L’ITALIA NON PUO “USCIRE DALLA VIA DELLA SETA”

(Perché ne è sempre stata parte integrante ed essenziale)

La recente notifica ufficiale, da parte dell’ Italia, dell’“uscita dell’Italia dalla Via della Seta” costituisce l’ennesimo caso di dichiarazione formale dei successivi Governi italiani che non ha avuto  alcuna portata pratica, ma è servita unicamente a scopi propagandistici (e per calmare le pressioni internazionali).

1.”YI DAI, YI LU” (“Una rotta, una Via”)

Intanto, la “Nuova Via della Seta” non è un organismo giuridico da cui si possa “uscire”, bensì una situazione di fatto, in cui, grazie all’ impegno della Cina, si stanno migliorando, dal 2013, le comunicazioni all’ interno del “Vecchio Mondo”, e, in particolare, all’ Eurasia, in modo da assecondare il rapido sviluppo delle economie est-asiatiche, con reciproco vantaggio per quelle di altre parti del mondo. Quest’ impegno della Cina, che fa parte delle politiche strategiche del Partito Comunista Cinese (che l’ha menzionato perfino nel suo statuto), non è chiamato, in Cinese, “Via della Seta”, termine inventato nell’800 dal barone prussiano von Richthofen ed utilizzato nel 2010 da Hilary Clinton per designare un progetto americano, bensì “Yi Dai, Yi Lu” (“Una Rotta, una Strada”: l’una marittima, l’altra terrestre).La Cina non nasconde gli obiettivi geopolitici del progetto, che fa parte del più articolato sforzo oggi in corso per la sostituzione, all’ attuale Ordine Mondiale incentrato sugli USA, di un nuovo ordine multipolare, intorno ai BRICS e alla Shanghai Cooperation Organisation.

Uno strumento giuridico specifico per realizzare il progetto però esiste, ed è costituito dalla Asian Infrastructure Investment Bank, con sede a Pechino, al cui capitale partecipano praticamente tutti i Paesi del mondo (ivi compresa l’Italia, e tranne gli Stati Uniti), e da cui nessuno è uscito, tanto meno l’Italia.

2.Il Memorandum of Understanding

Il Memorandum of Understanding firmato nel 2019 da Di Maio, e ora non rinnovato, aveva un contenuto puramente programmatico, ed era simile a quelli firmati da buona parte dei Paesi del mondo, con la sola importante eccezione dei più stretti alleati degli USA. Per questo la firma italiana aveva suscitato tanto scandalo, essendo esso una delle rarissime “disobbedienze”, per quanto solo formali, ai desiderata USA, come l’ormai lontana operazione di Sigonella.

Di per sé, il MOU si limitava a indicare  alcuni generici progetti comuni, divenuti poi molto meno numerosi, e  meno interessanti, nel corso delle trattative, perché i progetti più seri, per esempio, nel settore delle nuove tecnologie, erano stati tolti, dall’ Italia, dal MOU, su pressione degli Stati Uniti. Oggi, è assurdo che coloro che attaccavano il protocollo perché “pericoloso” oggi lo critichino perché  non ha raggiunto risultati apprezzabili: in primo luogo perché non era orientato all’ export, bensì allo sviluppo globale della cooperazione, e, in secondo luogo, perché è stato boicottato proprio da quegli stessi che ora o criticano. Si noti che, contemporaneamente, altri Paesi occidentali (fra i primi, la Francia), pur senza firmare un MOU, avevano avviato programmi miliardari, molto concreti, come la vendita di molti Airbus alla Cina. Affari che sono tutt’ora in corso. La Germania ha con la Cina i rapporti economici più stretti visto che le sue maggiori imprese automobilistiche sono oramai proprietarie al 100% delle loro fabbriche cinesi, e realizzano in Cina la maggior parte del loro fatturato.

Più che l’”uscita dell’ Italia dalla Via della Seta”, sono stati disturbanti, per l’economia europea, gli ostacoli generali all’ interscambio euro-cinese, come il boicottaggio della tecnologia 5G, detenuta dalla Huawei, lo scombussolamento, apportato dal legislatore italiano, agli accordo con Huawei e ai patti fra Tronchetti Provera e il socio cinese di maggioranza nella Pirelli, l’indagine, in corso, della UE sugli aiuti di Stato all’ industria automobilistica cinese (che attualmente agevolano Mercedes, BMW e Volkswagen, fondamentali produttori cinesi,  e i componentisti italiani loro fornitori), e, che possono  preludere all’ abbandono di nuovi importanti investimenti cinesi in Italia.

3.La riduzione dell’ interscambio  con l’ Est: un pericolo mortale per l’economia europea

Gli ostacoli frapposti da sempre dal Governo americano all’ interscambio dell’Europa con l’Eurasia hanno provocato, e stanno provocando, effetti catastrofici per l’Europa, che si sono fatti sentire soprattutto con l’attuale crisi dell’industria tedesca, e, di riflesso, di quella italiana. Basti pensare che noi dell’ industria europea avevamo lavorato duramente  per ben 60 anni per costruire una nostra presenza nei Paesi ex comunisti, per vedercela poi distrutta in pochi anni dai diktat americani e dalla pusillanimità dei nostri governi. Tant’è vero che la Stellantis, controllata dal Governo francese, dopo essere stata costretta anch’essa a cedere praticamente gratis ai Russi la città-fabbrica di Togliatti, costruita dalla FIAT negli anni ’60, ha deciso  recentissimamente d’invertire la rotta sulla Cina: dopo avere disdetto un preesistente accordo, ha ora costituito una joint venture per la produzione e commercializzazione di auto elettriche (in modo da mettersi al sicuro contro possibili futuri dazi e sanzioni).

Il motivo per cui l’interscambio con l’Asia condiziona così pesantemente l’economia europea è la fossilizzazione dei mercati europei, stretti fra egemonia americana, ideologie rinunciatarie, retoriche liberistiche, crisi antropologica, denatalità, bassi salari, deindustrializzazione, crisi d’identità. In questa situazione, solo gli enormi sbocchi asiatici possono riportare  nel nostro mondo stagnante  un po’ di apertura delle menti, di stimolo all’ intraprendere, di occasioni di investimento,  di sbocchi d mercato, di tecnologie avanzate, di  rinnovamento delle classi dirigenti…

L’importanza dei rapporti economici con la Cina è vitale per l’Europa soprattutto per ciò che concerne i settori di alta tecnologia, da cui l’Europa è oramai in gran parte esclusa soprattutto per il boicottaggio americano dei progetti europei, di cui gli esempi più noti sono stati  le pressioni governative (già negli anni ’60 del ‘900) per la vendita alla General Electric della divisione elettronica dell’ Olivetti,  (negli anni ’90) per la non adesione dell’ Italia all’ EADS e, negli anni 10 di questo secolo,  per il boicottaggio della Huawei. Solo la Cina è infatti disponibile a condividere con gli Europei le nuove tecnologie in  cui essa è leader (come i 5G, i cui  brevetti sono stati realizzati in gran parte a Milano), mentre gli USA hanno sempre preteso che le imprese partner o controllate non abbiano accesso alle tecnologie-chiave delle multinazionali a base USA.

Il precedente tentativo americano di una sua” Via della Seta (nel 2010, al tempo dell’ occupazione dell’ Afghanistan), e l’attuale rilancio dello stesso insieme alla Ue (nella forma della EU Connectivity Initiative) non costituiscono una credibile alternativa, perché, lanciati solo per fare concorrenza a “Yi Dai, Yi Lu”, vanno in ogni caso a favore della strategia cinese del trasferimento verso Oriente del baricentro del mondo, favorito dallo sviluppo degli investimenti e delle infrastrutture in Asia Centrale e Meridionale. Per questo motivo, è poco prevedibile che gli Occidentali continuino a sostenere questa iniziativa, che, a prescindere dai suoi finanziatori, finisce per incrementare ancor di più le vie di comunicazioni fra Europa e Cina, favorendo la concorrenza asiatica, non solo dal punto di vista commerciale, ma anche da quello finanziario e da quello ideologico, facendo rivivere i fasti millenari del commercio eurasiatico.

4.Dagli Han Anteriori ai Gesuiti

Le vie di comunicazioni fra l’Est e l’Ovest dell’ Eurasia hanno costituito da sempre l’asse centrale della civiltà.

Gli “Agricoltori Medio Orientali”, il popolo Yamnaya, i Fenici, gli Ebrei, gli Unni, i Germani, gli Avari, gli Slavi, gli Arabi, i Bulgari, i Magiari, i Qipchak, i Mongoli, i Turchi,  si sono mossi per millenni dall’ Oriente verso l’ Europa. L’Impero Persiano ha costituito un formidabile ponte fra l’Europa e il nord della Cina, creando, con la Via Regia, la prima “Via della Seta”. Già gli Han e i Tang commerciavano, per mare e per terra,  con l’Impero Romano e quello bizantino, mentre Europa, India e Cina sono state governate in gran parte da popoli centro-asiatici immigrati (Unni, Avari, Eftaliti, Tuoba, Xianbei, Turchi, Magiari, Qidan, Mongoli, Mancesi). In particolare, i Mongoli avevano conquistato quasi tutta l’ Eurasia, facendone un’unica unità economica, come ben ci racconta il Milione di Marco Polo.

Soprattutto il Cristianesimo aveva attribuito da sempre il massimo interesse alle comunicazioni con l’Oriente. Innanzitutto, erano state le Chiese Orientali (e, in primo luogo, quella siriaca di San Tommaso e quella nestoriana) a convertire ampie aree dell’Oriente (dalla Persia, al Sud dell’ India, all’Asia Centrale, alla Cina Settentrionale). Poi, vennero le missioni verso i Mongoli, di Odorico da Pordenone, Giovanni da Pian del Carpine, Marco Polo e Giovanni da Montecorvino. Infine, i Gesuiti assunsero un ruolo determinante in India, nelle Filippine, in Giappone e in Cina, divenendo consiglieri dell’ Imperatore Cinese, sviluppatori della cultura scientifica  in Cina e promotori di un trend culturale filocinese, che si svilupperà fra le corti europee (Potsdam), e fra gl’illuministi (in primo luogo, Leibniz e Voltaire).

Anche i colonialismi spagnolo, portoghese, turco, olandese, inglese e russo contribuirono potentemente all’ interscambio est-ovest (basti pensare alla Compagnia delle Indie Orientali, alla teoria ariana di Jones, all’ Impero Anglo-Indiano, al Canale di Suez, alla Transiberiana, alle ferrovie indiane, allo Shanghai Express, al Partito Comunista Cinese..).

All’ interno di questo movimento, l’Italia ha avuto un ruolo determinante, con l’ Impero Romano, la Chiesa Cattolica, le Repubbliche Marinare, gli esploratori come Marco Polo e Matteo Ricci, considerati in Cina come degli eroi nazionali, e, infine, la Turandot.

Anticamente, si considerava che le antiche Vie della Seta partissero da Xi’an  e terminassero a Roma e Venezia: le Nuove Vie partono da molte città, a Est come a Ovest.

5.L’Europa e l’espansione dei BRICS

Attualmente, i rapporti fra Europa ed Estremo Oriente sono più stretti che mai, con l’alleanza fra Cina, Russia e Iran, con le linee ferroviarie che si protendono sempre più attraverso l’Eurasia, come  quelle che arrivano in Europa, con i porti, controllati dalla Cina, di  Duisburg, Pireo, Brema, Gwadar, Hanbantota, Leam; l’alleanza con la Russia; gl’investimenti reciproci; le Chinatowns; gl’Istituti Confucio; gli accordi con il Vaticano…

Nonostante gli sforzi incessanti dell’ America per soffocare l’Asia con la censura culturale, con i dazi vessatori, con le sanzioni a raffica, con sempre nuove coalizioni militari, questi rapporti sono destinati comunque ad ampliarsi nei prossimi anni grazie al tumultuoso sviluppo in corso delle società asiatiche (la ricchezza dei BRICS, la grande città saudiana nel deserto, l’espansione demografica dell’ India e l’”indizzazione” della sua cultura, l’avanzata della Cina nell’intelligenza artificiale, nell’ auto elettrica e nell’ industria verde).

Ovviamente, non si può pensare che, se si scatenasse un’ ennesima guerra nel Mar della Cina, questi fiorenti rapporti possano restarne totalmente indenni, anche se la vicenda delle sanzioni alla Russia dimostra che, da quando i rapporti di forza reali si sono oramai invertiti, ogni tentativo di discriminare il resto del mondo si ritorce, in realtà, come un boomerang, contro l’Occidente, che oggi paga, per esempio, direttamente o indirettamente, alla Russia, una fattura petrolifera più elevata che non prima delle sanzioni. Addirittura, il grande perdente della vicenda delle sanzioni alla Russia è stata proprio l’ Europa, che paga di più il gas e il petrolio russo triangolati dall’ India e il gas americano liquefatto, mentre la Russia si è appropriata gratuitamente delle imprese abbandonate dagli Europei per rispettare le sanzioni e gl’imprenditori russi si sono scatenati nell’ “import substitution” travolgendo la proprietà intellettuale degli Europei. Esempi tipici: i marchi del lusso e l’agroalimentare, riserve tradizionali degl’Italiani.

L’Europa ha mille e un motivo per essere fermamente ostile ai presenti e futuri conflitti in Eurasia. La principale ci sembra però il fatto che la crisi della civiltà mondiale, che ha avuto come epicentro l’Europa, e, oggi, l’ America, è andata di pari passo con l’egemonia culturale occidentale, che ha portato alla mediocrità, al conformismo, alla confusione mentale, al dubbio sistematico, alla politicizzazione, al moralismo, alla crisi della volontà. Le culture occidentali, espresse nella rigida logica indoeuropea e semitico-occidentale, non sono più in grado nemmeno di pensare l’attuale mondo della complessità (pensiamo anche soltanto al principio di indeterminazione e alla logica quantistica).Perciò, l’Europa non può più fare a meno delle culture orientali per rileggere la propria identità prima che sia troppo tardi. Lo dicevano già i Gesuiti, Fenollosa, Pannwitz, Jung, Pound, Guénon, Simone Weil ed  Evola, e oa lo dicono Panikkar e Frankopan. L’Europa deve apprendere dall’ Oriente l’arte del paradosso, dell’atemporalità, del sincretismo, dell’armonia.

Invece, gli autori e i politici del “mainstream”, che, a parole, esaltano il multiculturalismo, non solo alimentano l’isteria contro i “pericoli” islamico, russo e cinese, ma neppure hanno mai fatto il minimo sforzo per comprendere “dal di dentro” le singole culture dell’ Eurasia, che non possono essere valutate solo in base a formulette politiche. Non è semplicemente più ammissibile che ci parlino “ex cathedra” dell’ Islam, della Russia o della Cina personaggi che non ne sanno proprio nulla,  e ciononostante si permettono perfino di giudicarle, e addirittura di promuovere, in base ai loro pregiudizi, sempre nuovi,  catastrofici, conflitti.

Invece, solo con l’aiuto delle culture, e degli Stati, “orientali”, l’Europa potrebbe sottrarsi al destino, oggi segnato,  di soccombere  alla catastrofe che attende l’Occidente con la Terza Guerra Mondiale e l’avvento delle Macchine Intelligenti (cfr. il nostro libro “Da Qin”).

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