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DALL’ ARCO DI TRIONFO ALLE TRATTATIVE SULLA SICUREZZA

Continuano le umiliazioni della Francia (e dell’ Europa).

La bandiera europea all’ Arco di Trionfo

Il Presidente Macron avrebbe voluto fare, del Semestre Francese, una marcia trionfale verso la rielezione, facendo leva sull’ enfatizzazione della propria posizione europeistica, e, in particolare, sulla (sacrosanta) concezione  della “Sovranità Europea” ribadita a partire dal “Discorso della Sorbona”,  un’idea tipicamente francese, erede di quelle , gaulliana, di “Europa dall’ Atlantico agli Urali”, giscardiana, di ”Europe Puissance”e, mitterrandiana di confederazione con l’URSS (“Conferenza di Praga” e “Carta Europea”).

Purtroppo, i fatti stanno dimostrando che, nell’ Europa di oggi, né il clima culturale, né i rapporti di forza, sono (ancora) tali da permettere una politica di questo tipo. Anzi, nel corso dei decenni, ci siamo allontanati sempre di più da quest’ obiettivo. Del resto, neppure De Gaulle, né Giscard, né Mitterrand, erano riusciti a tenere fede alle loro promesse, perché nessuno li aveva seguiti su questa strada. Friedman aveva dato atto sul New York Times che “i gaullisti non avevano mai minacciato gl’interessi strategici americani”. Ed invece proprio ciò significherebbe un’eventuale “sovranità europea”, che scalfirebbe definitivamente il mito degli Stati Uniti quale “nazione necessaria”(Madeleine Albright). La “riprogettazione” dell’Europa avvenuta a Yalta era stata così radicale, da rendere difficilissimo discostarsene, anche per chi Yalta la contestava. Come aveva affermato, con grande scandalo di tutti, Alexander Rahr, “gli Americani ci hanno asportato il cervello”.

L’esempio più eclatante di questo eterno fallimento del sovranismo europeo è costituito proprio dal tentativo di De Gaulle si costruirsi una “force de frappe” autonoma, cioè “à tous les azimuts”, poi naufragata sotto Chirac con il rientro della Francia nella NATO. Un secondo esempio particolarmente evidente è stato, nel 1989, alla caduta del Muro di Berlino con e l’intesa fra Gorbačev e Papa Wojtyla (la “Casa Comune Europea”), il progetto di Confederazione europea di Mitterrand, subito bloccata dai Cecoslovacchi e dall’ America.

Lo stesso rischia di capitare ora a Macron, il cui piano di una “Politica Industriale UE”, fondamentalmente quella praticata a suo tempo da De Gaulle e teorizzata da Servan-Schreiber, è già stato declassato ad una semplice serie di “alleanze” di dubbie prospettive (e già presenti per altro nel programma del Rassemblement National), escludendo innanzitutto qualsiasi ipotesi di un “DARPA europeo” e di “GAFAM Europei” (due temi abbozzati a suo tempo dallo stesso Macron). Ciò anche e soprattutto alla luce della sconvolgente esperienza della prima di queste “alleanze” (GAIA-X), di cui abbiamo parlato in un precedente blog.

E’ quindi sempre più attuale la nostra proposta di un’ “Agenzia Tecnologica Europea”(“European Technology Agency”, di cui avevamo discusso, tra gli altri, con il Presidente Sassoli (cfr. precedente blog).

Quanto ora accaduto con la bandiera europea scacciata dall’Arco di Trionfo e con le trattative sull’ Ucraina rischia di confermare le più cupe previsioni circa l’irrilevanza dell’”europeismo sovranista” di Macron. Non parliamo poi del fatto che, dalle varie presentazioni del Semestre Francese, sono quasi completamente scomparsi i suoi due elementi essenziali: la Conferenza sul Futuro dell’ Europa e la Sovranità Tecnologica.

Adesso, abbiamo le campagne del Ministero della Pubblica Istruzione francese contro l’imperversare dell’ Inglese e per lo studio delle lingue classiche, che fa concorrenza alla campagna di Zemmour per l’abbandono dell’ Inglese nelle Istituzioni europee. Vedremo come vanno a finire anche queste campagne sovraniste dei Francesi, che, secondo me, poggiano anch’esse su basi troppo fragili.

L’Impero Francese sotto Napoleone era l’ Europa

1.La Sovranità Europea

Il problema della Sovranità Europea è innanzitutto una questione culturale.  Il ritardo nella creazione del primo embrione delle Comunità Economiche Europee, a ben 12 anni dalla creazione della NATO e del COMECON, dimostra lo scarso entusiasmo degli stessi Padri Fondatori (per non parlare degli altri), i quali, proprio in quegli anni, erano tutto tranne che sovrani (basi pensare alle vicende di Olivetti e di Mattei, nonché della concessione, da parte di De Gasperi, delle basi americane). Non parliamo poi della schiacciante documentazione oramai disponibile su come l’America abbia manipolato il Movimento Europeo, isolando i più ferventi sostenitori di un’Europa culturale e politica (Coudenhove Kalergi, Spinelli, Marc, Sandys e lo stesso Churchill), e mandando avanti dei mediocri  burocrati proni ai suoi voleri (Richard J. Aldrich,University of Nottingham,1 Marzo 1997).

Quando De Gaulle aveva lanciato la propria idea dell’Europa dall’ Atlantico agli Urali (coerente seguito della proposta di Chruśćev di adesione dell’ URSS alla NATO), era stato aggredito da tutti come “antieuropeo”, anche se in realtà era l’unico a progettare un futuro veramente “europeo”. L’idea che l’Europa potesse essere autonoma tanto dall’URSS quanto dagli Stati Uniti si presentava infatti allora, a sprazzi, oltre che nel Governo francese, solo in sparute minoranze giovanili di estrema destra e sinistra, le quali tutte si guardavano bene da dare un seguito coerente alle proprie proposte (per altro anch’esse carentemente motivate: l’“Europe Nation”).

Nell’ era della tecnica dispiegata, né le “nazioni borghesi” otto-novecentesche, né l’inedito “Occidente”, costituiscono oramai un sufficiente baluardo contro l’omologazione tecnocratica, che è oggi l’unico vero ostacolo alla libertà e alla stessa sopravvivenza dell’Umanità (il “rischio esistenziale”,cfr. De Landa, Joy,Hawking, Rees). S’impongono strutture più grandi, fondate non già su “ideologie” moderne di corto respiro, bensì su tendenze “di lunga durata” (Tian Ming, Translatio Imperii), capaci di sintetizzare e rivitalizzare la storia culturale d’ intere civiltà, mobilitandole nella lotta per il controllo sulla tecnica dispiegata. S’impone soprattutto un nuovo “Stato Civiltà” come l’ Europa, che, se profondamente rinnovata, potrebbe condurre sul serio una vera battaglia per l’“Umanesimo Digitale”, che oggi ancora non s’intravvede, nonostante le tonnellate di carta prodotte.

Queste esigenze erano già presenti dall’ inizio del ‘900, ma, in realtà, nessuno aveva mai voluto che si studiassero  a fondo le ragioni d’essere del “Denken für Kontinenten”, avviato dal tanto vituperato Haushofer, del “Paneuropeismo” di Coudenhove Kalergi, né del concetto cinese di “Stati-Civiltà”, presente già fin dal 1950 in tutti i libri  scolastici cinesi.Né, tanto meno, nessuno ha mai voluto, e continua a non volere, che si approfondiscano gli aspetti tecnico-militari della sicurezza europea, che passano attraverso le tecnologie digitale, spaziale e quantica, dove non risulta che l’Europa stia facendo un bel nulla (e gli stessi esperti brancolano nel buio, cfr.Marcello Spagnulo, L’Italia spaziale, da terzo grande a satellite di chi?, in Limes, 12/21).

Ricordo quando, al Parlamento Europeo, Pat Cox aveva addirittura negato la parola a Elcin, il presidente russo più filo-occidentale della storia. Tanta è stata da sempre la paura che la Russia chiedesse, come suo diritto, di far parte delle Istituzioni europee (con la conseguente rivoluzione delle rappresentanze nazionali). Orbene, è evidente che un’autentica sovranità europea non potrebbe essere possibile se non coll’ eliminazione delle tensioni fra Europa, Russia e Medio Oriente, oggi usate come leva per mantenere forzatamente gli Europei nella NATO. Già la “Casa Comune Europea” di Gorbaciov e Giovanni Paolo II presupponeva infatti, e ancora presuppone,  che la Paneuropa non resti l’area di confine fra due sistemi, bensì un unico sistema che riprenda i lati migliori di quelli che lo avevano preceduto. Come aveva affermato allora Giorgio Shevardnadze, “un sistema migliore di quelli capitalista, socialista e feudale”.

Il monumento a De Gaulle a Mosca

2.La bandiera europea sotto l’Arco di Trionfo

Poche vicende rivelano bene come questa la sostanza copertamente anti-sovranista, tanto del Rassemblement National, quanto della politica Macron.

Quanto al primo, anziché essere fiero del fatto che la Francia abbia la presidenza dell’Europa e possa perciò dare ancor più peso ai temi che le sono cari, ha presentato addirittura un ricorso giudiziario contro l’esposizione della bandiera europea sotto l’Arco di Trionfo, dimenticando che Napoleone, che aveva voluto quell’ arco, era sdtato, di fatto, l’Imperatore dell’Europa. Quanto al secondo, lungi dal possedere l’assertività, non diciamo di Napoleone, ma perfino di De Gaulle, si è fatto intimidire da una mediocre manovra causidico-propagandistica  della candidata  rivale.

L’uso dei micro-nazionalismi in chiave anti-europea è una trovata relativamente recente, da quando, con la caduta del Muro di Berlino,  si è manifestata una fondata aspettativa che l’Europa unificata possa costituire un’alternativa agli USA. A questo fine  erano tornati utili Farage e Le Pen, Lukašenka e Meloni , che un tempo non si volevano neppure sentir nominare.

Infatti, prima dell’ ‘89, né l’europeismo, né i micro-nazionalismi, avevano alcun peso, perché imperavano, da un lato, l’egemonia culturale marxista, e, dall’ altra, l’atlantismo maccartista, abbondantemente sufficienti, dal punto di vista dei poteri forti, per stroncare ogni velleità di autonomia paneuropea. Non per nulla, le Istituzioni vivacchiavano sotto la cappa dell’ideologia funzionalistica. Dal 1989 in poi, venuta meno la credibilità di quei due orientamenti geopolitici fintamente contrapposti, non si è trovato nulla di meglio che suscitare una falsa dialettica fra i sovranismi piccolo-nazionali e europeo. Con gran divertimento degli USA, e con la tentazione della Russia di “ricrearsi l’URSS”, vale a dire una realtà speculare all’ Impero Americano, ma che in realtà lo puntellava egregiamente.

Francois Mitterrand tentò di lanciare una Confederazione Europea con l’URSS

3.”Ricostituire l’ Unione Sovietica”?

Le vicende alle frontiere bielorussa e ucraina, e l’intervento alleato in Kazakhstan, dimostrano che il disegno di una “Yalta 2”  è in fase di attuazione, e che l’America e la NATO sarebbero ben felici che la Russia “ricreasse l’Unione Sovietica”, in modo da impedire ulteriormente la “Casa Comune Europea”(e da vendere all’ Europa il gas americano).

Secondo Putin, “coloro che non rimpiangono l’ Unione Sovietica sono senza cuore, ma coloro che vogliono ricostituirla sono senza cervello”. Quindi, l’associazione d’idee fra l’URSS e il “Russkij Mir” (concetto preferito da Putin) è arbitraria, perché la strategia attuale di Mosca non risponde affatto all’idea internazionalistica dell’ex URSS, bensì segue molto da vicino il progetto panrusso di Sol’zhenitzin (“Kak obostruit’ nam Rossiju”=”Come ristrutturare la nostra Russia”), di cui il lungo articolo di Putin del Luglio del ‘21(“Ob istoričeskom edinstve Russkih i Ukraintsev”=”Sull’unità storica fra Russi e Ucraini”) costituisce in gran parte un’esplicitazione. Sol’zhenitzin non voleva difendere l’Unione Sovietica, anzi fu colui che per primo ne propose la dissoluzione, ma opponendosi nettamente alla scissione fra i tre popoli slavi orientali: Russi, Ucraini e Bielorussi, e postulando la restaurazione del sistema di autogoverno locale (“zemstvo”), tipico degli ultimi anni dello zarismo. Un discorso a parte Sol’zhenitsin lo dedicava al Kazakhstan, nel nord del quale Stalin aveva trasferito, per motivi vari, milioni di Russi, Ucraini e Bielorussi, oltre a parti di popoli minori, come i Tedeschi del Volga, i Tatari di Crimea, i Ceceni e i Mescheti. Secondo Sol’zhenitsin, questa parte del Kazakhstan (intorno alla nuova capitale Astana, e con lingua veicolare il Russo) avrebbe dovuto rimanere con gli Slavi Orientali.

In parole povere, la visione della Russia di Sol’zhenitsin e di Putin (“Russkij Mir”) è speculare a quelle dei “Brexiteers” per l’arcipelago britannico, del Gruppo di Visegràd per i “nazionali” dell’ Europa Centrale, del “Neo-Ottomanesimo” per l’AKP: rinverdire l’identità degli antichi imperi , regni o Repubbliche, che avevano dominato l’ Europa per secoli. Il problema dell’Europa, se non vuole andare a pezzi, è quello di recuperare tutte le sue grandi “regioni” all’ interno di un disegno più vasto con una sua missione specifica (la “Casa Comune Europea”, la “Confederazione Europea”), tenendo conto soprattutto delle esigenze tecnologiche e di difesa. Quelli (insieme  all’ attuale “nocciolo duro carolingio”, e al “Grande Nord”) sono veri e propri “Stati membri”complessi dell’ Europa, che è qualcosa di molto più grande (geograficamente e concettualmente) dell’ Unione Europea, e va gestito con più ampio respiro. E’ fra quelle grandi “macroregioni europee” che va trovato un vitale equilibrio, mentre l’attuale Unione, federalizzata,  dovrebbe fungere da cuore pulsante dell’ intero sistema (la vera “Europa a cerchi concentrici”).

Il programma di Sol’zhenitsyn è stato ripreso da Putin

4. La “democrazia” quale strumento di discriminazione

E’paradossale che le discriminazioni nei confronti dei Paesi dell’Est Europa siano motivate, essenzialmente, dalla loro presunta mancanza di “democrazia” secondo un modello idealizzato degli USA, i quali  sono, invece, l’esempio più palese di non-democrazia proprio nei suoi elemento primari: il diritto di voto (da sempre soggetto a restrizioni di ogni tipo), la libertà di espressione (soggetta alla censura dei GAFAM e del “politically correct”); la libertà personale (Patriot Act, CLOUD Act).Anche il continuo richiamo a presunti “valori europei” che solo gli  altri starebbero violando non regge di fronte alle continue dimostrazioni dell’ incoerenza degli Europei,dove il richiamo formale a presunti valori condivisi (ripudio della guerra, libertà individuale e nazionale, pluralismo, misericordia) è  espressione d’ipocrisia e di “doppio standard” (pensiamo alle guerre neocoloniali ancora in corso; alle testate nucleari americane sul nostro territorio; alle “extraordinary renditions”;al trattamento di profughi, Catalani, russofoni; alla violazione  di fondamentali sentenze della Corte di Giustizia; alla disapplicazione del GDPR…).Tutto ciò delegittima anche l’ Unione Europea nel ruolo di fustigatrice per procura degli USA, ch’essa si arroga, della maggioranza degli altri Stati. Ciò che accomuna “i due Occidenti” è in sostanza l’ipocrisia puritana, di chi predica valori troppo sublimi in modo da mascherare le peggiori infamie.

Così stando le cose, non ci si venga a dire che certe parti d’ Europa non sono con noi compatibili perché hanno storie e tradizioni (parzialmente) diverse dalle nostre (limitatamente agli ultimi 2 secoli). C’è da chiedersiallorache cosa intende il nostro “mainstream” per “multiculturalismo”? Che tutti i Paesi, vicini e lontani, devono diventare come noi? Oppure che tutti quelli che non sono come noi devono starci lontani? Ma allora, che senso ha tutto (il -falso-) interesse dimostrato per gl’immigrati? Non sono questi (in genere) ancora più diversi dei Polacchi, dei Russi e dei Turchi? E anch’essi hanno o non hanno il diritto di rimanere diversi? In base a quale criterio la parte sud-occidentale dell’Europa si sente in diritto di giudicare ciò che sta a Nord, Est, a Sud-Est, e, soprattutto, a Sud? E, poi, si può dire che Solimano, Pushkin o Mickiewicz siano molto diversi da Lorenzo il Magnifico, Foscolo o Goethe?

L’”Occidente” si è sempre sforzato di negare e controbilanciare la naturale affinità e complementarietà fra Europa e Russia (che  comprende anche, fra l’altro, il boom di esportazioni italiane e tedesche e i due North Stream), per fare in modo che Europa Occidentale ed Orientale siano portate automaticamente (e innaturalmente) a respingersi, sicché l’ Europa non possa mai unificarsi veramente (“tenere i Tedeschi sotto, gli Americani dentro e i Russi fuori”). Lo stesso “trucco” usato con la Russia è stato usato anche con gli altri Paesi dell’Europa dell’ Est, dove il sostegno alle idiosincrasie micro-nazionalistiche (spesso attraverso emigrati in America), ha permesso di rinfocolare le rivalità fra Lituani e Russi, Polacchi e Bielorussi, Ungheresi e Slovacchi, e addirittura fra Bruxelles e gli Est Europei in generale, quando invece sono sempre state più importanti le affinità. In questo modo, diventa difficile non solo un sentimento paneuropeo, bensì perfino una solidarietà fra gli stessi Europei dell’Est. E dire che il pezzo forte dell’ideologia panslavista sempre stata costituita dall’origine eurasiatica degli Slavi (cosa comune ai Germanici e agli uralo-altaici); che la base del “Pensiero Russo” è il “Bizantinismo” costantinopolitano; che il pensiero di un  “Romanticismo Slavo” nasce con Böhme, Herder e Tommaseo; che il costituzionalismo polacco non è meno antico di quello inglese…

Questi continui rifiuti verso la Russia da parte dell’Europa (assolutamente immotivati) a partire dal 1991 hanno trasformato l’originario entusiasmo per l’apertura all’ Occidente in una (comprensibile) volontà di difendersi da calunnie, sanzioni, destabilizzazioni -e missili-), costringendo la Russia a consolidare il proprio spazio (culturale, politico, commerciale, militare) anche verso Est. Fenomeno non dissimile da quanto accaduto in Turchia, nel Regno Unito e, parzialmente, in Polonia, le quali, per poter sopravvivere come culture, sono state costrette ad opporsi ad una Bruxelles sempre più intollerante ed autoreferenziale. E si noti che, prima, esse tutte avevano fatto uno sforzo enorme di trasformazione legislativa per poter accedere all’ Unione. Basti riascoltare il discorso programmatico televisivo di Putin la notte di capodanno del 2000, in cui s’impegnava ad introdurre in Russia tutti i principi concordati con i Paesi Europei in sede OSCE, in totale contraddizione con l’immagine che ne hanno sempre dipinto i media occidentali.

Le “macroregioni europee” ricordano gli Stati del ‘600

5. Le attuali trattative sul sistema di sicurezza europeo

Questa settimana si sono svolti incontri USA-Russia, NATO-Russia e OCSE-Ucraina per discutere i due trattati proposti dalla Russia  sulla sicurezza in Europa (“Agreement on Measures to Ensure the Security of the Russian Federation and Member States of the North Atlantic Treaty Organization;  “Treaty between the United States of America and the Russian Federation on Security Guarantees), che ricalcano, da un lato, quelli vigenti fino a poco tempo fa e ripudiati dagli USA,  e, dall’ altro, quanto da più di 30 anni la Russia sostiene essere stati gli accordi verbali fra Baker e Gorbaciov, e si riallaccia, infine,  implicitamente, alla Conferenza di Praga e alla Carta europea di Mitterrand e Hàvel.

Naturalmente, le proposte russe non sono state neppure prese in considerazione dagli USA, con la conseguente escalation da parte dei Russi (si parla di testate ipersoniche posizionate nel continente americano, come i famosi missili di Cuba, grazie ai quali l’URSS aveva ottenuto l’allontanamento di quelli in Turchia).

In questo bailamme, il compito minimo dell’Unione Europea sarebbe ora quello di delineare un progetto condiviso da tutta l’Europa, proporlo ai singoli Stati, membri o non membri della UE, e, infine, costruire strade per realizzarlo. Se Putin ha potuto scrivere sul suo sito un articolo di 39 pagine sull’ unità fra Russi e Ucraini, e tutta la stampa dell’Europa Orientale ha potuto scrivere fior di controrepliche allo stesso, perché nell’ Unione non si sa produrre nulla sulle identità degli Europei? L’Europa, nell’ ambito della Conferenza sul Futuro dell’ uropa, avrebbe dovuto elaborare una sua posizione su questi temi.

Invece, un siffatto progetto manca completamente: non soltanto si è lasciata da 23 anni senza risposta la domanda di adesione della Turchia; non soltanto ci si è urtati sempre più (come si è visto) con la Russia, ma perfino il più modesto compito dell’adesione dei Balcani Occidentali, previsto nel “Piano Janša” proposto dalla presidenza slovena alla Conferenza di Lubiana del 2021 è rimasto senza seguito, arenatosi nelle rivalità fra Serbo-Bosniaci e Bosgnacchi e fra Bulgari e Macedoni. Il fatto è che gli Europei, pur essendo confusamente insofferenti dello “status quo”, sono incapaci perfino ad immaginarsi un futuro alternativo.

L’obiettivo occulto è destabilizzare l’Europa Orientale, spezzettando le maggiori formazioni per poi inglobare alle proprie condizioni i nuovi micro-Stati, come successe con la disgregazione degl’Imperi Centrali e di quello russo dopo la IIa Guerra Mondiale. E’ proprio questa tendenza di lungo periodo dell’ “Occidente” che si sta scontrando contro la resistenza della Russia, della Turchia e, in minor misura, della Polonia.

Ciò detto, chi arriva con delle proposte (buone o cattive che siano) al tavolo delle trattative sul futuro dell’ Europa Centrale e Orientale  è, ora come sempre, la  Russia,  e gli USA rispondono senza nemmeno consultare gli Europei. Sono  due Stati veramente sovrani, che hanno una loro politica estera e un loro completo arsenale nucleare, e, pertanto, si arrogano (non senza ragione)  il diritto di decidere sul futuro dell’ Europa. Altro che Conferenza!

Le due bozze di trattato sono dunque state elaborate dalla Russia e respinte senza discussione dall’America, senza che gli Europei abbiano detto nulla. Eppure, si tratta del nostro territorio, del nostro futuro, perfino del nostro gas! Se non è questa una questione di Sovranità Europea, quale altra lo è?Cosa intendiamo dunque per “sovranità europea”?

La realtà è che il nostro Continente è visto solo come un campo di battaglia, oggi per attacchi ibridi (come le rivoluzioni colorate, le Repubbliche secessioniste, le crisi migratorie); domani, per invasioni militari come in Kazakhstan; dopodomani, per guerre nucleari, chimiche e batteriologiche, senza che gli Europei possano farci nulla. C’è di più: oggi, in barba alle premesse pacifistiche del Diritto dello Spazio, le grandi potenze stanno militarizzando lo spazio siderale, senza che, di nuovo, l’ Europa possa farci nulla.

Noi abbiamo “delegato agli USA” semplicemente la gestione di tutti i rischi esistenziali del XXI° Secolo. Quindi, se “sovrano è chi decide sullo stato di eccezione” (Carl Schmidt), noi non siamo sovrani.

Possibile che l’Europa di Macron, che, pretenderebbe di darsi una politica estera e di difesa “sovrana”, non abbia nulla da proporre, e lasci la discussione agli eterni “federatori esterni”, USA e Russia? Così stando le cose, come fare a impedire che i cittadini prendano le distanze dall’ Unione? Come ha scritto nella sua newsletter il Movimento Europeo, “appare stupefacente il gap fra il desiderio di grandeur che traspare dal programma della presidenza francese e la parte assolutamente marginale che svolgerà Parigi durante i sei mesi di presidenza.

Nonostante il volontarismo del Presidente Macron – preannunciato nella Conferenza stampa di dicembre, reiterato nell’incontro dell’Epifania con la Commissione europea al Palazzo dell’Eliseo e certamente più marcato quando parlerà davanti al Parlamento europeo il 18 gennaio – sarà difficile immaginare che in sei mesi potranno essere raggiunti risultati concreti e definitivi”.

Eppure, ce ne sarebbero di cose da dire! Sui rischi di una nuova guerra mondiale, con le testate nucleari in casa nostra e la militarizzazione dello spazio. Sull’ unità di tutta l’Europa. Sulla regolamentazione internazionale del digitale. Sul ruolo delle grandi aree macroregionali, come quella nord-atlantica, quella latina, quelle centrale e orientale, quelle artica e balcanica…Purché si lasci parlare chi le idee le ha, e non si strozzi preliminarmente il dibattito, come accade sempre più frequentemente.

IN MEMORIA DI VALERY GISCARD D’ESTAING

De Gaulle e Giscard, amici-nemici

E’ morto, il 3 dicembre, Valéry Giscard d’Estaing, ex presidente francese ed ex presidente della Convenzione sul Futuro dell’Europa, la quale  aveva predisposto quella Costituzione Europea ch’era poi stata bocciata dagli elettori francesi e olandesi.

Il giudizio storico come presidente francese e come presidente della Convenzione non può essere che molto diverso. Infatti, certamente, come ricordato da Emmanuel Macron,  il settennato di Giscard, pur non essendo questi gollista, aveva coinciso con un periodo in cui la Francia aveva proseguito lungo la strada già tracciata dal Generale De Gaulle, soprattutto con la creazione dei pochi, anzi degli unici, “progetti europei” effettivamente realizzati.

Inoltre, Giscard d’ Estaing era stato l’unico a lanciare l’idea di una “Europe Puissance ”, diversa dall’”Europa delle Patrie”, anche se con essa strettamente imparentata.

Giustamente Macron ha affermato con chiarezza, nella propria commemorazione, che la Francia si è sempre situata, dopo di lui,  nel solco di quanto seminato da Giscard stesso. Pensiamo soprattutto al concetto di ”Autonomie Stratégique Européenne”, che Macron è riuscito ad affermare talmente, nel discorso politico europeo, da farlo  adottare dal Presidente Europeo Michel, dall’Alto rappresentante Borrell, dal Commissario Macron, dal Ministro tedesco Altmaier, da quello francese Le Maire e dalla ministra italiana Pisano. Concetto che altro non è se non la riedizione aggiornata del concetto giscardiano di “Europe Puissance”.

E, in effetti, il progetto europeo che noi stessi stiamo tentando di delineare, che comprende elementi di continuità storica, di federalismo integrale, di laicità non laicistica, di decisionismo, incorpora infiniti aspetti della  “ideologia francese” (il realismo politico, l’assertività, la fusione del civile e del militare, lo Stato culturale, la programmazione operativa, la “cospirazione nel pubblico interesse”, la Force de Frappe,  i Campioni Europei), anche se pretende di superarlo e di andare molto più in là..

Infatti, il nostro modello non può esaurirsi nello schema gollista-giscardiano, già obsoleto negli Anni ’70, ma oggi ulteriormente sminuito dalla persistenta mancata reazione europea alla caduta del Muro, alla Società della Sorveglianza, all’avanzata del Mondo Extraeuropeo…

Più che una Costituzione, ci vorrebbe una Dichiarazione d’ Indipendenza

1.Una Costituzione con i piedi di argilla

Purtroppo, il tentativo di scrivere la Costituzione Europea, anziché una risposta tempestiva a quelle nuove sfide, era stato l’ennesima dimostrazione di come le generazioni postbelliche, nonostante tutte le loro retoriche, non siano all’ altezza del compito immane, ma improrogabile, dell’Europa, di darsi il proprio specifico regime  per il XXI Secolo.

Innanzitutto, per la debolezza del loro impianto culturale, fondato su un bricolage “antologico” (l’“occasionalismo politico”) di slogans (democrazia, classicità, illuminismo, modernità), a cui non corrisponde una reale consapevolezza storico-filosofica, e, spesso, neppure un riscontro fattuale.

Basti ricordare che, come  messo in rilievo da Canfora, la citazione “in exergo” della Costituzione della frase di Tucidide che cita la democrazia è mistificante sotto moltissimi aspetti. Non soltanto perché la “democrazia” di Pericle, a cui Tucidide fa pronunziare la frase stessa, non ha praticamente nulla in comune con la nostra, ma poi anche perché Pericle stesso dice con quella frase che si tratta di un regime rifiutato da tutti gli altri Greci, e inoltre lo dice in modo ambiguo (“chiamiamo democrazia..”), lasciando intendere di non crederci neppure lui, e soprattutto che non ci credesse Tucidide.

Lo stesso equivoco per la classicità, che, come noto, non è certo fatta soltanto di statue di Fidia e di templi dorici, bensì anche dei misteri, dello spirito dionisiaco, della tragedia, del “Rex Nemorensis”…, e  per l’ Illuminismo, di cui fanno parte a tutti gli effetti la dissertazione  di Rousseau  per l’ Accademia di Digione, il “Despotisme de la Chine” di Quesnais e il “Rescrit de l’ empereur de la Chine” di Voltaire, oltre che la notissima “Dialettica dell’ Illuminismo” di Horkheimer e Adorno.

Quanto alla Modernità, la Costituzione di Giscard non teneva assolutamente conto, né della radicale critica nietzscheana, né della psicanalisi, né del pessimismo culturale, né della polemica da parte della Chiesa sull’ “Identità Cristiana”.

Nel collage della Costituzione giscardiana mancava il filo conduttore critico della Dialettica dell’ Illuminismo

2.Mancanza di un disegno istituzionale

L’Europa è certamente un campo di sperimentazione  vasto, accidentato e affascinante per il costituzionalismo del XXI Secolo. Intanto, per le sue radici poliedriche, che si risalgono fino a un federalismo tribale ancestrale che riemerge carsicamente nei secoli(ed oggi più che mai, con Brexit e Catalogna, Grecia e Turchia, Polonia e Ungheria, Russia e Ucraina, nordici e sovranisti..), che continua con una concezione pluralistica dell’ impero, e sbocca, oggi, finalmente, in una sostanziale ambiguità fra Occidente, America, Europa, Macroregioni, Stati Membri, Regioni europee..

La Costituzione approvata dalla Convenzione e bocciata nel 2005 dagli elettori non affrontava minimamente questa complessità, limitandosi a un abnorme “collage” (di 500 articoli ), di tutti gli atti normativi pregressi delle Comunità Europee (fossero essi di natura internazionale, soprannazionale, costituzionale, amministrativa o civilistica). Non si trattava certo di una “norma fondamentale”, bensì di un vero e proprio codice.

Né si poneva la questione giuridica della scelta fra una costituzione scritta e una costituzione consuetudinaria, come quelle inglese e israeliana, né quella di una necessaria rottura istituzionale (visto che aveva comunque la forma di un trattato, non già di una costituzione). Né, infine,  quella di una scelta filosofica, come quella che (anche qui, con non grande fiuto) avrebbe voluto Benedetto XVI (“autogoal”, questo, della Chiesa).

Sarebbe stata ben più efficace la Costituzione Europea scritta da Duccio Galimberti il primo giorno della Resistenza.

Infine, la Costituzione proposta non affrontava le grandi domande della costruzione europea: a chi spetta “decidere sullo Stato di Eccezione”(vedi Covid)? chi comanderà l’esercito europeo? come si garantisce la coerenza  fra le politiche economiche (vedi Recovery Fund, MES, SURE…)?…

La Costituzione del 2005 è uno dei molti esempi di ciò che l’ Europa non deve più ripetere, come farsi travolgere da questioni teologiche (come il Dictatus Papae, lo Scisma d’ Oriente, le Crociate e le Guerre di Religione), l’affermazione di una “Grande Nation” conquistatrice (Napoleone, Hitler), l’egemonia di una parte d’ Europa (l’”Arroganza Romano-Germanica” di Trubeckoj), sulle altre parti del Continente (Orientale, Mediterranea).

L’azione per di De Gaulle e di Giscard per l’indipendenza dell’ Europa era stata comunque fin troppo debole, tant’è vero che Friedman aveva scritto sull’ International Herald Tribune che non intaccavano gl’interessi strategici americani. Quella di Macron e di alcuni vertici dell’ Unione che lo seguono, come Michel, Borrell e Breton, rischia di esserlo altrettanto. .Oggi vediamo infatti che, dopo tante declamazioni sull’ “autonomia strategica dell’ Europa”,alcuni, come il leader PPE Manfred Weber, parlano già di “un’alleanza fra America ed Europa contro la Cina” proprio quando quest’ultima è divenuta il pr solo grazie al mercato cinese.

Nello stesso modo, Gaia-X, partita con l’idea di contrastare il Cloud-Act, viene di fatto in gran parte monopolizzata dai GAFAM.Come scrive  Clothilde Goujard su Wired, “La battaglia pià dura potrebbe essere quella all’ interno della Commissione,” dice Johan Bjerkem, analista dello European Policy Centre di Bruxelles. “La delega al digitale del francese Breton si sovrappone con quella del vice-presidente operativo, responsabile spremo per l’ antitrust, Margrethe Vestager, con più potere di Breton ed uno stile diverso-“…

I tentativi di ricostruire l’Europa sulla base dell’ attuale Unione si sono rivelati meno concreti di quelli dei profeti degli anni ’30 e ’40

3. Non ripetere gli stessi errori della Convenzione

La Conferenza, che Ursula von der Leyen aveva inserito nel suo programma nel 2018, e che avrebbe dovuto cominciare a Dubrovnik nel 2019, non s’è fatta neppure nel 2020, e non sembra che nessuno abbia alcuna fretta di farla.

In realtà, la neo-battezzata Unione Europea ha subito, dopo la bocciatura, nel 2005, della proposta di Costituzione, altre gravi sconfitte, come il fallimento dell’ allargamento alle Repubbliche ex sovietiche, la repressione in Catalogna, il superamento tecnologico ed economico da parte della Cina, la spartizione del Mediterraneo fra la Russia e le potenze islamiche, i dazi americani, la crisi Covid, l’ingestibilità del GDPR, la “Hard Brexit” e la ribellione dei Paesi di Visegràd.

Di fronte a questi fallimenti, nessuno ha fatto la necessaria autocritica, ed, invece, si continua a mantenere un tono trionfalistico senz’alcun riscontro nei fatti. “70 anni di pace”, “il livello di vita europeo”, l’”economia sociale di mercato”, “lo Stato di Diritto” sono formule vuote, a cui non corrisponde talvolta, nella UE, perfino nessuna concreta realtà.

Di fronte alle infinite guerre in cui siamo coinvolti (spesso nostro malgrado), all’invito sempre più pressante a predisporci a una guerra un po’ contro tutti a difesa dell’ “Occidente”, alla continua discesa del nostro PIL rispetto alla media mondiale, al capitalismo della sorveglianza, alle enormità costituite da Assange, dai “non cittadini” dei Paesi Baltici, dal Governo catalano in prigione, risulta impressionante come i vertici europei abbiano il coraggio di fare continuamente prediche a tutti gli altri Paesi del mondo senza curarsi di rimediare alle proprie pecche: “non guardare la pagliuzza nell’ occhio del vicino anziché la trave che c’è nel tuo!”

La Conferenza sul Futuro dell’ Europa dovrà scrivere una forma di Patto Costituzionale (non necessariamente una Costituzione, meglio una Dichiarazione d’Indipendenza), che affronti con occhio nuovo tutti questi temi, andando alla radice degli stessi, che sta nel carattere apocalittico della società postmoderna, che non può essere governata con i principi dell’era moderna, cioè industriale, bensì solo in un’ottica “catecontica”, come scriveva il compianto Pietro Barcellona.


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L’AUTONOMIA STRATEGICA DELL’EUROPA CONTRO LA TERZA GUERRA MONDIALE : PARTE I. CONFERMATA LA VALIDITA’ DELLE TESI DI DIALEXIS

Sulla divisa dei marins è stata cucita questa significativa immagine

Il viaggio in Europa del Segretario di Stato Pompeo e il rinnovo dell’accordo Cina-Vaticano hanno aggiunto ulteriore urgenza al dibattito sull’ “Autonomia strategica dell’ Europa”, avviato dal discorso a Giugno dinanzi il Parlamento Europeo dal Commissario Breton, e proseguito con il discorso di Settembre di Charles Michel.

Infine, il Presidente Macron ha voluto coronare questo dibattito con una lunga ed articolatissima intervista a LegrandContinent, un’intervista su cui e si può dissentire sotto molti aspetti (come da qualunque discorso politico), ma che costituisce il modello di ciò che tutti gli uomini politici europei dovrebbero fare: venire allo scoperto su btutti i grandi temi del futuro bedel nostro Continente.

Il Presidente Macron alla festa nazionale

1. L’intervista

Intanto, il Presidente francese, benché ovviamente non possa fare a meno di occuparsi di quella pletora di temi che, secondo le retoriche dell’ Europa sarebbero tutti prioritari, si concentra innanzitutto, giustamente, sulle tecnologie:« De manière concrète, cela veut dire que, quand on parle de technologies, l’Europe a besoin de bâtir ses propres solutions pour ne pas dépendre d’une technologie américano-chinoise. « 

Macron ha ben chiara la posta in gioco, quella del controllo sui nostri dati :“Si nous en sommes dépendants, par exemple dans les télécommunications, nous ne pouvons pas garantir aux citoyens européens le secret des informations et la sécurité de leurs données privées, parce que nous ne possédons pas cette technologie. « 

Vi è anche subito un riferimento implicito a Gaia-X, (in verità l’unica cosa concreta che si stia facendo, e su cui torneremo presto :“En tant que puissance politique, l’Europe doit pouvoir fournir des solutions en termes de cloud, sinon, vos données seront stockées dans un espace qui ne relève pas de son droit – ce qui est la situation actuelle. Donc, quand on parle de sujets aussi concrets que cela, on parle en fait de politique et du droit des citoyens. »

Macron è anche l’unico a prendere realisticamente atto che la politica europea ha lasciato incancrenire una situazione insostenibile, di violazione della libertà degli Europei:«  Si l’Europe est un espace politique, alors nous devons la bâtir pour que nos citoyens aient des droits que nous puissions politiquement garantir. 

Soyons clairs : nous avons laissé se créer des situations où ce n’est plus tout à fait le cas. Aujourd’hui, nous sommes en train de reconstruire une autonomie technologique par exemple pour la téléphonie, mais ce n’est pas le cas pour le stockage des données sur le cloud. Nos informations sont sur un cloud qui n’est pas régulé par le droit européen, et dans le cas d’un sujet litigieux, nous dépendons du bon vouloir et du fonctionnement du droit américain. Politiquement, c’est insoutenable pour des dirigeants élus, car cela veut dire que quelque chose que vous êtes, en tant que citoyen, en droit de me demander – la protection de vos données, une garantie ou une régulation sur cela, en tout cas un débat éclairé et transparent des citoyens sur ce sujet –, nous n’avons pas construit les moyens de le faire. « 

Dopo aver affrontato, e giustamente, come primo il tema, oggi caldissimo, del cloud, passa all’ altro tema scottante: la pretesa dell’ America di sanzionare gli Europei che non rispettano le leggi americane sull’Iran:”Il en va de même au sujet de l’extraterritorialité du dollar, qui est un fait et qui ne date pas d’hier. Il y a moins de dix ans, plusieurs entreprises françaises ont été pénalisées de plusieurs milliards d’euros parce qu’elles avaient opéré dans des pays qui faisaient l’objet d’une interdiction au regard du droit américain. Cela veut dire concrètement que nos entreprises peuvent être condamnées par des puissances étrangères quand elles ont une activité dans un pays tiers : c’est une privation de souveraineté, de la possibilité de décider pour nous-mêmes, c’est un affaiblissement immense. « 

Quindi, la logica conclusione è una vera e propria rivoluzione, che porti a cancellare tutto il sistema culturale, politico, ideologico, giuridico, militare che ha permesso, e, anzi, creato, questa subordinazione, per crearne un altro, radicalmente diverso e più favorevole all’ Europa : »Cela suppose de revisiter des politiques auxquelles nous nous étions habitués, technologiques, financières et monétaires, politiques, avec lesquelles nous bâtissons en Europe des solutions pour nous, pour nos entreprises, nos concitoyens, qui nous permettent de coopérer avec d’autres, avec ceux qu’on choisit, mais pas de dépendre d’autres, ce qui est aujourd’hui encore trop souvent le cas. « 

L’autonomia europea è innanzitutto differenza dagli Stati Uniti:”Néanmoins, je suis sûr d’une chose : nous ne sommes pas les États-Unis d’Amérique. Ce sont nos alliés historiques, nous chérissons comme eux la liberté, les droits de l’homme, nous avons des attachements profonds, mais nous avons par exemple une préférence pour l’égalité qu’il n’y a pas aux États-Unis Amérique. Nos valeurs ne sont pas tout à fait les mêmes. Nous avons en effet un attachement à la démocratie sociale, à plus d’égalité, nos réactions ne sont pas les mêmes. Je crois également que la culture est plus importante chez nous, beaucoup plus. Enfin, nous nous projetons dans un autre imaginaire, qui est connecté à l’Afrique, au Proche et au Moyen-Orient, et nous avons une autre géographie, qui peut désaligner nos intérêts. Ce qui est notre politique de voisinage avec l’Afrique, avec le Proche et Moyen-Orient, avec la Russie, n’est pas une politique de voisinage pour les États-Unis d’Amérique. Il n’est donc pas tenable que notre politique internationale en soit dépendante ou à la remorque de celle-ci ».

Anche qui, Macron, pur peccando del solito  francocentrismo, di conformismo e di semplicismo, tocca in qualche modo i punti essenziali del nostro Continente : l’Europa sociale, la centralità della cultura, la vicinanza con Africa, Medio Oriente e Russia.A causa di questa diversità, Macron affronta anche, in modo quasi brutale,  la questione del dopo-elezioni americane, dichiarando tutto il suo disaccordo dal ministro degli esteri tedesco:« est-ce que le changement d’administration américaine va créer un relâchement chez les Européens ? Je suis en désaccord profond par exemple avec la tribune parue dans Politico signée par la ministre de la Défense allemande. Je pense que c’est un contresens de l’histoire. Heureusement, la chancelière n’est pas sur cette ligne si j’ai bien compris les choses. »

In effetti, l’affermazione della ministra tedesca Karrenbauer era che l’ Europa non è pronta per un’autonomia dagli Usa. Ma qui si tratta di scoprire l’acqua calda. L’organizzazione degli eserciti europei è fatta per essere delle truppe ausiliarie degli Stati Uniti, con una pletora di alti comandi e una pletora di corpi obsoleti, ma corpi obsoleti, ma senza gli elementi di punta che caratterizzano gli eserciti delle Grandi Potenze: cultura militare, intelligence, cyberguerra, guerra asimmetrica secondo gli insegnamenti di Quiao Liang e Wang Xiangsui. Un vero Esercito Europeo dovrebbe essere qualcosa di molto diverso dalla somma degli eserciti attuali, e, soprattutto, dovrebbe avere un’altra cultura.

Qui viene giustamente fuori uno dei concetti centrali del “macronismo”, quello del “rispetto” (una reminescenza della lettura hegeliana della dialettica aristotelica ”servo-padrone”. In realtà, il « rispetto » è il « riconoscimento » hegeliano, il considerarti da pari a pari, con cui si esce, dopo una lotta, dalla condizione di “servo”. Orbene, Macron sostiene, in sostanza (come Putin) che gli Europei sono dei servi, e che debbono riconquistarsi il “rispetto” degli Americani (così come il Gen. de Gaulle aveva ottenuto il loro rispetto costruendo, appunto, la Force de Frappe che ora Macron offre agli Europei): “Mais les États-Unis ne nous respecteront en tant qu’alliés que si nous sommes sérieux avec nous-mêmes, et si nous sommes souverains avec notre propre défense. Je pense donc qu’au contraire, le changement d’administration américaine est une opportunité de continuer de manière totalement pacifiée, tranquille, ce que des alliés entre eux doivent comprendre : nous avons besoin de continuer à bâtir notre autonomie pour nous-mêmes, comme les États-Unis le font pour eux, comme la Chine le fait pour elle. »

Dunque, il modello da imitare, per ottenere il “rispetto” sono l’ America e la Cina, come sostenevamo in “Da Qin”. Occorre però dire che, per giungere al punto in cui sono, gli Stati Uniti hanno fatto la Tratta Atlantica, la Guerra d’Indipendenza, il Trail of Tears, quelle contro Messico e Spagna e la Guerra Civile, mentre la Cina ha avuto l’imperatore Qin Shi Huang Di, l’occupazione giapponese e Mao. Visto che ci dev’essere pure un momento di distacco, anche se non cruento, Macron viene implicitamente alla nostra tesi espressa inm tesi  di “Da Qin”: l’evento “liberatore” potrebbe essere la Nuova Via della Seta, la quale aprirà gli spazi per affermare una cultura europea più orientale che occidentale. Attraverso lo sviluppo dell’economia e degli scambi tecnologici e culturali con l’ Asia, l’Europa  potrebbe riqualificare la propria società estenuata dalla dipendenza e dalla decadenza, portandola a costruire la propria industria digitale e una propria unitaria cultura europea, sul modello del “ringiovanimento della Cina”oggi in corso:“Là où vous avez raison, c’est que le mérite des Nouvelles Routes de la soie est d’être un concept géopolitique très puissant. C’est un fait. Et il témoigne d’ailleurs de la vitalité d’une nation et de sa force d’âme. « 

Infine, Macron parla di un combattimento per le libertà  » combat de notre génération en Europe, ce sera un combat pour nos libertés. Parce qu’elles sont en train de basculer”, dove per altro cade nella solita autoreferenzialità franco-francese. A mio avviso, infatti,  veri pericoli per la libertà non vengono dal fanatismo religioso “tradizionale”, bensì dalla Religione di Internet, da cui discende il culto dell’ omologazione, nelle sue diverse forme, quelle del potere abnorme delle piattaforme, fino all’eccessivo egualitarismo e al pensiero unico. Anche i pretesi mali del sovranismo, del neo-liberismo  e del fondamentalismo sono, in ultima analisi, la conseguenza ultima dell’onnipotenza del Complesso Informatico Militare, che, da un lato, comprime le vere autonomie -culturali, economiche e militari-  e, dall’ altro, stronca sul nascere gli identitarismi autentici, inventando una serie di utili burattini: a seconda dei Paesi,  gli “start-uppers”, i demagoghi o i fanatici  sanguinari e impotenti.

Di fronte al naturale svuotarsi del liberalismo nella società della sorveglianza, le società occidentali non sono più in grado di risolvere i problemi dei cittadini:”C’est que les démocraties occidentales, depuis plusieurs décennies, donnent le sentiment à leurs peuples de ne plus savoir régler leurs problèmes, parce qu’elles sont empêtrées dans leurs lois, leurs complexités – je le vis au quotidien pour ce qui me concerne –, leur inefficacité, et en deviennent des systèmes qui expliquent aux gens comment devraient se passer des choses qu’ils nous demandent. Et ils disent : « Ils ne savent pas nous régler le système du progrès, le problème de la sécurité, et autres ». Il faut retrouver de l’efficacité, par nos mécanismes de coopération, mais en bousculant aussi nos structures pour trouver des effets utiles. C’est cela la crise des démocraties : c’est une crise d’échelle et d’efficacité.” 

Macron non condivide il “China Bashing” degli Americani

2.Cosa pensano i « think tanks” europei?

I think tanks si sono scatenati su questo tema. E’ stato pubblicato, intanto, un  fondamentale documento, che costituisce un importante passo in avanti, almeno sul piano culturale, nel passaggio dal vecchio progetto dell’“Unione Europea quale Fine della Storia”, a  quello, ben più realistico, di “trendsetter del dibattito globale”: lo studio del Servizio di Ricerca del Parlamento Europeo “On the path to ‘strategic autonomy’”,  il quale ci costringe a ritornare sulla questione del “Multilateralismo multiculturale”, sfiorato dalle recenti esternazioni dell’Alto Rappresentante  Borrell.

Inoltre, le manovre “Agile Reaper” svoltesi in California con un nuovo simbolo, quello di una Cina “rossa” sorvolata dal drone americano cavalcato dalla Morte con tanto di falce (cfr. immagini in exergo), ha confermato le più pessimistiche previsioni circa la  volontà americana di usare la forza pur di  contrastare la “Belt and Road Initiative”

Infine, l’insufficienza delle azioni intraprese in tanti decenni dall’ Unione, tanto nella direzione dell’autonomia digitale, quanto in quella di una linea comune di politica estera e di difesa, hanno evidenziatoa tutti l’urgenza di un’azione propositiva della società civile, che dovrà trovare espressione nella Conferenza sul Futuro dell’ Europa, e di cui noi ci stiamo facendo alfieri.

Il fatto più schiacciante a questo riguardo è stato costituito dalla relazione dell’ EDPS, l’Autorità europea per la protezione dei dati, la quale ha rivelato un fatto addirittura sconvolgente: Esiste da decenni un accordo generale fra Microsoft e tutte le Istituzioni Europee, in forza del quale tutte le attività digitali delle Istituzioni sono gestite in outsourcing da Microsoft. Come possono le Istituzioni pretendere di essere serie nella loro lotta per l’autonomia digitale, se tutte le loro attività sono controllate passo passo dai GAFAM, e, in conformità al CLOUD Act, dall’ intelligence americana?

Dopo tutto ciò che si è detto, le ipotesi di un riorientamento radicale delle politiche europee nella direzione di una politica proattiva e  di un coordinamento “hands on” dello sviluppo del digitale europeo, per quanto gestite in modo timoroso ed esoterico, appaiono oggi forse un po’ meno irrealistiche che qualche anno fa, soprattutto dopo la sentenza Schrems II e il lancio di Gaia-X

Come dirgere l’ONU in modo pluricentrico da un grattacielo nel cuore di Manhattan?

3.Ridefinire la  “comunità mondiale”.

Non vi è questione più squisitamente geopolitica  di quella della struttura interna della futura comunità mondiale, tema a cui nessuno aveva mai voluto prestare soverchia attenzione, ma che ha, invece, oggi, un impatto, anche pratico, decisivo  per il futuro del mondo.

Intanto, la tendenza a creare una qualche forma di organizzazione universale  è stata sempre un’esigenza costante dell’Umanità, anche in epoche in cui essa era tecnicamente impossibile. Basti pensare alle lettere di Tell el-Amarna, in cui il Faraone descriveva come suoi “parenti” i vari re cananei e ittiti, oppure al concetto cinese di Tian Xia (“Tutto sotto il Cielo”).  Quest’aspirazioneera una delle idee centrali di quell’ epoca di consolidamento delle grandi civiltà, che Jaspers aveva chiamato “Epoca Assiale”, e a cui tornano a rivolgersi gli studiosi (Assmann, Mancuso).

L’espressa pretesa della sovranità universale da parte di un unico imperatore  (un “impero mondiale asimmetrico”) aveva trovato una sua una prima compiuta espressione nel “Sogno di Serse” narrato da Erodoto, nella teologia politica buddista di Ashoka (il “Cakravartin”=”colui che fa girare il mondo”) e nei carmi di Orazio (“tu regere imperio populos, Romane, memento”). Tutti questi progetti politici tentavano una sintesi fra l’aspirazione umanitaria alla pace e quella geopolitica al dominio universale: un’ambigua tentazione che ancora non è finita, ma, anzi, ha trovato oggi il suo sbocco finale nella tesi estrema della “singolarità tecnologica”,  un mito che tenta di risolvere tutte le contraddizioni dell’ Essere in un’apoteosi unificatrice sotto l’egida della tecnologia.

Questo mito sarà il punto di convergenza occulto dell’ideologia novecentesca dell’”universalismo liberale” che, sulla scia di  Fiske, di Kelsen, di Rostow e di Wilkie, si è illuso di poter realizzare la Fine della Storia attraverso la vittoria, per dirla con Nietzsche,  di un unico “tipo di uomo”: “l’Ultimo Uomo”(cfr. il primo Fukuyama). Quest’ idea che la complessità del presente richieda un governo mondiale unitario sotto l’egida della “Ragione” è il sottotesto della maggior parte dei discorsi geopolitici attuali ed una delle prime ragioni della forza del post-umanismo.

Alla visione assolutistica dei tre grandi imperi citati, Sant’Agostino avevaopposto l’idea di un’unica Città dell’ Uomo, destinata, sì,  alla “dilatatio” grazie all’ Impero Romano, ma distinta dalla Città di Dio, e quindi sempre imperfetta, ed Eraclio e Cosroe avevano firmato un trattato di pace perpetua che avrebbero voluto proporre a Unni, Indiani e Cinesi. Da parte sua, il Corano parlava di un “piccolo Jihad” necessario per contrastare  gl’infedeli, creando un’ampia comunità dei Popoli del Libro; e Dante propugnava a sua volta  la non molto diversa “Monarchia Universale”, con una visione che oggi chiameremmo di “soft power”, simile a quella sinica del “Wu Wei”(“agire senza agire”).

Con il suo “De Regia Potestate”, il vescovo del Chiapas, bartolomé de las Casas, aveva teorizzato, all’ inizio del ‘500, l’applicazione concreta delle teorie dantesche all’ impero intercontinentale di Carlo V, mentre il predicatore Vieira faceva coincidere l’impero coloniale iberico con il Quinto Impero della profezia di Daniele. Postel e Crucé inserirono poi, fra i membri attivi di un’organizzazione mondiale “multilaterale” quale quella proposta dai sovrani protestanti, anche gl’imperi extraeuropei; Saint Pierre darà infine, al progetto, quella veste giuridica “simmetrica”(anche se eurocentrica), che sarà ripresa e commentata dagl’illuministi e considerata la radice storica dell’Unione Europea.

Con il deliberato passaggio, teorizzato da Lessing e dai primi idealisti, dal messianesimo cristiano a quello progressista, anche quello dell’ impero universale si trasforma in un progetto di pace perpetua, avente quale obiettivo che “l’uomo si salvi da sé, attraverso una nuova scienza”. questo “arrière-pensee” che ancor oggi è alla base del “Pensiero Unico”

Con la Rivoluzione Francese, la futura organizzazione mondiale assume un aspetto sempre più eurocentrico, sì che Condorcet e Fichte teorizzano la colonizzazione del mondo da parte degli Europei modernizzatori, e Thierry l’annessione del mondo intero all’impero francese. Per parte loro, caduta la Repubblica francese, Washington, Emerson, Whitman, Mazzini, Kipling e Mead preconizzano l’egemonia americana sul mondo, e Fiske,Mead e Wilkie tentano di abbozzare i contorni concreti di quest’ egemonia, che incomincia a cristallizzarsi nel discorso politico con i Quattordici Punti di Wilson e con i Lend-Lease Agreements della 1a Guerra Mondiale.

La dipendenza europea dall’ America, giustamente attaccata da Macron (anche se mascherata), comincia allora, con lo spostamento del centro finanziario da Londra a New York, con l’invasione del cinema americano e con l’”Intellectual leadership” delle multinazionali americane sul mondo imprenditoriale europeo, come Trockij scriveva già durante la 1° Guerra Mondiale.

Contemporaneamente, Trockij stesso (arrivato in Russia grazie agli Americani, a cui concesse lo sfruttamento dei pozzi di petrolio dell’ Azerbaidjan) teorizzava la rivoluzione socialista mondiale, e  veniva fondata l’Internazionale Comunista (Komintern). Come risposta, gli Stati fascisti lanciavano il “Patto Anti-Komintern” ( l’”Asse Roma-Berlino-Tokyo”), e il Terzo Reich invadeva l’Unione Sovietica, per creare un Nuovo Ordine mondiale, che assomigliava tanto, non solo all’internazionalismo comunista, ma anche allo “One World” di Wilkie.

Infine, Coudenhove Kalergi, nel lanciare la sua ”Paneuropa”, disegna una mappa del mondo diviso in grandi federazioni: è  l’inizio del federalismo mondiale, che l’ Unione Europea tenterà, anche se fievolmente, di proporre quale propria ideologia (pur senza citarne l’ideatore).Una cosa molto diversa dal “Mondo Unico” di Wilkie, dominato dall’ America: una contrapposizione che incomincia ad  adombrare quella fra l’Unilateralismo Americano, il Multilateralismo europeo e il Multipolarismo russo.

Le Nazioni Unite costituiscono il progetto egemonico di organizzazione mondiale basata sulla vittoria alleata della IIa Guerra Mondiale e ull’ egemonia americana, che si riallaccia però anche al progetto di Kalergi, con i Paesi vincitori quali membri permanenti del Consiglio di Sicurezza e gli altri con eguale diritto di voto nell’ Assemblea Generale. I 5 membri permanenti (Stati Uniti, Inghilterra, Francia, URSS e Cina) ricalcano le cinque federazioni ipotizzate da Coudenhove Kalergi, sotto la forma di cinque imperi continentali “asimmetrici” (America, Commonwealth, COMECON, Unione Europea, Asia Orientale), egemonizzati ciascuno da uno degli Stati vincitori, come del resto volevano, tanto Churchill, quanto De Gaulle e Stalin. La sede dell’organizzazione è però significativamente a New York.

Già allora erano state formulate, da tutti i continenti (a cominciare dall’intelligencija dell’antropologia americana, dal cattolicesimo europeo, per esempio Gonella e Przywara, e dai rappresentanti del Paesi non occidentali) critiche contro l’egemonia culturale dell’internazionalismo liberale, espresso dai documenti costitutivi delle Nazioni Unite. Il farsi ora difensori dell’applicazione nuda e cruda di principi giuridici americani in tutto il mondo, quando si sa bene che, fin dall’ inizio, tutti i continenti avevano protestato contro questo appiattimento, facendo valere le proprie specificità, è un ennesimo atto colonialistico contro il mondo intero da parte di una minoranza settaria.

La Colonna di Ashoka, simbolo dell’ Unione Indiana

4.Dalle Nazioni Unite alla “Comunità Internazionale”

Con il passare del tempo, però, il progetto originario delle Nazioni Unite  si era modificato nello scontro con la realtà, poiché, a causa della guerra fredda, si erano concretizzati due soli grandi blocchi egemonici: quello americano e quello sovietico, “legittimati” ambedue dal possesso dell’arma atomica e dall’occupazione militare, e conniventi fra di loro perché  accomunati dal modernismo delle rispettive ideologie. Nel 1972, l’incontro fra i presidenti americano (Nixon) e cinese (Mao) avrebbe però sancito il riconoscimento di un terzo blocco, quello cinese, forte di un numero di abitanti pari all’insieme di quelli degli altri due, del possesso della bomba atomica e della leadership sui Paesi in via di sviluppo. Nel 1991, con la dissoluzione dell’Unione Sovietica, gli Stati Uniti pretenderanno che, essendo essi divenuti la “Sola Superpotenza”, fossimo giunti oramai alla Fine della Storia di hegeliana memoria, con la prevalenza eterna del modello americano di civiltà, identificato con la vittoria della Spirito Assoluto germanico e protestante, in cui “tutti sono liberi” (il primo Fukuyama).

Questo nonostante che l’America si fosse sforzata, con infiniti stratagemmi, di nascondere il carattere imperiale del suo potere (cfr. Immerwahr).

Le guerre combattute in quel periodo, quelle del Golfo e della ex Jugoslavia, avevano però fatto nascere, almeno sul piano concettuale, un nuovo, inedito dualismo implicito fra l’Unione Europea, nata “per la pace” (“da Venere”),  e gli Stati Uniti, che “vengono da Marte”(Kagan),e, quindi, sarebbero stati fuori posto nel mondo nuovo della Pace Perpetua. L’Unione Europea si proponeva quindi, nel 2003, con Chirac, Villepin e Schroeder, insieme alla Russia,  quale alternativa pacifica agli Stati Uniti, ma sempre nell’ambito dello “sviluppismo” democratico, o meglio tecnocratico, di Rostow e di Rifkin. Giustamente gli Americani avevano obiettato che la Pace Perpetua vagheggiata dagli Europei non sarebbe mai stata conseguibile senza le guerre americane. Nel contempo, la Cina veniva in un certo senso cooptata dagli Stati Uniti come “fabbrica del mondo”, in cui delocalizzare a basso costo il grosso della produzione industriale, ma con l’”arrière-pensée” che, una volta sviluppatasi economicamente, essa si sarebbe integrata nel sistema culturale ed economico occidentale (la “Fusion” ideata a suo tempo dai Taiping). Brzezinski teorizzava infatti che “L’America si ritirerà dal mondo quando tutti saranno diventati come noi”. Questo in base alla fede fanatica degli Americani nel determinismo storico di Rostow, del primo Kojève e del primo Fukuyama, secondo i quali, con l’industrializzazione, la maggioranza della popolazione, divenuta “classe media”, cesserebbe di avere grandi ambizioni e accetta un ruolo passivo nell’”Impero nascosto” come il più consono alla sua esistenza grigia e senza scossoni.

Tuttavia, non tutti condividevano già allora questa visione occidentalistica della Fine della Storia. Intanto, Kojève, in visita al Giappone, era stato fulminato sulla Via di Damasco, riconoscendo che i Giapponesi erano sfuggiti al determinismo storico, e, anziché divenire “ultimi uomini”, erano rimasti addirittura un “popolo pre-assiale”. Il teologo cattolico-buddista Panikkar predicava il “disarmo culturale” fra le civiltà, che anticipava alcuni aspetti dell’attuale enciclica “Fratelli Tutti”. Nel contempo, i diversi potentati islamici rilanciavano l’idea del Califfato quale modello archetipico dell’ organizzazione mondiale, che legittimerebbe l’Islam ad essere leader dell’organizzazione  stessa in luogo degli Stati Uniti, e scatenavano tentativi di unificazione islamica e di ribellione al primato americano, che sfociavano nel khomeinismo, in al-Qaida, nell’ ISIS e nel neo-ottomanismo.  Come reazione, gli USA avevano lanciato il vero e proprio “Scontro di Civiltà”(Huntington), creando le cosiddette “coalitions of the willing”, per combattere, prima, i Taliban, poi, l’Iraq, e, infine,al-Qaeda e  DAESH, senza subire l’intralcio delle Nazioni Unite (e uscendo così per primi dall’ “ordine mondiale della IIa Guerra Mondiale”, ch’essi pretenderebbero d’imporre agli altri quale modello invalicabile : la “linea rossa”).

La Russia sostenne in un primo tempo la guerra americana contro i Taliban, anche perché vi vedeva un parallelismo con la guerra cecena, ma, divenendo essa stessa una vittima  della convergenza di fatto fra islamismo e Stati Uniti, si propose poi, attraverso i  discorsi di Putin al Parlamento Tedesco e alla BDI , quale fautrice  di una diversa organizzazione internazionale, pluricentrica e multiculturale, con un ruolo centrale di un’ Europa comprendente la Russia, che trovò poi una prima  pratica attuazione nella difesa militare dell’integrità statale siriana minacciata da un attacco convergente islamico e americano.

Nello stesso tempo, la Cina, grazie anche alle delocalizzazioni americane, era divenuta capace anche di produzioni di buona qualità, suscitando timori in America per una possibile temibile concorrente. Come scrive su Limes Carlo Pelanda, “nel 2024 la Cina avrebbe raggiunto una ricchezza tale da finanziare un apparato militare capace di sfidare la presenza americana nel Pacifico”. Da qui gli sforzi ininterrotti per boicottare qualunque iniziativa commerciale della Cina (di cui si fanno portatori, prima Soros, poi Bannon, poi ancora Pompeo, oggi perfino Manfred Weber), in stridente contrasto con la retorica ufficiale americana, da sempre basata sull’espansione del commercio internazionale. L’ America sta facendo in sostanza con la Cina qualcosa di speculare  a ciò che l’ Inghilterra aveva fatto con essa secondo Friedrich List, vale a dire “togliere la scala con cui essa era salita così in alto”.

Impaurita da quella prospettiva, l’America tentava dunque  la manovra del “Pivot to Asia”, per isolare la Russia la Cina con il TTIP e il TIP e favorendo la creazione di una serie d’infrastrutture attraverso l’Eurasia, fra l’Italia e l’Afganistan, che Hillary Clinton aveva chiamato “Nuova Via della Seta” (TAP, concessioni petrolifere, ferrovia fra Turchia e Asia Centrale), per rendersi indipendente dal passaggio attraverso la Russia, rivelatosi necessario per la guerra contro i Taliban.

Con le convulsioni dell’Ucraina (citata espressamente molti anni prima dal “sarmatista” Brzezinski quale possibile strumento americano per spaccare il blocco eurasiatico) , l’annessione della Crimea e la guerra nel Donbass, inizia la serie di sanzioni e contro-sanzioni fra Stati Uniti, Unione Europea e Russia, mentre  quest’ultima si presenta sempre più come un’alternativa europea, anche ideologica e religiosa, alla destabilizzazione modernizzatrice dell’ Occidente (il “Katechon settentrionale” di Dugin), secondo la tradizione ch’era stata di Tjutcev, Danilevski, Karamzin, Kirejevskij, Leontjev, Soloviev, Dostojevskij, Berdjajev, Trubeckoj, Gumilev e Sol’zhenitsin. Queste tensioni trovano potenti seguaci, in Russia, nelle forti opposizioni di destra (Zhirinovskij) e di sinistra (Ziuganov) in Parlamento, opposizioni  che invece l’ Occidente ha incredibilmente ignorato, privilegiando personaggi senza seguito elettorale, ma allineati con il “mainstream” occidentale, come Nemtsov e Navalnij.

Il RCEP, mercato comune dell’ Asia Orientale, raggruppa più din 1/3 del PIL e della popolazione mondiali.

5.L’ “alleanza delle democrazie”

Contemporaneamente, la Cina riprende e rilancia, con la sua Belt and Road Initiative, i progetti infrastrutturali avviati, ma non compiuti, degli USA, suscitando così la reazione indispettita di Trump, che si propone agli Americani come il Presidente che blocca, in tutti i campi, l’avanzata della Cina, con un intento dichiarato : ridurre l’influenza nel mondo del Partito Comunista Cinese, fino a provocare a Pechino un “regime change”, come affermato da Pompeo a Roma. Le esperienze della Russia (Zhirinovskij, Ziuganov, Dugin) e della Libia, dimostrano però che un “regime change”, quand’anche sia possibile, non è necessariamente favorevole agli Stati Uniti.

E comunque, nonostante l’insistenza di alcuni atlantisti fondamentalisti, nessuno crede più seriamente che il mondo non possa vivere senza la “benigna” leadership americana. Soprattutto il tentato colpo di stato militare in Turchia (contro un Governo ultralegittimato dalle urne), aiutato in sordina dagli USA ospitando in USA il predicatore islamico Gülen, ispiratore ideologico del golpe,e  rifornendo, dalla base di Incirlik, i militari golpisti, ha creato una situazione di tensione fra gli USA e la Turchia, la quale è stata così incoraggiata nelle sue tendenze nazionalistiche, rendendola di fatto “strategicamente autonoma” dagli USA,  e spingendola così lungo l’ itinerario già percorso da Russia e Cina.

Non per nulla, i sostenitori fanatici del dominio del globo da parte delle “democrazie” (l’“imperialismo democratico”), come Carlo Pelanda, sostengono che “le democrazie devono formare un mercato integrato molto più grande di quello cinese”, ma quest’obiettivo è irrealistico, perché la Cina da sola è più grande dell’ Occidente nel suo complesso, e anche sommando Occidente e India, non si raggiungerebbe una massa di manovra pari a quella, in piena ascesa, costituita da Cina, Russia, Corea, Giappone, Australia, Nuova Zelanda, Vietnam, Pakistan, Iran, Corea del Nord, Birmania…Non per nulla, dopo la firma del Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP), i sostenitori di questa linea si sono assottigliati.

Con Trump, ci siamo trovati  di fronte a un’Amministrazione americana tutta concentrata su una lotta al coltello con Cina e Russia, per togliere loro ogni possibilità di collaborare con le altre parti del mondo, ma anche   a una molto accresciuta capacità di questi Paesi di resistere a tali pressioni grazie alla loro crescita tecnologica senza precedenti, ai cordiali rapporti reciproci (l’Organizzazione di Shanghai) e a quelli (strettissimi , nonostante le continue pressioni americane) con tutti gli altri (e in primo luogo, l’ Europa). Al punto che Giappone, Vietnam, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda hanno fatto, con la Cina, ciò che non erano riusciti a fare con gli Stati Uniti. Giunge così un momento in cui l’Occidente è talmente più debole sul piano commerciale, da non poter più realisticamente imporre alcuna sanzione, e da doverle, anzi, subire.

Ovviamente, la situazione peggiora di giorno in giorno per  un Occidente tutto intento ad affrontare il lockdown e lo stallo post-elettorale americano, mentre  in Cina l’economia è già ripartita da molti mesi, il che ha permesso al Paese di lanciare addirittura uno straordinario  “piano quindicinale” (ciò di cui l’Europa avrebbe, hic et nunc, urgente bisogno, mentrte invece non sta riuscendo nemmeno ad approvare, come richiesto, il consueto Quadro Pluriennale e il Next Generation Fund).

Si fronteggiano pertanto due nuove “grandi narrazioni” (la ”battle of narratives”di Borrell, che però dovrebbe riguardare USA e Cina, non già l’ Europa):

-da un lato quella della “globalizzazione quale fine della Storia”, ereditata dal secolo scorso e fatta propria soprattutto dai GAFAM americani, che interpretano  tale fine come la fine dell’ uomo e l’ inizio della Società delle Macchine Intelligenti; ad essa si riallaccia la mitizzazione del Sessantottismo quale ideale normativo utopico valido ancor ora sotto forma di “Ideologia Californiana” (vedi per esempio le polemiche intorno alla canzone “Imagine” di Lennon);

-dall’ altra, il progetto di un “Multipolarismo veramente Multiculturale”, con l’affermazione, sulla scena mondiale, di più Stati-Civiltà (Nord America, Sud del Mondo, Eurasia, Asia Orientale..), aventi tutti i requisiti per negoziare con efficacia sui principali problemi, quali quello dei rapporti uomo-machina, della prevenzione della guerra totale, di un ambiente a misura d’uomo, del dialogo culturale intercontinentale…

L’”Autonomia Strategica Europea”presuppone l’adesione a questo secondo punto di vista (espresso per esempio da Macron), che implica anche una sinergia dialettica fra la riscoperta dell’ autentica  identità culturale europea e un dialogo autentico con le altre culture del mondo, da quelle preistoriche e storiche, da quelle pre-alfabetiche al mondo indico, dai San Jiao sinici alle religioni abramitiche, dalle culture classiche al modernismo, postmodernismo e post-umanismo.