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ALLA LUCE DI NEURALINK:Per l’Identità Europea, quale politica culturale?

La deriva suicida dell’Europa politica, che ostacola di fatto, anziché favorirla con le sue politiche culturali,  la ricerca storica sull’ Identità Europea, rinchiudendoci tutti in  una “Finestra di Overton” ideologica inauditamente restrittiva, tale da  oscurare proprio le nostre tradizioni, viene finalmente riconosciuta e discussa, seppure in ritardo, anche dalla “cultura alta”, come è accaduto, in particolare, in recenti articoli di Ernesto Galli della Loggia e Franco Cardini, che vengono qui messi a confronto con le urgenze del presente momento storico, dominato dalla presa di controllo sull’uomo da parte delle Macchine Intelligenti.

Questo obiettivo ritardo nell’ avviare tale dibattito fa perdere di vista,  perfino nelle figure più illuminate, il fatto che l’ incombere della Società delle Macchine Intelligenti costituisce uno ulteriore argomento a favore dell’urgente  rafforzamento dell’ Identità Europea, quale barriera contro l’ ideologia globalista che ci viene imposta di giorno in giorno  con sempre maggiore durezza (smantellamento della privacy, leggi memoriali, legislazione “contro le fake news”, controlli poliziesco-digitali, ripetizione ossessiva di sempre nuovi mantra  calati dall’ alto..).Orbene,intanto, in tutto il mondo, la rivitalizzazione (in Cina, chiamata“ ringiovanimento”), quand’anche forzata, delle antiche identità continentali costituisce oggi di fatto il migliore antidoto contro la presa di controllo delle Macchine Intelligenti sulle società umane, di cui la globalizzazione all’ occidentale non è stato che uno dei sintomi premonitori.

Perciò, a un breve flash  sui recenti interventi di Galli della Loggia e Cardini, faremo seguire la nostra interpretazione della recentissima autorizzazione, concessa ora in America a Neuralink, di sperimentare gl’impianti cerebrali sugli esseri umani, aprendo così la strada a quel mondo di Cyborg, a cui le Identità Continentali sono chiamate ad opporsi, per poi giungere a delle conclusioni operative

1.”L’Europa abbandona la propria identità”?

“Potrà mai l’Unione Europea esistere come soggetto politico di qualche effettiva consistenza dopo aver deciso di suicidarsi culturalmente, di gettare alle ortiche la propria identità? E come mai a nessun partito della decina e più che siedono a Bruxelles è mai venuto in mente di occuparsi  di questa singolare decisione e dei modi in cui ormai da anni essa viene posta in essere?”

Con queste parole prende avvio l’articolo del 5 Febbraio di Ernesto Galli della Loggia sulla prima pagina de Il Corriere della Sera, con cui l’autore polemizza contro le prassi costanti nell’assegnazione dei fondi per la ricerca da parte dell’Unione. Non tanto per la preferenza  massicciamente accordata alle materie scientifiche “dure”(STEM), quanto per la ripartizione della quota dedicata  alle materie “non STEM”,o SSH (“Social Sciences and Humanities”) ,dove l’assoluta prevalenza va alle ricerche economiche e sociologiche (funzionali alla legittimazione del potere europeo), e quasi nulla alle vere e proprie materie umanistiche.

Secondo Galli della Loggia, il  vero motivo è che  “la maggior parte delle loro ricerche insistono naturalmente in un ambito nazionale. In quell’ ambito , cioè, in cui, secondo il ‘politicamente corretto’ dominante a Bruxelles deve essere messo al bando e spento. Agli occhi del vuoto utopismo paneuropeo privo di radici, la nazione resta il nemico primo”. Non concordiamo sul fatto che l’”utopismo paneuropeo” sia necessariamente privo di radici. Perché allora che cosa sono stati l’Impero Romano, l’Europa Cristiana, i progetti di crociata, Dante, il Sacro Romano Impero, gli Asburgo, Saint Pierre, Leibniz, Voltaire, Napoleone, la Santa Alleanza, Nietzsche, Coudenhove Kalergi? Priva di radici è soltanto l’ideologia ufficiale  di quest’ Europa “funzionalistica”, nella cui tecnolatria  sono confluiti i residui di varie obsolete ideologie anti-europee, fallite ciascuna nei suoi specifici presupposti, che hanno cercato, e ancora cercano, nell’ Unione, un’ancora di salvezza per la loro stessa sopravvivenza politica.

Perfino il Movimento federalista Europeo criticava il Trattato di Roma, che oggi viene da tutti esaltato. Come scrisse Sergio Pistone, “ La conseguenza politica che il MFE trasse da questa analisi, al momento in cui giunse all’ordine del giorno la ratifica dei Trattati di Roma, fu di non schierarsi né con coloro che erano favorevoli alla ratifica, perché ciò avrebbe significato avallare quella che nel migliore dei casi era una illusione, ma che poteva anche essere interpretata legittimamente come una truffa, né con coloro che, come i comunisti, erano contrari alla ratifica perché rifiutavano l’unificazione europea in quanto tale. Fu cioè indicata una terza alternativa: la mobilitazione del popolo europeo a favore della costituente europea e dell’unione federale europea e la denuncia della illegittimità degli Stati nazionali e della falsità delle politiche europeistiche governative.”

In definitiva, sono tutti diventati filo-UE solo per l’impossibilità di realizzare i rispettivi obiettivi; ma certamente nessuno è animato da quel sacro entusiasmo che sarebbe spontaneo per i fondatori di un nuovo soggetto politico.

Concordiamo quindi con le conclusioni di Galli della Loggia:”Proprio perciò neanche un euro o pochi spiccioli vanno a tutto quanto si riferisce alle sue antichità e alle sue vicende, ai suoi pensieri e ai suoi libri, alle sue lingue, alle tradizioni culturali e politiche dei suoi popoli, alle loro fantasie figurative.A tutto ciò che nutre l’anima e i sogni, che ci fa conoscere da dove veniamo.”La cosa è resa ancor più grave dal fatto che  noi Europei “veniamo” non già dall’ “ultimo uomo” di Fukuyama e di nietzscheana memoria, bensì dai popoli guerrieri “dei Kurgan” e  “del Mare”, dagli Hapiru che conquistarono Cana’an come descritto nella Bibbia, dagli “Europaioi” del Corpus Hippocraticum; veniamo da Roma e dalle steppe eurasiatiche, da al-Andalus e dal Grande Nord, dalla Cavalleria, dai principi illuminati, dai grandi poeti romantici e dai  “maestri del sospetto”. Tutta gente che alla “cancel culture”oggi dominante, per un motivo o per l’altro, non piace per nulla, ed a cui, quindi, nessuno spazio viene concesso nelle politiche culturali, né europee, né nazionali.

Queste cose  non hanno neppure a che vedere, come sembra pensare invece Galli della Loggia,  con le politiche culturali degli Stati Nazionali europei, anche se sono da essi  talvolta strumentalizzate, perché a questi di solito molto precedenti. Gli Stati Nazionali si concentrano invece anch’essi ciascuno su momenti anti-europei della propria cultura, come le guerre infra-europee, le pulizie etniche, il colonialismo, mentre viene censurato, in ossequio al “politicamente corretto”, il grande passato paneuropeo della cultura “alta”, quelli che Nietzsche chiamava “die guten Europaeer”, colpevoli anch’essi, vuoi di elitismo, vuoi di autoritarismo, vuoi di bellicismo, vuoi di patriarcato.

Della Storia, l’”establishment” vede solo gli “orrori”, perché ancora tutto proteso, nonostante la Dialettica dell’ Illuminismo, verso la “Post-histoire” chiliastica.

Gli Europaioi di Ippocrate erano guerrieri come Leonida

2.Le Istituzioni:tomba dell’entusiasmo europeista.

Galli della Loggia sembra stupirsi del disinteresse dell’Unione per la costruzione di una propria stessa identità, mentre noi, che sul campo ci siamo confrontati da cinquant’anni con questo problema, non ce ne stupiamo più affatto:“L’Europa ufficiale non si accorge….che, in questo modo, lungi dall’ affrettare l’avverarsi  della sua utopia, in realtà essa non fa che sancire l’implausibilità di qualunque speranza di divenire, non già nel prossimo secolo ma  nel prossimo decennio, un soggetto politico degno di questo nome.”

A nostro avviso, non è che non se ne accorga, perché anzi questo è precisamente ciò che si propone di ottenere quell’Establishment”, che finge di attivarsi per la cultura, ma  il cui compito è stato, fino dal dopoguerra, di boicottare  gli Europeisti più impegnati, come Coudenhove-Kalergi, Spinelli, Alexandre Marc, Olivetti, De Gaulle, Servan-Schreiber, Gorbachev e Mitterrand, facendo prevalere l’approccio cosiddetto “funzionalista”, che, da un lato, costituisce il preludio della vittoria delle Macchine Intelligenti, e, dall’ altra, impedisce la nascita di una classe dirigente patriottica europea culturalmente motivata, che “….anche nell’ assenza di una lingua comune,… radichi negli europei la coscienza delle profonde radici che le uniscono, di tutto ciò che li avvicina, che forma un’identità comune, e che quindi può divenire una premessa anche per un futuro storico comune.”

Per fare ciò, non è necessaria una lingua comune (così come ne fanno a meno l’India e perfino il Belgio, la Svizzera e il  Canada), bensì ci vuole una continuità culturale comune (il Tian Ming della Cina, la Hindutva, la Translatio Imperii..).

Il quadro non è così semplice, come aveva osservato già in passato lo stesso Galli della Loggia, che aveva posto allora, all’ origine di questo strano rifiuto dell’ “establishment” europeo di darsi un passato “nobile”, ben altre motivazioni, legate alla sorveglianza occhiuta dell’ America, che pretende che la “memoria condivisa” sia solo quella di un mitico “Occidente”, in cui essa sarebbe  inclusa addirittura quale sbocco provvidenziale della Translatio Imperii, come ben sintetizzato dal titolo del libro di John Gress, “From Plato to NATO”. Pretesa a cui sarà dedicata la seconda parte di questo post, sulla scia dei “Minima Cardiniana”.

Qui basterà  ricordare che, a nostro avviso, l’Identità Europea precede, a nostro avviso, e di gran lunga, tanto le Comunità Europee, quanto l’Unione Europea. Basti leggere il nostro nostro libro “10.000 anni di Identita’ Europea” (Alpina, Torino, 2006). Le scienze archeologiche, paleontologiche e linguistiche (Cavalli Sforza, Reich) stanno evidenziando sempre più come l’Europa sia, e sia sempre stata, un continuum “poliedrico” di popoli, culture e lingue, che ci congiunge da millenni all’Africa e all’all’Asia (“Out of Africa”, agricoltori medio-orientali, popoli delle steppe, popoli marinari mediterranei, politeismi, giudeo-cristianesimo, Barbaricum, “Scanzia Fucina Gentium”, Euro-Islam, monarchie sovrannazionali e intercontinentali); movimenti culturali paneuropei come la poesia cortese, le università, gli scismi, l’illuminismo, il romanticismo, il decadentismo, la cultura critica, i totalitarismi; lingue colte sovrannazionali, come il Greco, il Latino, l’Ebraico, il Gotico, lo Slavo Ecclesiastico, l’Arabo, il Norreno,  il Provenzale, il Francese, il Tedesco, l’Inglese, il Russo; autori “uebereuropaeisch” come Averroè,  Chrétien de Troyes, Walther von der Vogelweide, Wolfram von Eschenbah, Raimbaut de Vacqueiras, Dante, Petrarca, Shakespeare, Cartesio, Leibniz, Voltaire, De Maistre, Goethe, Novalis, Foscolo, Pushkin, Mickiewicz, Nietzsche (“die Guten Europaeer”)….

Basta guardare alle mappe genetiche predisposte da Cavalli Sforza e dei suoi epigoni, caratterizzate da centinaia di sfumature.

L’esplosione dei nazionalismi nel XIX Secolo sulla scia delle Rivoluzioni Atlantiche aveva costituito proprio una forma di opposizione agl’imperi sovrannazionali che avevano dominato fino ad allora la scena, e alle tradizionali culture paneuropee (Costantinopoli, Vienna, San Pietroburgo). I risultati, catastrofici per l’Europa, di questi nazionalismi si sono potuti constatare negli ultimi due secoli, e non sono ancora finiti (nell’ ex URSS, nella ex Jugoslavia, a Cipro, in Turchia,  in Spagna e Gran Bretagna). Sono questi gli “orrori” che l’”establishment” vorrebbe invece ascrivere alla storia pre-rivoluzionaria.

E’ stato suicida rimettere agli Stati Nazionali la competenze per le politiche culturali, dalle quali sono nate le maggiori deformazioni storiche: dalla cancellazione del passato, alla costruzione di memorie condivise provinciali e aggressive

Gli attuali Stati Nazionali, seppure non più animati dalla febbre sciovinistica, al contempo distruttrice e progressista, che ha già prodotto tanti guai, dominano ancora il campo, come aveva previsto già Spinelli,  per una precisa scelta dei fondatori dell’ Ordine di Yalta, basata sui seguenti presupposti:

-le Comunità Europee, e ancor più l’Unione Europea, sono un’articolazione “regionale” e “specialistica” dell’Occidente (Ikenberry), destinata a “stabilizzare” l’ Europa, cioè a renderla inoffensiva;

-l’ attribuzione, nei Trattati, agli Stati Membri, della competenza per le politiche culturali (come scriveva il Presidente Schulz, l’”io emotivo”);

-la delimitazione rigida di una pretesa “memoria condivisa” dell’ Europa, funzionale a tale “stabilizzazione” (quale quella  espressa nella “Casa dell’ Europa” di Bruxelles), opposta a una ricostruzione “poliedrica” della storia, e, in particolare, l’identificazione dell’ inizio della nostra  storia comune nella Rivoluzione Francese, la quale invece, per esempio per Tocqueville, aveva sancito in realtà l’atto di morte dell’ “Ancienne Constitution Européenne”(quella dell’ Ancien Régime, a cui perfino l’attuale Unione non può fare a meno d’ispirarsi).

Concordiamo  pienamente con Galli della Loggia che l’Unione non riuscirà ad affermarsi quale soggetto politico se non sarà reso possibile agli Europei conoscere esaurientemente le loro radici, anche le più lontane (preistoria, Asia, Africa); le regioni d’Europa, anche le più eccentriche (Groenlandia, Russia, Caucaso, Turchia); gli autori anche più scandalosi (Tertulliano, il Canto dei Nibelunghi, Averroè, Machiavelli, Sade, De Maistre, Kierkegaard, Stirner, Baudelaire, Soloviev, Drieu la Rochelle..). Ma, addirittura, anche le comunalità con altri Continenti, come gli archetipi egizi e persiani, le origini semitiche, sarmatiche, ugro-finniche, altaiche, e perfino le influenze di India, Cina ed America (intesa però anch’essa quale continente estraneo e diverso, e comunque importante per i suoi riflessi).

Tuttavia, visto che l’”establishment” ha interesse che ciò non avvenga, non resta altro, per gl’intellettuali veramente europeisti, come Galli e Cardini, che spendersi in prima persona in un  rischioso Kulturkampf a proprio carico e senza quartiere, non già per la speranza di titoli e prebende, bensì quale imprescindibile dovere patriottico. Noi vogliamo ancora tentare nonostante tutto di partecipare  a bandi europei in materia culturale, e saremmo onorati di poterlo fare con il supporto di  prestigiosi maestri.

La Confederazione Europea promossa da Mitterrand includeva l’Unione Sovietica e la Turchia

3.Fuori dall’ Occidente.

Secondo Cardini, una siffatta cultura europea più autentica dovrebbe  passare necessariamente attraverso il ravvicinamento alle culture dell’Europa orientale e dell’ Asia (“Eurasiatismo”):“ sulla valorizzazione della grande storia del nostro continente e sulla sua storica funzione di cerniera tra quell’East e quel West del mondo che secondo Kipling non potranno mai incontrarsi mentre, al contrario, la loro storia dell’ultimo mezzo millennio mostra una grande globalizzazione già avvenuta sul piano materiale e che aspetta una sintesi su quella spirituale.
Cogliamo i segni di questo 
iter non ancora esplicito eppure preparato da alcuni segni che starà a noi trasformare in effettivi seri valori. L’incontro tra Europa e Asia nella prospettiva eurasiatica è uno di essi.”

Cardini prende nettamente così posizione a favore dell’ Eurasiatismo, profondendosi in una serie di doverosi chiarimenti terminologici su ciò che esso  abbia rappresentato e ancora rappresenti:‘Si deve parlare di un unico continente, l’eurasiatico: così congiunto nelle sue parti che non è avvenimento di rilievo nell’una che non abbia avuto il suo riflesso nell’altra’: così il grande orientalista, storico delle religioni ed esploratore Giuseppe Tucci. Oggigiorno, specie dopo il fatidico 24 febbraio 2022, le parole ‘Eurasia’, ‘eurasiatico’ ed ‘eurasismo/eurasista’ sembrano divenute insulti..”

Certo, sull’ Eurasiatismo grava il peso delle enormi lotte combattute in suo nome, che ne rendono sospetta la memoria: “esplose in una specie di follia ossimorica: a causa di, o per colpa di, o grazie a (fate un po’ voi) Napoleone, e per esprimersi usando simboli archetipici schmittiani, la Francia provò a giocare ora la parte del Behemoth continentale europeo (e anche eurasiatico, viste le velleità di coinvolgimento di Russia e Turchia) assediando con il ‘Blocco Continentale’ il Leviathan britannico signore degli Oceani, e quindi assumendosi il carico della leadership orientale in funzione di una lotta all’Occidente rappresentato dall’Inghilterra che Ugo Foscolo con geniale faziosità definisce ‘l’Anglia avara’; ora (cioè subito dopo) quella ben più utopistica e velleitaria della leadership occidentale contro la ‘barbarie sarmatica’ dell’impero zarista. Poco più di un secolo dopo, in modo ancor più folle, la hitleriana ‘Operazione Barbarossa’ si sarebbe illusa di poter azzerare gli esiti che si stavano rivelando infelici della guerra intereuropea avviata nel settembre del ’39 – dove anche a causa del trattato di non-aggressione Ribbentrop-Molotov, sembrava potersi figurare un nuovo fronte eurasiatico, quindi “orientale” – e di proporre se stesso a capo di una’Santa Lega’ occidentale – e addirittura crociata – contro il comunismo ateo”.

Soprattutto, manca una vera storia eurasiatica, che, sulle orme di Ibn Khaldun, Mahan, Mackinder, Haushofer e Gumiliev, citati da Cardini,  parta dalla dialettica fra i popoli “Bu”, quelli nomadi delle steppe, e quelli “bun”, stanziali e civilizzati, del mare; passi per le grandi migrazioni dei Kurgan, dei popoli sarmatici, turcici e mongoli; si sviluppi con le grandi religioni e con i grandi viaggi di esplorazione; continui con gli scambi culturali (per esempio di Marco polo e dei Gesuiti) e si completi con la giusta considerazione del contributo alla storia mondiale dell’ alleanza russo-cinese, della cultura indiana, della guerra del Vietnam, dell’economia est-asiatica, dei BRICS.

Una lacuna da colmare non diversamente da quella della storia dell’ Identità Europea.

I cosiddetti “Valori dell’ Occidente” sono quello
che Max Weber chiamava “Gabbia d’Acciaio”

4.Neuralink e l’Europa

Come dicevamo all’inizio,l’informatica sta trascinando tutti gli aspetti della vita umana in una corsa sempre più affannosa verso un futuro nebuloso e rischioso, non rischiarato, né dalla riflessione culturale, né dal dibattito politico, ambedue inceppatisi in quest’epoca di mediocrità, manipolazione, opacità  e concorrenti fanatismi. Questo ha un impatto dirompente anche sul dibattito circa l’Identità Europea, perché spazza via l’illusione dell’ “Establishment” di poter spacciare l’integrazione europea come la fase estrema della Fine della Storia (come avrebbe voluto per esempio Kojève, che aveva negoziato i Trattati per conto della Francia),  mentre invece l’Europa è addirittura ininfluente nella transizione digitale mondiale, che è la forma attualizzata dell’ Apocalisse.

Ad esempio, mentre il Parlamento Europeo annunzia l’accordo sull’Artificial Intelligence Act, vantato a suo tempo come l’unica normativa al mondo sull’ argomento (mentre è risultato che ne esistono, di simili, in almeno 6 Stati del mondo), prosegue negli USA il progetto Neuralink, capitanato da Elon Musk. Obiettivo: perfezionare un chip da impiantare nel cervello umano, apparentemente con lo scopo di assistere le persone con malattie e disturbi neurologici che compromettono il movimento, ma,  successivamente migliorando anche abilità cognitive come la memoria e lavorando sulla comunicazione, e, potenzialmente, aprendo la strada alla trasformazione di tutti noi in Cyborg (un essere preconizzato e propugnato da Donna Haraway come il successore dell’ uomo), e, nel contempo, al collegamento di tutti i cyborg in un unico ecosistema digitale centralizzato, che realizzerebbe la fine delle personalità individuali. Sogno perseguito, seppur sottotraccia, nel corso della storia, da vari movimenti culturali, dall’aristotelismo, al neo-platonismo, alla Qabbalah, all’ hegelismo, al marxismo e, attualmente, dall’ “ideologia californiana” della Silicon Valley (Ray Kurzweil).

Il Comitato Medico per la Medicina Responsabile (Physicians Committee for Responsible Medicine) aveva richiesto di porre Neuralink sotto vigilanza per possibili violazioni dei protocolli sanitari, rifiutando la richiesta ricevuta alla fine del 2022 dalla compagnia di Musk per il passaggio alla sperimentazione sugli esseri umani, ma, nel maggio 2023, l’agenzia ha cambiato rotta e autorizzato Musk a proseguire. Ora, il primo chip wireless è stato effettivamente impiantato nel cervello di un soggetto umano, a seguito di una call per volontari rivolta a persone tetraplegiche o con sclerosi laterale amiotrofica.

Cosa può fare l’Europa contro questa ennesima decisione delle autorità americane?

L’Europa dovrebbe assumere una propria posizione su questi temi

5.Enhancement o Enablement?

Quanto sopra richiede una rinnovata riflessione sull’enhancement, il potenziamento umano attraverso la tecnologia. Se negli ultimi decenni tanto è stato detto sul potenziamento di tipo biologico e genetico (impianto artificiale dell’embrione, isolamento dei geni e tecnologie del DNA ricombinante, rischi dell’eugenetica migliorativa etc.), oggi bisogna fare i conti anche con l’eccezionale possibilità di migliorare le prestazioni umane – andando oltre gli aspetti che consideriamo propri della natura umana –.

Qualcuno afferma che per quest’ ultima, così come per l’invenzione di Neuralink, è necessario tenere fermo il legame con un trattamento terapeutico: l’uso, dunque, sarebbe legittimo solo se destinato a persone con problemi diagnosticati e certificati, esattamente come dovrebbe essere per gli occhiali, le terapie per i disturbi dell’attenzione e… la chirurgia plastica? 

Volendo provare a superare l’argomentazione del “solo a uso terapeutico”, un aspetto che ci avvantaggia nel quotidiano è l’enablement, cioè il “rendere possibile un’azione”. Questo concetto è strettamente legato a quello di potenziamento, ma più semplice da accettare perché non implica necessariamente una modifica alle parti costitutive dell’essere umano. Uno smartphone permette (enables) di telefonare a chiunque, ovunque e in qualsiasi momento; oppure uno spazio cloud consente di (enables) avere dati sempre con sé a disposizione. È uno strumento che “sblocca” nuove possibilità, come in un videogame, e proprio così farebbe una neurotecnologia quale quella sviluppata da Neuralink.

Le grandi scelte su questi temi condizionano pesantemente il futuro dell’ Umanità, e pertanto i maggiori soggetti politici, come l’Unione Europea, non possono esimersi dal prendere posizione. Il loro atteggiamento su questo tema costituirà addirittura la prima caratteristica della loro identità, definendola nei confronti degli altri Continenti.

A nostro avviso, l’enhancement “europeo” dovrebbe riallacciarsi alle concezioni tradizionali europee di “educazione”, da quelle classiche di “Paideia” a quelle medievali di ascesi e cavalleria.

La logica quantistica ha sparigliato le carte della Modernità

7. Superuomo, Punto Omega e Datong

Secondo Nietzsche, “l’Uomo è qualcosa che dev’essere superato”.

Sulla stessa linea, alla fine degli anni ‘90 J. Harris scriveva che “la natura umana è semplicemente la natura degli umani attualmente esistenti. Essa cambia ed evolve continuamente e noi siamo molto diversi dai nostri antenati. I nostri discendenti, se la specie sopravvivrà, saranno diversi da noi in un senso che non siamo in grado di predire. Noi siamo cambiati e possiamo cambiare ancora radicalmente senza per questo cessare di essere umani”.

Proprio qui sta il punto.

“Essere Umani” denota un insieme di caratteristiche (primati intelligenti, dotati di parola, socievoli, gerarchici, religiosi..) che ben conosciamo in quanto coeve alla cultura della comunicazione (linguaggio, riti, miti, linguaggio), e soprattutto per l’era più recente (Età Assiale), a causa della nascita della scrittura (graffiti, rongo-rongo, ideogrammi), che ha consolidato le culture preesistenti.

In questo periodo di alcuni millenni, a noi più noto, le strutture psicofisiche dell’uomo sono cambiate solo in misura modesta (fusione con i geni di altri ominidi, avvicinamento strutturale fra maschio e femmina, diffusione della logica strumentale e della specializzazione, utilizzo di protesi…), e mai in modo così drastico come si prospetta oggi (integrazione uomo-macchina, editing genetico, transessualità).Soprattutto, non si erano mai posti in discussione i concetti di coscienza individuale, di libero arbitrio, di ruoli sociali differenziati.

La presente Grande Trasformazione non può quindi non suscitare un dibattito ed uno scontro molto vivaci.

Tanto per incominciare, tutta l’attuale dialettica sui “diritti”, sull’”eguaglianza” e sul “genere” ha in realtà, come sottofondo, la persuasione che il  mutamento antropologico indotto dalle Macchine Intelligenti comporti il superamento, in generale, dei diversi ruoli sociali, e, nello specifico, della riproduzione umana sessuata. Per questo, il “Manifesto Cyborg” di Donna Haraway era stato anche all’inizio un testo fondante del femminismo.  Haraway introduceva la figura del cyborg, oggi attuato da Neuralink, che diventa metafora della condizione umana. Il cyborg è al contempo uomo e macchina, individuo non sessuato o situato oltre le categorie di genere, creatura sospesa tra finzione e realtà: «il cyborg è un organismo cibernetico, un ibrido di macchina e organismo, una creatura che appartiene tanto alla realtà sociale quanto alla finzione».

Questa figura permetterebbe di comprendere come la pretesa naturalità dell’uomo sia in effetti solo una costruzione culturale, poiché tutti siamo in qualche modo dei cyborg. L’uso di protesi, lenti a contatto, by-pass sono solo un esempio di come la scienza sia penetrata nel quotidiano e abbia trasformato la vita dell’uomo moderno. La tecnologia ha influenzato soprattutto la concezione del corpo, che diventa un territorio di sperimentazione, di manipolazione, smettendo dunque di essere inalterato e intoccabile.

Di qui l’Ideologia Gender.

Questa considerazione pone in dubbio la tesi tradizionalmente condivisa un po’ da tutti, secondo cui l’etica  starebbe al di sopra della storia (i “valori non negoziabili”), ed apre il discorso della “Trasmutazione di tutti i valori”.

Nel corso della storia, gli uomini avevano dibattuto e si erano scontrati su grandi domande circa come debba essere la società ideale (pluralistica=repubblica=politeismo o centralizzata=regno =monoteismo; razionalistica=dispotismo illuminato=progressismo, o “dionisiaca”=comunitarismo=anarchia?).Problemi analoghi, ma più radicali, si pongono ora di fronte alla necessità di rivalutare i fini stessi dell’ Umanità, al fine di decidere sul nostro immediato e lontano avvenire in considerazione dei rischi ed opportunità dell’ibridazione uomo-macchina.

Nietzsche aveva scritto chiaramente che le trasformazioni in corso avrebbero ben presto necessitato una trasformazione esistenziale dell’uomo, stretto fra l’istinto di morte, espresso dalla filosofia schopenhaueriana e dalla musica di Wagner, lontana eredità delle antiche dottrine indiane (jainismo e buddismo), e la spinta all’espansione della vita (quella “Steigerung”, ch’egli definiva “Dionisiaca”, erede  del pathos guerriero degli antichi popoli europei-la “bestia bionda”- descritti da Omero, Ippocrate, Erodoto, Giulio Cesare e Tacito).

Oggi, le due versioni del Superuomo, fra le quali occorre decidere, trovano la loro espressione, da un lato, nella teologia di Teilhard de Chardin, e, dall’ altra, nel Neo-Confucianesimo quale implementato dal “Socialismo con caratteristiche cinesi”.

Per Teilhard de Chardin, la transizione digitale nella sua versione più estrema (la Singularity di Kurzweil, che fu probabilmente ispirato proprio dal teologo francese), costituirebbe la Fine della Storia profetizzata dall’ Apocalisse, e coincide pertanto con la seconda venuta di Cristo e con un imprevedibile sviluppo dell’Universo (il “Punto Omega”). Secondo Riccardo Campa, un valido studioso italiano che insegna in Polonia, la Chiesa cattolica, nonostante non abbia ancora tolto l’ interdetto contro i libri di Teilhard de Chardin, è oggi sotterraneamente ispirata dal suo pensiero, come emerge da varie esternazioni dei tre ultimi Pontefici. Alcuni teologi, come Enzo Bianchi, non nascondono il loro desiderio di accelerare l’arrivo dell’Apocalisse, perché quest’ultima  sarebbe il compimento della Storia, e, in particolare, della Storia Sacra. Si noti bene che anche l’idea habermasiana del Progetto Incompiuto della Modernità, si pone inaspettatamente in questa direzione, quando parla di “resuscitate i morti”.

Secondo Xi Jin Ping, lo sviluppo tecnologico, in cui la Cina è oggi leader,  ha prodotto uno “Xiaokang”, una “società moderatamente prospera”, termine  con cui Confucio designava una fase intermedia verso il “Datong”, la “Grande Armonia”, che non è comunque,né un’acquisizione definitiva, né un miraggio per il futuro, bensì un tentativo sempre riproducentesi di “ringiovanire” un’armonia antica. “Quando vigeva la Grande Via, il mondo era condiviso equamente fra tutti. Alle cariche erano nominati i più meritevoli e i più capaci; tutti erano in buona fede ed amavano il prossimo. Tutti consideravano gli altri come propri familiari. Gli anziani vivevano dignitosamente, i capaci trovavano un lavoro ad essi adeguato, i giovani venivano educati, e  i vedovi, gli orfani e i malati, venivano curati. Gli uomini avevano ciascuno una propria funzion nella società, e le donne un proprio focolare. Non si lasciavano beni abbandonati, né li si  accaparravano per fini privati; non si  dissipavano le proprie energie, bensì le si orientavano al bene comune. I crimini si prevenivano; non c’erano, né ladri, né ribelli, così che si potevano lasciare aperte le porte delle case. Era il tempo della Grande Unità (Da Tong).

Ora, la Grande Via è ignorata , e il mondo è accaparrato dai clan. Si trattano come genitori solo i propri consanguinei, e come figli solo i propri rampolli; beni e impieghi sono sfruttati a fini egoistici.Gli uffici e i titoli sono attribuiti in base alla lettera della  legge, e la sicurezza viene garantita da mura e fossati. Per disciplinare i rapporti fra il principe e i sudditi, per garantire la pietà filiale fra padre e figlio, la pace fra i fratelli e l’armonia fra i coniugi, per  creare istituzioni, amministrare villaggi e tenute agricole, onorare gli eroi e i saggi, e  premiare il merito delle persone, si fa ricorso ricorso al diritto e all’ equità. Regnano l’intrigo e il crimine, e si  pone mano alle armi. L’Imperatore Yu, i re Tang, Wen, Wu e  Cheng, e il duca di Zhou sono stati grandi per questo: hanno adempiuto perfettamente ai riti, hanno praticato la giustizia e agito in buona fede.  Si sono opposti agli  errori, si sono comportati umanamente e fornito esempi di comportamento impeccabile. Chi non si atteneva a questi principi, veniva destituito e considerato socialmente pericoloso. Questa è l’era della Società Moderatamente Prospera (Xiao Kang).”Dopo lo Xiaokang, la Cina punterà, evidentemente, al Da Tong.

Nessuna di queste teorie arriva al grado di inquietante estremismo messianico dell’idea di Kurzweil sulla Singularity, che  vorrebbe essere la fine dell’ attuale universo, qualcosa d’indefinito che, secondo quanto acutamente scritto da Martin Reed, assomiglia (e non solo in senso metaforico) all’ ingresso in un “buco nero”.

Né esiste un progetto concreto veramente alternativo del Superuomo quale “Incremento della vita”, come lo aveva pensato e voluto Nietzsche. Certo, vi assomiglia maggiormente la Cina neo-confuciana (o l’India con la sua Età dell’ Oro che ritorna ciclicamente), perché in quella cultura non c’è la concezione lineare della storia, secondo cui ci sarebbe una meta finale, mentre il Datong può ritornare periodicamente, come l’Eterno Ritorno nietzscheano.

La questione va comunque posta anche in Europa, e con urgenza.

Se  l’attuale perseguimento indefinito del progresso tecnologico in parallelo all’ “addomesticamento” dell’uomo prodotto dalle rivoluzioni sociali ,riducendolo a un’appendice passiva delle macchine, proseguirà ancora, si porrà presto una radicale scelta esistenziale: o essere travolti dalla naturale entropia di un mondo di macchine, che, seppure “intelligenti”, seguono protocolli prefissati, e quindi sono incapaci di reale creatività, oppure opporsi a questo mondo macchinico – un conflitto conflitto estremamente distruttivo-.

Un primo assaggio di questo conflitto è stata la rivolta, nel 1983, del Maggiore sovietico Petrov contro l’implementazione automatica del sistema di risposta automatica “OKO”,  che avrebbe comportato lo scatenamento immediato della guerra totale. OKO rappresentava un esempio di “Macchina Intelligente”, che reagiva disciplinatamente ai segnali di attacco nucleare, seguendo pedissequamente le direttive del PCUS, tradotte in un protocollo dell’ esercito; Petrov, l’”eroe” umano, che, forte della propria intelligenza, della propria competenza, del proprio coraggio, della propria assertività e della propria etica professionale, si opponeva da solo a questo apocalittico complesso cibernetico.

A nostro avviso, il background sotterraneo della Guerra Mondiale a Pezzi, oggi in corso, è proprio una contrapposizione, per quanto non dichiarata, fra queste (e simili)  diverse interpretazioni del Superuomo, e, come tale, può costituire veramente l’avvio di quella guerra fra uomini e macchine adombrata in molte opere di fantascienza.

Il fatto che, a Musk, sia stato ora permesso di realizzare in concreto il suo cyborg dimostra che gli Stati Uniti continuano, nonostante oscillazioni, a considerarsi paladini e tutori dei progetti postumanistici e/o transumanistici, dei GAFAM, che, coerentemente con quanto scritto da Schmidt e Cohen, costituiscono un irrinunziabile  strumento per il controllo, da parte degli Stati Uniti, se non più del mondo intero, almeno dei loro satelliti. Per questo motivo, le forze che si oppongono agli Stati Uniti sui diversi scacchieri costituiscono obiettivamente degli ostacoli al libero dispiegamento dell’ “America-Mondo”(Valladao), e quindi  al completamento del Progetto incompiuto della Modernità  con la creazione della Singularity.

Una lotta per la vita e per la morte fra Umani e Macchine Intelligenti

8.Al di là degli approcci settoriali

Di fronte al carattere onnipervasivo  ed esistenziale della transizione in corso, qualunque approccio settoriale risulta inutile e, addirittura, mistificante.

Le trattative in corso a livello mondiale sulla disciplina internazionale dell’Intelligenza Artificiale non possono partire che dall’urgenza di prevenire lo scatenamento della Terza Guerra Mondiale, attraverso i meccanismi di escalation digitale che sono ancora, nella sostanza, quelli della “Dead Hand”, che, per garantire la Mutua Distruzione Assicurata, delegano ai computer lo scatenamento del “Second Strike” finale. Solo attraverso una limitazione bilanciata degli automatismi dell’escalation si può evitare che la guerra nucleare si scateni nel giro di pochi secondi.

Tuttavia, quel problema  non è che un granello di sabbia in un grande oceano. Dobbiamo infatti affrontare nello stesso tempo vari altri fenomeni epocali indotti dall’ avvento delle Macchine Intelligenti:

la Sorveglianza di Massa, che permette già ora di eterodirigere centralmente (attraverso i social, la propaganda, la censura, il “credito sociale”, gli impianti neurologici, l’editing genetico) il comportamento di miliardi di persone, distruggendo completamente il concetto di “libero arbitrio”, e, con esso, tutte le forme di libertà;

-la transizione fra il dispotismo temperato degl’imperi tradizionali (Qing, Raj Anglo-Indiano, Ottomano, Russo..) e quello “duro” degli autoritarismi attuali (PRC, Corea del Nord, Iran, Monarchie islamiche);

-quella fra democrazie “rappresentative” e dittature tecnologiche in preparazione della “guerra fra democrazie e autoritarismi” (in America, il  Patriot Act; nella UE , i reati di opinione e  la censura sui social; in Russia, le restrizioni alla libertà, tipiche del diritto bellico, connesse all’Operazione Militare Speciale; in Turchia, le repressioni residue dopo il colpo di Stato gulenista; in Italia, il progetto di premierato).

Per questo motivo, strumenti legislativi quali l’Artificial Intelligence Act, che puntano tutto su un solo aspetto (l’”Intelligenza Artificiale” in senso stretto), e si basano su una concezione troppo limitativa dei diritti tutelati, sono insufficienti e generano, più che altro, confusione.

E’ necessario ora, sfruttando le trattative riservate  in corso fra USA e Cina, avviare un dibattito a più livelli, che colleghi i vari aspetti della complessissima materia della disciplina internazionale del digitale  con una riforma generale dell’ Europa secondo le direttrici indicate da Galli della Loggia e da Cardini. Nel fare ciò, il contributo degli intellettuali critici, potrebbe rivelarsi prezioso, a condizione ch’essi inquadrino coerentemente le loro considerazioni e proposte non già in un mondo astorico, o superato dagli eventi, bensì nel reale contesto storico di oggi, dominato dalla guerra tecnologica in corso, e dalla tentazione, un po’ di tutti, di vincerla con il sussidio delle Macchine Intelligenti (Manuel De Landa).

INTERESSE NAZIONALE, EUROPEO E DELL’UMANITA’ NELLA NUOVA PESC

 

                Palazzo Sponza a Dubrovnik

Sergio Fabbrini, rispondendo, il 26 gennaio, su “Il Sole 24 Ore”,a Galli della Loggia, ha sottolineato che, di fronte a velleitarie tentazioni micronazionalistiche, quali quelle di cui si è fatto portatore il professore sul Corriere della Sera del 22, occorrerebbe invece rilanciare una Politica Estera e di Difesa europea che tenga conto della posizione e del ruolo dell’Italia. A mio avviso, ciò si potrà fare solo tenendo presente l’imprescindibile corrispondenza biunivoca fra politica internazionale e politica tecnologica dell’Europa, nel quadro della Conferenza sul Futuro dell’Europa.

1.L’”outing” anti-europeo di Galli della Loggia

Cresce il numero dei “sovranisti” che negano l’utilità di una politica estera e di difesa dell’Europa, che altro non sarebbe, per costoro, che l’ennesima riaffermazione di un’egemonia franco-tedesca, a discapito di tutti gli altri Paesi d’ Europa. Quest’ideologia, diffusa da parecchi decenni negli ambienti euro-scettici, era nata sotto influenza americana, nel momento in cui, con l’allargamento della UE, era sorta la preoccupazione che un’Europa più forte potesse condurre una politica più indipendente da Washington, e, di conseguenza, indebolire il complesso politico-culturale occidentale. Non per nulla essa viene oggi ripetuta negli ambienti vicini a Bannon.Anche Galli della Loggia sostiene, in sostanza, la vecchia tesi che l’Italia, per difendere un non meglio definito “interesse nazionale”, dovrebbe diventare il cavallo di Troia nell’ Unione Europea degli USA contro Francia e Germania. Un’operazione certo non estranea alla visita a Roma di Bannon e ai finanziamenti americani appostati nel bilancio di Fratelli d’ Italia.

Che un’egemonia franco-tedesca esista, e sia, molto probabilmente, obsoleta, non lo si può negare. Essa aveva per altro radici nobilissime, che affondano nell’antico ruolo carolingio dei “Franchi”, intesi  come sinonimo (per esempio in Arabo) di “Europei” (al Franjiyyun), ed eredi dei Romani -nel Serment de Strasbourg, nel Trattato di Verdun, nei Gesta Dei per Francos,  e, più recentemente, in quelli dell’ Eliseo e di Aquisgrana-, oltre che in Fichte e in Herder. Per altro, con l’allargamento della UE e con le Nuove Vie della Seta, il mito dell’Europa Carolingia appare sempre più come una provinciale forma di “arroganza romano-germanica”, come la chiamava il Principe Trubeckoj. Tuttavia, il suo messaggio subliminale, che poteremmo definire come “gollista”, può applicarsi più che mai nell’attuale quadro europeo allargato.

Oggi, la posizione contraria all’ Europa Carolingia è stata dunque ripresa da Ernesto Galli della Loggia, il quale scrive di “un’opinione pubblica disabituata da sempre a pensare la realtà vera dei rapporti internazionali, quindi oscillante di continuo tra faziosità ideologiche e fanciulleschi utopismi a sfondo buonista. Dopo la fine della guerra fredda e il conseguente venir meno dell’importanza che la Penisola aveva avuto per mezzo secolo in quanto frontiera dell’Occidente con il blocco sovietico (da cui l’obbligatorio legame di stretta alleanza con gli Stati Uniti), non siamo stati capaci d’immaginarci alcun ruolo, alcuna priorità, alcuna linea d’azione nostri”.

Peccato che, poche righe dopo, lo stesso Galli della Loggia fornisca uno schiacciante esempio di questa incapacità, che invece apparentemente tenta di scongiurare: “In particolare non abbiamo capito che il progressivo concentrarsi del potere dell’Unione Europea nelle mani di Germania e Francia ci stava inevitabilmente sbarrando la strada verso i due teatri tradizionali della nostra politica estera. Cioè verso i Balcani – dove infatti ben presto l’influenza economico-politica e culturale tedesca si sarebbe dimostrata imbattibile – e verso l’Africa – dove fin dai tempi dell’Eni di Mattei la Francia era impegnata a contenderci lo spazio e a insidiare quello che avevamo già ottenuto (per esempio in Libia). E però, invece di cercare di contrastare questa deriva diciamo così oggettivamente antitaliana dell’Unione a trazione franco-tedesca (in realtà con Berlino vera padrona e Parigi sua vassalla) – magari cercando di costituire un fronte mediterraneo con Spagna e Grecia eventualmente appoggiato da una Gran Bretagna memore dei suoi trascorsi in quel mare – abbiamo fatto di tutto – in omaggio al nostro cieco supereuropeismo e anche perché gravati dalle condizioni paralizzanti dei conti pubblici – per restare agganciati comunque al duo Parigi-Berlino. Con il bel risultato che oggi vediamo in Libia e altrove”.

 

Che l’Italia debba concentrarsi su Mediterraneo e Balcani è un ritornello che ci sentiamo ripetere da tempo. Esso si basa su una visione razzistica dei popoli occidentali che debbono dominare e istruire i “popoli inferiori”, est-europei e afro-asiatici, e aveva trovato una continuità nelle raccomandazioni fatte alla FIAT dai servizi segreti americani, di concentrarsi, dopo la IIa guerra mondiale, nella “fabbricazione di automobili a basso prezzo destinate ai popoli balcanici e nordafricani”.

 

2.Una nuova missione universale dell’Europa

Il discorso su una “missione” dei popoli, se sfrondato dagli aspetti propagandistici, integralistici ed autocelebrativi, ha ancora un significato. Questo elemento progettuale è, infatti, quello che tiene uniti i popoli e gli Stati. Ma, nel 2020, gl’Italiani possano avere una qualsivoglia “missione”, o degli “interessi nazionali” in quei due territori, effimeramente conquistati per pochi anni durante la IIa Guerra Mondiale, è semplicemente insensato. Nei Balcani ci sono Grecia, Croazia e Bulgaria, che sono membre, come noi, dell’Unione Europea, e la Turchia, che è più forte di noi sotto tutti i punti di vista, ed è comunque un Paese associato e un membro della NATO. Tra l’altro, la Turchia è stata in grado di fabbricare un’auto elettrica completamente autarchica mentre noi abbiamo appena chiuso l’impianto (francese) di Bluecar a Ivrea e stiamo ancora balbettando di assemblare batterie (dopo avere venduto la Marelli ai Giapponesi).

La Croazia presiede quest’anno l’Unione e la Conferenza sul Futuro dell’Europa, insieme ad altri commissari slavi. Nel Mediterraneo, ci sono delle altre potenze non indifferenti, come l’Egitto e Israele, e vi si stanno affacciando prepotentemente la Russia, l’ Iran e le monarchie del Golfo. Che cosa vogliamo fare: andare nuovamente a governare quei Paesi? Affrontare i loro eserciti? A me sembra che siano piuttosto quei Paesi ad avere oggi un ruolo propositivo ed attivo nella politica internazionale, tale da influenzare l’Italia e l’intera Unione Europea, divenuti soggetti passivi della storia.

D’altronde, quando, proprio sulla Libia, abbiamo accettato le sirene di quel mondo anglosassone verso cui spinge Galli della Loggia, abbiamo combinato il più incredibile pasticcio mai visto in politica internazionale: regalare agli alleati un’egemonia sul Paese, appena pesantemente pagata a Gheddafi; violato vergognosamente un patto di non aggressione appena sottoscritto; partecipato al linciaggio del capo di Stato con cui avevamo appena firmato un trattato di riappacificazione-un crimine di guerra contro cui non si è levato nessun difensore dei diritti umani-; infine, scatenato la guerra civile libica e quell’incredibile fenomeno che è la corsa dei migranti verso i campi di concentramento libici e i barconi della morte. Per poi passare il tempo a strapparci le vesti per l’inspiegabile flusso di migranti.

Qui, più ancora che altrove  altrove, la visione ottocentesca della missione degli Stati Europei si rivela totalmente obsoleta, perché quelle “missioni” si riducevano a collaborare all’ implementazione di una Teoria dello Sviluppo totalmente irrealistica, che in realtà, ci ha portato fin sulle soglie della “Fine della Storia”(dove ormai ”la nostra casa brucia”) e, comunque, all’irrilevanza dell’ Europa e al suo appiattimento sugli Stati Uniti (la “Dialettica dell’ Illuminismo”). La vera missione che resta, all’ Italia e all’Europa (e, se vogliamo, anche al Mediterraneo), è veramente globale e universale: quella del contrasto “à tous les azimuth” alla Società delle Macchine Intelligenti, secondo le idee espresse, per esempio, del filosofo e politico tedesco Nida-Ruemelin. Di questa missione, il “Green New Deal” deve  costituire solo uno dei componenti, e neanche il più essenziale, perché, come affermato nell’ enciclica “Laudato sì”, un ambientalismo puramente tecnicistico e “quantitativo” costituirebbe solo un’operazione di marketing per l’industria verde e per la Società dell’ 1%, e, aggiungiamo noi, una cura omeopatica, volta a fare sopravvivere l’attuale  barcollante tecnocrazia fino alla vittoria del  post-umanismo.

In sostanza, dell’eredità romantica, è il momento di abbandonare  le posizioni di Fichte e Herder (missione delle nazioni) e Fiodorov (salvezza dell’ uomo attraverso la scienza), per adottare quelle, critiche della Modernità, di Kierkegaard, di Baudelaire, di Carlyle….

Questa nuova missione dell’Europa (e delle sue Nazioni e Regioni), si sposa, com’è normale che sia, con l’interesse “particulare” dell’Italia e dell’Europa, perché da sempre chi si pone come promotore di un interesse collettivo se ne ripropone un ruolo di leadership, che si spera anche adeguatamente compensato. Orbene, l’”interesse” dell’Italia e dell’ Europa è, da sempre, prima di tutto culturale e teologico:il ritorno alla  la “paideia” classica; all’”askesis” cristiana; all’Umanesimo italiano…: valori nella cui realizzazione noi eccelliamo. Sullo sfondo, si delinea un’alleanza fra le antiche civiltà “assiali”(mediterranea, indica, sinica….precolombiana?), sotto l’egida della “Nuova Via della Seta”. Un mondo tecnologico, ma dominato dalla cultura, graviterebbe innanzitutto su Roma, Firenze, Venezia, ma poi anche Atene, Parigi, Berlino, San Pietroburgo, Gerusalemme, Istanbul, e, infine, Hanzhou e Xi’an.

Nei fatti, quell’unione geopolitica e militare degli Europei, che non si era mai potuta realizzare con la forza, sarà fatta ben presto dalla cultura e dalla politica sotto l’urgenza dello stato di necessità, quando la crescente irrilevanza dell’Europa come continente ci avrà portati a un trend costantemente negativo nel PIL, alla perdita delle libertà collettiva e individuali, e sulla soglia della sparizione, sotto l’influenza della crisi economica e della disoccupazione digitale. Quando ci accorgeremo di essere oramai tutti taglieggiati, disoccupati, spiati e ricattati, e la guerriglia si sposterà dal Medio Oriente in Europa, allora capiremo che dobbiamo difenderci, e invocheremo finalmente un Esercito Europeo che lo faccia nel nome dell’Identità Europea. Speriamo che non sia troppo tardi.

  1. L’esercito europeo contro l’“Impero dei Robot”

Fabbrini, rispondendo a Galli della Loggia e tentando -finalmente- di spiegare che viviamo in una siffatta situazione pre-bellica, cita Colby e Mitchell di Foreign Affairs, che scrivono che ”con Trump gli USA hanno finalmente capito di essere entrati in una nuova epoca storica , quella della competizione tra le Grandi Potenze (nel loro caso, con la Cina in particolare). In questa epoca contano i rapporti di forza tra quelle potenze (che possono rendere necessari conflitti militari improvvisi oppure guerre prolungate), non già il rispetto di convenzioni multilaterali.”

Dobbiamo capirlo anche noi Europei.

Tra l’altro, poi, questo trend tende ad acuirsi ulteriormente, giacché il concentrarsi dei processi decisionali nell’ “Hair Trigger Alert”, nei social networks e nei programmi predittivi, nelle imprese digitali e nella cybersecurity, comporterà una continua riduzione a livello mondiale del numero dei centri direzionali, che tenderanno sempre più a unificarsi e a spersonalizzarsi, fino a che, con la guerra totale e con la migrazione verso lo Spazio, sopravviveranno solo più gli “agenti autonomi”(leggi automi), che tenderanno a sostituirsi, non solo all’ Uomo, ma perfino alla Natura. Questo è il programma da sempre ufficialmente sostenuto da Ray Kurzweil, direttore tecnico di Google. E, come scrive sul suo blog  Logan Streondj , il numero di robot supererà quello degli umani in un lasso di tempo che va dai  24 ai  39 anni, il che implicherà un conflitto fra le due categorie di esseri.

Un ”umanesimo digitale”, quale  sostenuto, per esempio, da Nida-Ruemelin, potrebbe ovviare a questa tendenza, non già arrestarla. Occorrerebbe invece una pratica filosofica e pedagogica olistica, capace di forgiare un’Umanità “Enhanced”, atta a dominare con lo spirito le macchine intelligenti. Nell’ambito di questo dominio si dovranno ovviamente concepire nuove forme di partecipazione umana, compatibili, in una prima fase, con la situazione altamente conflittuale che si sta preparando, e, in una seconda, con la liberazione di enormi energie sociali non più disciplinate dalle esigenze della produzione e dalle Grandi Narrazioni ad essa collegate. In questo senso dovrebbe esplicarsi la pretesa (fino ad oggi abusiva) dell’Europa, di costituire “un punto di riferimento per il mondo intero”(che anima l’ideologia dell’ Unione Europea ed è stata citata dal Papa nei suoi discorsi a Strasburgo).

In questo contesto, poi, l’Italia, che (contrariamente alla Savoia e al Regno di Sardegna) non è mai stata particolarmente efficiente come “macchina da guerra” (pensiamo a Lissa, a Caporetto, alle campagne di Grecia o di Russia), in un gioco di giganti digitali sarebbe semplicemente spazzata via. Per questo essa ha bisogno, più di molti altri Stati, di uno scudo europeo. Tale non è, come dimostrato nel precedente post, quello americano, data la completa obsolescenza tecnica dell’art. 5 del Trattato Atlantico. Ci dovrebbe essere una qualche forma di ripartizione di compiti, a cui l’Italia potrebbe contribuire con le proprie competenze di politica culturale e di tecnologie spaziali e navali, mentre altri dovrebbero mettere quelle digitali, di intelligence, strategiche…

Fabbrini suggerisce a questo punto, molto opportunamente, che l’Italia avanzi “una proposta di politica estera e militare sovranazionale, distinta da quella nazionale, che va preservata e razionalizzata”. Proposta molto appropriata, tenendo conto che l’Italia (come la maggior parte degli Stati membri) non si occupa attualmente di intelligence internazionale, di armi nucleari e spaziali, di gestione del web, di missili ipersonici militari, di regolamentazione internazionale del web, di corpi di pronto intervento internazionale, di guerra elettronica ed economica, di diplomazia culturale, e che, quindi, tutti questi compiti nuovi, che sono i più urgenti, non richiederebbero, da parte sua, nessuna “cessione di sovranità”, bensì la creazione “ex nihilo” di una Nuova Sovranità Europea.

Tuttavia, questa proposta finirebbe per cadere nel dimenticatoio, in quanto inutile,  come tutte le altre che l’hanno preceduta se:

a)non fosse inserita nella Conferenza sul Futuro dell’ Europa che sta per cominciare;

b)continuasse ad essere concepita come un succedaneo della CED, cioè come un raggruppamento di divisioni di fanteria europee sotto l’egida dell’esercito tecnologico americano, e finalizzato a puntellare qua e là la strategia di controllo del mondo da parte dell’ Apparato Informatico-Militare occidentale.

Per poter esistere, una vera Politica Estera e di Difesa dell’Europa dovrà costituire invece una forza nuova e originale del XXI° Secolo, e ciò non potrà avvenire se non al servizio dell’Umanesimo Digitale, non già a favore della diffusione universale dello “Sviluppo” tecnocratico. Si tratterebbe di un’inversione di rotta di 180° : le “minacce strategiche” ch’esso sarebbe chiamato a fronteggiare non sarebbero più, né quelle delle grandi potenze eurasiatiche, né quella del terrorismo internazionale, bensì quella della Società del Controllo Totale (il “Robottu Okoku”, l’ “Impero dei Robot” dei manga giapponesi, quello contro cui si scagliano da sempre i Supereroi delle fanzine):una società  che dovrà essere analizzata, regolamentata, controllata, smantellata e sostituita con un nuovo sistema mondiale di interfacciamento uomo-macchina, di cui l’Europa potrà mettersi a capo se disporrà anch’essa di un suo presentabile esercito tecnologico, da spendere al tavolo delle trattative internazionali. Tra l’altro, nessuna politica globale (a cominciare, come non si stanca di ripetere Rifkin, da quella ambientale) è possibile senza il completo dominio sulle tecnologie digitali, che l’ Europa dovrà procurarsi subito a qualunque costo.

Questa, del controllo internazionale sulle nuove tecnologie, non è certo una trattativa semplice (come hanno dimostrato ancora il Cop25), al punto che prima o poi sarà necessario un momento di discontinuità. Nessun imperativo eroico poterebbe essere condiviso più di questo da una generazione, come quella degli Anni ‘70 e ‘80, che è stata svezzata con i film di Mazinga.

QUALI STORIE PER IL XXI SECOLO? RISPOSTA A FRANCO CARDINI

L'”ipotesi dei Kurgan”

Commento, seppure in ritardo, il post del 9 giugno, di Franco Cardini (http://francocardini.it, che a sua volta rimanda a MC 250, 9.6.2019 – A CHE COSA SERVE LA STORIA? . ) dedicato alla questione “A che serve la storia?”- questione che, dal mio punto di vista (non di storico, ma di cittadino ed editore), costituisce un  necessario punto di partenza per ri-fondare una, oggi latitante, cultura europea-.

Per rispondere a quella domanda, occorre, a mio avviso, innanzitutto “porsi nella testa” dei fruitori della storia stessa,ma, prima ancora, definire quali siano i fruitori presi in considerazione per ciascun tipo di opera storica. Infatti, che la storia abbia mutato continuamente, nel tempo, il proprio angolo di visuale, deriva innanzitutto dal fatto ch’essa è stata scritta, di volta in volta, giustamente per rispondere alle esigenze di soggetti diversi: una dinastia, una casta sacerdotale, un’élite cittadina, un impero, una Chiesa, un regno, una nazione, una classe, un partito, una lobby. Oggi, il prof. Cardini  si riferisce alla costruzione di una “nuova società civile” internazionale. Ma siamo sicuri che anche oggi non sia più necessario che mai, se si vuole conseguire un qualche risultato concreto(storiografico e sociale), rivolgersi in modo differenziato almeno a due gruppi sociali distinti: da un lato, una ristretta élite colta, che è oggi più che mai “parte attiva” nella creazione di cultura, e, dall’ altra, un “ceto medio” (o meglio, ai diversi “ceti medi”, americano, europeo, medio-orientale, indiano, cinese), fruitore della cultura creata dall’ élite di cui sopra (quella che Cardini  chiama “onesta divulgazione”)? Il tipo di storia che si richiede ai due livelli è, infatti, a mio avviso, anch’esso differenziato. Credo infatti, in controtendenza rispetto alle retoriche dominanti che  la confusione fra cultura alta e cultura bassa, che si manifesta nella nuova categoria del “midbrow”, costituisca una delle ragioni fondamentali dell’inefficacia, a oggi, di qualunque forma di pensiero, perché nessuno viene posto, in tal modo, in grado  di esprimere ciò di cui sarebbe veramente capace.

Lingue e storie colte e popolari

1.Storia colta e storia popolare

Così come ci sono una lingua colta e una lingua popolare (cfr. “Es patrìda gaian”), ci sono  infatti a mio avviso una storia come scienza, destinata alle élites accademiche internazionali, e una storia come forma di educazione popolare e di formazione politica, che ha, invece, un carattere “locale” (oggi, sub-continentale). Un esempio di biforcazione fra storia elevata di carattere universale e storie locali può essere dato dalla distinzione fra la riflessione storico-teologica, di carattere universale, che ha caratterizzato tradizionalmente tutte le Chiese, e le grandi narrazioni “nazionali”, per definizione etnocentriche, tipiche delle scuole “nazionali”, soprattutto moderne.

A mio avviso, il carattere “locale” non può/deve oggi manifestarsi più a livello “nazionale”, bensì a quello delle “nazioni civiltà”(per dirla alla cinese), come gli USA,  l’India, la Cina e l’Europa. La frase “la Cina è uno Stato-civiltà” apre normalmente i libri di scuola nella Repubblica cinese.

Anche nel caso del nostro sub-continente, nonostante che, da parte di molti, si asserisca che un’identità europea non esiste, poi di fatto l’”establishment” europeo cerca incessantemente d’imporre, nel discorso pubblico, nei media e nelle scuole, una visione del mondo monolitica (il “patriottismo della costituzione”), ch’essa pretende essere universale, ma, invece, nei fatti, è solamente europea (o meglio, atlantica), e di cui poi, di nuovo contraddittoriamente, l’ establishment europeo si vanta come se fosse sua propria (i cosiddetti “nostri valori”). Un “pensiero unico” così contraddittorio che pretende di comprendere la critica dell’obiettivismo e l’esaltazione del metodo scientifico, la fine delle grandi narrazioni e la religione del progresso, la santificazione dell’Occidente e la pretesa multiculturale…A causa di queste sue contraddizioni, essa non è in grado di fungere, né da storia universale e scientifica, né da “grande narrazione” dell’Identità Europea. Uno dei principali obiettivi del dibattito sulla storia dev’essere appunto la negazione dell’idea che la storia di un subcontinente possa identificarsi con una sola narrazione esclusivistica.

Nel decidere sul modo di fare storia, si compie comunque, che lo si voglia o no, un’operazione eminentemente politica: un passo importante nella definizione della struttura di potere che si vorrebbe domini nella successiva fase storica, perché con essa innanzitutto si formano le élites, e, in secondo luogo, si influenzano i popoli. Oggi, nel 2019, le nuove élites mondiali, per potersi orientare nelle questioni radicali poste dalla prospettiva della “singularity”, perseguita dalle multinazionali dell’informatica, hanno bisogno di una nuova cultura (etica, teologica, filosofica, scientifica, politica, economica), molto ampia. Questo tipo di storia è chiamata a contribuire a rispondere a una precisa, impegnativa, domanda: come gestire il mondo globalizzato nella fase di transizione verso le macchine intelligenti? Essa non può pertanto essere scritta prescindendo da una domanda sul senso della tecnica nella vicenda dell’ Umanità. Inoltre, affinché ci possa essere un dibattito significativo nell’ ambito dei consessi a ciò delegati (come oggi è il G20), occorre che questa comprensione universale della storia da parte delle élites sia in grado di trasformarsi anche in un fattore politico, capace intanto d’influenzare le decisioni e degli orientamenti dei Governi che partecipano all’elaborazione dei progetti, e poi in generale la cultura dei partiti, delle Amministrazioni e delle diplomazie:  quella ristretta élite che, nonostante l’omologazione, la crisi economica, la dittatura delle macchine intelligenti e del pensiero unico, può ancora permettersi di affrontare questioni culturali complesse.

La “storia universale dovrebbe incorprare

anche tematiche “esotiche”

2.Orientamenti  fondamentali per una  “storia alta” universale.

Per ciò che riguarda la parte storica della “cultura alta” per il XXI secolo, occorrerebbe a mio avviso, seguire quattro direttive fondamentali:

a.Appoggiarsi su una base filosofica comparatistica. Infatti, come bene scriveva Rosemberg, lo sviluppo delle tecnologie ha sminuito la fiducia per la cosiddetta “teoria della mente”, secondo la quale possiamo ricostruire i fenomeni sociali partendo dalla supposizione di una “mente” comune fra gli uomini, ricalcata sulla conoscenza introspettiva della nostra stessa psiche. Occorre pertanto individuare, anche se in modo empirico, un metodo alternativo per fondare comunque un discorso, come per altro avevano saputo fare, seppure a sprazzi, le culture  alte dell’antichità (per esempio la Bibbia, i  Veda o Confucio) proprio grazie alla loro indeterminatezza (si pensi al biblico “anì eyè ashèr eyè”). Dunque, abbandonare, intanto, la finzione moderna delle “idee chiare e distinte”.

Proprio per il carattere episodico con cui ci si presentano le risposte delle filosofie “alte”, nessuna di esse può riempire da sola il vuoto di senso della post-modernità. Per questo occorre fare appello a tutte le grandi culture contemporaneamente.

Ciò è possibile perché anche e soprattutto i concetti occidentali che a noi appaiono “unici”, e, quindi, inaggirabili,  come quello di tempo lineare, di salvezza, di “rivoluzione”, di “età dell’oro”, di “élite”, di “moderazione”, di “democrazia”, di “diritti”, si possono comprendere veramente solo in un’ottica comparatistica. Ad esempio, la “storia lineare”, lungi dal costituire l’elemento di unicità dell’ “Occidente”,  è un semplice impoverimento dell’idea primordiale degli “Eoni”, impoverimento che, in un’ottica comparatistica, si può benissimo seguire nelle sue varie fasi: gl’infiniti “kalpas”degl’Indù, gli eoni finiti per gli zoroastriani, la duplice storia sacra del Talmud, l’unica Storia degli Occidentali. Per altro, come aveva accennato Toynbee, questa “Storia Lineare” occidentale non è incompatibile con la credenza nell’infinità di universi paralleli.

Anche la “salvezza” c’è in tutte le culture dell’ Epoca Assiale, dalla “moksa” indù all’immortalità taoista, al Salvatore mazdeo.  La “Rivoluzione” è la forma naturale di passaggio da una dinastia all’ altra nell’ Impero Cinese. L”Età dell’ Oro” è un concetto tipicamente vedico, e in Confucio si identifica con il buon governo dei Zhou Occidentali (il “Dadong”).

L’idea di “élite”, lungi dall’ essere un’invenzione di Moasca, Michels e Pareto, costituisce il nocciolo duro del confucianesimo, il quale contrappone il “gentlemamn” (junzi) all’uomo volgare (xiao ren).

Il “governo misto” esaltato da Aristotele, Cicerone, San Tommaso, Montesquieu,  Saint Simon,  la Dottrina Sociale della Chiesa e l’Economia Sociale di Mercato è quello che in Cina si chiama “Società moderatamente prospera” e costituisce oggi l’obiettivo del programma del PCC.

Anche la “democrazia” c’è in tutte le culture, ma, per lo più, come concetto negativo. Essa equivale, nelle culture classiche occidentali, ma anche in altre, come quella egizia o persiana, a periodi storici ”di torbidi” (come quello di Clistene), che preludono all’intolleranza (il processo a Socrate), alla tirannide (come quella  di Pericle,”protos anèr”), oltre che a catastrofi come la spedizione in Sicilia e a crimini come la strage dei Meli. Nel Confucianesimo, essa s’identifica con le fasi rivoluzionarie, che scandiscono il passaggio da una dinastia all’ altra.

Per tutti i motivi che precedono, gli storici del futuro potranno  comprendere  pienamente il loro tempo solo grazie a una cultura decisamente comparatistica, fondata sulla filologia generale e comparata, sullo studio delle lingue classiche come il Greco e il Latino, l’ Arabo e il Persiano, ma anche l’ Egizio, l’ Accadico, il Sanscrito, il Persiano antico, medio e moderno, il Cinese e il Giapponese classici – e, in particolare, con una storia sincronica come quella proposta a suo tempo da Toynbee e da Eisenstadt.

b.Per comprendere la continuità e contiguità delle diverse memorie culturali, un valore fondamentale assume l’”Epoca Assiale” (Jaspers, Eisenstadt, Kojève) , che ci permette di vedere i tratti comuni a tutte le grandi civiltà “storiche”. Ciò che viene chiamato tradizionalmente “tradizione” è racchiuso in questo patrimonio comune dell’ “Achsenzeit” (cfr. l’omonima, recente, opera di Jan Assmann).

c.Utilizzare non solo concetti storico-filosofici occidentali, come “religione” o “progresso”, ”Oriente” o “Occidente”, ma anche concetti propri di altri ambiti e fasi culturali, come “kalpas”, “bu”, “bun”,“dao”, “jiao”, “Tian Xia”, “Da Qin”….. Tra l’altro, non è vero che la storia sia necessariamente etnocentrica, perché gli storici eurasiatisti, come  Murakami, Mackinder, Gumiliov, e, oggi, anche Frankopan, sono riusciti a intravvedere un filo conduttore della storia dell’ intera Eurasia, ricondotto sulla funzione unificatrice dei popoli delle steppe (“kiba minzoku”), che sono promiscuamente indo-arii (indiani, persiani, greci, italici, celti, germani, baltici  e slavi),  Uralo-altaici (unni, turchi, tartari, mongoli….), semiti (amorrei, ebrei, arabi, caraiti).

In questo modo, si potrebbero finalmente esaminare in modo scientifico i nessi fra progressismo e apocalittica persiana; le evoluzioni delle idee centrali del Cristianesimo fra l’Impero Romano, le eresie e le religioni politiche attuali; il sorgere, tardivo, contrastato e contraddittorio, dell’ossimoro “liberalismo e democrazia”….

e.Inserire trasversalmente, in qualunque opera di carattere storico, anche i corrispondenti  aspetti di storia delle  tecnologie dell’informazione, della registrazione, della comunicazione, dell’organizzazione, della manipolazione biologica e psicologica, dall’arte della guerra, fino dalle antiche monarchie  sacrali e dalle antiche vie commerciali internazionali   (ad esempio, la storia delle lingue,  della scrittura, degli archivi, delle forme letterarie, del diritto, dell’ economia, della scuola, dei riti, degli eserciti);

f)considerare la “storia alta” come eminentemente “revisionistica” -cioè  libera dai tabù religiosi, moralistici, accademici e politici (la pretesa “tolleranza” naturale fra le religioni; l’obbligo della “condanna” delle brutture del passato; il rispetto  per i “mostri sacri” e dei “verdetti del tribunale della storia”…).

 

Gli  antichi popoli “tribali” e “federali” d’Europa

3.La storia popolare europea

Nel caso dell’Europa, la storia “divulgativa” dovrebbe fornire le competenze minime per poter essere cittadini europei. Purtroppo, anche in questo campo c’è una totale carenza, da un lato per una serie di scelte politiche sbagliate, ma, dall’ altro, per un’obiettiva difficoltà d’insegnare la storia a un popolo (o a un fascio di popoli), quando non la si è capita neppure noi. Basti dire che tutti gli Europei (anche colti) sanno pochissimo della storia europea (cosa sono Çatal Hüjük, Lepenski Vir, i Kurgan, il Regnum Bospori, i Khazari, la Rzeczpospolita, il cosmismo, i “Fratelli della Foresta”, il “funzionalismo”,….?). Eppure, tutti questi fenomeni hanno influenzato profondamente l’arrivo dell’ agricoltura, l’avvento delle aristocrazie, il rapporto fra Oriente e Occidente, l’identità europea, la post-modernità, l’”Europa di Visegràd”, l’integrazione europea in generale…

Quindi:

  1. a) innanzitutto, nessuna paura di cadere nel “nozionismo”. Un po’ di nozioni sull’ Europa ci vuole.Basta con i miti trasferiti pedissequamente dalla contro-riforma Bottai, al sessantottismo, alle recenti “riforme ministeriali”(cfr. Galli della Loggia, “L’aula vuota”). Pensiamo che in Cina e in Giappone gli allievi dedicano tre anni praticamente solo a apprendere i “caratteri cinesi”, ma, poi, il loro rendimento scolastico e lavorativo, anche in materie come la matematica e le scienze, risulta nettamente superiore a quello di giovani Occidentali.

      b)non credo che la storia europea, anche quella popolare       debba      essere scritta e insegnata con lo stesso spirito settario (la “Bible du Peuple”di Michelet) con cui era stata scritta (e ancora viene scritta) la storia italiana, prima concentrata su una mitologia ghibellina, sabauda e anticlericale, poi rivisitata in chiave nazional-fascista, e, infine, divenuta tutta un preteso precorrimento dell’alleanza antifascista. Se non altro perché l’Europa è molto più grande e più varia dell’Italia, la storia dell’Europa, anche quella popolare e divulgativa, dovrà tener conto almeno delle storie atlantica, euro-orientale, medio-orientale ed asiatica, dei politeismi, delle tradizioni monoteistiche, della modernità ma anche della pre-modernità e della post-modernità.

Riassumendo:

Vi è un’impressionante continuità di concetti nella storia e nella cultura politica di tutti i Paesi del Mondo, che dev’essere sfruttata oggi per avere un punto di appoggio nell’affrontare una situazione imprevista, in cui sono venuti a mancare tutti i punti di riferimento. Tra l’altro, è falso che la nuova società delle macchine intelligenti con cui ci stiamo confrontando sia un prodotto esclusivo dell’Occidente. L’ossessione per gli automi era condivisa dalla Cina imperiale, dall’ Oriente ellenistico e dalla Qabbalah ebraica. Le ricerche sui computer sono partite contemporaneamente in Europa, in America, in Cina e in Israele; molte idee sui robot sono di origine shintoista o ebraica; oggi, i computer più potenti, e in particolare quelli quantici, sono cinesi…Ma già la post-modernità traeva le sue radici da fenomeni premoderni e trasversali, come la storia sacra, la “comunità dei credenti,” le comunità di lavoro di carattere comunitario e corporativo, l’ermeneutica sacra…

In particolare,  gli studiosi di storia (ma anche quelli di filologia, filosofia, letteratura, arti, scienze umane), hanno una responsabilità e un ruolo enormi nel gettare le basi teoriche per affrontare gli spinosi, e oramai improrogabili, temi del controllo culturale sulla rivoluzione digitale e del coronamento, nell’autonomia culturale, politica e militare, dell’integrazione dell’Europa.