Più che l’analisi formulata da Draghi alla presentazione del libro di Cazzullo “Quando eravamo padroni del mondo” – quasi scontata, e condivisa da tutti, secondo la quale l’Unione Europea non funziona più, ed è, perciò, da reinventare-, stupiscono i commenti dei giornali dell’ “establishment”, e, in primis, quello de “La Repubblica”, che, in altri tempi, si sarebbero limitati ad applaudire. L’articolo di Giovanni Orsina“Perché lo Stato europeo di Draghi è un’idea forte ma irrealizzabile” percorre, sostanzialmente, la strada dell’euroscetticismo, constatando che l’andamento elettorale in tutta Europa, che premia i partiti definiti impropriamente “sovranisti”, va piuttosto nel senso di una riappropriazione di poteri da parte degli Stati membri. Secondo Orsina, s’imporrebbe un compromesso fra il “razionale” federalismo e il sostanziale micro-nazionalismo (che potrebbe trovare la sua espressione al Parlamento Europeo in un allargamento a destra della “Maggioranza Ursula”, verso l’instabile galassia degli europartiti di destra, che si stanno confrontando al loro interno, nella speranza di essere arrivati finalmente alla “stanza dei bottoni”.
Più che l’analisi formulata da Draghi alla presentazione del libro di Cazzullo “Quando eravamo padroni del mondo” – quasi scontata, e condivisa da tutti, secondo la quale l’Unione Europea non funziona più, ed è, perciò, da reinventare-, stupiscono i commenti dei giornali dell’ “establishment”, e, in primis, quello de “La Repubblica”, che, in altri tempi, si sarebbero limitati ad applaudire. L’articolo di Giovanni Orsina“Perché lo Stato europeo di Draghi è un’idea forte ma irrealizzabile” percorre, sostanzialmente, la strada dell’euroscetticismo, constatando che l’andamento elettorale in tutta Europa, che premia i partiti definiti impropriamente “sovranisti”, va piuttosto nel senso di una riappropriazione di poteri da parte degli Stati membri. Secondo Orsina, s’imporrebbe un compromesso fra il “razionale” federalismo e il sostanziale micro-nazionalismo (che potrebbe trovare la sua espressione al Parlamento Europeo in un allargamento a destra della “Maggioranza Ursula”, verso l’instabile galassia degli europartiti di destra, che si stanno confrontando al loro interno, nella speranza di essere arrivati finalmente alla “stanza dei bottoni”.
1.La federazione europea non è nell’ interesse degli Stati Uniti (ANDREW A. MICHTA, “Politico”)
Una spiegazione esauriente del cambiamento di rotta dell’“establishment” si può trovare nell’ articolo di Michta su “Politico” che abbiamo riportato nel post del 24 Novembre u.s, il rafforzamento dell’ Unione, quale vorrebbero (forse) i Governi francese e tedesco, che ha trovato una sua blanda espressione nel documento del “Gruppo dei 12” franco-tedesco, “non è nell’ interesse degli Stati Uniti”.L’optimum è che l’ Europa non si rafforzi troppo, ma neppure si sgretoli, restando in eterno “né carne, né pesce”. Cosa possibile, ma improbabile.
Viene così al pettine il nodo cruciale dell’Unione Europea: nonostante che uno Stato europeo forte, come invoca Draghi, sia da almeno cent’anni un’esigenza urgente per i popoli d’Europa e per il mondo intero (vedi “Pan-europa”, 1923), le classi dirigenti europee, succubi delle vecchie ideologie sette-ottocentesche, come il neo-liberismo internazionale, l’internazionalismo socialista, la teologia della liberazione, il micro-nazionalismo e perfino il “fardello dell’ Uomo Bianco” (e/o “occidentale” o “ariano”), non vi hanno prestato minimamente attenzione, e, quando l’hanno fatto, l’hanno fatto distrattamente, senza dedicarvi eccessivo impegno.
Basti riandare al quasi dilettantistico, anche se sofisticato, progetto di Coudenhove Kalergi, alle oscillazioni di Spinelli fra un federalismo rivoluzionario come quello di Ventotene e un inserimento di fatto nell’establishment funzionalistico ( come commissario ed europarlamentare), e, infine, alla facile liquidazione dei conati europeistici della Francia post-gollista (Giscard d’Estaing, Mitterrand), nonché di Gorbaciov, e perfino del progetto di federazione sotto l’Asse, subito bloccatosi al “Nein” stilato da Hitler al margine dell’ apposito documento di Ribbentrop.
In realtà, come scrivevamo nel post del 24/11, le Comunità Europee avevano esordito nientemeno che con un ordine del giorno approvato dal Senato americano su proposta del Senatore Fulbright, con l’American Commission for a United Europe e con una Dichiarazione Schuman in realtà approntata da Monnet a quattr’occhi con il Segretario di Sato americano Dean Atcheson, sbarcato con un blitz a Parigi il giorno prima dell’ annunzio al Quai d’Orsai.
Le Comunità Europee erano quindi nate da cerchie ristrettissime, più americane che europee, e non avevano mai posseduto, né la ricchezza intellettuale, ne lo spirito combattivo, non diciamo per discostarsi dai desiderata americani, ma neppure per pensare a un proprio autonomo percorso culturale.
2. Sconvolgimento degli equilibri post-1945
Oggi, di fronte al mutamento drammatico dello scenario mondiale, dominato da un’ Intelligenza Artificiale che, sole, possono permettersi le Grandi Potenze; dinanzi allo sconvolgimento del potere di fatto all’ interno degli USA per via della crescente maggioranza “non WASP” (cioè Latinos, Afroamericani, Nativi Americani, Asiatici, più Cattolici, Irlandesi, Gallesi, Scozzesi, Tedeschi, Italiani, Polacchi, Ebrei…), e del conseguente peso della cultura “woke”, e, infine, dinanzi al prevalere economico dell’ Asia e dei BRICS, una nuova ondata in Europa è inevitabile, con o senza l’ Unione Europea.
Tutto ciò rende, da un lato, più urgente che mai, e, dall’ altro, finalmente possibile, un’Europa forte come indicato da Draghi, a patto, però, di abbandonare la cultura “mainstream” del nostro “establishment”, ponendosi come obiettivo, non già di supportare da un ruolo ancillare la prosecuzione del tentativo di presa di controllo sul mondo dei GAFAM, bensì di costruire un’alternativa agli stessi, fondata sulla cultura tradizionale europea, che è critica, elitaria e sociale.
Accertato infatti (come implicitamente fanno tanto Draghi quanto Orsina) che le classi dirigenti europee attuali non sono in grado di esprimere alcun progetto sui temi più importanti, come la sopravvivenza dell’ Umanità, il dialogo multiculturale e la Guerra Mondiale a Pezzi, occorrerebbe partire da una seppur modesta élite capace di pensiero autonomo, che si dedicasse alla comparazione senza pregiudizi con gli altri Continenti, alla risposta alle domande irrisolte dei nostri filosofi e delle diverse confessioni religiose europee, e, infine, all’ educazione degli Europei per il XXI Secolo. Solo una siffatta classe dirigente potrebbe volere, e tentare di realizzare , un’Europa più compatta, talmente sicura di sé da poter permettere senza pericolo alle sue regioni di esprimere quelle distinte identità che contrassegnano il nostro Continente, soddisfacendo così nello stesso tempo le esigenze dei federalisti europei e quelle dei micronazionalisti.
Intervento dei Governi sul progetto approvato dal Parlamento
Facendo seguito al precedente articolo sull’ Intelligenza Artificiale, ci sentiamo in dovere di dare qualche informazione anche sui più recenti, sconcertanti, sviluppi dell’interminabile iter legislativo dell’”AI Act”, alla cui approvazione i Governi italiano, francese e tedesco, si sono improvvisamente opposti, con la motivazione che una regolamentazione troppo severa danneggerebbe l’industria europea. Nel frattempo, la Cina ha approvato la sua legislazione sull’Intelligenza Artificiale Generativa, togliendo all’ Unione il tanto vantato primato, mentre gli Usa stanno abbandonando la loro originaria inerzia, e tentando di darsi una legislazione.
1.Timeline degl’interventi
Prima di esprimere i nostri dubbi circa il comportamento dei Governi, facciamo innanzitutto e soprattutto notare la strana coincidenza temporale fra:
-Giugno: Presentazione al Parlamento Usa del SAFE Innovation Act, che il proponente senatore Schumer avrebbe voluto divenisse il modello a livello mondiale;
-15 Agosto: Regolamento cinese sull’AI generativa, che “annacqua” il relativo progetto di legge. Nonostante questa mitigazione, la legislazione cinese sull’ IA si pone come strumento di “global leadership”, essendo giunta la Cina ad affermare i propri standard prima di quelli occidentali – un obiettivo, questo, che ha fatto da sempre parte del programma di Xi Jinping -;
-15 Novembre: incontro fra Biden e Xi Jinping, fra l’altro per avviare “trattative” sull’ Intelligenza Artificiale, anche se, secondo autorevoli studi legali americani, si tratta soprattutto di “imparare dalla Cina”, come del resto ha già fatto il Parlamento con l’”Inflation Reduction Act”;
-17 Novembre:licenziamento di Sam Altman, fondatore e amministratore delegato di OpenAI (produttrice della mitica ChatBPT), accusato di avere sviluppato una tecnologia pericolosa, “Q*”, senza i previ adeguati controlli;
-18 Novembre: presentazione dell’accordo trilaterale fra Italia, Francia e Germania, che rende siffatti controlli praticamente superflui;
-22 Novembre: riassunzione di Sam Altman presso OpenAI.
Le modalità assai insolite del licenziamento e della riassunzione di uno degli uomini più influenti del momento fanno pensare che, dietro di questi, ci siano questioni di primario interesse. La principale spiegazione si trova probabilmente nel fatto che, come noto, l’Intelligenza Artificiale, che ha un impatto a “tappeto” su tutte le sfere della vita umana, è particolarmente rilevante nel settore della difesa, e soprattutto, in quello della guerra nucleare. Ed è per questo che il dialogo sino-americano sull’ IA è condotto essenzialmente fra le Forze Armate dei due Paesi (con l’evidente esclusione dell’Europa).Si noti poi che, né la Cina, né gli USA, e nemmeno l’Unione, hanno a oggi una vera legge organica sull’IA; si direbbe che questi pourparlers mirino ad omogeneizzare, o almeno coordinare, le leggi che stanno per essere approvate.
Quanto all’ Europa, si è forse ritenuto che stabilire una regolamentazione restrittiva in un momento in cui sono in corso due guerre più che regionali, e inedite trattative sino-americane sull’ IA, e soprattutto su quella militare, sarebbe stato prematuro. Anche perché, su questi argomenti, le Autorità europee si rimettono sempre al giudizio degli Americani (che oggi probabilmente non si è ancora formato).
Con il recente documento italo-franco-tedesco, la discussione sul progetto di regolamento slitterà presumibilmente a dopo le prossime Elezioni Europee.
2.Non siamo il “Trendsetter of the Global Debate” (come avrebbe voluto la Commissione)
L’Unione Europea aveva preteso fino ad oggi (manipolando una giusta idea di Coudenhove Kalergi e Spinelli), che l’Europa, finito il periodo coloniale, si distinguesse per il proprio “soft power”. Uno dei punti su cui si concentrava questa pretesa era proprio l’esistenza di un pacchetto normativo sull’ informatica (si trattava essenzialmente del GDPR), che, per quanto gravemente insufficiente, era comunque di molto superiore a quello delle altre aree del mondo. Si era addirittura preteso che le legislazioni delle altre mondo copiassero sistematicamente quella europea (“the Brussels Effect”).Cosa forse vera, ma solo perché quest’ultima è congegnata in modo tale da non avere alcun effetto pratico, sicché i legislatori extraeuropei possono fingere di avere lavorato indefessamente, senza in pratica disturbare i veri “poteri forti”, cioè i GAFAM.
Quindi, il fatto che sia stata finalmente approvato il complesso e sofisticato “pacchetto” legislativo cinese ha tolto all’ Unione il principale incentivo per proseguire su questa strada verso l’AI Act. Il compito di “Trendsetter of the Worldwide Debate”per l’IA, è stato assunto, con le ultime mosse, dalla Cina, come constatato dagli stessi osservatori americani. In questo contesto, se la Cina ha mitigato il controllo sull’ IA, gli Occidentali temono, perseguendo un approccio rigoroso, di offrire alla Cina una nuova breccia (dopo l’Alta Velocità, la Via della Seta, la transizione green) attraverso la quale affermare la propria superiorità. Preoccupazione a nostro avviso infondata, perchè anche l’approccio cosiddetto “mitigato” della Cina è più rigoroso della precedente bozza europea (oggi considerata “troppo rigorosa”), e dell’approccio americano, che fa leva soprattutto sull’autoregolamentazione dei GAFAM. Quindi, la Cina non si preoccupa più di tanto d’imporre una disciplina alle proprie imprese, perché queste, anzi, come è successo recentemente con i BAATX, ne escono rafforzate e ancor più atte a competere nella sostanza sui mercati internazionali
“Eppure,” come scrive Da Empoli, “non erano queste le premesse della strategia che la Commissione Europea ha pubblicato nel 2018 con l’obiettivo di far recuperare all’ Europa il tempo perduto”.Quest’autore la definisce “Una specie di Caporetto del policy design”.
In particolare, la normativa cinese prevede tre cose che in Europa (e ancor più negli Stati Uniti) mancano:
-un’Agenzia generale per il cyberspazio (l’Amministrazione Cinese del Cyberspazio), con estesi poteri normativi a livello centrale;
-Prescrizioni amministrative sui contenuti;
-un sistema articolato di notifiche e autorizzazioni.
L’Amministrazione Cinese del Cyberspazio (che non esiste in alcun Paese occidentale) è stata dunque la prima a introdurre una serie di norme amministrative specifiche per l’IA, in attesa dell’emanazione una legge organica sull’ AI:
-il Regolamento per la raccomandazione di algoritmi;
-il Regolamento sulla Sintesi Profonda;
-il Regolamento sull’ IA Generativa;
-il Progetto di direttive sull’audit algoretico,
E’ quindi profondamente sbagliato circoscrivere il dibattito fra Cina e Occidente sulle implicazioni della normativa cinese sulla libertà di espressione. Circa quest’ultima, il grado di “moderazione” sul web imposto dalle legislazioni cinese ed europea differisce solo per la parziale differenza di oggetto (qui, “discorsi di odio”, “razzismo”, “teoria di genere”), piuttosto che (“valori del socialismo con caratteristiche cinesi”, oppure “valori confuciani”), ma in ambo i casi si tratta di una censura politica affidata alle macchine intelligenti perché quella affidata all’ uomo, nonchè scadente, sarebbe comunque troppo costosa.
Al contrario, come suggerisce la Brookings Institution, occorrerebbe studiare attentamente le soluzioni legislative cinesi (che tra l’altro sono partite dal progetto europeo, ma lo hanno rapidamente superato in quanto a concretezza).Questo è particolarmente vero per gli USA, che stanno conducendo discussioni con la Cina sulla AI, fortemente volute dai GAFAM, i quali ultimi hanno accolto Xi Jinping a San Francisco con una standing ovation a una cena d’onore dell’industria americana. Vari commentatori suggeriscono ai legislatori di approfittare di queste discussioni per familiarizzarsi con la normativa cinese.
Di tutto questo si dovrà tenere anche e soprattutto nella creazione dell’ Istituto Italiano per l’Intelligenza Artificiale di Torino, ma, soprattutto, si rende più urgente che mai la creazione di un’Agenzia Europea per la Tecnologia, quale quella da noi proposta, in grado di gestire autorevolmente depositi, audits, autorizzazioni, rapporti con analoghe istituzioni a livello internazionale, in modo che l’Europa non sia più tagliata fuori, come oggi accade, dalle vicende decisive per il futuro dell’ Umanità.
Per ora, ci limitiamo a prendere atto del fatto che, su argomenti di una tale importanza e a cui la propaganda della UE ha attribuito un notevole peso, l’opinione pubblica viene tenuta all’ oscuro circa decisioni assai poco coerenti degli Stati membri, che avranno comunque un impatto importante sul futuro dell’Europa, molto più dei “ludi cartacei” sulle riforme istituzionali, e delle quali proprio per questo dobbiamo occuparci. Occorre la creazione di un ambiente culturale e politico recettivo a questi temi, e che segua attivamente le evoluzioni legislative: italiana, europea e dei maggiori Paesi del mondo.
Dal licenziamento (e riassunzione) di Sam Altman agli accordi USA-Cina.
1.Il caso Altman
In questi giorni si sta assistendo a una vera e propria esplosione di notizie e commenti riguardanti l’avanzata dall’ Intelligenza Artificiale (IA) quale fenomeno centrale del XXI Secolo. Fra questi eventi, quello che ha suscitato più scalpore è stata la destituzione di Sam Altman, fondatore e Amministratore delegato di OpenAI, la società informatica che aveva creato ChatGPT, uno straordinario strumento di assistenza allo svolgimento di attività culturali, accusato di avere sviluppato, senza gli adeguati controlli, una tecnologia molto pericolosa, la Q*. Ciò che ha suscitato un’ancora maggiore agitazione è stata la misteriosa decisione, dopo alcuni giorni, di rieleggere allo stesso ruolo, anche in seguito a una protesta dei dipendenti, lo stesso Altman. Al punto che quest’ultimo è stato incoronato, dal Jerusalem Post, “l’Ebreo più influente del mondo”, davanti, tra l’altro, a Nethaniahu, Blinken, Soros, Herzog, Ganz e Zuckerberg. E’ proprio vero che oramai i guru dell’informatica stanno acquisendo ovunque un potere senza precedenti. E dire che Eisenstadt sosteneva che, almeno ai suoi tempi, in Israele, i rabbini contavano più dei finanzieri. Neppure lì è più così.
2.Il dialogo USA-Cina
La seconda notizia centrale per il futuro del mondo è che l’idea formulata da Kissinger a Pechino e nel suo libro “L’Era dell’Intelligenza Artificiale”, e rilanciata infine da autorevoli guru del mondo informatico (come Faggin, inventore del “touchscreen” e Suleyman, fondatore di DeepMind), quella della necessità di un dialogo fra USA e Cina per il controllo dell’ Intelligenza Artificiale, è stata posta al centro dell’ incontro fra Biden e Xi Jinping al summit di San Francisco. Il meccanismo essenziale di questo controllo dovrebbe essere congegnato, secondo i libri di Kissinger e di Suleyman, sulla falsariga del controllo sugli armamenti, e, in particolare, su quello degli armamenti nucleari; esso dovrebbe mirare, non solo a evitare attacchi a sorpresa, ma anche a vietare certi tipi di sviluppo dell’ AI che oggi purtroppo sono al centro delle strategie delle grandi potenze, come il famigerato sistema ”Dead Hand” (in Russo, “Miortvaja Rukà”), che prevede lo scatenamento in automatico della guerra nucleare nel caso dell’impossibilità di comando da parte delle autorità militari. Per altro, il dialogo fra i militari è già addirittura partito. Questa decisione congiunta costituisce dunque un’enorme vittoria della Cina, perché sancisce la raggiunta parità tecnologica e militare fra i due Paesi, con l’esclusione di altre potenze. Appena 20 anni fa, quando i colossi americani (i GAFAM) dominavano ancora anche il mercato cinese, nessuno (salvo, forse, i vertici del PCC; cfr. Pieranni, Tecnocina) avrebbe immaginato un risultato simile.
3.Accresciuto interesse in Italia
Altra notizia importante: dopo la sentenza del Consiglio di Stato circa l’assoggettamento di Facebook all’ IVA, il Ministero delle Finanze sta muovendosi concretamente per la riscossione degli arretrati. Era ora! Dalla loro creazione, una trentina di anni fa, i GAFAM non hanno mai pagato neppure un euro di tasse in Europa, salvo i modestissimi importi concordati con il fisco con una serie di accordi transattivi.
Domenica 26 Novembre, Il Sole 24 Ore ha dedicato due pagine allo sviluppo dell’Intelligenza Artificiale nel mondo. Biagio Simonetta constata per l’ennesima volta che, mentre tutte le nazioni, e, in particolare, i grandi blocchi come USA, Cina e India, stanno facendo passi da gigante in questo settore, fondamentale, oltre che per lo sviluppo economico, per la proiezione di potenza, grazie alla centralizzazione di massicci investimenti pubblici e privati, l’Europa, invece, che non ha una sua politica unitaria dell’ IA, mentre avrebbe (sul piano quantitativo) tre volte il peso degli USA e 6 volte quello della Cina in questo settore, è totalmente irrilevante in campo mondiale, perché non riesce a mettere questa sua capacità sul piatto delle trattative internazionali, e anche perché non ha un proprio esercito, che possa, per così dire, “monetizzare” le competenze nazionali in materia di IA. A nulla serve il fatto che la Commissione e il Parlamento stanno lavorando da anni alla redazione di un “Artificial Intelligence Act “che viene vantato come “il più perfetto del mondo” (ma che non è stato fino ad ora approvato mentre nel frattempo la Cina ha già approvato il suo). Comunque, la bozza approvata dal Parlamento Europeo, e ora in fase di frenetica revisione per tener conto delle implicazioni del “caso Altman”, è già concettualmente vecchia, perché non tiene conto delle implicazioni filosofiche, geopolitiche e sociali poste in luce proprio dalla vicenda di ChatGPT, che non è “rischioso” nel senso dell’AI Act, ma è comunque insidioso per l’umanità perché altera drammaticamente le modalità stesse del pensiero umano.
4.Andremo finalmente verso un autentico “Umanesimo Digitale”?
Almeno, tutti gli autori citati si stanno finalmente allontanando dalla visione materialistica, legalistica e politicante del controllo sull’ IA (secondo la quale basterebbe un controllo sulla progettazione per rendere “etica” quest’ultima, mentre invece non ci si rende conto che l’informatica e la bioingegneria, prima ancora dell’IA, hanno già modificato radicalmente l’essenza della natura umana quale emersa dall’”Epoca Assiale” teorizzata da Jaspers, Eisenstadt ed Assmann). Né le idee formulate durante la prima parte dell’Epoca Assiale (Evo Antico), né quelle emerse nei secoli della Modernità, sono oramai più neppure applicabili nel mondo automatizzato. Ne sono prova l’equilibrio del terrore nucleare basato sulla risposta digitale automatica a un attacco nucleare (“Dead Hand”), lo spionaggio digitale a tappeto (Echelon, Prism), il controllo capillare sui cittadini (sentenze Schrems della Corte di Giustizia europea), la disoccupazione tecnologica (innanzitutto nel settore dei “colletti bianchi”), la “vita sintetica” (CRISPR, clonazione, fecondazione assistita, utero in affitto), gl’ impianti cerebrali (Musk), e, soprattutto, l’utilizzo massiccio dell’IA per il decision-making politico, amministrativo e di business….
Tutte queste realtà vanificano responsabilità individuale, etica del lavoro e riproduttiva, come pure la dialettica politica.
Sulla base di quelle considerazioni, gli autori citati si stanno muovendo giustamente sulla strada di una riforma innanzitutto culturale. Faggin, in “Irriducibile”, parte dalla centralità della fisica quantistica (il Principio di Indeterminazione) per negare l’attualità di un’ intelligenza puramente razionale, e quindi anche dell’Intelligenza Artificiale, basate, come sono, su un’imitazione dei procedimenti della matematica e della fisica classiche. Suleyman, in “The Coming Wave”, parla di un “containment” dello sviluppo dell’ IA.
Kissinger, infine, sostiene in modo assai pregnante che “”La tecnologia, la strategia e la filosofia devono essere in qualche modo allineate, per evitare che una scavalchi le altre. Quale aspetto della società tradizionale dovremmo difendere? E quale aspetto della società tradizionale dovremmo essere pronti a sacrificare per crearne una superiore?”
Purtroppo, neppure le tre, seppure illuminanti, opere citate, sono state in grado di rispondere alle domande poste giustamente da Kissinger, perché nessuno vuole, sa o può, affrontare lo spinosissimo problema del rapporto fra società tradizionale, modernità ed iper-modernità. Occorre ricordare che il “Progetto Incompiuto della Modernità” consisteva proprio nel rispondere alle questioni irrisolte poste dalla religione facendo affidamento soltanto sulla scienza (1° Programma Sistemico dell’ Idealismo Tedesco). Questo approccio fu razionalizzato brillantemente da Saint-Simon, che scriveva che l’ “Epoca Critica” apertasi con la Rivoluzione Francese avrebbe dovuto essere superata da una nuova Società Organica, fondata sulla religione della scienza, che avrebbe ricostruito su basi immanentistiche l’ordine ch’era stato dell’“Ancien Régime”. Secondo gl’ideologi ottocenteschi (fossero essi liberali, socialisti, nazionalisti o cristiano-liberali), tale ordine sarebbe stato basato sui principi “moderni” della Ragione. Orbene, tutti sentono in cuor loro (e moltissimi dicono) che questo progetto è fallito, in quanto la “religione della scienza e della tecnica” dei Positivisti e dei Marxisti era intrinsecamente contraria fin dai principi alle ideologie politiche ottocentesche, come dimostrato dalle nuove scoperte scientifiche, e, in particolare, dalla fisica quantistica, che ha rimesso al centro l’”esprit de finesse” e il libero arbitrio, con ciò negando l’economicismo, l’egualitarismo, l’etnicismo e il moralismo dell’Occidente. Quindi, le società moderne sono state condannate a trasformarsi in qualcosa di molto diverso: non già l’auspicato ”organicismo” erede della tradizione, bensì la dittatura delle Macchine Intelligenti che, se non contrastata, sfocerà nella costruzione di una Megamacchina centralizzata a livello cosmico, in cui l’Intelligenza Artificiale regnerà su sottosistemi galattici e società di macchine intelligenti, e in cui l’uomo non avrà posto (la “Singularity Tecnologica”). Fino che anche questa finirà (forse a causa dell’intrinseca incapacità dell’ Intelligenza Artificiale di essere veramente “generativa”, e della conseguente stagnazione).
La “delusione” dei progressisti per i fallimenti della Ragione (dalla Shoah alla bomba atomica, dallo Stalinismo all’anomia dell’Occidente, dal crollo del Socialismo Reale alla guerra di tutti contro tutti) è pienamente giustificata già dalla constatazione che, come del resto si poteva prevedere fin dall’ inizio, lo sviluppo della tecnica e, in generale, della ragione dispiegata, non ha liberato l’umanità dai suoi endemici mali: finitezza, ignoranza, mortalità, malattie, violenza. Non parliamo dei seppur opinabili, ma probabili, catastrofici sviluppi futuri a cui abbiamo sopra accennato.
Occorre quindi, proprio per rispondere coerentemente alle filosofie ottocentesche, tornare a studiare con umiltà le “società tradizionali” di cui parla Kissinger, vale a dire quelle pre-alfabetiche, quelle classica e medievale e quelle orientali (anche attuali), per comprendere come esse affrontassero, e ancora affrontino, brillantemente, i problemi eterni dell’umanità, scoprendo quali sono gli aspetti in cui esse sono compatibili, ed anzi assolutamente idonee a vivere nella Società delle Macchine Intelligenti come dimostrato dallo sviluppo straordinario dell’Asia Orientale e Meridionale.
Certamente, anche dopo aver compiuto questa necessaria operazione culturale, l’umanità di domani risulterebbe molto diversa da tutte quelle che abbiamo conosciuto a partire dall’Epoca Assiale “allargata” (Assmann), perché la presenza delle nuove tecnologie, e, in particolare, quella dell’ Intelligenza Artificiale, non verrà comunque eliminata, bensì “superata” e riorientata. Del resto, già nelle mitologie dell’ Epoca Assiale c’erano le macchine intelligenti, come per esempio il Talos, un drone di bronzo che volava ininterrottamente intorno a Creta per difendere, per conto di Zeus, l’amata Europa, o i tartarughe giganti che navigavano intorno alla Cina con a bordo gl’”Immortali” confuciani, ma soprattutto i Virana volanti e varie armi “magiche” degli Dei vedici, come Pashupata, Brahmastra ecc…Tutto ciò ha fatto nascere addirittura la tenace “leggenda dell’ antico astronauta”, secondo cui in tempi antichissimi una razza aliena avrebbe portato sulla terra tecnologie avanzatissime.
Comunque sia, il comportamento degli Dei delle varie mitologie (e soprattutto quelli mesopotamici, che creano gli uomini per sostituirli nel lavoro) nei confronti delle loro macchine ci fornisce delle indicazioni di come l’umanità potrebbe approcciarsi alla gestione delle macchine intelligenti, che non richiedono più il “lavoro” in senso stretto, bensì intense attività “filosofiche” e “politiche”, paragonabili a quelle dei “guru” indiani e dei saggi taoisti. Ma questo è un campo ancora da esplorare.
5.L’Agenzia Europea per la Tecnologia
Per parte nostra, abbiamo affrontato di petto il problema centrale della politica economica europea, vale a dire l’assenza, da parte dell’ Europa, di un centro ben definito di programmazione dello sviluppo tecnologico, quello che noi chiamiamo “Agenzia Tecnologica Europea”, che dovrebbe svolgere innanzitutto, ma non solo, i compiti che negli USA sono stati svolti dal DARPA, responsabile dello sviluppo delle tecnologie “dual use” (cioè al contempo civili e militari). Il nostro libro omonimo (Euopean Technology Agency”, acquistabile come e.book presso StreetLib, è stato distribuito alle massime autorità europee -innanzitutto von der Leyen, Breton e il compianto Sassoli-, ma solo quest’ultimo si era impegnato per il progetto.
Proprio perché l’Agenzia da noi proposta sarebbe chiamata a svolgere una serie di ruoli che oggi non sono svolti da nessuno, essa dovrebbe avere una struttura complessa, capace di occuparsi di ricerca culturale, economica e tecnica, di programmazione degli aiuti all’ economia, di ricerca di base e di gestione dei finanziamenti, raggruppando, in molti casi, i compiti di piccole agenzie create dall’ Unione ed oggi esistenti, sulla cui utilità molti, a cominciare dalla Corte dei Conti, hanno espresso seri dubbi ancora recentemente, ma che l’Unione ha voluto comunque rifinanziare.Essa dovrebbe e potrebbe coesistere con analoghe agenzie esistenti a livello nazionale, come per esempio la costituenda Agenzia Italiana per l’ Intelligenza Artificiale di Torino, cfr. i nostri libri sull’ argomento in vendita presso Streetlib (per altro anch’esse nel complesso ridondanti nell’ ottica di un ciclopico sforzo di “catch up” che si richiederebbe nei confronti delle grandi potenze).
Oggi, alla luce degli sviluppi in corso ovunque nel mondo e con le elezioni europee alle porte, sembra difficile continuare a ignorare quest’enorme lacuna del sistema europeo, che, in questo momento storico, lo inficia fino dalle fondamenta. E’ su questo, e non su sterili scaramucce personalistiche, che i partiti europei dovrebbero confrontarsi. Per questo, rilanceremo una campagna d’informazione rivolta al mondo politico e al Movimento Europeo.
Riportiamo qui di seguito il commento del Movimento Europeo in Italia sul voto del Parlamento Europeo circa il documento AFCO sul futuro dell’ Europa (all.1), e un commento della stampa americana (all.2).
Intanto, mettiamo in evidenza l’atteggiamento sempre più sconsolato dell’ME di fronte alla palese indifferenza per la riforma dell’Unione perfino da parte del Parlamento Europeo, atteggiamento che emerge, in particolare, da questi passaggi:
“Al di là di dichiarazioni retoriche di chi ha sostenuto questo lavoro del Parlamento europeo, noi riteniamo che si debba fare una riflessione accurata sulle ragioni per cui si è arrivati a questo risultato che purtroppo non ha nulla di storico e sulla strada che debba essere percorsa da qui alle elezioni europee e dopo di esse per far cambiare rotta all’Unione europea in una situazione in cui appare chiaro a tutti che l’Unione europea non è in grado di far fronte alle sfide interne ed esterne e che i Trattati di Lisbona firmati nel 2007 non sono lo strumento adeguato per far fronte a queste sfide.
Se gli attuali deputati europei non sono stati capaci di dare una risposta adeguata, dovremo rivolgerci alle opinioni pubbliche, alla società civile, alle cittadine e ai cittadini europei per avviare una mobilitazione che spinga i partiti politici europei a svolgere quel ruolo che gli è stato affidato dal Trattato di Lisbona per formare la coscienza europea delle nostre opinioni pubbliche.”
L’Associazione Diàlexis ha avviato da tempo questa riflessione sulla “deriva” dell’ Europa, e ha già espresso il proprio punto di vista in tutta la sua pubblicistica, sintetizzandola in particolare nell’ ultimo suo libro “Verso le elezioni europee” (acquistabile presso StreetLib cfr https://store.streetlib.com/novita/verso-le-elezioni-del-2024-i-partiti-europei-nella-tempesta-738251/).
Tale punto di vista può riassumersi come segue:
1.La creazione di una vera statualità europea che (pure all’ interno della “multilevel governance europea e mondiale) costituisca il punto focale della lealtà dei cittadini verso la cosa pubblica (un’aspirazione che attraversa i millenni a partire dalla Tetrarchia dell’ Impero Romano, per passare al Sacro Romano Impero e ai progetti europeistici medievali e moderni), è divenuta della massima urgenza a causa dell’ avvicinarsi della trasformazione dell’Umanità in una mostruosa megamacchina per effetto dell’ Intelligenza Artificiale che sta surclassando quella umana, preconizzata per i prossimi decenni (2025, 2045, 2049?) dai guru dell’ informatica (Kurzweil, Zuckerberg, Schmidt, Musk e Altman) e che potrà essere contrastata solo da un’alleanza di scala planetaria.
2.Costituisce infatti l’oggetto stesso della “Missione dell’ Europa” quella di costituire l’estremo baluardo contro l’ “elusione della filosofia” (Cornell West) insita nella concezione funzionalistica dell’ uomo e dell’ Europa sostenuta da Mitrany e Haas ed evidentemente contraria al cosiddetto “Articolo Segreto della Pace Perpetua”(Kant) , che, cioè, il politici “si attengano alle massime dei filosofi”. Per fare ciò, essa deve finalmente costituirsi in soggetto autonomo di storia, cosa che, nell’era della “Terza Guerra Mondiale a Pezzi”, non può farsi senza aggregare un minimo di massa critica indipendente in campo culturale, politico, militare, tecnologico, sociale ed economico, tale da renderla un interlocutore credibile nel dialogo fra le Grandi Potenze susseguente all’ incontro di San Francisco fra Biden e Xi (il “Trendsetter of the Global Debate” sull’informatica e l’Intelligenza Artificiale, come pretenderebbe Ursula von der Leyen).
3.La linea politica perseguita dalle Istituzioni dalla Dichiarazione Schuman e fino ad ora è stata sempre più inficiata dal funzionalismo, e quindi controproducente, seguendo essa una narrazione culturale aberrante (la “Grande Narrativa Whig”), che ignora deliberatamente buona parte della storia culturale europea(“Cancel Culture”) , dalla Civiltà Danubiana al Medio Oriente e al Barbaricum, per passare al nesso segreto Gesuiti-Illuministi, alla Dialettica dell’ Illuminismo, alla genesi del nazionalismo dalle Rivoluzioni Atlantiche e ai ruoli centrali che l’Est Europa (Coudenhove Kalergi, dissenso, neo-conservatorismo) e soprattutto l’America, hanno esercitato nella nascita, nello sviluppo e nel controllo dell’ integrazione europea (Fulbright, ACUE, Endowment for Democracy, Prism, Inflation Reduction Act).Le ragioni dell’ostilità americane all’ulteriore allargamento sono riassunte nell’ articolo di Andrew Michta dell’ Atlantic Council (all.2).
4.La riforma istituzionale necessaria e urgente per permettere all’ Europa di compiere la missione di cui sopra non può compiersi per via puramente giuridica, bensì deve svilupparsi preventivamente attraverso più fasi: dibattito culturale sull’ Identità Europea; azione politica di aggregazione delle forze veramente europeiste intorno al Movimento Europeo; azione organizzativa all’ interno dei Partiti Europei per porre al centro del discorso pubblico il ruolo dell’ Europa nel contrasto alla Singularity; funzione costituente per ristrutturare l’intera “multi-level governance”, dal diritto internazionale, alle Organizzazioni Internazionali, alle Istituzioni Europee, alle Macro-Regioni, alle Regioni, alle Città e alle imprese; azione politica per infondere nuova vita alle Istituzioni così rinnovate.
5.E’ errato credere che questa ristrutturazione dell’Europa possa farsi intorno al patto franco-tedesco, o al raggruppamento genericamente “centrista” che, in tutti questi anni, non hanno saputo (o voluto) avviare nessuna delle azioni di cui sopra, perché potenzialmente lesive del loro potere; essa potrà realizzarsi invece solo con un movimento spontaneo al di sopra degli Stati Nazionali, nell’ambito, non già in opposizione, di un “mondo à la carte” (Garton Ash, ECFR) ,quale quello conformato dai BRICS;
6.Data l’imperdonabile perdita di tempo intervenuta in questi anni con la Conferenza sul Futuro dell’Europa, la vera e propria rifondazione dell’ Europa potrà attuarsi solo nel corso della prossima legislatura, sperando, certo, che si riesca a inviare a Bruxelles un certo numero di deputati che condividano quanto sopra, ma non disdegnando di svolgere un lavoro capillare di persuasione, anche e soprattutto sui “sovranisti”, che possono e debbono essere guadagnati al “sovranismo europeo”,sottraendoli alla tentazione di quell’azione di boicottaggio a cui sembra invitare l’articolo di Michta.
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ALLEGATO 1.
AI MEMBRI DELLA “PIATTAFORMA ITALIANA PER LA CONFERENZA SUL FUTURO DELL’EUROPA”
Nel quadro di una sessione carica di discussioni e di voti che hanno suscitato forti divisioni fra le forze politiche, il Parlamento europeo ha votato sul rapporto elaborato da 5 relatori della Commissione AFCO in un anno di lavori senza trasparenza e senza dibattito pubblico, ignorando anche la necessità di coinvolgere in questo lavoro società civile e cittadini che erano stati coinvolti nella Conferenza sul futuro dell’Europa.
Il risultato del voto, al di là dei contenuti del testo emerso delle decisioni del Parlamento europeo, indica purtroppo che l’orientamento degli attuali deputati eletti nel Parlamento europeo è ostile o nutre molti dubbi su un’ampia riforma del Trattato di Lisbona.
Su 702 parlamentari, un centinaio ha deciso di non partecipare al voto, 44 si sono astenuti, 274 hanno votato contro e 291, cioè una minoranza dell’Assemblea pari al 40%, ha votato a favore calcolando che i deputati dei cinque gruppi che si erano espressi a favore nella commissione affari costituzionali sono 440.
Una analisi dei voti individuali ci indicherà anche gli orientamenti dei gruppi politici nell’Assemblea.
Al di là di dichiarazioni retoriche di chi ha sostenuto questo lavoro del Parlamento europeo, noi riteniamo che si debba fare una riflessione accurata sulle ragioni per cui si è arrivati a questo risultato che purtroppo non ha nulla di storico e sulla strada che debba essere percorsa da qui alle elezioni europee e dopo di esse per far cambiare rotta all’Unione europea in una situazione in cui appare chiaro a tutti che l’Unione europea non è in grado di far fronte alle sfide interne ed esterne e che i Trattati di Lisbona firmati nel 2007 non sono lo strumento adeguato per far fronte a queste sfide.
Se gli attuali deputati europei non sono stati capaci di dare una risposta adeguata, dovremo rivolgerci alle opinioni pubbliche, alla società civile, alle cittadine e ai cittadini europei per avviare una mobilitazione che spinga i partiti politici europei a svolgere quel ruolo che gli è stato affidato dal Trattato di Lisbona per formare la coscienza europea delle nostre opinioni pubbliche.
Il Movimento Europeo intende proseguire su questa strada e lancerà nelle prossime settimane un appello ad un’ampia mobilitazione che abbia come sbocco l’avvio di una processo democratico costituente.
Pier Virgilio Dastoli
PRESIDENTE
ALL.2
ANDREW A. MICHTA IS SENIOR FELLOW AND DIRECTOR OF THE SCOWCROFT STRATEGY INITIATIVE AT THE ATLANTIC COUNCIL OF THE UNITED STATES. VIEWS EXPRESSED HERE ARE HIS OWN.
There’s a sea change coming to Europe, and its consequences for America’s relations with key allies haven’t yet registered in Washington.
Predominantly driven by pressure from Berlin and Paris, the European Union is moving at speed to undergo the most dramatic systemic transformation since its inception. It’s about to centralize power in a way that will change the bloc’s very nature, impacting the Continent’s politics and economics. It will also fundamentally alter how Europe interacts with the United States.
The changes currently under consideration would transform the EU from a confederation of sovereign countries into a unitary federal entity, with its central government presiding over partially self-governing nation states. And the key argument put forward by proponents of this is that without it, the bloc’s planned enlargement would soon render it ungovernable.
These proposed treaty revisions rest on three fundamental changes: the introduction of majority voting; the elimination of the veto by individual member countries, which will end the principle of unanimity; and limiting the number of EU commissioners.
If implemented, these changes will radically realign power in the EU, concentrating it in Berlin and Paris, as the largest countries will essentially be able to impose their wills on the bloc at large. The scope of these proposed changes would be comparable to the U.S. eliminating the Electoral College and shifting its electoral processes to simple majority voting, effectively allowing the country’s largest states to drive its politics unhindered.
However, U.S. President Joe Biden’s administration has appeared relatively indifferent to this shift, perhaps assuming a more unified EU would become a more effective partner, with Berlin and Paris (via Brussels) emerging as Washington’s principal interlocutors. And given Germany is Europe’s largest and most dominant member country since the United Kingdom’s Brexit, on its surface this policy seems like an obvious default position.
But while U.S. supporters of the EU’s further centralization like to trot out the famous remark: “Who do I call if I want to speak to Europe?” — a question often misattributed to former Secretary of State Henry Kissinger — Europe’s upcoming reality doesn’t correspond with how the administration of then President Richard Nixon had engaged with the Continent at the time.
Moreover, this view of EU federalism misses the central point that, first and foremost, America’s Europe policy should be driven by its national interests, and that Washington should tailor a particular institutional framing according to its own preferences.
The idea that a “federalized” Europe would be easier for the U.S. to deal with isn’t borne out from any evidence — especially one driven by the Berlin-Paris tandem, as German and French positions on key foreign and security policy issues have, time and again, diverged from America’s. And as in any alliance, the U.S. should prioritize the countries with threat perceptions and national interests that align most closely with its own.
Here, the most recent U.S.-led effort to assist Ukraine should serve as a guide for the countries Washington should, in fact, call in Europe.
Throughout, it has been the nations along NATO’s eastern flank — from Finland through the Baltic States, Poland and Romania — that have shown the greatest determination to stand alongside the U.S. in support of Ukraine, as Germany and France follow suit with reluctance and, more often than not, fail to deliver.
And as the U.S. continues to push its European allies to move forward on rearmament and building the requisite capabilities to implement NATO’s three new regional plans, it is these flank countries that are leading the way once more.
Germany, by contrast has failed to meet even the agreed-upon minimum 2 percent of GDP target on defense spending, while France is focusing its spending on power projection in the Mediterranean and beyond. Thus, the notion that a federalized Europe led by Berlin and Paris would be more, and not less, responsive to U.S. requests for meaningful contributions to deterrence and defense is wishful thinking.
The EU’s unfolding political transformation deserves far closer attention in Washington than it has received. The proposed changes to the EU treaties raise fundamental questions about how the U.S. intends to lead NATO going forward, and how it can best leverage the commonality of interests across the Continent to reduce its security burden across the Atlantic.
Of course, decisions on the EU’s future belong in Europe and are for Europeans to make. But as the key provider of the Continent’s security, the U.S. shouldn’t be a mere bystander — especially when these choices will impact its collective defense burden in NATO.
Giovedì 16, il Sindaco di Torino, Lo Russo, ha annunziato che la Città intende porre la propria candidatura a Capitale Europea della Cultura 2033.
Siamo sempre più meravigliati di come temi che noi ponevamo fin dagli Anni 60 siano oramai divenuti, seppure con enorme ritardo, realtà effettiva, e, in particolare, di come quelli che sono stati all’origine, 20 anni fa, dell’ impegno dell’ Associazione Diàlexis, come la politica tecnologica dell’ Europa e Torino Capitale Europea della Cultura, siano solo oggi giunti al centro dell’ interesse delle Istituzioni.
Non vogliamo rivendicare una sorta di “primogenitura”su questi temi, bensì mettere solo in evidenza che, nonostante sia più redditizio attenersi strettamente al “mainstream”, è anche rischioso ignorare le visioni di lungo termine (il deprecato “longtermism”), perché esse finiscono prima o poi per avverarsi.
1.Il Comitato per Torino Capitale Europea della Cultura 2019
Nel caso di Torino, si era fatto tanto parlare nel 2012 di Torino Capitale Europea della Cultura per il 2019, ma poi, all’ ultimo momento, il Sindaco Fassino aveva deciso di non presentare nemmeno la candidatura. Ora l’attuale sindaco, Lo Russo, vuole candidare la città per il 2033, prossima data in cui questo compito spetterà nuovamente all’ Italia. L’idea è senz’altro eccellente, e non per nulla l’Associazione Diàlexis si era data tanto da fare a partire dal 2012 per sostenere la candidatura, innanzitutto creando un comitato a sostegno della stessa, il quale aveva organizzato una serie d’iniziative di accompagnamento, e, poi, pubblicando due instant-book programmatici (“Torino, Capitale Europea della Cultura?”, e “Torino Snodo della Cultura Europea”). Eravamo, e ancora siamoconvinti , infatti, che l’intera Europa e Torino in particolare abbiano una vera e propria urgenza di una “transizione culturale”, che dovrà affiancarsi alle transizioni digitale ed ecologica: ché, altrimenti, queste due sono condannate a degenerare nella direzione di una dittatura tecnocratica post-umanistica.
Le Capitali Europee della Cultura sono una delle pochissime azioni europee di carattere culturale, sì che sarebbe auspicabile che il loro successo costituisse uno stimolo ad allargare di molto lo sforzo europeo per la transizione culturale.
In particolare Torino, orfana, da un lato, dell’ingombrante presenza del Gruppo FIAT, e, dall’ altro, del mondo culturale azionista e comunista, che bene o male presidiava l’industria culturale cittadina, ha un drammatico bisogno, da un lato, di ingenti attività economiche alternative, e, dall’ altro, di una nuova classe dirigente idonea ad affrontare le sfide della Società delle Macchine Intelligenti.
L’intera attività della nostra Associazione negli ultimi 17 anni è stata rivolta a porre le basi teoriche per una siffatta classe dirigente.
Crediamo che molti temi nati nel 2010 dal Comitato della Società Civile per Torino Capitale Europea della Cultura possano essere ripresi oggi. Quello principale era che, perché valga la pena, per una città, di essere “Capitale Europea della Cultura”, bisogna volere esserlo davvero, e non solo durante il fatidico anno in cui si detiene il titolo.Come ha scritto su “La Stampa” Lorenzo Fazio, “L’obiettivo dovrebbe essere fare di Torino la Capitale europea della cultura non solo per un anno, ma per sempre”.
2.Capitale europea della Cultura e Istituto Italiano per l’Intelligenza Artificiale
In pratica, la Città dovrebbe cercare riunire in sé le comnpetenze e la volontà politica pewr dare risposta, sul piano teorico come su quello pratico, alla principale sfida della società contemporanea:la convivenza, da un lato, fra uomini e macchine intelligenti, e, dall’ altro, fra le varie identità umane, universale e continentali, religiose e regionali, ideologiche e nazionali, locali, cittadine e individuali.
A titolo di esempio, ricordiamo che il Governo ha appena approvato lo Statuto dell’Istituto Italiano per la Proprietà Intellettuale con sede a Torino. Questa realtà, lungi dal rappresentare solo un patrimonio tecnologico della Città, potrebbe, e dovrebbe, costituire un fondamentale elemento di cultura, appunto un aiuto per affrontare il problema numero uno del XXI° Secolo: il mantenimento della centralità dell’ Umano pur in un mondo popolato dalle macchine intelligenti, o addirittura “spirituali”. L’”Intelligenza Artificiale” è cultura in tutti i sensi del termine, almeno quanto l’intelligenza umana.
Per fare ciò, s’ impone una vigorosa azione lungo quattro direttive:
-lo studio e il dibattito culturale;
-il recupero delle basi esistenziali e pedagogiche delle civiltà dell’ Epoca Assiale;
-un processo intensivo di “upskilling”digitale dell’ intera società;
-il sostegno alla nascita nel territorio di imprese innovative del settore digitale;
–una vera rivoluzione della struttura economica, demografica e sociale.
Affinché la candidatura a Capitale Europea della Cultura 2033 possa rappresentare un contributo non effimero, una parte, non secondaria, del dossier di candidatura dovrebbe essere dedicata a questi temi, come indicato già nei nostri libri pubblicati nel 2010, non tanto in senso teorico, quanto declinandoli sotto forma di eventi, arte digitale, convegni, musei, produzioni editoriali e cinematografiche. Nel fare ciò, anche l’Istituendo Istituto potrebbe, e dovrebbe, fare la sua parte.
L’Associazione Diàlexis, fedele alla sua missione istitutiva, intendeva sensibilizzare al contempo le Istituzioni e i membri dell’allora Comitato della Società Civile per Torino Capitale Europea della Cultura, con l’obiettivo d’ integrare la società civile nelle attività di accompagnamento della candidatura. Avevamo organizzato per questo una serie di manifestazioni al Comune, alla Fondazione Agnelli, al Circolo dei Lettori e nella sede di Alpina Srl.
Ora, come primo passo, stiamo rieditando il libro “Torino, Capitale Europea della Cultura?”, che, a nostro avviso, può ancora, anche dopo 12 anni, costituire un utile strumento di orientamento delle politiche locali in materia, e che comunque è già acquistabile come e.book presso StreetLib(https://store.streetlib.com/politica-e-societa/intorno-alle-alpi-occidentali-autour-des-alpes-occidentales-identita-di-un-euroregione-identite-dune-euroregion-30081/), e, inoltre, come e.book e in formato cartaceo, il libro, collegato al primo, “Torino, snodo della cultura europea”.
Cercheremo d’interagire con la società civile e con le istituzioni come già fatto in occasione della mancata candidatura del 2012.
4.Il favore del Ministro Sangiuliano
Pare che il motivo per cui il Sindaco Fassino aveva rinunziato allora alla candidatura, che pure si stava preparando, fosse stato un informale parere negativo da parte dell’allora Ministro della Cultura Bray, che avrebbe espresso la propria preferenza per Matera. Premesso che, dal punto di vista giuridico, il Ministero nazionale della Cultura non è l’unico soggetto decisivo nella scelta della città Capitale Europea della Cultura, da effettuarsi anche e soprattutto da parte di una commissione indipendente nominata dall’ Unione Europea, bene ha fatto il Sindaco Lo Russo a chiedere pubblicamente un parere preventivo del Ministro della Cultura, Sangiuliano, il quale ha risposto prontamente e pubblicamente, manifestando il suo (per quanto generico) apprezzamento:”Torino è una naturale capitale della cultura, una città densa di storia e tradizioni che negli ultimi anni ha subito importanti trasformazioni.La sua aspirazione a essere Capitale Europea della Cultura è fondata, come quella di altre città italiane.”
Ciò fatto, s’impone un’azione urgente. Come ha dichiarato a “La Stampa” l’assessora alla Cultura del Comune di Torino, Rosanna Purchia, “o partiamo nel 2024 oppure perdiamo il treno, è un lavoro che si costruisce con il tempo, senza che nessuno ti garantisca la vittoria fino all’ ultimo momento. Matera ci ha lavorato per 9 anni, altre città come Barcellona addirittura 10.”
Nonostante l’incertezza del risultato, proprio la complessità del processo di preparazione di una candidatura fa sì ch’esso abbia un valore di per se stesso, in quanto costringe Istituzioni e società civile a confrontarsi lungamente e approfonditamente sul futuro della città. Non sarebbe in nessun caso un lavoro buttato , anzi, si concreta esso stesso in manifestazioni dotate di un loro peso specifico, in quanto “danno il tono” alla vita culturale, politica e sociale della città candidata, finalizzando tutti gli sforzi in tutti i campi appunto alla candidatura. E’ quanto sostenuto nel nostro libro “Torino, Snodo della cultura europea”, dove venivano censiti una sessantina di progetti per la Capitale Europea della Cultura, che i membri del Comitato erano pronti a realizzare, in consorzio fra di loro o con terzi, o insieme all’ apposita struttura creata dal Comune. Tali progetti, che comunicheremo al più presto al Comune,attualizzati per il 2033.
I punti focali sono:
-affinare la ricerca dell’identità del nostro territorio dopo la fine della società industriale e l’avvio di quella digitale, riscoprendo anche aspetti fino ad oggi trascurati, come la regione transfrontaliera delle Alpi Occidentali(cfr. nostro libro “Intorno alle Alpi Occidentali/Autour des Alpes Occidentales”), l’identità storica piemontese; le tradizioni feudali e sabaude; le culture non conformistiche, anche straniere, come Nietzsche e Michels; l’esperienza olistica olivettiana; la progettualità politica del territorio (cfr. nostro libro “I progetti europei nella Resistenza”),il turismo montano non sciistico;
-concentrarsi sulla cultura delle nuove tecnologie ( Intelligenza Artificiale, proprietà intellettuale, spazio, cyberguerra, cyber-intelligence; ma anche bioingegneria, algoretica, arte digitale, diritto dell’ informatica…), che oggi costituiscono la maggioranza delle questioni culturali, politiche, sociali ed etiche ed etiche più urgenti (cfr. i nostri libri:Habeas Corpus Digitale,Corpus Iuris Technologici,
Re-Starting EU economy via technology-intensive Industries,European Technology Agency,L’Istituto Italiano dell’intelligenzaArtificiale di Torino;L’Europa e l’Agenda Digitale, tutti acquistabili nella forma di e.book tramite StreetLib.
Capiamo che, come emerge dalla lettura della stampa, questa candidatura, come un po’ tutte le candidature per la Capitale Europea della Cultura, sarà per gran parte un portato delle Istituzioni e delle grandi organizzazioni della Società Civile, fornite di un’adeguata superficie finanziaria e organizzativa. Tuttavia, in questo momento di profonda transizione nell’organizzazione delle politiche culturali, non credo si possa impedire a tutta una galassia di soggetti, “mainstream”o no, istituzionali o no, di fornire adeguatamente consorziati, il proprio apporto su temi specifici. Capiamo anche che, in un processo così lungo, la generazione che potrebbe realizzare l’impresa sarà diversa da quella che si era adoperata con noi per Torino capitale 2019. Occorre comunque passare il testimone, affinché la Torino dei nostri figli non sia ancor più decadente e disorientata di quella odierna..
Per questo, puntiamo a ricostituire il Comitato della Società Civile per Torino Capitale Culturale Europea.
Il giudice costituzionale tedesco Boeckenfoerde aveva affermato che l’Europa vive grazie a premesse ch’essa non è in grado di garantire.
In effetti, il cosiddetto “Miracolo Europeo” che, secondo la “vulgata” dell’establishment, sarebbe nato come per caso dall’ incontro fra illuminismo e dottrina sociale della Chiesa , va ricondotto in realtà a millenni di tradizioni europee, che, una volta ridotte, come si fa, a semplici “radici”, senza più alcun “élan vital”, non riescono ad evitare il nichilismo, cosa che sta ora accadendo sotto la pressione, prima, della globalizzazione occidentale, poi, delle Macchine Intelligenti. Ciò è vero in particolare per ciò che concerne il modello sociale europeo e il diritto sociale, fino a poco tempo fa baluardo di un modo di vivere europeo che si distingueva all’ interno stesso dell’ Occidente.
L’idea di Gianni Alemanno di rilanciare, in alternativa all’ attuale linea politica del Governo, l’area della “Destra Sociale”, messa nella giusta evidenza da parte dei media, costituisce un’ eccezionale occasione per una rapida rassegna storica delle radici culturali dell’ idea europea di “socialità”, e della conseguente evoluzione del diritto sociale. Una rassegna quanto mai necessaria, tanto per dare un fondamento solido all’ipotesi della rinnovata “Destra Sociale”, quanto per rilanciare il progetto europeo di società in quanto modello alternativo a quello “occidentale” (cfr., p.es, Michel Albert, “Capitalismo contro capitalismo”).Una rassegna cui mi sono dedicato fino dagli anni dell’ Università, quando dedicai la mia tesi di laurea alle “Fonti del Diritto del Lavoro nell’ Europa Occidentale”, e che è continuato con l’Associazione Diàlexis, con l’opera “Il ruolo dei lavoratori nell’ era dell’intelligenza artificiale”.
Ezio Mauro, su, “La Repubblica” ha avuto una bella intuizione nel segnalare la presenza, nell’aria, del desiderio di elaborare una “dottrina sociale della destra”, che ambirebbe a sostituire la propria egemonia a quella, pluridecennale, della sinistra, che, dopo due secoli”si muove spaesata davanti alla divaricazione tra sviluppo e occupazione”. Divaricazione che, tra l’altro, Marx aveva già previsto, concludendone che non vi sarebbe stato vero sviluppo al di fuori del socialismo. La sinistra è vittima di proprie contraddizioni intrinseche e ancestrali, messe definitivamente a nudo dal suo superamento da parte del post-umanesimo dell’ ideologia californiana. Il marxismo prevedeva un’evoluzione quasi automatica, il cui esito finale sarebbe stata una società opulenta grazie all’organizzazione centralizzata dell’ economia. In questo quadro, il ruolo delle forze di sinistra non era poi così determinante.
Noi non crediamo che una“dottrina sociale della destra” quale quella abbozzata di fatto dal Centro-Destra, e descritta, anche se confusamente, da Mauro, possa conseguire l’obiettivo dell’acquisizione dell’ egemonia sociale, proprio perché colpita, non meno della sinistra,da alcune contraddizioni, appena accennate da Mauro, quali l’assenza di una visione non settoriale della crisi epocale in corso e la politica del “ressentissement”.
Certo che s’impone una “Dottrina Sociale della Destra” veramente nuova. E,in realtà, questa c’è già, ma è stata deliberatamente occultata per più di un secolo, proprio mentre s stava realizzando, da establishment, accademia e politica partitica.
Il luddismo: primo esempio di lotta di classe operaia contro la Modernità
1.Le radici premoderne delle politiche sociali
Occorre ora portare alla luce, con una ricerca nel profondo e una battaglia culturale, le vere radici degl’ideali e degl’istituti sociali europei.
Contrariamente a quanto si è ritenuto per lungo tempo, l’idea moderna di socialità è legata, non già alle culture antitradizionali della Modernità (in particolare, al positivismo e al marxismo), bensì soprattutto a radici premoderne, quando non antimoderne (classiche, medievali, d’Ancien Régime, cattoliche, monarchiche, fascistiche, democristiane). Seifert distingue le idee della Rivoluzione Francese, che sarebbero quelle dei tre ordini dell’ Ancien Régime, dalle “sette idee slave”, che sarebbero quelle all’ origine del Marxismo. Del resto, lo stesso Marx aveva colto l’esistenza di una specifica idea europea di socialità, diversa da quella americana, ma anche dalla sua propria, di cui il maggiore esponente sarebbe stato il Barone von Stein, caratterizzata dal fatto che il capitalismo europeo si era sviluppato in un ambiente ancora profondamente intriso di feudalesimo (cfr. i Grundrisse, citati da Luciana Castellina in “50 anni d’ Europa”).
Soprattutto in Inghilterra enei Paesi tedeschi, il diritto del lavoro presenta profonde tracce della cultura feudale. Basti pensare alla denominazione del diritto del lavoro quale “Law of Master and Servant” (=“Legge del padrone e del servo”) e del contratto di lavoro come “Treuedienstvertrag” (=“Contratto di fedeltà e servizio”). La Rivoluzione Francese, con la Legge Le Chapelier, segna in Francia, almeno ufficialmente, la fine del sistema corporativo, mentre, per esempio, in Austria, le corporazioni si trasformano in Camere di Commercio e Camere del Lavoro.
Contrariamente all’idea conservatrice di socialità intesa come solidarietà, la motivazione primaria di Marx non era stata la questione sociale, bensì l’aspirazione al superamento delle religione (cfr. “La Sacra Famiglia”) come testimoniato dalla sua opera giovanile “Oulanem”, deliberatamente satanistica, ispirata alla retorica libertaria del Prometeo di Goethe.
Da queste sue radici nello Sturm und Drang, Marx fu spinto, prima, all’adesione alla Sinistra Hegeliana -la quale tentava di attualizzare gli obiettivi del “Primo Programma Sistemico dell’ Idealismo Tedesco” (realizzare nell’immanenza le promesse escatologiche delle religioni occidentali)-, e, poi, all’elaborazione del Materialismo Storico, una teoria del Progresso che si pretendeva scientifica, opponendosi alle premesse spiritualistiche e organicistiche del Socialismo Utopistico (la ricerca di una “Nuova Società Organica”-cfr. Saint Simon-). In tutto ciò, la questione sociale si poneva, per Marx, sostanzialmente solo come un passaggio strumentale, una fase necessaria della transizione automatica, meccanicistica, dal capitalismo al socialismo. Il proletariato avrebbe realizzato la necessità storica di questa fase attraverso la sua rivoluzione e la sua dittatura; le sue rivendicazioni economico-sociali avrebbero costituito semplicemente un’astuzia della Ragione per favorire il corso del Progresso. Il socialismo sarebbe non già più etico, bensì tecnicamente superiore al capitalismo, e quindi destinato a sostituirlo, per il semplice fatto che, incarnando l’intelligenza collettiva (“General Intellect”) sarebbe più razionale, e, pertanto, economicamente più efficiente. Un siffatto “socialismo” avrebbe anche ben poco a che fare con l’assistenzialismo: esso era semplicemente il controllo sociale sui mezzi di produzione, in vista di un’evoluzione tecnologica illimitata, destinata a rendere superfluo, alla fine, il controllo sociale esercitato storicamente dallo Stato e dal diritto (e di conseguenza lo stesso socialismo, superato dal “comunismo”, una sorta di anarchia tecnologica). Nel socialismo, l’automazione avrebbe permesso di produrre in abbondanza e senza sforzo, sì che, ad un certo momento (il comunismo) l’umanità avrebbe potuto dedicarsi quasi esclusivamente al tempo libero. Quest’ anarchia finale, la ”trascendenza pratica” di cui parlava Nolte, avrebbe realizzato il progetto chiliastico del Primo Programma Sistemico dell’ Idealismo Tedesco(sostanzialmente, il paradiso in terra).Infatti, essendo la cultura una “sovrastruttura” della struttura economica, la soluzione del problema delle risorse materiali avrebbe comportato quasi automaticamente il venir meno delle contraddizioni della società: potere, violenza, ingiustizie…
Il problema della sinistra è che questo obiettivo sembra ora realizzarsi non già grazie agli sforzi della politica marxista, bensì per effetto della dialettica intrinseca al Complesso Informatico-militare. E, per giunta, come potevasi prevedere sin dall’inizio, questa società della sovrapproduzione appare, vista da vicino, così poco attraente!
Per Lenin, il socialismo sarebbe stato “i soviet più l’elettrificazione”, vale a dire la dittatura del proletariato organizzato sotto la guida del Partito Bolscevico, per il compimento della rivoluzione industriale, fino alla fase in cui “le macchine produrranno altre macchine”, come accennato nel cosiddetto “Maschinenfragment” di Marx. Purtroppo, il proletariato sarebbe naturalmente riformista, perché non solo non condivide, ma non comprende neppure, gli obiettivi della rivoluzione. Perciò, dev’ essere assoggettato alla rude guida del Partito.
Stalin si sottrae al dibattito sul socialismo imponendo il dogma secondo cui esso, anziché essere un obiettivo di lungo periodo, sarebbe già stato realizzato nell’ URSS attraverso il capitalismo di Stato (il “socialismo reale”), mentre, nei Paesi satelliti, si avvia la “costruzione del socialismo” mediante le politiche di fronte popolare sotto l’egemonia del Partito Comunista (la “Blockpolitik”). L’approssimarsi del Comunismo renderebbe particolarmente violenta la lotta di classe, e, quindi, necessario il terrore rosso (come sostenuto da procuratore generale Vysinskij, regista dei “Processi di Mosca”).
Per i marxisti revisionisti, poi, il socialismo si sarebbe potuto realizzare anche solo attraverso un’interpretazione elastica dei “fronti popolari”, in cui la guida del Partito Comunista si manifestasse gramscianamente nella forma di un’”egemonia culturale”, capace di gestire “democraticamente” una temporanea collaborazione di classe con la borghesia, in modo da indirizzarla verso riforme in senso socialista, mantenendo così l’orientamento finale verso il socialismo e il comunismo. Era questo tra l’altro il senso del “Compromesso Storico”. Per l’ideologia socialdemocratica, ciò non implicherebbe l’uso della violenza, ma solo di un “soft power”, grazie a cui, per esempio, come avviene ancor oggi oggi, sono vietati i partiti di ispirazione fascista (ma non quelli postfascisti), e il sistema dei media è controllato da lobbies invisibili, laicistiche e pacifiste.
La società europea idealizzata da Mauro sarebbe infine l’”Eredità del Novecento”, cioè dell’ idea maritainana, secondo cui la Democrazia Cristiana sarebbe stata “un partito di centro che guarda a sinistra”,”che aveva benedetto la solidarietà, la responsabilità, la sussidiarietà m e il bene comune della dottrina sociale della Chiesa, e aveva fissato nelle Costituzioni del Dopoguerra la dimensione sociale e solidale dello Stato.”Tutte belle parole che però, come veremo, non corrispondono alla realtà, molto più complessa, e articolata nello spazio e nel tempo.
L’attuale “ideologia californiana” va ancora oltre, ritenendo che il “deperimento dello Stato” profetizzato da Marx nella fase storica del Comunismo, riprendendo precedenti miti nichilistici, stia già avvenendo grazie al “Trust Socialism” delle multinazionali (Burnham) e allo strapotere dei GAFAM (i giganti dell’ informatica).
In tutta questa vicenda, “i poveri” e “i lavoratori” hanno svolto un semplice ruolo di comparse, mentre il pathos solidaristico delle Chiese e del sindacalismo è stato bollato come la peggiore tentazione del movimento progressista, così come predicava Brecht attraverso opere quali “Santa Giovanna dei Macelli” e “L’anima buona del Sechuan”.
In definitiva, la tradizione marxista, in tutte le sue sfaccettature, s’inserisce perfettamente in un elitarismo tecnolatrico di origine alchemica, cabbalistica, massonica e sansimoniana, radicalmente opposto alle tradizioni cetuali, corporative ed etiche europee, dove il “popolo” e le sue aspirazioni non hanno alcun peso, anzi, vengono repressi.
La differenza di base fra, da un lato, le tradizioni europee di socialità e la Grande Narrazione progressista del “sociale”( sia essa marxista, tecocratica o populista) è una divergenza teologica. Per i progressisti, la “vera” socialità è quella che nasce, con una cesura netta con l’Antichità, con le eresie, i Comuni, la Riforma, il marxismo, la rivoluzione industriale e tecnologica: essa costituisce l’inveramento delle profezie sul Millennio, che si adempiono ora con il Postumanesimo. Per i conservatori, o, meglio, i “conservazionisti”, la socialità è invece una costante dell’ Epoca Assiale, un”ideale normativo” mai interamente realizzato (come il Da Tong cinese, che, come la lingua Cinese, ignora i tempi occidentali del verbo, e quindi può realizzarsi, o scomparire, in qualunque momento).
La pretesa dei progressisti occidentali d’imporre una “Fine della Storia” si tramuta, per via dell’Eterogenesi dei Fini, nella Fine dell’ Uomo, che, infatti, sta per intervenire a causa dell’ipertrofia della tecnica e della sua prevaricazione su uomo e natura. Il conservazionismo contiene una risposta adeguata alla Società del Controllo Totale, e il suo discorso pubblico sta già sostituendosi, per mille diversi rivoli (pessimismo tecnologico, socialismo di guerra, umanesimo digitale,revivals religiosi, sovranismo) al “mainstream” progressista.
Solidarnosc, un grande esempio di sindacalismo solidarista, dileguatosi dopo avere vinto il Blocco dell’ Est
2.Il solidarismo, dai Romani all’islamismo
Se vogliamo trovare una radice dello spirito solidaristico che ha ispirato la creazione del diritto sociale in Europa, e ispira ancora gran parte delle attuali retoriche europee, lo troviamo piuttosto nelle società cetuali del passato, ben anteriori all’ “Eredità del Novecento” di cui parla Mauro.
In esse, i poveri erano visti come un ceto sociale come gli altri, con particolari diritti e doveri, come i “Proletarii” nella costituzione repubblicana romana, che avevano un loro status giuridico -uno jus activae civitatis-, sotto la protezione dei tribuni della plebe.
Quanto al Discorso della Montagna, letto attentamente, esso sembra volto non tanto a promuovere una generica solidarietà sociale, bensì a stabilire una nuova gerarchia basata su valori ascetici (i “poveri nello spirito”). Esso ha contribuito potentemente alla saldatura fra religione e socialità. In generale, Le religioni di salvezza, condannando l’attaccamento alle cose materiali, esaltavano la solidarietà fra gli uomini, e quindi il senso di misericordia. Di qui, l’orientamento degli ordini monastici verso le opere sociali, come pure l’inserimento della “Zakat” (la beneficienza) fra i 5 Pilastri (Arkan) dell’ Islam.
Anche le corporazioni, che nascono, nella società classica, da un’ispirazione religiosa (pagana), trovano la loro massima fioritura nel Medioevo cristiano, e vengono incorporate nelle politiche colbertistiche dello Stato Assoluto, che prendevano come modello l’Impero cinese pubblicizzato dai Gesuiti, ispirato all’ ideale dell’”Armonia”.
A questo ideale si ispira anche l’istituzione originalissima delle “Reducciones”, Enti autonomi costituiti in America Latina sempre dai Gesuiti (cfr. in particolare le lettere di Dom Antonio Vieira al Re del Portogallo), quale baluardo della libertà degl’indigeni contro lo schiavismo dei conquistadores, e organizzate secondo il sistema comunitario ch’ era stato proprio dell’ Impero Inca.
Più che contro l’aristocrazia, la Rivoluzione Francese si accanì contro i ceti lavoratori. Intanto, la maggior parte delle 500.000 vittime della Rivoluzione Francese furono membri delle corporazioni, mentre, in Inghilterra, si scatenava la repressione contro i Luddisti, che si opponevano alla meccanizzazione del lavoro nell’industria tessile, con un dispiegamento di truppe superiore a quello delle Guerre Napoleoniche. Anche in Scandinavia, l’abolizione, più tarda, delle corporazioni, porterà a violenti scontri sociali.
Nel frattempo, le Chiese cristiane prendevano posizione sulla “Questione Sociale”. All’interno del Calvinismo olandese, Abraham Kuyper dedicò tutta la sua vita di teologo, di pastore, di pubblicista e ministro, alla creazione di un intero sistema di pensiero sociale neo-corporativo (“Organisch Gedachte”), che fu poi ripreso dall’ Anti-Revoltionair Partij. Nella Chiesa Cattolica, i Pontefici adottarono una decina di Encicliche Sociali, mentre teorici e organizzatori come von Ketteler, Vogelsang e Toniolo, gettavano le basi del pensiero sociale cattolico.
Tutta l’ideologia e la prassi del Principio di Sussidiarietà, tanto invocata da tutti soprattutto nell’Unione Europea, deriva dalla scoperta, da parte di Tocqueville, dei “corpi intermedi” quale contrappeso agli aspetti totalitari ella democrazia; concetto ripreso dalle Encicliche Sociali come difesa della società civile contro la pervasività dello Stato laicista ottocentesco, e poi base teorica per l’associazionismo cattolico, che rivendicava dal basso quel ruolo centrale che la Chiesa aveva assunto nell’assistenza sociale ai tempi dell’ Ancien Régime. Fiorivano allora , soprattutto in Piemonte, i Santi Sociali: Don Bosco, Cottolengo, Faà di Bruno.
Di qui la nascita del Terzo Settore, una società solidaristica come quella delle Reducciones, alternativa tanto al capitalismo quanto al socialismo, che sostiene in modo autonomo la vita della società, quasi fino a sostituirsi all’ economia commerciale e perfino allo Stato. Lo stesso principio solidaristico, tratto però dalle radici tribali, lo si ritrova nelle società africane, con movimenti come Njamaa o Ubuntu Mobuntu, e in quelle estremo-orientali (la “Mura Mentality”, eternata nei “Sette Samurai” di Kurosawa).
Sempre nell’ Ottocento, il Barone von Stein studiava in Austria la questione sociale. Tra l’altro, fu lui a inaugurare l’espressione “movimenti sociali”. Nasceva il Socialismo della Cattedra e II Reich inaugurava il Reichsversicherungsamt (L’Ente Imperiale delle Assicurazioni Sociali), a cui si affiancò ben presto una parallela legislazione austro-ungarica, non priva di connessioni con lo studio delle società contadine slave (in particolare, della “zadruga” balcanica),da parte di riformatori conservatori germanici Il Kaiser qualificava i lavoratori come “Soldaten der Arbeit“. Pochi anni dopo, Spengler parlerà di un “socialismo prussiano”.
All’inizio del ‘900, Sorel rivendicava, contro l’inerzia del movimento socialista, il movimentismo quale motore dell’azione sociale. Ne nasceva il “Cercle Proudhon”, luogo d’incontro fra anarco-sindacalisti e l’Action Francaise, aspirante a restaurare l’ordine cetuale dell’ Ancien Régime. Nello stesso tempo, il movimento sionista coniugava aspirazioni nazionali e religiose con un’ethos socialista, attraverso istituzioni quali il sindacato Histadruth e Enti quali i Kibbutzim.
A cavallo della 1° Guerra Mondiale, l’interventismo di sinistra, e, in particolare, Mussolini, propugnavano la sintesi fra socialismo e nazionalismo, che troverà la sua pratica espressione nel Programma di Sansepolcro.
In Germania, nel 1920, il Reichswirtschaftsrat univa lavoratori e datori di lavoro. Nel 1922,colla Gesetz über die Entsendung von Betriebsratsmitgliedern in die Aufsichtsräte der Kapitalgesellschaften, veniva avviata la cogestione e la socializzazione delle imprese, che i Sindacati cristiani salutavano come la “costituzione dei lavoratori quale nuovo ceto”.Tuttavia, il sopraggiungere della crisi del 29 e el nazismo interruppero questi tentativi. La Carta del Quarnaro di D’Annunzio e di De Ambris introdusse in Italia, riallacciandosi agli statuti delle antiche città adriatiche, l’idea, presente anche nell’art. 165 della Costituzione di Weimar, di una partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese e dello Stato, ricalcata sull’ idea di Toniolo, di associazione fra capitale e lavoro.
Il fascismo sviluppò nella sua massima estensione il concetto corporativo, a cui aderirono pensatori e sindacalisti di tutta Europa, facendone uno dei cardini del proprio sistema. In occasione del congresso corporativo di Ferrara, Ugo Spirito lanciò la sua idea della Corporazione Proprietaria, che costituì poi la base occulta del modello socialista jugoslavo.
Nella sua fondamentale opera “Der Arbeiter” (“L’Operaio”), Ernst Juenger teorizzò, espandendo idee del marxismo e del “socialismo prussiano”, la nascita, con la “Mobilitazione Totale” industriale bellica, di un nuovo tipo di uomo, un gigante mezzo uomo e mezzo macchina, il “Post-Uomo” che avrebbe dominato la nuova era. A questa specie di cyborg corrispondeva, sul piano politico, un nuovo tipo di Stato, lo “Stato Nazionale del Lavoro”, incarnato, nel 1927, dai due modelli sovietico e italiano. E, in effetti, nell’ immaginario collettivo, bolscevismo e fascismo furono accomunati nella loro idea di “nazionalizzazione delle masse” attraverso il completamento della rivoluzione industriale e la creazione dello Stato sociale.
Nel Manifesto di Verona venne proclamato il principio della socializzazione delle imprese, poi realizzato legislativamente negli ultimi giorni della Repubblica Sociale.
Buona parte delle classi dirigenti della sinistra postbellica furono allevate dai “fascisti di sinistra” operanti nel campo del sindacalismo (come De Ambris), e intorno al Ministro Bottai, e, in particolare, la sua rivista “Primato”, o a Cinecittà. Basti pensare a Malaparte, Ingrao, Pajetta, a Napolitano, a Fo. Anche i teorici del federalismo europeo, come tutta Giustizia e Libertà, e, in particolare, Adriano Olivetti, furono ispirati dal corporativismo, proprio nella sua forma della Corporazione Proprietaria e della Socializzazione. I progetti della Resistenza (come quelli di Galimberti, Spinelli, Het Parool e Libérer e Fédérer), contenevano accenni al corporativismo (avversione per la partitocrazia, socializzazione delle imprese strategiche).
Subito dopo la IIa Guerra Mondiale,nonostante la sconfitta dell’ Asse, le corporazioni vennero introdotte in Olanda, Spagna e Portogallo, mentre la Jugoslavia socialista adottava in pratica, sotto i nome di “autogestione sociale”, tutti i principi della Corporazione Proprietaria (OOUR, Federazione di Organizzazioni di Lavoro Associato), della rappresentanza corporativa e del Federalismo Integrale, poi imitati in altri Paesi ”socialisti”, come per esempio l’Algeria.
In Olanda, l’ordinamento corporativo si fondava su un’organizzazione complessa, avente al vertice la Fondazione del Lavoro (“Stichting van de Arbeid”), e il Consiglio Economico e Sociale (“Sociaal- Economisch Raad”), sulla falsariga del Reichswirtschaftsrat in dem Arbeitgeber und werkschaften vertreten sind e, alla base, le Corporazioni (“Bedrijf- en Produktschappen”).
Molti principi del diritto del lavoro contenuti nella Costituzione Italiana, e in gran parte mantenuti nel diritto del lavoro postbellico, provengono dalla Carta del Lavoro fascista, di cui riprende la terminologia (“lavoro”; “giusto salario”;”contratto collettivo valido erga omnes” “responsabilità sociale dell’ impresa”, “lex favorabilis”).
Nel 1952, in Germania, per evitare l’acquisizione forzata delle aziende da parte delle imprese dei Paesi vincitori, venne introdotta, dal Governo democristiano, una cogestione delle imprese estremamente pervasiva, simile a quella del Manifesto di Verona, che è tutt’ora in vigore, e che è stata imitata praticamente in tutta Europa (paradossalmente, salvo che l’Italia, madre della socializzazione, ma che, nel dopoguerra, non ne ha più neppure voluto parlarne).
La Democrazia Cristiana fu particolarmente attiva nelle politiche sociali, allineandosi così sulle Encicliche Sociali. Basti ricordare lo Statuto dei Lavoratori, votato dalla DC e approvato con l’astensione dei Comunisti.
Anche la politica del lavoro gollista fu basata sul principio della cogestione delle imprese, oltre che su altri simili principi “corporativi”.
Non parliamo dei moti del ’68, che non furono solamente progressisti, bensì conobbero anche, soprattutto nelle università di Roma, di Perugia di Messina e Reggio Calabria, un’ampia gamma di espressioni alla tradizioni della Destra Sociale, in particolare con le riviste “L’Orologio” di Luciano Lucci Chiarissi e “Nuova Repubblica” di Giano Accame, nata dall’omonima ala scissionista filo-gollista del Partito Repubblicano, quella di Randolfo Pacciardi.
Buona parte del diritto sociale europeo è dipendente storicamente dai principi della cogestione, della partecipazione e del sindacalismo. D’altronde, dobbiamo le assicurazioni sociali e l’Ordinanza sull’Orario di Lavoro, al II° Reich; l’Opera Maternità e Infanzia, al fascismo; i Contratti Collettivi validi erga omnes, alla Carta del Lavoro; le Case INA, a Fanfani, i Comitati Economici e Sociali all’ Anti-Revolutionair Partij olandese; la cogestione ad Adenauer e De Gaulle. Senza contare il peso che il Peronismo ha esercitato sul pensiero sociale di Papa Francesco.
Lo stesso discorso vale per l’ambientalismo,nato con Thoreau, Ruskin, Arnold e i Wandervoegel, come protesta contro le brutture dell’ industrializzazione, proseguito sotto il Nazismo, come ritorno al Sangue e alla Terra, e ripreso da intellettuali conservatori, come Améry, Bahro, Jonas, Lorenz e Eibl-Ebersfeld, e, infine, teorizzato dall’Enciclica “Laudato sì”.
La riunificazione dell’ Europa dopo la caduta del Muro di Berlino avvenne innanzitutto sotto la spinta del sindacato polacco Solidarnosc, fortemente influenzato da Papa Giovanni Paolo II e dalla Chiesa polacca.Nello stesso modo, la nascita di un Islam politico democratico, e, quindi, dell’ Euroislam, ha conosciuto la spinta sociale di partiti come i Fratelli Mussulmani e l’AKP, fortemente radicati nei corpi intermedi.
La dottrina politica dell’Unione Europea si fonda sui concetti conservatori di “stabilità” , “pluralismo”, ”sussidiarietà” e “solidarietà”; la sua legislazione comprende direttive sulla partecipazione dei lavoratori e sui Consigli di Fabbrica Europei, tratti dalle tradizioni del corporativismo cristiano e dalla prassi della Mitbestimmung tedesca.
Si può dire così che buona parte del patrimonio ideale, concettuale, politico e legislativo del “sociale”, vantato come proprio dalla sinistra, e divenuto parte integrante della sua egemonia, sia in realtà oggetto di un’appropriazione culturale rispetto a preesistenti culture politiche. E, ancor oggi, le retoriche delle istituzioni nazionali ed europee, ivi comprese quelle del pensiero unico e del post-umanesimo, non sono altro che una scimmiottatura riduttiva, dogmatica ed ossessiva dei temi storici della “Destra Sociale”: ambientalismo, solidarismo, interclassismo, elitarismo, stabilità sociale, Stato etico…
Per questo, la “Destra Sociale”, anziché rappresentare, come vorrebbero i luoghi comuni, una forma di “estremismo”, costituirebbe il reale “mainstream” della cultura europea del sociale, se non fosse oscurata dalle convergenti narrative di diverse lobbies antieuropee: quella post-marxista, quella post-umanista quella californiana…
La paradossale storia della città di Togliatti:costruita dalla FIAT con tanta fatica; ceduta da Stellantis per 1 rublo per evitare grane con l’ America.
3.La politica sociale non può neppure cominciare senza una “difesa del lavoro nazionale”
Esula da tutte le tradizioni sociali europee, ivi comprese quelle marxiste,l’idea dell’ assistenzialismo (centrale invece nel dibattito sul Reddito di Cittadinanza e sul Salario Minimo), ovvio corollario dell’accettazione del principio liberistico dell’inevitabilità della disoccupazione, che, invece, gli Stati Nazionali del Lavoro non ammettevano, poiché il lavoro era, per essi, non già un diritto, bensì un dovere, in vista della Mobilitazione Totale.
Né le politiche sociali marxiste, né quelle antimoderne, hanno perciò mai posto al loro centro l’assistenzialismo, che è solo l‘effetto indiretto di una cattiva gestione dell’ economia (le “market failures”, a cui, perfino secondo i liberisti, lo Stato deve rimediare con il proprio intervento). Si è condannati a fare assistenza quando non ci sono, come oggi, né lavoro, né partecipazione, sicché i cittadini si trasformano tutti gradualmente in “nuovi poveri” e, poi, in potenziali “Gilets Jeaunes”.
L’economia è stata mal gestita per molti decenni, non soltanto in Italia, ma in tutta Europa, per effetto di ideologie e politiche mistificatorie, come il liberismo e la lotta di classe, impostesi in Europa dopo la IIa Guerra Mondiale, paradossalmente proprio in un’era di gestione politica dell’ economia in tutto mondo (e in primis negli Stati Uniti, che si pretendono liberisti), a partire dal Piano Marshall, per arrivare al DARPA, all’aiuto allo sviluppo, all’ antitrust, dalle tecnologie duali, al Trading with the Enemy Act, alle sanzioni, al “de-risking”, al “friend-shoring” (senza contare le politiche del blocco socialista e dei Paesi in Via di Sviluppo)….Solo l’Europa postbellica aveva sempre sdegnosamente rifiutato di condurre questo tipo di politiche. Ora le conduce “perché ce lo chiede la NATO”, per contrastare le “influenze maligne” delle “Autocrazie”.
La Terza Guerra Mondiale oramai avviata ha portato comunque alla rivalutazione dei vecchi concetti (mai abbandonati nella sostanza) dell’ Economia Nazionale, del controllo politico e militare sull’ economia, dei sussidi e dei divieti, delle collaborazioni pubblico-privato e civile-militare, delle politiche industriali nazionali, dei consorzi obbligatori : nella terminologia di Lenin, il”socialismo di guerra”, in quello di Kalecki, il “keynesismo militare”. In questo contesto , anche le politiche sociali non possono non assumere una connotazione “nazionale”: i posti di lavoro si creano sostenendo la competitività del “sistema Paese” nei confronti del resto del mondo. Per esempio, favorendo una cultura tecnologica nazionale, la nascita di nuove imprese nazionali in aree strategiche e la difesa di quelle esistenti. Nella presente fase, ciò deve avvenire in un contesto europeo, come avvenuto in passato con l’Ariane, l’Eurojet, l’Eurofighter, i Corridoi Europei, l’Airbus, Galileo…
IL Governo Meloni si è fatto recentissimamente portatore di questo keynesismo militare, attraverso lo stravolgimento dei patti parasociali della Pirelli, la tassazione degli extra-profitti delle banche e l’intervento diretto del Ministero delle Finanze nella rete telefonica nazionale per controbilanciare l’azionariato francese ed americano.
Purtroppo, abbiamo assistito negli ultimi decenni a operazioni catastrofiche di segno opposto, come la distruzione dell’ Olivetti e del Concorde, il boicottaggio di Eurofighter e EADS, la difesa oltre i limiti del ragionevole dei monopolisti americani dell’ informatica, la cancellazione della FIAT..
Queste attività di sabotaggio antieuropeo continuano tutt’ora, con la svendita ai Russi di Togliattigrad e con l’acquisto, da parte di ESA, del lanciatore SpaceX di Elon Musk in luogo della paneuropea Ariane. Per non parlare degli effetti catastrofici per l’ Europa delle sanzioni contro mezzo mondo e del “decoupling” dalle economie russa e cinese, effetti che si stanno vedendo in questi giorni con la decrescita in Germania, colpiti dalla riduzione degli affari con la Cina e con la Russia.
Poi ci si stupisce della scarsità di posti di lavoro altamente qualificati e del dilagare di attività da terzo mondo (l’”economia da bar”), come i balneari (in cui vorremmo fare concorrenza sui prezzi all’ Albania) e il bracciantato agricolo, principale stimolo all’immigrazione clandestina! I posti da grande finanziere internazionale, un tempo ambiti dai “capitani di ventura” italiani; di supermanager come Mattei, Romiti, Marchionne; di scienziati internazionali come Marconi e Fermi; di grandi imprenditori come Olivetti, Versace, Armani, lo stesso Berlusconi; quelli di intellettuali internazionali come Puccini, Toscanini, Montessori, Fellini, Visconti, Antonioni, Eco, sono oramai prerogativa di quei Paesi che sostengono maggiormente i loro talenti, con un’adeguata “advocacy”, più necessaria che mai in un mondo di lobby internazionali, di “soft power”, di disinformazione e di trolls: America, Cina, India, Israele..L’Europa non è più un posto per giovani, né tanto meno per giovani laureati.
Siamo stati testimoni di questo progressivo declassamento, avendo lavorato all’ internazionalizzazione dell’ industria italiana per i gruppi CIR e FIAT, su progetti come Togliattigrad, FIAT Polski, Eurojet, Eurofighter, Airbus, Ariane, Vega.., gradualmente liquidati da politiche antinazionali ed antieuropee, come la cessione dell’ Olivetti alla General Electic, l’acquisto dei F35 americani, lo smantellamento dell’EADS…
In questa situazione, nessuno, né la sinistra, né la destra, è in grado di offrire concretamente ai nostri giovani dei posti di lavoro all’ altezza delle nostre tradizioni, della nostra cultura, delle ambizioni e dei sacrifici delle nostre famiglie. Esistono solo più posti da entertainer, baristi, camerieri, bagnini.
Stupisce solamente che movimenti come quello dei “Gilets Jaunes” non siano più frequenti.
Una destra veramente sociale dovrebbe quindi cominciare dalla creazione, con una politica proattiva, di posti di lavoro nei settori strategici. E’ tanto bello parlare di un nuovo “Piano Mattei”, ma Mattei andava in giro per il mondo a combattere per l’economia italiana, per dare, come egli diceva, “un posto al sole” all’ Italia, e per questo fu ucciso. I nostri attuali governanti sono disposti a rischiare la loro vita per il futuro dei nostri giovani, difendendo le nostre aziende nel mondo, applicando coerentemente l’antitrust e la legislazione fiscale, sostenendo la tecnologia nazionale con adeguate politiche interventiste? Parliamo di industrie informatiche, di finanza internazionale, delle stesse industrie culturali.
Invece, si preoccupano di aggiungere le beffe al danno, accettando di fare, del patrimonio culturale nazionale, lo scenario di una pagliacciata quale il preannunziato incontro di arti marziali fra Musk e Zuckerberg. Ma “oportet ut scandala eveniant”: così si metterà in scena lo spettacolo realistico di un’Italia di “superbe ruine” pura scenografia, sullo sfondo del quale si scontrano i veri poteri del mondo:”il disprezzo insito nella richiesta di umiliare l’Italia a set di polistirolo”, come scrive Gianni Riotta, il quale conclude giustamente:”Passeggiare nelle nostre città, da Venezia a Siracusa, lascia già temere che un modello di sviluppo affidato solo al turismo svuoti per sempre i centri storici di cittadini, artigiani, artisti, famiglie lasciando solo fast food, Airbnb, bancarelle, kitsch”.
Di fronte alle crisi del capitalismo, torna di attualità l’economia mista
4.Quali programmi per una Destra Sociale?
Nel nostro opuscoletto, ci siamo permessi di suggerire a tutti gli schieramenti presenti nel Parlamento Europeo per riprendere vitalità, ritornando ai fondamentali, vale a dire alle esigenze per cui, secoli fa, essi erano nati. Questo vale a più forte ragione per una “Destra Sociale”, le cui radici (Classicità, Medioevo, corporazioni, Encicliche Sociali, Gaullismo, partecipazione) si confondono con la storia stessa dell’ Identità Europea.
Una volta rovesciate le politiche economiche antinazionali e antieuropee degli ultimi 50 anni, occorrerebbe, per l’Italia, accingersi anche a raggiungere gli altri Paesi d’Europa nel campo del diritto sociale, avvicinandoci a quel “modello renano” -di origine corporativa, democristiana e gollista-, dominante in tutta Europa, e di cui i partiti socialisti, in assenza di idee proprie, si erano arditamente appropriati per un certo periodo, e che è stato poi abbandonato anche da questi ultimi negli ultimi decenni: Commissariat au Plan, salario minimo, politica dei redditi, dialogo sociale, federalismo integrale, partecipazione alla gestione e agli utili delle imprese.
Gli esempi legislativi non mancano in tutta Europa: Comitato Economico e Sociale, Centre d’Analyse Stratégique, France Stratégie, Institut fuer Wiederaufbau, Betriebsverfassungsgesetz, Mitbestimmungsgesetz…
In campo ambientale, occorrerebbe mettere in pratica quanto accennato nella “Laudato sì”, in particolare un’ecologia che non fosse il puro e semplice “greenwashing” di interessi finanziari internazionali, di cui la propaganda ecologistica costituisce troppo spesso una semplice funzione di marketing, bensì una “ecologia profonda”, o “ecologia dell’ anima”.Certo, non una politica ecofobica quale caldeggiata da taluni nelle destre europee.
Sul piano della prassi politiche, ciò dovrebbe passare attraverso la presa sotto controllo dei movimenti sociali di contestazione del sistema, a partire dal Movimento Europeo, da quelli studenteschi, dai sindacati e dai movimenti ecclesiali, per rivendicare la trasformazione dell’Unione Europea in un vero Stato-civiltà; l’introduzione di sistemi capillari di partecipazione a tutti i livelli; la difesa da parte dell’ Unione, dell’economia continentale, e, in particolare, la creazione di Campioni Europei nei “settori di punta”. Insomma, per usare un’espressione cara un tempo all’ On.le Alemanno: “Italia, Europa, Rivoluzione!”
Come tutto ciò possa sposarsi con le politiche parlamentari italiana ed europea, e, in particolare, con le tattiche elettoralistiche dei partiti di destra in vista delle elezioni europee (cfr. nostro volumetto”Elezioni 2024, I partiti europei nella tempesta”), è ancora tutto da vedere.
Tuttavia, proprio se, come afferma l’on.le Alemanno, questo rilancio vuol essere più ambizioso che non una pura manovra pre-elettorale, esso non può prescindere da un preliminare lavoro culturale, che dipani questa complicata matassa di radici e di rapporti, per renderla utilizzabile oggi, nell’ era delle macchine intelligenti.E questo lavoro dovrebbe interessare intellettuali di tutto l’attuale e fatiscente “arco politico”: infatti, il diritto sociale costituisce una parte importante della identità, tradizione, storia, società ed economia europee, senza il quale non si può progettare alcuna politica seria, nessuna uscita dall’ attuale palude!
Se e nella misura in cui questo sforzo ci sarà, siamo interessati a parteciparvi, contribuendo a riscoprire quest’intero mondo sommerso, su cui poggiano comunque le basi delle nostre società europee.
Abbiamo spesso avuto l’occasione di osservare, senza approfondirla, la distinzione fra “conservatorismo” e “conservazionismo”. Oggi ci sembra il caso, di fronte ai dibattiti sempre più accesi sul conservatorismo e sulle “culture da destra” (cfr. Francesco Giubilei, Gli Intellettuali di destra), di ritornare su quelle definizioni.
Il conservatorismo è un fenomeno praticamente eterno, in quanto in tutte le epoche una parte della società si è volta con nostalgia ai tempi passati. Basti pensare a Platone, a Tacito, a Dante, a Balzac, a Gandhi…Tuttavia, a mano a mano che si procede nel corso dei secoli “storici”, nasce una forma più consapevole e profonda di conservazione: una riflessione sui caratteri “permanenti” dell’Umanità, minacciati, appunto, dal processo storico, che, in modo speculare all’ avanzamento delle tecniche, induce un depotenziamento dell’uomo rispetto all’ “Uomo Universale” dei primordi: dall’Età dell’ Oro, l’epoca eroica, la “Patrios Politeia”, il “Mos Maiorum”,i Primi Cristiani, l’Età Classica, il Rinascimento, il Risorgimento, lo Spirito Dionisiaco.
Questo svuotamento dell’Umano “classico” è stato denunziato in molte delle sue forme: indebolimento dei costumi, varie forme di tirannide, oblio della cultura alta, delle virtù civiche o dell’autenticità delle persone.
Nel 19° e, soprattutto nel 20° secolo, questa disumanizzazione veniva ascritta prioritariamente alla tecnica: l’”alienazione” di Marx, la “gabbia d’acciaio” di Weber, l’”uomo in provetta” di Huxley. Il Mito del Progresso si rivela come un sostanziale regresso, effetto dell’Eterogenesi dei Fini. Lo riconoscono alla fine personaggi diversi, come Goethe, Freud, Heidegger, Peccei, Anders, Fukuyama… Un’opera che rende bene questo clima culturale è la “Waste Land” fu Th.S. Eliot:
«Where is the wisdom we have lost in knowledge? Where is the knowledge we have lost in information?»
«Dov’è la saggezza che abbiamo perso nella conoscenza? Dov’è la conoscenza che abbiamo perso nell’informazione?»
(T.S. Eliot, The Rock, 1934)
Fra il 20° e il 21° secolo, la disillusione per il mito del progresso è oramai generalizzata, anche fra personaggi provenienti da culture progressiste: Pacces, Barcellona, Compagnon, Arpaia, Krastev. Solo qualche ostinato nostalgico (p.es. Pinsker) continua a sostenere che l’uomo non sia mai stato felice come oggi.
1.Il volto oscuro del progresso
Tuttavia, solo oggi la vera ragion d’essere dell’opposizione a questo depauperamento dell’ Umano si rivela in tutta la sua drammaticità: sotto le vesti accattivanti della civilizzazione, della moralizzazione, dello Stato, prima etico e poi democratico, della comodità, della filantropia, della ricerca scientifica, del moralismo, si cela l’affermarsi di un Leviatano, prima politico, poi sociale, e, finalmente, tecnologico: l’Anticristo di Soloviov, l’Impero Nascosto delle sette, dei Poteri Forti, del Complesso Informatico-Digitale, del Politicamente Corretto, del conformismo planetario, della Società del Controllo Totale, fino all’ estinzione dell’ Umano, travolto dall’ Intelligenza Artificiale, come denunziano unanimemente e per iscritto gli stessi guru dell’ informatica inventori dei GAFAM e oggi “lobbisti” delle stesse, chiedendo alle Istituzioni di porre un freno alla ricerca sulla stessa.
La Modernità si rivela così più che mai identificarsi con l’ipocrisia puritana, che impone a tutti, nel nome di un’ incombente Parusìa, la modestia, la trasparenza, l’eguaglianza, la rinunzia, riservando tuttavia ai vertici occulti dei Poteri Forti un potere e un’ambizione senza limiti, quella del Dott. Faustus. L’Umanità non andrebbe avanti senza differenza, gerarchie, pensiero consolidato, ambizione, coercizione, premi e ricompense (in primis, quelle dei tecnocrati e imprenditori); tuttavia, questo non lo si deve dire – anzi, bisogna convincere i più che lì stia il Male Assoluto, in modo che solo i Superiori Sconosciuti, i settari, i “Gatekeepers”, gli agenti segreti, possano imporre la loro volontà a una maggioranza di ebeti che credono nelle favole della Fine della Storia.
Il risultato immediato è il dominio dei GAFAM sul mondo, ma, a breve, sarà il dominio sul mondo delle macchine create dai GAFAM: Intelligenza Artificiale; bioingegneria; cyberguerra; impianti cerebrali; robots; Società del Controllo totale, droni assassini; Fake News, censura automatizzata…
Quello che viene erroneamente definito come “egemonia culturale della sinistra” è, in realtà, la tirannide totalitaria della Modernità Scatenata, che impone ai cittadini un’ agghiacciante omogeneità ( “i Paesi avanzati”; “non lasciare indietro nessuno”; “la Comunità internazionale”; “i Diritti”), ma, soprattutto, vorrebbe spacciare, come “dialettica democratica”, la presenza, all’ interno di questo quadro omogeneo, di alcune insignificanti sfumature, come un liberismo o un sindacalismo di facciata, un Cattolicesimo che ha accettato che la salvezza venga dalla Scienza e dalla Tecnica, o un sovranismo che accetta una occupazione straniera permanente. Invece, le reali alterità, come le culture extraeuropee (come il Confucianesimo e l’Induismo), oppure un autentico relativismo, o ancora la piena rivendicazione delle differenze, vengono ostracizzate al punto da divenire indicibili.
La confusione fra “mainstream” e “sinistra” nesce solo dal fatto che, come giustamente osserva Marcello Foa ne “il sistema (in-)visibile”, vi è stata, negli ultimi decenni, una convergenza, in Occidente, fra i metodi di condizionamento (“propaganda sociologica”) del KGB e della CIA, spesso con la confluenza dello stesso personale politico.
Si spiega così, ad esempio, l’assoluta intercambiabilità fra la “Maggioranza Ursula” e la “Maggioranza Metsola”,visto che le due donne politiche in oggetto, non solo dicono le stesse cose, ma si vestono perfino nello stesso modo.
2.La Dialettica dell’ Illuminismo
Tutto ciò era già stato profetizzato, seppure in forma criptica, nel classico libro di Horkheimer e Adorno “Dialettica dell’ Illuminismo”.
Oggi, il vero problema non è neppure più politico-culturale: è esistenziale. La Fine della Storia si rivela, come ha dovuto riconoscere lo stesso Fukuyama, la Fine dell’Uomo (prevista addirittura entro 10-20 anni a meno che non intervengano eventi drammatici, come la Terza Guerra Mondiale), in cui, di fronte all’ onnipotenza del sistema macchinico, l’Uomo si rivela, come scriveva Anders, antiquato e inutile.
Basti pensare allo scontro oggi in atto in tutto il mondo in corso fra missili ipersonici, sistemi satellitari, droni, servizi segreti e hacker: per esempio, nella guerra in Ucraina, fra Patriot e Kinzhal.
Il “Phylum Macchinico”, come lo chiamava De Landa (cioè l’insieme delle macchine intelligenti operanti come la nuova razza dominatrice del mondo), vero protagonista del XXI° Secolo, appare con il volto accattivante della Libertà, dei Diritti, delle scoperte scientifiche, dell’onnipotenza dell’Uomo, per poi rivelarsi, nei fatti, come l’Anticristo di Soloviov: l’affossatore dell’Umanità. Libertà, Diritti, scoperte scientifiche, onnipotenza dell’Uomo (le “Magnifiche Sorti e Progressive” di Leopardi) sono gli slogan branditi di volta in volta dalle mosche cocchiere delle Macchine Intelligenti (ma, tra l’altro, mai tradotti in pratica), per distruggere il tessuto sociale, trasformando l’Umanità in una massa indifferenziata, debole e instupidita (quella che Tocquevill vedeva sorgere in America), incapace di resistere alla forza delle macchine, uniche adatte a sopravvivere alla Terza Guerra Mondiale. Dove libertà, diritto, dominio dell’ Uomo sulla natura, saranno annientati in una nuova era (la “Posthisthoire” di Gehlen), le cui protagoniste saranno le macchine, almeno fintantoché il software dematerializzato non inghiottirà l‘intero mondo quale noi lo conosciamo, e quindi le macchine stesse (la “Singularity Tecnologica” di Kurzweil).
Per questo, s’ impone oggi più che mai, quale necessaria antitesi, quella “Forza che Trattiene”, quel misterioso Katèchon, di cui parlava San Paolo senza poterlo, né volerlo, spiegare, il quale si oppone alla Fine dell’ Uomo, almeno fintantoché questa non coinciderà con il Giorno del Giudizio. Per via di quest’ultimo inciso, anche il Katèchon si rivela duplice e ambiguo, e, se Sant’Agostino affermava di non comprenderlo, i suoi successivi cultori, dalle Hadith mussulmane a Ottone di Frisinga, da von Bader a Carl Schmitt, fino a Pietro Barcellona e Aleksandr Dugin, sono, su questo punto, almeno altrettanto oscuri e sfuggenti di San Paolo.
Comunque sia, quella dialettica fra l’Anticristo e il Katèchon (la “Dialettica dell’ Illuminismo”) è al cuore stesso della storia contemporanea, come dimostrano le numerosissime prese di posizione contro l’Intelligenza Artificiale, interpretata come fine dell’ Umanità, da parte degli stessi inventori e cultori della stessa.
Essa costituisce lo sbocco finale di una lotta incessante nel corso della storia: fra i Persiani chiliasti e i Greci “catecontici” (basti pensare all’Oracolo di Delfo su Leonida e al Sogno di Dario); fra il nichilistico Buddhismo Hinayana e quello Chan, costruttivo e combattente (per esempio, Bodhidharma e il Monastero di Shaolin); fra l’ansia di Apocalisse degli Anabattisti (vedi la bandiera arcobaleno issata per la prima voltanella battaglia di Frankenhausen, ed ora ripresa da tutti i movimenti progressisti) e il discorso di Lutero ai Principi Tedeschi; fra la Pasionarnost’ dell’Eurasiatismo e il postumanesimo dei Cosmisti russi…
Non per nulla il Pontefice Romano, massima espressione delle religioni mondiali, ha incitato le Istituzioni Europee (per quanto inutilmente) alla resistenza agli “Imperi Sconosciuti” (i GAFAM, le società segrete e, soprattutto, l’”Impero Nascosto” americano).
Contrariamente a questi ultimi, i grandi imperi della Storia ancora sopravvissuti (in concreto, le potenze dell’Eurasia), pure nella grande varietà e confusione delle loro posizioni, si richiamano a un’idea di conservazione. Il marxismo cinese non riesce a soffocare l’emergere del linguaggio confuciano, là dove si propone, quale obiettivo strategico per i 100 anni della Repubblica Popolare, non già il Comunismo, né il DaTong, mitico ideale normativo del Confucianesimo, bensì il più equilibrato Xiaokang (la “Società Moderatamente Prospera”) .Il Janata Party, riallacciandosi con ciò al Gandhi di “Hind Swaraj”, esalta “le Dee e gli Dei dell’ India”, lo Yoga e le medicine tradizionali. Ma perfino nell’Occidente anglosassone, roccaforte dei GAFAM e della NSA, e quindi , del Progetto Incompiuto della Modernità erede di tutti i chiliasmi, vi sono personaggi come Assange e Snowden che si battono eroicamente contro gl’ Imperi Sconosciuti.
3.Cos’è il “Conservazionismo”?
Chiamiamo “conservazionismo” questa resistenza trasversale contro gli esiti ultimi del mito del Progresso. Essa si oppone non già in modo episodico (come facevano i vari conservatorismi del passato ) alle successive “derive” dei mondi “tradizionali” (la democrazia ateniese, il despotato romano, la “gente nova” di Dante, la Rivoluzione Francese, il macchinismo dei Luddisti, il marxismo degli anticomunisti),- idolatrando invece, chi lo Stato di Natura,chi l’Età dell’ Oro,chi il Mos Maiorum,chi l’Ancien Régime, chi la società borghese, chi i regimi totalitari, chi le “Trente Glorieuses, – bensì all’attuale distruzione dell’uomo quale noi lo conosciamo (quello dell’ Epoca Assiale, che nasce con le grandi culture della scrittura e dura fino a noi), senza avere per altro intanto costruito nulla di veramente alternativo (quella che avrebbe dovuto essere la Nuova Società Organica lanciata da Saint-Simon e al centro di tutte le utopie ottocentesche, ma mai realizzata).
In termini nietzscheani, in conservatorismo rappresenta l’ “Uomo più Brutto”, quello che ha ucciso Dio ma se ne vergogna perché non è all’altezza di sopportare l’ateismo. Di qui il senso di disorientamento generalizzato che pervade la società comntemporanea.
Anche in Europa, s’impone comunque una qualche forma di Katèchon, una forza spirituale capace di trattenere la “transizione” dall’ Umano al Post-Umano. Secondo molti, da Heidegger a Jünger, da Teilhard de Chardin a De Benoist, questa resistenza sarebbe vana (un “mito incapacitante”), perché le stesse tradizioni ancestrali degli Europei porterebbero, attraverso un “piano inclinato”, verso l’Apocalisse. Ma noi obiettiamo, con Dostojevskij, Pannwitz e Daniel A. Bell, che, se la dialettica interna della cultura europea (e soprattutto americana) ha come sbocco fatale l’autodistruzione dell’Umanità, soccorreranno ben presto le altre tradizioni culturali mondiali, che, con la rinnovata forza dei popoli afro-asiatici, impediranno l’autodistruzione provocata dall’ Europa e soprattutto dalla sua postuma estensione. E’ da almeno un secolo che molti intellettuali europei, da Guénon a Hesse, da Rerih a Jung, da Evola a Panikkar, ci invitano a questa mossa.
In effetti, alla luce del Dubbio del Moderno, risultato della “Vergleichende Epoche” che tutto confronta, -antico e moderno, sacro e profano, Oriente e Occidente-, anche la scelta fra Anticristo e Katèchon, o fra Buddismo e Confucianesimo, appare esposta al massimo della soggettività. E, questo, ben si addice, innanzitutto, ai cultori del Katèchon, che si oppongono al mito del Progresso proprio per il suo determinismo, mentre invece essi si ostinano a credere che, come ha detto recentemente De Benoist, “la Storia è aperta”. Se così è, la “de-cisione” di ciascuno di noi può contare nella Storia del Mondo (grazie al “libero arbitrio”). Nello stesso modo, già Matteo Ricci, nella sua opera “Il vero significato del Signore del Cielo”, aveva chiarito come la scelta fra un Buddhismo nichilistico e un Confucianesimo costruttivo è una scelta individuale. Per altro, quasi tutti i grandi pensatori europei furono solidali nella sostanza con la posizione dei Gesuiti. Basti pensare a tutti coloro che si sono battuti contro lo Zeitgeist: non soltanto ai Novissima Sinica di Leibniz e al Rescrit de l’Empereur de la Chine di Voltaire, ma, anche alla più tarda critica di Kierkegaaard al Vescovo Mynster, a quella anti-egualitaria di Tocqueville e di Nietzsche, e a quella anti-irenistica di Freud. Per non parlare poi di Simone Weil che cercava l’”Enracinement” o di Saint Exupéry che voleva “costruire la Cittadella nel cuore dell’Uomo”.
3.Anticristo o Katechon? Una de-cisione esistenziale.
Certo, anche la scelta opposta al Conservazionismo avrebbe , dalla sua parte, delle buone ragioni, dall’ansia di Bene dei chiliasti al desiderio di infinito di Nietzsche, alla volontà di attuare le Scritture, propria di Fiodorov e dei Cosmisti Russi, fino alla religiosità universale di Teilhard de Chardin e di Raimon Panikkar. E proprio per questo, pure in presenza di una lotta mortale per la vita e per la morte, i Conservazionisti debbono mantenere il totale rispetto per i loro, pur mortali, avversari, pretendendo lo stesso da questi ultimi. Anche e soprattutto perché raramente sono del tutto tali, come il Goethe di An die Vereinigten Staaten e del secondo Wilhelm Meister, come il Marx dei Grundrisse. Questa, e non una pretesa tolleranza che sarebbe propria della “democrazia”, costituisce la vera base di una sana dialettica culturale e poltica, diversa dal “pensiero unico” che domina oramai da decenni la scena in Occidente.
Come si vede, non c’è proprio bisogno di andare alla ricerca di nuove strane ideologie, quando siamo immersi fino al collo in una fondamentale lotta culturale, che non verte su vane parole o mode, bensì sulla nostra sopravvivenza esistenziale.
La lotta culturale per e contro il Postumano, così come quella fra le varie versioni dello stesso e della opposizione ad esso, sta sostituendo quella fra le obsolete ideologie sette-ottocentesche. Le “ideologie” del 21° secolo nascono intorno alle modalità con cui opporsi alla Fine dell’ Umano.
Coloro che vorrebbero ri-dare un’anima ai partiti, non hanno, quindi, che l’imbarazzo della scelta. Infatti, a nostro avviso, tutte le aspirazioni tradizionali dei singoli partiti, libertà, solidarietà, tradizione, patria, ambiente, vengono oggi negate dal politicamente corretto, dall’egemonia delle multinazionali, dalla “cancel culture”, dall’omologazione occidentale, dalle retoriche pseudo-ambientaliste delle lobbies “verdi”. Ogni partito potrebbe, e, a nostro avviso, dovrebbe, mettere al primo posto del proprio programma, una di queste battaglie: contro la censura, per l’upgrading delle imprese nazionali e per la partecipazione dei lavoratori, per la difesa delle culture religiose contro l’adorazione della tecnica, per una vera “sovranità strategica”, per una “ecologia dell’ anima”.
Quello che non è ammissibile è, invece, ciò che succede oggi tutti i giorni, con le varie fazioni dell’”establishment” che fingono (sorridendo o addirittura ridendo in faccia ai cittadini) di azzuffarsi su questioni futili, camuffando o nascondendo l’importanza vitale della questione della Fine dell’ Uomo in nome di un ottimismo idiota in mala fede, che maschera semplicemente la loro felicità per gl’indebiti privilegi ottenuti in cambio della loro connivenza.
4.Il conservazionismo ha a che fare con le “culture da destra”?
Esiste un concetto politico, seppure vago, chiamato “destra”, ma su cui i membri dell’ “establishment” dei più vari orientamenti non cessano di ricamare nell’ ambito dei loro eterni teatrini. Esso trae la sua origine dalla collocazione in parlamento dei diversi gruppi politici, ed ha quale presupposto l’idea ch’essi si distinguano per la loro più calda, o più fredda, adesione al “Progetto Incompiuto della Modernità”, un “pacchetto” che si pretenderebbe unitario di gnoseologia, teologia, filosofia, cultura, etica, politica, economia, tecnologia e società (la “concezione assiale della politica”).
Si tratta di un concetto utile dal punto di vista euristico, visto che normalmente la politica parlamentare si è basata su alleanze fra partiti vicini nello spettro destra-sinistra. Ne consegue che esistano, come oggi in Italia, goverrni di destra, che hanno i loro sostenitori, anche fra gl’intellettuali, e che questo renda opportuna, se non necessaria, una “politica culturale di destra”.
Come è stato rilevato quasi unanimemente, non esiste neppure un’ unica “cultura di destra”, bensì, semmai, una serie di “culture di destra”. Esse hanno una qualche affinità con il conservazionismo, ma non vi si sovrappongono. Da un lato, vi sono delle “culture di destra” come il Futurismo, che sono piuttosto omogenee al Mito del Progresso. Ma anche le altre hanno semmai molto in comune con i Conservatorismi, vale a dire esprimono la nostalgia per questo o per quel periodo storico, ma nessuno la consapevolezza della prossima fine dell’Umanità, e dell’urgenza di opporvisi. Questa consapevolezza, pur essendo alla base delle politiche della maggior parte dei Governi del mondo (Asia, Africa, America Latina), è condivisa da appena qualche decina di intellettuali in tutto il mondo non cooptati dal “mainstream”, e, nonostante la cogenza delle loro argomentazioni non trova un unitario veicolo politico attraverso cui esprimersi.
Non si può accettare un siffatto isolamento degl’intellettuali “conservazionisti”. Da un lato, occorre ricercare dei momenti di incontro fra di essi ed altre culture, che anche le discusse politiche culturali della destra potrebbero fornire, e, dall’ altro, occorre, da parte di essi, un maggiore attivismo: pubblicistico, politico e di ricerca, tecnologica e pedagogica.
Per ora, constatiamo che gli autori definiti “di destra”, per quanto, teoricamente “vocati” a un compito di critica particolarmente aspra della Modernità, non si sono discostati da quella critica garbata al Postmoderno che accomuna oggi un po’ tutti, da progressisti come Morozov e Zuboff a prelati come Benanti e Peyron. Eppure, per i “conservatori”, il postumano dovrebbe costituire un pericolo ben più reale ed incombente che tutti quegli altri fenomeni, spesso solo cartacei, ch’essi denunziano. Il postumanesimo è infatti la negazione di ogni libertà umana in ossequio alla vittoria delle macchine; la negazione del concetto di “limite”, base di ogni cultura tradizionale; la pretesa di soppiantare le religioni positive con la religione della tecnica; la sparizione di ogni comunità umana (civiltà, nazione, religione, partito, impresa, famiglia) nell’ ambito di un unico “Phylum Macchinico” a cui noi tutti siamo asserviti; la sparizione della natura entro una macchina universale, sia essa quella dell’industria inquinante, sia essa quella dei pretesi salvatori del mondo che sono anche costruttori di argini che non reggono, di pannelli solari che inquinano, di pale eoliche che rovinano i paesaggi…
Esso meriterebbe un’azione culturale, ma prima ancora, politica, radicale, da parte dell’intelligencija indipendente.
Chiediamo ai conservatori italiani , che si propongono lodevolmente, non di tornare a quei “mostri sacri” che in fondo non erano “conservazionisti” (come de Maistre o Evola, che all’ atto pratico invitavano i loro lettori alla passività), né di sostituire un’egemonia culturale ad un’altra, bensì di aprire a tutte le idee nuovi spazi di libertà, di dedicare un progetto specifico al conservazionismo internazionale, mettendo in contatto fra di loro i suoi autori emergenti, in modo da fare dell’ Italia un loro sbocco politico.
PROPOSTE DEL MOVIMENTO EUROPEO PER LA PACE IN UCRAINA
Riportiamo qui di seguito le proposte di cui sopra, con in seguito un nostro commento:
“Noi riteniamo che l’Unione europea, confermando il pieno sostegno all’Ucraina nella difesa della sua libertà e del diritto all’ inviolabilità del suo territorio insieme all’impegno alla ricostruzione del paese, dovrebbe iniziare a riflettere sulle ipotesi per un avvio di un dialogo indispensabile al raggiungimento di un “cessate il fuoco” e poi dell’inizio di un processo che porti ad una pace duratura ai suoi confini essendo chiaro che la definizione delle condizioni per un accordo appartengono in primo luogo alle autorità dell’Ucraina e cioè al suo governo e al suo parlamento che sarà rinnovato nelle elezioni legislative che avranno luogo entro l’estate del 2024.
A nostro avviso le ipotesi per l’avvio del dialogo dovrebbero essere basate sui seguenti cinque elementi che potrebbero costituire un embrione di un “piano di pace” dell’Unione europea inserito nel quadro di una visione complessiva della cooperazione e della sicurezza sul continente che potrebbe assumere la forma di un accordo o di un trattato che si ispiri al metodo dei negoziati che condussero nel 1975 alla Dichiarazione di Helsinki e poi nel 1990 alla Carta di Parigi:
– La garanzia della integrità territoriale e della inviolabilità delle frontiere dell’Ucraina definite in occasione della sua indipendenza nel 1991 alla caduta dell’Unione Sovietica;
– L’attribuzione alle regioni di Donec’k, Luhans’k e della Crimea dell’autonomia secondo un modello federale e ispirandosi all’esempio degli accordi De Gasperi-Gruber applicati all’Alto Adige con l’Accordo di Parigi del 5 settembre 1946;
– L’adesione dell’Ucraina all’Unione europea al termine dei negoziati di adesione, sulla base delle condizioni stabilite dall’art. 49 del Trattato sull’Unione europea e nel quadro del processo di allargamento ai paesi candidati dei Balcani Occidentali e dell’Europa orientale (Moldavia e Georgia) che prevede:
l’accettazione piena e integrale dei principi contenuti nel preambolo del Trattato di Lisbona ivi compreso il processo di una unione sempre più stretta le cui basi dovranno essere gettate entro la prossima legislatura europea superando lo stesso Trattato di Lisbona secondo un metodo democratico costituente,
il rispetto dei valori comuni definiti nell’art. 2 e dello Stato di diritto insieme al primato del diritto dell’Unione,
il principio della cooperazione leale previsto dall’art. 4 del Trattato sull’Unione europea e della solidarietà previsto dagli articoli 80 e 222 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea,
l’adesione alla Carta dei diritti fondamentali,
e l’applicazione dell’art. 42.7 che prevede l’aiuto e l’assistenza degli Stati membri ad uno Stato oggetto di una aggressione armata sul suo territorio conformemente all’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite.
– L’applicazione all’Ucraina delle stesse condizioni di neutralità adottate al tempo dell’adesione dell’Austria all’Unione europea nel 1995.
– In questo spirito e in questa logica la decisione di escludere l’adesione dell’Ucraina alla Organizzazione dell’Atlantico del Nord e alle sue strutture militari.
Questi elementi dovrebbero essere presentati dall’Alto Rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite secondo l’art. 34.2 del Trattato sull’Unione europea, al Vertice della Nato di Vilnius e al Vertice dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa associandoli alla richiesta di convocare una Conferenza ispirata agli Accordi di Helsinki del 1975 e alla Carta di Parigi del 1990.”
COMMENTI DELL’ ASSOCIAZIONE DIÀLEXIS
Intanto, complimenti al Movimento Europeo per avere ideato soluzioni fuori del coro, senza timore per l’impopolarità. Pur non essendo, ovviamente, soluzioni perfette (perchè concepite come proposte interlocutorie), potrebbero costituire un anticipo di soluzioni più complete e radicali (cfr. punto 2).Quest’idea non appare irrealistica dopo il conferimento da parte del Vaticano del mandato di mediatore a Monsignor Zuppi e con l’avvicinarsi delle elezioni americane.
1.I veri obiettivi delle parti in causa
Il problema è che, come affermato ufficialmente da Russia e Cina prima dell’ avvio dell’ “Operazione Speciale”, l’obiettivo di questa non era tanto o soltanto quello di difendere la Crimea e il Donbass, oggetto dal 2014 di un tentativo di recupero da parte dell’ Ucraina, territori e che, dopo i referendum e l’incorporazione nella Federazione Russa, devono essere difesi per legge, bensì un nuovo sistema globale di sicurezza mondiale, fuori dell’egemonia degli USA, che, a loro avviso, starebbero cercando di “strangolare” (con le sanzioni e con l’accerchiamento militare) i Paesi eurasiatici e di impedire le Nuove Vie della Seta in un momento in cui le dinamiche storiche, economiche e politiche, starebbero ponendole al centro della storia. Del resto, gli ultimatum scritti di Lavrov NON erano indirizzati all’Ucraina, bensì a USA e UE, e vi si chiedeva di confermare per iscritto quelle garanzie “di non allargamento” che Baker avrebbe promesso a Gorbaciov.
E’ difficile che Russia e Cina desistano dalla “guerra senza limiti” per ridimensionare l’America, e per garantirsi così la libertà di passaggio negli stretti asiatici ed europei, vitale per il loro sviluppo economico. A meno che America e UE non firmino delle garanzie a questo proposito, come richiesto nel 2021.
Altrettanto difficile che l’America accetti senza colpo ferire di rinunziare alla sua attuale posizione privilegiata (la “Trappola di Tucidide”). Il vertice di Hiroshima non fa che “fotografare” questo scontro in tutta la sua intensità. Le dichiarazioni rese da di Giorgia Meloni sono illuminanti circa gli obiettivi occidentali al vertice.
Indubbiamente, s’imporrebbe anche, come richiesto dal Movimento Europeo, la rivalutazione in grande scala del concetto di “neutralità” (di tipo “austriaco”, cioè garantita internazionalmente), che dovrebbe estendersi a tutti i territori controversi, ovunque si trovino (per esempio, ai Balcani Occidentali e Caucaso).
Per ciò che riguarda l’Ucraina, la questione delle autonomie territoriali e culturali dovrebbe coinvolgere, a nostro parere, l’intero territorio (come voleva il Partito delle Regioni di Janukovski, che non per nulla era stato deposto con la forza). Infatti, l’Ucraina, come e più degli altri Stati Europei, è una costruzione recente e artificiale (come ad esempio anche il Belgio e la Grecia). Pensiamo a quali forzature sono state fatte per creare la Grecia che conosciamo (di cui, secondo il Fallmerayer, nel 1821, la metà della popolazione non era greca, e fu grecizzata con la forza, così come l’Ucraina viene ora “ucrainizzata” a viva forza).
L’Ucraina dovrebbe essere, come si diceva un tempo, “federalizzata” sul modello belga (comunità francofona, comunità fiamminga, comunità germanofona, Bruxelles capitale). Così, in Ucraina, vi sarebbero una comunità russofona, una ucrainofona, una rumena, una ungherese, una rutena, e una Kiev capitale…
Ma, più in generale, almeno un terzo dell’ Europa (dall’ Irlanda, alla Scozia, alla Spagna, al Benelux, ai Balcani, alla Turchia, per non parlare dell’ Europa Orientale) dovrebbe costituire una serie di “Territori Federali”, non aggregati a nessuno “Stato Nazionale”. Solo così si garantirebbe la vera identità di quei territori (la Celtia, la Franconia, i Pirenei, la Macroregione Danubiana, quella baltica, quella caucasica).
Ancora più in generale, lo Stato Nazionale non è l’unità di base ideale di un’ Europa Unita, come ben vedeva per esempio il Federalismo Integrale. Le fantasmatiche “Macroregioni” ed “Euroregioni” corrisponderebbero molto meglio alle identità storiche degli Europei e a una distruzione razional delle competenze in una “multi-level governance”.
Poi, occorrerebbe ricomporre, con questi tasselli, il puzzle di un’ Europa veramente unita e forte sulla scena internazionale.
Infine, la UE dovrebbe concedere di più all’ Est Europa. Il Socialismo Reale non è stato abbattuto dalle Comunità Europee, né dalla NATO, né da Washington, bensì dai Talibani, da Solidarnosc, da Papa Wojtyla, da Gorbaciov e da Eltsin. I loro valori, diversi, debbono entrare a fare parte della cultura comune. I popoli europei orientali si sentono frustrati dall’ essere considerati come dei questuanti e degli eterni imputati. Per questo, si buttano sulle loro glorie passate.
Occorre anche trasferire un po’ di istituzioni a Est (in un domani anche a Kiev, Mosca e San Pietroburgo).
2.Una vera pace (o tregua) fra le Grandi Potenze, può essere basata solo sull’ equilibrio nella intelligenza artificiale.
Però, una vera pace (o almeno tregua),anche per l’Ucraina, potrebbe farsi solo fra USA, Cina e Russia, e riguardare, come ha detto Kissinger, più che questioni territoriali (forse insolubili), innanzitutto la regolamentazione internazionale dell’Intelligenza Artificiale, che oramai comanda le armi nucleari e la gestione strategica delle guerre (“Hair Trigger Alert”, “Dead Hand”, militarizzazione dello spazio, Cyberguerra). Basti pensare al recentissimo scontro nei cieli di Kiev fra i missili “intelligenti” Patriot e Kinzhal, basato sulla capacità di intercettazione e/o distruzione del sistema avversario.
Come oramai affermano concordemente tutti i grandi esperti di informatica, bloccare l’intelligenza artificiale è il massimo problema comune dell’ Umanità. La guerra è infatti lo strumento di cui l’Intelligenza Artificiale si serve per subentrare agli uomini (Manuel de Landa).
Solo con un’azione culturale trasversale, passando attraverso persone come Kissinger o il Papa, si potrebbe arrivare a un accordo sul controllo dell’ intelligenza artificiale, e, con ciò stesso, al controllo sulla possibilità di scatenare una guerra.
Il problema per l’Europa è ch’essa non può partecipare autorevolmente a questo dialogo, perché, dopo la morte di Adriano Olivetti e del Professor Zhu, non ha mai più avuto la minima autonomia digitale, mancando di un proprio centro ideativo in campo informatico.
Se l’Europa vuole poter contare nella configurazione di un accordo siffatto, deve sviluppare al più presto le proprie competenze digitali, innanzitutto con la creazione di un’accademia europea dell’AI di un’accademia militare europea e di un servizio segreto europeo, poi con l’”upgrrading” digitale dell’ intero sistema produttivo e di difesa: quello che, inascoltati come sempre, abbiamo proposto co i nostro libro “European Digital Agency””Restarting EU Economy” e “Istituto Italiano dell’ Intelligenza Artificiale di Torino”.
PERCHE’ I BALCANI? Intanto, perché sono la frontiera esterna terrestre dell’ Europa più vicina all’ Italia. Per esempio, durante quest’anno di guerra in Ucraina, più volte le flotte russa e americana si sono fronteggiate nel Canale di Otranto. In questi giorni, si sono anche interrotte le trattative fra UE, Serbia e Kosovo sulla normalizzazione dei rapporti diplomatici, e, in particolare, sullo status dell’ Associazione dei Comuni Serbi, che, secondo gli auspici degli Europei, dovrebbe costituire una sorte di regione autonoma sul modello sudtirolese – cosa che però non è stata accettata dal governo kosovaro, provocando le dimissioni del consiglio di esperti costituzionalisti nominato dalla UE-. Con un’eventuale recrudescenza del conflitto ucraino, il fronte potrebbe correre di nuovo in Kosovo e in Bosnia.
WHY BALKANS? First of all: they are the European outside land border most near to Italy. E.g., during this year of Ukrainian war, Russian and US fleets faced each other in the Otranto Channel. In these days, a breaking point was reached even in negotiations between EU, Serbia and Kosovo about the normalisation of diplomatic relations. In particular, the Kosovo Government has not accepted a special status of the Association of Serbian Communities, which, according to European Institutions, should become a sort of autonomous province, alongside the pattern of Südtirol. This has prompted the resignation of the committee of experts of constitutional law appointed by the EU. In case of a further increase of the Ukrainian conflict, the front could expand again to Kosovo and Bosnia.
Ma, al di là di tutto ciò, i Balcani sono al cuore dell’Europa, a partire dall’antichissima civiltà danubiana, alla Grecia; dagl’imperatori illirici a Cirillo e Metodio; dall’Impero Ottomano a quello asburgico; dalle vie nazionali al socialismo alle recenti, sanguinose, guerre civili. Il trascurarli colpevolmente come si fa usualmente porta all’incancrenirsi dei problemi. Secondo noi, ad esempio, avremmo dovuto addirittura iniziare le trattative fra la UE e queste Repubbliche già prima che cominciassero le guerre civili. L’Europa, con il suo atteggiamento reticente ed ambiguo, è stata, perciò, la prima responsabile dei conflitti in Est Europa, alimentati dalle frustrazioni di centinaia di milioni di est-europei trattati come Europei di serie B.
But, beyond all of that, Balkans are at the heart of Europe, starting from the ancient Danube Civilisation up to Greece; from Illyric Emperors to Cyrill and Methodius; from the Ottoman Empire to the one of the Habsburg; from the national roads to Socialism up to the recent bloody civil wars. To ignore them, as usual, out of neglect, brings about the worsening of each problem. If it had been up to us, we would have started negotiations between the UE and the Yugoslav Republics even before the start of civil wars. Europe, with its hostile and ambiguous attitude, has been, therefore, the first responsible of Eastern European conflicts, raised by the frustrations of hundred million East Europeans, dealt with as second class Europeans.
Ma, si dice: gli Europei Orientali hanno culture, valori e sistemi giuridici diversi da quelli dell’Europa Occidentale, e, prima di essere ammessi alla UE, devono subire un lungo processo di adeguamento (all’”Acquis Communautaire”), e, prima ancora, aderire alla NATO. Per i Balcani Occidentali, stiamo parlando di 35 anni di attesa. Secondo errore. Qui stiamo procedendo come con il Regno delle Due Sicilie, costretto a divenire una succursale del Piemonte, oppure come con la DDR, trasformata in una colonia della RFT. Non si è voluto in alcun modo realizzare una fusione alla pari, in cui una nuova unità assorbisse e amalgamasse le identità degli Stati fusisi in essa.
People say: East Europeans have cultures, values and legal systems different from the ones of Western Europe. Therefore, before being accepted into the EU, they have to undergo a lengthy adaptation process (to the “Acquis Communauteaire”), and , first of all, enter NATO. For Western Balkans, we are dealing with 35 years. Second mistake: we are proceding here in the same way as with the Kingdom od the Two Sicilies, compelled to become a subsidiary of Piedmomnt, or with DDR, transformed into a colony of the Federal German Republic. Noone has been willing to carry out a fusion among equals, whereby a new unity would have absorbed and amalgamated the identities of the merged States .
Occorrerebbe invece accettare che l’Europa Centrale e Orientale porti all’ Europa il contributo della propria identità, storia, cultura, tradizioni e costumi. Ciò è vero, in particolare, per i Balcani, che, se non fosse per la nefasta importazione del nazionalismo dall’ Europa Occidentale (Filikì Eteria, Pijemont), avrebbe costituito da sempre un esempio concreto di un’ Europa Poliedrica, quale quella evocata da Papa Francesco. Città come Trieste, Sebenico, Sarajevo, Durazzo, Salonicco, hanno costituito nei secoli un esempio brillante di coesistenza fra Illirici, Greci, Romani, Ebrei, Veneti, Albanesi, Slavi, Valacchi, Ottomani , Austriaci… Il sistema europeo delle autonomie locali, mutuato in gran parte da quelle italiane, austro-ungariche, sovietiche e jugoslave, trova però la sua fonte prima nelle Milldetler ottomane, che, poste al confine con i domini austriaci, ne hanno condizionato la cultura. Per non parlare dell’autogestione jugoslava, unico esempio realizzato del “federalismo integrale” di Proudhon e di Alexandre Marc.
Western Europe should accept, on the contrary, that Central and Eastern Europe brings to Europe the contribution of its own identity, history, culture, traditions and customs. This applies, in particular, to Balkans, which, without the nefarious imnport of nationalism from Western Europe (the Filiji Eteria, the “Pijedmont”), would have beens since the beginning a concrete example od a Multifacedted Europe, like the one invoked by Pope Francis. Cities like Trieste, Sibenik, Sarajevo, Durres, Saloniki,have constituted over the centuries a bright example of coexistence among Illyrians, Greeks, Romans, Jews, Venetians, Albanians, Slavs, Vlachs, Ottomans, Austrians… The European system of local autonomies, derived to a large extent from the Italian, Austrian-Hungarian, Soviet and Yougoslavian, has its far away roots in the Ottoman Milletler, which, being at the borders with Austrian domains, have conditioned their cuilture. Without mentioning the Yougoslavian self-management, the sole example of “Integral Federalidsm” as conceived by Proudhon and Alexandre Marc.
Oggi, sono in questione soprattutto i Balcani Occidentali (un’enclave di 6 Paesi , dopo ben 35 anni, ancora non membri dell’ Unione: Serbia, Bosnia, Montenegro, Albania, Macedonia e Kosovo). Slovenia e Croazia sono, invece, oramai Stati membri a peno titolo (compresi Schengen ed Euro). ani, ma, a nostro avviso, l’aspetto culturale resta gravemente carente, e questo spiega l’astronomico ritardo delle trattative.. Con questo libro, vogliamo colmare questa carenza, dimostrando che: -i Balcani Occidentali hanno partecipato alla storia dell’identità europea non meno di altre aree che si pretendono “centrali” (come per esempio Francia e Germania); -che, anzi, la loro cultura è perfino più ricca, variegata e poliedrica di quella di tante aree dell’Europa; -che si tratta comunque di un’area affascinante, che vale la pena di essere non soltanto visitata, ma anche vissuta e studiata; -che i Balcanici non sono affatto così rissosi come li si descrive, e che una buona parte delle loro idiosincrasie provengono in realtà da Roma o Costantinopoli, Vienna o Mosca, e, recentemente, da Washington. IL LIBRO. Partendo da questa situazione di fatto e da questi propositi, il libro si muove lungo quattro direttrici: -Tentando di delineare i lineamenti di una “cultura balcanica occidentale”, attraverso lingua, arte e storia; -Riassumendo sinteticamente ciò che cosa si muove intorno ai Balcani, ivi compresi gli aspetti geopolitici; -Sintetizzando le azioni in corso da parte delle diverse Istituzioni Europee per una politica culturale europea nei Balcani, -Formulando una nostra proposta di itinerari culturali, indipendentemente dalle formalità dei progetti europei, del Consiglio d’Europa e della Commissione. I grandi temi agitati in queste pagine, e che esulano un poco dal “déjà vu” sono: -la “federazione linguistica balcanica”, singolare fenomeno per cui i Balcanici, pur parlando lingue diversissime (slave, latine, elleniche, illiriche, turciche, indiche), in realtà pensano nello stesso modo, come dimostrato paradigmaticamente dalla filastrocca “fel-shara”; -la “civiltà Danubiana”, la prima civiltà europea, presente in tutti i Balcani; -le “eresie dualistiche”, aventi il loro epicentro nei Balcani, anche se provenienti dall’ Asia e diffuse in tutta Europa, dalle quali, secondo Josef Seifert, deriverebbero la maggior parte dei movimenti rivoluzionari europei; -le popolazioni delle frontiere (le Krajne): Stradioti, Giannizzeri, Graenzer, Krajnici, Hajdùk, che hanno influito pesantemente sulla storia culturale di Venezia, Napoli, Turchia, Austria, Ungheria, Croazia; –le comunità disperse (i Valacchi, gli Arumeni, gli Arberesh, gli Arvanites,i Sefarditi, i Rom, i Gagauzi, i Donauschwaben..); -i profughi (Islamici siciliani, Albanesi, Serbi, Turchi, Dalmato-Giuliani..).
I PROGETTI Per sostenere e assecondare l’allargamento della UE ai Balcani Occidentali, sarebbe necessario un vigoroso impegno culturale, che dovrebbe discendere da una più generale politica culturale delle Istituzioni europee. Questo infatti esiste, attraverso le forme dei Percorsi Culturali Europei del Consiglio d’ Europa, la componente culturale della Strategia Europea della Macroregione Adriatica e Jonica (EUSAIR) e il Routes 4U Project. Purtroppo, come spesso accade per le pur lodevoli iniziative europee, esse sono troppo farraginose, burocratiche e prive di contatto con il pubblico, sì che, per esempio, non esistono percorsi specifici ai Balcani Occidentali. I quattro percorsi culturali che andiamo proponendo, anche se ancora non abbiamo studiato le possibili modalità di inserimento nel quadro giuridico e finanziario europeo, puntano a vivificare il concetto di strade europee, innestandovi precisi messaggi di contenuto I percorsi sono: ILLYRICUM, per l’Impero Romano; OLTREMARE, per la Repubblica di Venezia: MILLETLER, per l’Impero Ottomano MEŠTROVIĆ, per la ex Jugoslavia
Today, its above all the moment of Western Balkans ( an enclave of 6 countries, which, after 35 years, are not yet members of the Union: Serbia, Bosnia, Montenegro, Albania, Macedonia and Kossovo): Slovenia and Croatia, on the contrary, are, now, member States. actively with the Balkans, but, in our opinion, the cultural side remains badly neglected, and this explains the unbelievable delay in the enlargement negotiations. By this book, we are trying to fill this gap, showing that: –Western Balkans have participated in the history of European Identity not less than the areas which pretend to be “central” (such as, for instance, France and Germany); -that their culture is even richer, more multifaceted and polyhedrical than other areas of Europe; -that we are dealing in any case with a charming area, worth not only to be visited, but also lived and studied; –Balkan people are not so quarrelsome as they are described, and that a large part of their idiosyncrasies come, in reality, for Rome or Constantinople, Vienna or Moscow, and, lastly, from Washington. THE BOOK Starting from this situation and from the above stated intents, the book moves alongside four directions: -Trying to outline the features of a “Western Balkan culture”,driven by laguages, arts and history; -Summarising everything which turns around Balkans, including geopolitics; -Outlining the actions ongoing by several European Institutions for the European cultural politics in the Balkans; -Expressing our proposals of cultural routes, without taking into account for the moment the technicalities of European Projects, of the ones of the Council of Europe and of the Commission. The grand themes dealt with in the book, often going beyond the “déjà vu”, are: -the “Balkan Language Federation”, an uncommon situation, whereby Balkan peoples, while speaking very different (Slavic, Latin,Hellenic,Illyric, Turcic, Indic), languages, think in reality in the same way, as shown iconically by the ditty”fel-shara”; -the “Danube Civilisation”, the first European civilisation, present all over in the Balkans; -the “dualistic heresies”, with their focus in the Balkans, even if they came from Asia, and widespread all over Europe, from whom, according to Josef Seifert, most of the European revolutionary movements were generated; -the border populations (living in Krajne), such as Stradioti, Jeniceri, Graenzer, Krajinici, Hajdùk, who have influenced heavily the cultural histories of Venice, Naples, Turkey, Austria, Hungary, Croatia; -Dispersed ethnicities (Vlachs, Arumenians, Arberesh, Arvanites, Sefardìm,Rom, Gagauz, Donauscwhaben..); -refugees (Sicilian Islamnics, Albanians, Serbs, Turks, Dalmatian-Julians..). THE PROJECTS For supporting and facilitating the enlargement of the EU to WESTERN Balkans, a robust cultural undertaking would be required, coming out from a general cultural policy of European Institutions. And, in fact, such effort exists under the form of the Cultural Routs of the Council of Europe, the cultural segment of the European Strategy of the Adriatic and Ionic Macro-region (EUSAIR) and the Routes 4U Project. Unfortunately, as it often happens with European initiatives, also when they are very appropriate, as in this case, they are too cumbersome, burocratic and without an adequate access to a public audience. As an example, no specific cultural route exists for Western Balkans The four cultural routes which we are proposing by this book before even having verified their perspectives to be inserted into a legal and financial framework of European projects, aim to give flesh and blood to the concept of European Routes, inserting clear cut substantive contents. The Routes are: ILLYRICUM, for the Roman Empire; OLTREMARE, for the Republic of Venice; MILLETLER, for the Ottoman Empire; MEŠTROVIĆ, for the former Yugoslavia
L’Unione Europea e il Governo Italiano si stanno adoperando lodevolmente per l’adesione dei Balcani Occidentali. E’ previsto anche un aspetto culturale, ma, a nostro avviso, questo resta gravemente carente, e ciò contribuisce a spiegare l’astronomico ritardo delle trattative.. Con questo libro, abbiamo l’ambizione di cominciare a colmare le lacune circa il rapporto fra identità europea e identità balcanica.
The EU and the Italian Government are acting Very appropriately in favour of the adhesion of the West Balkan States to the UE. A cultural aspect is dealt with in EU documents, what, unfortunately, is not sufficient, and this contributes to the delay of the ongoing negotiations. By our book, we have the ambition to start filling the cognitive gaps around the relationships between European and Balkan identities.
Alle 18 del giorno 18 maggio/ At 6:00 pm of May 18
CENTRO STUDI SAN CARLO
VIA MONTE DI PIETA’ 1,
TORINO
Gruppo di lavoro sui progetti nei Balcani Occidentali
I “Percorsi Culturali Europei” nell’ambito del Progetto Routes 4U e della Strategia Macro-Regionale Adriatica e Ionica (EUSAIR) ambiscono a venire incontro all’ esigenza di riempire di contenuti culturali concreti il rapporto Europa-Balcani Occidentali.
The “European Cultural Routes” within the Routes 4U and of the Adriatic and Ionian Macro-regional Strategy (EUSAIR) have the ambition to satisfy the need for concrete cultural contents the relationship between Europe and Western Balkans
Nei documenti del Routes 4U Project, si evidenza l’assenza di percorsi turistici specifici per il turismo nei Balcani Occidentali.
In the documents of Routes 4U Project, the absence of specific touristic routes for Western Balkans is criticized
L’Associazione Diàlexis e Rinascimento Europeo stanno cercando partners, in particolare fra Enti locali e Istituzioni, dei Balcani Occidentali, per questo compito
Associazione Diàlexis and Rinascimento Europeo are looking for partners, in particular, local authorities and Institutions, in the Western Balkans, for carrying out such kind of projects
Il Gruppo di Lavoro mira a creare un network finalizzato a questo proposito
The working group aims to create a network focussed on these objectives.
Nel corso della riunione, si illustreranno le regole per i finanziamenti e proposte di progetto, e si discuteranno le proposte degli intervenuti
At the meeting, financing rules and project proposals will be outlined, and the suggestions of participants will be discussed
Gli interventi possono essere effettuati in presenza oppure online
Interventions may be proposed both in presence and online