Europa che non sia ostaggio delle parti, diventando preda di populismi autoreferenziali, ma che nemmeno si trasformi in una realtà fluida, se non gassosa, in una sorta di sovranazionalismo astratto, dimentico della vita dei popoli. […] Che bello invece costruire un’Europa centrata sulla persona e sui popoli, dove vi siano politiche effettive per la natalità e la famiglia […], dove nazioni diverse siano una famiglia in cui si custodiscono la crescita e la singolarità di ciascuno» (Discorso, Budapest, 28 aprile 2023). Il tema dei migranti e le sue implicazioni Cara Europa, tu non puoi guardare solo al tuo interno. Non si può vivere solo per stare bene, ma stare bene per aiutare il mondo, combattere l’ingiustizia, lottare contro le povertà. Ormai da decenni sei il punto di arrivo, il sogno di tante persone migranti che da diversi continenti cercano entro i tuoi confini una vita migliore. Tanti vogliono raggiungerti perché sono alla ricerca disperata di un futuro. E molti, con il loro lavoro, non ti aiutano forse già a prepararne uno migliore? Non si tratta di accogliere tutti, ma che nessuno perda la vita nei “viaggi della speranza” e tanti possano trovare ospitalità. Chi accoglie, genera vita! L’Italia è spesso lasciata sola, come se fosse un problema solo suo o di alcuni, ma non per questo deve chiudersi. Prima o poi impareremo che le responsabilità, comprese quelle verso i migranti, vanno condivise, per affrontare e risolvere problemi che in realtà sono di tutti. Tu rappresenti un punto di riferimento per i Paesi mediterranei e africani, un bacino immenso di popoli e di risorse nella prospettiva di un partenariato tra uguali. Compito essenziale perché in realtà un soggetto sovranazionale come l’Unione non può sussistere al di fuori di una reciprocità di relazioni internazionali che ne dicano il riconoscimento e il compito storico, e che promuovano il comune progresso sociale ed economico nel segno dell’amicizia e della fraternità.
Compiti e sfide Cara Europa, è tempo di un nuovo grande rilancio del tuo cammino di Unione verso una integrazione sempre più piena, che guardi a un fisco europeo che sia il più possibile equo; a una politica estera autorevole; a una difesa comune che ti permetta di esercitare la tua responsabilità internazionale; a un processo di allargamento ai Paesi che ancora non ne fanno parte, garanzia di una forza sempre più proporzionata all’unità che raccogli ed esprimi. Le esigenze di innovazione economica e tecnica (pensiamo all’Intelligenza Artificiale), di sicurezza, di cura dell’ambiente e di custodia della “casa comune”, di salvaguardia del welfare e dei diritti individuali e sociali, sono alcune delle sfide che solo insieme potremo affrontare e superare. Non mancano purtroppo i pericoli, come quelli che vengono dalla disinformazione, che minaccia l’ordinato svolgimento della vita democratica e la stessa possibilità di una memoria e di una storia non falsate. Insieme alle riforme istituzionali democraticamente adottate, c’è bisogno di far crescere un sentire comune, un apprezzamento condiviso dei valori che stanno alla base della nostra convivenza nell’Unione Europea. Ci vuole un nuovo senso della cittadinanza, un senso civico di respiro europeo, la coscienza dei popoli del continente di essere un unico grande popolo. Ne siamo convinti: è innanzitutto questo senso di comunità di cittadini e di popoli che ci chiedi di fare nostro, cara Europa.
Le prossime elezioni Le prossime elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo e la nomina della Commissione Europea sono l’occasione propizia e irripetibile, da cogliere senza esitazione. Purtroppo, a farsi valere spesso sono le paure e il senso di insicurezza di fronte alle difficoltà. Anche questo andrebbe raccolto e ascoltato per mostrare come proprio tu sia lo strumento e il luogo per affrontare e vincere paure e minacce. Facciamo appello, perciò, a tutti, candidati e cittadini, a cominciare dai sedicenni che per la prima volta in alcuni Paesi andranno a votare, perché sentano quanto sia importante compiere questo gesto civico di partecipazione alla vita e alla crescita dell’Unione. Non andare a votare non equivale a restare neutrali, ma assumersi una precisa responsabilità, quella di dare ad altri il potere di agire senza, se non addirittura contro, la nostra libertà. L’assenteismo ha l’effetto di accrescere la sfiducia, la diffidenza degli uni nei confronti degli altri, la perdita della possibilità di dare il proprio contributo alla vita sociale, e quindi la rinuncia ad avere capacità e titolo per rendere migliore lo stare insieme nell’Unione Europea. L’augurio che ti facciamo, cara Unione Europea, è che questa tornata elettorale diventi davvero un’occasione di rilancio, un risveglio di entusiasmo per un cammino comune che contiene già, in sé e nella visione che proietta, un senso vivo di speranza e di impegno motivato e convinto da parte dei tuoi cittadini.
Un nuovo umanesimo europeo Sogniamo perciò ancora con Papa Francesco: «Con la mente e con il cuore, con speranza e senza vane nostalgie, come un figlio che ritrova nella madre Europa le sue radici di vita e di fede, sogno un nuovo umanesimo europeo, “un costante cammino di umanizzazione”, cui servono “memoria, coraggio, sana e umana utopia”» (Discorso, Vaticano, 6 maggio 2016).
Matteo Maria Zuppi, cardinale, presidente della Conferenza episcopale italiana Mariano Crociata, arcivescovo, presidente della Comece
Nonostante le loro affermazioni, gli Stati membri della UE stanno operando in senso contrario alla costituzione di una Politica Estera e di Difesa Europea, in quanto si sono orientati verso una serie di accordi militari bilaterali con l’ Ucraina, che ci si può chiedere quanto siano compatibili con le rispettive costituzioni, con lo spirito europeo e perfino con l’appartenenza alla NATO.
Soprattutto, essi pongono la premessa per uno scontro diretto fra Europei e Russi, che è quanto gli USA hanno sempre cercato di ottenere, e contro cui era stata ideata la Perestrojka. Se, infatti, nel 1989non fosse arrivato al castello di Praga Bill Clinton, sarebbe forse partita la “Confederazione Europea” fra CEE e Comecon, voluta da Mitterrand e Gorbačev, primo passo verso la “Casa Comune Europea”, l’esatto opposto della guerra in Europa che tutti stanno oggi preparando.
Perciò, chi, come noi, si era sempre adoperato per il dissenso est-europeo (per esempio, Sol’ženitsin), nella speranza che esso, abbattendo l’Unione Sovietica, avrebbe costruito un ponte fra i popoli dell’ Europa Occidentale con quelli dell’ Europa Centrale e Orientale (“respirare con due polmoni”, come scriveva Ivanov), non può che essere contrario a questa guerra, che vuole dividere definitivamente gli Europei (cfr. il nostro Quaderno “No a un’inutile strage” del 2014).
Vi è ora forse in qualcuno anche un legittimo desiderio di sfruttare questa guerra per fare nascere una qualche Europa Militare (cfr.A.Spinelli), ma, come dimostra la storia dell’ integrazione militare europea (Crociate, Napoleone, Crimea, Asse), l’esito più probabile sarà un’ immane catastrofe, da un lato, per l’impreparazione degli Europei, e, dall’ altro, per l’eterodirezione da parte degli “Imperi Sconosciuti”(come dice il Papa). L’unico modo per rimediarvi all’ultimo momento sarebbe, forse, prepararsi a prendere in mano le redini della situazione nel caso (non improbabile) in cui gli Stati Uniti lasciassero soli gli Europei nel bel mezzo di una guerra. Però, come scriveva Domenico Quirico su La Stampa, la soluzione non potrà venire da coloro che ci hanno portati fino a questo sfascio. Infatti, non si tratterebbe di portare quella guerra fino alle estreme conseguenze, bensì di usare la nostra rinnovata forza per far valere i nostri valori e interessi (la Casa Comune Europea).
1.L’escalation degli Stati Europei in Ucraina
Con l’alleanza firmata con l’Ucraina, il Governo inglese, ancora una volta, ha tentato di scongiurare la possibilità di un negoziato per porre termine al conflitto. Dopo la Gran Bretagna, nuovi accordi bilaterali sono stati stipulati con la Germania e la Francia. Secondo una fonte giornalistica, con l’accordo, valido dieci anni, Germania e Ucraina hanno concordato che, in caso di un futuro attacco russo, ciascuna delle due parti potrà richiedere consultazioni, e che i passi successivi saranno decisi entro 24 ore. Se la Germania riterrà necessario intervenire, fornirà all’Ucraina «assistenza rapida e duratura in materia di sicurezza, equipaggiamento militare moderno in tutti i settori, se necessario, e assistenza economica». L’accordo con la Francia, invece, delinea un quadro per gli aiuti umanitari e finanziari a lungo termine, il sostegno alla ricostruzione e l’assistenza militare. Parigi si è in ogni caso impegnata a fornire nel 2024 «fino a 3 miliardi di euro» in aiuti militari «supplementari» a Kiev, dopo un aiuto stimato a 1,7 miliardi nel 2022 e 2,1 miliardi nel 2023. Per giunta, Macron non ha escluso che la Francia possa inviare truppe sul campo di battaglia. Da ultima la Danimarca, il 22 febbraio, ha firmato un accordo bilaterale con l’Ucraina che prevede la fornitura in dieci anni di aiuti militari per 250 milioni di dollari. Nella scadenza del secondo anniversario dell’invasione russa, il Primo ministro Meloni si è recata a Kiev per firmare, in occasione del Forum dei leader del G7, un accordo bilaterale sulla “sicurezza” con l’Ucraina. L’accordo italiano, illustrato da Tajani, prevede «la consultazione e la collaborazione con l’Ucraina per aiutarla a costituire una sua capacità nazionale nel settore della difesa» per «provvedere alla propria sicurezza nel medio-lungo termine». Un altro pilastro sarà «l’assistenza in campo economico» e per la «ricostruzione». E poi ancora, «la tutela delle infrastrutture critiche ed energetiche», il «sostegno umanitario per i civili».
Tajani ha cercato di minimizzare il significato dell’accordo, assumendo che «non sarà giuridicamente vincolante [poiché] dal testo non derivano obblighi sul piano del diritto internazionale né impegni finanziari”. Il ministro probabilmente intendeva dire che dal testo non emerge un obbligo automatico dell’Italia di entrare in guerra in soccorso all’Ucraina nel caso in cui questa perda definitivamente la guerra. Tuttavia, l’accordo è comunque in violazione dell’obbligo di sottoporre al Parlamento la creazione di nuove alleanze militari, e fa dell’ Italia un possibile obiettivo dei missili russi, così come l’invio della flotta italiana nel Mar Rosso lo fa per il terrorismo islamico.
E’ singolare che, nonostante che Macron e von der Leyen facciano intendere che un eventuale intervento sarebbe fatto anche e soprattutto in contrasto con un disimpegno americano, anche il Capo di Stato Maggiore USA, Austin, parli oramai di “guerra della NATO contro la Russia”. Confermando con ciò l’interpretazione data da sempre, da parte dei media russi, della natura profonda della guerra in corso.
Per tutto questo, ci sembra non irrilevante ricapitolare qui di seguito la storia degli aspetti militari dell’integrazione europea, che stanno rapidamente emergendo quali punto focale degli attuali dibattiti e disvelamento delle reali intenzioni, per capire in che modo essi si connettano all’attuale situazione.
2.Dagli “Autonomoi” all’impero romano
L’idea di una qualche integrazione europea era nata molti secoli fa proprio dall’esigenza d’ inquadrare in un unico esercito le sparse schiere dei primitivi popoli europei, quelli che Ippocrate chiamava “Autonomoi”, valentissimi guerrieri, ma divisi fra di loro in base a criteri clanici, tribali, cittadini, di classe, etnici, regionali e culturali. Per questo, non c’è da scandalizzarsi se i politici europei ricominciano a parlare, dopo 2500 anni, di guerra come forma di integrazione del Continente.
Roma stessa era nata quale idea multiculturale e multietnica, non nazionale, proprio per esprimere questo senso di unione sotto l’elemento militare. “Rhoma” (in Attico, “Rhome”) è la parola dorica che esprime il concetto di “forza”, quindi, non un popolo, bensì un programma politico (imperialistico), simboleggiato dai Fasci Littori. I pochi abitanti del primitivo villaggio, il Palatium, avevano origini troiane, doriche, latine, sabine, etrusche. Tutta l’Eneide non è altro che un’esaltazione delle pretese genealogia troiana (lidia?, frigia?); tanto Evandro quanto i Tarquini erano originari del Peloponneso; il “Ratto delle Sabine” è autoesplicativo; l’ultima dinastia fu etrusca. La città stessa fu una federazione di villaggi (i “Sette Colli”). Fu Roma a dare un nome alle regioni italiane e alle nazioni europee, e l’Impero fu comandato da un “Imperator”, un comandante militare vittorioso, non necessariamente romano o latino, ma anche italico, illirico, africano, siriaco, arabo. La Translatio Imperii è stata la successione di questi imperatori, fino a quelli bizantini, franchi, serbi, bulgari, germanici, russi, francesi, tanto che se ne sono conservate le tracce perfino nelle più svariate lingue: Romei, Romiossini, Rumeli, Rumi, Rum, Rom, Kaisar, Kaiser, Tsar..
L’idea della Pace Perpetua era in realtà il contraltare implicito della guerra continua: si aspirava a tornare alla mitica Età dell’Oro, ma “solo un Dio poteva salvare l’ Impero”: l’Imperatore Divinizzato, che, per realizzare il suo obiettivo, doveva combattere infinite battaglie. La sconfitta di Teutoburgo segnalò ben presto che la Pax Augusta non poteva essere perfetta, perché il potere di Augusto non era infinito. Neanche l’impero cristiano avrebbe potuto essere pacifico, perché il Cristianesimo è caratterizzato proprio dall’idea dell’imperfezione dello stato creaturale: sugli scudi dei legionari, vennero inserite le iniziali di Cristo XP:”In hoc signo vinces”.L’Apocalisse non va accelerata come vorrebbero i postumanisti; va fermata, se necessario, con la forza.
3. Dai progetti di crociata all’idea zarista del diritto umanitario bellico
I progetti dei sovrani europei europei (Dubois, Podiebrad, Sully) nascono, al tempo delle Crociate, quando si vede che la guida congiunta dell’ esercito cristiano da parte della diarchia feudale Papa – Imperatore era inefficace di fronte alla superiore organizzazione delle monarchie islamiche (“De Recuperanda Terra Sancta”), e che neppure la Trewa Dei e il Landfrid dell’ Impero bastavano per evitare le sanguinose faide intestine. Occorreva scatenare i cavalieri europei contro un nemico esterno. Ai tempi dell’uccisione di Corradino di Svevia, dell’Oltraggio di Anagni, della cattività avignonese e dello Scisma d’Occidente, i re di Francia e di Boemia, gli Hussiti e i Calvinisti pretesero un’organizzazione federale e collegiale, in cui il potere dell’ Imperatore tedesco e del Papa di Roma risultasse diluito, se non annullato. Questo divenne poi (con il Gran Dessin di Sully) un pretesto per distruggere l’egemonia degli Asburgo, che stavano ricostituendo l’unità dell’ Impero,e per spartirsi l’Impero Ottomano, secondo paradigmi che echeggiano ancor oggi.
Si noti che le grandi linee istituzionali dei Progetti di Crociata (un’Assemblea itinerante, un Consiglio, un istituto finanziario, un Corte di Giustizia) sono rimasti gli stessi per 8 secoli, anche se durante tutti questi secoli non hanno mai funzionato. Infatti, mancava, e manca tutt’ora, un vero esercito, che era proprio la ragione per cui erano nati. Ed è per questo che oggi c’è l’America, un “federatore esterno” (per dirla con De Gaulle), che dà l’illusione di un’alleanza fra eguali, e soprattutto che fornisce un esercito, e per giunta che esercito! E’ per questo che tutti temono Putin, perché questi si era proposto ufficialmente fin dall’ inizio, nel discorso alla Confindustria tedesca, quale “federatore” alternativo all’ America.Paragonando se stesso a Kohl, aveva dichiarato fra l’altro: “ora bisogna rimboccarsi le maniche!”,affermando anche: “In quanto pietroburghese, sono a pieno titolo europeo”.La classe dirigente “mainstream” mai avrebbe accettato che venisse sostituito quel “federatore” che garantisce le loro carriere.
La versione più perfezionata dei Progetti di Crociata, quello “per la Pace Perpetua” dell’ Abate di Saint Pierre, inviato a tutti i sovrani e ai più grandi philosophes illuministi, fu messo in burletta da Voltaire, il quale, alla visione federalistica di Saint Pierre (e di Rousseau), opponeva brutalmente il modello dell’ Impero Cinese, incomparabilmente superiore ai piccoli Stati europei (“Kleinstaaterei”) perché retto da un sovrano assoluto, come quelli (Luigi XIV, Federico II di Prussia, Maria Teresa e Giuseppe II d’Austria, Pietro il Grande e Caterina II di Russia) appoggiati e lodati dagli Illuministi. Primo fra i quali Leibniz, che puntava (“Novissima Sinica”)su un’”accoppiata” fra gl’imperi russo e cinese. Non per nulla, il pamphlet di Voltaire si chiamava “Rescrit de l’Empereur de la Chine”, e ricalcava lo stile sdegnoso e sarcastico dell’ “Editto Rosso” di Kaanxi contro la condanna, da parte del Papa, dei “Riti Cinesi”, e dell’ altro editto con cui Qianlong aveva cacciato l’ambasciatore inglese Macartney, reo di non essersi inchinato al modo cinese dinanzi al Figlio del Cielo.
L’unico ordinamento paneuropeo che funzionò almeno parzialmente fu in effetti una lega degl’Imperi europei sotto l’egemonia (culturale) russa (la Santa Alleanza), che conobbe una rinascita nelle varie conferenze per la Pace di Ginevra a cavallo fra ‘800 e ‘900. Cosa di cui mai si parla oggi, quando si spacciano gli Stati Uniti quali l’inventore dell’ “Ordinamento Internazionale basato sulle regole”, e si accusa la Russia neo-zarista di essere il nemico giurato di quelle regole (che ha inventato e imposto essa stessa più di un secolo fa).
Promotore dell’iniziativa, lo zar Nicola II, che perseguiva come ideale il “mantenimento della pace generale e la possibile riduzione degli armamenti in eccesso“(tema ancora non esaurito). Si tratta dello stesso zar che fu ucciso con la famiglia dai Bolscevichi e santificato ora dalla Chiesa russo-ortodossa. Nel 1898, Nicola II, ispirato dalle teorie di Jan Gotlib Bloch, il quale aveva pubblicato un’approfondita ricerca sulle possibili conseguenze di una guerra mondiale – su consiglio del ministro Vitte – lanciava a tutti i paesi un appello al «disarmo e alla pace mondiale», riferendosi alle «conseguenze commerciali, finanziarie e morali della corsa agli armamenti». Nel 1899, lo zar sceglierà la città dell’Aja per una conferenza internazionale tesa a discutere questo problema.
Le altre potenze imperiali come il Regno Unito e la Germania accolsero freddamente l’invito; venti nazioni europee, tuttavia, partecipano all’incontro accanto a Stati Uniti d’America, Messico, Giappone, Cina, Siam e Persia, alla presenza di esperti di diritto internazionale di vari Paesi. La proposta di disarmo fu respinta, ma si pervenne almeno a una convenzione sulle regole belliche (“ius in bello”)che prevedeva, e ancora prevede, la tutela di persone e strutture civili e la proibizione dell’uso di gas venefici. Il risultato più importante ottenuto dallo zar e i suoi collaboratori fu però la firma della Convenzione dell’Aia, per la mediazione e composizione dei conflitti tra gli Stati.
In questa iniziativa, Nicola II fu sostenuto principalmente da Bertha von Suttner, fondatrice del movimento pacifista tedesco, e da Henry Dunant, fondatore della Croce Rossa, e da Papa Benedetto XV. Era infatti il tempo dei “Gute Europaeer” di cui parlava Nietzsche.
Uno dei principali risultati delle conferenze fu lo sviluppo delle regole riguardanti la guerra terrestre, basate sul principio che i belligeranti non dispongono di un diritto illimitato nella scelta dei mezzi per nuocere al nemico e che i civili e i soldati messi fuori combattimento vanno risparmiati. Integrando la convenzione di Ginevra del 1864 (sulla Croce Rossa) circa la protezione di militari feriti o ammalati, la quarta convenzione del 1907 e il relativo regolamento affrontarono tutti i grandi temi del diritto umanitario internazionale: i prigionieri di guerra, le regole sulla condotta delle ostilità (questo ambito in particolare fu all’origine dell’importanza del “Diritto dell’Aia“) e la questione dei territori occupati (vedi Gaza e Donbass). Il regolamento del 1907 contemplava inoltre il divieto di usare veleni o armi avvelenate, mentre altri testi adottati nel 1899 o nel 1907 proibirono l’impiego di determinate armi. Ad eccezione del divieto dei bombardamenti aerei, i principi e i divieti adottati all’Aia hanno mantenuto la loro validità e fanno tuttora parte (anche se disattesi) del diritto consuetudinario internazionale bellico. Finita, all’inizio del XX secolo, l’utopia pacifista degli Zar, incominciò, più sanguinosa che mai, la Guerra Civile Europea. Per questo, sembra paradossale che si pretenda di fondare la pace in Europa sulla sconfitta di uno Stato che rivendica l’eredità neo-zarista, dimenticandosi da tutti (a cominciare dalla Russia stessa) l’eredità di Nicola II.Questo travisamento fu iniziato dal Professor Korbel, dal sua figlia Albright e dalla sua allieva Condoleeza Rice, che si succedettero al Dipartimento di Stato, traducendo i concetti tendenzialmente chiari del diritto internazionale con quelli sfuggenti e ideologizzati della Common Law.
4.L’Unione Europea non riesce a riprendere la “Translatio Imperii”
Tutte quelle vicende che abbiamo citato nei capitoli precedenti vengono sorprendentemente eliminate dalle narrazioni apologetiche dell’ Unione Europea, perché mostrano la grande continuità del dibattito federalista europeo nel tempo e nello spazio, banalizzando le poche vicende degli ultimi secoli che invece il “mainstream” ingigantisce indebitamente: Rivoluzioni Atlantiche; Guerra Civile Europea; alleanza occidentale.
Eppure, senza quelle premesse, il presente non è intelleggibile.
Infatti, neanche l’Unione Europea ha mai potuto funzionare correttamente, perché anch’essa non ha mai avuto un seppur minimo esercito, che ne garantisca il “monopolio legale della forza” almeno sul proprio territorio. Per questo, il suo “diritto” non è veramente coercibile, come hanno dimostrato ancora una volta le due sentenze Schrems, disattese dalla stessa Commissione. Gli Europei sono ridotti così a rivestire, nei confronti dell’ Impero Americano, il ruolo che gli Auxilia (Sarmati, Germani, Siriani, Arabi) avevano per l’Impero Romano, i quali non potevano certo permettersi di far valere i propri diritti contro quello romano.
La “delega” della difesa europea, agli Stati Uniti(su “Il Sole 24 Ore” Fabbrini parlava di “coordinamento”) è un pietoso eufemismo, per mascherare quello che il Papa ha chiamato un “Impero Sconosciuto”, che occupa il nostro territorio e il nostro spazio politico con un’intensità che nessun impero “palese” ha mai avuto nella storia. Aldo Cazzullo ha definito gli Stati Uniti il vero erede dell’ Impero Romano. Peccato che la stessa cosa pensino di sé la Russia e la Turchia. Ora che si sta arrivando al dunque, vale a dire a uno scontro frontale fra questo impero onnipresente e il resto del mondo, con strumenti letali fino ad ora sconosciuti, come i missili ipersonici e le armi spaziali, è l’impero stesso a esprimere dei dubbi sul se continuare su questa strada, date le difficoltà della “Guerra Mondiale a Pezzi” che esso ha provocato, l’opinabilità delle motivazioni della stessa, ma, soprattutto, il rischio di mettere a repentaglio l’ incolumità della “Metropoli” nordamericana per “proteggere” le “province” europee. Per questo è così “di moda” mettere in avanti gli Europei, i quali, invece, farebbero bene a non combattere per interessi e principi altrui.
Gl’imperi del passato avevano potuto produrre grandi civiltà perché non erano gli unici, anzi, coesistevano e commerciavano fra di loro, scambiandosi anche idee e valori. Gl’Imperi romano, persiano, indiano, cinese….Questa è per altro l’eterna contraddizione degl’imperi: si reggono su una pretesa di unicità, ma in realtà funzionano bene solo quando sono tanti.
Oggi, invece, con la disponibilità dell’arma atomica e della cibernetica, ciascuno degl’imperi si sta illudendo di cancellare gli altri, conquistando il mondo intero. La guerra in Ucraina non verte sull’ Ucraina, bensì su questa pretesa di creare un Impero Universale.
5La Francia e l’Italia vogliono veramente combattere in prima persona contro la Russia?
In questa situazione, l’Europa, qualunque politica essa voglia adottare nei confronti dei propri vicini, non potrà fare a meno di occuparsi di difesa. Per questo, l’Unione Europea ha predisposto un ennesimo progetto in materia di politica di difesa comune, ma, come scrive sempre su “Il Sole”Sergio Fabbrini, anche questo è insoddisfacente, perché, nelle parole di Fabbrini, “occorre guardare più in alto”.
Questo è precisamente ciò che abbiamo cercato di fare con vari nostri post precedenti, e che rifacciamo ora alla luce del nuovo progetto predisposto dall’ Unione (che per altro si limita purtroppo a occuparsi dell’ industria militare, e per giunta con l’incredibile orizzonte del 2030 , quando i giochi saranno tutti fatti), e del rischio immediato di guerra nucleare totale nel cuore dell’ Europa.
6.Un grande piano europeo per l’”Europa Potenza” (Coudenhove Kalergi, Giscard d’Estaing)
Come avevamo anticipato nel post precedente, occorrerebbe invece che le forze politiche che concorreranno a maggio alle Elezioni Europee, subito dopo le elezioni, formulassero un piano a breve, ma completo e articolato lungo tutta la prossima legislatura, di mobilitazione bellica europea, un processo complessissimo, ma che non può più essere dilazionato. Questo al di là della pretesa “guerra con la Russia”, bensì come necessità logica perché l’Europa abbia una consistenza e sia presa sul serio dalle grandi potenze per le discussioni sul futuro del mondo.
Esso dovrebbe comprendere una fase di studio e dibattito; una seconda di lotta politica e ristrutturazione, una terza di approntamento degli strumenti operativi, una quarta di produzione di massa e di messa a punto, e una quinta di azione geopolitica.
(i)Studio e dibattito
Quello che manca innanzitutto all’ Europa è una propria cultura della guerra e della pace, che invece hanno USA, Russia, Cina e Israele.
All’Europa si è preteso addirittura fino a poco fa di far pensare che la guerra fosse un fenomeno storico superato dalla storia, e questo solo perché gli Europei non possono fare la guerra, avendone ceduto gli strumenti agli Americani. Ma questo presupporrebbe che fossimo arrivati alla Fine della Storia, vale a dire al superamento di tutte le contraddizioni storiche (cosa pretesa controfattualmente da vari autori, come Hegel, Teilhard de Chardin e Fukuyama). Ma, come ognuno può vedere, ciò non è, perché permangono tutti i limiti dell’umano: il mistero sull’inizio e sulla fine, sulla vita e sulla morte; le differenze genetiche, sociali e culturali; l’egoismo; la conflittualità; la pulsione di morte…
Siamo anzi, come diceva Nietzsche, nell’ “Era Comparatistica”. Se non è possibile stabilire a priori quale sia la verità (anche soltanto fisica, cfr. Heisenberg), e quali le decisioni più “giuste” (cfr.Vattimo), è inevitabile che gli individui e le società si scontrino, e che, portati alle estreme conseguenze, i loro conflitti producano delle guerre. Addirittura, in queste condizioni, le guerre sono la garanzia suprema del pluralismo fra le concezioni del mondo. Certo, la ragionevolezza e la “pietas” spingono gl’ individui, gli Stati e gli stessi militari, a minimizzare il danno agli esseri umani (di qui l’arte della guerra di Sun Zu, come pure il diritto internazionale bellico di cui sopra).
Se la guerra, come si dimostra, continua ancor oggi, occorre innanzitutto comprenderne, con le “Scienze Strategiche”, le ragioni e la dinamica, da un lato, per vincerla, e, dall’altro, per minimizzarne l’effetto distruttivo.
L’Europa si trova “in mezzo al guado” di questa transizione culturale, stretta fra un pacifismo “senza se e senza ma”, che però non trova un fondamento logico, ma neanche religioso, credibile, e un bellicismo fanatico, incentrato sull’idea manichea (e americana) del “Male Assoluto”, che era, il secolo scorso, il nazifascismo, l’altro ieri, il comunismo, ieri, l’islamismo, oggi, le autocrazie, e, domani, chissà. Ambedue concezioni messianiche secolarizzate, consustanziali alla fine dell’uomo per mano delle Macchine Intelligenti. Il sottotesto è: l’attuale società occidentale è il “Bene Assoluto”, il “Dito di Dio sulla Terra”, il Messia Collettivo, il Popolo Eletto, addirittura, il “Dio Mortale”, a cui tutto è permesso. Ma tale “Dio Mortale” non è l’ Europa, bensì il Complesso Informatico Militare americano.
Questa schizofrenia si ritorce contro l’Europa stessa, perché, senza un esercito, essa manca dell’elemento centrale della statualità, quello che permetterebbe, come dice Blinken, “di essere al tavolo delle trattative, non sul menù”. Ma non può permettersi un esercito perché non ha una propria concezione del mondo, distinta da altre, e non ce l’ha perché deve ripetere pappagallescamente quella americana.
Così stando le cose, gli Stati Nazionali, lasciati a se stessi e alla NATO, stanno portando l’Europa a una guerra totale, alla quale essi non sono preparati, né culturalmente, né politicamente, né militarmente, né economicamente, e da cui uscirebbero distrutti.
L’Europa deve quindi darsi al più presto tutto ciò che le manca.
Il primo passo verso la Politica Estera e di Difesa Comune è dunque un dibattito serrato sull’ Identità Europea, sul ruolo dei militari nella società, sulla “guerra nell’Era delle Macchine Intelligenti” (De Landa) e sul rapporto fra le grandi civiltà mondiali.
Subito dopo, occorrerà crearsi una competenza (che oggi non c’è) sulle tecnologie più recenti (Intelligenza Artificiale, computer quantistici, missili ipersonici) e sul collegamento fra civile, militare, intelligence e covert operations.
Poi, riflettere attentamente su una Governance europea compatibile con la gestione “in real time” di crisi internazionali come quella in cui siamo oggi immersi (con la minaccia continua dell’inizio di una guerra nucleare, che potrebbe diventare reale da un momento all’ altro con la pretesa di alcun Stati europei d’inviare truppe in Ucraina).
Infine, studiare un approccio gradualistico per il passaggio dagli attuali eserciti nazionali integrati nella NATO a un sistema europeo con eserciti locali integrati nell’ Esercito Europeo.
(ii)Lotta politica e ristrutturazione
La probabile vittoria elettorale di Trump produrrebbe un terremoto nella politica di tutti i Paesi europei, oggi fanaticamente sostenitori di Biden e della sua linea bellicistica, ma domani costretti (soprattutto le destre), ad accodarsi alla linea isolazionista dei Repubblicani.
In queste condizioni, si aprirebbe presumibilmente un ampio spazio di dissidenza nei confronti dell’attuale appiattimento della UE sulla NATO, e, nello stesso tempo, si farebbe sentire l’esigenza di una forte difesa europea per compensare l’assenteismo dell’ America. In queste condizioni, il “mainstream” sarebbe forzato ad allentare il controllo sulla “finestra di Overton”, permettendo finalmente un dibattito culturale e politico più ampio e articolato sulla pace, sulla guerra e sulle alleanze.
Ciò potrebbe dare spazio a nuove forze politiche più autenticamente europeistiche, che potrebbero trovare un riscontro in frange delle forze armate desiderose di creare una classe militare culturalmente omogenea.
Potrebbero allora partire contemporaneamente tentativi di ricerche e di innovazione comuni nei campi delle piattaforme, della missilistica, dei computer quantistici, dell’ intelligence, del nucleare e tentativi politici di nuovi raggruppamenti.
(iii)Operatività
Tutto ciò potrebbe (e dovrebbe) dare luogo, anche a trattati invariati, a soluzioni operative d’ urgenza, quali lo sviluppo comune e segreto delle nuove tecnologie, la creazione di un’accademia militare europea che formi l’ufficialità comune, quella di corpi speciali comuni (spaziale-nucleare-missilistico; di pronto intervento; di difesa territoriale; di mobilitazione dei riservisti; di intelligence; di produzione bellica); a fusioni fra imprese militari come era stato il caso (fallito) dell’ EADS.
(iv)Produzione di massa e messa a punto
In quel momento, si potrebbe iniziare a dare corpo all’ Esercito Europeo, formandone anche i quadri intermedi; creando un regime giuridico specifico per le industrie strategiche europee; iniziando la produzione in serie dei nuovi armamenti e la loro introduzione sperimentale presso unità scelte.
(v) Azione geopolitica
Solo nella quinta fase, quando l’Europa disponesse finalmente delle necessarie risorse, essa potrebbe infine pensare a una revisione del sistema dei trattati internazionali, e, in particolare, della governance europea, ivi compresa la Politica Estera e di Difesa, della NATO e soprattutto a nuovi sistemi di sicurezza transnazionali, fondativi di un mondo multipolare, in cui i vari Imperi, oggi “Stati Civiltà” accettino di convivere competendo in modo non disarmonico per la definizione delle grandi questioni aperte.
7.Conclusioni
Tutto ciò è ovviamente subordinato agli esiti della guerra in corso:
-se scoppierà la guerra nucleare, essa si svolgerà almeno in parte in Europa, e questa ne sarà distrutta;
-se non ci sarà la guerra nucleare, subentrerà una generale destabilizzazione, in cui il costituendo Esercito Europeo potrebbe rivelarsi prezioso quand’anche avesse fatto soltanto i primi passi, perché potrebbe costituire, per gli Europei, quel punto di riferimento ch’essi non trovano, né nella cultura “mainstream”, né nelle Istituzioni.
Abbiamo già segnalato ai nostri lettori l’interessante festival in oggetto, merito soprattutto degli sforzi dell’ Assessore Marrone e della direttrice del Circolo dei Lettori, Elena Loewenthal.
Facciamo qui una breve sintesi degli eventi a cui abbiamo partecipato, per trarne una rapida conclusione.
1.GIORDANO BRUNO GUERRI E LA CARTA DEL CARNARO
Mercoledì 1 Novembre
Come quasi tutti gli eventi della manifestazione, questa serata ha avuto innanzitutto il merito di portare a conoscenza del grande pubblico aspetti deliberatamente trascurati della cultura moderna e contemporanea. In questo caso, la centralità, non solo della Carta del Carnaro, ma, in generale, della Reggenza Italiana del Carnaro, e della stessa figura di Gabriele d’Annunzio, nella storia della cultura italiana ed europea. Una centralità che non può ridursi a quella di precursore del fascismo, bensì anticipa molti dei “topoi” del Novecento: estetismo, immoralismo, trasversalità.
Quanto alla Carta propriamente detta, l’oratore, Giordano Bruno Guerri, direttore del Vittoriale, casa-museo di D’Annunzio, ha messo in rilievo come buona parte dei suoi articoli anticipino temi della Costituzione repubblicana, che spesso non sono stati attuati neppure ora. Della Carta si dovrebbe però anche dire che la struttura pan-corporativa della rappresentanza, in essa delineata e non recepita pienamente neppure nell’ ordinamento fascista, fu realizzata , paradossalmente, soprattutto dalla Repubblica Federativa Jugoslava del Maresciallo Tito, con la sua peculiare forma di “federalismo Integrale”(“ Društveno Samoupravlianije”, al contempo cetuale e nazionale.
Quando, nel 2020, Fiume (Rijeka, che D’Annunzio aveva chiamato “Olocausta”, anticipando così anche quest’espressione) fu la Capitale Europea della Cultura, la città ricordò, seppure in forma polemicail Vate, con una mostra chiamata appunto “Olocausta” (“D’Annunzijeva mučenica”).
2.MARCELLO VENEZIANI: IDENTITA’, RADICI E TRADIZIONI
Venerdì 3 Novembre
Quella di Veneziani è stata soprattutto una requisitoria contro la “Cancel Culture” ( da lui tradotta appropriatamente, anche se liberamente, come “Cancellazione della Cultura”), il cui esiti non possono essere che nichilistici, in quanto, con la cancellazione delle tradizioni culturali, si tagliano le radici e si rende di fatto impossibile l’affermazione delle identità, individuali o collettive.
Certo, è mancata una prospettiva volta a situare adeguatamente il fenomeno nel tempo e nello spazio. Intanto, la Cancel Culture è un fenomeno originariamente e ancora prevalentemente americano, che parte come contestazione, da parte dei “non bianchi” ( cioè afroamericani, sino-americani, indo-americani, ma anche Europei del Sud e dell’ Est) dell’ egemonia WASP che persiste in un’America oramai multiculturale.
In Europa, il fenomeno è meno evidente. Ma, soprattutto, l’Occidente nel suo complesso rappresenta al massimo un quinto del mondo. In tutto il resto, vi è invece una cura ossessiva delle proprie identità e tradizioni collettive: altro che “cancel culture”. Si pensi all’ Ebraismo in Israele, al Medio Oriente che si concepisce come “mondo islamico”, all’ Europa Orientale, a tutta l’Asia…
Così come l’Ebraismo e l’Ortodossia fanno propria la critica alla pretesa, nel passato, d’imporre l’omogeneità religiosa e culturale dell’ Occidente, e la Cina, con la “Via della Seta” riafferma la pari dignità di Oriente e Occidente, l’antidoto europeo alla “Cancel Culture” starebbe proprio nel farne propri qui suoi elementi che si addicono all’ Europa, vale a dire la critica della “Grande Narrazione Whig” (eresie, chiliasmo, Riforma, populismi, tecnocrazia, americanismo); la rivalutazione delle culture tradizionali e dei grandi Imperi Continentali; lo studio delle parti censurate e neglette delle tradizioni europee (come la Civiltà Danubiana, l’”Atena Nera”, il Barbaricum, l’Euroislam, la Rzeczpospolita polacca, l’antimodernismo…).
3.EMIR KUSTURICA E PETER HANDKE
Venerdì 3 Novembre
Kusturica ha presentato il proprio libro “L’angelo ribelle”, dedicato a celebrare l’amico Peter Handke, attaccato dall’ establishment letterario quando aveva ricevuto il Premio Nobel per la letteratura, a causa dei suoi reportages sulle guerre in Jugoslavia, che si sostenne fossero eccessivamente favorevoli alla Serbia. Si tratta in particolare di:
Un viaggio d’inverno ai fiumi Danubio, Sava, Morava e Drina, ovvero giustizia per la Serbia, trad. Claudio Groff, Torino: Einaudi, 1996
Appendice estiva a un viaggio d’inverno, trad. Claudio Groff, Torino: Einaudi, 1997
Un disinvolto mondo di criminali. Annotazioni a posteriori su due attraversamenti della Iugoslavia in guerra – marzo e aprile 1999, trad. Claudio Groff, Torino: Einaudi, 2002
Kusturica ha denunziato il “dirottamento” del movimento di liberazione dell’Europa dal comunismo, che ci ha portato a una situazione di ancor maggiore illibertà, dominata dal Pensiero Unico, di cui Handke non è stato certo l’unica vittima. Ha però espresso la speranza che nei prossimi anni si manifestino delle crepe nell’ attuale establishment, che occorrerà sfruttare per provocare un radicale cambiamento.
4.PAOLO NORI: A COSA SERVONO I RUSSI?
La domanda è più che legittima, ma non ci sembra che l’intervento di Nori abbia fornito una risposta. Certo, l’oratore, nel presentare il proprio romanzo sulla vita di Anna Akhmatova, ha manifestato in modo eloquente come la letteratura russa abbia costituito la passione della sua vita. Tuttavia, ci sembra difficile credere che la missione della Russia sia solo quella di fare appassionare Nori alla letteratura.
In effetti, l’intervento di Nori è stato dedicato soprattutto alla sua identità personale piuttosto che all’ identità collettiva dei Russi. Ma neppure così è andato fuori tema. Non dobbiamo dimenticare che le identità possono essere tanto collettive quanto individuali.E l’intervento rientrava anche nel tema delle radici, perché Nori ha fatto intendere che la sua passione per i Russi deriva in gran parte da vere o presunte affinità con le sue radici familiari, e, in particolare, con l’uso del vernacolo, nonché dalla fascinazione per Dante, condivisa, fra gli altri, con Anna Akhmatova.
Infine, l’’intervento rispondeva anche in un altro modo alla domanda contenuta nel titolo. Lev Gumiliov, figlio di quell’ Akhmatova a cui è dedicato il libro di Nori, aveva infatti concepito l’idea della “Pasionarnost’”, quella capacità d’infervorarsi e di sacrificarsi, che caratterizzerebbe non soltanto i Russi, bensì tutti i popoli delle steppe (il padre di Gumiliov era un ufficiale tartaro zarista, fucilato dai Bolscevichi, e anche l’Akhmatova si richiamava ad un’antenata tartara con lo stesso nome).
Ricordiamo anche che gli antenati degli Indoeuropei sono quel popolo di Yamnaya che si era formato nel quinto Millennio fra il Volga e il Don, dalla fusione fra popoli uralici e caucasici, e che, per la sua straordinaria vitalità, si espanse prima in Eurasia, me, poi, nel resto del mondo.
Ma questo carattere “passionale” dei Russi (l’”Anima Russa”) è proprio quella caratteristica che manca agli Europei moderni, sì che già Leontiev, alla fine dell’ Ottocento, aveva definito “L’Europeo medio” come “l’inizio della distruzione universale”. Con il dono della sua “passionalità”, i Russi, e, in particolare, gl’intellettuali russi, sarebbero stati chiamati, secondo Tiutčev, Dostojevskij e Blok, a salvare l’Europa dal “putrido Occidente”:
“Unisciti a noi! Via dalla guerra, Vieni nelle nostre pacifiche braccia! Sei ancora in tempo – la spada sotterra, Compagno! Fratello, ti abbraccio!”
Certo, tutti questi autori erano “Russi” nel senso di “Slavi Orientali”, anche se non pochi erano ucraini o bielorussi. E, in effetti, anche il comportamento degli attuali Ucraini, impegnati così “passionalmente” contro la Russia, può essere ricondotto a quella visione “messianica” dei “Russi” (o meglio, dei popoli delle steppe, molti dei quali predecessori degli odierni Ucraini: Sciti, Sarmati, Unni, Avari, Bulgari, Magiari, Cumani, Peceneghi, Mongoli, Tartari, Circassi, Nogai, Cosacchi…).
5.RUTH DUREGHELLO E “TIKKUN HA-‘OLAM”
Più direttamente vicino al tema delle identità collettive il colloquio fra Elena Loewenthal, direttrice del Circolo dei Lettori, e Ruth Dureghello, ex-presidentessa della Comunità Ebraica.
Le due speakers si sono impegnate in un pregnante dibattito teologico, culminato nell’ illustrazione del concetto mishnaico di “Tikkun ha-‘Olam”, che Ruth Dureghello ha voluto tradurre non già con il suo dignificato originario di “Riparazione del Mondo”, bensì come “Miglioramento del Mondo”.
Secondo la Kabbala, il Tikkun è un’opera teurgica, volta a riportare Dio nella sua originaria interezza, mentre l’idea del “miglioramento del Mondo” riporta piuttosto al messianesimo immanentistico della Modernità.
7. FRANCO CARDINI E LA “DERIVA DELL’OCCIDENTE”
Riassumendo il suo recente libro, Cardini ha ripercorso la storia del concetto di Occidente, fino al suo cambiamento di significato dopo le Guerre Mondiali: da essere sinonimo di “Europa”(come in Spengler), esso si trasformò nella definizione di un complesso più vasto, di cui fanno parte gli Stati Uniti. Il “Tramonto dell’ Occidente” di Spengler non è che il tramonto dell’ Europa, già adombrato nelle opere di Hegel e ripreso dagli autori americani.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, diviene evidente che quel complesso ruota intorno agli Stati Uniti, i quali hanno tessuto, intorno a se stessi, “una ragnatela” di accordi (come scrive Ikenberry): ONU, OCSE, NATO, Comunità Europee, Bretton Woods.
Dopo la caduta del muro di Berlino, queste “ragnatele” (ICANN, WTO) coprono oramai tutta la terra, dando vita all’ “America-Mondo”, un “Impero nascosto”(Immerwahr), o “Sconosciuto” (Papa Francesco), che controlla il mondo intero. Per questo Fukuyama parlava di “Fine della Storia”.
Ora siamo alla “Deriva dell’ Occidente”, perché, di fronte all’invasività di questo impero, si sono manifestate appunto le reazioni delle identità continentali: ebraica, induista, confuciana, islamica, latinoamericana, ortodossa. Per questo, dalla “Fine della Storia” si è passati oramai allo “Scontro di Civiltà”.
In cui, però, avverte Cardini, l’Europa non può essere confusa nel generico “Occidente”, perché essa si distingue nettamente dall’America. In che cosa, non è chiaro, perché neppure i detrattori dell’ America sono espliciti su questo punto.
E’un argomento sui cui anche l’intervento di Cardini è stato poco esplicito, anche perché si era oramai giunti all’una e mezza della domenica,e occorreva evidentemente liberare la sala.
CONCLUSIONI
Tutti gl’interventi hanno affrontato giustamente con priorità il tema delle radici, che campeggiava nel titolo, e hanno solo sfiorato quello delle identità, ad esso collegato, e il quale, come hanno giustamente posto in evidenza un po’ tutti, costituisce la premessa necessaria per i progetti del futuro.
Crediamo che questi temi meritino un approfondimento, di fronte ad una situazioni internazionale sempre più preoccupante e sempre più fluida, che ben presto permetterà (come ha auspicato Kusturica), e, anzi, secondo noi, addirittura necessiterà, un intervento pesante da parte degli Europei, forse anche militare e politico, ma, innanzitutto, di carattere culturale, per orientare e motivare le future drammatiche scelte.
Per questo, mentre andiamo avanti con i nostri lavori sull’ identità europea e sul futuro nell’ era delle macchine intelligenti, continuiamo a caldeggiare che le Istituzioni (nel caso in ispecie, la Regione Piemonte che ha sponsorizzato il festival) proseguano nell’ opera iniziata. Per parte nostra, saremo sempre lieti di collaborare, come del resto avevamo già fatto in passato con il libro “Intorno alle Alpi Occidentali/Autour des Alpes Occidentales”.
E’ senz’altro significativo che, proprio durante il “Vertice ASEM” di Milano, a cui hanno partecipato ben 58 Capi di Stato di tutta l’ Eurasia (ospiti del Presidente Napolitano), si siano verificati due fatti d’importanza fondamentale:
a)l’ennesima crisi finanziaria greca;
b)la firma di ben 20 accordi commerciali fra Italia e Cina, che fanno seguito a quelli (altrettanto numerosi) stipulati nei giorni precedenti da quest’ultima con Germania e Russia (costituendo, nel loro insieme, n vero e proprio “piano di salvataggio” dalla crisi in cui ci ha gettato la guerra commerciale con la Russia).
Essi hanno in comune il fatto di mettere, finalmente, in evidenza quanto l’Europa dipenda ormai dalle economie dell’Asia. A causa di un declino politico oramai secolare, i termini dello scambio si sono invertiti rispetto al secolo scorso: non è più l’Europa a dirigere l’ Asia, bensì è questa a condizionare e influenzare l’economia europea.
1.Tienjin, da Roma a Pechino
Basti vedere, ad esempio le mappe dell’ex dipendenza italiana di Tian-Jin di un secolo fa e oggi. Allora, ,vi erano le “Concessioni” degli Stati Europei, compresa l’ Italia, dove le vie si chiamavano “Corso Fiume”, “Corso Vittorio Emanuele III”, “Via Roma”, “Banchina d’Italia”, “Banchina Giapponese”, mentre oggi Tianjin è una città di 15 milioni di abitanti, parte integrante della conglomerazione metropolitana della nuova Pechino, e da sola più grande e ricca di qualunque città europea. La confinante Municipalità di Pechino ha 13 milioni di abitanti. In totale, 28 milioni.
2. Le forze dell’Asia, le debolezze dell’ Europa
L’attuale forza dell’ Asia non ha costituito per noi una sorpresa. Non avendo noi mai sottovalutato lo studio delle culture orientali, sappiamo che, durante tutta la storia mondiale, la Cina e l’ India hanno costituito da sempre le aree più popolose e più ricche del pianeta. Marco Polo, Cristoforo Colombo, Matteo Ricci, Leibniz e Voltaire erano semplicemente abbagliati dalla grandezza, soprattutto culturale, della Cina. Jones, Schopenhauer, Steiner, Guénon, additavano, nell’ India, la fonte della salvezza dell’ Umanità.
In primo luogo, le radici culturali ed etniche degli attuali Stati asiatici si perdono nella storia di imperi millenari, come quelli cinese, giapponese e persiano. Questo rende ora meno faticoso, per loro, che non in Europa, la ricerca di forme di aggregazione per grandi aree omogenee, cosa oramai urgente per infiniti motivi, e di cui l’Unione Europea costituisce un non irrilevante esempio.
Infatti, sussistono ancora, in Asia, tradizioni culturali e sociali di grande continuità e compattezza, come quelle dei Popoli delle Steppe, del Mandarinato, dei Veda, del Sān Jiăo, dell’Islam. Questo fa sì che certe grandi aree, come le attuali Cina, India e Medio Oriente, che raggruppano ciascuna più di un miliardo di abitanti, avvertano, spontaneamente, un senso di intima unitarietà, che, da noi in Europa, è più difficile ottenere, fra piccoli Stati, come i nostri, che hanno pur essi, ciascuno, origini almeno millenarie. Qui, c’è, infatti, chi rivendica l’”eurasiatismo”, chi l’”atlantismo”, chi la “disciplina” germanica, chi la “flessibilità” latina.
Soprattutto, in Europa vige una fondamentale incertezza fra “Europa” e “Occidente”, due culture in realtà solo parzialmente sovrapponibili. Il pluralismo dei popoli europei possiede, certo, una sua interna logica dialettica, fondata sulla coesistenza storica fra Medio Oriente (ortodossia), Europa Centrale (Sacro Romano Impero)e Atlantico (protestantesimo). Purtroppo, invece, l’”Occidentalismo”, che vorrebbe sovrapporsi all’ Europa, non accetta questa pluralità. Esso rappresenta, come diceva Huntington, la “dissidenza del dissenso”. Come tale, esso pretenderebbe di imporre una sua forma di omologazione a un’Europa che esso non ha mai accettata. Tale progetto risente della duplicità del discorso pubblico puritano. Mentre questo è tutto fondato su una pretesa controfattuale di eguaglianza, di fatto esso ha costruito, e continua a costruire, il più formidabile sistema gerarchico.
Infine, a nostro avviso, ciò che, contrariamente a quanto vorrebbe fare credere la “vulgata” dominante, ha contribuito, e ancora sta contribuendo, allo spettacolare rilancio dei Popoli dell’ Asia, è proprio il carattere radicalmente conflittuale, non già mascherato da pretese affinità culturali, dei conflitti dei secoli passati. Le Guerre dell’ Oppio, le Rivolte dei Sepoys e dei Boxer, la dissoluzione dell’ Impero Ottomano, le bombe di Hiroshima e Nagasaki, la costituzione dello Stato d’Israele e la Guerra del Vietnam sono state ferite brucianti, che ancor oggi non sono state sanate. Queste ferite hanno contribuito però anche, di converso, all’incredibile volontarismo che è stato alla base tanto delle battaglie di Gandhi, quanto della ricostruzione giapponese, quanto, ancora, della rivoluzione iraniana, quanto, infine, delle riforme economiche cinesi.
Béjart, un incrollabile cantore dei “valori asiatici”, aveva dato una plastica rappresentazione di questa fase epica nel suo balletto “Asia”
3.La Pace Perpetua, un progetto eurasiatico.
L’idea della “Pace Perpetua” tanto citata dall’ establishment europeo, e assurdamente attribuita a Kant, risale in realtà alla tradizione persiana, ed era stata perpetuata dal Sacro Romano Impero e dagli Illuministi. Il primo trattato di “Pax Aeterna” era stato infatti già stipulato nel 532 fra Cosroe di Persia e Giustiniano, e faceva parte di un più ampio progetto di confederazione fra Persia, Impero Romano, Unni Eftaliti e Impero Cinese, di cui Cosroe stesso avrebbe dovuto essere il leader: una situazione non dissimile da quella che sarà poi ipotizzata nell’ idea islamica del Califfato. Si tratta di un primo accenno di organizzazione eurasiatica. Tant’è vero che Crucé, e, poi, Voltaire, in polemica con Rousseau, avevano insistito per l’inclusione di tutti gl’Imperi mondiali, e, in primis, della Cina, nei progetti per la Pace Perpetua.
In effetti, nonostante che fossero state tutt’altro che infrequenti le lotte fra Cinesi, Unni, Persiani e Romani, si era sempre mantenuto, fra di loro, un certo equilibrio, e anche i rapporti culturali e sociali non erano infrequenti, con matrimoni fra Unni e Cinesi, influssi manichei sul Cristianesimo, ecc…I grandi imperi dell’ antichità si riconoscevano reciprocamente una sostanziale omogeneità culturale e strutturale, e anche se qualcuno aveva già in testa di dover unificare il mondo intero sotto il proprio comando, ciascuno rispettava gli altri imperi.
I Cinesi sentivano quest’omogeneità con gli altri imperi a un punto tale che, fino all’ arrivo di Matteo Ricci, sulle loro carte geografiche, l’ Occidente (comprensivo di Impero Romano, Roma, Chiesa Cristiana e Europa) veniva designato collettivamente come “Da Qin”, la “Grande Cina”, perché “Assomiglia al popolo cinese“..”Il Regno di Da Qin si trova a Ovest del mare, e perciò viene chiamato anche Haixi (“Impero d’Occidente”). Esso si estende per molte migliaia di Li. Possiede più di 4000 città fortificate e decine di piccolo regni tributari. Le mura delle città sono di pietra. Hanno, a regolari distanze, stazioni di posta, su strade lastricate e ben manutenute”. C’è da chiedersi se, dopo tanti anni di “austerità”, l’Europa attuale possegga ancora tutti questi requisiti, e se non sfiguri nei confronti della “Nuova Cina”.
Sta di fatto che l’Imperatore Cinese non pretendeva l’omaggio dell’ Imperatore d’Occidente, come invece faceva con molti altri sovrani (compresoi l’Imperatore del Giappone e il re d’Inghilterra e ), e come quest’ultimo pretenderà dai Maharaja nei Durbar dell’ Impero Anglo-Indiano
Infine, Gengis Khan aveva realizzato, nei fatti, una sorta di unità eurasiatica, esaltata da Marco Polo e citata più tardi come modello dal movimento culturale “eurasiatistico”.
Quest’unità culturale dell’ Eurasia era stata messa in evidenza, in Occidente, dagli studi ottocenteschi sui popoli indoeuropei e sui popoli turanici , nonché, alla fine del secolo, dalle diverse mode teosofiche, che avevano avuto una spesso ignorata influenza, anche politica, su movimenti importanti come per esempio le lotte per l’indipendenza del Popolo indiano.
4.Russia e Eurasia
Là dove l’idea dell’Eurasia è più viva è in Russia. Ciò deriva dal fatto che quel Paese raggruppa una gran parte dei “popoli delle Steppe”, che, nel corso dei millenni, hanno sempre percorso i grandi spazi eurasiatici senza radicarsi in alcuno di essi. La Russia e. poi, l’unione Sovietica, sotto la spinta delle idee moderne di nazionalità, avevano compiuto sforzi nella direzione del “radicamento” (“korenizacija”) di questi popoli, il cui risultato parziale) si può vedere nella costituzione delle “repubbliche”. Tuttavia, in molti casi, quelle nazionalità erano rimaste ”fluide”, come si vede ancor oggi all’ insorgere di conflitti “nazionali” in quell’ area, oltre cha dagl’imponenti flussi migratori nello “spazio post-sovietico”.
Perciò, l’ideologia “eurasiatistica” in Russia è destinata ad essere anch’essa fluida, andando dalle nostalgie monarchiche a quelle sovietiche, dall’idea, tipica della Restaurazione, di un ruolo intrinsecamente conservatore del regno del Nord, all’identificazione dell’Eurasia intera con l’ Impero Russo.
La nascita, nel 2000, di un’Unione Eurasiatica, che si colloca fra le cause indirette della crisi ucraina, ha favorito il consolidarsi di un’identità supercontinentale. A questa ha contribuito anche il trasferimento della capitale del Kazakhstan, da Alma Ata ad Akmola/Tselinograd (oggi, Astana), una città dove a suo tempo Stalin deportava i Tedeschi, ma oggi modernissima e multiculturale, parzialmente centroasiatica e parzialmente europea (russa)
3.Il Vertice di Milano
L’Asem (Asia Europe Meeting), pur essendo di origine recente, riunisce oramai 58 Stati. La sua costituzione e il suo sviluppo sono rivelatori dell’irrequietezza che serpeggia nel mondo delle Organizzazioni Internazionali in seguito all’ emergere dei Paesi dell’Asia. Ricordiamo, ad esempio, che, subito dopo la fondazione del WTO, era invalsa l’abitudine di riunire, ora, il G7, ora, il G8, ora, il G 20, ora, il G22…Intanto, tanto gli Stati Uniti, quanto la Cina, hanno lanciato l’idea di accordi “parziali”, che “by-passano” la tanto decantata WTO. Finalmente, i membri occidentali del G8 hanno escluso unilateralmente la Russia, creando, così, la confusione più totale.
Risulta ora chiaro che gli stati Uniti erano stati degli accaniti fautori di organizzazioni internazionali universali solo fintantoché essi potevano controllarle ideologicamente, logisticamente e politicamente, ma, una volta che queste organizzazioni hanno saputo garantire a tutti gli attori internazionali una presenza, una visibilità e un’influenza sempre più paritetiche, essi sono diventano meno interessanti per gli Stati Uniti stessi.
Di converso, la Cina favorisce anch’essa lo sviluppo di organizzazioni parziali, ma, questa volta, senza gli Stati Uniti. Ed è questa la lotta diplomatica dominante nei nostri tempi.
Soprattutto, è già aperta è la corsa alla firma di nuovi trattati internazionali in materia di commercio. Già dal 2007, gli Stati Uniti avevano lanciato l’idea del TTIP (“Transatlantic Treaty for Trade and Partnership”), con l’ Europa, e di un parallelo trattato nel Pacifico, escludendone la Russia e la Cina.
Tratteremo in altra sede il “merito” del TTIP.
Ciò che è qui rilevante è che la Cina sta negoziando la UE un altro trattato di protezione degl’investimenti, simile al TTIP, e, contemporaneamente, una raffica di accordi commerciali con singoli Stati membri, che prevedono una rete fittissim d’investimenti finanziari e industriali cinesi in Europa, tale da rendere il nostro sistema finanziario parzialmente dipendente da quello cinese. Quindi, l’obiettivo politico originario del TTIP, che sarebbe stato quello di “Isolare la Cina”, non sembra affatto conseguito.
Resta il fatto che, a nostro avviso, tanto il TTIP, quanto l’accordo con la Cina, “legheranno ulteriormente le mani” all’ Europa nella lotta ch’essa dovrà necessariamente condurre, in tutte le direzioni, per difendere la propria sopravvivenza come Paese avanzato. Ad esempio, c’è da chiedersi se, dopo avere firmato il TTIP e l’ accordo con la Cina, l’Europa potrebbe fare, nel settore di Internet, ciò che ha fatto l’America, cioè sviluppare le imprese ICT con fondi militari e in basi militari, per poi offrirle praticamente gratis ad investitori amici, come per esempio Brin, Page e Jobs, spacciando poi questi ultimi come eroi della piccola e media impresa e del libero mercato, così come brillantemente raccontato da Mariana Mazzucato nel suo ultimo libro, e come da noi ripreso nei già citati e.books.
L’ipotesi più probabile è, quindi, che finiremo, come al solito, “ come i vasi di coccio in mezzo ai vasi di ferro”.
– Riccardo Lala – Lettera aperta ai vertici dello Stato
Finalmente, la Camera dei Deputati si è manifestata circa il complesso progetto del Parlamento Europeo in materia di “diritti sul web” – al quale l’Associazione Culturale Diàlexis aveva dedicato addirittura, ben 5 mesi fa, il primo dei suoi “Quaderni di Azione Europeista” (L’Habeas Corpus Digitale, Alte Tecnologie per l’ Europa“)-, lanciando l’idea di una “Costituzione Digitale” sul modello del “Marco Civil Digital” approvato dal Parlamento brasiliano
E’ singolare che questo, come altri temi di interesse centrale per la sopravvivenza stessa dell’ Europa e dell’ Umanità, passino sempre in secondo piano di fronte a questioni giudicate stranamente “più gravi” e “più urgenti”. Soprattutto, sembrerebbe che l’Italia voglia propoporre la bozza all’ unione Europea come contributo in quanto Paese che ha la Presidenza di questo semestre. Abbiamo perciò inviato, con una copia dei nostri e.book sull’argomento, una lettera aperta alla Presidente della Camera Boldrini, al Presidente della Commissione Rodotà, e al Primo ministro Renzi per la Presidenza Italiana della UE, come anticipo di quello che vuol essere un intervento molto più sostanziale, anche con il contributo dei nostri lettori.
Ecco il contenuto della lettera:
“Torino, 13/10/2014
Laura Boldrini
Presidente della Camera dei Deputati
Piazza di Montecitorio 10187 Roma
ROMA
Per Conoscenza
p.c. Stefano Rodotà
Presidente della Commissione Diritti sul web
Palazzo di Montecitorio 10187 Roma
Matteo Renzi
Presidente del Consiglio
Palazzo Chigi
Piazza Colonna 167 10186 Roma
Roma
Oggetto: Costituzione del Web e industria digitale europea
Signora Presidente!
La questione dell’immagazzinamento abusivo di dati (a colpi di centinaia di milioni) su tutti i cittadini del mondo, su tutti gli Stati e su tutte le Istituzioni, imposta all’ ordine del giorno dallo scandalo “DATAGATE”, ha una portata così vasta, ch’esso non potrà certo non lasciare tracce sulle vicende culturali, politiche e militari dei prossimi anni. Tuttavia, esso non è che uno dei tanti sintomi dell’ importanza cruciale che le nuove tecnologie hanno per il futuro dell’ Europa e dell’ Umanità.
Infatti:
– Innanzitutto, se è vero, come risulta ormai chiaro da molte fonti, che ogni nostra, seppur minima, azione viene, da tempo, non solo spiata, ma anche immagazzinata a nostra insaputa con la cooperazione di vari Stati e imprese, in un luogo lontano e segreto fuori dell’ Unione Europea e in palese violazione delle leggi di quest’ultima, al fine di trarne, anche solo in un remoto futuro, elementi sulla nostra personalità, sul nostro comportamento, su eventuali nostre colpe, possibilmente per ricattarci, o, addirittura, per creare un nostro “doppio” virtuale, condizionandoci a distanza, allora ci si può chiedere in che cosa consista oramai quella la libertà che viene spacciata come la quintessenza dell’attuale società e sulla quale si fondano, tra l’altro, la costruzione europea e la Costituzione Italiana. Come si può pensare, infatti, che ognuno di noi, fino ai vertici della società, dello Stato, della Chiesa, possa operare liberamente e secondo coscienza, se sa di poter essere ricattato in qualunque momento dai detentori dei suoi più intimi segreti?
– Ma, ancor peggio, noi viviamo oggi, oramai, solo attraverso la macchina, abbiamo accesso solo a ciò che la macchina ci permette di vedere, facciamo solo ciò che la macchina ci permette di fare. E, soprattutto, il fatto di essere tutti condannati quotidianamente, per poter ottenere informazioni, documenti, denaro, riconoscimento di diritti, a passare attraverso il filtro di una nostra personalità virtuale, iscritta, ancora una volta, dentro la macchina (il nostro cosiddetto “PROFILO”), ci rinchiude sempre più nella nostra gabbia d’acciaio (il cosiddetto “INCAPSULAMENTO”), che è la risultante di un nostro passato ormai pietrificato e delle ferree leggi segrete che, attraverso un algoritmo, ci vengono imposte dal gestore della rete. Nessuna possibilità di dialogo autentico con gli altri. Anche se questa tirannide informatica è solamente agli inizi, abbiamo cominciato già ora, come nei romanzi di Frantzen e di Auster, a essere, prima che degli spettri virtuali, null’altro che le pallide vestigia di noi stessi, mentre cresce e ci sovrasta quel nostro “profilo” che risiede nel lontano server, coordinato da un “general intellect” macchinico di cui siamo solamente più un infimo componente.
– L’ ulteriore sviluppo di questo progetto teo-tecnocratico, se non bloccato tempestivamente, potrebbe comportare conseguenze ancor più pesanti, prima fra le quali la radicale sostituzione dell’ Umanità con le macchine (il “RISCHIO ESISTENZIALE”). Vi è pertanto un estremo bisogno di una regolamentazione internazionale, sotto l’ egida delle Nazioni Unite, contro i possibili abusi.
– L’Europa è certamente coinvolta sotto molti punti di vista in questo sistema informatico mondiale, ma soprattutto in qualità di vittima, consenziente o meno.
– Le vicende del DATAGATE hanno fornito, alle Istituzioni, l’occasione per manifestare un’ inedita propositività: un patto euroatlantico contro lo spionaggio(DPA),di cui non si è più sentito parlare dopo il sostanziale diniego del Presidente Obama, una risoluzione dell’ ONU sullo stesso argomento, oramai adottata; un’intelligence europea(anche qui, non se ne è più sentito parlare); un cloud europeo; un Google europeo; la rilocalizzazione in Europa dei dati degli Europei; il tutto sintetizzato dall’ “Habeas Corpus Digitale Europeo” adottato con la Risoluzione del Parlamento Europeo del 12/3/2014;
– La nuova legislatura europea ha di fronte a sé un’eccezionale, e forse ultima, occasione, per ostacolare l’affermarsi della tirannide robotica mondiale, ma, prima ancora, per provocare uno studio, una riflessione e un dibattito su come riuscirci;
– L’approccio adottato nelle discussioni in corso presenta degli inconvenienti, fra i quali:
(i)Quello di essere troppo settoriale (da un lato, la protezione dei dati; dall’ altro, la promozione delle nuove tecnologie);
(ii)Quello di non concentrarsi abbastanza sulla questione più grave, quella del “RISCHIO ESISTENZIALE”, né su quella più urgente, la creazione DI UN WEB EUROPEO.
L’idea che proponiamo come sintesi di queste riflessioni, vale a dire quella del WEB EUROPEO, dovrebbe avere un duplice pregio:
– da un lato, essa può essere portata avanti fin da subito fra privati, in modo da poterci presentare fra breve al legislatore europeo con qualcosa di concreto fra le mani;
– dall’ altro, costituirebbe comunque un elemento fondamentale di aggregazione, per poi partire per ulteriori campagne.
Per questo, mettiamo in guardia contro la concezione dell’ “Habeas Corpus Digitale” come rivolto esclusivamente a stabilire una serie di “Diritti fondamentali”, e non preoccupato, nello stesso modo, dello sviluppo di un’industria digitale europea. Infatti, se e nella misura in cui il potere effettivo sulla rete continui a spettare esclusivamente alle multinazionali dell’ informatica, alla NSA e alle parallele organizzazioni spionistiche internazionali, e queste continuino, come ora, a rifiutarne una cessione per quanto minima e parziale, non si vede come, non diciamo i cittadini o la società civile europei, ma, addirittura, l’Unione Europea o qualunque Stato del mondo possa fare valere effettivamente qualsivoglia diritto relativo al web. Ad esempio, dopo che, con dure battaglie legislative e giudiziarie, si sono imposte severe restrizioni alle intercettazioni giudiziarie da parte della Magistratura italiana, quelle stesse comunicazioni che sono state bloccate e distrutte per i giudici italiani continuano ad essere accessibili alle società telefoniche, alle multinazionali del web e ai servizi segreti internazionali, i quali conoscono, dunque, delle indagini penali italiane e degli stessi Segreti di Stato, di cui è depositario il Presidente della Repubblica, più della nostra Magistratura, e non vengono perseguiti, come succede alle Autorità italiane, nel caso di violazione della legislazione nazionale applicabile.
La presidentessa della Camera ha correttamente affermato che una legislazione in questa materia non può che essere internazionale. Aggiungeremo: internazionale e europea. Anche perché, dopo Echelon, il Datagate e le trattative svoltesi a tutti i livelli fra UE e Stati Uniti, è ormai chiarissimo che questi ultimi non intendono modificare in alcun modo la loro legislazione, che subordina qualunque diritto all’esigenza dello spionaggio militare e antiterroristico, così come le multinazionali del web non intendono rinunziare in alcun modo al loro “core business”, che è quello di spiare, immagazzinare, conservare, rielaborare, perfezionare, utilizzare, rivendere e monetizzare in ogni modo possibile i dati sulla mentalità, le inclinazioni, le idee, le abitudini, le attività commerciali o sociali di tutti i cittadini, le organizzazioni e le imprese del mondo. Né gli uni, né gli altri, intendono cessare la loro mutua integrazione, che rafforza gli effetti negativi di quanto sopra.
E’ ovvio, quindi, che i diritti sul web che dovremmo, e vorremmo, riconoscere ai cittadini italiani ed europei, potranno essere tali solo nella misura in cui essi potranno essere agiti efficacemente e celermente almeno dinanzi ai tribunali italiani ed europei. Ma, giacché, per fare ciò, si richiede che esistano una comunità informatica europea, un’intelligence europea, una rete telefonica europea, un web europeo, senza che, in questa mondo informatico europeo, possano continuare a dominare soggetti giuridicamente obbligati, direttamente o indirettamente, al rispetto delle regole, opposte, che vigono negli Stati Uniti, tutte le azioni politiche che si limitassero a sancire dei diritti senza fornire nello stesso tempo strumenti di difesa contro quei comportamenti sarebbero delle pure ‘gride manzoniane’, alle quali siamo purtroppo abituati, ma delle quali non abbiamo certamente bisogno in questo momento di vera e propria implosione della cultura, della società e dell’ economia europee.
L’”Habeas Corpus Digitale Europeo” approvato dal Parlamento europeo il 12/3/2014 , documento d’indirizzo che dovrebbe essere preso in seria considerazione da tutti i legislatori nazionali, aveva il pregio di considerare quest’ottica globale. D’altra parte, anche il Presidente designato della Commissione, Jean-Paul Juncker, ha inserito, fra le priorità sue e della nuova Commissione, la creazione di nuovi posti di lavoro attraverso il Web. Infine, le Nazioni Unite e l’ UNESCO hanno avviato embrionali attività, che andrebbero accelerate e rafforzate.
Se, come pare, l’ Italia intende, giustamente, in quanto Paese che presiede in questo momento l’ Unione Europea, proporre all’Unione Europea un testo su cui lavorare, deve porre al centro della nuova legislatura europea due questioni:
– una disciplina internazionale del principio di precauzione, volta a monitorare tutte le nuove tecnologie (informatiche, spaziali, chimico-fisiche, biotecnologiche, neurobiologiche) per prevenire il RISCHIO ESISTENZIALE, vale a dire la distruzione del genere umano e/o la sua sostituzione con le macchine;
– un web europeo, comprendente: una cultura informatica europea, infrastrutture europee di comunicazione, un’ intelligence europea, un cloud europeo. Si allega questo proposito il Quaderno “Restarting EU Economy via Knowledge-Intensive Industries” .Quest’aspetto è di vitale importanza soprattutto per un’Europa, e soprattutto, per un’Italia, avviate lungo un impressionante pendio di declino. Il legislatore non può limitarsi all’ affermazione di generici principi generali, ignorandone le enormi, e potenzialmente positive, implicazioni concrete per il nostro Paese.
Discutendo con il Primo Ministro della Repubblica Popolare Cinese, che, realizzando ogni giorno nuovi successi nelle industrie digitali, costituisce l’antitesi positiva della crisi europea, si dovrebbe vedere ), per incominciare a costruire un Web italiano ed europeo, di stabilire delle sinergie con le ineguagliabili industrie cinesi del Web Baidu Alibaba e Qihoo 360 (che non solo sono riuscite ad erodere in pochi mesi business per molti miliardi di dollari ai concorrenti americani, ma anche hanno creato, sul mercato cinese, una concorrenza vivissima, quale certo non esiste in Occidente.
Di fronte alle dimensioni delle sfide in essere, la Costituzione del Web, così pure il Marco Civil Digital brasilano a cui essa s’ispira, non possono che rivelarsi insufficienti. E, tuttavia, anche limitandoci, per ora, ai diritti costituzionali all’ interno del Paese (e, in un domani, dell’ Europa), si dovrebbero almeno trattare alcune questioni come:
– il web e l’eccezione culturale;
– il web e l’antitrust;
– il diritto penale e il web;
– il diritto fiscale e il web;
– il “cloud europeo”.
Quanto al primo punto, dovrebbe venire chiarito che il Web fa parte a pieno titolo della cultura di un Paese, e, pertanto, ad esso non si applicano i principi giuridici, nazionali o internazionali, in materia di commercio di merci.
Quanto all’ Antitrust, le procedure attualmente in corso contro Google dimostrano che l’Antitrust è inefficace per tutelare contro il potere dominante delle multinazionali informatiche, le quali influenzano, prima ancora della concorrenza, addirittura la struttura esistenziale dei cittadini, i vertici dello Stato, l’insieme delle imprese nazionali e internazionali. Occorrerebbe almeno incominciare a sancire principi costituzionali nuovi in questa materia, che colpiscano anche questo potere sociale.
Quanto al diritto penale, dev’essere chiaro che la violazione dei diritti dei cittadini italiani è comunque un reato per l’ordinamento italiano (e/o europeo). Se “profilare” gli utenti viola il diritto alla privacy, se intercettare senza il mandato della Magistratura viola il diritto alla segretezza della corrispondenza, allora i corrispondenti reati debbono essere perseguiti dal diritto penale italiano(e/o europeo), con sanzioni graduate per casi singoli, casi ripetuti, violazioni sistematiche, violazione di segreti commerciali, politici o militari, e i responsabili debbono essere processati e condannati anche se residenti all’ estero(e/o dell’ Unione Europea).
Quanto al Diritto fiscale, debbono essere stabiliti chiari principi di individuazione del luogo dove si genera il reddito tassabile, per evitare l’attuale elusione generalizzata.
Quanto al “Cloud Europeo” dev’essere chiaro che l’unico strumento efficace per impedire molte delle violazioni di cui sopra è rendere obbligatorio che i dati degli Europei siano custoditi in territorio europeo, sotto il controllo del diritto europeo e dei giudici europei. Questo creerebbe anche, tra l’altro, un enorme incremento di posti di lavoro nel nostro territorio. E se poi si ritenesse che la professione informatica della UE non sia ancora pronta per un simile compito, la Svizzera ha già offerto la propria collaborazione
Utilizzando l’opportunità che è stata offerta a tutti i cittadini, di intervenire sulla nuova proposta di legge, presenteremo un nostro intervento definitivo, i nostri due “Quaderni” citati in precedenza (“Habeas Corpus Digitale” e “Restarting EU Economy”, che si allegano).
Costituendo, il tema della democrazia digitale, la radice profonda del nostro impegno esistenziale, culturale, civile ed imprenditoriale, la nostra azione su questi temi è totale. La nostra Casa Editrice Alpina sta pubblicando una serie di e.book su questi temi. Abbiamo già coinvolto a questo proposito i vertici dell’ Unione e l’ industria digitale nazionale.
Ci accingiamo perciò a predisporre, con il supporto della Società Civile, un intervento circostanziato sulla bozza del Progetto, che inseriremo nel Vostro sito come contributo al testo in preparazione.