UN “COMITATO PANEUROPEO DI RESISTENZA E RESILIENZA”?

1.PERCHE’ NON ESISTE UNA STATUALITA’ EUROPEA?
Il Movimento Europeo aveva sostenuto fin dall’ inizio che una Federazione Europea non si sarebbe potuta costituire attraverso accordi fra gli Stati, bensì solo attraverso un atto fondativo rivoluzionario del Popolo Europeo. Nel Manifesto di Ventotene si era accennato addirittura che questo momento rivoluzionario avrebbe potuto avere inizio addirittura con un movimento armato, erede della Resistenza.
Anche l’idea che, per realizzare una “Federazione Europea”, si passasse attraverso a un “Congresso del Popolo Europeo” e a un referendum paneuropeo era stata proposta da Spinelli, ma però mai perseguita seriamente.
Il Prof. Cardini l’ha qualificata giustamente come “irrealizzabile”.Concordiamo per due motivi:
-in primo luogo perché nessuno dei numerosi grandi predecessori aveva mai veramente, né pensato, né proposto, una vera statualità europea in sostituzione dei dispersivi eredi dell’Impero Romano(Sacro Romano Impero, Bisanzio, Impero Ottomano,Impero Francese…) , né tantomeno una vera “civiltà paneuropea”, alternativa tanto all’ Occidente quanto ai grandi Stati-Civiltà, bensì solo elementi altrettanto sparsi, attinenti ora a questo, ora a quell’aspetto(militare, giuridico, culturale, politico, religioso..). Non i primi teorici di crociata; non i primi progetti fra sovrani, non Novalis, non Mazzini, non Coudenhove-Kalergi, neppure Ribbentrop, Spinelli o Schuman; neppure Napoleone o la Santa Alleanza. Anche la pretesa “Costituzione Europea” bocciata dagli elettori francesi e olandesi era solo un collage di trattati. Forse il solo progetto organico era stato la Costituzione Italiana ed Europea di Galimberti, anche se priva di una base culturale adeguata. Che cosa avrebbe dunque potuto ratificare il referendum paneuropeo?
-in secondo luogo perché, nonostante le pretese ideologiche “democratiche”, la politica è oggi più elitaria che mai nella storia. Le stesse emozioni fondamentali dei popoli, a cominciare dalle loro pretese idiosincrasie “di pancia” (l’ opposizione all’ “Oriente”, per passare ai cosiddetti “diritti di ultima generazione”, fino ad arrivare all’ idea del “popolo-nazione” e ai “valori non negoziabili”) sono semplicemente l’effetto di ben orchestrate campagne occulte che partono dal sistema educativo, continuano nella politica e nei media e si concretizzano in movimenti pretesi “spontanei”, come per esempio il ‘68, gli Anni di Piombo, Tangentopoli, le “Rivoluzioni Colorate”, i “populismi”, ecc…Perfino i migliori intellettuali cadono vittime di quelle “mode intellettuali”. Quindi, se nessuno organizza sotterraneamente un’esplosione di Identità Europea (così come le “Nazioni” furono organizzate a suo tempo dalle Grandi Potenze e dalla Massoneria), non si vedrà nascere nessun movimento “spontaneo” a favore dell’Europa.
L’esemplificazione più plastica si questa inanità si è vista recentemente con la “Conferenza sul Futuro dell’ Europa”, a cui non ha fatto seguito alcun movimento politico concreto.
Si tratta invece di raccattare i pezzi sparsi presenti in Ippocrate e in Platone, in San Paolo e in Dante, in Podiebrad e in Sully, in St-Pierre e nella Santa Alleanza, in Novalis e in Nietzsche, in Dostojevskij e in Coudenhove-Kalergi, in Ivanov e in Simone Weil, in Galimberti e in Spinelli, per creare un nuovo quadro organico e operativo, che non si chiamerà, né Impero, né Repubblica, né Federazione, né Confederazione, né Stato, né Nazione. Forse, “Stato-Civiltà Europeo”.
Il professor Cardini ha proposto a qusto scopo la creazione di un apposito comitato pan-europeo, che chiameremo qui “Comitato Paneuropeo di Resistenza e Resilienza”. Noi, con questo articolo, tentiamo di disegnarne i tratti distintivi.

2.PERCHE’ ABBIAMO BISOGNO ANCHE NOI DI UN NOSTRO “STATO CIVILTA”?
Nonostante ciò, la trasformazione dell’Europa, da un coacervo disorganizzato di Stati-Nazione, in uno Stato-Civiltà” come la Cina, l’India e gli Stati Uniti è oramai improrogabile per: (i) guidare il nostro Continente fuori dalla Terza Guerra Mondiale; (ii) farlo tornare veramente protagonista delle grandi scelte mondiali, in particolare quelle sul Post-Umano.
Infatti:
-La “guerra mondiale a pezzi” si è oramai trasformata in una vera guerra mondiale, sui fronti ucraino, siriano, libanese, palestinese, saheliano, sì che sono saltate tutte le strategie novecentesche basate sull’ipotesi della “Pace Perpetua”, sostituite da una battaglia all’ interno dell’Apocalisse;
-Con l’elezione di Trump, si è realizzata la fusione fra lo Stato Americano e i GAFAM (Musk, Thiel, Zuckerberg), i quali ultimi saranno gli unici possibili vincitori di una guerra giocata sulle armi autonome, sui droni assassini, sulla cyber-intelligence, sui trolls e sugli androidi resistenti alla guerra Nucleare, Chimica e Batteriologica (NBC). Innanzitutto perché, come scritto nell’ ultimo numero di Foreign Affairs, è la rapidità delle attuali guerre totali a rendere imprescindibile, contrariamente a quanto sostenuto da Kissinger nell’ ultima fase della sua vita, il comando delle operazioni dei vari contendenti da parte dell’ Intelligenza Artificiale, e, quindi, impossibile una regolamentazione pervasiva della stessa, che riguardi anche gli usi bellici.
Questa guerra costituisce dunque, a meno di un’azione rapida e incisiva, il momento cruciale della presa di potere da parte del “Philum Macchinco”, come l’ha chiamato Manuel De Landa.
L’Europa, intesa, non quale complesso giuridico incompiuto e intrinsecamente debole, bensì come un’ élite portatrice di una visione del mondo, potrebbe e dovrebbe intervenire:
-sia come guida morale dei popoli lasciati senza progetto in mezzo a nuove stragi come quelle dell’Ucraina e del Medio Oriente;
-sia quale catalizzatrice di un percorso olistico di ricostruzione che parta dalla filosofia e dalla storia per arrivare alla teologia e alla scienza, alla politica e alla società, alla tecnologia e all’ economia, alla cultura e alla difesa del nostro Stato-Civiltà, fino alla regolamentazione dell’ Intelligenza Artificiale. Quello che un tempo l’Europa pretendeva di essere (per esempio, con il Manifesto di Ventotene) come modello di civiltà, o almeno quale “Trendsetter of the Worldwide Debate”.


3.GLI STATI-CIVILTA’
Uno Stato-Civiltà è un’aggregazione geopolitica caratterizzata da una continuità storica millenaria, da uno scacchiere specifico di dibattiti e di conflitti, da un centro e da delle periferie, e da un’organizzazione atta a permetterle d’influire sulle scelte del mondo.
Per esempio, la Cina, nata con gl’Imperatori Mitici e gli Stati Combattenti, caratterizzata dai caratteri “Hanzi” e dall’ egemonia congiunta dei “San Jiao” (“Le Tre Scuole”=Taoismo, Confucianesimo e Buddhismo), dalla coesistenza degli Han (i“Figli del Fiume Giallo”) con 56 diverse “nazionalità”, e dall’egemonia del Partito Comunista Cinese, si propone come potenza anti-millenaristica (un nuovo Katèchon?), ponendosi un obiettivo storico apparemente modesto, vale a dire lo “Xiaokang” (“una società moderatamente prospera”). Sua lingua unificante: il Mandarino
L’India, fondata sulla sintesi fra induismo, buddhismo e islam, è caratterizzata dal pluralismo etnico, linguistico, religioso e cetuale intorno agli Hindustani della valle del Gange, circondati da altri popoli indo-ariani (kashmiri, punjabi, gujarati, marathi, oriya e assamesi) e dravidici (tamil, malayali, telugu, kannada), e caratterizzati dal ritorno, propugnato da Modi, allo Yoga e alla devozione al (semi)dio Rama. Sua lingua unificante, il Sanscrito.
Gli Stati Uniti, nati, secondo Huntington, dalla “Dissidenza nel Dissenso”(la Congregazione di Scrooby), sarebbero caratterizzati, secondo Dan Brown, dall’ egemonia congiunta di puritanesimo, massoneria e liberalismo, e fanno oggi oggetto di un conflitto fra suprematismo bianco (“WASP”) e cultura “woke”. Loro lingua unificante: l’ Inglese.
Non hanno (ancora) un loro Stato-Civiltà, l’Islam, l’Africa, il Pacifico e l’America Latina.
I mitici protagonisti del “federalismo mondiale” sono proprio gli Stati-Civiltà, che di fatto disputano sul futuro del mondo, non certo i 200 Stati-Nazione sperduti nel mare magnum dell’assemblea Generale delle Nazioni Unite.
Uno “Stato-civiltà” europeo capace di dialogare alla pari con gli altri tre (otto) dovrebbe anch’esso ricercare non solo le sue radici (come si dice oggi)in Roma, Atene e Gerusalemme, ma, al di là di ciò, concepire la propria identità permanente nella sintesi fra Est ed Ovest (“respirare con i due polmoni”di Viaceslav Ivanov). Infatti, buona parte della storia e cultura europee sono a Oriente: in Anatolia, in Mesopotamia, in Egitto (l’”Atena Nera”), nelle steppe pontiche (gli Yamnaya, i Goti, i Bulgari, i Turchi, i Magiari, i Cosacchi), nei Balcani (i Greci, Bisanzio), in Russia (Gogol, Chechov, Ciaikowski, Dostojevski, Stravinski, Sol’zhenitsyn). Anche la questione della lingua dovrebbe fare oggetto di uno sforzo di ricerca e di sintesi, poiché l’Europa possiede più lingue storiche di cultura, dal Greco, al Latino allo Slavo Ecclesiastico (oltre all’ Ebraico e all’ Arabo).L’Europa è uno Stato-civiltà incompiuto. Pur avendo, come la Cina, una sua continuità millenaria, questa continuità (la “Translatio Imperii”) è più frazionata di quella cinese(un po’ come quella indiana), partendo essa dall’Egitto, dalla Mesopotamia, per passare alla Persia e Israele, e, di qui, agl’imperi romano, romano-germanico, ottomano, inglese, francese, russo e inglese. In fondo, anche USA, Russia, Turchia e Israele pretenderebbero tutti di rappresentare l’ultimo avatar della Translatio Imperii.
Ricostruire questa continuità è stato da sempre una sfida defatigante per storici e politici. Oggi, questo compito è reso più possibile dallo sviluppo della comparazione fra le culture, ed è diventato una priorità (cfr. Riccardo Lala, 10.000 anni d’identità europea).
Gli Stati-civiltà vivono oggi immersi in un universo tecnologico, comprendente il Post-Umano e le guerre tecnologiche. La Cina ha sfidato l’Occidente sul piano dell’innovazione tecnologica ed economica e del controllo politico sulle grandi piattaforme (il “Crackdown sui BAATX”). L’India è divenuta il Paese più popoloso del Pianeta e un’area di punta del settore ICT. Gli Stati Uniti tentano in tutti i modi di preservare ed accrescere la loro egemonia, attraverso il complesso informatico-militare, le “covert operations”, le guerre per procura, i dazi e le sanzioni.


4.IL PERCORSO PER COSTRUIRE IL NOSTRO STATO-CIVILTA’
L’Europa si trova ad affrontare insieme tutte queste sfide. Perciò, non potrà divenire uno Stato-civiltà se non gradualmente, trasformando, eventualmente, in un’opportunità la sfida costituita dalla guerra dell’Occidente contro la “Maggioranza del Mondo” (“Mirovoe Bol’shinstvo”).Infatti, le grandi guerre costituiscono da sempre un momento di riorganizzazione degli equilibri mondiali. Questa, in particolare, sta già conseguendo vari risultati, come ad esempio l’epifania di tendenze di lungo periodo, come il ribaltamento dei rapporti di forza fra est e ovest, la ri-nazionalizzazione, la redistribuzione delle culture politiche, una maggiore attenzione per discorsi innovativi…. Così come la Prima e la Seconda Guerra Mondiale, anche questa potrebbe portare a novità importanti, prima fra le quali una possibile inversione di fronti (come a suo tempo l’Italia dagl’Imperi Centrali all’ Intesa e dall’Asse alle Nazioni Unite, e, oggi, la convergenza fra islamismo e Occidente), e la nascita di nuovi soggetti politici (come, a suo tempo, gli Stati dell’
Europa Centrale e del Medio Oriente, e la stessa Unione Sovietica).
Lo sforzo per costruire lo Stato-Civiltà europeo potrebbe inserirsi appunto in un contesto simile.
3.UNA GUIDA NELLA FASE BELLICA
Nella guerra civile europea che sta ri-cominciando, il popolo europeo manca di una guida morale, capace di sorreggerlo in un periodo di grandi difficoltà.
In questa fase, un “Comitato Pan-europeo di Resistenza e Resilienza” avrebbe come primo compito quello di dare, al popolo europeo, la sicurezza psicologica derivante dal fatto di avere, alle proprie spalle, un cervello pensante, che, pur non disponendo di alcun potere, studiasse e proponesse soluzioni che, a termine, possano prevenire le origini di questa conflittualità e, in generale, della debolezza del’ Europa. Ciò che era mancato nelle due precedenti guerre mondiali, e continua a mancare per la debolezza dell’ Unione Europea.
In primissimo luogo, la maggioranza della popolazione nei vari Paesi è contraria alla prosecuzione della guerra, ma i meccanismi giuridici e politici sono tali, che essi non hanno modo di esprimere in concreto questa loro contrarietà, e neppure di sviluppare progetti alternativi. Innanzitutto, le decisioni concernenti la guerra sono centralizzate, sostanzialmente, nel Presidente degli Stati Uniti, mentre i governi europei le recepiscono senza discuterle. Ancor peggio, gli “establishment” hanno interiorizzato a tal punto l’ideologia “occidentalistica”, da operare con l’obiettivo di rendere difficili eventuali soluzioni pacifiche che fossero sostenute da Trump dopo il suo insediamento, e da rimangiarsi continuamente i timidi accenni alla pace fatti da questo o da quel politico.
Più che combattere per il conseguimento della pace, che, ammesso che arrivi, sarà dovuta soprattutto alle scelte della futura presidenza americana e/o alla superiorità militare russa, e/o all’ intervento della Cina e della Turchia, una guida europea servirebbe dunque per incanalare la partecipazione della popolazione disorientata verso la politica, anche e soprattutto nel caso in cui si impongano scelte drammatiche, come in quello di guerra campale sui nostri territori. Infine, la guerra potrebbe, e dovrebbe, costituire un momento di maturazione degli Europei sui temi della pace e della guerra, così come lo avvenne con Kant, Novalis, De Maistre, Coudenhove-Kalergi, Spinelli, Simone Weil, Galimberti e Drieu La Rochelle.
Tema centrale: la lotta ai condizionamenti culturali anti-europei, come il millenarismo materialistico, il Postumanesimo, la”cancel culture”, la russofobia e la sinofobia.
In particolare, occorrerebbe fare pressione affinché il richiesto maggiore contributo dell’Europa agli sforzi della NATO si traducesse in una maggiore influenza degli Europei, soprattutto investendo in attività che accrescano l’autonomia europea, per esempio in un’Accademia Militare e Strategica Europea, in un’Intelligence Europea, in un software duale europeo, in un’arma missilistica e spaziale europea.
Infine, a tendere, il ritorno all’ idea di una “Casa Comune Europea”, di cui le steppe pontiche, con il loro spirito “passionale” (Mickiewicz, Pushkin, Lermontov, Gogol, Herceg)tornino ad essere la cerniera, senza più guerre fratricide, ma, anzi, con un reciproco riconoscimento, come nelle “Danze Polovesiane”.

4.IN PREPARAZIONE DELLA STATUALITA’ EUROPEA
Come detto prima, l’obiettivo delle attività del Comitato si dovrebbero articolare in due fasi: la prima, durante la guerra, e, la seconda, dopo.
Questa seconda fase dovrebbe avere come obiettivo di costituire quella base umana, concettuale, organizzativa, che oggi manca agli Europei per poter creare la propria statualità
Essa dovrebbe rispondere innanzitutto a una serie di domande:
1)quali sono le sfide a cui sono esposti oggi tutti i Paesi del mondo?
2)quali di esse sono specifiche dell’Europa?
3)quali sono le possibili risposte?
4)in particolare, quali sono le trasformazioni nella teologia, nell’antropologia, nella filosofia, nella società, nella geopolitica, nell’economia, nella difesa e nella cultura indotte dall’ Intelligenza Artificiale?
5)quali sono il possibile contributo dell’ Europa e i suoi reali interessi?
6)quali sono le caratteristiche (rilevanti per quanto sopra) che accomunano l’ Europa con i grandi Stati-Civiltà?

7)Le risposte delle diverse culture possono convergere?
8)Cosa può esserci di comune, e quanto deve rimanere distinto?
9)Alla luce di quanto precede, le tendenze in corso nei diversi ambiti umani sono accettabili o debbono essere cambiate?
10)In che cosa sarebbe possibile cambiarle?
11)Come potrebbe l’Europa contribuire a cambiare queste tendenze?
12)Quale struttura dovrebbe darsi l’Europa per contribuire a quei cambiamenti? In campo culturale, politico, militare, economico?
13)In che modo le attuali organizzazioni sovrannazionali possono essere utilizzate come componenti di questa futura struttura dell’Europa?
14)Come pervenire a trasformare l’Europa in tale senso?
15)Come strutturare il Comitato?
Purtroppo, a oggi ci sembra che pochissimi intellettuali europei siano sensibili a questi temi, sicché pensiamo che il comitato dovrebbe essere inizialmente abbastanza ristretto, senza poter arrivare a una rappresentanza su base“nazionale”(anche perché le “nazioni” attuali non sempre sono molto rappresentative). Un’attenzione particolare dovrebbe essere dedicata a momenti seminariali, miranti a sviluppare una “scuola” di giovani europeisti “passionali”.

PERSIA, PALESTINA,DONBASS: GUERRE ETERNE?

Ha suscitato giustamente scalpore il fatto che Israele  abbia attaccato ripetutamente e deliberatamente le basi UNIFIL sotto il comando italiano, provocando tra l’altro gravi ferimenti di Caschi Blu – un’azione che il Ministro della Difesa Crosetto ha giustamente definito come “crimine di guerra”-.

Questo scalpore è giustificato soprattutto dal fatto che la “Guerra Mondiale a Pezzi”, oramai non più tanto a pezzi, sta scalfendo una gran quantità di luoghi comuni impostici da decenni dai media occidentali. Fra questi, il più pernicioso è stato quello relativo alla presunta  “imminenza della Pace Perpetua”, veicolato dalla retorica delle Organizzazioni Internazionali e dell’ Unione Europea.

Mentre le Nazioni Unite  hanno appena fatto il punto sulla loro pretenziosa Agenda 2030, esse si vedono addirittura attaccate militarmente da uno dei propri membri, che l’accusa di essere troppo imparziali nel conflitto con i Palestinesi, mentre invece, secondo Israele, questi ultimi sarebbero  dei “terroristi”, da sterminarsi semplicemente, senza curarsi del diritto internazionale umanitario. I Caschi Blu dovrebbero quindi farsi da parte in seguito a semplici intimazioni dell’Esercito Israeliano (che, tra l’altro, non si capisce perché improvvisamente sia diventato per tutti “IDF”, all’Americana, anziché, in Ebraico, “Tsahal”), e, in caso contrario, rassegnarsi ad essere cannoneggiati. Come se non bastasse, lo stesso Segretario Generale dell’ ONU viene praticamente messo al bando da Israele, immemore del fatto che la sua stessa creazione era stata opera dell’ ONU.

Non che le critiche di Israele siano del tutto infondate. L’inasprirsi della crisi dimostra la debolezza della funzione di “Peace-Keeping” internazionale, ma ciò non è ”colpa” di nessuno:  è la Post-Modernità che, qui come altrove, mette a nudo le contraddizioni della Modernità, due fra le quali riguardano, tra l’altro, proprio Israele e l’ ONU. Su Israele c’è da chiedersi se sia veramente, come pretendeva Herzl, uno “Stato laico”, nel qual caso non si comprenderebbe tutta quest’ansia di ristabilire i confini biblici (Yisrael ha-Shelomah), di ricostruire il Tempio e di usare la Torah come unica vera Costituzione. D’altronde, visto che Israele non è una “razza” bensì un “popolo” etno-culturale,  esso non esisterebbe nemmeno se non ci fossero la Bibbia e la sua lingua. Di converso, i Neturei Karta combattono l’idea di uno Stato ebraico nel tempo presente (tempo che ritengono ancora di esilio), poiché ritengono contrario all’autentica tradizione religiosa ebraica lo  stabilirlo senza aspettare che Erets Israel venga esplicitamente donata dall’Altissimo.  Pertanto, la pretesa sionista di costituire uno “Stato ebraico laico” sarebbe semplicemente l’ennesima  “hybris” di alcuni eresiarchi, né più né meno di quella dei “Costruttori di Dio” cristiani o dei Baha’i persiani (che, guarda caso, hanno sede proprio in Israele): un’ennesima manifestazione di quella “religione secolarizzata” che è al centro della Modernità.

Queste religioni secolarizzate, che, con Lessing, pretendono di realizzare sulla terra le promesse escatologiche delle religioni tradizionali, paradossalmente, in ossequio all’Eterogenesi dei Fini, mentre propugnano la Pace Perpetua, stanno trasformando le religioni in strumenti di lotta fra le diverse parti del mondo (Singularity contro  Tradizione; Hindutva contro Shari’a), perché, abbandonate le pretese di salvezza individuale,  sono divenute semplicemente la divinizzazione della volontà di potenza dei singoli Stati-Civiltà. Del resto, anche il Puritanesimo è una versione secolarizzata del Protestantesimo, così come la il “socialismo islamico” lo è dell’Islam. L’ accusa di “integralismo”rivolta tradizionalmente alle versioni “conservatrici” (“quietiste”) delle singole religioni, si rivela invece adeguata solo alle loro emulazioni laicistiche, come la “religione dell’ umanità di Saint Simon, il Sionismo e la “Nazione dell’ Islam”, camuffamenti dell’espansionismo di popoli che si pretendono “superiori”.

Di qui anche la sterilità delle Chiese ufficiali ( succubi neppur troppo copertamente di quelle religioni secolarizzate), le quali continuano a predicare la pace senza più trovare argomenti concreti a favore della stessa.

Ma  contraddittoria è anche la natura stessa dell’ ONU, nata proprio dalla pretesa del progressismo puritano, espressa alla sua fondazione da Eleanor Roosevelt, di imporre la Pace Perpetua. Tale pace perpetua avrebbe costituito il suggello del progetto messianico americano quale espresso da Winthrop, Cotton Mather, Emerson, Whitman, Friske e Wilkie. Non per nulla il Palazzo di Vetro è situato nel cuore di Manhattan, sotto il completo controllo dell’America. La Seconda Guerra Mondiale sarebbe stata l’ ultima delle guerre perchè poi tutto il mondo sarebbe stato diretto dalla “ragnatela delle istituzioni dirette da Washington”(cfr. Ikenberry).

Sono stati i fatti stessi a ribellarsi a questa proteiforme “hybris”. I conflitti attualmente in corso non sono nati ieri, bensì parecchi millenni fa, e continuano a riproporsi sempre negli stessi termini: l’uno, lungo fra il Don, il Donetz e il Dniepr, fra i popoli indo-europei e turcici dei Kurgan e delle steppe, e, l’altro, fra “Il Fiume d’ Egitto” e l’Eufrate, fra popoli semitici e hamitici dei deserti. Dietro a tutto ciò ci sono, da un lato, la “Distinzione mosaica” (fra Vero e Falso, cfr. Jan Assmann), dall’ altro la pretesa di tutti i contendenti d’incarnare una divina volontà di pace e giustizia, che trae le proprie radici dal mondo antico, e precisamente da quella Persia (Eranshahr) che è oggi il vero antagonista di Israele (perché entrambi perseguono la stessa utopia).  Ed è fra Egitto, Persia e Palestina che nasce la pretesa millenarista. Questi destini sono stati configurati dalla geografia: sono  collocati ai punti di passaggio obbligati fra l’Asia e, da un lato, l’Europa, e, dall’ altro l’Africa, che tutti i contendenti pretendono di tenere sotto il proprio controllo. Le illusioni postmoderne di risolverli “con una bacchetta magica” in base a formule astratte sta scontrandosi con la realtà, e la sta perfino peggiorando.

La sopravvivenza dell’Umanità è stata uno degli obiettivi di base di ogni cultura. Nel mondo moderno iperconnesso, quest’obiettivo richiede uno sforzo congiunto di tutti i popoli. Nel mondo ipertecnologico delle Macchine Intelligenti, senza questo sforzo è assicurata la Fine dell’Uomo: come aveva riconosciuto Kant, la Pace Perpetua si rivela come un grande cimitero.

Per questo, a partire dal Sacro Romano Impero e dal re hussita  Podiebrad, e poi via via attraverso Postel, Crucé, Saint-Pierre, Pufendorf, Novalis, Nicola II, Coudenhove Kalergi, Wilson,  Spinelli, si è venuta configurando una teoria delle organizzazioni internazionali. Teoria che comunque non indica  alcun antidoto all’ incombente mortalità del cosmo, dell’ Umanità e delle civiltà. Anche alla luce dell’ esperienza, occorre ora perciò un approccio più realistico, secondo cui la Storia non finirà con un evento taumaturgico, bensì presumibilmente con il suicidio dell’ Umanità (vedi bomba atomica, Singularity, Terza Guerra Mondiale, surriscaldamento atmosferico, denatalità), e perciò il nostro compito ragionevole è, nella migliore delle ipotesi, “salvare il Cosmo”, almeno  finché sarà possibile (il Katèchon), e per il resto attendere la Fine, che, secondo la tradizione cristiana, “verrà come un ladro nella notte”. L’ebraismo ha un’eccezionale espressione a questo proposito: “Tikkun ha-Olam” (“riparare il mondo”), che non è l’impossibile “Raddrizzare il legno storto dell’ Umanità” (Kant, Berlin), bensì si apparenta a quella quotidiana ricostruzione del Divino attraverso i Riti di cui parla anche Eliade.

1.Il Paese degli Ariani (Iran)

L’eternità delle guerre in corso è dimostrato dalle vicende (pre-istoriche, storiche e post-istoriche) delle tre aree in questione: la Persia, la  Palestina e le Steppe Pontiche.

Una delle opere  che più hanno inciso sulla formazione della cultura postmoderna è il “Così parlò Zarathustra” di Nietzsche, sconcertante, da un lato, perché è talmente ben costruito, da poter rappresentare, letterariamente, e perfino linguisticamente, quasi un “sequel” del  Zand i Bahman Yasn, il principale libro sacro zoroastriano, ma, dall’ altro, perché costituisce una sorta d’implicita ritrattazione della dottrina zoroastriana di una lotta cosmica fra un Dio del Male e un Dio del Bene, quest’ultimo rappresentato sulla terra dal sovrano achemenide.

Lo zoroastrismo rappresenterà così il modello prototipico del messianesimo ebraico e degl’imperi provvidenziali  cristiani e islamici successivi. Non per nulla la nascita di Cristo è salutata, per primi, “nella pienezza dei Tempi”, dai Re Magi. I Persiani zoroastriani sconfiggeranno  e imprigioneranno l’imperatore romano Valeriano, per poi essere a loro volta sconfitti dalle armate islamiche. C’è  anche da chiedersi in che misura l’idea di Jihad, così centrale nell’ Islam, non sia che un’eredità della guerra santa dell’imperatore persiano contro Angra Mayniu. Del resto, uno dei compagni di Maometto era il “Principe di Persia”. La Persia ha mantenuto il proprio spirito  antagonistico alimentando sette islamiche rivoluzionarie, come gli Shi’iti, i Carmati e gli Assassini, e varie religioni post-zoroastriane, come il Manicheismo, il Mazdakisno e il Paulicianesimo (poi reincarnatosi in Europa nel Bogumilismo e nel Catarismo) Più recentemente, la Persia ha generato nuove sette molto inclini al Technological Sublime, come i Baha’i, e, dentro l’Islam, gli Hojjatiyye.

I Persiani continueranno a costituire un elemento di disordine nel Medio Oriente, poiché, memori  di quelle antiche glorie, ambiscono ancor sempre a dominarlo, se non altro culturalmente, con la loro letteratura e le influenze delle loro lingue, e perciò non accettano l’egemonia culturale, né dell’ Occidente, né degli Arabi, né dei Sunniti, né di Israele. La rivoluzione khomeinista, che si presentò come alternativa al mondo islamico sunnita, continua dunque la tradizione messianica e rivoluzionaria dello zoroastrismo, per altro ancora vivo e vegeto nel Paese, e spesso richiamato dai dissidenti anti-khomeinisti.

Ma i veri eredi dello Zoroastrismo sono i progressisti occidentali, i quali hanno trasfuso nel progressismo laicista l’enfasi posta dai Persiani nell’Apocalisse, intesa come conquista del mondo da parte di un Salvatore (Shaoshant) sotto la guida di Ahura Mazda, e la conseguente vittoria del Bene Assoluto sul Male Assoluto. D’altronde, gli Hojjatiyye considerano l’invenzione di Internet come un segno dell’avvicinarsi dell’avvento del Mahdi.

Invece, le cosiddette “autocrazie”, nemiche dell’ Occidente progressista, sono  i veri epigoni culturali degli antichi Greci, in quanto culture tragiche, belliciste e aristocratiche sul modello degli Spartani delle Termopili, a cui  sembrano ispirati i vari al-Qaida, ISIS, Hamas e Hezbollah, con i loro leaders che cercano la morte gloriosa in battaglia. Significativamente, come racconta Erodoto, il generale persiano Mardonio, dopo avere represso la rivolta della Ionia, impone alle poleis locali d’instaurare governi democratici in sostituzione di quelli aristocratici che si erano ribellati alla Persia.

2.Peleset, Peleshtim, Filastin

Sin dall’antichità l’egemonia degli Hyksos venne identificata con il soggiorno in Egitto degli Ebrei, e, in particolare, con le storie bibliche di Giuseppe e Mosè. Gli Hyksos (Heka khasut, cioè “i capi di un Paese straniero” )giunsero in Egitto  attorno al 1700 a.C.,  portandovi il   cavallo e il carro da guerra.

Dopo l’Esodo dall’Egitto, cominciava la conquista di Cana’an da parte del popolo ebraico. I “Revisionisti Israeliani” (p.es., Finkielkraut) sostengono che una vera e propria “Conquista di Canaan” intesa come grande campagna militare, non è mai avvenuta, e si è invece trattato di un graduale spostamento di popoli, dalle rive del Mare Mediterraneo, alle colline della Palestina. Sia come sia, si era sviluppata comunque di una guerriglia continua, a cui ben si confanno le descrizioni contenute in tutta la Bibbia, per altro facilmente sovrapponibili a quelle attuali di Gaza, della Cisgiordania e del Libano:“due dei figli di Giacobbe, Simeone e Levi, fratelli di Dina, presero ciascuno la propria spada, assalirono la città che si riteneva sicura, e uccisero tutti i maschi.” – “Passarono a fil di spada anche Camor e suo figlio Sichem, presero Dina dalla casa di Sichem, e uscirono.” – “I figli di Giacobbe si gettarono sugli uccisi e saccheggiarono la città, perché la loro sorella era stata disonorata” – “presero le loro greggi, i loro armenti, i loro asini, quanto era nella città e nei campi.” – “Portarono via come bottino tutte le loro ricchezze, tutti i loro bambini, le loro mogli e tutto quello che si trovava nelle case….“

Queste vicende ricalcano inoltre quella della Guerra di Troia, narrata dalla letteratura greca, e quelle documentate nei monumenti dei sovrani mesopotamici e nei poemi ittiti, hurritici e mitannici.

Il meccanismo è sempre lo stesso: Dio, attraverso i profeti, incita il popolo ebraico a conquistare le diverse città di Canaan, sterminandone gli abitanti. La scena si ripete all’ infinito. Vengono menzionati infiniti popoli e città: Amalek; Og; Sicon; Madian;Gerico ; Ai; Gabaon; Machedda; Libna;Eglon; Ebron;Debir;i Ferezei;Gerusalemme;Sefat;Moav;Succot;Lais; i Filistei;Ammon;Galgala;gli Aramei;i Siriani;Tifsach…

Tutto ciò è confermato dalle Lettere di Tell el-Amarna, che dimostrano come le città cananee si lamentassero con il Faraone degli attacchi di popolazioni barbare, che essi definivano come “Habiru” o “Jahu.”

Sulla Stele di Merneptah ( 1200 circa a.C.), è narrato l’esito vittorioso di una spedizione militare, al seguito della quale :”Ysyrỉ3r fk.t;bn      pr.t =f” (“Ysrỉr è desolato;il seme suo non c’è”)

Da vari studiosi moderni, Ysrỉr viene identificato con Israele. Si tratterebbe pertanto della prima testimonianza storica relativa al popolo ebraico. Il nome Ysrỉr non è accompagnato, come accade per le città o stati presenti nella lista, dall’ideogramma raffigurante tre montagne stilizzate indicante un regno. L’ideogramma associato invece, un uomo e una donna, indica una popolazione di natura nomade.Invece, i Palestinesi (Filistei, Peleset, Peleshtim, Filastin), sono spesso identificati con uno dei  Popoli del Mare che vediamo sbarcare sulla parete del tempio di Medinet Habu , Sherden, Sheklesh, Ekwesh .

Questa conflittualità ricorrente  ricorda i tentativi egemonici attribuiti dalla Bibbia ai regni di Davide e Salomone, le invasioni babilonesi, assire, persiane e macedoni, fino alle Guerre Giudaiche e all’inizio della Diaspora.

Di non minore importanza, per il Levante, le, questa volta documentatissime, Crociate volte a riconquistare la Terra Santa dal dominio islamico, le quali che durarono circa 600 anni. La prima (1096-1099) permise di istituire i primi quattro Stati crociati: la Contea di Edessa, il Principato di Antiochia, il Regno di Gerusalemme e la Contea di Tripoli. A livello popolare, essa scatenò un’ondata di rabbia cattolica che si espresse nei massacri degli ebrei  e il violento trattamento dei cristiani ortodossi “scismatici” dell’est.

La protezione dei Cristiani in Terrasanta costituì poi il pretesto per la Guerra di Crimea, e il Libano è stato anch’esso oggetto di violente dispute fra comunità religiose, che hanno portato a varie guerre civili (cfr. infra).

Infine, la stessa  nascita dello Stato di Israele si inserisce in un piano di destabilizzazione del Medio Oriente dopo la sconfitta dell’Impero Ottomano, posto in essere da Francia e Inghilterra con gli Accordi Sykes/Picot, piano che non ha ancora cessato di esercitare i suoi effetti perversi.

3.Le steppe pontiche (u-Krajine=sulla frontiera)

La cultura “Jamnaja” (“delle tombe a pozzo”)  si colloca fra una fase tarda dell’età del rame e l’inizio  dell’età del bronzo, nella regione  fra il Bug e il Dnestr e gli Urali (la steppa pontica), in un periodo che va dal XXXVI al XXIII secolo a.C.. Si ritiene che gli Jamnaja siano stati i primi domesticatori di cavalli per uso di trasporto cavaliere e di carri con ruote, che avevano facilitato gli spostamenti e diffuso questa tecnologia. I resti del più arcaico carro con ruote trainato da cavalli, sono stati trovati nel kurgan della “Storožova mohyla” (Dniepropetrovsk, oggi Dniprò”), in Ucraina. Il sito sacrificale di Luhansk (Lugansk, nel Donbass, al centro degli attuali combattimenti) recentemente scoperto, è stato descritto come un santuario collinare dove si praticavano sacrifici umani..

Anche grazie ai cavalli, gli Jamnaja furono un popolo particolarmente guerriero e conquistatore (gli “Ariani”), che si espanse rapidamente tanto in Europa, quanto in Asia. Dopo di essi, attraversarono le steppe pontiche Sciti, Sarmati, Unni, Avari, Bulgari, Khazari, Peceneghi .Questi ultimi sono i  Polovesiani (Polovcy), di cui narra il Canto del Principe Igor (anno 1080)e a cui sono dedicate le “Danze Polovesiane”.

Dopo secoli di combattimenti che coinvolsero  molti popoli dell’ area -Bizantini, Bulgari, Rus’ di Kiev, Cazari e Magiari-,nel XIII Secolo,l’Impero Mongolo conquistò, fa le altre cose, le attuali Ucraina e Russia. Una delle principali battaglie per la liberazione delle stesse fu la Battaglia di Kulikovo, sul Don, sotto la guida di Dmitri Donskoj, nel 1378.

L’Ucraina fece poi parte di quella serie di fortificazioni al confine con l’ Impero Ottomano (che andavano dell’ Impero austriaco, della Polonia e della Russia) dette Krajine (confini). Esse furono custodite da guerrieri di origini internazionali (Giannizzeri, Granicari, Graenzer, Serbi, Hajduk, Honved, Karaim, Lipka Tatarlar). Nell’ attuale Ucraina, essi si chiamarono Cosacchi, da un termine turco che significa “cavalieri delle steppe”, e la Krajina polacca e russa si chiamò “Ukrajina”. Il suo cuore era costituito dalle fortezze sul Dniepr (Zaporishkaja Sich). Si combatté in quest’area fra Cosacchi, Turchi, Polacchi, Svedesi e Russi. Vi furono anche due importanti rivolte di Cosacchi: quella di Stenka Razin e quella di Pugaciov.

La Guerra di Crimea costituì uno snodo fondamentale della storia europea, come testimonia il suo ruolo  nella unificazione italiana, vedendo essa la nascita di una coalizione antirussa a cui partecipò il Regno di Sardegna, anticipatrice dell’ attuale “Kollektiv Zapada”, che contende alla Russia l’egemonia sulla Europa Orientale.

Durante la Guerra Civile Russa, l’Oriente dell’ Ucraina fu sede della repubblica di Kharkiv,  dell’ effimero Stato “bianco” di Denikin, della repubblica anarchica di Makhnò e di quelle sovietiche del Donbass e Krivoj Rog. Successivamente alla vittoria sovietica, quelle regioni patirono in modo particolare l’Holodomor (la carestia nella Russia Meridionale), e la “campagna di dekulakizzazione”.

L’invasione e la spartizione della Polonia dopo il Patto Molotov Ribbentrop comportò lo scatenamento della guerra in tutta la regione pontica. Bandera e l’UPA, addestrati a Praga sotto l’egida di Rosenberg,  entrarono a Leopoli in divise naziste, proclamando lo Stato indipendente ucraino, a cui si riallaccia l’attuale narrativa “nazionale” ucraina.

La battaglia di Stalingrado, decisiva per le sorti del conflitto, si svolse precisamente all’ incontro fra Don e Volga. L’area fra il Dniepr e il Volga fu il centro di fondamentali combattimenti fra l’Esercito Tedesco, spalleggiato da truppe italiane, rumene, ungheresi, francesi, slovacche, croate, e scandinave e da volontari anticomunisti di tutta Europa, dei Paesi arabi, dell’Asia Centrale e dell’India, e, dall’ altra, l’Armata Rossa.

La resa di von Paulus a Stalingrado e la “ritirata di Russia” delle truppe dell’Asse segnarono l’inizio della sconfitta di Hitler.

Su tutto questo si può consultare il nostro libro “Ucraina no a un’inutile strage”.

Per tutto quanto precede, ci sembra che sarebbe impossibile stupirsi dell’attuale guerra, che, a sua volta, dura oramai da 10 anni.Ha suscitato giustamente scalpore il fatto che Israele  abbia attaccato ripetutamente e deliberatamente le basi UNIFIL sotto il comando italiano, provocando tra l’altro gravi ferimenti di Caschi Blu – un’azione che il Ministro della Difesa Crosetto ha giustamente definito come “crimine di guerra”-.

questi, il più pernicioso è stato quello relativo alla presunta  “imminenza della Pace Perpetua”, veicolato dalla retorica delle Organizzazioni Internazionali e dell’ Unione Europea.

Mentre le Nazioni Unite  hanno appena fatto il punto sulla loro pretenziosa Agenda 2030, esse si vedono addirittura attaccate militarmente da uno dei propri membri, che l’accusa di essere troppo imparziali nel conflitto con i Palestinesi, mentre invece, secondo Israele, questi ultimi sarebbero  dei “terroristi”, da sterminarsi semplicemente, senza curarsi del diritto internazionale umanitario. I Caschi Blu dovrebbero quindi farsi da parte in seguito a semplici intimazioni dell’Esercito Israeliano (che, tra l’altro, non si capisce perché improvvisamente sia diventato per tutti “IDF”, all’Americana, anziché, in Ebraico, “Tsahal”), e, in caso contrario, rassegnarsi ad essere cannoneggiati. Come se non bastasse, lo stesso Segretario Generale dell’ ONU viene praticamente messo al bando da Israele, immemore del fatto che la sua stessa creazione era stata opera dell’ ONU.

Non che le critiche di Israele siano del tutto infondate. L’inasprirsi della crisi dimostra la debolezza della funzione di “Peace-Keeping” internazionale, ma ciò non è ”colpa” di nessuno:  è la Post-Modernità che, qui come altrove, mette a nudo le contraddizioni della Modernità, due fra le quali riguardano, tra l’altro, proprio Israele e l’ ONU. Su Israele c’è da chiedersi se sia veramente, come pretendeva Herzl, uno “Stato laico”, nel qual caso non si comprenderebbe tutta quest’ansia di ristabilire i confini biblici (Yisrael ha-Shelomah), di ricostruire il Tempio e di usare la Torah come unica vera Costituzione. D’altronde, visto che Israele non è una “razza” bensì un “popolo” etno-culturale,  esso non esisterebbe nemmeno se non ci fossero la Bibbia e la sua lingua. Di converso, i Neturei Karta combattono l’idea di uno Stato ebraico nel tempo presente (tempo che ritengono ancora di esilio), poiché ritengono contrario all’autentica tradizione religiosa ebraica lo  stabilirlo senza aspettare che Erets Israel venga esplicitamente donata dall’Altissimo.  Pertanto, la pretesa sionista di costituire uno “Stato ebraico laico” sarebbe semplicemente l’ennesima  “hybris” di alcuni eresiarchi, né più né meno di quella dei “Costruttori di Dio” cristiani o dei Baha’i persiani (che, guarda caso, hanno sede proprio in Israele): un’ennesima manifestazione di quella “religione secolarizzata” che è al centro della Modernità.

Queste religioni secolarizzate, che, con Lessing, pretendono di realizzare sulla terra le promesse escatologiche delle religioni tradizionali, paradossalmente, in ossequio all’Eterogenesi dei Fini, mentre propugnano la Pace Perpetua, stanno trasformando le religioni in strumenti di lotta fra le diverse parti del mondo (Singularity contro  Tradizione; Hindutva contro Shari’a), perché, abbandonate le pretese di salvezza individuale,  sono divenute semplicemente la divinizzazione della volontà di potenza dei singoli Stati-Civiltà. Del resto, anche il Puritanesimo è una versione secolarizzata del Protestantesimo, così come la il “socialismo islamico” lo è dell’Islam. L’ accusa di “integralismo”rivolta tradizionalmente alle versioni “conservatrici” (“quietiste”) delle singole religioni, si rivela invece adeguata solo alle loro emulazioni laicistiche, come la “religione dell’ umanità di Saint Simon, il Sionismo e la “Nazione dell’ Islam”, camuffamenti dell’espansionismo di popoli che si pretendono “superiori”.

Di qui anche la sterilità delle Chiese ufficiali ( succubi neppur troppo copertamente di quelle religioni secolarizzate), le quali continuano a predicare la pace senza più trovare argomenti concreti a favore della stessa.

Ma  contraddittoria è anche la natura stessa dell’ ONU, nata proprio dalla pretesa del progressismo puritano, espressa alla sua fondazione da Eleanor Roosevelt, di imporre la Pace Perpetua. Tale pace perpetua avrebbe costituito il suggello del progetto messianico americano quale espresso da Winthrop, Cotton Mather, Emerson, Whitman, Friske e Wilkie. Non per nulla il Palazzo di Vetro è situato nel cuore di Manhattan, sotto il completo controllo dell’America. La Seconda Guerra Mondiale sarebbe stata l’ ultima delle guerre perchè poi tutto il mondo sarebbe stato diretto dalla “ragnatela delle istituzioni dirette da Washington”(cfr. Ikenberry).

Sono stati i fatti stessi a ribellarsi a questa proteiforme “hybris”. I conflitti attualmente in corso non sono nati ieri, bensì parecchi millenni fa, e continuano a riproporsi sempre negli stessi termini: l’uno, lungo fra il Don, il Donetz e il Dniepr, fra i popoli indo-europei e turcici dei Kurgan e delle steppe, e, l’altro, fra “Il Fiume d’ Egitto” e l’Eufrate, fra popoli semitici e hamitici dei deserti. Dietro a tutto ciò ci sono, da un lato, la “Distinzione mosaica” (fra Vero e Falso, cfr. Jan Assmann), dall’ altro la pretesa di tutti i contendenti d’incarnare una divina volontà di pace e giustizia, che trae le proprie radici dal mondo antico, e precisamente da quella Persia (Eranshahr) che è oggi il vero antagonista di Israele (perché entrambi perseguono la stessa utopia).  Ed è fra Egitto, Persia e Palestina che nasce la pretesa millenarista. Questi destini sono stati configurati dalla geografia: sono  collocati ai punti di passaggio obbligati fra l’Asia e, da un lato, l’Europa, e, dall’ altro l’Africa, che tutti i contendenti pretendono di tenere sotto il proprio controllo. Le illusioni postmoderne di risolverli “con una bacchetta magica” in base a formule astratte sta scontrandosi con la realtà, e la sta perfino peggiorando.

La sopravvivenza dell’Umanità è stata uno degli obiettivi di base di ogni cultura. Nel mondo moderno iperconnesso, quest’obiettivo richiede uno sforzo congiunto di tutti i popoli. Nel mondo ipertecnologico delle Macchine Intelligenti, senza questo sforzo è assicurata la Fine dell’Uomo: come aveva riconosciuto Kant, la Pace Perpetua si rivela come un grande cimitero.

Per questo, a partire dal Sacro Romano Impero e dal re hussita  Podiebrad, e poi via via attraverso Postel, Crucé, Saint-Pierre, Pufendorf, Novalis, Nicola II, Coudenhove Kalergi, Wilson,  Spinelli, si è venuta configurando una teoria delle organizzazioni internazionali. Teoria che comunque non indica  alcun antidoto all’ incombente mortalità del cosmo, dell’ Umanità e delle civiltà. Anche alla luce dell’ esperienza, occorre ora perciò un approccio più realistico, secondo cui la Storia non finirà con un evento taumaturgico, bensì presumibilmente con il suicidio dell’ Umanità (vedi bomba atomica, Singularity, Terza Guerra Mondiale, surriscaldamento atmosferico, denatalità), e perciò il nostro compito ragionevole è, nella migliore delle ipotesi, “salvare il Cosmo”, almeno  finché sarà possibile (il Katèchon), e per il resto attendere la Fine, che, secondo la tradizione cristiana, “verrà come un ladro nella notte”. L’ebraismo ha un’eccezionale espressione a questo proposito: “Tikkun ha-Olam” (“riparare il mondo”), che non è l’impossibile “Raddrizzare il legno storto dell’ Umanità” (Kant, Berlin), bensì si apparenta a quella quotidiana ricostruzione del Divino attraverso i Riti di cui parla anche Eliade.

1.Il Paese degli Ariani (Iran)

L’eternità delle guerre in corso è dimostrato dalle vicende (pre-istoriche, storiche e post-istoriche) delle tre aree in questione: la Persia, la  Palestina e le Steppe Pontiche.

Una delle opere  che più hanno inciso sulla formazione della cultura postmoderna è il “Così parlò Zarathustra” di Nietzsche, sconcertante, da un lato, perché è talmente ben costruito, da poter rappresentare, letterariamente, e perfino linguisticamente, quasi un “sequel” del  Zand i Bahman Yasn, il principale libro sacro zoroastriano, ma, dall’ altro, perché costituisce una sorta d’implicita ritrattazione della dottrina zoroastriana di una lotta cosmica fra un Dio del Male e un Dio del Bene, quest’ultimo rappresentato sulla terra dal sovrano achemenide.

Lo zoroastrismo rappresenterà così il modello prototipico del messianesimo ebraico e degl’imperi provvidenziali  cristiani e islamici successivi. Non per nulla la nascita di Cristo è salutata, per primi, “nella pienezza dei Tempi”, dai Re Magi. I Persiani zoroastriani sconfiggeranno  e imprigioneranno l’imperatore romano Valeriano, per poi essere a loro volta sconfitti dalle armate islamiche. C’è  anche da chiedersi in che misura l’idea di Jihad, così centrale nell’ Islam, non sia che un’eredità della guerra santa dell’imperatore persiano contro Angra Mayniu. Del resto, uno dei compagni di Maometto era il “Principe di Persia”. La Persia ha mantenuto il proprio spirito  antagonistico alimentando sette islamiche rivoluzionarie, come gli Shi’iti, i Carmati e gli Assassini, e varie religioni post-zoroastriane, come il Manicheismo, il Mazdakisno e il Paulicianesimo (poi reincarnatosi in Europa nel Bogumilismo e nel Catarismo) Più recentemente, la Persia ha generato nuove sette molto inclini al Technological Sublime, come i Baha’i, e, dentro l’Islam, gli Hojjatiyye.

I Persiani continueranno a costituire un elemento di disordine nel Medio Oriente, poiché, memori  di quelle antiche glorie, ambiscono ancor sempre a dominarlo, se non altro culturalmente, con la loro letteratura e le influenze delle loro lingue, e perciò non accettano l’egemonia culturale, né dell’ Occidente, né degli Arabi, né dei Sunniti, né di Israele. La rivoluzione khomeinista, che si presentò come alternativa al mondo islamico sunnita, continua dunque la tradizione messianica e rivoluzionaria dello zoroastrismo, per altro ancora vivo e vegeto nel Paese, e spesso richiamato dai dissidenti anti-khomeinisti.

Ma i veri eredi dello Zoroastrismo sono i progressisti occidentali, i quali hanno trasfuso nel progressismo laicista l’enfasi posta dai Persiani nell’Apocalisse, intesa come conquista del mondo da parte di un Salvatore (Shaoshant) sotto la guida di Ahura Mazda, e la conseguente vittoria del Bene Assoluto sul Male Assoluto. D’altronde, gli Hojjatiyye considerano l’invenzione di Internet come un segno dell’avvicinarsi dell’avvento del Mahdi.

Invece, le cosiddette “autocrazie”, nemiche dell’ Occidente progressista, sono  i veri epigoni culturali degli antichi Greci, in quanto culture tragiche, belliciste e aristocratiche sul modello degli Spartani delle Termopili, a cui  sembrano ispirati i vari al-Qaida, ISIS, Hamas e Hezbollah, con i loro leaders che cercano la morte gloriosa in battaglia. Significativamente, come racconta Erodoto, il generale persiano Mardonio, dopo avere represso la rivolta della Ionia, impone alle poleis locali d’instaurare governi democratici in sostituzione di quelli aristocratici che si erano ribellati alla Persia.

2.Peleset, Peleshtim, Filastin

Sin dall’antichità l’egemonia degli Hyksos venne identificata con il soggiorno in Egitto degli Ebrei, e, in particolare, con le storie bibliche di Giuseppe e Mosè. Gli Hyksos (Heka khasut, cioè “i capi di un Paese straniero” )giunsero in Egitto  attorno al 1700 a.C.,  portandovi il   cavallo e il carro da guerra.

Dopo l’Esodo dall’Egitto, cominciava la conquista di Cana’an da parte del popolo ebraico. I “Revisionisti Israeliani” (p.es., Finkielkraut) sostengono che una vera e propria “Conquista di Canaan” intesa come grande campagna militare, non è mai avvenuta, e si è invece trattato di un graduale spostamento di popoli, dalle rive del Mare Mediterraneo, alle colline della Palestina. Sia come sia, si era sviluppata comunque di una guerriglia continua, a cui ben si confanno le descrizioni contenute in tutta la Bibbia, per altro facilmente sovrapponibili a quelle attuali di Gaza, della Cisgiordania e del Libano:“due dei figli di Giacobbe, Simeone e Levi, fratelli di Dina, presero ciascuno la propria spada, assalirono la città che si riteneva sicura, e uccisero tutti i maschi.” – “Passarono a fil di spada anche Camor e suo figlio Sichem, presero Dina dalla casa di Sichem, e uscirono.” – “I figli di Giacobbe si gettarono sugli uccisi e saccheggiarono la città, perché la loro sorella era stata disonorata” – “presero le loro greggi, i loro armenti, i loro asini, quanto era nella città e nei campi.” – “Portarono via come bottino tutte le loro ricchezze, tutti i loro bambini, le loro mogli e tutto quello che si trovava nelle case….“

Queste vicende ricalcano inoltre quella della Guerra di Troia, narrata dalla letteratura greca, e quelle documentate nei monumenti dei sovrani mesopotamici e nei poemi ittiti, hurritici e mitannici.

Il meccanismo è sempre lo stesso: Dio, attraverso i profeti, incita il popolo ebraico a conquistare le diverse città di Canaan, sterminandone gli abitanti. La scena si ripete all’ infinito. Vengono menzionati infiniti popoli e città: Amalek; Og; Sicon; Madian;Gerico ; Ai; Gabaon; Machedda; Libna;Eglon; Ebron;Debir;i Ferezei;Gerusalemme;Sefat;Moav;Succot;Lais; i Filistei;Ammon;Galgala;gli Aramei;i Siriani;Tifsach…

Tutto ciò è confermato dalle Lettere di Tell el-Amarna, che dimostrano come le città cananee si lamentassero con il Faraone degli attacchi di popolazioni barbare, che essi definivano come “Habiru” o “Jahu.”

Sulla Stele di Merneptah ( 1200 circa a.C.), è narrato l’esito vittorioso di una spedizione militare, al seguito della quale :”Ysyrỉ3r fk.t;bn      pr.t =f” (“Ysrỉr è desolato;il seme suo non c’è”)

Da vari studiosi moderni, Ysrỉr viene identificato con Israele. Si tratterebbe pertanto della prima testimonianza storica relativa al popolo ebraico. Il nome Ysrỉr non è accompagnato, come accade per le città o stati presenti nella lista, dall’ideogramma raffigurante tre montagne stilizzate indicante un regno. L’ideogramma associato invece, un uomo e una donna, indica una popolazione di natura nomade.Invece, i Palestinesi (Filistei, Peleset, Peleshtim, Filastin), sono spesso identificati con uno dei  Popoli del Mare che vediamo sbarcare sulla parete del tempio di Medinet Habu , Sherden, Sheklesh, Ekwesh .

Questa conflittualità ricorrente  ricorda i tentativi egemonici attribuiti dalla Bibbia ai regni di Davide e Salomone, le invasioni babilonesi, assire, persiane e macedoni, fino alle Guerre Giudaiche e all’inizio della Diaspora.

Di non minore importanza, per il Levante, le, questa volta documentatissime, Crociate volte a riconquistare la Terra Santa dal dominio islamico, le quali che durarono circa 600 anni. La prima (1096-1099) permise di istituire i primi quattro Stati crociati: la Contea di Edessa, il Principato di Antiochia, il Regno di Gerusalemme e la Contea di Tripoli. A livello popolare, essa scatenò un’ondata di rabbia cattolica che si espresse nei massacri degli ebrei  e il violento trattamento dei cristiani ortodossi “scismatici” dell’est.

La protezione dei Cristiani in Terrasanta costituì poi il pretesto per la Guerra di Crimea, e il Libano è stato anch’esso oggetto di violente dispute fra comunità religiose, che hanno portato a varie guerre civili (cfr. infra).

Infine, la stessa  nascita dello Stato di Israele si inserisce in un piano di destabilizzazione del Medio Oriente dopo la sconfitta dell’Impero Ottomano, posto in essere da Francia e Inghilterra con gli Accordi Sykes/Picot, piano che non ha ancora cessato di esercitare i suoi effetti perversi.

3.Le steppe pontiche (u-Krajine=sulla frontiera)

La cultura “Jamnaja” (“delle tombe a pozzo”)  si colloca fra una fase tarda dell’età del rame e l’inizio  dell’età del bronzo, nella regione  fra il Bug e il Dnestr e gli Urali (la steppa pontica), in un periodo che va dal XXXVI al XXIII secolo a.C.. Si ritiene che gli Jamnaja siano stati i primi domesticatori di cavalli per uso di trasporto cavaliere e di carri con ruote, che avevano facilitato gli spostamenti e diffuso questa tecnologia. I resti del più arcaico carro con ruote trainato da cavalli, sono stati trovati nel kurgan della “Storožova mohyla” (Dniepropetrovsk, oggi Dniprò”), in Ucraina. Il sito sacrificale di Luhansk (Lugansk, nel Donbass, al centro degli attuali combattimenti) recentemente scoperto, è stato descritto come un santuario collinare dove si praticavano sacrifici umani..

Anche grazie ai cavalli, gli Jamnaja furono un popolo particolarmente guerriero e conquistatore (gli “Ariani”), che si espanse rapidamente tanto in Europa, quanto in Asia. Dopo di essi, attraversarono le steppe pontiche Sciti, Sarmati, Unni, Avari, Bulgari, Khazari, Peceneghi .Questi ultimi sono i  Polovesiani (Polovcy), di cui narra il Canto del Principe Igor (anno 1080)e a cui sono dedicate le “Danze Polovesiane”.

Dopo secoli di combattimenti che coinvolsero  molti popoli dell’ area -Bizantini, Bulgari, Rus’ di Kiev, Cazari e Magiari-,nel XIII Secolo,l’Impero Mongolo conquistò, fa le altre cose, le attuali Ucraina e Russia. Una delle principali battaglie per la liberazione delle stesse fu la Battaglia di Kulikovo, sul Don, sotto la guida di Dmitri Donskoj, nel 1378.

L’Ucraina fece poi parte di quella serie di fortificazioni al confine con l’ Impero Ottomano (che andavano dell’ Impero austriaco, della Polonia e della Russia) dette Krajine (confini). Esse furono custodite da guerrieri di origini internazionali (Giannizzeri, Granicari, Graenzer, Serbi, Hajduk, Honved, Karaim, Lipka Tatarlar). Nell’ attuale Ucraina, essi si chiamarono Cosacchi, da un termine turco che significa “cavalieri delle steppe”, e la Krajina polacca e russa si chiamò “Ukrajina”. Il suo cuore era costituito dalle fortezze sul Dniepr (Zaporishkaja Sich). Si combatté in quest’area fra Cosacchi, Turchi, Polacchi, Svedesi e Russi. Vi furono anche due importanti rivolte di Cosacchi: quella di Stenka Razin e quella di Pugaciov.

La Guerra di Crimea costituì uno snodo fondamentale della storia europea, come testimonia il suo ruolo  nella unificazione italiana, vedendo essa la nascita di una coalizione antirussa a cui partecipò il Regno di Sardegna, anticipatrice dell’ attuale “Kollektiv Zapada”, che contende alla Russia l’egemonia sulla Europa Orientale.

Durante la Guerra Civile Russa, l’Oriente dell’ Ucraina fu sede della repubblica di Kharkiv,  dell’ effimero Stato “bianco” di Denikin, della repubblica anarchica di Makhnò e di quelle sovietiche del Donbass e Krivoj Rog. Successivamente alla vittoria sovietica, quelle regioni patirono in modo particolare l’Holodomor (la carestia nella Russia Meridionale), e la “campagna di dekulakizzazione”.

L’invasione e la spartizione della Polonia dopo il Patto Molotov Ribbentrop comportò lo scatenamento della guerra in tutta la regione pontica. Bandera e l’UPA, addestrati a Praga sotto l’egida di Rosenberg,  entrarono a Leopoli in divise naziste, proclamando lo Stato indipendente ucraino, a cui si riallaccia l’attuale narrativa “nazionale” ucraina.

La battaglia di Stalingrado, decisiva per le sorti del conflitto, si svolse precisamente all’ incontro fra Don e Volga. L’area fra il Dniepr e il Volga fu il centro di fondamentali combattimenti fra l’Esercito Tedesco, spalleggiato da truppe italiane, rumene, ungheresi, francesi, slovacche, croate, e scandinave e da volontari anticomunisti di tutta Europa, dei Paesi arabi, dell’Asia Centrale e dell’India, e, dall’ altra, l’Armata Rossa.

La resa di von Paulus a Stalingrado e la “ritirata di Russia” delle truppe dell’Asse segnarono l’inizio della sconfitta di Hitler.

Su tutto questo si può consultare il nostro libro “Ucraina no a un’inutile strage”.

Questo scalpore è giustificato soprattutto dal fatto che la “Guerra Mondiale a Pezzi”, oramai non più tanto a pezzi, sta scalfendo una gran quantità di luoghi comuni impostici da decenni dai media occidentali. Fra questi, il più pernicioso è stato quello relativo alla presunta  “imminenza della Pace Perpetua”, veicolato dalla retorica delle Organizzazioni Internazionali e dell’ Unione Europea.

Mentre le Nazioni Unite  hanno appena fatto il punto sulla loro pretenziosa Agenda 2030, esse si vedono addirittura attaccate militarmente da uno dei propri membri, che l’accusa di essere troppo imparziali nel conflitto con i Palestinesi, mentre invece, secondo Israele, questi ultimi sarebbero  dei “terroristi”, da sterminarsi semplicemente, senza curarsi del diritto internazionale umanitario. I Caschi Blu dovrebbero quindi farsi da parte in seguito a semplici intimazioni dell’Esercito Israeliano (che, tra l’altro, non si capisce perché improvvisamente sia diventato per tutti “IDF”, all’Americana, anziché, in Ebraico, “Tsahal”), e, in caso contrario, rassegnarsi ad essere cannoneggiati. Come se non bastasse, lo stesso Segretario Generale dell’ ONU viene praticamente messo al bando da Israele, immemore del fatto che la sua stessa creazione era stata opera dell’ ONU.

Non che le critiche di Israele siano del tutto infondate. L’inasprirsi della crisi dimostra la debolezza della funzione di “Peace-Keeping” internazionale, ma ciò non è ”colpa” di nessuno:  è la Post-Modernità che, qui come altrove, mette a nudo le contraddizioni della Modernità, due fra le quali riguardano, tra l’altro, proprio Israele e l’ ONU. Su Israele c’è da chiedersi se sia veramente, come pretendeva Herzl, uno “Stato laico”, nel qual caso non si comprenderebbe tutta quest’ansia di ristabilire i confini biblici (Yisrael ha-Shelomah), di ricostruire il Tempio e di usare la Torah come unica vera Costituzione. D’altronde, visto che Israele non è una “razza” bensì un “popolo” etno-culturale,  esso non esisterebbe nemmeno se non ci fossero la Bibbia e la sua lingua. Di converso, i Neturei Karta combattono l’idea di uno Stato ebraico nel tempo presente (tempo che ritengono ancora di esilio), poiché ritengono contrario all’autentica tradizione religiosa ebraica lo  stabilirlo senza aspettare che Erets Israel venga esplicitamente donata dall’Altissimo.  Pertanto, la pretesa sionista di costituire uno “Stato ebraico laico” sarebbe semplicemente l’ennesima  “hybris” di alcuni eresiarchi, né più né meno di quella dei “Costruttori di Dio” cristiani o dei Baha’i persiani (che, guarda caso, hanno sede proprio in Israele): un’ennesima manifestazione di quella “religione secolarizzata” che è al centro della Modernità.

Queste religioni secolarizzate, che, con Lessing, pretendono di realizzare sulla terra le promesse escatologiche delle religioni tradizionali, paradossalmente, in ossequio all’Eterogenesi dei Fini, mentre propugnano la Pace Perpetua, stanno trasformando le religioni in strumenti di lotta fra le diverse parti del mondo (Singularity contro  Tradizione; Hindutva contro Shari’a), perché, abbandonate le pretese di salvezza individuale,  sono divenute semplicemente la divinizzazione della volontà di potenza dei singoli Stati-Civiltà. Del resto, anche il Puritanesimo è una versione secolarizzata del Protestantesimo, così come la il “socialismo islamico” lo è dell’Islam. L’ accusa di “integralismo”rivolta tradizionalmente alle versioni “conservatrici” (“quietiste”) delle singole religioni, si rivela invece adeguata solo alle loro emulazioni laicistiche, come la “religione dell’ umanità di Saint Simon, il Sionismo e la “Nazione dell’ Islam”, camuffamenti dell’espansionismo di popoli che si pretendono “superiori”.

Di qui anche la sterilità delle Chiese ufficiali ( succubi neppur troppo copertamente di quelle religioni secolarizzate), le quali continuano a predicare la pace senza più trovare argomenti concreti a favore della stessa.

Ma  contraddittoria è anche la natura stessa dell’ ONU, nata proprio dalla pretesa del progressismo puritano, espressa alla sua fondazione da Eleanor Roosevelt, di imporre la Pace Perpetua. Tale pace perpetua avrebbe costituito il suggello del progetto messianico americano quale espresso da Winthrop, Cotton Mather, Emerson, Whitman, Friske e Wilkie. Non per nulla il Palazzo di Vetro è situato nel cuore di Manhattan, sotto il completo controllo dell’America. La Seconda Guerra Mondiale sarebbe stata l’ ultima delle guerre perchè poi tutto il mondo sarebbe stato diretto dalla “ragnatela delle istituzioni dirette da Washington”(cfr. Ikenberry).

Sono stati i fatti stessi a ribellarsi a questa proteiforme “hybris”. I conflitti attualmente in corso non sono nati ieri, bensì parecchi millenni fa, e continuano a riproporsi sempre negli stessi termini: l’uno, lungo fra il Don, il Donetz e il Dniepr, fra i popoli indo-europei e turcici dei Kurgan e delle steppe, e, l’altro, fra “Il Fiume d’ Egitto” e l’Eufrate, fra popoli semitici e hamitici dei deserti. Dietro a tutto ciò ci sono, da un lato, la “Distinzione mosaica” (fra Vero e Falso, cfr. Jan Assmann), dall’ altro la pretesa di tutti i contendenti d’incarnare una divina volontà di pace e giustizia, che trae le proprie radici dal mondo antico, e precisamente da quella Persia (Eranshahr) che è oggi il vero antagonista di Israele (perché entrambi perseguono la stessa utopia).  Ed è fra Egitto, Persia e Palestina che nasce la pretesa millenarista. Questi destini sono stati configurati dalla geografia: sono  collocati ai punti di passaggio obbligati fra l’Asia e, da un lato, l’Europa, e, dall’ altro l’Africa, che tutti i contendenti pretendono di tenere sotto il proprio controllo. Le illusioni postmoderne di risolverli “con una bacchetta magica” in base a formule astratte sta scontrandosi con la realtà, e la sta perfino peggiorando.

La sopravvivenza dell’Umanità è stata uno degli obiettivi di base di ogni cultura. Nel mondo moderno iperconnesso, quest’obiettivo richiede uno sforzo congiunto di tutti i popoli. Nel mondo ipertecnologico delle Macchine Intelligenti, senza questo sforzo è assicurata la Fine dell’Uomo: come aveva riconosciuto Kant, la Pace Perpetua si rivela come un grande cimitero.

Per questo, a partire dal Sacro Romano Impero e dal re hussita  Podiebrad, e poi via via attraverso Postel, Crucé, Saint-Pierre, Pufendorf, Novalis, Nicola II, Coudenhove Kalergi, Wilson,  Spinelli, si è venuta configurando una teoria delle organizzazioni internazionali. Teoria che comunque non indica  alcun antidoto all’ incombente mortalità del cosmo, dell’ Umanità e delle civiltà. Anche alla luce dell’ esperienza, occorre ora perciò un approccio più realistico, secondo cui la Storia non finirà con un evento taumaturgico, bensì presumibilmente con il suicidio dell’ Umanità (vedi bomba atomica, Singularity, Terza Guerra Mondiale, surriscaldamento atmosferico, denatalità), e perciò il nostro compito ragionevole è, nella migliore delle ipotesi, “salvare il Cosmo”, almeno  finché sarà possibile (il Katèchon), e per il resto attendere la Fine, che, secondo la tradizione cristiana, “verrà come un ladro nella notte”. L’ebraismo ha un’eccezionale espressione a questo proposito: “Tikkun ha-Olam” (“riparare il mondo”), che non è l’impossibile “Raddrizzare il legno storto dell’ Umanità” (Kant, Berlin), bensì si apparenta a quella quotidiana ricostruzione del Divino attraverso i Riti di cui parla anche Eliade.

1.Il Paese degli Ariani (Iran)

L’eternità delle guerre in corso è dimostrato dalle vicende (pre-istoriche, storiche e post-istoriche) delle tre aree in questione: la Persia, la  Palestina e le Steppe Pontiche.

Una delle opere  che più hanno inciso sulla formazione della cultura postmoderna è il “Così parlò Zarathustra” di Nietzsche, sconcertante, da un lato, perché è talmente ben costruito, da poter rappresentare, letterariamente, e perfino linguisticamente, quasi un “sequel” del  Zand i Bahman Yasn, il principale libro sacro zoroastriano, ma, dall’ altro, perché costituisce una sorta d’implicita ritrattazione della dottrina zoroastriana di una lotta cosmica fra un Dio del Male e un Dio del Bene, quest’ultimo rappresentato sulla terra dal sovrano achemenide.

Lo zoroastrismo rappresenterà così il modello prototipico del messianesimo ebraico e degl’imperi provvidenziali  cristiani e islamici successivi. Non per nulla la nascita di Cristo è salutata, per primi, “nella pienezza dei Tempi”, dai Re Magi. I Persiani zoroastriani sconfiggeranno  e imprigioneranno l’imperatore romano Valeriano, per poi essere a loro volta sconfitti dalle armate islamiche. C’è  anche da chiedersi in che misura l’idea di Jihad, così centrale nell’ Islam, non sia che un’eredità della guerra santa dell’imperatore persiano contro Angra Mayniu. Del resto, uno dei compagni di Maometto era il “Principe di Persia”. La Persia ha mantenuto il proprio spirito  antagonistico alimentando sette islamiche rivoluzionarie, come gli Shi’iti, i Carmati e gli Assassini, e varie religioni post-zoroastriane, come il Manicheismo, il Mazdakisno e il Paulicianesimo (poi reincarnatosi in Europa nel Bogumilismo e nel Catarismo) Più recentemente, la Persia ha generato nuove sette molto inclini al Technological Sublime, come i Baha’i, e, dentro l’Islam, gli Hojjatiyye.

I Persiani continueranno a costituire un elemento di disordine nel Medio Oriente, poiché, memori  di quelle antiche glorie, ambiscono ancor sempre a dominarlo, se non altro culturalmente, con la loro letteratura e le influenze delle loro lingue, e perciò non accettano l’egemonia culturale, né dell’ Occidente, né degli Arabi, né dei Sunniti, né di Israele. La rivoluzione khomeinista, che si presentò come alternativa al mondo islamico sunnita, continua dunque la tradizione messianica e rivoluzionaria dello zoroastrismo, per altro ancora vivo e vegeto nel Paese, e spesso richiamato dai dissidenti anti-khomeinisti.

Ma i veri eredi dello Zoroastrismo sono i progressisti occidentali, i quali hanno trasfuso nel progressismo laicista l’enfasi posta dai Persiani nell’Apocalisse, intesa come conquista del mondo da parte di un Salvatore (Shaoshant) sotto la guida di Ahura Mazda, e la conseguente vittoria del Bene Assoluto sul Male Assoluto. D’altronde, gli Hojjatiyye considerano l’invenzione di Internet come un segno dell’avvicinarsi dell’avvento del Mahdi.

Invece, le cosiddette “autocrazie”, nemiche dell’ Occidente progressista, sono  i veri epigoni culturali degli antichi Greci, in quanto culture tragiche, belliciste e aristocratiche sul modello degli Spartani delle Termopili, a cui  sembrano ispirati i vari al-Qaida, ISIS, Hamas e Hezbollah, con i loro leaders che cercano la morte gloriosa in battaglia. Significativamente, come racconta Erodoto, il generale persiano Mardonio, dopo avere represso la rivolta della Ionia, impone alle poleis locali d’instaurare governi democratici in sostituzione di quelli aristocratici che si erano ribellati alla Persia.

2.Peleset, Peleshtim, Filastin

Sin dall’antichità l’egemonia degli Hyksos venne identificata con il soggiorno in Egitto degli Ebrei, e, in particolare, con le storie bibliche di Giuseppe e Mosè. Gli Hyksos (Heka khasut, cioè “i capi di un Paese straniero” )giunsero in Egitto  attorno al 1700 a.C.,  portandovi il   cavallo e il carro da guerra.

Dopo l’Esodo dall’Egitto, cominciava la conquista di Cana’an da parte del popolo ebraico. I “Revisionisti Israeliani” (p.es., Finkielkraut) sostengono che una vera e propria “Conquista di Canaan” intesa come grande campagna militare, non è mai avvenuta, e si è invece trattato di un graduale spostamento di popoli, dalle rive del Mare Mediterraneo, alle colline della Palestina. Sia come sia, si era sviluppata comunque di una guerriglia continua, a cui ben si confanno le descrizioni contenute in tutta la Bibbia, per altro facilmente sovrapponibili a quelle attuali di Gaza, della Cisgiordania e del Libano:“due dei figli di Giacobbe, Simeone e Levi, fratelli di Dina, presero ciascuno la propria spada, assalirono la città che si riteneva sicura, e uccisero tutti i maschi.” – “Passarono a fil di spada anche Camor e suo figlio Sichem, presero Dina dalla casa di Sichem, e uscirono.” – “I figli di Giacobbe si gettarono sugli uccisi e saccheggiarono la città, perché la loro sorella era stata disonorata” – “presero le loro greggi, i loro armenti, i loro asini, quanto era nella città e nei campi.” – “Portarono via come bottino tutte le loro ricchezze, tutti i loro bambini, le loro mogli e tutto quello che si trovava nelle case….“

Queste vicende ricalcano inoltre quella della Guerra di Troia, narrata dalla letteratura greca, e quelle documentate nei monumenti dei sovrani mesopotamici e nei poemi ittiti, hurritici e mitannici.

Il meccanismo è sempre lo stesso: Dio, attraverso i profeti, incita il popolo ebraico a conquistare le diverse città di Canaan, sterminandone gli abitanti. La scena si ripete all’ infinito. Vengono menzionati infiniti popoli e città: Amalek; Og; Sicon; Madian;Gerico ; Ai; Gabaon; Machedda; Libna;Eglon; Ebron;Debir;i Ferezei;Gerusalemme;Sefat;Moav;Succot;Lais; i Filistei;Ammon;Galgala;gli Aramei;i Siriani;Tifsach…

Tutto ciò è confermato dalle Lettere di Tell el-Amarna, che dimostrano come le città cananee si lamentassero con il Faraone degli attacchi di popolazioni barbare, che essi definivano come “Habiru” o “Jahu.”

Sulla Stele di Merneptah ( 1200 circa a.C.), è narrato l’esito vittorioso di una spedizione militare, al seguito della quale :”Ysyrỉ3r fk.t;bn      pr.t =f” (“Ysrỉr è desolato;il seme suo non c’è”)

Da vari studiosi moderni, Ysrỉr viene identificato con Israele. Si tratterebbe pertanto della prima testimonianza storica relativa al popolo ebraico. Il nome Ysrỉr non è accompagnato, come accade per le città o stati presenti nella lista, dall’ideogramma raffigurante tre montagne stilizzate indicante un regno. L’ideogramma associato invece, un uomo e una donna, indica una popolazione di natura nomade.Invece, i Palestinesi (Filistei, Peleset, Peleshtim, Filastin), sono spesso identificati con uno dei  Popoli del Mare che vediamo sbarcare sulla parete del tempio di Medinet Habu , Sherden, Sheklesh, Ekwesh .

Questa conflittualità ricorrente  ricorda i tentativi egemonici attribuiti dalla Bibbia ai regni di Davide e Salomone, le invasioni babilonesi, assire, persiane e macedoni, fino alle Guerre Giudaiche e all’inizio della Diaspora.

Di non minore importanza, per il Levante, le, questa volta documentatissime, Crociate volte a riconquistare la Terra Santa dal dominio islamico, le quali che durarono circa 600 anni. La prima (1096-1099) permise di istituire i primi quattro Stati crociati: la Contea di Edessa, il Principato di Antiochia, il Regno di Gerusalemme e la Contea di Tripoli. A livello popolare, essa scatenò un’ondata di rabbia cattolica che si espresse nei massacri degli ebrei  e il violento trattamento dei cristiani ortodossi “scismatici” dell’est.

La protezione dei Cristiani in Terrasanta costituì poi il pretesto per la Guerra di Crimea, e il Libano è stato anch’esso oggetto di violente dispute fra comunità religiose, che hanno portato a varie guerre civili (cfr. infra).

Infine, la stessa  nascita dello Stato di Israele si inserisce in un piano di destabilizzazione del Medio Oriente dopo la sconfitta dell’Impero Ottomano, posto in essere da Francia e Inghilterra con gli Accordi Sykes/Picot, piano che non ha ancora cessato di esercitare i suoi effetti perversi.

3.Le steppe pontiche (u-Krajine=sulla frontiera)

La cultura “Jamnaja” (“delle tombe a pozzo”)  si colloca fra una fase tarda dell’età del rame e l’inizio  dell’età del bronzo, nella regione  fra il Bug e il Dnestr e gli Urali (la steppa pontica), in un periodo che va dal XXXVI al XXIII secolo a.C.. Si ritiene che gli Jamnaja siano stati i primi domesticatori di cavalli per uso di trasporto cavaliere e di carri con ruote, che avevano facilitato gli spostamenti e diffuso questa tecnologia. I resti del più arcaico carro con ruote trainato da cavalli, sono stati trovati nel kurgan della “Storožova mohyla” (Dniepropetrovsk, oggi Dniprò”), in Ucraina. Il sito sacrificale di Luhansk (Lugansk, nel Donbass, al centro degli attuali combattimenti) recentemente scoperto, è stato descritto come un santuario collinare dove si praticavano sacrifici umani..

Anche grazie ai cavalli, gli Jamnaja furono un popolo particolarmente guerriero e conquistatore (gli “Ariani”), che si espanse rapidamente tanto in Europa, quanto in Asia. Dopo di essi, attraversarono le steppe pontiche Sciti, Sarmati, Unni, Avari, Bulgari, Khazari, Peceneghi .Questi ultimi sono i  Polovesiani (Polovcy), di cui narra il Canto del Principe Igor (anno 1080)e a cui sono dedicate le “Danze Polovesiane”.

Dopo secoli di combattimenti che coinvolsero  molti popoli dell’ area -Bizantini, Bulgari, Rus’ di Kiev, Cazari e Magiari-,nel XIII Secolo,l’Impero Mongolo conquistò, fa le altre cose, le attuali Ucraina e Russia. Una delle principali battaglie per la liberazione delle stesse fu la Battaglia di Kulikovo, sul Don, sotto la guida di Dmitri Donskoj, nel 1378.

L’Ucraina fece poi parte di quella serie di fortificazioni al confine con l’ Impero Ottomano (che andavano dell’ Impero austriaco, della Polonia e della Russia) dette Krajine (confini). Esse furono custodite da guerrieri di origini internazionali (Giannizzeri, Granicari, Graenzer, Serbi, Hajduk, Honved, Karaim, Lipka Tatarlar). Nell’ attuale Ucraina, essi si chiamarono Cosacchi, da un termine turco che significa “cavalieri delle steppe”, e la Krajina polacca e russa si chiamò “Ukrajina”. Il suo cuore era costituito dalle fortezze sul Dniepr (Zaporishkaja Sich). Si combatté in quest’area fra Cosacchi, Turchi, Polacchi, Svedesi e Russi. Vi furono anche due importanti rivolte di Cosacchi: quella di Stenka Razin e quella di Pugaciov.

La Guerra di Crimea costituì uno snodo fondamentale della storia europea, come testimonia il suo ruolo  nella unificazione italiana, vedendo essa la nascita di una coalizione antirussa a cui partecipò il Regno di Sardegna, anticipatrice dell’ attuale “Kollektiv Zapada”, che contende alla Russia l’egemonia sulla Europa Orientale.

Durante la Guerra Civile Russa, l’Oriente dell’ Ucraina fu sede della repubblica di Kharkiv,  dell’ effimero Stato “bianco” di Denikin, della repubblica anarchica di Makhnò e di quelle sovietiche del Donbass e Krivoj Rog. Successivamente alla vittoria sovietica, quelle regioni patirono in modo particolare l’Holodomor (la carestia nella Russia Meridionale), e la “campagna di dekulakizzazione”.

L’invasione e la spartizione della Polonia dopo il Patto Molotov Ribbentrop comportò lo scatenamento della guerra in tutta la regione pontica. Bandera e l’UPA, addestrati a Praga sotto l’egida di Rosenberg,  entrarono a Leopoli in divise naziste, proclamando lo Stato indipendente ucraino, a cui si riallaccia l’attuale narrativa “nazionale” ucraina.

La battaglia di Stalingrado, decisiva per le sorti del conflitto, si svolse precisamente all’ incontro fra Don e Volga. L’area fra il Dniepr e il Volga fu il centro di fondamentali combattimenti fra l’Esercito Tedesco, spalleggiato da truppe italiane, rumene, ungheresi, francesi, slovacche, croate, e scandinave e da volontari anticomunisti di tutta Europa, dei Paesi arabi, dell’Asia Centrale e dell’India, e, dall’ altra, l’Armata Rossa.

La resa di von Paulus a Stalingrado e la “ritirata di Russia” delle truppe dell’Asse segnarono l’inizio della sconfitta di Hitler.

Su tutto questo si può consultare il nostro libro “Ucraina no a un’inutile strage”.

4.Urgenza della riforma delle Organizzazioni Internazionali

Come scrivevamo, la pace e la Fine della Storia erano state da sempre al centro degli sforzi per la creazione di un’ organizzazione internazionale, a partire dal trattato per la “Pax Aeterna” fra l’Impero romano e quello partico, per passare al “Landfridt” della Dieta di Worms, continuando con il Nouveau Cynée di Emeric Crucé e il Trattato per la Pace Perpetua di Saint-Pierre, con i suoi commenti da parte dei grandi illuministi, fino alla Santa Alleanza e alle conferenze per  la Pace di fine ‘800. Tutti questi movimenti non arrestarono minimamente le moltissime guerre degli ultimi due millenni. Men che mai a ciò servirono la Società delle Nazioni e le Nazioni Unite.

Infatti, premesso che un certo grado di conflittualità è inevitabile se si vuole  evitare un totalitario potere mondiale (lo Stato Mondiale di Juenger), un certo qual controllo di tale conflittualità è possibile solo se : (i) si accetta un certo grado di imperfezione delle cose umane; (ii)si mettono sul tavolo le reali cause dei conflitti.

Non per nulla l’attuale situazione è nata dal fallimento della pretesa internazionalistica del bolscevismo, e dalla conseguente sostituzione dell’URSS con la Comunità di Stati Indipendenti (tutt’ora viva e vegeta).

Orbene, oggi, quelle due condizioni non sembrano soddisfatte.

Quanto alla prima, tutti, compresi i promotori di un nuovo ordine mondiale (tranne la Cina), si propongono quali portatori di un’idea salvifica millenaristica di ordinamento internazionale, quand’anche differente tanto da quella sovietica, quanto  da quella americana.

Quanto alla seconda, nessuno sta  considerando che la reale causa dei conflitti, seppure parziali, in corso, risale alla pretesa occidentale di creare un potere mondiale unitario, pretesa contestata dalle altre parti del mondo. Prima di iniziare l’Operazione Militare Speciale, la Russia e la Cina avevano espresso chiaramente questo loro obiettivo di sventare il progetto americano di “Fine della Storia” attraverso la creazione di nuovi “paesi satelliti”, come l’Ucraina e Taiwan, destinati a corrodere l’identità di Russia e Cina, per sostituirle con piccoli Stati teleguidati dall’ Occidente (come accaduto per esempio con i Baltici o con l’Iraq “cantonalizzato”).

Andare incontro alle esigenze di tutti significa invece riconoscere Cina, Russia, Iran, Corea del Nord (ma anche India, Brasile, Cuba), come interlocutori pienamente legittimi e “di pari grado”, senza progettare la loro distruzione e sostituzione con nuovi Stati “rivoluzionari”, come faceva a suo tempo l’URSS.

Più in generale, i conflitti nel mondo si potranno almeno attutire quando tutte le grandi aree del mondo possederanno un loro ecosistema digitale autonomo, corrispondente alla loro specifica identità, e non potranno più, di conseguenza, essere controllati centralmente a distanza da Salt Lake City, dalla Silicon Valley o da Langley.

L’allargamento  dei BRICS a inizio 2024 verso Iran, Etiopia, Egitto ed EAU e il vertice dei BRICS, attualmente in corso a Kazan’, iniziano a configurare, nella pratica, la visione cinese di una coalizione di stati capaci di sfidare l’egemonia occidentale. Oggigiorno, i BRICS rappresentano il 45 percento della popolazione mondiale e una quota del Pil (PPP) che supera quella del G7. Nonostante che i BRICS, su carta, ben supportino l’agenda di Pechino,  la Cina è consapevole che, all’interno del gruppo, continuano a sussistere tensioni che potrebbero andare ad inficiare la coesione del progetto e il raggiungimento di obiettivi comuni. Paesi come India e Brasile, soprattutto, seppur partecipino attivamente alla vita dei BRICS, non mantengono le medesime posizioni anti-occidentali di Cina e Russia.

Manca però ancora un discorso culturale unificante, in grado di cogliere, pur salvaguardando la “poliedricità” del mondo, dei punti di incontro, per esempio, fra il socialismo con caratteristiche cinesi, il conservatorismo russo, il terzomondismo tradizionale, il panislamismo e l’hindutva, alla luce della transizione verso l’era delle Macchine Intelligenti.

Per questo, nessuno è stato ancora in grado di formulare proposte motivate circa la fine dei conflitti in corso, o almeno per una tregua.Per quanto riguarda il caso ucraino, avevamo indicato che una soluzione potrebbe venire dal riconoscimento del carattere europeo di Russia e Turchia, il che porterebbe automaticamente a un ruolo centrale dell’ Ucraina, e conseguentemente al venir meno della conflittualità fra questi tre poli.

Qualcosa di analogo potrebbe avvenite anche con Israele, nell’ ambito di una “Magna Europa” fondata, non già come l’Occidente attuale, sulle religioni secolarizzate, bensì sul ritorno all’humus culturale comune dell’ “Epoca Assiale” (cfr. Simone Weil, Saint-Exupéry, Eisenstadt, Eliade, Assmann, Frankopan).

 
 
 
 
 
 

4.Urgenza della riforma delle Organizzazioni Internazionali

Come scrivevamo, la pace e la Fine della Storia erano state da sempre al centro degli sforzi per la creazione di un’ organizzazione internazionale, a partire dal trattato per la “Pax Aeterna” fra l’Impero romano e quello partico, per passare al “Landfridt” della Dieta di Worms, continuando con il Nouveau Cynée di Emeric Crucé e il Trattato per la Pace Perpetua di Saint-Pierre, con i suoi commenti da parte dei grandi illuministi, fino alla Santa Alleanza e alle conferenze per  la Pace di fine ‘800. Tutti questi movimenti non arrestarono minimamente le moltissime guerre degli ultimi due millenni. Men che mai a ciò servirono la Società delle Nazioni e le Nazioni Unite.

Infatti, premesso che un certo grado di conflittualità è inevitabile se si vuole  evitare un totalitario potere mondiale (lo Stato Mondiale di Juenger), un certo qual controllo di tale conflittualità è possibile solo se : (i) si accetta un certo grado di imperfezione delle cose umane; (ii)si mettono sul tavolo le reali cause dei conflitti.

Non per nulla l’attuale situazione è nata dal fallimento della pretesa internazionalistica del bolscevismo, e dalla conseguente sostituzione dell’URSS con la Comunità di Stati Indipendenti (tutt’ora viva e vegeta).

Orbene, oggi, quelle due condizioni non sembrano soddisfatte.

Quanto alla prima, tutti, compresi i promotori di un nuovo ordine mondiale (tranne la Cina), si propongono quali portatori di un’idea salvifica millenaristica di ordinamento internazionale, quand’anche differente tanto da quella sovietica, quanto  da quella americana.

Quanto alla seconda, nessuno sta  considerando che la reale causa dei conflitti, seppure parziali, in corso, risale alla pretesa occidentale di creare un potere mondiale unitario, pretesa contestata dalle altre parti del mondo. Prima di iniziare l’Operazione Militare Speciale, la Russia e la Cina avevano espresso chiaramente questo loro obiettivo di sventare il progetto americano di “Fine della Storia” attraverso la creazione di nuovi “paesi satelliti”, come l’Ucraina e Taiwan, destinati a corrodere l’identità di Russia e Cina, per sostituirle con piccoli Stati teleguidati dall’ Occidente (come accaduto per esempio con i Baltici o con l’Iraq “cantonalizzato”).

Andare incontro alle esigenze di tutti significa invece riconoscere Cina, Russia, Iran, Corea del Nord (ma anche India, Brasile, Cuba), come interlocutori pienamente legittimi e “di pari grado”, senza progettare la loro distruzione e sostituzione con nuovi Stati “rivoluzionari”, come faceva a suo tempo l’URSS.

Più in generale, i conflitti nel mondo si potranno almeno attutire quando tutte le grandi aree del mondo possederanno un loro ecosistema digitale autonomo, corrispondente alla loro specifica identità, e non potranno più, di conseguenza, essere controllati centralmente a distanza da Salt Lake City, dalla Silicon Valley o da Langley.

L’allargamento  dei BRICS a inizio 2024 verso Iran, Etiopia, Egitto ed EAU e il vertice dei BRICS, attualmente in corso a Kazan’, iniziano a configurare, nella pratica, la visione cinese di una coalizione di stati capaci di sfidare l’egemonia occidentale. Oggigiorno, i BRICS rappresentano il 45 percento della popolazione mondiale e una quota del Pil (PPP) che supera quella del G7. Nonostante che i BRICS, su carta, ben supportino l’agenda di Pechino,  la Cina è consapevole che, all’interno del gruppo, continuano a sussistere tensioni che potrebbero andare ad inficiare la coesione del progetto e il raggiungimento di obiettivi comuni. Paesi come India e Brasile, soprattutto, seppur partecipino attivamente alla vita dei BRICS, non mantengono le medesime posizioni anti-occidentali di Cina e Russia.

Manca però ancora un discorso culturale unificante, in grado di cogliere, pur salvaguardando la “poliedricità” del mondo, dei punti di incontro, per esempio, fra il socialismo con caratteristiche cinesi, il conservatorismo russo, il terzomondismo tradizionale, il panislamismo e l’hindutva, alla luce della transizione verso l’era delle Macchine Intelligenti.

Per questo, nessuno è stato ancora in grado di formulare proposte motivate circa la fine dei conflitti in corso, o almeno per una tregua.Per quanto riguarda il caso ucraino, avevamo indicato che una soluzione potrebbe venire dal riconoscimento del carattere europeo di Russia e Turchia, il che porterebbe automaticamente a un ruolo centrale dell’ Ucraina, e conseguentemente al venir meno della conflittualità fra questi tre poli.

Qualcosa di analogo potrebbe avvenite anche con Israele, nell’ ambito di una “Magna Europa” fondata, non già come l’Occidente attuale, sulle religioni secolarizzate, bensì sul ritorno all’humus culturale comune dell’ “Epoca Assiale” (cfr. Simone Weil, Saint-Exupéry, Eisenstadt, Eliade, Assmann, Frankopan).

 
 
 
 
 
 

IL “RAPPORTO DRAGHI” è insufficiente per la salvezza dell’ Europa

Dopo mesi di attesa, è stato finalmente stato pubblicato il “Rapporto Draghi”, commissionato dalla Presidente von der Leyen,  che avrebbe avuto l’ambizione (veramente sproporzionata) di risolvere l’annosa, e sempre più spinosa, questione del declino , economico ma anche civilizzatorio, etico, culturale, politico e militare, dell’ Europa.

Il documento è stato accolto, senza avere neanche il tempo di leggere le sue centinaia di pagine, da un coro di critiche provenienti da tutte le parti, a cominciare dal ministro tedesco Lindner, alla rivista online Politico, su base americana, fino al Movimento Europeo in Italia.Sergio Fabbrini, sulle pagine de “Il Sole 24 Ore”, si azzarda perfino  a dire che il rapporto finirà probabilmente nel cassetto.

Abbiamo giusto avuto la possibilità di scorrere il documento, evidenziandone i passaggi più determinanti. Cercheremo  di illustrare perché  esso appaia anche a noi fortemente inadeguato in un momento in cui, di fronte a sfide inaudite (IIIa Guerra Mondiale, Società del Controllo Totale,declino economico), l’Europa avrebbe però anche davanti a sé, se lo volesse, importanti opportunità di salvezza , in particolare attraverso un’ autentica sovranità europea, in tutti i  campi (culturale, sociale, politica, economica, giuridica, militare),opportunità che il documento sembra deliberatamente non voler cogliere, a nostro avviso per tre sostanziali motivi:

-è limitato all’ economia, senza considerare le fondamentali sfide culturali e politiche sottostanti;

-anche in campo economico, finge di non tener conto della subordinazione agli Stati Uniti dell’ Europa, che  limita enormemente i margini di azione di quest’ultima anche in campo economico (vedi caso Olivetti, industria militare, dazi e sanzioni con Russia e Cina);

-minimizza deliberatamente il ruolo dell’ informatica nella società contemporanea, per non essere costretto a toccare gl’interessi di quella ristrettissima élite che oramai domina il mondo (i “GAFAM”).

Per questo, è necessario premettere, alle considerazioni specifiche sul Rapporto, una panoramica del contesto politico  odierno, in cui esso s’inserisce

1.Le vittorie “sovraniste” alle recenti elezioni

I media dell’ establishment ci stanno sommergendo di allarmismo per l’esito delle elezioni tedesche (ma, prima ancora, slovacche, francesi, ungheresi….),che hanno premiato più che mai i cosiddetti “sovranisti”, senza però affrontare seriamente le ragioni di questi risultati. Secondo molti opinionisti, più che “sovranisti”, questi partiti sarebbero addirittura “neonazisti”, mentre  a noi sembrano qualcosa di molto diverso, visto che, semmai, hanno una visione “kleindeutsch”(Piccolo-tedesca) della Germania (com’era quella di Bismarck, di Rathenau, dei congiurati  del 20 luglio e della DDR, e che Hitler aveva invece contrastato) , non certo una visione “ariana” orientata verso un “Grossdeutsches Reich” imperiale, come quella dei nazisti. Si noti che il partito nazionaldemocratico, ostracizzato nella Repubblica Federale, faceva parte, nella DDR, del “Fronte Popolare” insieme al Partito Socialista Unitario (comunista), al Partito Liberal-Democratico e alla Democrazia Cristiana (Ost-CDU).

Questi e simili riferimenti fantasiosi e propagandistici al passato contribuiscono ulteriormente all’incomprensione dei grandi problemi dell’ Europa, passati e presenti, sì che s’impone una vera e propria “riscrittura della storia”.

Come ha affermato Sahra Wagenknecht, grande vincitrice, in Germania Orientale, con Alice Weidel, delle recenti elezioni amministrative in Turingia e Sassonia, la verità è che gli elettori tedeschi  hanno semplicemente voluto uscire da una conflittualità con la Russia che, oltre a mettere in pericolo Germania (e Italia), con i loro magazzini pieni di testate nucleari americane, e quindi primi bersagli dei missili nucleari russi, ha palesemente portato alla rovina l’economia tedesca -occidentale come orientale-(e, indirettamente, anche quella italiana): basti guardare alla Volkswagen che, dopo la distruzione del North Stream, chiude le fabbriche in Germania, e agli Americani che vogliono riprendersi la Chrysler dalla Stellantis, sì che la Regione Piemonte è costretta a corteggiare i Cinesi per poter riavere una qualche industria automobilistica. Viene celebrato come una vittoria il fatto che, mentre Stellantis chiude Mirafiori, la Dongfeng abbia almeno aperto a Torino una concessionaria e abbia invaso di suoi modelli il Salone dell’ Auto.

Qui c’entra ben poco la presunta “mentalità autoritaria” dei cittadini dell’ Est tedesco e europeo (che io chiamerei piuttosto, con Gumilev, “Passionarnost’’, cioè, allo stesso tempo, impegno emotivo in ciò che si fa, e capacità di “soffrire” per conseguire obiettivi importanti e condivisi), quanto piuttosto una maggiore lucidità propria di chi ha potuto confrontare dal vivo le tre ideologie del Novecento, e quindi constatarne quella sostanziale equivalenza, fra di esse già rilevata da Eric Voegelin. Comunque, ci si chiede perché mai dovrebbero essere dei fans dell’ideologia anglosassone gli eredi degli Slavi Occidentali (Vendi, Sorbi, Lusaziani), di Martin Lutero, della Prussia, di Nietzsche e della DDR, e, in particolare, i cittadini di Karl-Marx-Stadt (ora Chemnitz).

In realtà, oggi è tutto il progetto degli establishment del secondo dopoguerra ad essere finito in crisi, a cominciare dall’economia per arrivare alla cultura. Come affermava Italia Oggi (“ O l’Europa è unita, oppure è niente”), questa è infatti la crisi della democrazia nazionale, vale a dire della democrazia dei singoli Paesi qui in Europa: “Stanno venendo al pettine le contraddizioni tra le dinamiche globali dell’economia e della finanza e il fragile tessuto della nazionalità/statualità della politica e delle politiche” (democratiche)….Le classi dirigenti di Francia, di Germania, di Inghilterra, di Spagna, d’Italia… hanno continuato a filtrare il mondo e a far politica interna e estera sulla base del consenso democratico dei propri elettorati. Potevano fare diversamente? No. Perché non soltanto i loro elettorati hanno continuato a collocarsi mentalmente nel mondo in base a immarcescibili vissuti e categorie, ma anche perché le strutture statuali e giuridiche sono nazionali.” Professionalità della politica, carattere nazionale degli Stati e democrazia rappresentativa hanno fra loro legami strettissimi: come messo in rilievo da vari autori, “simul stabunt, simul cadent”.

Nonostante la loro propaganda, gli Stati nazionali non sono più in grado di svolgere una qualche funzione reale in un mondo solcato da conflitti globali esistenziali, ai quali è impossibile non reagire.

1.Gli Stati-civiltà

Come scriveva Italia Oggi, “La causa ultima non è il collasso dell’ordine mondiale di Yalta. È la globalizzazione dell’economia, la globalizzazione della comunicazione e, si intende, l’ascesa di nuovi soggetti  mondiali: CinaIndiaNigeriaBrasile ecc…”Infatti, “La globalizzazione è politicamente, giuridicamente e istituzionalmente ingovernabile dagli Stati nazionali…..” Eppure, “ Le opinioni pubbliche e i pubblici elettorali non vedono alternative possibili alle minacce della globalizzazione, pur sfruttandone tutte le opportunità, se non una: lo Stato-nazione..”

In realtà, le opinioni pubbliche europee sono pilotate per mille rivoli da una “società dell’1%”, con baricentro nel mondo anglosassone (cfr. Kipling, Mead), che ha manovrato da tre secoli la storia per sostituire gl’imperi europei (e anche quelli Qing e Mogul), con  i manovrabili  “Stati nazionali” (vedi i cosiddetti “Risorgimenti nazionali” ,  la “Guerra Civile Europea”, ma anche la Rivolta dei Sepoys e la Guerra dell’ Oppio), e non ammetterà mai, fino all’ orlo della sua sconfitta finale, che possa nascere un’Europa forte e competitiva con gli USA, ai quali ultimi  i membri dell’ establishment devono le loro carriere, legandovi le proprie fortune. E’ questo, e non le presunte trame dei “sovranisti”, il motivo per cui una “vera” Europa (Coudenhove Kalergi, Galimberti, Spinelli) non si è ancora fatta nel giro di ben 75 anni dai Trattati di Roma.

Non è però neanche esatto che, come afferma Italia Oggi, “PutinTrumpXi Jin-ping Narendra Modi hanno rilanciato la sfida dello Stato-nazione”. Quelli che  costoro dirigono non sono Stati-“nazioni”, bensì Stati-civiltà (ciascuno composto da decine di “nazioni”-Moscovia, Siberia, Cecenia,  Tatarstan, Daghestan, Donbass, Crimea..;East Coast, Far West, Midwest, California, Texas,Dixieland, Porto Rico, Guam,Hawaii; Grandi Pianure, Cina Meridionale, Mongolia, Tibet, Xinjiang,”Greater Gulf Area”, Taiwan; Kashmir, Punjab, Rajasthan, Valle del Gange, Assam, Gujarat, Deccan, Tamil Nadu, Kerala, Karnataka, Orisha, Bengala, Andamane, Nicobare…).

Gli Occidentalisti, che si guardano bene dal condannare l’impero americano, pretenderebbero invece, in ossequio al principio “divide et impera”, che tutti quegli Stati Nazionali che abbiamo enumerato si staccassero dall’ India o dalla Cina, come il Pakistan o Taiwan (ma non dagli Stati Uniti). Qualcosa di nuovo a questo proposito si sta muovendo anche al confine fra India e Bangladesh dopo il colpo di Stato contro Sheikh Hasina.

Gli Stati-civiltà incarnano, ciascuno, una sua specifica visione del mondo e una specifica strategia  per salvare l’ Umanità dalla tecnica dispiegata (“the Final Century” di Martin Reed). Però,”con qualche differenza tra i quattro: quello russo non è uno Stato-nazione, ma uno Stato-nazioni e perciò rivendica territori ex-imperiali, quale l’Ucraina; Trump rinuncia definitivamente a collocare gli Usa come baricentro dell’ordine mondiale, per affidare loro la più modesta missione di difendere la propria egemonia economica e finanziaria, mediante accordi/conflitti bilaterali; Xi-Jin-ping tende a porsi quale fabbrica del mondo, pratica un imperialismo commerciale su scala mondiale, rivendica Taiwan quale parte integrante dell’antico territorio cinese; Narendra Modi è, per ora, più rivolto ad affermare l’egemonia politico-religiosa indù rispetto a oltre 200 milioni di mussulmani indiani.”

Quello che conta è che, “quale che sia il giudizio storico-politico che si dà di queste quattro manifestazioni del nazionalismo, occorre riconoscere che hanno tutte lo stesso physique du rôle: numero di abitanti, potenza economica e/o militare, influenza sul mondo. Il loro discorso ha una sua forza materiale.”

“Physique du rôle” che, né gli Stati membri della UE, né la UE stessa, hanno. Di conseguenza, “quello degli inglesi e dei francesi (che continuano a partecipare per diritto al Consiglio di sicurezza dell’Onu) e quello dei tedeschi e degli italiani ecc… è un nazionalismo straccione. Il nazionalismo non ha più fondamento storico-politico, è diventato un ‘signaculum in vexillo’, da affiggere sugli stendardi nel corso delle campagne elettorali”.

Paradossalmente, i primi ad avere preso atto della fine degli Stati nazionali europei, sostituiti dagl’imperialismi, erano già stati Lenin e Mussolini, e l’unico ad avere tentato di costruire (sotto altro nome) un nuovo impero inglobante tanti Stati nazionali (quelli creati da Lenin) era stato Stalin  (di cui ancora  sopravvive l’inestricabile intrico di Repubbliche, Repubbliche Autonome e Province Autonome). Tutti, per altro, tentativi falliti, per l’ostilità del solo “Impero Nascosto” (quello americano, cfr. Daniel Immerwahr).

Lo stesso si può dire, ad ancor maggior ragione,  anche del “sovranismo europeo” post-gollista (Giscard, Macron), a cui non corrisponde, a oggi, nessuna visione del mondo alternativa a quella americana, sicché non si capisce perché in Europa gli “integrati”  dovrebbero sostenere l’Europa anziché l‘ America, e come i “dissidenti”  potrebbero votare in modo alternativo, se, da Macron a Le Pen, da Weber a Scholz, da Schlein a Meloni, tutti fanno a gara per sostenere le scelte dell’America, catastrofiche per l’ Europa.

In realtà, dovunque nel mondo ci sarebbe bisogno di culture “continentali” capaci di sostituire quelle “nazionali”, e, invece, questo processo è appena agl’inizi in ciascuno Stato-Civiltà (e in Europa non è ancora neppure iniziato; cfr. l’ultimo numero di “Domino”; “L’Europa eravamo noi”.).

In America, vi è l’ovvia polarizzazione, prevista già da Tocqueville, fra “Whites” e “Non-Whites”, una distinzione più forte che mai, anche se, ormai, dispersa per vari rivoli: Woke, MAGA, Tedesco-americani… In Russia, la transizione, dall’originario cosmismo e futurismo di Trotskij e Lunacharskij, a un’interpretazione  “quasi demestriana” del “pensiero russo” (sulla falsariga delle “Soirées de Saint Petersbourg”), è ancora incompiuta. In Cina, la ciclopica sintesi fra il complesso mondo dei San Jiao confuciani e il socialismo con caratteristiche cinesi non ha ancora trovato un teorico adeguato; in India, non è ancora stata scritta una versione attualizzata delle varie sintesi messianiche proposte in passato (fra quelle di Tagore, Aurobindo, Savarkar, Ambedkar e Gandhi, e altre). Non parliamo della confusione ideologica nel mondo islamico, il più grande agglomerato di popoli del mondo, che si dimostra tutto fuorché totalitario, con le sue poliedriche sfaccettature teologiche, etniche, storiche, linguistiche, istituzionali, partitiche e sociologiche).

Su tutto ciò incombe la nascita della “Società del Controllo Totale”, che, come oramai tutti stanno ammettendo, sta oramai permeando senza più infingimenti innanzitutto il mondo del web, livellando di fatto tutte le identità. Sostituire, a questo  questo livellamento, un’umanità variegata e vitale costituisce il grande “compito comune” del XXI Secolo.

Nonostante la grande positività delle culture non-europee, per il loro contributo a scalfire la “grande narrazione” tecnocratica occidentale (per dirla con John Ness ,“From Plato to NATO”), manca ancora un “trait d’union”, capace d’ interconnettere i grandi temi comuni dei vari continenti nell’ottica del XXI Secolo. Tali non sono stati infatti i tentativi di sintesi operati, per esempio, dall’ Imperatore Mughal Akbar (“Din-i -Ilahi”), o le opere occidentali sulla Philosophia Perennis (Leibniz, Guénon, Evola, Zolla, Besant), che mancavano di spessore comparatistico e filologico.

I teorici dell’“occidentalismo” vedono questo “trait d’Union” (per loro negativo) nella cosiddetta “autocrazia”, che, però, è un concetto tutt’altro che univoco ed efficiente. Che cosa c’è di comune fra la repubblica turca, dove l’opposizione ha potuto ancora recentemente sfidare alle elezioni il Presidente; quella iraniana, dove la competizione fra i politici “costituzionali”, cioè islamici sciiti (come da noi sarebbe fra i partiti “democratici e moderati”), si fa nelle urne; la Cina, dove  quest’ultima ha luogo all’ interno del partito comunista, ma questo ha un numero di iscritti proporzionalmente superiore a quello di quanti svolgono politica attiva in qualsivoglia altro Paese; la Russia, dove ci sono decine di partiti, e già solo in Parlamento ce ne sono 7 come nella maggior parte dei Paesi occidentali, e il partito di Putin non ha la maggioranza assoluta, ma è costretto a fare un governo di coalizione con il Partito Liberal-democratico?

D’altronde, la tendenza al centralismo accomuna tutti gli Stati del mondo a causa della natura della Società del Controllo Totale, dove tutto è concentrato in grandi server, che sono controllati, o da una multinazionale, o uno Stato, che ne usano ed abusano per mantenere il loro potere. Il più grande di questi, che conserva dati dei GAFAM e del Governo americano, si troverebbe a Salt Lake City. Basti vedere i casi di Echelon, Prism, Wikileaks, Schrems, Cambridge Analytica, Trump, X…

Anche quando oggi in Europa si parla di “multiculturalismo” si compie, in realtà, una grande mistificazione: anziché valorizzare le culture “altre”, “sfruttando” l’immigrazione per accrescere la cultura dei nostri cittadini e delle nostre Istituzioni, si pretende invece di “integrare” gl’immigrati e i loro figli in una cultura occidentale che neppure è nostra, per farli diventare come noi o per egualizzare tutti su un modello di “uomo senza qualità”, governato dagli algoritmi. In realtà, tutta l’insolubile problematica dell’immigrazione e del “razzismo” è, come buona parte dei dibattiti attuali, una semplice scopiazzatura di fenomeni  degli USA , che serve solo a farci assomigliare sempre più agli Americani, in modo da non potercene più staccare. L’Europa non è un paese di immigrati, bensì un Paese di emigrazione, e, quindi, le sue esigenze sono molto diverse da quelle dell’ America.

Ciò rientra nel generale sforzo per rimodellare una futura società europea rendendola priva delle doti che sono necessarie per riconquistare la nostra indipendenza e creatività: cultura, assertività, patriottismo, salute, forza di volontà… Occorrerebbe perciò fare chiarezza a livello mondiale sulle cause, le modalità e le direttrici del fenomeno migratorio.

Molto più appropriato sarebbe parlare, come fa Panikkar, di “transculturalità”

2.L’Europa nel dibattito mondiale

Ma, soprattutto, stiamo perdendo l’occasione per recuperare una futura cultura originale europea quale nostro contributo aggiuntivo al grande dibattito mondiale, soprattutto sui temi seguenti:

-il relativismo dall’ Ecclesiaste a Eraclito, a  Protagora, a Tertulliano,a  Montaigne, a Pascal, a Kant, a Nietzsche, a Wittgenstein, a Heisenberg, a De Finetti e Feyerabend, da leggersi in relazione ai RgVeda, e quale presupposto per il ritorno alla cultura del tragico;

-l’alleanza ecumenica delle religioni e delle culture mondiali contro l’appiattimento indotto dalla “Religione del Progresso”;

-la concezione cinese dell’armonia universale (DaTong, Héxié), da leggersi, in relazione a quelle di “Kosmos” e di “Karma”, quali  basi culturali per un mondo multipolare;

-il culto degli eroi omerici e dei Patriarchi biblici , modelli della nostra cultura classica, non dissimili da quelli del Mahabharata e del Ramayana, rivissuto dal mito dell’ eroe romantico di Byron, Leopardi e Carlyle;

-il senso delle gerarchie sociali tipico del confucianesimo e dell’induismo, letto alla luce della Patrios Politeia greca e dell’Ancienne Constitution Européenne di Tocqueville;

 -l’”Ecologia dell’anima” dei Giapponesi e dei popoli andini, vista con la lente della lettera pastorale “Laudato sì”;

-la ricerca occidentale dell’ eccellenza, speculare all’epistocrazia del sistema estremo-orientale dei concorsi pubblici e opposto al presente culto dell’ eguaglianza e dell’ indifferenziazione;

-la “Passionarnost” dei popoli nomadi , teorizzata da Ibn Khaldun e da Gumilev- fondamento ideale degl’imperi delle steppe (Yamnaya, unno, turchi, avaro, bulgaro, magiaro, mongolo, tataro, polacco e russo)-.

Su “La Repubblica” è comparsa recentemente una perorazione di Linda Laura Sabbadini sulla necessità del multiculturalismo nel rapporto con le giovani generazioni di migranti, descritto come ”valori del rispetto della persona e della sua libertà, dei diritti e della democrazia”, contrapposta all’ “oscurantismo medioevale, che regna in molti paesi da cui si fugge”. Questo però non è il classico multiculturalismo europeo, come lo intendevano, per esempio, Matteo Ricci, Nietzsche, Guénon o Panikkar, concepito per  permettere anche a noi di difendere le nostre tradizioni culturali contro il livellamento modernistico, bensì il tentativo dell’imposizione ad altri, da parte del nostro establishment,  delle concezioni del mondo occidentale, quale propugnata per esempio da Condorcet, Whitman e Kipling.

Affinché l‘Europa possa divenire uno “Stato-Civiltà” capace di competere con USA, Russia, India e Cina, essa deve darsi  una sua autonoma politica culturale, che comprenda anche un suo specifico punto di vista sui rapporti con il resto del mondo (Stati-civiltà, minoranze interne e immigrazione). A nostro avviso, la comprensione  di questi rapporti dialettici potrebbe e dovrebbe costituire il contributo specifico dell’ Europa alla costruzione di un ordine mondiale interculturale. Per questo è importante studiare attentamente le opere di coloro che si sono sforzati di tematizzare ciò che le culture extraeuropee possono insegnare all’ Occidente. Mi riferisco innanzitutto  a Raimòn Panikkar, teologo gesuita indo-spagnolo, teorico del “disarmo culturale”, termine che oggi fa inorridire molti, ma che è più che mai attuale, come unico rimedio all’ incipiente IIIa Guerra Mondiale.

Come abbiamo scritto in precedenti post,  quest’ultima è una guerra di religione fra due differenti progetti escatologici: quello della fuoriuscita dal mondo umanistico quale conosciamo e abbiamo studiato, verso una società di macchine intelligenti dove non vi sia più Storia (la “Singularity Tecnologica”), e quello, opposto, della prosecuzione in forme diverse della Storia umana ereditata dalle grandi civiltà del passato: il Mondo Multipolare.

3.Una soluzione effettiva per la pace dovrà avere un ben maggiore spessore culturale e storico

Il fatto che tutti si affannino a escogitare e proporre sempre nuove formule per la pace in Ucraina e in Palestina, ma nessuna di queste venga neppur presa in considerazione dalle altre parti in causa, dimostra che la possibile pace non potrà limitarsi a stabilire una nuova sistemazione  per i territori contesi, bensì, tenendo conto delle poste molte più ampie in gioco, dovrà dare un orientamento per la geopolitica del futuro, non solo per la Russia, l’Ucraina, o gli Stati Uniti, ma per gli equilibri del mondo intero. E questo significa  creare un contesto che disinneschi innanzitutto il conflitto sino-americano per l’egemonia mondiale. Ma ciò non potrà avvenire senza la previa individuazione di un nuovo ordine mondiale accettabile da tutti, e, in particolare, da tutti gli Stati-civiltà e dalle loro concezioni del mondo.

Gli sforzi in corso da parte di India, Cina e Germania per suggerire una proposta di pace poggia, invece, su assai deboli fondamenti culturali, da sostituirsi con un rinnovato atteggiamento di interculturalità quale sopra delineato.

Innanzitutto, si dovrà abbandonare la convinzione, ahimé, troppo diffusa, che ci sia bisogno comunque di uno “Stato-Guida” mondiale, che conduca l’Umanità verso il Progresso. Abbiamo avuto la Persia achemenide, Israele, Roma, il Califfato, il Sacro Romano Impero, la Spagna asburgica, la Francia rivoluzionaria, l’Impero inglese, l’URSS e gli Stati Uniti. Ora è entrata in lizza anche la Cina. Se, però, l’obiettivo comune non  dovrebbe più essere quello di accelerare il corso del Progresso, bensì, come dice ormai la maggioranza, quello di frenarlo, l’idea del Paese-Guida perde di attualità. Si tratta ora, più che di “fare”, di “non fare”: non inquinare, non esplodere bombe atomiche, non creare intelligenze artificiali troppo intelligenti, non spiare i cittadini…Queste cose possono essere fatte anche “in parallelo”, in base ad accordi internazionali, senza che nessuno debba necessariamente “guidare”.

In secondo luogo, occorrerà estendere, e di molto, il concetto di “tolleranza”, abolendo concetti come “fake news”, “discorsi di odio”, “arretratezza”, “male assoluto”, “correttezza politica”, e ammettendo, nel linguaggio pubblico internazionale, concetti che sono stati fino ad oggi tabù, come per esempio “tradizioni”, “valori asiatici”, “tribù”, “costituzioni non scritte, e/o comunitarie”, ….Come è stato più volte affermato, l’idea di tolleranza è una forma di arroganza: io ti tollero anche se so che sei inferiore e hai torto, perché io sono migliore, più potente, più saggio e magnanimo. Invece della tolleranza, occorre tornare all’”humanitas” (in cinese, “Ren= ”):homo sum, nihil humanum mihi alienum puto.

In terzo luogo, occorrerà regolamentare l’equilibrio internazionale dei potere, istituendo procedure (sulla falsariga di quelle parzialmente esistenti per il nucleare), che pongano sotto controllo i conflitti totali, in particolare nei settori del digitale e dell’ Intelligenza Artificiale, come affermato tra gli altri, da Kissinger, da Harari e perfino dal Papa. Tema centrale: l’escalation e il “first strike”.

4.Il Rapporto Draghi nella guerra mondiale.

Il “Rapporto Draghi” risulta intanto troppo datato, in quanto molti dei dati citati risalgono a 2/4 anni fa, mentre la situazione dell’ economia e delle società europee si è nel frattempo ulteriormente deteriorata.

In secondo luogo, il “Rapporto” non ha preso atto del fatto che l’attuale situazione di guerra guerreggiata ha messo in evidenza in modo definitivo che l’economia è oggi solo più uno dei vari campi di battaglia nella “guerra senza limiti”, sicché  nulla si muove oggi in base ad un’ottica puramente economica. Gl’investimenti sono sostenuti, o almeno orientati,  dagli Stati, in considerazione di obiettivi strategici: per esempio con il “Made in China 2015”, e la corrispondente legislazione americana, fatta, a detta dei promotori, “per mettere fuori mercato il mondo intero”. Perciò, mentre il Rapporto si preoccupa, giustamente ,della necessità di enormi nuovi investimenti pubblici europei a favore dell’ innovazione (investimenti s cui, tra parentesi, non sono già d’accordo, né la von der Leyen, né il Governo tedesco), e mentre invoca un molto migliore coordinamento delle politiche industriali, tecnologiche e scolastiche, indica poi però, come strumenti operativi ,

istituti che noi già quattro anni fa indicavamo come superati nel nostro libro “European Technology Agency” e nel nostro carteggio con Ursula Von der Leyen e con i membri della Commissione  e del Consiglio, vale a dire, tra gli altri,  lo European Innovation Center,  lo European Innovation Center e il cloud europeo di GAYA-X.

Avevamo suggerito, in quell’ occasione, la creazione di una European Technology Agency capace di coordinare, “hands on”, tutti gli sforzi europei nel settore delle nuove tecnologie.Inoltre, avevamo indicato quale compito prioritario la creazione di un Ecosistema Digitale Europeo, completamente mancante da 50 anni per non urtare gli interessi dei GAFAM americani, ma sempre più indispensabile perché lo sviluppo di qualsivoglia economia si fonda sul controllo assoluto di proprie tecnologie informatiche, quale quello detenuto da USA e Cina.

 .

Di quest’obiettivo non vi è praticamente traccia, ma solo qualche vago accenno, mentre invece Draghi si è dilungato, nella sua intervista con la stampa, ad attaccare l’effetto deterrente della legislazione europea sull’ ICT sull’operatività in Europa  multinazionali del web, che egli considera evidentemente utili ed ineliminabili:  ‘Abbiamo proclamato che l’innovazione era al centro della nostra azione, e poi abbiamo fatto tutto il possibile per mantenerla a un livello basso’.”, ha osservato.“Su questo”, ha continuato, “la posizione normativa dell’Ue nei confronti delle aziende tecnologiche ostacola l’innovazione: l’Ue ha ora circa 100 leggi incentrate sulla tecnologia e oltre 270 regolatori attivi nelle reti digitali in tutti gli Stati membri. Molte leggi dell’UE adottano un approccio precauzionale, dettando specifiche pratiche commerciali ‘ex ante’ per evitare potenziali rischi ‘ex post’. Ad esempio, l’AI Act impone requisiti normativi aggiuntivi sui modelli di Intelligenza artificiale per uso generale che superano una soglia predefinita di potenza di calcolo, una soglia – si puntualizza nel rapporto – che alcuni modelli all’avanguardia superano già’.

‘In terzo luogo” – ha aggiunto l’ex presidente della Bce, citando sempre il proprio rapporto -, “le aziende digitali sono scoraggiate dal fare affari in tutta l’UE tramite filiali, poiché devono affrontare requisiti eterogenei, una proliferazione di agenzie di regolamentazione e la ‘gold plating’ (ovvero un’applicazione che va oltre i requisiti minimi richiesti, ndr) della legislazione Ue da parte delle autorità nazionali. In quarto luogo, le limitazioni all’archiviazione e all’elaborazione dei dati creano elevati costi di conformità’. Secondo Draghi, quindi, ‘la conclusione è che gran parte di questa legislazione si applica alle grandissime aziende, a cinque o sei grandi aziende statunitensi, e in realtà noi stiamo uccidendo le nostre piccole aziende. Non abbiamo grandi aziende come negli Stati Uniti, le nostre sono tutte piccole aziende, quindi con questa legislazione che ci siamo dati siamo in realtà autodistruttivi, stiamo uccidendo le nostre aziende’”.

5.L’industria militare

Secondo l’interpretazione datane dalla stampa, l’elemento qualificante del “Rapporto Draghi” sarebbe il peso particolare dato all’ industria europea della Difesa. Personalmente, credo di saperne qualcosa in quanto, oltre alle tradizioni familiari, ho diretto per una dozzina di anni il Servizio Giuridico del Settore Aviazione della FIAT, coinvolto, fra l’altro, mei progetti dei caccia europei Tornado ed Eurofighter, nei missili dell’ Esercito Italiano e degli Emirati Arabi Uniti, in Eurocopter, nei residui delle attività nucleari italiane, oltre che nelle collaborazioni  per i lanciatori con la Francia e con l’Ucraina.

Pertanto, credo di comprendere la logica che potrebbe presiedere a un rafforzamento dell’ industria europea della Difesa e le logiche seguite da Draghi. Visto che, sotto pressione americana, gli Europei sono sempre più sospinti a spendere di più per il militare, il concetto furbescamente  adottato è che, almeno, si spenda in prodotti europei, e non in quelli americani.

Personalmente, ho avuto da sempre un approccio molto diverso, basato su una visione olistica dell’ “industria della difesa”.Perciò, mi riservo di ritornare sull’ argomento commentando la serie di articoli che compariranno su “Il Sole XIV Ore”.

Premesso che, stante la situazione, sarebbe illogico non pensare a un rafforzamento della nostra industria di difesa, in termini di maggiore coordinamento e di ottimizzazione delle ricadute economiche, noi riteniamo che ci si dovrebbe attenere, anche e soprattutto, ai criteri seguenti:

-dual use, estendendo la programmazione a tutte le industrie connesse,come informatica, Intelligenza Artificiale e aerospazio;

-una cultura europea della difesa intesa quale strumento di unificazione delle élites militari;

-informatizzazione delle forze armate;

-selettività delle spese, privilegiando le tecnologie più avanzate;

-comando unificato sotto un vertice militare forte e coeso;

-consolidamento, grazie all’ investimento pubblico, dell’ industria europea  della Difesa intorno a un gruppo finanziario paneuropeo, quale avrebbe dovuto essere (ma non è stato) l’EADS

SIAMO VERAMENTE IMPOTENTI?

L’Europa  contro la IIIa Guerra Mondiale

Su “La Stampa” del 23 agosto, Gabriele Segre scrive giustamente che “mentre gli altri (alleati o avversari) non potevano avanzare alcun ordine ideale alternativo, gli Stati Uniti raggiungevano il massimo grado del proprio dominio a seguito del trionfo nella prima guerra del Golfo” Era il momento  della “Fine della Storia” di Fukuyama.

Infatti, aggiungiamo noi,  non potevano avanzare progetti alternativi perché bloccati deliberatamente dall’onnicomprensivo potere americano: l’Europa, dal “Passato che non Passa”; l’Unione di Stati Indipendenti, dall’eredità della politica leninista e stalinista delle nazionalità; la Cina, da Piazza Tien An Men; l’Islam, dal convergere con gli USA delle monarchie del Golfo.

Oggi, dopo la fuga dall’ Afghanistan, l’America ha perso la sua credibilità quale “unica superpotenza”, e, perciò,  ”in Occidente non si scorgono al momento alternative”. Tuttavia, è possibile che proprio questo renda possibile, contrariamente a quanto opina Segre, una maggiore autonomia dell’ Europa. Ed è proprio per questo che l’establishment si ostina a sostenere ch’essa è impossibile.

Pero, a questo punto, occorre anche chiederci: ma perché mai ci dovrebbe essere un “Paese Guida” a livello mondiale? Per indirizzare in una qualche direzione “il Progresso”? Ma non è proprio della Post-Modernità l’aver messo  sotto le lenti della critica il Mito del Progresso, travolto dall’ “Eterogenesi dei Fini” (cfr. Horkheimer e Adorno, Latouche, Grey)?Con questo, è venuta anche meno l’esigenza di un “Paese-Guida”.

La tecnologia non è più vista come una salvifica teofania, bensì come la punta emergente del Secolo Finale, guidato dall’ Intelligenza Artificiale e dalle minacce atomiche oramai quotidiane (Martin Reed).

La libertà di pensiero, di parola e di culto è sempre più limitata dai delitti di opinione, dall’impegno politico dei miliardari dell’ informatica e dalle censure sul mondo dell’ informazione (accademia, editoria, media, web).

La Pace Perpetua propiziata dalla “benigna” egemonia americana è resa sempre meno credibile dal riproporsi all’ infinito (ingigantiti dalla tecnologia) di conflitti millenari e genocidari (i Filistei, l’Egitto, Gaza, Israele;  Iranici e Semiti; Zaristi e Cosacchi…).

La libera circolazione del lavoro, dei capitali e delle merci, articolo di fede dell’ Unione Europea,  è negata violentemente dai muri anti-immigrati, dal sequestro dei beni russi, dai dazi e dalle sanzioni.

La concorrenza è abolita dai GAFAM, ma l’Antitrust non interviene.

L’”ascensore sociale” è messo in forse dalla Società delle Aspettative Decrescenti.

1.Dialogare, ma su cosa?

Molto più “attuali”, dunque, le visioni del mondo dell’ Estremo  Oriente:

il Mito dell’ Eterno Ritorno, che, nella sua versione originale, quella induista, prevede un’infinità di eoni, ciascuno dei quali inizia dall’ era degli Dei e finisce con un’ Età Oscura (Kali Yuga), in cui noi saremmo ora immersi, in attesa del salvatore apocalittico Kalki, che, dopo una deflagrazione universale, ci riporterà nell’ Eone degli Dei;

-il “Datong”, l’utopia conservatrice e patriarcale di Confucio, monarchica e meritocratica, che, non essendoci nel Cinese Classico il futuro, è qualcosa di saltuariamente possibile, ma sempre sfuggente.

La questione  prioritaria non è infatti quello di guidare meglio “il Progresso”, vale a dire l’incremento dei beni materiali e il passaggio dal “Governo degli Uomini” al “Governo delle Regole”, bensì quello di perseguire finalità diverse, quali il perfezionamento dell’ Umanità, attraverso una visione olistica del mondo e il controllo sul mondo della Tecnica. Per fare ciò, non vi è bisogno di un “Paese Guida” (che sia esso l’America o la Cina, un Califfato o una Federazione Europea), bensì di un dibattito serrato fra le grandi culture mondiali, per gestire le Macchine Spirituali attraverso una cultura che sia una sintesi fra l’ascesi orientale e la progettualità occidentale, fra le culture pre-alfabetiche e l’Intelligenza Artificiale.

2.Una  “direzione strategica” contro il  determinismo

A oggi manca, come scrive Segre, “una direzione strategica ben definita”, capace di fermare la IIIa Guerra Mondiale oramai in corso fra Kursk e Donbass, fra Kurdistan e Siria, fra Palestina e Yemen, fra Iran e Israele, fra India e Pakistan, fra Bangladesh e Myanmar.

Ma, giacché la guerra in corso non è una normale controversia territoriale, bensì una guerra di religione fra gli stregoni che preparano la Singularity Tecnologica e i “veri credenti” che rivendicano la Terza Roma, non è possibile formulare proposte pacificatrici se non in base a un’ approfondita riflessione storico-filosofica multiculturale, “a monte” del millenarismo imperante e della propaganda di guerra.

La Singularity Tecnologica, con i suoi corollari del superamento  dell’Uomo da parte delle Macchine, della Megamacchina Universale e della generale omologazione, costituisce l’esito inevitabile di una visione deterministica della Storia, come quelle chiliastiche, quelle hegeliane e marxiste e le varie teorie americane dello sviluppo. Solo il trasferimento del potere alle macchine è infatti in grado di eliminare i conflitti derivanti dalla soggettività umana, e dunque, giacché la gestione tecnocratica è il modo migliore per realizzare il Progresso, l’Umanità la persegue di fatto nella misura stessa in cui persegue il benessere.

A causa di questo automatismo (il cosiddetto “piano inclinato”), opporsi al corso “naturale” del Progresso è l’unica possibilità effettiva di Libero Arbitrio, e, come tale, è altamente conflittuale. La rivendicazione del Libero Arbitrio, vale a dire la continuazione in vita di un Governo degli Uomini, comporta una lotta (ideale, culturale, ideologica, politica, ma talvolta anche rivoluzionaria o militare) contro le “Forze del Progresso”. Essa è costretta ad appoggiarsi ad elementi storici, come le religioni e le culture, come punto di sostegno contro  un “mainstream” governato dalla dialettica della Singularity. Di qui i richiami al racconto dostojevskiano del Grande Inquisitore, alle Hadith islamiche sul Dajjal, a Lord Rama, al Dao…

3.L’”ipocrisia politica”

Segre (come tutti i più intelligenti e onesti osservatori), non crede alle retoriche “mainstream”, e, in particolare, a quelle europee. Per questo, pone al centro della politica della Modernità l’Ipocrisia Politica. Che per altro immiserisce, perché la riduce al ben noto “doublespeak” sul preteso carattere “umanitario” della politica estera americana, reso credibile soltanto dalla forza.

In realtà, l’”ipocrisia politica” si situa su un piano addirittura esistenziale, ben anteriore all’ America. Già Tertulliano aveva affermato l’assurdità quale carattere essenziale dell’esistenza, oltre che della fede religiosa (Credo quia absurdum). A sua volta, Averroè aveva affermato l’esigenza di una “doppia verità” (filosofica e teologica), invitando il “Principe” (al-Amir), ad ascoltare i filosofi, ma a parlare al popolo attraverso i teologi. Infine, Nietzsche aveva fatto, dell’ipocrisia politica, l’elemento discriminante fra aristocrazia e popolo, in quanto il popolo non sarebbe atto, esistenzialmente, a sopportare l’indeterminazione del nostro “Vergleichendes Zeitalter”, sì che l’utilità fondamentale dell’ “élite” sarebbe quella di riuscire a ragionare ed agire in un mondo irrazionale, ma facendo credere al popolo che, al contrario, regnino la logica e l’obiettività.

4.La nostra pretesa impotenza

Ciò detto, non è affatto vero che gli Europei abbiano (meno di altri) gli strumenti per fermare la IIIa Guerra Mondiale. Infatti, come affermano molti, gli USA sono paralizzati dalla lotta per definire l’identità americana; la Russia e la Cina sono appesantiti dalla difficoltà di rimpiazzare l’ideologia marxista con un’adeguata ideologia imperiale tradizionale; l’Islam e l’India dalla pluralità etnica e confessionale.

Di fronte a queste situazioni, gli Europei potrebbero influenzare le scelte degli “altri”  con adeguate proposte culturali e manovrando fra le diverse tendenze dei due campi: GAFAM e MAGA, Russia e Cina, Ungheria e Turchia, India e Iran. Ma, per fare ciò, essi dovrebbero liberarsi dal timore reverenziale verso l’America e dagli automatismi indotti dalla propaganda. Per esempio, che l’Europa, senza l’esercito americano, sia indifesa nei confronti della Russia e dell’Islam. Che gli Europei Orientali vogliano a tutti i costi un conflitto con la Russia. Che “gli altri” abbiano solo due alternative: radicalismo o americanizzazione. Al contrario, l’Europa spende in armamenti più della Russia, e, se non ha peso politico, è perché è costretta a fare le guerre degli altri. Gli Europei Orientali avrebbero tutti i vantaggi da un rapporto migliore con la Russia, perché questo sposterebbe a Est il baricentro dell’ Occidente, e, contrariamente a quanto si dice, il loro spirito non è meno “tartaro” e “cosacco” di quello russo: ricordiamo il popolo Yamnaya, le migrazioni di popoli, il Granducato di Lituania, il Sarmatismo e il Pannonismo, Taras Bul’ba, “i Pagani”di Herczeg, “gli Antenati” di Mickiewicz, il mondo tradizionale di Eliade….Infine, Shevardnadze (ministro degli Esteri di Gorbaciov) aveva promesso che, con la Perestrojka, si sarebbe costruito un sistema migliore del socialismo, del capitalismo e perfino del feudalesimo (che evidentemente aveva ancora, in Georgia, una presa non indifferente).

5.Le debolezze della nuova Commissione

Quindi, occorrerebbe muoversi subito!

Abbiamo però dubbi sul se la nuova Commissione (a parte certe critiche su cui qui non entriamo) abbia le caratteristiche adeguate per quanto sopra. Intanto, fra i commissari proposti dai Governi non c’è nessun intellettuale capace di affrontare i temi da noi proposti. Poi, quale responsabile della Politica Estera e di Difesa è stata indicata l’ ex Primo Ministro estone Kaja Kallas, la quale ha come programma addirittura di ridurre la Russia a un coacervo di piccole repubbliche etniche, moltiplicando così per 100 l’attuale marasma dell’ Europa Orientale.

Programma su cui l’Ungheria e la Slovacchia non sono assolutamente d’accordo.

Capiamo bene che la Kallas, rappresentando un piccolo popolo ugro-finnico che, per una serie di vicende storiche, ha finalmente un proprio Stato, rappresenti bene il timore dei suoi concittadini di essere ridotto allo stesso livello degli Inuit, dei Sami, e, soprattutto, dei popoli ugro-finnici della Russia, come i Careliani, i Vepsi, i Bashkiri,i Nenci, i Komi, i Permiacchi, ecc..E che tenda ad estendere le loro aspirazioni ai popoli della “Grande Finlandia” e agli ai popoli altaici e cartvelici.

Tuttavia, non si può neanche subordinare un disegno globale di sviluppo continentale alle esigenze particolaristiche delle micro-nazionalità, che sono state sempre parte di grandi imperi (unno, avaro, bulgaro, khazaro, turchico, mongolo, russo..), ed hanno sempre coesistito con altri popoli come i Vikinghi, i Tedeschi, i Cavalieri Teutonici, gli Svedesi, i Danesi, i Lituani, i Polacchi, gli Ebrei,  e, solo in ultimo, con i Russi e i  Sovietici.  L’Estonia ne costituisce un esempio lampante, visto che vi si trovano reperti vikinghi anteriori a quelli estoni, che nel Medioevo era organizzata come “Terra Mariana”, condivisa fra i cavalieri Portaspada, città anseatiche e vescovati tedeschi, e, infine, modellò la propria epopea nazionale (il Kalevipoeg), su quella finlandese (il Kalevala).

Non possiamo condannarci ad altri decenni di guerre con la Russia per soddisfare dei particolarismi che troverebbero una più adeguata collocazione all’ interno di un “Territorio Federale” europeo che vada da Baltico fino all’ Egeo, passando per il Mar Nero, e all’ interno del quale potrebbe situarsi anche la capitale federale (per esempio, Kiev).

Solo con proposte rivoluzionarie di questo tipo si potrebbe “rovesciare il tavolo” e convincere alla pace tutte le parti interessate.

PER UN DIBATTITO AUTENTICO SENZA PREGIUDIZI sulla Modernità

“Il vero significato del Signore del Cielo”:

dibattito fra budddhismo e confucianesimo, fra Modernità e Tradizione

Giustamente Gabriele Segre su La Stampa di Venerdì fa notare la contraddizione fra le dichiarazioni di apertura agli avversari dei politici “mainstream”  («non c’è niente che l’America non possa fare, quando lo facciamo insieme», di Joe Biden nella sua lettera di rinuncia alla candidatura presidenziale,o l’impegno preso da Macron di lavorare per una Francia sempre più «plurale»),e  l’ effettiva  chiusura a un reale confronto con le opposizioni, politiche, ma, prima ancora, culturali:Questo spirito inclusivo non sembra comprendere proprio ‘tutti’ i cittadini. La Presidente della Commissione non ha voluto incontrare gli esponenti dell’estrema destra europea e pare chiaro che l’«insieme» di Biden non comprendesse la compagnia dei trumpiani, considerato che, in occasione del loro ormai storico dibattito televisivo, i due non si sono nemmeno stretti la mano. Esempio seguito da alcuni tra i deputati francesi de ‘La France Insoumise’ nei confronti dei colleghi del ‘Rassemblement National’. “

Rousseau iniziò la sua carriera
con una dissertazione contro la Modernità

1. E’ il dialogo nella natura della democrazia?

“Se la nostra democrazia è per definizione un contratto sociale che si prefigge di dare rappresentanza a tutte le forme che compongono il vivere civile, allora essa è chiamata ad includere anche le istanze più centrifughe e perturbanti, partendo dall’assunto che tutti i sentimenti pubblici, in quanto esistenti, trovano già spazio di cittadinanza e partecipazione al dibattito politico”.

Veramente, questo obiettivo era/è sentito come proprio e perseguito più dai sistemi autodefinentisi “totalitari” ”(o, almeno, delle “democrazie consociativistiche”, come la Svizzera) che da quelli che si proclamano “democratici”: mentre i sistemi totalitari pretendono di costituire una sintesi delle correnti ideali del popolo (il “fascismo”, i “fronti popolari/nazionali”) , la democrazia (intesa, come vuole Canfora, come “forza del popolo”) sembrerebbe portata piuttosto al giustizialismo, al linciaggio, alla ghigliottina, ai “tribunali del popolo”. D’altra parte, è per questo che un po’ tutte le forme politiche mantengono un volto duplice: esoterico/exoterico, essendo restie a un’eccessiva trasparenza verso “il popolo”. Pensiamo ai Misteri Eleusini nella “democratica” Atene o al peso delle società segrete nelle moderne società “democratiche”…

Dall’ altro lato, basta pensare ai molti volti del fascismo, studiati per esempio da Volt (razzismo ed anarco-sindacalismo, spiritualismo e corporazione proprietaria, monarchia e socialismo nazionale, conservatorismo e mazzinianesimo, clerico-fascismo e liberalismo laicista), sì che la cultura, che ha bisogno di confronto e di dibattito, vi si sviluppò forse più che nell’epoca successiva, in cui, semmai, fiorirono quegl’ingegni ch’erano nati proprio nel ventennio: Moravia e Morante; Pavese  e Einaudi; Spirito e De Sica; De Chirico e  Toscanini.

Certo, anche la Prima Repubblica “nata dalla Resistenza” aveva altrettanti volti,spesso ereditati da quelli del regime precedente (neo-fascismo e operaismo, cristianesimo sociale e comunismo, monarchia e socialismo, liberalismo e social-democrazia, cristianesimo sociale e mazzinianesimo). Tuttavia, nel corso di questi ultimi ottant’anni, le differenze fra queste “anime”, all’ inizio ben chiare ed evidenti, si sono ottuse a tal punto, che è difficile discernere gli eredi di quelle antiche “anime”.Invece, si è imposto un “pensiero unico” che non ammette contraddizioni. Non diversamente che in America, basta accennare a infrangere un qualunque tabù del “mainstream” (sia esso sessuale o storico, geopolitico o ideologico) per decadere al  ruolo di reietto, venendo legittimamente licenziato ed iscritto in una lista di proscrizione.

Questo deriva da un’evoluzione naturale della società, per dirla con Saint-Simon, da un’ “Eta’ organica” (l’”Ancien Régime”), attraverso una “Età Critica” (la “Guerra Civile Europea”), verso una “Nuova Società Organica” (l’”Era delle Macchine Spirituali” di Kurzweil).Seguendo un filo rosso che va da Lessing a Hegel, da Saint-Just a Saint-Simon, da Emerson a Whitman, da Mazzini a Lukàcs, il sistema occidentale si sta impegnando più che mai  a realizzare “il Progetto Incompiuto della Modernità” (il “Primo Programma Sistemico dell’ Idealismo Tedesco”), fondato sui due binari  paralleli  dello sviluppo illimitato delle aspirazioni alchemiche alla trasformazioni del mondo fisico e dell’ applicazione sistematica nella società dello spirito ascetico (un’”ascesi intramondana” basata sulla  rinunzia alla “Volontà di Potenza”).La prima permette la dematerializzazione del mondo e la sua trasformazione in numero; la seconda, la trasfusione della vita dal vissuto umano al sistema informatico delle regole, che elimina il “potere dell’ uomo sull’ uomo”, abolendo pero l’uomo stesso.

Perché questa transustanziazione mistica sia possibile, il soggetto deve perdere innanzitutto ogni possibilità di scelta autonoma, sganciata dal sistema macchinico, fino a perdere una sua identità specifica.Ciò si realizza per gradi, per esempio con l’indebolimento di religioni, generi, classi sociali, etnie, imperi, nazioni, ideologie, a favore di “imperi sconosciuti”, di multinazionali, burocrazie, di una generalizzata retorica che fa appello a istinti omologanti, quali lo spirito di branco, l’invidia, lo spirito censorio.

Esso costituisce il preludio della sostituzione del governo delle macchine al governo degli uomini. A questo percorso è finalizzato il “Pensiero Unico”, secondo il quale occorre perseguire l’universale in luogo dell’”identitario”, l’asessuato in opposizione al “sessualizzato”, l’”uguaglianza” in quanto opposta alla “differenza”. La gerarchia, il carisma, la leadership devono essere trasferiti, dalle persone, a quel “sistema” impersonale, che, da “burocrazia”, si sta trasformando in una “megamacchina”. Solo così si aboliranno i conflitti, perché si aboliranno gli umani, con le lor identità, le loro frustrazioni, le loro ambizioni, le loro differenze…

Tutto ciò è un’anticipazione  del governo delle macchine spirituali, dove il futuro del mondo è deciso dal sistema digitale di Mutua Distruzione Assicurata; l’ideologia è forgiata dall’ Intelligenza Artificiale “educata” con dei testi “politicamente corretti” e purificata dai “bias” attraverso il sistema informatizzato di rilevamento e cancellazione delle “fake news”; le scelte politiche sono mediate dai “Big Data”; la scuola è basata su una “memoria condivisa” costruita coi computers e censurata dai Gatekeepers, ecc…

Dato tutto ciò, si comprende bene come coloro che si sentono investiti del compito di realizzare questo “Progetto Incompiuto della Modernità” siano convinti di essere separati, dagli “altri” da un abisso, di carisma, di consapevolezza, e perfino di etica, perché andare contro il Progresso è come andare contro Dio. A questo punto, è assolutamente logico ch’essi rifiutino ogni possibilità di dialogo, adottando teorie e prassi come quelle di Lukàcs, che, come scrittore, accusava i propri avversari di non essere altro che dei predecessori di Hitler, e, come ministro della cultura, bandiva dalle biblioteche ungheresi i libri di quegli stessi avversari.  In questo contesto sono nate teorie assurde come “il Male Assoluto” o “il fascismo eterno”, che precludono ogni comprensione della storia e della filosofia, confondendo tutto in un enorme calderone, dove Augusto, Costantino, Machiavelli, Nietzsche, Khomeini, Bin Laden o Putin diventano “fascisti”, e Giulio Cesare, Rousseau, Gandhi, divengono “progressisti” , nonostante siano fra gli intellettuali che più pesantemente hanno contribuito al mantenimento di antiche tradizioni e a combattere le moderne superstizioni.

Per mantenere questa barriera, viene stabilito, prima in America, poi anche in Europa, un nuovo canone che distingue il vero dal falso, il giusto dall’ ingiusto, e scomunica chi non vi si adegua. Anche la dilatazione a dismisura della contrapposizione “fascisti-antifascisti” è strumentale alla creazione e rafforzamento del nuovo canone e delle sue scomuniche, e ha poco a che fare con il fascismo effettivo. Così, sono “fascisti” Pound, Juenger  e Evola, che non hanno mai avuto una tessera, mentre sono “antifascisti” Pajetta, Ingrao o Napoletano che hanno cominciato le loro carriere nelle organizzazioni di massa del fascismo.  

Nel suo opuscolo in Gujarati “L’indipendenza dell’ India”, Gandhi invitava gl’indiani a liberarsi delle eredità britanniche:
medici, avvocati e ferrovie

2.L’”autoesclusione” dei “conservatori”

Secondo Segre, i sovranisti (per esempio, al Parlamento Europeo) sono  corresponsabili di quella situazione. “D’altro canto, le stesse forze che si sentono investite dai cittadini della volontà di cambiamento non possono pretendere di imporla autoescludendosi: è la strategia migliore affinché il proprio progetto non si realizzi”.In un certo senso, ha ragione. A mano a mano che il “Pensiero unico” si afferma, i “Conservatori” ne hanno accettato i sottintesi, a partire da quello dell’ “Irreversibilità del progresso”, autocondannandosi al ruolo di “laudatores temporis acti”. In questo loro sterile ruolo, essi sono stati accettati ed incoraggiati dall’ “establishment”, perché, in tal modo, essi addirittura rafforzano il ruolo del progressismo, dimostrando che questo non è totalitario,bensì aperto al pluralismo,  e, nel contempo, che esso è invincibile.

Questa connivenza ha garantito ai conservatori la sopravvivenza e un modesto mercato “captive”, ma ha deteriorato gravemente la qualità delle loro produzioni culturali, rispetto a quelle dei loro predecessori- per esempio, di Matteo Ricci, di Rousseau, di De Maistre, di Balzac, di Kiekegaard, di Nietzsche, di Heidegger, di Guénon, di Schmidt, di Eliot, di Pound, di Evola-.

Grazie a questo atteggiamento dei conservatori, non vi sono più contrappesi intellettuali al Progressismo, neppure nei  suoi aspetti più controversi: la sua pretesa di innegabile positività della Storia (negata già perfino da Rousseau), o il suo equivoco legame con la tecnica (Heidegger, Anders), e  non si sono riprese in alcun modo le tesi di quegl’intellettuali che proponevano uno scontro frontale con esso (per esempio, Dostojevskij e Gandhi).

L’idea di Segre che sia possibile un dibattito alla pari con i “conservatori” parte infatti proprio dal fatto che anche costoro hanno accettano, in un qualche modo, il progresso: “Nel nome di quel progresso che tutti invocano, ogni parte, invece, dovrebbe sentirsi chiamata non solo a conoscere l’altro, ma a riconoscere ruolo e dignità delle sue aspirazioni, attraverso la condivisione di spazi, in cui l’emotività politica possa trasformarsi in progetto.”

In realtà, non è vero che tutti invochino il progresso, perché non sono mancati, e ancora non mancano, intellettuali antimoderni (Compagnon, Moderne, Antimoderne), più numerosi di quanto appaia a prima vista, ma intimoriti dal “Politicamente Corretto” e dalla “Cultura Woke”. Soprattutto in relazione alla necessità di una “governance” dell’ Intelligenza Artificiale, la maggior parte degli interventi sono animati da una critica antimoderna alla tecnica dispiegata. Anche la rivolta del Sud del Mondo ha riportato alla ribalta visioni del mondo come il Confucianesimo, il Sanata Dharma, lo sciamanesimo e l’Islam quietista.

Ci chiediamo se l’apertura al dialogo invocata da Segre si estenda a coloro che contestano il Mito del Progresso, vale a dire la credenza in un “Lieto Fine” della Storia, non già in senso metafisico, bensì quale completa realizzazione terrena degli obiettivi della tecnica, e quale abolizione del conflitto fra gli uomini. Può sembrare un aspetto marginale e intellettualistico, eppure è su questo “dettaglio” che si giocano i maggiori conflitti di oggi.

A nostro avviso, è proprio perché ci sono molti scottanti problemi che il “mainstream” culturale occidentale e progressista non è riuscito a risolvere, che sarebbe il momento d’ ingaggiare un dibattito serrato fra Moderni e Antimoderni (e fra Occidentali e Orientali, il che spesso è la stessa cosa), sull’epistemologia, sulle religioni comparate, sulla transizione digitale, sulla pace nel mondo, sul governo della tecnica, sull’ Europa. Su tutti questi punti, i classici argomenti modernistici si stanno rivelando inconcludenti e controproducenti, come dimostrano il surriscaldamento atmosferico, la IIIa Guerra Mondiale a Pezzi, la decadenza del’ Europa, la crisi delle nuove generazioni, ecc…

In questo senso, occorre senz’altro raccogliere al più presto l’appello di Segre per  “Luoghi delle idee dove stringersi la mano” , il che, in concreto, dovrebbe significare, da un lato, la fine della repressione del pensiero critico e dei suoi portatori, e, dall’ altra, una rinnovata assertività degli Anti-Moderni e dei cultori del mondo multipolare.

FRA I GAFAM PER TRUMP E IL GATTOPARDISMO EUROPEO

In mezzo alle tragedie, l'”establishment” ostenta soddisfazione.

La scorsa settimana, mentre il Parlamento Europeo ha ratificato il rinnovo dell’incarico a Ursula von Der Leyen, si è svolta a Milwaukee una convention repubblicana che, dopo il fallito attentato a Trump, non ha potuto che consacrarne a gran voce la nomination per il Partito Repubblicano.

Mentre il voto europeo è stato caratterizzato  dall’allagamento ai Verdi dell’alleanza a favore della Presidente uscente, una mossa in sostanza in sostanziale coerenza con il passato, la scelta dei Repubblicani americani sembrerebbe seguire una linea politica, ma soprattutto ideologica, di apparente  rottura con il “mainstream”. In particolare:

-rafforzato messianesimo, sostenuto da un’interpretazione taumaturgica del fallito attentato;

-venature monarchiche (Yarvin);

-teorizzazione della tecnocrazia del web (Srinivasan).

Rottura per altro anche questa a nostro avviso solo apparente perché, come non ci stanchiamo di ripetere da sempre, il vero filo conduttore della storia americana è stato costituito dal messianesimo, prima religioso, poi politico, e, alla fine, tecnologico, che sfocia nel chiliasmo della missione dell’America, sul quale sono d’accordo tutti i partiti.

Dalla presunzione dei primi puritani di costruire in America la biblica “casa sulla collina”, che  tutti avrebbero dovuto imitare, al “White Man’s Burden” che l’America avrebbe ripreso dall’ Inghilterra per portare ovunque la civiltà, per passare poi alla battaglia reaganiana contro l’ “Impero del Male”, al progetto di Kurzweil di realizzare attraverso Google la “Singularity Tecnologica”e l’idea di Eric Schmidt  che Google deve guidare gli USA alla conquista del mondo.

Sulla strada verso la Singularity, Musk ha superato Schmidt e Kurzweil

1.Al di là dei GAFAM

Oggi però si è raggiunto un livello di vicinanza alla Singularity mai fino ad ora nemmeno intravisto, grazie in particolare all’ intervento diretto nella campagna elettorale di “tycoons” informatici come Musk, Thiel e lo stesso Vance, che spostano clamorosamente le loro “donations” da un candidato all’ altro, con l’intento evidente d’imporre le rispettive strategie per il controllo  tecnologico del mondo.

I teorici trumpiani vogliono andare al di là dello stesso  progetto schmittiano di “Googleization of the World”. proclamando apertamente il progetto di Saint Simon: gl’imprenditori quali sacerdoti della Religione della Umanità, attraverso l’attribuzione formale del potere alle multinazionali del web : “Silicon Valley governi il Paese”(Srinivasan).

Si realizza così la previsione di Morozov, che l’informatizzazione costituirà l’arma finale dell’ America-mondo per bloccare a proprio favore la Storia mondiale. Progetto per altro oggi contrastato dalla nascita di un’industria digitale cinese (i BAATX, speculari ai GAFAM, ma soggetti a una disciplina ben più reale: il “crackdown sui BAATX”).

Non per nulla Elon Musk si è qualificato quale il massimo finanziatore di Trump, con 45 milioni di dollari al mese per la campagna elettorale. Come resistere a queste coalizioni di tycoons? E come impedire che l’intero “establishment” europeo, senza nemmeno lo spauracchio di una repressione di tipo “asiatico”, si faccia comprare in blocco sottobanco dagli stessi “donors” che finanziano in modo aperto la politica americana? Ammesso che non l’abbia già fatto, visto come, nonostante le varie finte, si è guardata bene da attaccare seriamente (per esempio sul fisco, sull’antitrust, sulla privacy)i GAFAM, nonostante che questi siano inauditi monopoli che vivono in simbiosi con l’apparato informatico-digitale americano.

Quegli atteggiamenti degl’ideologhi di Trump, che potrebbero sembrare isterici e privi di agganci con la realtà, sono perciò assolutamente comprensibili e razionali in un’America la cui cultura è dominata da sempre dal funesto incrocio fra  messianesimo e plutocrazia, e che si trova anche, oggi, di fronte alla drammatica prospettiva di essere scavalcata in efficienza da Paesi ritenuti “inferiori”, come la Cina e l’India. In questa situazione, è normale che l’establishment ricerchi freneticamente nuovestrategie politiche,se necessario voltando le spalle alle tradizionali retoriche americane dell’ egualitarismo e del liberismo, per abbracciare varie forme di realismo politico, dall’ autoritarismo all’interventismo economico, ritenute più idonee a rallentare l’ascesa dell’ Asia, e, con ciò, la decadenza dell’ Occidente. In questo s’inserisce un ulteriore rafforzamento della figura carismatica di Trump e della sua famiglia, sostenuto, da un lato, dalla sentenza della Corte Suprema del 1° luglio, che sancisce di fatto il principio della superiorità del Presidente sulla legge, caratteristico delle monarchie assolute (“Princeps legibus solutus”).

Uno di questi nuovi percorsi  potrebbe essere costituito dalla scelta di un’ alleanza con la Russia per contrastare la Cina, invertendo così il percorso iniziato a suo tempo da Kissinger negli anni ‘70 del XX secolo. E’ questa la prospettiva più temuta dall’establishment europeo, sbilanciatosi in modo autolesionistico a favore una guerra in Ucraina che, checché esso affermi, costituisce la negazione dei suoi interessi e valori.

Per ciò che riguarda Trump, da un lato,  egli si è immedesimato nello Zeitgeist inaugurato da Putin, Xi Jinping e Modi, basato su una rinascita religiosa, sul nazionalismo economico e su un leader carismatico, una formula divenuta quasi un obbligo per i governi delle grandi potenze in una fase, come questa, caratterizzata da forti rivalità geopolitiche e dall’ imminenza della IIIa Guerra Mondiale, e, dall’ altro, non ha fatto altro che approfondire un trend già avviato sotto Reagan e i due Bush, verso una “presidenza imperiale”.

Anche sotto questo punto di vista, il “motore immobile” verso l’accentramento è costituito dall’ Intelligenza Artificiale, che s’identifica con l’essenza ultima della transizione digitale: un’unica mega-macchina super-intelligente che pensa per tutti, come nei romanzi di Asimov, per il bene di tutti. Il sistema politico occidentale, che sarebbe “basato sulle regole” serve appunto a tenere tutti “legati e imbavagliati” in attesa che i GAFAM completino la costruzione della megamacchina. Le “regole” si riveleranno alla fine essere quegli algoritmi “etici” da tutti auspicati, nei quali la cosiddetta “algoretica” tradurrà il moralismo puritano, nelle sue varie declinazioni de “politicamente corretto” e del “woke”.

Il primo uomo in cui Musk ha fatto inserire una chip cerebrale

2.”Bisogna cambiare tutto perché nulla cambi”

Alla febbrile agitazione della politica americana e dei GAFAM fa da riscontro l’immobilismo europeo, che continua a proporci da decenni lodevoli obiettivi fondati su ideologie tradizionali, ma che sono soffocati sotto un mare di libri “verdi” e “bianchi” e di retoriche buoniste, senza l’ombra di una realizzazione concreta.

A mancare all’ appello non è solo la Federazione Europea, ma anche l’Esercito Europeo, l’Identità Europea,  i Campioni Europei, la Rete Europea, che non possono certo essere surrogati da sempre nuove autorities, da un mare di finanziamenti a pioggia con chiari “biases” ideologici, da generiche politiche per le piccole e medie imprese o   dall’Artificial Intelligence Act. Quello che manca è soprattutto ciò che oggi è più urgente: un piano europeo globale di comprensione, dibattito, controllo e rinnovamento dell’ Intelligenza Artificiale.

Quell’impostazione mistificatrice  risulta evidente da una anche solo rapida lettura del programma presentato dalla von der Leyen, i cui titoli sono bellissimi, ma, quando ci si guarda dentro, tradiscono il vuoto, quando non la falsità:

a)a cominciare dalla pretesa che l’economia sociale di mercato stia dando all’ Europa un vantaggio competitivo, mentre invece l’economia europea sta soffrendo proprio per l’assenza di quella politica, come per esempio la mancanza di programmazione, le carenze della partecipazione dei lavoratori, la mancanza di Campioni Europei, l’assenza dalle grandi piattaforme europee…;

b)per passare al preteso “rispetto delle regole”, quando le multinazionali americane sono in continua violazione delle regole stesse con la connivenza delle Istituzioni europee (vedi sentenze Schrems);

c)continuando con l’informatica, di cui l’ Europa è un consumatore, non un produttore, e di cui si fa solo qualche vago accenno, fra i tanti altri temi molto meno importanti, confessando così, implicitamente, che si vuole la continuazione dell’ attuale situazione di svendita del Continente;

d)e ancora con la Politica di Difesa, che viene vista solo come un finanziamento aggiuntivo alle industrie nazionali, non già come un problema di creazione di un’élite europea, di cultura comune, di patriottismo europeo, di intelligence e di alte tecnologie, e, non ultima, di disponibilità a battersi;

e)Per finire ancora con il discorso sui diritti umani, da imporre agli altri Stati, mentre noi siamo i primi a non rispettare le minoranze etniche (come quelle dei Russi – di milioni di persone sparse in tutto l’UE ma la cui lingua non è riconosciuta-,dei Serbi cacciati irreversibilmente dalla Krajina; dei Catalani, i cui rappresentanti eletti hanno dovuto scontare lunghe pene detentive nelle carceri spagnole); ideologiche (come l’islam politico ,  il cristianesimo integralista-vedi Lefebvre e Viganò-, e perfino quel post-fascismo da cui l’attuale Governo italiano trae in realtà il nocciolo duro dei suoi voti).

Ursula von der Leyen ha espresso efficacemente quest’atteggiamento quando ha affermato, al Vertice Sociale di Porto, citando “il Gattopardo”: bisogna cambiare tutto perché nulla cambi”.

Tra l’altro, una questione di stile: perché il programma della Commissione e il discorso inaugurale sono in Inglese, quando l’ Inghilterra non fa parte della UE? Molto più opportunamente la Maltese Metsola usa spesso l’Italiano.

Occorre riproporre prepotentemente la questione della lingua, ma in modo radicalmente innovativo (uso moderno dell’ lingue classiche, più tradizione digitale -cfr. il nostro libro “Es patrìda gaian”-).

Un’opposizione all’ impostazione dominante ci sarebbe, anche al Parlamento Europeo, oltre che in quelli nazionali,  tanto a destra quanto a sinistra (pensiamo as esempio a Melenchon e Sahra Wagenknecht), ma sembrerebbe proprio che anche i partiti “sovranisti” siano in realtà parte del grande gioco, prestandosi essi a un’opposizione di comodo, ma non attaccando mai gl’interessi strategici dell’ “establishment”. Basti pensare che, sommando i voti di quei vari partiti (assolutamente intercambiabili), quello sovranista risulterebbe essere il primo gruppo politico di questo Parlamento, superiore perfino al PPE, e potrebbe perfino aspirare a proporre il presidente della Commissione.

In realtà, i vari gruppi “sovranisti” si agitano soprattutto  per far credere che esistano davvero, , per mettersi in mostra nei confronti dei loro attuali o potenziali sponsors (Biden, Trump, Putin, GAFAM?) facendo ciò che nella Marina delle Due Sicilie, si chiamava “ammuina”, vale a dire muoversi senza uno scopo sui vascelli.

Per esempio, il Parlamento, così deciso nella scelta pro-ucraina imposta dal Presidente Biden, incomincia già a sfilacciarsi, non solo con Orbàn, ma perfino con Michel, in previsione della vittoria elettorale di Trump in America, a cui tutti finiranno per allinearsi. Il Parlamento Europeo risulta essere, in tal modo, solo la cassa di risonanza delle vicende politiche americane. E’ lì che si adottano le vere scelte politiche, anche per l’ Europa. Del resto, l’idea stessa dell’ integrazione europea postbellica era stata lanciata, nell’ arena politica, da un voto in tal senso del Senato Americano (su proposta del Senatore Fulbright). Come si può pensare che, con una tale premessa, le Istituzioni Europee si esprimano in un senso contrario alla posizione di volta in volta egemonica in America?

Certo, l’attuale situazione kafkiana, con un’America profondamente divisa, il tentativo di Russia e Cina d’influenzare la politica occidentale, la forte consistenza numerica, ma anche la debolezza strutturale, dei sovranisti di destra e di sinistra, aprirebbe parecchi spiragli per una eventuale strategia di critica da parte di minoranze attive desiderose di unificare l’Europa sul serio, e non a parole come si è fatto fino ad ora.

Chi avrà il coraggio d’ incominciare?

MAKE EUROPE GREAT AGAIN?

Avviato il Semestre Ungherese dell’ Unione.

La tanto discussa presidenza ungherese dell’ Unione per il secondo semestre del 2024 ha scelto, come proprio simbolo, il cubo di Rubik e, come slogan, il simil-trumpiano “Make Europe Great Again”. Non si vede in ciò, né nel programma per il semestre ungherese, nulla di anti-europeo, come invece vorrebbero in tanti. Anzi, sembrerebbe che il Governo ungherese voglia condurre delle tradizionali politiche europeiste, come quella per la pace, quella per la competitività globale, quella per le identità culturali e le minoranze, con pari, se non maggiore, determinazione, di altre, precedenti, presidenze.

D’altro canto, l’Ungheria ha tradizioni di “europeità” non inferiori a quelle di nessun altro Paese. Tradizionalmente, una monarchia multietnica, comprensiva di Slovacchi, Rumeni, Szekler, Turchi, Cumani, Peceneghi, Alani, Croati, Bosniaci, Dalmati, Valacchi, Ruteni, Tedeschi, Ebrei, governata da dinastie europee come gli Anjou e gli Asburgo, ha dato all’ Europa apporti culturali importanti, come Liszt e Herczeg, e ha contribuito alla caduta del sistema sovietico con la rivolta del 1956 e con le riforme del 1989.

Anche la fondazione al Parlamento Europeo di un nuovo gruppo politico sovranista con Austriaci, Sloveni e Slovacchi, da Capodistria a Uzhgorod, evoca le tradizioni pan-europee dell’ Austria-Ungheria.

“I Pagani” di Ferenc Herczeg

1.L’Europa-alternativa all’ America-

In un momento in cui gli USA difendono con le unghie e con i denti il loro eccezionalismo, la Cina pretende di divenire la prima potenza mondiale e la Russia sta combattendo da due anni una guerra fratricida pur di non essere tagliata fuori dal “Grande Gioco”, sembra assolutamente illogico che nessuna forza politica o Stato membro (salvo, solo inizialmente, Macron) abbia innalzato il vessillo di un  sovranismo europeo.

Si conferma sempre più l’impressione che l’integrazione europea, votata per primo dal Senato Americano (senatore Fulbright) e finanziata dall’ ACUE (vicino alla CIA), avesse veramente per obiettivo quello di fare accettare in modo soft il declassamento dell’Europa, soprattutto rispetto agli Stati Uniti, un declassamento profetizzato da Washington, Whitman, Mazzini, Kipling e Trockij, e realizzato in pratica con il Piano Marshall, il Sessantottismo e, in ultimo, con i GAFAM. Uno degli anelli della “ragnatela” di istituzioni guidate dall’ America (Ikenberry). La pretesa di “avere realizzato ottant’anni di pace” sarebbe dunque solo una metafora per dire che abbiamo accettato di diventare  innocui, rinunziando a una nostra propria identità.

Il problema è che non è affatto vero che l’Identità Europea sia solo una brutta copia di quella americana, così come, in fondo, ci si vorrebbe far credere. Al contrario, è l’America ad essersi allontanata nel ‘700 dal “mainstream” della millenaria cultura europea, con la sua “passione per l’ eguaglianza”, così temuta da Tocqueville, con la “Super-soul” di Emerson, anticipatrice della Singularity Tecnologica e controbilanciata dall’ Uerbermensch nietzscheano, con la sua massificazione condannata da Kafka e da Céline, con la censura ideologica smascherata da Sol’zhenitzin e da Kadaré (oggi, il Politicamente Corretto, la Cancel Culture e la cultura Woke).

D’altronde, come ricordato da Luciana Castellina in “50 anni d’Europa”, il “capitalismo europeo” si distingue da quello americano per essersi formato, come già osservava Marx nei “Grundrisse”, in un contesto non già capitalistico, bensì feudale.Nessuna contraddizione fra questa dimensione “comunitaria” e il rifiuto di quell’ approccio utopico che, mirando solo a distruggere i parametri esistenti, ha per effetto la distruzione della stessa coesione sociale.Esempio tipico, l’approccio sindacale fondato su una pretesa  “autonomia di classe”, che ha portato, in Italia, all’assenza di una solida partecipazione dei lavoratori, e, come conseguenza, alla spoliazione, da parte degli azionisti, della nostra base industriale (cfr. casi FIAT e Alitalia)

Sarebbe dunque ora che si parlasse maggiormente della sovranità europea, certo in termini militari, ma, prima ancora, in termini culturali, sociali, politici, ideologici, finanziari ed economici. Purtroppo, fino ad ora i pochi che hanno tentato questa strada, da Coudenhove Kalergi a Olivetti, da De Gaulle a  Servan-Schreiber,  hanno dovuto sempre abbandonare le loro ambizioni.

Pan-Europa del conte austro-ungarico Coudenhove Kalergi

3.Orban vs. Macron

Ciò detto, esiste una strategia orbaniana per “Make Europe Great Again”, più efficace del progetto macroniano, che sta così miseramente naufragando, e sostitutiva dello stesso? O non si tratta anche qui dell’ennesimo patetico sforzo di pochi volenterosi che si sacrificano inutilmente per una causa immaginaria, come i Ragazzi della Via Pàl?

Il programma del Secondo Semestre fa giustamente riferimento al Cubo di Rubik, che, secondo il Governo magiaro , è significativo dell’abilità ungherese nel risolvere problemi complicati (pensiamo anche alla “penna Birò”). Tuttavia, il problema è che la debolezza europea ha radici più lontane, nel rapporto irrisolto fra la “poliedricità” etnica e sociale europea (Papa Francesco) e una “Translatio Imperii” ben più evanescente del corrispondente “Tian Ming” cinese. Ancor oggi, l’eredità imperiale europea è contesa, come dopo Diocleziano,  fra l’”Impero Nascosto” americano, la Terza Roma russa, il “Mavi Vatan” turco, la pretesa di egemonia culturale “romano-germanica” di Bruxelles, e, non ultima, l’ambizione del Vaticano di rappresentare un potere universale. Per giunta, il Patriarca greco di Costantinopoli ha usato il termine “Konstantiniyye” al posto di “Istanbul”e firmando il progetto di pace ucraino usando il simbolo imperiale dell’ aquila bicipite.

Come si vede, questioni ben al di sopra delle attuali beghe fra i partiti “sovranisti” al Parlamento Europeo, che, anzi, anche per opera di Orbàn, sono oramai frammentati in ben quattro gruppi in competizione fra di loro. Come scrive La Repubblica,In questo modo svanisce il sogno di costituire un “supergruppo” di destra cui aspirava anche la premier italiana. E l’inquilina di Palazzo Chigi proverà ancora oggi a evitare la quadrupla spaccatura. Sta facendo buon viso a cattiva sorte cogliendo qualche aspetto positivo. In primo luogo allontanare il sospetto di poter essere associata al “putinismo” di Orbán. Pericolo che comprometterebbe l’unica vera bussola di Fdi in politica estera durante questi due anni, l’atlantismo.

E poi potrebbe marcare l’idea che i Conservatori essere definiti di estrema destra visto che alla loro destra ci sono altri due gruppi. Ma è solo una autoassoluzione. Resta il fatto che i sovranisti stanno perdendo la prova dell’unità e presentandosi così divisi non rappresentano nemmeno potenzialmente una alternativa.”

In realtà, l’idea stessa del “sovranismo europeo” è viziata dal richiamo a un’era mitica, che non è mai esistita. Se è chiaro che “l’America era grande” nel mondo unipolare subito dopo la caduta del Muro di Berlino, e la Cina “era grande” al tempo dell’Impero, quand’è che “l’Europa era stata grande”? Forse nella Belle Epoque, quando essa era travagliata dalle Guerre Balcaniche, la Spagna veniva sconfitta dagli USA e la Russia dal Giappone? Oppure al tempo del Maccartismo, quando semplicemente si trasformò l’industria militare dell’ Asse in industria produttrice di beni di consumo?

La nostra grandezza, se ci sarà, sarà nel futuro.

L’identità europea non è cominciata ieri

4.Le dialettiche storiche dell’ Europa

D’altronde, l’affermazione di un eccezionalismo europeo, per esempio in Nietzsche e in  Coudenhove Kalergi, è stata sempre limitata e aleatoria. Una buona base di riflessione, un punto di partenza. Certo, non un punto di arrivo. Il “Partito della Vita” di Nietzsche si perse per strada a causa della follia sopravvenuta del suo ideatore, mentre  Paneuropa perdette ogni credibilità dopo la Seconda Guerra Mondiale, venendo scavalcata dal progetto “funzionalistico” dei Governi, abilmente appropriatosi della retorica federalistica.

Una seria riaffermazione dell’Identità Europea presupporrebbe una riflessione  approfondita sulle dialettiche storiche  dell’Europa prima dell’ integrazione post-bellica, fra le radici orientali (nelle steppe e nel Medio-Oriente), e le tradizioni autoctone  dei Cacciatori-Raccoglitori e del Barbaricum, fra le “Migrazioni di Popoli” e i monoteismi mediterranei, fra la Pasionarnost’ orientale e il messianesimo occidentale.

Purtroppo, questa riflessione, avviata, nel corso del tempo, da una serie di autori, non ha avuto fino ad oggi seguito, né fra l’Intelligentija, né fra i politici, né nell’ opinione pubblica.

Kadaré ha sviluppato il rapporto fra Eschilo e l’identità europea

5.Kadaré e l’identità europea

Ad esempio, il primo giorno della presidenza ungherese è morto, quasi inosservato,  uno degli scrittori che più hanno contribuito al dibattito sull’ Identità Europea, l’albanese  Ismail Kadaré, autore, oltre che di tanti romanzi, anche di saggi come “L’identità europea degli Albanesi “ e “Eschilo il gran perdente” che ha come obiettivo quello di rintracciare la continuità fra lo spirito tragico della Grecità e la cultura popolare albanese, incentrata sui valori “tribali” della Besa (“fiducia”) e del Kanun (“legge tradizionale”).  

Si tratta di temi essenziali per l’identità europea, a cui avevamo dedicato anche il nostro libro “De Moesia et Illirico”, incentrato sulla ricerca di un’Identità Balcanica quale parte integrante ed essenziale di quella europea.

A causa del suo rapporto non facilissimo con il regime di Enver Hoxha, Kadaré era stato, e viene  tuttora descritto, come un “dissidente”, quando si dovrebbe parlare piuttosto di “emigrazione interna” come nel caso di Juenger. La realtà è che egli aveva espresso benissimo (per esempio in “Chi ha riportato Doruntina?” e “l’Inverno”) la cultura sostanzialmente nazionalista e tradizionalista della società comunista albanese, non dissimile per altro da quella di tutti gli altri regimi dell’ex blocco sovietico.

Quando Kadaré era venuto a Torino, gli avevo chiesto, paragonandolo a Sol’zhenitzin, perché, finito il socialismo reale, fossero finiti i grandi letterati dell’ Est. Nessuna risposta.

Purtroppo, il “Mainstream” attuale riesce a vedere tutti i fatti sociali solo attraverso le lenti deformanti dell’ideologia progressista-democratica, secondo cui esisterebbero  sempre e ovunque due sole posizioni: quella progressista, che vede ogni fatto umano come inserito in un progresso indefinito, dalla naturale irrazionalità,  a una fase finale retta dal razionalismo utilitaristico, che porterebbe alla fine di tutti i conflitti, ma, in realtà, consiste nel trasferimento del potere agli algoritmi, e quella dei “Conservatori”, che si sforzano inutilmente di rallentarlo, ma  alla fine restano sempre sconfitti. Tutti gli altri valori e punti di vista sono irrilevanti, e vengono schedati solo sulla base di quel metro. Così, non si comprendono i fenomeni più rilevanti della storia culturale, come, appunto, Kadaré. Il quale aveva reagito giustamente al colonialismo culturale delle critiche per la sua partecipazione al Parlamento albanese e all’ Associazione degli Scrittori.

Tanto i pretesi “Progressisti” quanto i pretesi “Conservatori” sono danneggiati da questo circolo vizioso, che non permette loro di conseguire nessuno degli obiettivi che essi sembrano proporsi, perdendo così sempre più di credibilità nei confronti degli elettori, che trovano, nell’ astensione, l’unico strumento per manifestare il loro desiderio di alternative radicali.

Come sempre, invitiamo i nostri quattro lettori a guardare al di là di questo schema semplificatore, cercando di vedere la reale complessità delle tradizioni culturali europee, come per esempio quella dei popoli pre-alfabetici, ancora presenti nelle aree uralica ed artica; dei popoli delle steppe, ai margini della Russia, dell’Ungheria, dell’ Ucraina, della Turchia; quella cattolica-romana; quella slavo-ortodossa; quella euro-islamica; quella mitteleuropea; quelle atlantica e iberica…

Alla luce di questa prospettiva, le forze che a torto o a ragione vengono considerate alternative allo stato attuale delle cose dovrebbero preoccuparsi su come divenirlo davvero, esprimendo veramente le tendenze più profonde dei nostri popoli, delusi dalle promesse di pace e prosperità dell’Occidente (l’”Alba Bugiarda”di Grey)così come dall’utopia irrealizzabile del comunismo (“il Dio che ha fallito”di Silone).

Non per riesumare, come dice il “mainstream”, il “nazifascismo”, bensì per permettere finalmente alla cultura europea di esprimere liberamente le proprie aspirazioni proibite, come nelle visioni geopolitiche eurasiatiche dei Gesuiti e di Leibniz (i “Novissima Sinica”); nella critica di Nietzsche e di Simone Weil contro la deculturazione dell’Occidente; nelle idee sociali di Toniolo, d’ Annunzio e Ugo Spirito concretizzatesi nel “Modello Renano” teorizzato da Michel Albert(la “partecipazione” , la “cogestione”)…Vedi il nostro libro “Verso le elezioni europee”.

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Tutte cose che c’erano negli originali progetti europei, e che sono andate misteriosamente perdute per quella colpevole “Eterogenesi dei Fini”,  che dobbiamo smettere di tollerare.

TUTTO DEVE CAMBIARE PERCHE NULLA CAMBI

Commento a caldo sulle Elezioni Europee

Per quanto non sia ancora certo se la prossima presidente della Commissione europea sarà nuovamente Ursula von der Leyen, bisogna riconoscere a quest’ultima una buona dose di preveggenza, quando, al cosiddetto “Vertice Sociale di Porto”, aveva citato espressamente “il Gattopardo”, affermando: “Bisogna Cambiare tutto perché nulla cambi”. Che è infatti ciò che sembra verificarsi.

1.Un sistema rigidissimo

E, in effetti, la “ragnatela” di organismi internazionali creati dopo la IIa Guerra Mondiale (Ikenberry) aveva avuto lo scopo di “stabilizzare” un mondo che, intrinsecamente, era portato, come dimostrato dalle Guerre Mondiali, a un’enorme instabilità (l’”Ultima Grande Battaglia” di cui aveva scritto Nietzsche”). Le Nazioni Unite, la NATO, il Consiglio d’ Europa, il Comecon, il Patto di Varsavia, l’Unione Europea, il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale, le Comunità Europee, l’Unione Europea…

Era stata impiegata le massima diligenza nell’organizzare meccanismi sofisticati e complessi (“the Rule of Law”), aventi quali obiettivo quello di ammortizzare le innumerevoli contraddizioni intrinseche alla Modernità (Nazioni contro Imperi, laicità contro religioni, capitalismo contro socialismi e nazionalismi..).

Questa “ragnatela” ha dimostrato fino ad ora una capacità notevole di frenare il cambiamento, coprendo e permettendo così nel contempo il dispiegarsi di un corso storico sotterraneo verso la Società delle Macchine Intelligenti, tanto resistente da sembrare deterministico: quello che va dall’ Equilibrio del Terrore alla Società della Conoscenza, dalla Religione dei Diritti all’ Ideologia Californiana, dalla Società del Controllo Totale al Postumanesimo, dal crescente autoritarismo alla Singularity Tecnologica. La “stabilità” (se non pietrificazione) dei sistemi politici ha garantito fino ad ora che quelle trasformazioni tecnologiche avvenissero senza controllo e senza contrasto. Ed è questo il motivo principale per cui tutta quella “stabilità”(la “difesa del Progresso”) era, ed ancora è, ritenuta così necessaria dall’ Establishment, e così esiziale da noi.

2.Stabilità del sistema nonostante la sconfitta delle grandi Nazioni

In questo contesto s’inseriscono perfettamente le elezioni europee del 2024, appena terminate, nelle quali, all’ apparentemente eclatante vittoria del Rassemblement National,  dell’AfD, dell’ FPOE, della NVA e del VB,  ha fatto paradossalmente riscontro una complessiva stabilità del quadro europeo generale basato su “pesi e contrappesi”, che ha permesso a Manfred Weber, presidente del PPE, di affermare, nonostante tutto: “con Ursula abbiamo vinto in Germania e vinceremo in Europa”.

Come ha fatto giustamente rilevare il sito del Movimento Europeo, la tanto deprecata (e auspicata) avanzata dei partiti “di destra”, a livello complessivo, non c’è stata. Essi hanno infatti conquistato appena il 2% dei voti in più.

A nostro avviso, però, conta anche molto il fatto che i partiti della Maggioranza Ursula abbiano perduto complessivamente 68 seggi, mentre ECR più ID hanno conquistato 13 nuovi seggi, mettendo così in difficoltà la formazione di una Commissione con la “Maggioranza Ursula”.

Così opinano perfino i Think Tank russi, perché (Markov), “la destra non sistemica sta diventando sempre più sistemica”, tanto che “perfino Marine Le Pen  ha assunto una posizione filoamericana e antirussa”, perché ”disotto il velo esterno della democrazia, il potere reale del Deep State e dell’ oligarchia globale sta assumendo sempre più chiaramente i caratteri di una dittatura”.

Di tutt’altro avviso invece Ezio Mauro, per cui il carattere dirompente del voto europeo sarebbe rappresentato dalla rottura dei tabù antifascisti da parte della “nuova diffidenza agnostica dei populisti di ogni colore, che non si riconoscono in nessuna religione civile e non accettano lezioni da un passato che non hanno vissuto”. Cosa per altro ovvia dopo 80 anni (il tempo di tre generazioni).

Per Mauro, non ci sarebbe più, pertanto, un “canone europeo e occidentale”. Ma c’è da chiedersi quanto questo canone non sia stato, anche in passato, solo l’effetto di riflessi pavloviani indotti, in un paio di secoli,  con varie forme di terrore, mentre invece la cultura europea aveva testimoniato da gran tempo l’insofferenza per quel “canone”. Basti pensare al “Rescrit” di Voltaire, alle “Soirées de Saint-Ptersbourg”di De Maistre,a “Mon Coeur  Mis à Nu » di Baudelaire, a « Umano, troppo umano” di Nietzsche, alle “Considerazioni di un Impolitico” di Mann, al “Prossimo Medioevo”di Berdjajev, a”Europa e umanità” di Trubeckoj, ad “Amerika”di Kafka, alla”Terra Desolata” di Eliot, alla “Rivolta contro il mondo moderno”di Evola, a “Tecnica,nobiltà e pace” di Coudenhove Kalergi, a “Cittadella” di Saint Exupéry, alla “Radice Ultima” di Simone Weil, alla “Dittatura Liberale” di Molnar, ad “Arancia Meccanica” di Burgess…

Dunque, l’unica vera novità è, a nostro avviso, più che altro  un banale cambiamento di umore, grazie al quale starebbe cadendo la barriera (psicologica, e , a nostro avviso, nominalistica), fra una sedicente “destra moderata” e una sedicente “destra alternativa”, ambedue parti integranti dei giochi del “sistema”.

3.Il cosiddetto “canone europeo e occidentale” da sempre combattuto dalla “cultura alta”.

Il fatto più importante è però che (almeno in Italia), il numero degli aventi diritto che ha votato supera quello di coloro che non hanno votato.A nostro avviso, l’unico atteggiamento logico degli intellettuali e delle forze politiche, di sinistra, di centro o di destra,  consisterebbe oggi invece nel prendere atto del fatto che i cittadini europei valutano negativamente il corso della storia postbellica, che ci ha portati, da un’ originaria posizione di centralità dell’ Europa, ancora negli Anni 50, pur nella sua distruzione e divisione (si pensi alla Olivetti, a Gagarin, alla Volkswagen, all’ Ariane, ma anche ad autori come Heidegger, Schmitt, Sartre, Camus,a registi come Antonioni, Fellini, Godard, Autant-Lara, Herzog, Wenders, Wajda, Zanussi, Tarkovskij, Kieslowski, ecc..), a una piattezza creativa impressionante, con le multinazionali del Web (e non solo) che dilagano indisturbate nelle nostre economie, e lo Showbiz hollywoodiano che la fa da padrone nella comunicazione. In questo contesto, la crisi sociale è inevitabile (si veda come esempio tipico la Stellantis; così pure come la disoccupazione intellettuale, la fuga dei cervelli..).

E non si dica che questo è normale, visto che anche in America la percentuale dei non votanti è tradizionalmente inferiore ( soprattutto nelle elezioni di “midterm”) a quella dei votanti, perché ciò dimostra semmai un altro aspretto dell’ americanizzazione dell’ Europa.

E’ incredibilmente significativo che mentre, l’8 giugno, Biden era ancora in Francia per commemorare con Macron lo Sbarco in Normandia come un grande show propagandistico euro-atlantico, già il 9 mattina incominciavano le operazioni di voto per le Elezioni Europee che, la sera stessa, segnalavano l’incredibile sconfitta di Renaissance per mano del Rassemblement National. E, per giunta, Macron stava sviluppando, proprio in concomitanza con il D-Day, tutta una sua campagna sull’invio di armi sofisticate e di soldati in Ucraina, una campagna che gli elettori hanno sonoramente smentito.

Del resto, è la stessa cosa che è successa ai Socialdemocratici tedeschi al governo in Germania non appena il Primo Ministro Scholz ha annunziato che il Paese deve prepararsi per una guerra entro 3 anni, con la reintroduzione del servizio militare obbligatorio e con la trasformazione dei metrò in rifugi antiaerei.

Ora si condanna Ciotti (leader dei neogollisti), per aver “tradito”, alleandosi con Le Pen e Bardella, l’eredità del Generale De Gaulle, quella di cui Macron avrebbe voluto appropriarsi. De Gaulle,  nonostante vi avesse quasi partecipato fisicamente, aveva sempre rifiutato di assistere alle celebrazioni alleate dello Sbarco, da lui visto come inizio dell’occupazione dell’ Europa. In realtà, la “Sovranità Nazionale” o anche “Europea” era per De Gaulle qualcosa di radicalmente diverso di ciò che è divenuto con i successivi presidenti, che pure la rivendicano. La “Force de Frappe” che De Gaulle aveva creato, e che ancor oggi costituisce la base dell’ esercito francese e della pretesa macroniana di primato in Europa, era “à tous les azimuts”. Questo significa che, almeno in teoria, i missili nucleari francesi non erano puntati solo verso Mosca, bensì anche verso Washington. Inoltre, le truppe americane erano state cacciate dalla Francia. Infine, per De Gaulle, l’Europa andava “dall’ Atlantico agli Urali”. Un atteggiamento ben diverso da quello dei successivi presidenti, e, in particolare, di Macron, che, come tutti gli altri governanti attuali dell’Europa, fanno a gara nel compiacere gli Stati Uniti, scavando a Est un solco sempre più profondo.

Singolari effetti della caduta del Muro di Berlino. Gli Europei, invece di sentirsi ora più liberi di muoversi nel mondo seguendo i propri bisogni e i propri interessi, sono divenuti incapaci di quegli  (seppur sporadici) slanci d’indipendenza che, in passato, di qua e di là del Muro, si erano manifestati, per esempio, in Tito, in de Gaulle, in Craxi, in Nagy, in Mitterrand, in Chirac,  in Hoxa, per non parlare di Walesa…

Viene spontaneo pensare che ciò sia dovuto, almeno in parte, a precise minacce alle persone. Basti pensare ai casi della Slovacchia e della Turchia, che, se hanno manifestato qualche sprazzo di coraggio,  lo hanno fatto a proprio rischio e pericolo (vedi il tentato colpo di Stato gulenista, e, buon ultimo, il recente attentato a Fico).

Per il resto, deriva dal fatto che, essendo buona parte dei nostri politici (ivi compresi molti sedicenti conservatori, eredi dell’egemonia culturale marxista, sono divenuti, da sostenitori accaniti dell’ Unione Sovietica, gli avversari più duri di una Russia dove il Partito Comunista è oramai all’opposizione.

Per questo, è ben vero che, come sostiene Ezio Mauro, queste elezioni europee dovrebbero sollevare delle preoccupazioni a medio-lungo termine per l’avvenire dell’Europa, e suscitare di conseguenza una rinnovata volontà di proseguire l’integrazione europea. Tuttavia, è lecito dubitare se questa prosecuzione possa andare avanti con questo “establishment”, che non è mai stato interessato ad accrescere il ruolo dell’Europa nel mondo, bensì, come scriveva Trockij già nel 1917, “a contingentare il capitalismo europeo”, a vantaggio di quello americano.

Per questo, a nostro avviso, l’impegno europeista non può essere, oggi, se non un impegno culturale, per dissolvere la nebbia di ignoranza deliberatamente sparsa fra gli Europei, aprendo loro gli occhi sul reale significato della nostra storia e sui pericoli che su di noi fanno incombere i settari del Mito del Progresso e i loro epigoni cultori delle Macchine Intelligenti, della Singularity e della Terza Guerra Mondiale.

« RETOUR À HRADČANY » APRÈS LA GUERRE

RELANCER L’AVENIR DE L’EUROPE

I.UNE APPROCHE INNOVATIVE À LA REPRISE DE L’INTÉGRATION EUROPÉENNE

Dans ce moment, quand la « Guerre Mondiale en Morceaux », en cours actuellement, ne donne aucun signe d’amélioration, et l’espoir originaire de l’ Occident de sortir victorieux à court terme de l’Ukraine s’éloigne de jour en jour, il est indispensable, d’une part, pour conjurer l’apocalypse nucléaire, et, d’autre part, pour garantir à l’Europe une guide sûre dans une phase difficile de son histoire, de repérer des approches nouvelles aux rapports entre, d’une part, l’Europe Occidentale et Centrale et, de l’autre, les espaces au-delà de l’ ancien « Rideau de Fer ». Si cela n’était pas fait, la crédibilité du Mouvement Européen en tant que guide intellectuelle de l’intégration européenne, et, plus en général, de l’Europe, serait compromise, et l’Europe entière pourrait devenir un champs de bataille d’une guerre fratricide, comme l’Ukraine et Gaza.

Pour éviter ces perspectives extrêmes, pourquoi pas ne pas revenir sur des approches essayées dans le passé, mais abandonnées plus tard, pour esquisser un, ou plusieurs, plans alternatifs de stabilisation, en premier lieu celui suggéré par Mitterrand en 1989 et esquissé en 1991 aux Assises de Prague? Et si Mitterrand et Gorbačëv avaient eu raison, et Havel et Kohl avaient eu tort ? Nous aurions évité les guerres civiles yougoslaves et soviétiques, et aujourd’hui nous ne serions pas au milieu d’une interminable guerre entre Européens, qui détruit notre moral, notre économie et notre avenir.

Sans oublier les questions ouvertes dans les autres « Périphéries » de l’Europe : l’Atlantique du Nord, les Balkans, les ACP3 et le Levant, ni le fait que, comme déclaré à plus reprises, et dernièrement lors de la visite à Péking de Vladimir Poutine, l’objectif russe (et chinois) dans la guerre d’Ukraine n’est pas celui d’un agrandissement territorial ou d’un avantage stratégique, mais celui de bloquer dans toutes les directions l’élargissement de la sphère d’influence américaine accéléré par la chute du Mur de Berlin, si que les deux puissances eurasiatiques seraient prêtes à beaucoup de concessions en échange d’une délimitation de l’espace américain – fût-il en faveur d’un nouveau pouvoir européen-.

Ici, nous allons nous concentrer sur une seule hypothèse et sur un seul projet, ce que nous appellerons le « Projet de Hradčany », développé en 1990 et 1991 par Mitterrand, Gorbatchev et Havel lors de leur rencontre au Chateau de Prague -. Ce projet pourrait être aussi la clef pour aborder d’autres thèmes urgents et également ouverts.

Le plan de Mitterrand partait de l’idée que l’Europe, pour devenir vraiment unie et parvenir à la hauteur de ses importantes ambitions, devrait atteindre une taille bien plus grande de celle actuelle (et comparable à celles de l’Inde et de la Chine), et cela pourrait avoir lieu seulement an agrégeant, dans une Confédération Pan-Européenne, d’une part, une fédération de l’Europe Occidentale (héritière de l’UE), et, d’autre part, une ou plus autres entités étatiques européennes, non tenues à respecter l’Acquis Communautaire. Ce dessin rassemble beaucoup à l’idée d’une « Europe à cercle concentriques », mais avec la différence qu’il ne suppose aucune supériorité de l’Europe Occidentale, parce qu’il serait « polyédrique », pour utiliser une expression de Pape François.

Un tel changement de perspective serait déterminant, permettant aussi de dépasser les principaux conflits en cours :

-les différences d’opinion sur la structure future de l’Europe Occidentale (et, donc, la stratégie pour le Futur de l’ Europe, qui devrait être étalée sur un horizon plus large);

-les rapports d’ hostilité entre le « Monde Russe » et « le Collectif Occidental », qui, dans cette nouvelle perspective, sortiraient de l’état de guerre pour revenir sur la voie des négociations entamées en son temps par Mitterrand et Gorbačëv.

De cette manière :

On by-passerait les problème insurmontables d’une réforme de l’Union telle qu’elle est aujourd’hui (laquelle se trouve dans l’impasse de la Conférence sur le Futur de l’Europe), parce que l’ « Europe » se dissoudrait dans différents échelons de la Gouvernance Multi-Niveaux, chacun réglé d’une manière conforme à sa mission;

-On pourrait offrir aux puissances antagonistes de l’Occident une voie de sortie des guerres en cours qui ne soit, ni « une victoire » ni une « débâcle », ni pour l’Ukraine, ni pour la Russie (« win-win »), pouvant revitaliser aussi les « Nouvelles Voies de la Soie », entravées par les hostilités en Ukraine et dans la Mer Rouge, mais dont tout le monde ressent la nostalgie.

Le « Projet de Hradčany » devrait permettre aussi de faire renaitre l’autre grand dessin d’avenir discuté dans les années ‘90 et laissé tomber par l’Occident – une architecture commune de sécurité pour l’Europe, et faciliter aussi une série d’autres objectifs :

-contribuer à donner une fin aux guerres en cours, avec une proposition d’intérêt pour tous les acteurs concernés ;

-soutenir un effort international pour un contrôle structuré de l’Intelligence Artificielle et de la Cyber-guerre dans le cadre de négociations sur les armements sur le modèle des vieux accords pour le contrôle du nucléaire;

-garantir la liberté des peuples d’Europe contre les menaces avancées contre eux par tous le pouvoirs mondiales;

-faire repartir l’économie et la culture, écrasées entre les sanctions et les boycottages.

Objectifs qui nous apparaissent moins utopiques qu’on ne le pense, si on examine l’histoire avec une approche équilibré et non plus sectaire comme aujourd’hui, et qui feront l’objet d’une esquisse synthétique dans les pages qui suivent.

La Confédération de Mitterrand avait été abandonnée parce qu’elle genait les pouvoirs existants, qui préférèrent exaspérer la conflictualité entre

« les démocraties » et les « autocraties » pour garder les privilèges acquis. Toutefois, maintenant que nous avons vu les résultats de ce choix, pourquoi ne pas admettre notre erreur, et y remédier ?6

D’autre part, ce qui oppose l’Europe de l’Est à l’Europe de l’Oust n’est pas tellement la question de la « démocratie », mais, au contraire, celle de la Pasionarnost’. Notion développée par Lev Gumilëv (le fils persecuté d’Anna Akhmatova) sur les traces d’Ibn Khaldûn et de Vernadskij: une synthèse de « romantisme » et de « théorie des nationalités », qui nous pouvons retrouver un peu partout dans les cultures de l’ Europe Orientale :me dans le « Déluge » de Sienkiewicz, dans « Les Payens » de Herczeg comme « Eschile, l’éternel perdant » de Kadaré; dans les sculptures de Meštrovic, dans les films de Tarkovskij comme dans les « Litanies » de Theodorakis.

La Pasionarnost’ suppose que, comme avait écrit Nietzsche, « le bonheur vienne seulement si non voulu », tandis que la « recherche de la félicité » prévue dans la constitution américaine se traduit, par effet de l’hétérogenèse des fins, dans l’aplatissement des désirs et dans l’entropie généralisée, qui préparent le royaume des Machines Intelligentes.

1.Insuffisance du paradigme de l’ « Élargissement »

À partir de la 1ère Guerre Mondiale, les projets d’intégration européenne avaient été axés sur l’objectif, d’un côté, d’éviter une continuation de cette première « Guerre Civile Européenne », et, de l’autre, de mettre l’Europe dans la condition d’intervenir avec une autorité suffisante dans les grandes questions géopolitiques, qui, compte tenu de l’intégration mondiale croissante, étaient de plus en plus dominées par les Grandes Puissances extra-européennes (USA, URSS, Empire Britannique).Cela aboutit sur le projet présenté à la Société des Nations par Aristide Briand, dont la faillite avait été le point de départ de la Déclaration Schuman.

Les Communautés Européennes et l’Union Européenne avaient donné l’impression que ces objectifs étaient en train d’être acquis par la méthode fonctionnaliste proposée par la Déclaration, mais cela n’a pas été le cas. Ce roman contient l’expression plus ouverte des croyance réligieuses et politiques de l’auteur russe

Depuis 45 ans, la dissolution de la Yougoslavie et de l’URSS a entrainé des guerres de succession qui ne se sont encore conclues, et, de l’autre, parce que les principes consolidés en matière d’ »élargissement » européen, qu’on aurait voulu appliquer, n’avaient pas été conçus en vue de ce véritable « dédoublement » de l’ espace européen, tel qu’il s’est manifesté à la fin du XXème Siècle. L’application mécanique de ces principes, imposée par l’Occident, s’est révélée impossible et contreproduisante et que, en tout cas, elle serait inapplicable à cause de la structure e du grand nombre des peuples européens. D’autant plus que, après Brexit, l’importance relative de l’Europe Occidentale par rapport à celle orientale a ne pouvait que décroitre.

Si deux parties paritaires fusionnent entre eux, il s’agit d’un « merger among equals », si qu’une des deux parties ne peut pas prétendre que l’autre accepte toutes ses règles, ni mêe pas sa propre vision du monde. Dans le cas d’espèce, on n’a pas eu d’un «élargissement » vers Est des Communautés Européennes, mais, bien au contraire, une « Fusion à Chaud » entre Est et Ouest, qui est loin d’être accomplie. Les guerres en cours ne sont qu’une suite de la « Guerre Civile Européenne », pour établir une hégémonie sur le Continent, fondée sur un prétendue « supériorité », comparable à celle de la Grande Nation, de l’Orthodoxie ou de la « Race Arienne ». Cette supériorité de l’Occident n’a pas été accepté ni par la Russie, ni par la Turquie, ni par la Biélorussie, ni par la Serbie, mais non plus par la Hongrie et, peut-être, mêeme pas par la Slovaquie et la Pologne.

Pur comprendre l’importance historique de la partie orientale du Continent, au-delà de l’Elbe, des Alpes Orientales et de la Mer Adriatique, il suffit de penser que, parmi les premières réflexions sur l’Identité Européenne nous trouvons celles d’Hippocrate, de Cos, a quelque kilomètres de la côte de l’ Anatolie, celles de Jordanes, un Goth de l’Est qui revendiquait pour Théodoric l’héritage de Rome, de Podiebrad, le roi hussite de Bohème qui proposait le traité pour la fondation d’une Alliance Européenne contre les Ottomans, et d’Alexandre I de Russie, qui lança la Sainte Alliance « russe » conçue comme fondation de la « Nation Chrétienne » européenne.

Coudenhove Kalergi avait des origines Japonaises, byzantines, tchèques et autrichiennes et le siège de sa Pan-europa était à Vienne, et Jean-Paul II était polonais et reprenait textuellement les mots de Viačeslav Ivanov sue les « Deux Poumons » de l’ Europe.

Pour cette raison, il est grave que toutes les institutions principales de l’Union soient restées dans l’espace rhénan (Bruxelles, Strasbourg, Luxembourg, Francfort), tandis que le centre géographique de l’Europe se situe beaucoup plus à Est (en Lituanie, Biélorussie, Ukraine ou, à la limite, Hongrie).

2.La mécanique réelle de la chute du Mur
aux apologètes de « l’esprit du capitalisme » qui aurait triomphé en 1989, au début des révolutions de 1989 il y avait trois éléments : le défi « national » de la Pologne, soutenue par le Pape Jean Paul II, contre un « système soviétique» qui la humiliait ; l’idée révolutionnaire de Michail Gorbatchev d’intégrer pacifiquement l’Union Soviétique dans les Communautés Européennes (ou, mieux, la « Maison Commune Européenne »), comme sera requis plus tard par Yeltsine et Poutine, mais jamais pris au sérieux par l’Occident ; enfin, les pressions des États Unis, surtout à travers les Guerres des Étoiles et l’aide à la guérilla afghane.

Ces trois projets parallèles trouvaient leur bases culturelles:

-dans la conviction de l’Église catholique que l’Europe Occidentale e celle Orientale partagent une seule origine culturelle – la civilisation chrétienne médiévale, qui s’était développée dans deux branches principales, celle de l’Est (l’Orthodoxie), e celle de l’Ouest (le Catholicisme), comme anticipé par Ivanov par sa métaphore des « Deux poumons de l’Europe »- ;

-dans l’espoir de Gorbatchev, de Walesa et de Shevardnadze d’une forme d’hybridation entre le socialisme réel et l’économie sociale de marché de l’Europe communautaire (partant de l’observation de Marx que le capitalisme européen s’était développé de manière différente de l’Américain parce qu’il était né dans un contexte féodal) ;

-enfin, dans la convergence tactique entre le projet globaliste américain et les aspirations hégémoniques des l’intégrismes salafite et shiite présents dans l’espace soviétique (Tchétchénie et Talibans).

Surtout, on avait sous-estimé le poids spécifique de l’exceptionnalisme américain, dont le caractère religieux a fait obstacle à accepter une nouvelle narration concurrente, celle européiste, devenue nécessaire pour la réunification culturelle des « Deux Poumons » du Continent. 80 ans après le débarquement en Normandie, le pouvoir d’interdiction par rapport à n’importe quelle manifestation de créativité européenne (voir Olivetti, Zhu, Mattei, Moro) reste absolu. Il suffit de rappeler la fameuse phrase « Fuck the EU », prononcé par Victoria Nulanden même temps qu’elle dictait à l’ambassadeur américain la position du Département d’État sur la personne à nommer comme Premier Ministre ukrainien après l’ Euro- Maidan, qui avait été dressé contre l’Europe avant que contre la Russie .

Le risque de l’Europe est qu’elle, s’identifiant trop avec la Modernité (l’ »Homme sans Qualité », l’ »Homme à une Dimension »), soit entrainée par cette dernière dans son abîme quand elle ne survivra pas à l’Age des Machines Intelligentes. Le même vaut pour son rapport trop étroit avec l’Amérique lors que cette dernière se retirera de l’Europe de l’Est, comme, dans le passé, du Vietnam et de l’Afghanistan. Nous devons nous préparer à tous développements.

Le « Déclin de l’Occident » doit donc être compris plus comme une maladie culturelle, bien décrite par des auteurs tels que Max Weber, Friedrich Nietzsche, Oswald Spengler, Thomas Mann, la psychanalyse e l’Orientalisme, que comme un phénomène historique et politique. Une maladie qui s’est manifesté dans la forme que Lukács avait défini « la Destruction de la Raison » ; Benda, « la Trahison des Clercs » ;et, Anders, «die Antiquiertheit des Menschen », et s’est élargie avec le refus du principe de causalité (de Finetti), ainsi que du  concept même de « méthode » (Feyerabend).Et qui confine avec la destruction de l’identité européenne sous le poids du « mainstream » américain.Insuffisence des logiques occidentales

Au cours du 20ème Siècle, l’Europe s’était donc tellement désintégrée du point de vue intellectuel et politique (c’est là la racine de la « mort cérébrale » préconisée par Macron pour l’OTAN), que, aujourd’hui elle n’arrive même plus à prendre les décisions fondamentales pour soi-même, telles que celles sur les hautes technologies, la guerre et la paix, la nature, la procréation, la pauvreté. Elle est encore moins à même d’être, comme elle prétendrait encore maintenant, une avant-garde culturelle, étique, culturelle et technique du monde entier (le « Trendsetter of Worldwide Debate »).

Une telle avant-garde avait été, à partir de la Deuxième Guerre Mondiale,l’Amérique, mais elle aussi est entrée maintenant dans une situation d’« over-stretching » à partir de la crise des « sub-primes » et du retrait de l’Afghanistan. Surtout, son identité est divisée entre la défense à tout pris du « noyau dur » WASP et l’adoption d’une « Culture Woke » qui est l’expression de la majorité « non-WASP », entre la défense à tout prix de l’ «Empire Démocratique » et la poursuite des intérêts de la majorité des électeurs. Jusqu’au point qu’on a imaginé la possibilité d’une nouvelle guerre civile.27

Dans cette situation, au «Zeitalter der Vergleichung », toutes les logiques de la culture occidentale (aristotélique, cartésienne, post-euclidée) ne sont plus suffisantes pour expliquer le monde de la complexité, si que nous sommes obligés chaque jour plus, bon gré mal gré, à faire recours, pour décrire nous-mêmes, à des concepts différents, à partir d’une « Intelligence Artificielle » qui nous est fournie par la Silicon Valley globalisée, pour passer à celui d’une « Démocratie Illibérale » étudiée par un Indo- Américain  tel  que  Fareed  Zakaria  faisant  référence  à  d’expériences asiatiques, pour arriver à l’« Epistocratie » mandarine, suggérée par Zhang Weiwei, un ancien interprète de Deng Xiaoping.

Tout cela est applicable encore plus en ce qui concerne l’Europe Orientale, que nous ne pouvons pas comprendre sans rappeler à l’esprit les Peuples des Steppes, la Deuxième et la Troisième Rome, le Bogoumilisme, le mythe du Golem, le Sarmatisme, le Socialisme Réel, le Cosmisme, l’Eurasiatisme et la Pasionarnost’. Mais, si nous ne comprenons pas l’Europe Centrale et Orientale, comment pourrions-nous la juger, et même l’orienter, comme nous prétendons?

Une refondation culturelle s’impose au préalable, dont le Mouvement Européen devrait se faire porteur.

3.Les erreurs de l’ Europe

En effet, les difficultés de toutes sortes rencontrées dans l’ »élargissement » des Communautés Européennes et, après, de l’Union Européenne, découlent de leurs blocages culturels. Notamment:

-l’involution de la Russie, du « Socialisme au Visage Humain » de Gorbatchev au libéralisme autoritaire de Yeltsine, et, après, à l’ »Esprit de Pratica di Mare » du premier Putine, jusqu’au « Russkij Konzervatizm » et, enfin, à l’ »Opération Militaire Spéciale », dépend en grand partie de l’ »arrogance romano-germanique », de la présomption immotivée des Occidentaux que leurs propres processus culturels et politiques, témoignant d’une mission messianique immanente à la Modernité, constituent un parcours obligé pour tout le monde (la « Théorie du Développement »). De telle manière, l’intégration dans les Communautés Européennes aurait du impliquer nécessairement l’adoption rigide, par les pays de l’Est, de l’ »Acquis Communautaire », et même de soi-disant « valeurs européens », quand d’autres parties du monde -même les Etats Unis, ou l’Inde-, ne demandent plus l’adhésion contraignante à des soi-disant valeurs « americains » ou « indiens » (lesquels ? le puritanisme WASP ou le  LGBTQIA+?; le « Néo-conservatisme » ou la « Cancel Culture”;

-Les rhétoriques de l’Europe ont impliqué le refus de toute concession à la Russie en ce qui concerne son désir d’être admise dans la « Maison Commune Européenne » (l’ OTAN et les CEE) sans un processus humiliant d’examens, qui, si acceptés, auraient sanctionné sa prétendue infériorité, si que Poutine a refusé;

-les mêmes concepts valent pour les involutions comparables en Turquie, et même en Hongrie et au Levant;

-l’incapacité de l’Europe Occidentale de se doter d’une industrie de haute technologie et d’une armée, découle de son refus de reconnaitre de manière objective le développement, dans tout le monde, au-delà des différentes idéologies, d’un « keynésianisme militaire » (américain, russe, chinois), qui a fait croitre des barrières insurmontables autour l’Europe, incapable d’être compétitive avec les autres grandes espaces du monde, et notamment avec l’Amérique et la Chine, protégés par l’interventionnisme des gouvernements;

-les chocs continus entre l’officialité européenne et les opinions publiques des pays orientaux (tels, par exemple, que le refus des différentes démarches pour adhésion de la Russie et de la Turquie, ou la surévaluation du « Processus d’Helsinki» , qui a cristallisé l’application, au processus de Nation-building, des anciennes constitutions soviétique et yougoslave encore après leur échéance juridique, ou, enfin, le double standard sur les « règles du droit » s’il d’agit des Pays Baltes ou de la Hongrie), ont nourri une hostilité généralisée envers l’Union, accusée, non sans motif, d’être un « vassal » des États-Unis;

-l’incapacité de concevoir des sujets politiques différents des Etats nationaux qui dominent l’Union d’aujourd’hui, tandis que le modèle plus actuel dans le XXIème siècle, auquel s’inspirer, paraitraient être les »États-

Civilisation », comme la Chine, et, peut-être, même les États Unis et l’Inde, dont les « états » ne sont, en réalité, que des énormes provinces avec des centaines de millions d’habitants.

Toutefois, la première raison de l’ échec de Hradčany fut « le refus américain d’une structure nouvelle pouvant limiter son influence croissante. George H.W. Bush songeait à attribuer un rôle politique à l’Organisation du traité de l’Atlantique Nord et s’interrogeait sur son extension géographique dont le principe n’était pas arrêté et qui n’était pas la priorité du moment. « La « faute » de l’Europe fut de ne pas s’y opposer, parce que paralysée par l’intériorisation forcée du model américain.

4.Revenir à Hradčany

Malgré l’hostilité générée dans ces 35 ans entre Europe et Monde Russe par les faits du Kossovo, de l’Irak, des révolutions colorées, de Géorgie et d’Ukraine, revenir à Hradčany n’est pas impossible. Il suffirait de faire maintenant, sous l’impression des échecs ainsi provoqués (une douzaine de guerres, le refus, par les peuples, de la Constitution Européenne, Brexit), toutes les démarches que nous n’avions eu le courage de faire en 1990/1991, reprenant les mots de passe oubliés de cette saison politique:

ouvrir les portes des États et des systèmes politiques », comme prêchait Jean-Paul II, à travers un dialogue interculturel en bonne foi, qui ne craigne pas d’aborder les différences théologiques ou politiques, essayant de voir, au-delà d’elles, les problèmes et les exigences communes. S’ouvrir à une paix effective comporte de prendre au sérieux les motivations expresses des actions des adversaires, et notamment la requête aux États Unis de renoncer à leur prétentions hégémoniques en faveur d’un système polyédrique (« polycentrique » et « multiculturel ») de droit international sans abolir le principe de légalité, mais l’interprétant de manière équitable- ce qui pourrait se réaliser maintenant grâce à un nouveau probable isolationnisme USA-;

-« une nouvelle Glasnost », à travers une révision critique des Grandes Narrations qui nous cachent aujourd’hui la véritable histoire de l’Identité Européenne;

-une « Confédération de Fédérations » (entre Ouest, Nord-Est e Sud- Est de l’ Europe), comme celle discutée en son temps à Hradčany, qui soit la matérialisation juridique d’une Europe «polyédrique, qui aurait été le contraire de la « Pensée Unique », fusionnant messianisme post-humaniste et exceptionnalisme américain, qui a dominé la politique européenne de cette phase historique;

une nouvelle Perestrojka »: une réorganisation radicale des sociétés européennes pour faire face aux défis géopolitiques de l’Intelligence Artificielle, avec la transformation des ouvriers en des auto-entrepreneurs numériques liés à des réseaux publiques-privés; des employés en des managers autogestionnaires de nouvelles plateformes eurasiatiques ; des professionnels en des actionnaires; des entrepreneurs traditionnels en des dirigeants d’agences public-privé pour la digitalisation; des administrateurs locaux en des réorganisateurs du système industriel…

-“une nouvelle Liberalizacija”: l’élimination définitive des entraves à la libre circulation des biens, des capitaux, des personnes, mais surtout des idées, dans toute l’Europe, abattant à cet effet le nouveau « Mur de Berlin » créé par le « De-coupling », les sanctions, le « Re-Shoring », les « Golden Shares », les droits de douane, les délits d’opinion, le « Friend-shoring »,les discriminations cachées; les restrictions contre les « Fake News » et les « Agents étrangers » ;

-« une nouvelle Demokratizacija » : la fin de la subordination des institutions européennes aux pouvoirs forts et aux diktats idéologiques, pour permettre aux peuples d’exprimer leur désir de paix et d’intégration continentale révélé par les sondages, sans la censure toujours plus stricte, typique de ce temps de guerre dans lesquels nous sommes en train d’entrer.

I.LA CONFÉDÉRATION EUROPÉEENNE DANS UNE GOUVERNANCE MONDIALE MULTI-NIVEAUX

  1. La défense de la liberté face aux « Empires Inconnus »

Le fédéralisme mondial doit être conçu aujourd’hui surtout comme une tentative de réagir à l’exigence de centralisation des décisions requise par la Société des Machines Intelligentes tout en sauvegardant les différences (-ou « différances »-) individuelles, sexuelles, de classe, culturelles, locales, ethniques, nationales et continentales, les traduisant en pouvoirs concrets de proposition, décisionnels, de critique et d’action, structurés selon les différentes identités.

Cette centralisation qui ne cesse de s’accroitre est le résultat de la complexité, de la professionnalisation des connaissances et de la politique, de la lutte entre les visions du monde implicite dans le « Zeitalter des Vergleichens»,du rôle de l’ Intelligence Artificiale, et, enfin, de l’état de guerre permanente. Elle se manifeste, au-delà des différentes constitutions formelles, dans l’accroissement du pouvoir des multinationales, des services secrets, des Exécutifs et de leurs chefs, ainsi que dans la restriction de la « Fenêtre d’Overton » imposée au pluralisme culturel par effet de la Pensée Unique, des différentes « Mémoires Partagées » et de la censure (et auto-censure) de guerre. Si chacun a la tendance à en accuser des forces politiques de son propre pays (Trump, Meloni, Erdoğan, Nethaniahu, Modi, outre, bien-entendu, Poutine e Ji Jinping), cette tendance est présente partout dans le monde, modifiant ainsi les « constitutions matérielles » de tous les pays, et les rendant toujours plus similaires parmi elles: des dictatures technologiques orientés à la guerre (Patriot Act, Echelon, Prism, Fake News, EUvsDesinfo).

La base du Fédéralisme est le réseau des « différances », basées sur les libertés individuelles, la famille, les entreprises, les associations, les villes, les régions, les États et les Continents. C’est pour cela que le Fédéralisme est, à moyen terme, la seule force capable de sauvegarder la liberté, e, plus encore, l’existence même, de l’Humanité contre la Société du Contrôle Total. Un droit fédéral européen devrait avoir pour but de bâtir, autour de ces réalités sociales en évolution, des règles juridiques claires, efficaces et flexibles, à même de régler de manière « polyédrique » la vie des sujets sociaux, et permettant ainsi leurs synergies.

L’ordre juridique international actuel correspond à un stade inaccompli de l’évolution du fédéralisme mondial. Il n’a aucune prétention d’être parfait, ni même complet, mais pourrait se révéler utile pour soutenir les forces de l’Europe dans cette phase de résistance à la Société du Contrôle Total. Comme tel, il mérite d’être préservé et perfectionné à travers la nouvelle architecture européenne que nous proposons.

2.La Confédération Pan-Européenne

Une Confédération Pan-Européenne telle que celle discutée en son temps à Hradčany devrait grouper tous ces territoires qui se reconnaissent dans la continuité de l’Identité Européenne (les Europes Occidentale, Méditerranéenne, Centrale et Boréale, Orientale et Pontique-, ainsi que la

« Magna Europa » -des fragments d’ Europe dans les autres Continents-).

Elle devrait être conçue comme un des maillons de la Gouvernance Mondiale Multi-Niveaux, expression de la conception « polyédrique » du monde.

La Confédération devrait être organisée selon le principe de pluralité des ordres juridiques, typique del l‘ »Ancienne Constitution Européenne » de Tocqueville, et de « L’Europe à différentes vitesses », mais sans une hégémonie, ni de l’Europe Occidentale, ni de l’ Amérique, ni d’aucun autre.

A son intérieur, se situeraient des Fédérations Intra-Européennes, telle qu’une Fédération Européenne (héritière de la UE), une Fédération Pan- Russe (ou « eurasiatique », héritière de la Communauté des Etats Indépendants et/ou de l’Union Eurasiatique), probablement une Fédération du Levant, et plusieurs Territoires Confédéraux, non attribuables à d’autre sujets. Enfin, les liaisons structurées spéciales existant à l’heure actuelle, comme celles avec l’Amérique, les ACP (Afrique, Caraïbes et Pacifique), le Moyen-Orient, la Chine (les « Nouvelles Voies de la Soie « devraient etre maintenues et revitalisées. . Le rôle des Pays Britanniques (Angleterre, Ecosse, Galles, Irlande du Nord et Iles Normandes) serait, après Brexit, à définir, partant des accords négociés et signés avec l’Union Européenne.

Les différentes fédérations devraient être organisées selon des principes leurs propres, au moyen d’une pyramide coordonné de Constitutions (sur le modèle de la « Constitution Italienne et Européenne » de Duccio Galimberti), qui garantisse la certitude du droit. Il est significatif que soit l’Empire Russe, soit les États Unis, se basaient, à leurs débuts, sur la lecture de « L’Esprit des Lois » de Montesquieu. Dans les Federalist Papers,

« Publius » se rattachait à l’idée de ce dernier (ainsi que le faisait Catherine II de Russie dans le « Instructions à la Commission Législative »), selon laquelle les « États de grande taille » pourraient être organisés, soit comme des États absolus, soit comme des fédérations. Les États Unis auraient choisi la voie de la fédération, tandis que Catherine avait choisi celle de l’État absolu. C’est de à qui est née la bifurcation (par trop simpliste) entre

« Démocraties » et « Autocraties » («samoderzhavija»)

Certaines des taches typiques d’un État ne pourraient être accomplies

aujourd’hui que par la Confédération :

-Le Système global Européen de Sécurité;

-Les Hautes technologies ;

-Les Politiques économique et industrielle;

-Les Transports;

L’Environnement;

-Les Migrations.

D’autres seraient du ressort des Fédérations:

-La Culture

-Les Armées;

-La Justice;

-L’ Aménagement du territoire .

Autres encore, des entités euro-régionales, nationales et locales.

Le Système Européen de Sécurité devrait se baser sur des principes parallèles à ceux du contrôle des Armements, à travers une Agence Confédérale de Sécurité, présidant à l’équilibrage des systèmes de défense

, et notamment des systèmes d’Intelligence Artificielle, dans le cadres de futurs, nécessaires, accords globaux, à développer et négocier en parallèle avec la nouvelle architecture européenne de sécurité.

L’Armée de la Fédération Européenne devrait être mise à même d’être un élément d’équilibre avec celles du bloc pan-russes grâce à des traités constitutionnels de l’Union Européenne et de traités sur la dévolution de compétences, de biens et de personnel, avec les USA et la Fédération Russe, tandis que l’Ukraine, en tant que District fédéral, devrait être neutralisée.

3.L’espace central de la Confédération

Le centre de la Fédération se situerait au croisement entre Europe Latine, Europe Germanique et Europe Slave, et, donc, probablement dans des territoires non faisant partie d’aucun de ces grands blocs etno-culturels, tels que la Hongrie ou les Pays Baltes.

Une localisation parfaite pour la capitale confédérale serait Kyiv, qui aime se considérer comme une charnière entre l’ Ouest et l’Est. D’autre part, Tripillya, a coté de Kyiv40, a été la première ville d’Europe, ainsi que Nestor de Kiev écrivait au Moyen Age que « le pays de Rus’ n’a pas des frontières »41 ; l’Ukraine avait accueilli les Huns et les Avars, les Bulgars et les Khazars, les Magyars et les Variagues, les Polovésiens et les Karaïtes, les Gênois et les Vénitiens, les Mongoles et les Tatars, les Nogaï el les Cosaques, les Cherkasses et les Ottomans.

Dans l’Age Moderne, l’Ukraine a été partagée entre les Polonais et les Lithuaniens, les Autrichiens et les Hongrois, les Russes et les Juifs, les Allemands et les Blancs, les Anarchistes et les Bolchéviques…

« Euromaidan » c’est un nom qui est en même temps un programme politique. « Maidan » est Arabe, mais existe aussi en Persan, Turc et Hindi, et signifie simplement « Place » : donc, la « Place de l’Europe ».

Pur pouvoir jouer un rôle en tant que Métropole Confédérale, l’Ukraine devrait se donner un statut fédéral, polyédrique et multilingue, fondé sur des régions largement autonomes, à partir des villes métropolitaines de Kyiv, Kharkiv, Odessa e L’iv, pour passer aux régions du Donbass, de Crimée, de Novorossiya, de Bessarabie, de Budjak, de Boukovine, de Routhénie Cis- carpatique e Trans-carpatique, de Galice, de Polésie, de Volhynie et de Podolie. Ce régime rassemblerait beaucoup au cadre administratif proposé, avant l’Euromaidan, par le parti de Yanukovič.

Le statut d’indépendance et de neutralité de l’Ukraine devrait être garanti par des troupes de ses Régions, de la Confédération, des Fédérations et des Territoires Confédéraux, si nécessaire avec l’aide des Nations Unies.

L’ambition de centralité de tous les peuples de cette zone, que les Polonais appellent « Międzymorze »(« Intermarium ») en serait exaltée, ce qui pourrait compenser leur contrariété pour le fait de devoir convivre avec les Russes.

4.Les Balkans Occidentaux et la Turquie

Les Balkans Occidentaux et la Turquie représentent deux paradoxes, parce que les premiers sont les plus proches à l’Union, et y sont même déjà entrés en partie, et, la deuxième, a présenté sa demande d’accession depuis 1952.

Quant aux premiers, la difficulté de les faire entrer est constitué par leur incapacité à se transformer dans des véritables « états nationaux » comme supposé par le système de l’Union, ayant constitué, dans le temps, un espace de frontière entre l’empire Ottoman et l’ Empire autrichien, la « Vojina Krajina », ou,   en Allemand, « Militärgrenze» .   Y vivaient des Musulmans et des Orthodoxes -des Slaves, des Albanais et des Valacques-…, ainsi que des Catholiques -Croates, Hongrois, Allemands, Italiens, Dalmatiens et Albanais-..es petits États issus de la désintégration de la Yougoslavie défendaient et défendent l’autonomie de leurs exclaves à « l’étranger », mais la nient aux enclaves à leur intérieur. Les principes d’intégrité territoriale et d’auto- détermination des peuples sont défendus à tour de rôle, mais ne sont pas vraiment applicables

La solution plus simple serait celle d’insérer tous ces pays parmi les territoires confédéraux, sans faire même pas l’effort de les rattacher à des états « nationaux ».En tous cas, il faudrait reconnaitre leur enracinement dans la tradition de la loyauté ethnique déterritorialisée, typique des Empires Ottoman e Autrichien.

Quant à la Turquie, le fait de l’avoir faite attendre plus que 60 ans a certainement exaspéré l’opinion publique d’un pays très orgueilleux, d’autant plus que la Turquie n’est plus un pays pauvre qui avait besoin de l’Union Européenne, mais, bien au contraire, est devenue un pays riche, en plein essor, avec la deuxième armée de l’OTAN et une grande force d’attraction culturale en direction des États islamiques avoisinants.

Son importance, son identité et sa différence par rapport aux autres pays européens suggéreraient d’en faire un partenaire « tous azimuts » dans la Confédération, au même niveau que la Fédération « Eurasiatique » -qu’elle s’appelle « Communauté d’États Indépendants ou « Union Économique Eurasiatique », ou autre encore.

5.Les Fédérations

Les états qui pourraient résulter des évolutions de l’Union Européenne, de la Confédération d’ États Indépendants, de la Turquie et du Levant , seraient régis par des principes différents selon les traditions et les cultures de chaque territoire. D’autre part, chaque zone e la Pan-Europe fait maintenant l’objet de processus de transformation (îles britanniques, Péninsule ibérique, Balkans, Ukraine, Caucase, Palestine).

Dans ce contexte, le fait que la Russie aspire, après la guerre, à représenter une voix unitaire de l’espace euro-asiatique ne serait pas nécessairement en contradiction avec le dessein d’une Confédération Pan-Europeéenne. D’autre part, en 1991 les républiques soviétiques n’avaient pas voté pour la séparation de la Russie (à laquelle elle n’étaient pas liées), mais, au

contraire, pour la dissolution de l’URSS e sa transformation dans l’Union d’États Indépendants, qui existe toujours.

Le même pourrait s’appliquer à une potentielle fédération du Levant , telle qu’imaginé tout au début, englobant Israël, la Cisjordanie et Gaza, mais, peut-être, aussi le Golan, la Jordanie et le Liban. Moins claire la situation dans les Balkans, ou, en tout cas, il y a un commencement d’alliance entre la Turquie, la République Bosniaque e le Kossovo, tandis que, à Est, les Kurdes aspirent à une subjectivité séparée, mai qui pourrait même se réaliser avec la Turquie.

6.Les accord structurés existants

De toutes les côtés on entend parler de la revitalisation de rapports avec le reste du monde que l’Union aurait négligé. Le fait est que, au fil des années, l’Europe avait entamé des rapports avec tous les continents, mais, malheureusement, à cause de sa faiblesse vis-à-vis les états membres, et, surtout, vis-à vis des États Unis, la plupart de ces rapports n’ont pas été cultivé d’une manière sérieuse, au point que quelques-uns ont même été négligemment oubliés, comme ça a été le cas des ACP, abandonnés aux islamistes, aux Russes, au Chinois et à la Turquie.

La restructuration de l’Europe sous la forme d’une Confédération superposée a plusieurs Fédérations pourrait constituer l’occasion pour reprendre le discours sur et avec les ACP au-delà des lieux communs.

Dans le cas des États-Unis et du Royaume-Uni, ces rapports se confondent avec ceux dans l’OTAN et le G7, dont la réforme a été beaucoup discuté des deux côtés, sans rien faire de concret. L’éventuelle élection de Trump, toujours plus probable, rend l’étude de cette réforme encore plus urgente, si que le moment semblerait arrivé de faire de la clarté , d’autant plus que cela est ce que demande depuis longtemps le même candidat Trump. Les chancelleries européennes avaient fait savoir qu’elles étaient en train de préparer un « Plan B » pour le cas d’« abandon » de l’Europe de la part des États-Unis sous Trump. Or, l’heure de ce possible abandon se situe à Novembre, c’est-à-dire dans 5 mois. Le moment est venu d’y penser.

Trump a donné seulement l’impression de souhaiter une réduction des rapports Europe-UE. Toutefois, on peut imaginer que, au moment ou

l’Europe voulait vraiment rationnaliser ces rapports, le pressions deviendraient frénétiques pur éviter l’élimination de beaucoup de privilèges américains en Europe, concernant leurs bases militaires, les technologies, l’intelligence et l’antitrust, privilèges sans lesquels les États Unis ne seraient plus une Grande Puissance.

III.APROFONDIR CETTE ÉTUDE

Si cette approche peut trouver une attention de la part de la société civile et du Mouvement Européen, nous sommes à disposition pour approfondir, soit les thèmes illustrés dans ces pages, soit des thèmes ultérieurs, à partir de possibles plans « B C, D.. ».

Objectif : que l’Europe ne soit pas impréparée même en cas d’extension des hostilités hors de l’Ukraine, Palestine et Afrique du Nord, et aussi dans le celui d’évènements traumatiques à l’intérieur des États-Unis, tous évènement qui ne seraient sans conséquences directes pour l’Europe.

En toutes ces hypothèses, la société civile et le Mouvement Européen pourraient, et devraient, donner une contribution importante pour surmonter des situations d’émergence, même dans des situations de défaut des institutions.

LE IDENTITA’ CONTINENTALI :

SOLO ARGINE CONTRO

LA SINGULARITY TECNOLOGICA

In questi giorni, assistiamo alla riscoperta dell’Identità Europea (e di tutte le identità continentali) quale elemento essenziale per affrontare le sfide più attuali, dalla guerra in Ucraina all’Intelligenza Artificiale. Questa riscoperta non è immotivata, poiché le scelte che ci attendono sono così drammatiche, che potranno essere fatte solo in base ad una consapevolezza profonda delle identità che ci uniscono (e spesso ci dividono). Questo si ripercuote anche positivamente sulla campagna elettorale per le Elezioni Europee, nella quale finalmente fanno finalmente capolino le questioni identitarie.

Intanto, l’incitamento del Segretario Generale della NATO, Stoltenberg, agli Stati membri della NATO affinché autorizzino l’uso, contro il territorio russo, delle armi da essi messe a disposizione  dell’Ucraina,  ha messo in evidenza l’imbarazzo degli Europei circa la guerra in corso che -lo si voglia o no- è una guerra fra Europei, che, per origine e meccanica, potrebbe riprodursi un po’ dovunque nel nostro Continente (in Catalogna, Bosnia, Kossovo, Cipro, Kurdistan, Nagorno-Karabagh, Gagauzia, Moldova, Transnistria, Carpazi, Paesi Baltici..), tenendo conto che quasi tutti gli Stati che si pretendono “nazionali” in realtà comprendono una percentuale non indifferente di “popoli minoritari”. Ma, soprattutto, la guerra in corso è innanzitutto la terza guerra civile europea, e i discorsi fatti da molti sull’Identità Europea, se non riescono a frenarla, sono soltanto chiacchere in malafede.

L’Italia è particolarmente determinata nell’ opporsi a tale iniziativa, mentre l’Ungheria ha minacciato perfino di uscire dalla NATO. E’ chiara anche nei sondaggi l’insoddisfazione della maggior parte degli Europei per l’immotivato incancrenirsi, negli ultimi 30 anni, della frattura fra Europa Occidentale e Comunità di Stati Indipendenti, che potrebbe portare in qualunque momento a una guerra nucleare nel cuore dell’Europa, scatenata per esempio da un malfunzionamento dei sistemi elettronici di contrasto agli attacchi nucleari, quale quello verificatosi nel 1983 con il sistema sovietico “OKO”.

Perciò, il dibattito scatenato da quell’ affermazione di Stoltenberg ha richiamato anche la centralità dell’uso bellico dell’Intelligenza Artificiale. Infatti, il primo caso di uso di armi a lunga distanza denunziato dalla Russia riguarda proprio un impianto di avvistamento radar, che costituisce un elemento essenziale della difesa digitale. Accecare i sistemi di allerta elettronica dell’avversario è la prima possibile  causa di un’eventuale scoppio accidentale della guerra nucleare.  Eppure, gli Stati si ostinano a sostenere addirittura che “le armi autonome non esistono”.

Questa situazione, che, tra altro, può avere effetti immediati sulle Elezioni Europee (come è stato recentemente in Serbia e in Slovacchia) porterà, in caso di guerra generalizzata, ad ancor più drammatiche fratture all’ interno dell’Europa, che accelereranno la presa di controllo, sull’ intera società, delle macchine intelligenti. Infatti, “Le guerrier du futur est un robot.”, cfr. L.Alexandre, La guerre des intelligences à l’ère de ChatGTP”.Che costituisce il massimo dei pericoli, ancor prima di quello di una guerra nucleare.

Per questo motivo, è utile richiamare brevemente le ragioni degli attuali conflitti, e le questioni in base alle quali gli Europei sono chiamati pressantemente a schierarsi.

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1.La politica dei blocchi quale effetto della seconda globalizzazione

Le Guerre Mondiali erano state tali perchè fin da un secolo si era assistito a una forma di globalizzazione, vale a dire la costituzione d’imperi intercontinentali che si contendevano il primato sul mondo: americano, britannico, francese, russo, tedesco, giapponese, cinese, che avevano partecipato al conflitto coinvolgendo i loro sudditi extraeuropei, morti a decine di milioni per queste guerre fra Europei.

Dopo le Guerre Mondiali, gl’imperi giapponese, tedesco e francese si erano dileguati, mentre gli altri avevano assunto una natura ideologica (democrazia, comunismo, socialismo con caratteristiche cinesi). L’Europa era stata resa impotente dividendola fra Impero americano e Blocco Sovietico, e le culture “mainstream” erano state mobilitate per dare una base culturale credibile a quella realtà contronatura. Infatti, i due “blocchi” avevano le loro radici comuni nelle “Rivoluzioni Atlantiche” e condividevano il Mito del Progresso.

Nel 1989, l’establishment americano aveva preteso che la caduta del Muro di Berlino avesse rappresentato la “Fine della Storia” quale la intendevano Kant, Hegel, Marx e Kojève, sicché si sarebbe instaurato finalmente un solo Stato mondiale fondato sull’ etica puritana e sui GAFAM (Google, Apple, Facebook, Amazon, Microsoft), e, governato da Washington e da New York (lo “One-Worldism” di Wilkie, o l’ “America-Mondo” di Valladao). In questo scenario, proliferarono i teorici del Post-Umanesimo, che miravano, e ancora mirano, all’utopia definita da Ray Kurzweil come “Singularity Tecnologica”, vale a dire la fusione dell’ uomo con la macchina, della macchina con la natura e dell’Universo con il nulla: l’Apocalisse tecnologica, altimo avatar di quelle religiose e rivoluzionarie.

Alla fine del ‘900, le resistenze esercitate dalla Serbia e dall’integralismo islamico contro l’allargamento al Vecchio Continente  dell’ “America-Mondo” avevano però costretto l’establishment a correggere il tiro, proclamando, con George Bush Jr.,  la “Giustizia senza limiti”, vale a dire l’applicazione pratica, con a guerra in Afghanistan,  dello “Scontro di Civiltà”, o dell’“Occidente contro Tutti”, come sintetizzato, nel libro “Scontro di Civiltà”, da Samuel Huntington. Vale a dire che l’allargamento dell’ America-Mondo non sarebbe più avvenuto in forma relativamente pacifica, bensì con uno sforzo coordinato, culturale e militare. A tale fine, il Parlamento Americano ha stanziato negli anni somme enormi (l’”Endowment for Democracy”) per realizzare, fuori della sfera d’influenza occidentale, le cosiddette “Rivoluzioni Colorate”, usando, quale strumento principe, i social networks, secondo un vero e proprio “manuale operativo” scritto da Gene Sharp, “From Dictatorship to Democracy”.

Rivoluzioni che furono effettivamente tentate, ma con scarso successo, in Serbia, Georgia, Siria, Iran, Egitto, Libia, Tibet, Hong Kong e, finalmente, in Ucraina, dove l’”Euromaidan” è sfociato, prima, in una guerra civile, poi, nell’ attuale guerra di attrito. Non per nulla, nel frattempo, i GAFAM espandevano a tutto il mondo la propria influenza con le grandi piattaforme e l’”Ideologia Californiana”, mentre le 16 agenzie di Intelligence avvolgevano il globo con una rete inestricabile di controlli digitali (Echelon e Prism). Le due reti, quella privata dei GAFAM e quella pubblica delle agenzie di intelligence, si sono praticamente fuse, grazie a una consolidata legislazione americana sul segreto epistolare, che è forzabile dall’ intelligence militare con procedure semplici e segrete.

Come sappiamo, questi tentativi di omogeneizzare il mondo con Internet, le Guerre Umanitarie e le Rivoluzioni Colorate si è per ora arenato, non tanto e non soltanto per la resistenza diretta dei Governi interessati, bensì anche e soprattutto perché il caos provocato dalle Rivoluzioni Colorate ha spesso prodotto effetti non voluti, come il nascere di nuovi regimi altrettanto, se non più, anti-americani dei precedenti.

Soprattutto, varie parti del mondo (come la Russia e la Turchia), sentendosi particolarmente esposte a queste pressioni (per esempio il colpo di Stato di Guelen), hanno modificato le loro precedenti politiche di dialogo, per rendere le loro società meno permeabili alle Guerre Umanitarie e alle Rivoluzioni Colorate, appoggiandosi, in ciò, alle loro tradizioni storiche -per lo più antiche tradizioni imperiali che le configurano quali centri egemoni di soggetti politici continentali più vasti (Cina, India, Islam),e in ciò adeguandosi  paradossalmente, con una forma di “rivalità mimetica”, al modello dell’ “Impero Nascosto” americano- .Questo sforzo  sembra avere sempre più successo, con la creazione dei BRICS, dei BAATX cinesi e della Via della Seta, con l’abbandono americano dell’ Afghanistan e con l’esito delle guerre in Cecenia, in Georgia, in Siria, in Libia e in Palestina.

Come ha scritto il 22 maggio Massimo Cacciari sulle pagine de “La Stampa”, “la vera questione: che l’ Occidente, oggi l’Occidente americano, non è più strutturalmente in grado di confrontarsi con gli altri Grandi Spazi sulla base di una propria volontà egemonica. Occorre saper ‘tramontare’ da tale volontà, non per sparire, ma, all’ opposto, per dar vita a un nuovo Nomos della Terra multipolare, policentrico”.

Sotto un altro punto di vista, proprio lo sviluppo tumultuoso dei GAFAM ha reso evidente che la storia sarà decisa da una “Guerra fra Intelligenze” (fra intelligenza naturale e artificiale, fra GAFAM e BAATX cinesi, cfr. Alexandre, La Guerre des Intelligences), che l’umanità potrà frenare solo organizzandosi in una Comunità Internazionale con progetti condivisi. Oggi, i due pilastri di tale comunità sono due grandi blocchi (l’Occidente a guida americana e l’Organizzazione di Shanghai),che “mettono a disposizione” le loro enormi risorse ciascuno a favore di uno dei contendenti della “Guerra fra Intelligenze”(La Singularity Tecnologica o il Socialismo con caratteristiche Cinesi). La “Guerra delle Intelligenze” tende così a sfociare nella Terza Guerra Mondiale, mentre il dialogo fra USA e Cina avviato dalle iniziative di Kissinger costituisce solo un pallido tentativo di pacificazione,  che non frena affatto la Terza Guerra Mondiale.

Quelle due superpotenze digitali non riescono infatti  neppur esse a rappresentare adeguatamente le istanze delle loro parti componenti, e quindi ad esprimere, nello sforzo per controllare l’IA, il meglio delle rispettive tradizioni. Nell’Occidente, si distinguono un’America che è totalmente soggetta alle scelte dei GAFAM, che costituiscono la sua forza nel mondo, e un’Europa Occidentale con tradizioni, interessi e comportamenti molto divaricati, ma che non riesce neanche a concepire un progetto autonomo. Fra i BRICS, si distinguono una Cina all’avanguardia mondiale nei campi economico e digitale, e con la propensione a limitare il peso delle sue multinazionali (il “Crackdown sui BAATX”), una Russia più arretrata tecnologicamente, e culturalmente vicina all’Europa, un’India avanzata digitalmente ma con scarso peso politico, e un mondo islamico estremamente frammentato. In definitiva,“L’extraordinaire diversité des discours sur l’IA e sur les réponses à y apporter est inquiétante :nous ne pouvons pas gérer un tel changement de civilisation sans un consensus minimum».

Massimo Cacciari invita a percorrere vie nuove

2.Il suggerimento di Cacciari: riscoprire culture europee dimenticate

Per questo, il chiarirsi delle strategie digitali di ciascuna parte del mondo, con un dibattito “piramidale” a tutti i livelli e un riaccorpamento generalizzato dei poteri decisionali secondo il Principio di Sussidiarietà, costituisce un necessario presupposto per quel tentativo di risposta unitaria all’ IA – che, purtroppo, verrà forse solo dopo che quest’ennesima guerra mondiale avrà dimostrato l’evidenza e l’urgenza dei pericoli qui da noi denunziati (e perciò troppo tardi)-.

Ne consegue tra l’altro che, al fine di inserirsi anch’essa in modo fattivo in questo processo collettivo di chiarimento a livello mondiale, l’Europa dovrebbe aprirsi a prospettive nuove, nella direzione indicata, sempre da Cacciari, nell’ articolo citato, cioè rifuggendo tanto dalla provinciale tentazione che sembrerebbe emergere dal trend elettorale populista, quanto dall’arroganza della cultura progressista e occidentale.

Può sembrare  sorprendente, ma non per noi,  che Cacciari, conscio dello slittamento culturale in corso nell’ opinione pubblica in vista delle Elezioni Europee, indichi la speranza di una nuova prospettiva per l’Europa nella riscoperta delle tradizioni minoritarie “orientalistiche” del conservatorismo europeo, quello che in altra sede abbiamo chiamato “conservatorismo critico”:”Eppure vi è stato un pensiero conservatore, per quanto assolutamente minoritario in queste destre, che si è mosso in una direzione opposta, di riconoscimento pieno  della grandezza delle altre civiltà, nel senso della comparazione e dell’ approfondimento reciproco. Queste correnti andrebbero meditate, anche da parte di molte ‘sinistre’, che mai hanno fatto sul serio i conti con il pensiero ‘in grande’ di certa destra europea.”

Pensiamo che Cacciari si riferisca ad esempio a Pannwitz, a Fenollosa,  a Spengler, a Eliade, a Guénon, a Trubeckoj, a Saint-Exupéry, a Pound, a Evola, a Gumilev. Tutti autori ben più vicini alle culture indica, medio-orientale, delle steppe e dei deserti, cinese.., che non a quelle occidentali. Autori che le “culture di destra” apprezzavano e studiavano fin dagli Anni ’30 (gli “Anticonformistes des Années Trente”, ma che il “mainstream” ha sempre tenuto ai margini, con una vera e propria “censura”, costata, a taluni di essi, anche vere e proprie persecuzioni.

Secondo Alexandre: “Les choix que nous allons faire d’ici au 2100 nous engagent pour toujours et certains seront irréversibles. La gouvernance et la régulation des technologies qui modifient notre identité – manipulation génétique, sélection embryonnaire, IA, fusion neurone-transistor, colonisation du cosmos -seront fondamentales. »A questo punto si comprende bene perché, nonostante la retorica pacifistica generalizzata, sia impossibile impedire oggi  lo scatenamento guerre molto pesanti e rischiose: semplicemente, le poste in gioco sono troppo elevate per potervi rinunziare, anche se per lo più gli attori in gioco non ne sono completamente consapevoli. Si tratta, “mutatis mutandis”,  delle stesse poste in gioco, ad esempio, nelle Guerre Persiane, nella “fitna” fra Sunniti e Sciiti, nello scontro fra l’Impero Cinese e i Taiping: della sfida fra la “hybris” millenaristica e l’”autonomia” pluralistica (Ippocrate ed Erodoto).  Solo che,  allora, si trattava di dispute teoriche; qui, invece, della loro realizzazione pratica (del loro “inveramento”) grazie alla potenza della tecnica.

Ma, prima ancora della “Singularity Tecnologica” che annullerebbe l’Umanità, se non il cosmo stesso,  già ora siamo sottoposti a un unico totalitario ecosistema digitale governato dagli algoritmi secondo la loro logica intrinseca, da cui ogni vitalità (l’”Elan Vital” di Bergson)viene , in un modo o nell’ altro,  eliminata. Peggio che nel Socialismo Reale. Già ora, un anticipo della tirannide post-umana promossa dai GAFAM, ci viene fornito dalla “Religione Woke”, che, negli Stati Uniti, ha praticamente eliminato, nel mondo intellettuale,  la libertà di pensiero e di espressione, instaurando una censura assoluta di tutto ciò che possa ricordare anche vagamente le tradizioni, il passato e perfino qualche brandello si soggettività autonoma (Braunstein, “La Réligion Woke”):tutto ridotto a “orrori” che non bisogna più ripetere. Qualcosa di molto simile alle frenesie sessantottine e all’”Eros e Civiltà” marcusiano, poi sfociati nelle Brigate Rosse e nella Rote Armee Fraktion.

Non per nulla, il “Woke” è sospinto energicamente avanti dai GAFAM, che vedono, nell’appiattimento universale, il necessario presupposto per il proprio controllo totalitario su tutte le società umane.

Per questo vari soggetti politici (Chiese, Cina, Russia, Islam, India) accomunati dall’ istinto di autoconservazione, hanno tentato in vario modo di ostacolare l’omologazione mondiale, e questo ha dato luogo a vari tipi di scontro (dalle guerre dell’ex Unione Sovietica, della ex Jugoslavia, e del Medio Oriente, fino ai disordini generalizzati in Africa e agli attuali movimenti sociali e studenteschi in Europa).

La posizione sull’ AI dei grandi blocchi geopolitici si può sintetizzare come segue:

-l’America ha inventato l’IA con le Conferenza Macy, con ARPANET, Internet e i GAFAM, e il Governo Americano, pur riconoscendo in principio la necessità di una regolamentazione, di fatto lascia ai GAFAM la massima  libertà di azione, perché essi costituiscono di fatto il più potente strumento della sua espansione mondiale (l’”Impero Sconosciuto” di cui parla il Pontefice), e preme per rallentare la regolamentazione internazionale, sperando di rendere irreversibile il controllo dei GAFAM almeno sull’Occidente, come prevedeva già qualche anno fa Evgeny Morozov. D’altronde, come ben messo in evidenza da Braunstein, la “Religione Woke” si pone in continuità con i vari “Awakenings” protestanti americani, che sono all’ origine, tanto della Rivoluzione Americana, quanto della “Giustizia senza Limiti” di Bush;

-La Cina è stata da sempre consapevole dei pericoli costituiti da un internet a guida americana, ed è riuscita, con un lavoro pluridecennale a più strati, a creare un proprio ecosistema digitale, con le proprie piattaforme e con i propri controlli, a tutela dei cittadini (copiato dalle leggi europee), ma anche e soprattutto dello Stato e dell’ Esercito (con interventi pesanti sui guru dell’ informatica che non vi si adeguino: il “Crackdown sui BAATX”). Essa ha accettato di buon grado l’appello di Henry Kissinger per una regolamentazione internazionale che parta dagli usi militari, e ne ha parlato con il vertice americano;

-L’Europa ha scelto deliberatamente, per non entrare in rotta di collisione con gli USA, di non avere una propria industria digitale, restando tributaria degli USA per tutta una serie di attività vitali (intelligence, internet, difesa, nuove tecnologie). In cambio, essa si vanta di essere all’ avanguardia della regolamentazione dell’ICT, tanto per la privacy quanto per l’IA. Peccato che le sue regolamentazioni non abbiano alcun effetto pratico, perché i GAFAM e l’Intelligence Community americani controllano l’intero ecosistema digitale e perfino la politica, e quindi sfuggono a qualsiasi controllo dell’Unione;

-gli Organismi Internazionali hanno tentato, come doveroso dal punto di vista istituzionale, di fare qualcosa, per esempio con la “Bozza di Convenzione-Quadro” elaborata da una commissione del Consigli d’Europa, o come la Dichiarazione delle Nazioni Unite, ma  sono state bloccate dalle Grandi Potenze, che desiderano che queste decisioni siano in mano a un club ristretto, che poi presenterà il fatto compiuto come un verdetto inesorabile della Storia, a cui nessuno penserà neppure lontanamente di opporsi.

3.L’Europa, anello indispensabile della governance mondiale dell’ IA.

In tutto ciò, la posizione dell’Europa è particolarmente ondivaga.

Dopo avere approvato, e abbondantemente propagandato, due importanti pacchetti legislativi, il DGPR e l‘AI Act, l’Europa è sostanzialmente assente dal dibattito internazionale sull’ IA, nonostante che il Papa e le Nazioni Unite abbiano chiaramente indicato quale dovrebbe essere il prossimo percorso:

-un pacchetto negoziale basato su un trattato generale applicabile al civile e al militare, al pubblico e al privato, da elaborare fin da subito;

-creazione di un’Agenzia Internazionale delle Nazioni Unite sul modello dell’ AIEA.

La realtà è che gli Stati Uniti e i GAFAM non cessano di fare pressione sugli Stati membri e sulla Commissione perché si segua invece un percorso diverso:

-postposizione del trattato;

-esclusione delle imprese private e del militare;

-firma solo da parte dei Paesi occidentali.

Un trattato  così depotenziato non servirebbe a nulla in quanto:

-il pericolo più grave è costituito dall’ uso militare dell’ IA, su cui si deve trovare un accordo anche con la Cina e con la Russia;

-il secondo è costituito dal controllo dei GAFAM su tutte le società umane, che non viene contrastato con vaghe enunciazioni di principio;

-manca del tutto un risvolto culturale, educativo e formativo fuori dal conformismo tecnocratico e moraleggiante imperante.

Se vi è oggi una “missione culturale dell’ Europa”, essa è quella di svelare che l’attuale “mainstream” occidentale, che trae le sue “radici” dal Vecchio Mondo, non è -che si tratti del “wokismo” o del tradizionale atteggiamento WASP-, un fenomeno universale, bensì un qualcosa di tipicamente americano (“the Dissidence of Dissent”, per dirla con Huntington), che ha estremizzato a tal punto vecchie idee europee del messianesimo, del relativismo e della democrazia, dal renderle insostenibili e irriconoscibili.

In questa luce, occorre, come proponevano gli autori sopra citati e come propone oggi  Cacciari, studiare e  rivalutare le culture asiatiche, anche se la soluzione indicata nell’ articolo di cui sopra ci sembra troppo semplicistica:”L’Autorità non sta nelle mani di un Capo, né in un Paese né sulla faccia della terra, ma è la Relazione stessa, sono le norme e le leggi che la stabiliscono e regolano e che tutti riconoscono perché vedono in esse le garanzie della loro stessa pace.”Questa è infatti semplicemente la definizione del “Dao” contenuta nel Dao De Ching di Lao Tse e nei Classici Confuciani.

E, secondo Cacciari, questa costituirebbe addirittura la fine del dissidio fra Destra e Sinistra (se non della pace mondiale) Ma qui cadiamo di nuovo in una prospettiva utopica. Infatti, il Dao è il risultato della dialettica fra Yin e Yang (maschile e femminile) proprio quella che la cultura woke vuole eliminare. E, infatti, Mao pensava che la dialettica destra-sinistra sia ineliminabile. Cacciari è ancora nostalgico della Fine della Storia, solo che, invece di concepirla secondo il “mainstream” occidentale, la concepisce secondo il filone cinese della “Grande Armonia” (“Datong”).

Comunque, il mondo multipolare non può, per definizione, essere dominato da una sola cultura, fosse pure la millenaria cultura cinese, che sembra avere comunque la meglio in una prospettiva di lungo termine. Questo perché il compito che attende la nuova generazione è assolutamente inedito, e richiede un contributo intellettuale di tutti, al di fuori della portata di ogni singola cultura. Del resto, più saggio appare l’approccio islamico, secondo cui “se Dio avesse voluto, avrebbe fatto di noi un’unica setta”.

Ciò che l’Europa può fare è essere il catalizzatore, il “Trendsetter”, di questo dibattito mondiale (come voleva l’attuale Commissione, che però non sapeva neppure da dove cominciare, perché manca dei necessari presupposti culturali e della necessaria indipendenza politica).

Per fare ciò, l’Europa deve avere una propria identità, che non può essere, né quella americana, né quella cinese, né quella islamica. Essa deve riscoprire senza paraocchi l’integralità la propria cultura, che non è solo una sommatoria di razionalismo greco, di legalismo romano e di monoteismo giudaico-cristiano, ma anche lo spirito dionisiaco dei nomadi delle steppe, il misticismo euro-islamico, la pasionarnost’ slava, lo spirito critico degl’intellettuali indipendenti, classificati abusivamente come “illuministi”…Basta con le censure a Omero, Ippocrate, Erodoto, Eraclito, Socrate, Tacito, Jordanes, i Provenzali, Machiavelli, i Gesuiti, Nietzsche, Soloviov, Dostojevskij, Simone Weil, Burgess…

Solo sulla base di un’antropologia personalistica assertiva e critica (opposta alle cosiddette “Educazioni anti-autoritarie”, e soprattutto alla “cultura woke”), il singolo cittadino potrà avere la forza intellettuale e di volontà necessaria per opporsi al determinismo della tecnocrazia e alle coercizioni quotidiane della rete e del “politicamente corretto”.

L’Europa nel suo complesso dev’essere libera di confrontarsi alla pari, senza complessi d’inferiorità, con gli altri continenti (“orgogliosamente volta al mondo” come scriveva Vörösmarty)  : con l’ America, certo, ma soprattutto con la Russia, con la Turchia, con Israele, con l’Islam (con i quali essa è intrinsecamente connessa), con la Cina, l’India, il Sud-America…, prendendo spunto, ove sia necessario, da tutte le alte culture.

Innanzitutto, deve uscire al più presto da questa guerra fratricida, motivata da un falso confronto fra l’Europa ortodossa e quella romano-germanica inventato a tavolino dai think tanks americani (Huntington), e deve fare anche di tutto per fare terminare quello fra Israele e il mondo mussulmano, che è alle soglie della sua casa.

Essa deve formulare su queste basi una sua proposta di pace, che veda l’Europa e la sua missione al centro del nuovo sistema multipolare, in quanto punto di equilibrio del “Parallelogramma delle Forze” mondiale. Per fare ciò, non può e non deve identificarsi unilateralmente con nessuno dei blocchi oggi in conflitto, come giustamente incominciano a suggerire alcuni intellettuali e politici.

Così, quando tutto ciò sarà finito, potremmo dedicarci alla vera battaglia del nostro tempo: quella per il controllo dell’Intelligenza Artificiale, intorno alla quale dovremmo coalizzare il mondo intero.