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“KISSING TRUMP’S ASS”Un vizio di tutti gli establishments europei (i”Parassiti”).

Quando, dopo la caduta del Muro di Berlino, si era incominciato a parlare di un’“Accelerazione della Storia”, non si era compresa tutta la vastità della trasformazione avviata alla fine del Secolo XX, con le Guerre Umanitarie, il Worldwide Web, il progetto della Singularity, lo sfaldarsi delle ideologie, la contendibilità dell’ Europa, le Macchine Intelligenti, il primato economico della Cina, la “Guerra senza Limiti”, Echelon e Prism, l’Intelligenza Artificiale, le Democrazie Illiberali, i BRICS, il Russkij Konzervatizm, l’ascesa del sovranismo, le transizioni ambientale e digitale, i GAFAM e i BAATX, le guerre nello spazio post-sovietico..
Trump è stato un ulteriore formidabile acceleratore della trasformazione in corso : abolizione del limite al terzo mandato, come in Russia e in Cina; fusione fra potere presidenziale e oligarchie informatiche (Musk, Thiel, i GAFAM); espansione territoriale verso tutte le aree strategiche (Canada, Groenlandia, Panama, Gaza); superamento della “ragnatela di organizzazioni internazionali” create nel dopoguerra e funzionali all’ egemonia USA (Ikenberry); limitazione dei poteri della magistratura e dell’ autonomia della stampa, secondo il modello delle “Democrazie Illiberali”; presa di distanza da Ucraina e Unione Europea..
Soprattutto in Europa, moltissimi (ancora impegolati come sono in vecchie narrazioni e soprattutto nella comodità della simbiosi con gli USA) fanno fatica a riconoscere tutte le implicazioni di queste nuove realtà, e tentano fino all’ ultimo di negarle e scongiurarle, come quelli che sostengono che non occorrerebbe reagire ai dazi imposti all’ Europa, per non “scavare un fossato fra noi e gli USA”, perchè questi ultimi “erano e restano il nostro principale alleato”, e quelli che vogliono costruire un “patriottismo occidentale” vassallo dell’ America. Ma perché mai gli USA dovrebbero restare il nostro principale alleato, se tutti i loro interessi (culturali, economici, tecnologici e politici) sono opposti ai nostri, come Trump ha dichiarato e dimostrato ad abundantiam?
Trump fa di tutto per alienarsi le simpatie degli altri Paesi (soprattutto europei), con il palese disprezzo che egli e i suoi ministri trasudano da tutti i pori, come, in particolare, con l’ultima esternazione, secondo cui decine e decine di capi di Governo starebbero “kissing his ass” per ottenere sconti sui dazi: “please please sir let me make a deal, I’ll do anything, I’ll do anything,sir.” Cosa che certamente sta facendo innanzitutto la nostra Primo Ministro, svuotando così la sua pretesa di “sovranismo”(e quella dei suoi alleati). Un’Italia sempre più mendicante. Un minimo di decenza: dopo “Giuseppi” e il bacio di Biden, ci mancava ancora essere i primi ad andare a Washington dopo l’ingiuria di Trump…
Ma è l’idea stessa che occorra comunque negoziare (condivisa da tutti i leader europei) a rafforzare la narrativa di Trump (quella del “kissing the ass”), mentre accettare l’escalation fino alle estreme conseguenze, come sta facendo la Cina (riscuotendo il rispetto perfino di Trump), finirà per ridicolizzare l’America. Infatti, i Cinesi hanno riempito i loro magazzini in America di merci senza dazi, da vendere in USA nei prossimi mesi, mentre le imprese americane sono in difficoltà per i dazi e per le difficoltà di approvvigionamento dall’ estero.
Non reagire alle nuove realtà è sempre sbagliato, perché esse presentano, comunque, non solo pericoli, ma soprattutto opportunità che occorre sfruttare. Nel caso “Europa vs. Stati Uniti”, il problema non è se introdurre dazi “reciproci” come dice Trump, come ha fatto la Cina e stava per fare l’Unione Europea, bensì quello di approfittare “asimmetricamente” (come con una mossa di Karate) della nuova situazione per fare ciò che prima non avevamo neppure osato pensare, ma che pure avremmo dovuto fare da gran tempo: costruire finalmente una nostra cultura, una nostra industria di alta tecnologia e un nostro esercito, capaci di fronteggiare qualunque avversario nel mondo volesse attaccarci (vedi per esempio il caso Groenlandia). Senza accettare la narrazione vittimaria di Trump, che stravolge completamente la realtà, cioè quella di un potere imperiale americano che ha saccheggiato, e ancora saccheggia, il mondo intero, ma ora si atteggia vittima perchè non riesce più a farlo bene come un tempo (di qui la sua nostalgia per l’”Età dell’Oro”).

  1. ReArm Europe potrebbe diventare un’arma negoziale contro Trump?
    La diatriba fra coloro che vogliono “reagire” ai dazi e coloro che vogliono “trattare” è quindi mal fondata. Innanzitutto, perché in ambo i casi si resta nell’ orizzonte concettuale di Trump, che considera i dazi come un dato di fatto, su cui costruire un compromesso comunque a suo favore. Ma i dazi americani sono un problema per chi vuole esportare in USA prodotti materiali in America, non per chi è disposto ad esportare invece in Cina, o anche in America, ma soprattutto servizi (digitali e no). Perciò, se l’Europa vuole avere un’arma contrattuale, gli eventuali dazi “reciproci”, come se li immagina Trump, e su cui stanno discutendo gli Italiani e gli Europei, non sono la soluzione più efficace.Per timore reverenziale verso USA, l’Europa si è trattenuta da 80 anni da fare tante altre cose: cultura, informatica, politica internazionale, alta tecnologia, satelliti, bombe atomiche, ritirare le riserve auree. Basterebbe fare alcune di queste cose, oppure anche solo attuare seriamente le esistenti normative UE in materia informatica (come le sentenze Schrems), per provocare agli USA (e soprattutto agli oligarchi che circondano Trump), danni ben più gravi di quelli che gli USA ci stanno provocando con le loro sanzioni.
    Gli 800 miliardi di ReArm Europe, se ben utilizzati, ci permetterebbero infatti di rifondare letteralmente Stato ed economia in Europa. Quei soldi (tanti o pochi che siano)non vanno quindi sprecati continuando a finanziare le basi americane e i GAFAM, o comprando degli F-35 con la “Kill-Pill” incorporata, bensì creando un’Accademia Superiore di Cultura Europea, un’ Accademia Digitale Europea e un’Accademia Militare Europea, un’Agenzia Europea per le Tecnologie (confronta il nostro “European Technology Agency”), una Società Europea per le Alte Tecnologie, delle grandi piattaforme europee, un’Arma Europea Missilistica e Nucleare, un Alto Comando Europeo, un Servizio Segreto Europeo, un Esercito Europeo e, infine, una vera Bomba Atomica Europea (che, oggi, dovrebbe essere trasportata da un missile ipersonico a traiettoria casuale, come l’Oreshnik russo).Questo sarebbe l’unico vero contributo possibile alla Difesa Comune Europea, perché è l’assenza di tutto ciò che non ci rende credibili, non già il livello troppo basso della spesa, che, è, in realtà, il doppio della spesa della Russia.Non credibili non solo e non soltanto per un’(auspicabilmente improbabile) guerra nucleare, ma anche e soprattutto per le continue trattative sui dazi, sull’ Intelligenza Artificial, sui dati, sulle guerre in corso, dove lo “status” nucleare conta, eccome…
    Invece, l’”arriere pensee” di Trump è che il 5% del PIL europeo dovrebbe essere speso per pagare agli USA cose che non ci servono: missili, bombe, cacciabombardieri, servizi digitali e finanziari, gas GLM..).
    Si noti anche che applicare le esistenti normative europee sull’ High Tech (GDPR, Sentenze Schrems, interruzione dei contratti delle Istituzioni con i GAFAM, Antitrust, fisco, Digital Service Act, Artificial Intelligence Act, Anti-Coercion Act), citate talvolta nell’ ambito della “guerra dei dazi”, sarebbe certo lodevole e necessario, ma non costituirebbe neppure “una rappresaglia” (come pensano i più), bensì semplicemente un atto da gran tempo dovuto; anche l’introduzione di nuove norme sull’immagazzinamento dei dati e sullo “spezzatino” dei GAFAM sarebbe una decisione politica da gran tempo necessaria, indipendentemente dai dazi di Trump.
    Anche la distinzione fra “iniziative europee” e “iniziative degli Stati Membri” è ingannatrice. Esistono anche le iniziative intergovernative (per esempio la politica dello sviluppo), sotto forma di consorzi o di società di capitali con partecipanti pubblici e privati, centrali e locali (ESA, Ariane, BEI) .La European Technology Agency potrebbe benissimo essere costruita appunto come l’ ESA (European Space Agency). Le due agenzie potrebbero perfino fondersi.
    Infine, “l’arma atomica” contro gli USA sarebbe costituita dall’ adesione dell’UE alle Nuove Vie della Seta. Essa infatti non si riferisce all’ import-export, bensì a una collaborazione più complessa, nei trasporti, nella cultura e nella tecnologia. Stupisce che nessuno l’abbia ancora riproposta.
  2. .Perché parlare solo del disavanzo commerciale?
    Ricordiamoci anche che, se vi è un “disavanzo commerciale” fra USA ed UE, non vi è invece un “disavanzo nella bilancia dei pagamenti”, perché il disavanzo commerciale è compensato dalle esportazioni, dagli USA, di beni immateriali (ben più strategici), e dal signoraggio del dollaro. In pratica, il mondo produce beni materiali e li invia (in parte) in USA, e, da parte loro, gli USA producono ideologia, potere e biglietti di carta (i dollari), e li inviano nel resto del mondo come pagamenti (ma soprattutto come leve del loro potere potere). Questa dinamica è particolarmente evidente con l’Europa, che non è una sfruttatrice parassitica, bensì un ostaggio degli USA.
    Le lamentele USA sono del tutto immotivate; sono solo un pretesto per cercare di far pagare agli altri Paesi il debito pubblico americano, che è generato semplicemente dal “signoraggio del dollaro”, il privilegio degli USA di stampare moneta senza limiti, perché secondo gli iniqui accordi esistenti: (i)i Paesi occidentali sono obbligati a fare le loro transazioni in dollari; (ii)gran parte delle loro riserve auree sono depositate negli USA, (iii) molte testate nucleari sono stoccate in Europa, con evidenti scopi di ricatto. In questa situazione, chi dovrebbe lamentarsi e ribellarsi sono gli alleati, non gli USA. Siamo di fronte al discorso del lupo nella favola del Lupo e dell’Agnello.
    Inoltre, come dimostra il ricorso della Cina all’OMC, prima di passare alle vie di fatto o di trattare, c’è un’ancora un’altra soluzione, che consiste nel pretendere il rispetto dei molti trattati ancora in vigore, che ancora vincolano gli Stati Uniti e che Trump viola programmaticamente. Allora aveva ragione chi sosteneva che i trattati sono pezzi di carta?Mettere gli USA sul banco degl’imputati serve comunque per chiarire a tutti che gli USA stanno distruggendo il meccanismo da loro stessi creato per schiavizzare il mondo,e sul quale sono purtroppo ancora basate le nostre false ideologie!
    Fortunatamente, i dazi stanno praticamente isolando gli USA dal mercato mondiale, perché rendono molto difficile a tutti i Paesi il commerciare con gli USA, ma non impediscono loro affatto di commerciare fra di loro, di modo che il loro commercio internazionale non ne risulterà complessivamente danneggiato, bensì anzi favoritom come è successo fra Cina e Russia con le sanzioni. Il presidente del fondo sovrano russo, Dmitriev, ha fatto notare il paradosso per cui le sanzioni occidentali, invece di danneggiare la Russia, l’hanno resa più autonoma dall’economia occidentale, con risultati positivi per Mosca, al punto che oggi non è la Russia a chiedere la rimozione delle restrizioni. Sono piuttosto le aziende statunitensi, secondo Dmitriev, a mostrare interesse per un ritorno sul mercato russo, e se questo richiedesse un allentamento delle sanzioni, sarebbe un passo vantaggioso principalmente per gli Stati Uniti. Tant’è vero che, paradossalmente, Trump non ha assoggettato Russia, Bielorussia, Cuba, Iran e Corea del Nord ad alcun dazio, mentre ha introdotto un dazio contro l’Ucraina e Israele. Infatti, le cifre presentate da Dmitriev confermano come le sanzioni hanno finito per colpire soprattutto le imprese statunitensi, mentre la Russia, sostenendo di non aver più bisogno dell’Occidente, si trova oggi in una posizione negoziale più forte, avendo anche nazionalizzato a prezzi di saldo le filiali russe delle multinazionali.Come diceva il compianto Kissinger: “Essere nemici degli USA è pericoloso, ma essere loro amici è fatale”.
    Prendendo per buono il valore nominale del Pil dei vari blocchi economici, quello degli USA è di 28.303,00 miliardi di dollari su 85.52 trilioni del mondo intero e 17 mila miliardi di euro della UE. Ciò implica che quest’ultima può esportare verso paesi terzi che hanno, complessivamente, un PIL di 68.52 trilioni, e nessun dazio. Sarebbe l’occasione in cui l’Europa potrebbe divenire veramente indipendente, sfruttando innanzitutto l’enorme potenziale commerciale della Cina:
    “China—thanks in part to ambitious industrial policy efforts such as Made in China 2025—produced almost half the world’s chemicals, half the world’s ships, more than two-thirds of electric vehicles, more than three-quarters of electric batteries, 80 percent of consumer drones, and 90 percent of solar panels and critical refined rare-earth minerals. And Beijing is taking steps to ensure its dominance continues and expands: China was responsible for half of all industrial robot installations worldwide (seven times as many as the United States), and it is a decade ahead of anyone else in commercializing fourth-generation nuclear technology, with plans to build over 100 reactors in 20 years.” (Foreign Affairs)
    Come ha scritto Cacciari su “La Stampa”, “L’Europa ha interessi vitali a rappresentare il punto di mediazione tra Occidente, Oriente, Mediterraneo e Africa. Interessi vitali a porre termine a guerre civili al proprio interno e a conflitti armati ovunque si manifestino. Un’unità d’azione per fronteggiare l’attacco sui dazi che non si fondi su questa visione strategica varrà meno di un’aspirina.”
    3.Il “Liberation Day” ha spiazzato i settari europei di tutte le fedi.
    E’ chiaro che, con la sua politica dei dazi, Trump ha rivoluzionato il sistema geopolitico mondiale (anche a costo di danneggiare gli USA), pur di realizzare il suo progetto politico di riportare in America la manifattura, rivitalizzando il “Rust Belt” come vorrebbero gli operai americani. Quanto ciò sia realistico in una situazione di alta occupazione e in parallelo al blocco dell’ immigrazione, lo si vedrà. Tuttavia, non si tratta di una politica nuova per gli USA, che l’hanno tradizionalmente adottata tutte le volte che si sono sentiti deboli. Come scriveva già 200 anni fa Friedrich List, dazi e liberalizzazioni hanno scandito fin dall’ inizio alternativamente l’espansione dell’Anglosfera, prima Impero Britannico, poi Stati Uniti. e i risultati sono stati sempre inconcludenti se non addirittura catastrofici.
    Il XIX secolo aveva segnato addirittura l’età dell’oro dei dazi negli Stati Uniti, con un tasso medio che sfiorava regolarmente il 50 per cento: un’estensione della dottrina adottata sin dalla fondazione del Paese, che sosteneva la protezione dell’economia americana durante la fase dell’industrializzazione: “Studi accurati di quel periodo suggeriscono che i dazi hanno contribuito a proteggere in una certa misura lo sviluppo interno dell’industria”, ha affermato Keith Maskus, professore presso l’Università del Colorado, “Ma i due fattori più importanti erano l’accesso alla manodopera internazionale e al capitale che fluiva negli Stati Uniti durante quel periodo”.Io aggiungerei anche l’appropriazione delle terre e delle risorse naturali degli Indiani. Secondo Christopher Meissner,infatti, oltre a questi fattori un altro “motivo per il quale negli Stati Uniti il settore industriale era fiorente, era legato alla grande disponibilità di risorse naturali”:carbone, petrolio, minerale di ferro, rame e legname, tutti essenziali per l’industria. Ma “il settore industriale non sarebbe stato meno sviluppato se avessimo avuto dazi molto più bassi”, ha aggiunto Meissner.
    3.La ‘Gilded Age’
    Spesso Donald Trump cita come modello l’ex presidente degli Stati Uniti William McKinley, il ‘padre’ dell’ondata di dazi approvata nel 1890 negli anni tra il 1870 e il 1913 – la cosiddetta ‘Gilded Age’ – il periodo in cui gli Stati Uniti sono stati più ricchi. Eppure, la tassazione doganale voluta da McKinley non impedì alle importazioni di continuare a crescere negli anni successivi al 1890, tanto che, quando nel 1894 fu deciso di abbassarla, la quantità di beni che gli Stati Uniti acquistavano all’estero rimase al di sotto dei picchi raggiunti negli anni precedenti.
    Nel 1929, George Roorbach aveva scritto che “dalla fine della guerra civile, durante la quale gli Stati Uniti erano stati sotto un sistema protettivo quasi, se non del tutto, senza interruzione, l’importazione si era enormemente espansa e le fluttuazioni che si verificarono sembrano essere correlate principalmente a fattori diversi dagli alti e bassi delle tasse doganali”. Un anno dopo fu il presidente repubblicano Herbert Hoover a imporre una stretta ai dazi: lo Smoot-Hawley Tariff Act del 1930 è ricordato soprattutto “per aver innescato una guerra commerciale globale e aver aggravato la Grande depressione”, afferma il Center for Strategic and International Studies.
    La fine della Seconda Guerra Mondiale aveva segnato l’inizio di una nuova era nel commercio internazionale , definita dalla ratifica nel 1947 da parte di 23 paesi, tra cui gli Stati Uniti, dell’accordo di libero scambio Gatt che creò le condizioni per lo sviluppo del commercio internazionale, imponendo dazi doganali più moderati. Questo slancio fu mantenuto dal North American Free Trade Agreement (Nafta) tra Stati Uniti, Messico e Canada, entrato in vigore nel 1994. Accanto al Nafta, il libero scambio negli Stati Uniti fu ulteriormente ampliato dalla creazione dell’Organizzazione mondiale del commercio nel 1995 e da un accordo di libero scambio del 2004 tra gli Stati Uniti e diversi Paesi dell’America centrale.
    4.I dazi di Trump si scontrano contro la Grande Muraglia
    Nel XX Secolo, l’America puntava a liberalizzare i commerci per permettere alle sue multinazionali, in vantaggio dal punto di vista tecnico ed economico, di fare affari ovunque, senza interferenze degli Stati esteri. Le norme liberalizzatrici avevano un carattere generale, ma così favorivano chi era più forte nella sostanza (allora, l’America). Ora che le imprese più forti sono divenute quelle cinesi, l’America decide di separare i singoli mercati nazionali, per poter negoziare con ciascun Paese in base a criteri extra-economici (affinità ideologica, alleanze, interessi della famiglia Trump..), sfruttando le debolezze di ciascuno, e imporre sanzioni, dazi, bandi, preferenze, limitazioni, esenzioni, caso per caso (l’“Advocacy” delle imprese nazionali). In questo come in altri infiniti campi (ideologia, Stato-mercato, rapporti con le oligarchie), gli USA, come molti altri Paesi) si stanno dunque allineando (con quella che Girard ha chiamato “Rivalità mimetica”) al modello cinese di negoziati sovrani fra Capi di Stato (come nell’ antico “sistema tributario” del Celeste Impero. Comunque vadano le cose, la Cina vincerà dunque almeno la sua guerra culturale.
    Durante il suo primo mandato, Trump aveva già deciso nuove misure contro la Cina, molte delle quali furono mantenute sotto Biden. Ma nonostante quelle imposte, il deficit commerciale degli Stati Uniti con la Cina aveva continuato a crescere fino al 2022, quando il gigante asiatico fu colpito da un rallentamento economico non correlato alle tariffe.
    Di fronte a questo scenario inedito, tutto l’”establishment” italiano ed europeo, nato dalla lottizzazione partitocratica e culturale -liberali, cattolici, marxisti-, non sa più come atteggiarsi. La Cina “comunista” è risultata più “efficiente” dell’Occidente “liberale”; il “fascista” Trump è stato il primo a portare i sindacalisti a parlare dalla sua tribuna alla Casa Bianca, con tanto di casco antinfortunistico e “gilet jaune”; la sinistra europea parteggia per Wall Street; la Germania sta pensando di ritirare 1.200 tonnellate d’oro (per il valore di 24miliardi di dollari), dalla U.S. Federal Reserve, e di investire 1000 miliardi in armamenti.
    Il preteso “liberismo” non esiste ormai più, con lo Stato americano che decide centralmente dove comprare e vendere, quali imprese favorire e quali svantaggiare, a chi trasferire enormi masse monetarie (sussidi, investimenti, pensioni, commesse pubbliche), e tutto è gestito da “oligarchie” che vivono in simbiosi con i vertici politici (basti vedere la famiglia Trump, i GAFAM, ecc…).
    Da parte sua, la Cina stava preparandosi da almeno un trentennio alla guerra dei dazi con gli USA. Infatti, due colonnelli cinesi, Qiao Liang e Wang Xiangsui, avevano definito, già nel 1996, Osama Bin Laden, prima degli attacchi agli Usa, come l’interprete più efficace di un nuovo tipo di guerra, descritto in “Guerra senza limiti”(tradotto a cura della CIA e con il commento in Italiano, di Fabio Mini), che riverdiva una millenaria tradizione del loro Paese nella trattazione delle tecniche militari, che vanta tra i suoi capostipiti il celeberrimo “L’arte della guerra” di Sun Tzu.
    5.”La Voce del Patriota
    Su La Voce del Patriota del 2019 si leggeva:
    “’Mentre Russia e Cina da anni continuano a comprare oro per liberarsi del dollaro, in Europa nazioni come Germania e Austria stanno riportando in patria i loro lingotti custoditi nelle banche estere, per mettersi al riparo da eventuali crisi.
    E’ bene ricordare che l’Italia è la terza nazione più ricca di oro al mondo, ma più della metà dei nostri lingotti sono detenuti fuori dai nostri confini, a differenza delle altre grandi nazioni che lo custodiscono gelosamente in casa propria.
    La nostra mozione per il rimpatrio dell’oro italiano è stata bocciata da tutte le altre forze politiche, ma il futuro Governo con Fratelli d’Italia restituirà l’oro agli italiani. E’ una promessa!’.
    Lo dichiara Giorgia Meloni, Presidente di Fratelli d’Italia, commentando il rischio di una tempesta finanziaria mondiale alle porte.
    L’Italia ha la quarta riserva aurea al mondo, ma il 52% è all’estero.
    L’Italia, con 2.452 tonnellate di oro costituito prevalentemente da lingotti (95.493) e per una parte minore da monete è quarta al mondo per riserve auree, dopo Stati Uniti, Germania e FMI. Il nostro tesoro, tuttavia, si trova per il 52% all’estero, mentre solo la restante parte è custodita nel caveau della Banca d’Italia. Il valore complessivo della riserva è di oltre 100 miliardi di euro.
    Fratelli d’Italia aveva presentato una mozione, bocciata da tutti, Lega compresa, nonostante Borghi e Bagnai predichino bene, razzolando male.
    ‘L’Italia riporti subito in Patria le sue riserve auree custodite all’estero. È partita la corsa all’oro in tutto il mondo per timore di una tempesta finanziaria: Russia e Cina aumentano le riserve auree, Germania e Austria lo rimpatriano; Usa, Uk, Francia e Svizzera costituiscono il “Golden Billion Group” e detengono riserve auree di molti Stati esteri. Mentre l’Italia, che è il terzo Stato possessore di riserve auree al mondo, lascia all’estero gran parte dei suoi lingotti.
    Una assurdità alla quale Fratelli d’Italia ha provato a mettere fine con una mozione, a mia firma, che è stata vergognosamente bocciata con il voto contrario di tutte le altre forze politiche: PD, M5S, Lega e FI.
    Oggi che il tema torna prepotentemente di attualità ed espone la Nazione a gravissime conseguenze, Fratelli d’Italia torna a chiedere che il governo e Bankitalia si attivino immediatamente per riportare all’interno dei confini nazionali l’oro degli italiani’.
    Lo dichiara il senatore di Fratelli d’Italia, Giovanbattista Fazzolari, responsabile nazionale del programma di FdI.”
    Come mai, dopo che Fratelli d’Italia è andata al governo, questa promessa è stata bellamente dimenticata? Non sarebbe ora che, visto che l’Italia vuole trattare “tête-à-tête” con Trump, venisse rispolverato questo tema, come ha fatto recentemente la Germania, che ha già riportato a casa almeno parte del suo oro?

2 APRILE: LA NOSTRA “EUROPEAN TECHNOLOGY AGENCY” – VERA “VENDETTA” PER I DAZI, RIPARTENDO DAL “MODELLO OLIVETTI (Ed.2)


(per vla versione con tutte le immagini, andare alla home page)

Nel momento in cui, pressata, da un lato, da Trump, e, dall’altro, da Zelenskij, la UE si è affrettata ad affermare la propria disponibilità a “sforare” le “sacre” regole di bilancio per poter investire di più nella difesa, diviene più che mai essenziale chiarire in che modo le nuove politiche di difesa dell’Europa s’inquadrerebbero in un discorso – culturale, etico e politico-, di respiro più ampio, che, lungi dal limitarsi a una contingente ripicca, tocca innanzitutto la guerra e la pace, ma poi anche le nuove tecnologie e il futuro dell’ Europa e del mondo, e, in secondo luogo, come possono contrastare dazi di Trump.
1.”Pax Aeterna”
Accanto a un’indubbia tradizione guerriera dell’ Europa, che risale agli Yamnaya, ai Greci, ai Romani, ai “barbari”, alle diverse monarchie e repubbliche (e che erroneamente viene interpretata come “democratica”), vi è stata fin dagli inizi, in Europa come altrove, una tradizione “pacifista”, ereditata dai grandi imperi orientali e divenuta dominante nella cultura del periodo augusteo (la “Pax Augusta”), quella che, paradossalmente, sembra la radice vera dell’ideologia “progressista”. Anche la parola d’ordine della “Pace Perpetua” è tutt’altro che nuova, essendo stata già lanciata dall’imperatore romano Filippo l’Arabo (il primo imperatore cristiano dell’Impero Romano), di cui ci è pervenuta una bella moneta con questa dicitura. Del resto, l’invocazione “ai costruttori di pace” contenuta nel Discorso della Montagna, sembra inserirsi proprio in questo secondo filone.
Questa dialettica ricorre in tutta la storia europea. Ogni impero, per sua natura, ha una vocazione universale, attraverso la sottomissione degli altri Paesi, creando una forma di pace, come annunziavano già le epigrafi sulle tombe degli Achemenidi: “parcere victis et debellare superbis”, il che è esattamente ciò che i teorici della “Fine della Storia” pensavano fino ad ora(e forse pensano ancora), i teorici dell’ Impero Americano.
I Persiani firmarono con i Bizantini, nel 532, un trattato di pace con, la “Pax Aeterna”, ai sensi del quale l’imperatore bizantino s’impegnava a pagare 11 000 libbre d’oro, destinate alla difesa dei passi del Caucaso contro i barbari, di cui si sarebbero dovuti occupare i Sassanidi( “Pace cinquantennale”, o “Trattato di Dara”), qualcosa che ricorda il 2% del PIL dovuto dagli Europei alla NATO per la difesa contro la Russia.
Il trattato doveva durare 50 anni, ma rimase in vigore solo fino al 572, quando Giustino II lo denunziò, dando inizio alla guerra del 572-591. Questa è stata sempre la sorte del trattati “di Pace Perpetua”, forse perché questa è possibile solo dopo la morte.
Il Sacro Romano Impero riprese il concetto della “Pax Aeterna” („Ewiger Landfriede“), ed, anzi, avviò un vero e proprio “movimento per la pace perpetua”, avviato con la “Pace dell’ Impero” del 1235, che sarebbe poi stato continuato da sovrani e intellettuali. Le pretese territoriali dei feudatari tedeschi si sarebbero dovute esprimere, d’ allora in avanti, non più con le faide, bensì attraverso azioni giudiziarie. Alla Dieta di Worms, del 1495, fu adottata la “Reichsgesetz”, che, creando il Reichskammergericht (il Tribunale Camerale Imperiale) di Francoforte , sanciva il monopolio imperiale dell’ uso della forza, mentre questa restava libera fra gli Stati indipendenti dall’ Impero.
2.I Progetti di crociata
Già allora la Pace Perpetua era legata a una politica di difesa dell’Europa. Se, all‘ interno dell‘ Impero, e, della Cristianità, doveva valere la Pace Perpetua, contro gl’infedeli (fossero essi mussulmani, albigesi, slavi o baltici) vigeva invece il diritto di guerra (così come nel mondo mussulmano, allo “Spazio dell’ Islam”, “Dar al-Islam”, si contrapponeva lo “Spazio della Guerra” (“Dar al-Harb”). Il concetto era che, quando il proprio impero avesse vinto contro tutti gli avversari, avrebbe potuto iniziare il “Millennio”, degna preparazione per il ritorno del Salvatore (lo Shaoshant mazdeo, il Mashiah ebraico, Gesù/Issa per Cristiani e i Mussulmani).
Ad esempio, l’accordo fra sovrani cristiani, il “Tractatus Pacis Fiundae”, proposto dal re boemo Giorgio Podiebrad, era un progetto di crociata. L’organizzazione delle crociate, originariamente compito del Papa e dell’ Imperatore, era stata così successivamente assunta da monarchi come i re di Francia e di Boemia, sotto la cui egida furono adottati i progetti di crociata (quelli di Dubois, di Podiebrad e di Sully), che introducevano organi politici paneuropei anticipanti quelli dell’ Unione Europea, potenzialmente alternativi a quelli dell’ Impero. Nonostante la decadenza dell’Impero e la frammentazione delle Chiese, non ci si rassegnava all’ idea che neppure fra i Cristiani potesse regnare la Pace Perpetua, e quindi si proponeva di attribuire ad organi collettivi la funzione regolatrice che, per Dante, spettava all’ Imperatore.
Il progetto di pace perpetua erroneamente attribuito a Kant, era, in realtà, dell’Abate di Saint-Pierre, un negoziatore del trattato di Utrecht, che si ispirava a quei precedenti medievali. Kant l’aveva semplicemente commentato, durante la Campagna d’Italia di Napoleone (quando si pensava che l’ascesa delle cassi borghesi avrebbe sostituito l’etica del commercio a quella della “gloria ed onore” di sovrani e aristocratici). Esso verrà ripreso nella versione russa della Santa Alleanza.Si noti che Kant, nonostante il suo commento favorevole alla proposta di Saint-Pierre, aveva paragonato anche, e giustamente, la Pace Perpetua a un cimitero.
Il Manifesto di Ventotene, scritto da alcuni antifascisti confinati nell’ isola di Ventotene, che si poneva come obiettivo quello si conseguire la pace in Europa mediante la creazione di una federazione, si riallacciava dunque al progetto di Saint-Pierre. Confondeva però, come questo e come i Progetti di Crociata, pace mondiale e pace europea, ordinamento internazionale e integrazione europea, ignorando fatti fondamentali come gli USA, la Russia, la Cina, il colonialismo e il dominio della tecnica. Tuttavia, coerentemente con le ambigue origini antiche del movimento per la pace, non ignorava invece la problematica bellica, ché, anzi, prevedeva che l’organizzazione militare dell’Europa fosse di competenza della Federazione. E’vero che il Manifesto contiene molte affermazioni pacifistiche, in particolare quella che “la federazione europea riduce al minimo le spese militari, permettendo così l’impiego della quasi totalità delle risorse a scopi di elevazione del grado di civiltà”. Gli estensori del Manifesto non potevano per altro immaginare che, nel nostro secolo, molte fra le spese “militari” sarebbero state dedicate proprio all’ “elevazione del grado di civiltà”, vale a dire quelle per la lotta della cultura contro il prevalere delle Macchine Intelligenti. Questo perché si dichiaravano fautori di un indifferenziato blocco di “Progresso” che proprio in quegli anni alcuni, come per esempio Heidegger , e poco dopo Horkheimer e Adorno, cominciavano invece a porre in discussione, perché tale “Progresso” riguardava le macchine, capaci di produrre la Bomba Atomica, non già la costruzione di un uomo superiore.
Oggi la stessa problematica si pone per l’ Intelligenza Artificiale.
3.La politica estera e di difesa e le nuove tecnologie.
A causa dell’ inscindibile nesso fra pace e guerra, posto dai precedenti della Pax Romana, della Landfriede e dei Progetti di Crociata, anche l’ Unione Europea era stata concepita originariamente come un’alleanza militare, la CED, che però non fu ratificata dal Parlamento francese, sostanzialmente perché non si era riusciti a definire una credibile catena di comando (problema tutt’ora irrisolto). Così, la politica estera e di difesa dell’Europa è rimasta sostanzialmente nelle mani della NATO, vale a dire degli Stati Uniti, con una funzione di “federatore esterno”, nei confronti del quale gli Stati europei si comportano come a suo tempo gli “auxilia” dell’ Impero Romano. In tal modo, le azioni militari comuni degli Europei si svolgono sotto il comando diretto della presidenza americana, così come sono state condotte le guerre di Corea, Irak, Bosnia,Kossovo e Ucraina. Questo è sempre stato un ulteriore grave limite dell’integrazione europea, anche perché, piaccia o no, le sempre nuove tecnologie (energia atomica, missili, radar, satelliti, computer, rete, droni, robot, microchip, intelligenza artificiale), che, nell’ultimo secolo, non hanno cessato di venire create, hanno tutte per lo più un carattere “duale”, vale a dire che servono tanto per il civile, quanto per il militare, e sono determinanti in ambo i settori. Il loro monopolio da parte degli USA limita quindi grandemente lo sviluppo civilizzatorio dell’ Europa, sospingendo sempre più quest’ultima verso il sottosviluppo. Le guerre attualmente in corso lo dimostrano, con il ruolo sempre più determinante di intelligenza artificiale, di satelliti, missili e droni, che conferisce il ruolo decisionale a chi li controlla, cioè gli Stati Uniti, e, ultimamente, ai loro “guru”informatici. Come se ciò non bastasse, infatti, gli Stati Uniti costituiscono il terreno di elezione delle grandi aziende informatiche che controllano l’ Occidente, e, in primo luogo, dell’ impero tecnologico di Elon Musk, membro del Governo americano e grande elettore di Trump. Da Musk dipende niente pò pò di meno che l’esito della guerra in Ucraina, che egli può far cessare in qualunque istante spegnando Starlink.Ciò evidenzia la superiorità di Musk rispetto a Trump, dimostrata simbolicamente dai segni esteriori di mancanza di rispetto istituzionale, come il rifiuto del “formal blue” e l’intreduzione dei figli nella Camera Ovale.
La previsione di un dominio mondiale dell’America-Mondo identificantesi con la megamacchina digitale -una transizione antropologica inquietante- è stata la molla principale che ha spinto, già dal secolo scorso, la “Maggioranza del Mondo”(“Bol’shinstvo Mira”) alla resistenza contro un’ occidentalizzazione che s’identifica oramai con l’inserimento di tutti nella Megamacchina: Poteri Forti, basi americane, cultura “Mainstream”, Internet, intercettazioni della NSA…
La “Guerra senza Limiti”, studiata dai generali cinesi in funzione di questo prevedibile scontro con gli USA, comprende quindi in larga misura una competizione sulle nuove tecnologie che è divenuta addirittura il cuore delle politiche americane e cinesi, fino al punto che i GAFAM, rappresentati da Elon Musk, sovrastano in USA il Presidente Trump e lo trascinano in progetti transumanisti come la conquista di Marte, che rivelano la vera natura del Progetto Incompiuto della Modernità, riallacciantesi alla religione tecnologica di Saint Simon e al Cosmismo russo. Già per Sun Zu l’“intelligence” costituiva la chiave dell’Arte della Guerra di: “Se conosci te stesso e il tuo nemico, vincerai cento battaglie”
Per questo, la questione della difesa dell’Europa non può essere disgiunta da quella delle nuove tecnologie e delle ideologie della tecnica. L’Europa non è certo inferiore alla Russia quanto a investimenti nella Difesa (anzi, spende il doppio di quest’ultima), ma è incredibilmente più debole di essa per la mancanza di investimenti nella parte “software”, che è quella delle nuove tecnologie, stranamente (?) riservate (dopo la morte di Adriano Olivetti e Mario Tchou e la chiusura della Olivetti Elettronica), a imprese e forze americane. Grazie a questa “divisione di compiti” transatlantica, le forze europee, quand’anche fossero meglio coordinate a livello continentale, non potrebbero risultare autonome dagli USA, come invece dichiarano oggi ottimisticamente molti leader europei diffidenti verso Trump (i “Volenterosi”). Ma questa è, come ha detto Witkoff, “solo una posa”, priva di credibilità politica e tecnica. Non per nulla, l’impostazione data all’azione ReArm Europe/Readiness 2030 risulta incredibilmente arretrata rispetto alle effettive esigenze del presente momento storico, caratterizzato, da un lato, dal desiderio degli USA di “ridurre il proprio impegno in Europa”, e, dall’ altro, dall’ emergere di armi rivoluzionarie come i missili ipersonici.Infatti, il piano si limita, da un lato, a rimuovere gli ostacoli finanziari all’ aumento della spesa dei singoli Stati Membri, proprio secondo quanto richiesto da Trump, e, dall’ altro lato, a prevedere un miglior coordinamento tecnico nella politica industriale, quale quello perseguito da tempo, con discutibili risultati, con l’Agenzia Europea degli Armamenti. Essa non tocca invece le questioni gravissime dell’assenza di una programmazione e comando comune, alternativi a quello NATO, di una cultura militare comune, dei sistemi di difesa più moderni, come una sorta di “Iron Drome” israeliano e qualcosa di simile ai missili ipersonici russi e cinesi, e infine di campioni europei nel campo delle tecnologie avanzate. Nel vuoto così creato, si stagliano come uniche realtà effettive i progetti di riarmo tedeschi, francesi, inglesi e polacchi, e gli acquisti di armamenti in America, il tutto restando nel campo delle tecnologie tradizionali e rafforzando il nazionalismo degli Stati membri.
Il suo significato è dunque prima di tutto psicologico/propagandistico, in quanto costituisce comunque una manifestazione d’indipendenza (almeno parziale) nei confronti dell’America di Trump, e “sdogana” l’idea del “riarmo” della Germania, che era stato “venduto” nei passati 80 anni come una delle principali ragioni d’essere dell’ ordinamento postbellico e delle limitazioni alla Politica Estera e di Difesa. Come scrive la Frankfurter Allgemeine, „Die Deutschen haben in ihrem Vulgärpazifismus versagt“(“I Tedeschi hanno fallito con il loro ‘pacifismo volgare’”).
Non serve per altro in alcun modo come deterrente contro la Russia, e tanto meno gli USA, in vista dei conflitti di oggi (Ucraina e Groenlandia).
4.Le tecnologie duali
Attualmente, le politiche tecnologiche dell’Europa sono disperse in mille rivoli, europei e nazionali, senza l’indicazione di alcun tipo di priorità, in modo che la politica dell’Europa viene di fatto progettata dall’America (dal DoD, dal DARPA, dalle multinazionali della difesa, dai GAFAM). Gli USA entrano fin nei dettagli delle nostre politiche industriali, come nel caso della governance di Pirelli (un fabbricante di pneumatici con un socio cinese), a cui si pretende di dettare la governance da Washington, rovinandone le prospettive di mercato. Questo contesto, che sembra fatto apposta per confermare le previsioni di Trockij (che gli USA avrebbero contingentato il capitalismo europeo), ridicolizza tutte le narrazioni del “Mainstream” -quelle “tradizionali” dei Cinesi che “rubano” la tecnologia agli Americani, mentre qui si vogliono costringere gl’Italiani a “rubare” la tecnologia ai Cinesi; dell’America liberale e liberista, ecc..-, e quelle nuove, dell’ America che vuole disinteressarsi dell’ Europa, mentre invece ci detta nei minimi particolari le politiche delle nostre imprese…D’altronde, la decisione dell’ allora FIAT di costruire solo automobili di piccola cilindrata era già stata imposta, a guerra mondiale ancora in corso, da un funzionario americano, negli uffici di Allen Dulles, responsabile della CIA in Europa, al Dott. Camerana, inviato dalla Fiat a Berna.
Infine, il, pur lodevole, principio della “Preferenza Europea”, invocato da molti, non può trovare oggi una reale attuazione a causa della debolezza, e/o dell’assenza, di campioni europei, e, anzi, il controllo americano su molte imprese europee. Gli unici campioni che siano stati creati in questi anni (Airbus, Ariane, Tornado, Eurofighter), nati, paradossalmente, in base ai principi gollisti della cooperazione intergovernativa e pubblico-privato, che si vorrebbero reintrodurre ora, furono in passato sabotati dai Governi. In particolare, l’unico grande conglomerato nato in base a questi principi, l’EADS, European Defense and Space, fra Francia, Germania, Inghilterra e Spagna, fu presto privatizzato e smantellato, per il prevalere d’ interessi nazionali e privati. Suo peccato originario: l’assenza di un forte presidio a tutela dell’interesse europeo, come avrebbe potuto essere costituito da una partecipazione azionaria forte dell’Unione Europea (per esempio, attraverso la BEI) , e uno statuto societario basato veramente sulla cogestione, secondo i principi del Modello Carbosiderurgico tedesco, o, ancor meglio, della Volkswagengesetz, che riserva ai poteri pubblici una sorta di “Golden Share” e sancisce il controllo sociale sui mezzi di produzione strategici.
Intanto, mentre si impongono agli Europei contorti, costosi e contraddittori atteggiamenti, come sanzioni e dazi, l’America continua a fare i suoi affari con la Russia e con la Cina “a margine” della vicenda Ucraina.Una qualunque seria politica estera e di difesa dovrebbe avere oggi come corrispettivo una politica tecnologica completamente diversa.
5.”Readiness 2030”: un obiettivo ambizioso, ma irrazionale
Con la modifica del nome del progetto (“Readiness 2030” anziché “ReArm Europe”), si è voluto “chiarire” (ma in modo ipocrita) che l’obiettivo della nuova politica estera e di difesa dell’Europa sarebbe quello di essere pronti entro 5-10 anni a contrastare autonomamente un eventuale attacco russo a Paesi Baltici e Polonia. Quindi, nulla a che fare con la Guerra in Ucraina, e, soprattutto, con la necessità di difendere, hic et nunc, il Canada e la Groenlandia dalla dichiarata volontà americana di aggressione.
Esprimo un mio motivato punto di vista su questa problematica perché posso dire di possedere almeno i rudimenti di “Military Preparedness”, essendo stato, nel lontano 1974, ufficiale dell’ Amministrazione Militare italiana, e avendo partecipato proprio a esercitazioni di mobilitazione generale.
La base per l’orientamento del Piano verso la preparazione bellica quinquennale sarebbe costituita da una previsione (non si sa quanto disinteressata) dei servizi segreti britannici, sulle intenzioni della Russia, ma non vi alcun motivo per cui quella russa sia veramente la minaccia militare più immediata per l’Europa. Per esempio, gli USA stanno minacciando in questo momento preciso di annettere entro questo mandato presidenziale, ma possibilmente prima, e se necessario con la forza, la Groenlandia, paese terzo associato con la Danimarca, e Vance, insieme al responsabile della sicurezza americana, è già perfino andato a prenderne simbolicamente possesso, visitando, contro la volontà delle autorità groenlandesi, una base americana nel Paese. Gli Europei intendono difenderlo? Come farlo, con centinaia di migliaia di soldati americani stanziati in Europa, e la Groenlandia già presidiata, seppure debolmente, dagli USA? Questo modello si ripeterà altrove, per esempio in Norvegia?
In secondo luogo, anche un’eventuale guerra fra la Russia e l’Europa, quand’anche arricchita di nuovi armamenti grazie a ReArm Europe e al contributo del Commonwealth, ci vedrebbe inevitabilmente sconfitti a causa delle nostre carenze di cui sopra, a meno che Musk non continuasse a fornirci la copertura dell’intelligence satellitare e, se del caso, gli USA una protezione nucleare, il cui venir meno è proprio il rischio che ha scatenato l’urgenza del piano di riarmo.
Non è pensabile che gl’ideatori del piano siano così sprovveduti da non avere considerato questi semplici dati di fatto, sicché l’ipotesi più plausibile è che, una volta di più, non si voglia affatto fare una vera politica estera e di difesa autonoma, bensì si voglia semplicemente dimostrare agli USA di avere aumentato le spese di difesa almeno del 2%, comprando per giunta in America nuovi equipaggiamenti. Poi, depositatosi il polverone, si farebbero accordi con Musk per Starlink, divenendo ancora più dipendenti di oggi dallo “scudo” americano.
Insomma, solo un modo per fare pressione sugli USA, “vendicandosi” per il declassamento consumato sull’ Ucraina e per i dazi. Come ha detto Vance, “Queste persone vogliono trasformare l’Europa in un protettorato permanente. Il problema: se mai fosse stata una buona idea, non è semplicemente sostenibile con duemila miliardi di dollari di deficit all’anno”. Ma non sarebbe comunque una buona idea, perché i protettorati sono aree che vengono svuotate di ogni vitalità, come è accaduto all’ Europa, ed è veramente singolare che ce lo debba ricordare proprio il Vice-presidente americano (che per altro viene indicato da taluni come futuro presidente dell’ Europa).
5.Una politica estera e di difesa gradualistica, ma accelerata
Un avvio graduale, ma ragionevole, di una politica estera comune potrebbe essere costituita invece dalla creazione immediata delle basi culturali e scientifiche (Accademia militare e digitale comuni), di quelle tecnologiche (sviluppo di un ecosistema digitale comune), e organizzative (un’Agenzia Tecnologica Europea), e, infine, giuridiche e finanziarie (la rinascita di una Società Europea per la Difesa e lo Spazio), con la partecipazione azionaria di Governi e imprese, sul modello di EADS ed Arianespace.
Infatti, oggi l’Europa manca di tutto quanto sopra: in sostanza, manca della sostanza effettiva della soggettività politica nell’Era delle Macchine Intelligenti. Fino ad ora, l’Europa, schiacciata fra una dipendenza puntuale ai poteri forti occidentali e un’ egemonia culturale di sinistra contraria al principio di realtà, non ha potuto fare nessuno di questi passi, ed, anzi, ha fatto di tutto per ostacolarli (demonizzazione delle culture europee d’anteguerra, cfr.Lukàcs; distruzione degli Istituti di Educazione e demonizzazione dell’epistocrazia; svendita delle imprese strategiche)..
Certamente, la lotta per la conquista (e la difesa?) della Groenlandia costituirà un ennesimo grande shock per gli Europei. Resta il fatto che ci si abitua a tutto, e il risultato potrebbe essere un rapporto ancora più coloniale fra USA ed Europa. Per evitarlo, occorre una grande mobilitazione di popolo contro l’annessione e per la difesa dell’isola artica, se necessario di concerto con altri partner interessati, come per esempio il Canada e il Regno Unito.
6.L’ “European Technology Agency” e l’ideologia olivettiana
Nell’ ideare e descrivere l’agenzia sopra indicata, ci siamo ampiamente ispirati a molti aspetti dell’attività di Adriano Olivetti, il quale aveva compreso, con l’anticipo di almeno 70 anni, il carattere determinante delle tecnologie digitali per l’intero orientamento della società del futuro, e anche l’inscindibile collegamento fra informatica, cultura e politica.
Quanto al primo punto, Olivetti aveva fatto della sua impresa il punto d’incontro fra tecnologia e società, partecipando al rinnovamento dell’ architettura industriale, al movimento per la normazione tecnica, all’elaborazione del Piano Regolatore di area larga di Ivrea e Valle d’Aosta nell’ ambito della Corporazione degli Industriali, nonché alla Resistenza, all’ amministrazione della città di Ivrea, di cui fu sindaco, alla vita parlamentare nazionale, e alla creazione del Movimento Comunità, di cui gettò egli stesso le basi teoriche. Soprattutto, raccolse intorno a sé intellettuali di tutte le specialità, dalla letteratura alla sociologia, al design, all’ architettura, alla fisica e all’ ingegneria, che poi avrebbero operato come un fertilizzante nei più svariati ambiti della società italiana.
Quanto al secondo punto, Olivetti sviluppò il rapporto università-impresa con una collaborazione con l’Università di Pisa, e per primo compì un’opera di attiva ricerca internazionale di talenti cibernetici (come oggi fanno gli Americani), con l’assunzione in America, con il supporto di Enrico Fermi, del giovanissimo e geniale fisico italo-cinese Mario Tchou, che, con un piccolo team d’ingegneri, progettò in pochissimi anni tanto un mainframe, l’ELEA, quanto, e soprattutto, il primo e fortunatissimo personal computer, il modello 101, che ebbe un incredibile successo nonostante che la divisione elettronica dell’ Olivetti fosse stata nel contempo venduta alla IBM per essere chiusa.
Le incredibili vicende di questa cessione, e la contemporanea morte, in circostanze misteriose, tanto di Olivetti che di Tchou, lasciano capire l’enormità degl’interessi in gioco intorno alla nascita dell’informatica. Di fatto, nessuno in Europa ha mai più tentato l’avventura di Olivetti e di Tchou, tanto più che, quasi contemporaneamente, si spingeva al suicidio l’altro geniale inventore europeo Alan Turing, e si sabotava l’aereo di Enrico Mattei. Infine, in quel momento Italia, Francia e Germania stavano lavorando a una bomba atomica europea, che fu poi rapidamente stoppata.
Occorre ora individuare una nuova via, attraverso una più seria strategia unitaria europea sulle nuove tecnologie e, in particolare, sulle tecnologie militari, e la ricerca di altri partner, economici e tecnologici, come la Cina. A questa nuova, complessa e rischiosa attività avevamo dedicato a suo tempo un importante studio, European Technology Agency, che avevamo inviato a tutti i vertici dell’ Unione, dalla Presidente della Commissione von der Leyen al Commissario Breton, al Presidente dell’ Europarlamento Sassoli, al Presidente della Banca Europea degl’ Investimenti Heuer, invitandoli ad abbandonare il grottesco progetto EIT, di dimensioni infinitesime, e ad affrontare con serietà la questione di una programmazione centralizzata e di lungo periodo dello sviluppo tecnologico nel continente, da affidarsi a una nuova, potente, istituzione europea, comparabile per certi versi al DARPA americano. Solo Sassoli aveva dato seguito alla nostra iniziativa nell’ambito della Commissione Tecnologia del Parlamento Europeo.
Tutta una serie di pubblicazioni di Alpina/Dialexis: “Re-starting EU Economy via Technology-intensive Industries”; “Il Ruolo dei Lavoratori nell’Era dell’Intelligenza Artificiale”,, infine, “La Regolamentazione Internazionale dell’ Intelligenza Artificiale”, che andiamo a presentare il 19 maggio al Salone del Libro di Torino. Da allora, la situazione è ancora peggiorata, con il continuo susseguirsi di documenti europei puramente teorici in materia di finanza, di ricerca, di difesa, che si sovrappongono e si elidono, mentre gli Stati Membri creano ciascuno propri enti specialistici (e mentre gli Stati Uniti e la Cina investono pesantemente in concreti programmi operativi come l’”Inflation Reduction Act”, il “Chip and Science Act”, “Made in Cina 2025, Chinese Standards 2030”, ecc…). All’ epoca, nessuno ci aveva dato retta, affermando che bisognava lasciar fare al mercato, ma ora le stesse massime Istituzioni dell’Unione Europea stanno andando esattamente sulla strada da noi indicata, imponendo soluzioni dirigistiche a livello continentale, come il piano ReArm Europe, approvato con il ricorso all’ art.122 del Trattato di Lisbona, che disciplina lo Stato di Eccezione. Resta però misteriosamente il tabù delle tecnologie duali, in cui tra l’altro l’Italia vanta precedenti unici nel loro genere (Olivetti, lanciatori SCOUT e VEGA, satelliti-spia, navette di rientro Thales-Leonardo, facilmente convertibili in missili ipersonici…). Anche in Italia si sta già dibattendo, con linee di frattura che attraversano gli schieramenti politici. Come scrive La Stampa dell’1° Aprile, “c’è chi vorrebbe accodarsi a Trump, entrando nella corte di Mar-a-Lago (Fratelli d’Italia). C’è chi vorrebbe accodarsi alla Cina, magari ritirando fuori dal cassetto la Via della Seta (i Cinque Stelle). C’è chi non ha mai nascosto i legami con Mosca (la Lega). C’è chi è disposto a fare scelte difficili, come aumentare gli investimenti in tecnologie militari, pur di rafforzare la sovranità europea (una parte del centrosinistra). E c’è chi svicola, evitando di prendere posizione e disegnando la propria identità intorno ad altri crinali, destra contro sinistra, apertura contro chiusura (un’altra parte del centrosinistra). Difficilmente ne uscirà premiato chi farà lo struzzo. I crinali politici vanno affrontati. Gli struzzi possono vincere qualche elezione, ma non vanno lontano”.
7.Sostituire l’industria americana dei servizi
Quando Ursula von der Leyen afferma che siamo pronti a vendicarci per i dazi americani, intende dire che la Commissione sta preparandosi a tassare le prestazioni di servizi dall’ America, per esempio di banche come J.P. Morgan e la Bank of America, e le piattaforme digitali come X, Google e Amazon. La UE esporta auto, farmaceutici e prodotti agroalimentari, e importa servizi, sì che la bilancia cvommerciale transatlantica non è affatto sbilanciata, bensì è in sostanziale pareggio.

Oltre agli strumenti già applicabili ai vari settori dei servizi dall’ America, la UE dispone dello specifico “Anti-Coercion Instrument, con cui potrebbe disattivare , limitare i diritti di proprietà intellettuale dei GAFAM o sescluderli dai mercati della UE.
Il punto è: come uscire da un sistema di interrelazioni, come quello attuale, che affida agli USA il ruolo dominante di esportatori di servizi “nobili”, e agli Europei il ruolo di “auxilia” o di manifattura. La Cina ha già risposto da tempo espellendo praticamente gli Americani dal proprio mercato, e costruendone uno interno altrettanto possente e concorrenziale di quello occidentale nel suo insieme. L’atteggiamento mercantilista e neo-coloniale americano sta fornendo finalmente la leva per applicare questa ricetta anche in Europa.

INCALZARE LE AUTORITA’ NEOELETTE: RISPOSTA A LUCIO LEVI

 

Dopo un’estenuante (e mai finita) campagna elettorale, oggi in Europa il tema del giorno per i media resta purtroppo quello dei rapporti di forza fra i partiti – fra i grandi gruppi europei a Strasburgo e a Bruxelles, fra Lega e 5 stelle a Roma, fra CDU e SPD in Germania, fra conservatori e Brexit Party in Inghilterra, fra gollisti e macroniani in Francia-. Invece, delle cose che veramente contano, come le discussioni al G20 sul digitale, degli sviluppi sempre più catastrofici delle guerre commerciali di Trump, e degli aspetti irrazionali della teoria economica che sta alla base dei cosiddetti “vincoli europei”, e, infine, delle concrete operazioni finanziarie, industriali e/o commerciali che riguardano i nostri territori, quasi non si parla.

 

Perciò, molto opportuno mi pare il commento di Lucio Levi nel suo articolo, “I partiti europeisti prevalgono nelle elezioni europee”, che invita a una visione d’insieme della situazione post-elettorale, che si elevi a un livello più alto, e che riguarda proprio la necessità di un pacchetto d’interventi in relazione alla nuova legislatura del Parlamento Europeo. E, aggiungerei io, di quella della Regione Piemonte.

L’Europa è una  buona quarta nella competizione internazionale

1.Basta con un “approccio ordinario” (vale a dire novecentesco)

 

Giustamente quindi scrive  Levi: “Il fatto è che i partiti tradizionali hanno adottato provvedimenti ordinari, mentre la rivoluzione scientifica della produzione materiale, la crisi economica e ambientale e le crescenti tensioni internazionali, dovute al ritorno del protezionismo e della corsa agli armamenti, richiedono misure straordinarie”.

 

Questo è certamente il punto: i partiti tradizionali, nati, chi nel 18°, chi nel 19°, chi nel 20° secolo, non comprendono (o fanno finta di non comprendere) il 21°, e quindi continuano ad adottare provvedimenti non solo “ordinari”, bensì semplicemente vecchi di almeno 100 anni, i quali, appunto per questo, non solo non risolvono i problemi o addirittura li aggravano, ma si prestano anche a nascondere le inquietanti realtà dei nostri giorni:

 

I liberali erano nati per difendere l’aristocrazia dai sovrani illuminati (la Fronda,la “Glorious Revolution”), ma avevano già avuto difficoltà a difendere la borghesia contro lo statalismo giacobino, e, poi , la libertà tout court contro la tirannide dalla maggioranza sotto le democrazie. Oggi, non sono in grado neanche d’immaginare come fare a sgominare la società del controllo totale. Le leggi sulla “privacy” sono infatti pannicelli caldi.

 

I nazionalisti erano nati per affermare il Terzo Stato contro lo stato patrimoniale”(Sieyès dei monarchi); hanno fatto difficoltà a difendere “il popolo” contro gl’imperi, e “le nazioni” contro l’occupazione straniera. Oggi, non riescono a comprendere che l’indipendenza della “patria” va difesa contro l’unico apparato informatico-militare che ha pretese mondiali. Il “sovranismo” degli Stati Membri è una carnevalata, smascherata dall’ adesione al “Movement” di Bannon.

 

I socialisti erano nati per affermare le esigenze dell’organizzazione sociale contro quelli dell’atomismo asociale (Saint-Simon, Owen, Fourier).  Avevano già difficoltà a riconciliarsi, tanto con lo spirito ottocentesco della libertà, quanto con la necessità, emersa nel Novecento, delle “vie nazionali al socialismo”. Oggi non capiscono lo sfuggente “socialismo con caratteristiche cinesi”, che è il vero modello di successo del XXI secolo. Negano addirittura che in fondo la sfida ideologica è stata vinta dal socialismo, con lo Stato cinese che impone l’agenda dello sviluppo economico mondiale e con le altre Grandi Potenze con l’ARPA americana, le grandi holding russe e i fondi sovrani arabi ed anche europei, che seguono a ruota.

 

Si potrebbe continuare così con democristiani, comunisti, neofascisti e verdi, ma non è questa la sede più appropriata.

Huawei vittima del protezionismo

2.Il “ritorno del protezionismo”

Unico barlume di attenzione per l’attualità, l’appello di Di Maio a “trattare con Trump sui dazi” automobilistici, anche se, significativamente, il ministro non ha detto, né come, né perchè. Appello seguito, seppur tardivamente, dall’ incontro fra le Autorità piemontesi e il responsabile dell’EMEA (area Europa, Medio Oriente e Africa) del gruppo FCA -accettando con ciò però implicitamente che, mentre, per Francia (e forse America), le trattative si svolgono al vertice, per noi hanno luogo al “piano di servizio”-

 

Questo vuoto si comprende benissimo in considerazione di tre fatti fondamentali: (a) l’Italia non ha (più?) propri costruttori nazionali, e anche  ben pochi componentisti indipendenti, tant’ è vero che il Governo si disinteressa sostanzialmente delle sorti del Gruppo FCA, che è essenzialmente americano (66% del fatturato realizzato negli Stati Uniti);(b)ben poche fra le automobili fabbricate in Italia sono esportate negli Stati Uniti, dove Chrysler aveva già le proprie fabbriche; il grosso delle automobili, ma soprattutto dei componenti esportati dall’ Italia, viene esportato nella UE, dove il problema dei dazi non si pone; (c)l’Italia non ha più competenza giuridica in materia di dazi doganali, che fanno parte della politica commerciale comune dell’ Unione Europea. Quindi, la crisi dell’industria italiana, e soprattutto dell’ industria “veicolistica” del Piemonte (-22%!) passa innanzitutto attraverso la riduzione dei mercato tedesco e, indirettamente, cinese (visto che la maggior parte delle auto delle case tedesche viene venduta, e per lo più anche fabbricata, in Cina).

Per ciò che riguarda l’ Italia in generale, si tratta solo di una mancata crescita, tuttavia grave perché,almeno a partire dal 2010, l’unico fattore economico che sia cresciuto per il nostro Paese è stato l’export (secondo SACE +6,4% fino al 2017), mentre tutti gli altri contributori del PIL, ovvero consumi, investimenti pubblici e privati, hanno registrato un netto segno meno. Perciò, tradotto in numeri, l’impatto della guerra commerciale sull’export italiano nel 2020 sarebbe dello 0,6% in meno; dell’1,1% in calo per le vendite verso gli Usa e di -1% per quelle verso la Germania.E pensare che l’Italia non è stata colpita direttamente, perché i dazi attualmente in vigore hanno rilevanza solo marginale per il nostro Paese, ma le imprese USA che fanno produzione all’estero (come la FCA) vengono colpite direttamente e indirettamente dai dazi di ritorsione (oltre che dalle controsanzioni russe, dalle sanzioni iraniane e dalla crisi provocata deliberatamente in Turchia).

 

Un altro aspetto da non sottovalutare è che già dal 2015 si era ridotto il tasso di crescita delle esportazioni, reali mentre ha continuato ad aumentare il tasso di crescita degli scambi digitali. Con la conseguenza che si è creata una divaricazione tra economie basate sui prodotti digitali e produttori di mezzi reali: la perdita è stata pesante per i Paesi europei che hanno proprie industrie digitali (cfr. punto 4 infra).

Infine, l’ Italia è nella lista dei Paesi che hanno un surlpus commerciale con gli USA e che quindi, secondo la “dottrina Trump”, dovrebbero essere direttamente penalizzati.

Nonostante tutto quanto sopra, gli sforzi dell’Ue per frenare il declino economico in questi anni sono stati rivolti invece a politiche interne dei Paesi (parametri di Maastricht) piuttosto che al valore complessivo di PIL che possiamo esprimere (fra cui l’industria digitale)(cfr. Cassese)

Il dibattito sullo “sforamento del 3% del rapporto fra debito e PIL sta portando taluni (come Cassese), a chiedersi la ragion d’essere e la sensatezza delle politiche europee di bilancio all’insegna della “stabilizzazione”. Perché mai l’economia dovrebbe essere “stabile”? Ammettiamolo pure che questo possa essere utile dal punto di vista dei ceti e delle nazioni più avvantaggiate, ma, tradizionalmente, per gli svantaggiati, l’optimum sarebbe che l’economia subisse profondi stravolgimenti, sperando così di risalire la china nella quale si è precipitati.

Quindi, “negoziare con Trump”, o meglio, affrontare il nodo dei rapporti con l’America, è la vera questione prioritaria della politica europea. Invece, attualmente le discussioni con gli USA si fanno alla spicciolata e alla chetichella, sperando di non “svegliare il can che dorme”.

 

I comandi delle Forze Armate americane sono come le province romane

3.Le “crescenti tensioni internazionali”.

Sembra  assurdo che gli Europei si preoccupino tanto della “stabilità”, che in pratica significa ingessare una situazione di subordinazione come quella attuale, in cui il nostro Continente  non ha accesso alle risorse-chiave, come una moneta di riserva e il controllo del Web. Come sembra assurdo ripetere fino alla nausea che siamo un Continente ricchissimo, mentre la realtà è che siamo in costante decadenza, non controlliamo le risorse essenziali e fra qualche anno non esisteremo praticamente più.

Intanto, non si capisce perché la BCE debba essere priva della possibilità di fare una sua politica monetaria come fanno la FED e la Bank of China. Come conseguenza, oggi l’iniziativa per l’aumento o la diminuzione dei tassi o per la svalutazione o la rivalutazione dell’Euro la prendono in pratica la FED e la Bank of China. Tra l’altro, l’assurda teoria che la BCE non deve poter svalutare l’Euro è contraddetta dal fatto che l’Euro si è svalutato pesantemente (30% circa) nei confronti dello Yuan. Quindi, l’Euro non deve svalutarsi rispetto al dollaro, ma, se si svaluta verso lo Yuan, tutti sono ben felici (salvo poi stracciarsi i capelli perché i Cinesi corrono a comprare le nostre aziende). Se la svalutazione dell’Euro (che c’è già stata) non è poi quella grande jattura, perché mai si dovrebbe imporre l’equilibrio di bilancio? Solo perché, se ciascuno potesse fare i bilanci come gli pare, qualcuno potrebbe “fare il furbo”, indebitandosi “a spese degli altri”? Ma neanche questo è totalmente vero, perché chi si indebita troppo subisce comunque lo “spread”.

E, anche ammettendo che l’attuale ingessata disciplina europea di bilancio abbia un senso, è comunque l’orientamento di politica economica sottostante al “fiscal compact” ad essere insensato. Quest’orientamento parte dall’idea che l’allocazione delle risorse  fra i vari Paesi sia un dato immutabile, e che l’unico intervento dei governi possa consistere nell’ottimizzare l’output con delle politiche monetarie o con degli efficientamenti. Invece, tutta la storia economica è lì per dimostrare il contrario. La struttura economica degli Stati Uniti è stata modificata più volte con azioni di forza da parte del Governo Federale:-con la guerra d’indipendenza, per appropriarsi dei territori indiani e mantenere la schiavitù, vietata invece in  Inghilterra;-con l’acquisto della Luisiana da Napoleone per 10.000 dollari;-con la conquista armata di metà del Messico;-con la Tennessee Valley Authority;-con le spese di guerra che hanno raddoppiato il PIL americano fra il 1941 e il 1945;-con il Piano Marshall; -con la NASA e l’ARPA, che, con la scusa del “duale”, hanno letteralmente inventato tutte le industrie di alta tecnologia; ultimamente, -con i dazi di Trump, che stanno dirottando tutte le filiere produttive mondiali. Non parliamo poi di ciò che ha fatto e sta facendo la Cina, prima con le nazionalizzazioni e poi, le privatizzazioni, le Zone Economiche Speciali, la Nuova Via della Seta…

Noi Europei, nel frattempo, non solo non stiamo facendo assolutamente nulla (anche se ne avremmo il massimo bisogno), non solo di politica industriale, ma, in generale, di politica economica, ma addirittura ci vietiamo di fare qualunque cosa in questi campi(programmazione, campioni nazionali, imprese pubbliche, svalutazioni competitive, “keynesismo militare”….). Quanto poi all’Italia, i dati (anche della disoccupazione e dell’emigrazione) ci stanno riportando praticamente al 1911, quando Giovanni Pascoli , nel “Discorso di Barga” aveva parlato della “Grande Proletaria”, costretta alle guerre espansionistiche per ovviare alla disoccupazione e all’emigrazione. E in questa situazione non dovremmo cercare di alterare questa struttura dell’economia reale, imitando almeno in parte quanto già fatto dall’ America e dalla Cina?

L’aspetto più grottesco di questa situazione è che, secondo la teoria alla base dei “vincoli di bilancio” assunta come un dogma dalla Commissione, la “disoccupazione strutturale” dell’Italia dovrebbe aggirarsi intorno al 10% (quindi, restare quella che è), e l’unico modo per ridurla (per esempio al 4%, come in Germania), sarebbe costituito da una sorta di “spending review”. Ma allora, il “diritto al lavoro”, sancito fin dal 1920 dalla Carta del Carnaro di Fiume e ribadita dalla Carta Europea dei Diritti dei Lavoratori di Torino del 1961 deve rimanere, dopo un secolo, una vuota promessa?

Ma perché mai ci dovrebbe essere una disoccupazione strutturale? Come se non mancassero attività socialmente utili (e anzi indispensabili per l’economia), che in realtà non si fanno, come per esempio un’ intelligence politica ed economica europea, gli studi sociali ed economici a lungo termine, la programmazione economica, le imprese di alta tecnologia, l’educazione permanente, la protezione del territorio, la promozione internazionale del turismo…Ammettiamo pure (ma bisognerebbe ancora dimostrarlo) che certe (moltissime) attività non si possano fare oggi in Europa  a condizioni di mercato- (i “fallimenti del mercato”) ebbene,  si possono comunque effettuare con l’intervento pubblico (per esempio, con l’EFSI o la Cassa Depositi e Prestiti), creando nuove imprese pubbliche, oppure, con il volontariato, con il servizio civile o con la militarizzazione di certe attività, come la ricerca o le comunicazioni…-

Dirò di più: senza quelle nuove attività, che costituirebbero  per l’Europa dei veri e propri nuovi segmenti di offerta, non vi è alcuna possibilità di creare nuovi posti di lavoro “veri”, cioè posti di lavoro che generino nuovi flussi positivi di profitti e di reddito ed elevino il livello sociale e culturale degli Europei rispetto alla media mondiale. Quindi, non spendiamo soldi in assistenzialismo, bensì spendiamoli per organizzare, possibilmente a costi minimi, tutte quelle attività. D’altronde, a che cosa dovrebbero servire i fondi strutturali, la BEI, l’EFSI e i fondi sovrani degli stati Membri e delle autorità locali?

L’Europa non dovrebbe vietare agli Stati membri di fare tutte quelle cose, bensì farle essa stessa, o almeno imporre agli Stati membri di farle, premiando chi le fa e penalizzando chi non le fa (i “vincoli europei invertiti”).

Di converso, non si comprende come il reddito minimo o la flat tax possano ovviare alla mancanza di imprese nazionali nei settori di punta. Nell’ attuale situazione, anziché all’ “espansione dell’0 economia”, esse porteranno solo alla sopravvivenza per qualche mese di imprese decotte e al fallimento delle poche che ancora stanno in piedi.

Tutti i mari del mondo sono testimoni di confronti fra le marine

4.La “corsa agli armamenti”

 

L’unica spiegazione di questa paralisi delle politiche economiche europee è che, in una situazione, come dicono i Cinesi, di “guerra senza limiti”, una vera politica economica fa parte di un’onnicomprensiva politica estera e di difesa comune, che è interdetta agli Europei dalla situazione internazionale.

 

Ancora la scorsa settimana,  è stato pubblicato su “la Repubblica” un articolo di Luca Caracciolo, con cui il noto giornalista insisteva su un tema sviluppato ampiamente nell’ultimo numero di Limes, secondo cui l’Europa dovrebbe compiere una scelta drastica fra gli Stati Uniti e la Cina (gli unici Stati che secondo l’articolista possano fare oggi una politica internazionale). Ora, per quanto ciò possa sembrare fantascientifico, la scelta attuale della maggioranza degli Stati Membri, e, in seguito (9 maggio) a quella, anche della Commissione uscente, è stata quella di aderire alla Via della Seta. Se togliessimo, dalla Politica Estera e di Difesa dell’Unione Europea, questa che potremmo chiamare  “politica dei due forni” fra USA e Cina, non ci resterebbe più nessuna politica estera e di difesa. Tanto varrebbe che, nei rapporti internazionali, ci facessimo rappresentare dal Segretario Generale della NATO. Ma c’è di più. Seppur eliminando, in tal modo, la Politica Estera e di Difesa dell’Unione Europea, anche la politica estera e di difesa degli Stati Membri consiste attualmente in un barcamenarsi fra gli Stati Uniti, la Russia, la Cina, Israele e i Paesi Arabi. Anche qui, se si eliminasse la possibilità di questi giochi, tanto varrebbe eliminare i Ministri degli Esteri e della Difesa. Però, a quel punto, non resterebbe che brigare per essere annessi tutti dagli Stati Uniti. Essendo noi 500 milioni, e loro solo 300, conteremmo certamente di più di adesso.

 

Quindi, il nodo gordiano della politica estera e di difesa resta l’autonomia dagli Stati Uniti o almeno il ribaltamento delle posizioni di forza, un nodo che, per altro, né i “sovranisti”, né gli “Europeisti” sembrano voler risolvere.

 

Neppure il voto a maggioranza sulle questioni di politica estera non scioglierebbe questo nodo, perché la politica estera e di difesa non è fatta in nessun Paese dal Parlamento, bensì, ovunque, dal Capo dello Stato o del Governo attraverso la diplomazia, le Forze Armate e soprattutto i servizi segreti. Un giorno, viene arrestata in Canada la figlia del presidente di Huawei, un altro,  viene revocata dall’ Ecuador la protezione diplomatica ad Assange, un terzo, un convoglio americano attraversa il Mar della Cina, il quarto, l’ India bombarda il Pakistan, il quinto  c’è una manifestazione a Hong-Kong contro l’estradizione nei “quartieri” confinanti del “PRD”, il sesto si svela il passato di Angela Merkel nella STASI, il settimo Trump revoca i dazi contro il Messico, ecc…Tutto questo viene coordinato minuto per minuto direttamente da Trump, Xi Jinping, Putin e Modi. Né in America, né in Cina, né in India, si vota su alcuno di questi argomenti (né, materialmente, si potrà mai farlo, perché sono cose che accadono nell’ immediato e lontano dal potere legislativo).

L’Europa non avrebbe quindi bisogno di una nuova procedura di voto sulla politica estera e di difesa, bensì di un Alto Rappresentante che fosse veramente il Comandante in Capo di tutte quelle attività militari “non tradizionali” che oggi le Grandi Potenze stanno facendo e che gli Stati membri della invece UE non stanno facendo. Ma per poter fare questo, egli (ella) dovrebbe essere in grado d’incarnare idealmente gl’interessi vitali dell’Europa, così come il maggiore Petrov incarnava, quella notte del 1983, gl’interessi reali dei popoli dell’URSS (anche contro il PCUS e il Soviet Supremo). Non basterebbe, per questo, che fosse eletto: occorrerebbe che vi fossero a monte una cultura strategica e un ethos militare comuni.

 

Consideriamo ora anche quanto scritto sempre nell’editoriale del numero 4/2019 di Limes:”Nella riunione segreta del 3 aprile 1949 con i ministri degli Esteri dei paesi che il giorno dopo avrebbero firmato il Patto Atlantico, discettando della bomba Truman avrebbe lasciato cadere un caveat sulla necessità di doverla eventualmente usare contro i nostri alleati dell’ Europa occidentale quando fossero occupati.”Anche questo, è mai stato votato? Per quanto riguarda l’Italia, il Generale Mini ha dichiarato in un’intervista che, in una manovra NATO a cui aveva partecipato , si era simulato appunto  il bombardamento atomico, da parte della NATO, di Udine occupata dal Patto di Varsavia, un bombardamento che avrebbe provocato deliberatamente 300.000 morti. Gli Europei accettano ancora questi principi? E, se no, sono disposti a fare a meno dell’ombrello americano? Sono disposti a costruirsene uno totalmente europeo, e contro chi lo userebbero, visto che noi e i Russi siamo strettamente interconnessi, per esempio nel Baltico e lungo il Mar Nero?

Ma, soprattutto, alcune domande a monte: ha senso per l’Europa una politica estera che si basi sulla minaccia reciproca, con i nostri vicini più prossimi, di un auto-annientamento sulla falsariga dei kamikaze di al Qaida  e dell’ ISIS moltiplicato per centinaia di migliaia di vite? Non esistono alternative culturali, politiche e anche militari-tecnologiche totalmente alternative?

E, infine, quale alto ufficiale europeo potrebbe assumersi simili responsabilità?

 

L’Africa resta arretrata, ma si sta avvicinando all’ Europa

5.Ripensare “la politica per lo sviluppo dell’ Africa”

Parliamo poi anche dell’ Africa. Scrive Levi:” l’UE dovrebbe promuovere un piano di sviluppo con l’Unione africana che miri a gestire la migrazione nel lungo periodo attraverso investimenti per progetti infrastrutturali”. In realtà ,questo piano esiste, ed è già stato attuato, da ben 50 anni, precisamente per ”aiutare gli Africani a casa loro”, come si dice oggi, tant’è vero che il PIL dell’Africa sta crescendo del 3,7%, mentre quello dell’ UE cresce appena del 2,4%.

Gli accordi di Yaoundé, di Lomé e di Cotonou trattano, fin dal 1963:

-delle migrazioni (art. 13)” each ACP or EU State shall accept the return of and readmit any of its nationals who are illegally present on the territory of a EU or ACP State , at that State’s request and without further formalities. The Agreement also includes a provision establishing non-discriminatory treatment of legally employed workers from ACP countries in EU Member States or of workers from the EU in ACP countries”.

-dell’assistenza finanziaria:The overall amount of EU financial assistance for the first five years of the Agreement (2003-2008) is €13 500 million. An additional €2 500 million from previous European Development Funds (EDF) is available, bringing the total to €16 000 million. Loans worth €1 700 million from the European Investment Bank are also available. Under the European Development Fund, €10 000 million in grants is earmarked for supporting long term development. The Investment Facility aims to help businesses in ACP countries by supporting sound private companies, privatisation, providing long term finance and risk capital, and strengthening local banks and capital markets. It will receive €2 200 million to be managed by the European Investment Bank, with €1 300 million for regional cooperation. It has been agreed that the ACP will define the regions eligible for support”.

I fatti dimostrano che il risultato dichiarato è stato raggiunto, perchè l’economia africana ha oramai prospettive migliori di quella europea. Anzi, il fatto stesso che gli Africani riescano ad emigrare dimostra che il denaro circola in Africa, visto che ogni emigrazione, specie se clandestina, costa qualche migliaio di Euro.

Già nel 1981, avevo scritto a Lussemburgo un libro su questo argomento (“Les procédures de la coopération financière et techniques dans le cadre del II Convention de Lomé”). Avevo anche  “ girato come una trottola”, da Algeri a Tunisi, da Niamey a Abidjan, da  Lomé a Lagos, da Douala a Johannesburg, da Mbabane a Nairobi, a visitare mattatoi, magazzini, concerie, fabbriche di pelletterie, banche di sviluppo, ministeri, società di consulenza, organizzazioni internazionali,  parlamenti, per costruire laggiù delle “industries adaptées” favorevoli allo sviluppo. Perché allora continuiamo a  comportarci come se per cinquant’anni non si fosse fatto nulla? E, di converso, è poi un risultato così positivo il fatto che il PIL dell’Africa cresca molto più di quello italiano? Non saremmo ora noi a dover essere aiutati? Ricordo a questo proposito che la Cassa per il Mezzogiorno (Svimez) e i Fondi Strutturali Europei erano nati proprio per aiutare le regioni svantaggiate dell’Italia e, rispettivamente, dell’Europa, ma non sembra che abbiamo ottenuto grandi risultati, se si guarda, per esempio, alla Grecia o all’ILVA. Oggi, comunque, non funzionano più, almeno per ciò che riguarda l’Italia.

Infine, la politica per l’Africa la si sta studiando insieme alla Cina, la quale, non solo la sta attuando in modo ben più energico di noi, ma ha anche una cultura manageriale più consona alle enormi problematiche dei Paesi in via di Sviluppo.

“Odissea nello spazio” resta la migliore metafora del XXI secolo

6.La “rivoluzione scientifica della produzione materiale”              

Nel corso delle riunioni del G20 in Giappone, si è parlato parecchio, appunto, di nuova economia, sotto due importanti punti di vista. Da un lato, si è manifestato un certo consenso sul fatto che occorrano accordi internazionali per  tassare in modo corretto il commercio digitale transfrontaliero, che oggi sfugge a una tassazione secondo il principio generale del diritto fiscale internazionale, quello dell’imposizione nel Paese dove il reddito è prodotto; dall’ altro, si è preso posizione a favore delle direttive OSCE per un’Intelligenza Digitale sostenibile.

Mentre non si può che plaudire al fatto che si stia affermando un consenso circa la necessità di accordi internazionali in materia, resta da dire i documenti delle organizzazioni internazionali non sono altro che stinte descrizioni delle prassi attuali, senz’alcuna capacità (né intenzione) d’incidere seriamente, né sull’utilizzo dei dati come strumento di dominio delle grandi potenze sul resto del mondo, né sulla macchinizzazione delle società, con la conseguente perdita dei valori umanistici e l’instaurazione di una tirannide degli algoritmi.

Questo fatto conferma l’egemonia, nelle attività legislative internazionali, delle lobby tecnocratiche, che concepiscono la cooperazione internazionale come un ulteriore canale per l’affermazione di un tipo di uomo privo di volontà, perfetto schiavo delle grandi organizzazioni digitali (siano esse pubbliche o private).

Invece, se l’Europa vuole tenere fede alla propria “immagine di marca” di roccaforte delle libertà e della cultura, deve costruire, in ambo i settori, una cultura radicalmente diversa, fondata sulla prevalenza dell’umano, e farla divenire la sua arma di battaglia nei consessi internazionali (come quello, appunto, di Tsukuba). Anzi, questa battaglia dovrebbe divenire, dal mio punto di vista, la ragion d’essere stessa di uno Stato europeo, che su di essa e per essa dovrebbe essere modellato. Non più sulle logiche di una società prevalentemente agricola, come lo sono stati tutti gli Stati attualmente esistenti, specie in Europa, bensì su una società post-moderna dematerializzata e integrata a livello mondiale.

Per ottenere questo risultato, è fuori luogo scervellarsi per definire in astratto un’identità europea distinta, da un lato da quella delle singole Nazioni, religioni e regioni dell’Europa, e, dall’ altra, da quella dell’Occidente, e, in particolare, dell’America. L’identità europea è quella già ben definita da ben 2500 anni da Ippocrate e da Erodoto, come quella degli “autonomoi”, contrapposti all’ impero universale del Re di Persia, e ridefinita da Machiavelli come “qualche regno e infinite repubbliche”, così come anche quelle della Cina e dell’ India sono quelle definite dalle rispettive filosofie del 1° millennio a.C.. Oggi, quei “qualche regno e infinite repubbliche” dove vivono gli “autonomoi” non devono inventarsi nulla di nuovo: devono semplicemente continuare la lotta che fu di Leonida contro Serse, solo che, questa volta, non è la guerra contro un esercito in carne ed ossa, bensì quella contro l’”esercito” dei logaritmi, che vuole ridurre i nostri regni e le nostre repubbliche a un unico impero digitale.

La battaglia per la libertà e la sopravvivenza passa per l'”ecologia della mente”

  1. La “Green Economy”

Nel fare ciò, per quanto l’economia verde sia una cosa utile e necessaria (l’”ecologia profonda”), c’è qualcosa di ancor più urgente per la nostra economia e per la nostra società (l’”ecologia della mente”), qualcosa che tutti gli altri hanno, tranne noi: un’industria del web (simile alla Google, alla Facebook e all’Amazon  americane, alla Baidu e all’ Alibaba cinesi, alla Yandex e alla VKontakte russe). Tutta l’economia, dalla borsa alle comunicazioni, dalla cultura all’ entertainment, dal commercio ai trasporti, dal turismo all’ immobiliare, sono oggi governati da Internet, che sta compiendo una mutazione antropologica dell’Umanità e allo stesso tempo sposta ingenti masse di denaro in tutto il mondo. Non solo, ma su Internet si giocano la nostra libertà e la nostra identità. Perché la BEI, l’ EFSI e i fondi sovrani degli Stati membri hanno investito così poco su Internet, e, quando l’hanno fatto, l’hanno fatto su progetti non trasparenti e minimalistici come Qwant? Qwant ha ottenuto , fra l’ EFSI, la Cassa Depositi e Prestiti francese e il Gruppo Springer, 35 milioni di Euro per creare il web europeo. Qualcuno ne ha poi più sentito parlare?

Ciò detto, l’Europa può e deve partecipare alla “rivoluzione verde” in corso nel mondo. Tuttavia, anche qui c’è qualcosa di strano nel comportamento, non solo delle autorità, ma anche delle imprese, in relazione ai nuovi settori tecnologici. Prendiamo per esempio l’auto elettrica. Sta partendo in questi giorni per la Cina da Beinasco un carico di 400 container contenente, impacchettata, una linea completamente automatizzata per costruire in Cina un SUV elettrico, costruita dalla CPM, una controllata della tedesca Duerr. A parte il fatto che la notizia apparsa sulla Repubblica sia stata forse esagerata (si tratterebbe solo di una linea di verniciatura), il  giornalista di Repubblica ha posto, al Presidente dell’ Unione Industriale di Torino, Gallina, la domanda, del tutto pertinente “Perché è così utopistico pensare che quella fabbrica potesse essere realizzata qui in Piemonte?” In effetti, trattandosi di una fabbrica automatizzata, la questione decisiva non è certamente il costo del lavoro. Eppure, il Presidente non ha saputo dare una risposta, limitandosi a dire che bisogna cercare di attrarre gl’investitori. Ma perché, come si è fatto con Qwant, non si possono spendere 35 milioni di Euro dell’EFSI, della Cassa Depositi e Presiti e di un investitore privato per creare ex novo in Piemonte una fabbrica di auto elettriche, anziché chiudere l’esistente  Blue Car di Bairo?

Alla fine, a dispetto delle retoriche mercatistiche, la quantità di trasferimenti finanziari pubblici che di fatto si sviluppano fra Europa, America e Paesi in Via di Sviluppo, fra Bruxelles, Stati Membri e Regioni, è così impressionante, che è impossibile capire chi ne sia avvantaggiato e chi ne sia svantaggiato: contributi NATO, acquisto di aerei americani, trasferimento all’ estero di imprese, aiuti allo sviluppo, contributi all’ Unione, fondi strutturali non spesi, fondi BEI non utilizzati per mancanza di progetti. Prima di accapigliarsi circa la destinazione dei vari fondi, sarebbe necessario fare come minimo un po’ di trasparenza dei reali flussi, e di come questi impattino sul PIL dei vari territori;. La “glasnost” di Gorbaciv che precedette la “Perestrojka” dell’ impero sovietico.

Non smettere d’interrogare la società

  1. Richiedere i “provvedimenti straordinari” accennati da Levi alle nuove Autorità (europee e locali)

Le istituzioni europee (ma anche locali) potranno essere prese sul serio (indipendentemente se le loro maggioranze saranno “europeiste” o “sovraniste”), solo se esse affronteranno, e subito, i nodi gordiani elencati in questo post. I movimenti europeistici dovrebbero incalzare fin da subito i nuovi parlamentari, i gruppi politici europei, le nuove Istituzioni e le nuove autorità, comunque e ovunque elette, perché, non dico risolvano questi problemi, ma almeno avviino un dialogo sugli stessi senza lasciare sempre tutto nel vago, di modo che a ogni nuova legislatura non dobbiamo porci le stesse domande, solo con una situazione ulteriormente deteriorata.

In occasione delle precedenti elezioni europee (2014), l’Associazione Culturale Diàlexis aveva pubblicato presso Alpina tre opere volte a sollecitare decisioni in queste materie:

-“Corpus Iuris Technologici”, dedicato alla nuova legislazione europea sul web, inviata alla Presidentessa Boldrini e al presidente Rodotà;

– “Restarting EU Economy”, una lettera aperta al Presidente Juncker perché indirizzasse l’ FSI verso le nuove tecnologie;

-100 tesi sull’ Europa (inviate a tutti gli Europarlamentari) con cui si valutavano criticamente i programmi dei partiti europei per le elezioni del 2014.

Nel Salone del Libro di Torino abbiamo presentato 4 libri dedicati a quattro filoni di approfondimento  (i “Cantieri d’ Europa”: riforma istituzionale; tecnologia; lingue; rapporti con la Cina). Contiamo di proseguire questo lavoro al salone “Più libri, più liberi” di Roma. Come è già successo con il Salone di Torino, invitiamo tutti a contribuire a questo sforzo collettivo.

Soprattutto, invitiamo tutti ad avviare un dialogo con i nuovi eletti, che stanno affrontando il non facile compito di fronteggiare i nodi ormai inestricabili di cui abbiamo parlato nei punti precedenti, con l’obiettivo di raggiungere almeno nuovi livelli di consapevolezza, per esempio sulla tematica della sovranità e sulle competenze tecnico-giuridiche-economiche necessarie per inserirsi nello sviluppo dell’ Asia.

* * * * *

Si allegano i principi sull’ intelligenza artificiale che il G20 in Giappone ha fatto suoi prendendo semplicemente a prestito quelli dell’ OCSE, i quali, a loro volta, assomigliano molto a quelli dell’ Unione Europea.

ALLEGATO

Torino centro della cultura tecno-umanistica?

G20 AI PRINCIPLES

 

The G20 supports the Principles for responsible stewardship of Trustworthy AI in Section 1 and takes note of the Recommendations in Section 2.

 

Section 1: Principles for responsible stewardship of trustworthy AI

 

1.1. Inclusive growth, sustainable development and well-being Stakeholders should proactively engage in responsible stewardship of trustworthy AI in pursuit of beneficial outcomes for people and the planet, such as augmenting human capabilities and enhancing creativity, advancing inclusion of underrepresented populations, reducing economic, social, gender and other inequalities, and protecting natural environments, thus invigorating inclusive growth, sustainable development and well-being.

 

1.2. Human-centered values and fairness a) AI actors should respect the rule of law, human rights and democratic values, throughout the AI system lifecycle. These include freedom, dignity and autonomy, privacy and data protection, non-discrimination and equality, diversity, fairness, social justice, and internationally recognized labor rights. b) To this end, AI actors should implement mechanisms and safeguards, such as capacity for human determination, that are appropriate to the context and consistent with the state of art.

 

1.3. Transparency and explainability AI Actors should commit to transparency and responsible disclosure regarding AI systems. To this end, they should provide meaningful information, appropriate to the context, and consistent with the state of art: i. to foster a general understanding of AI systems; ii. to make stakeholders aware of their interactions with AI systems, including in the workplace; iii. to enable those affected by an AI system to understand the outcome; and, iv. to enable those adversely affected by an AI system to challenge its outcome based on plain and easy-to-understand information on the factors, and the logic that served as the basis for the prediction, recommendation or decision.

 

1.4. Robustness, security and safety a) AI systems should be robust, secure and safe throughout their entire lifecycle so that, in                                                    2 This Annex draws from the OECD principles and recommendations.

12

 

conditions of normal use, foreseeable use or misuse, or other adverse conditions, they function appropriately and do not pose unreasonable safety risk. b) To this end, AI actors should ensure traceability, including in relation to datasets, processes and decisions made during the AI system lifecycle, to enable analysis of the AI system’s outcomes and responses to inquiry, appropriate to the context and consistent with the state of art. c) AI actors should, based on their roles, the context, and their ability to act, apply a systematic risk management approach to each phase of the AI system lifecycle on a continuous basis to address risks related to AI systems, including privacy, digital security, safety and bias.

 

1.5. Accountability AI actors should be accountable for the proper functioning of AI systems and for the respect of the above principles, based on their roles, the context, and consistent with the state of art.  

13

 

Section 2: National policies and international co-operation for trustworthy AI

 

2.1. Investing in AI research and development a) Governments should consider long-term public investment, and encourage private investment, in research and development, including inter-disciplinary efforts, to spur innovation in trustworthy AI that focus on challenging technical issues and on AI-related social, legal and ethical implications and policy issues. b) Governments should also consider public investment and encourage private investment in open datasets that are representative and respect privacy and data protection to support an environment for AI research and development that is free of inappropriate bias and to improve interoperability and use of standards.

 

2.2. Fostering a digital ecosystem for AI Governments should foster the development of, and access to, a digital ecosystem for trustworthy AI. Such an ecosystem includes in particular digital technologies and infrastructure, and mechanisms for sharing AI knowledge, as appropriate. In this regard, governments should consider promoting mechanisms, such as data trusts, to support the safe, fair, legal and ethical sharing of data.

 

2.3 Shaping an enabling policy environment for AI a) Governments should promote a policy environment that supports an agile transition from the research and development stage to the deployment and operation stage for trustworthy AI systems. To this effect, they should consider using experimentation to provide a controlled environment in which AI systems can be tested, and scaled-up, as appropriate. b) Governments should review and adapt, as appropriate, their policy and regulatory frameworks and assessment mechanisms as they apply to AI systems to encourage innovation and competition for trustworthy AI.

 

2.4. Building human capacity and preparing for labor market transformation a) Governments should work closely with stakeholders to prepare for the transformation of the world of work and of society. They should empower people to effectively use and interact with AI systems across the breadth of applications, including by equipping them with the necessary skills. b) Governments should take steps, including through social dialogue, to ensure a fair transition for workers as AI is deployed, such as through training programs along the working life, support for those affected by displacement, and access to new opportunities in the labor market.

14

 

  1. c) Governments should also work closely with stakeholders to promote the responsible use of AI at work, to enhance the safety of workers and the quality of jobs, to foster entrepreneurship and productivity, and aim to ensure that the benefits from AI are broadly and fairly shared.

 

2.5. International co-operation for trustworthy AI a) Governments, including developing countries and with stakeholders, should actively cooperate to advance these principles and to progress on responsible stewardship of trustworthy AI. b) Governments should work together in the OECD and other global and regional fora to foster the sharing of AI knowledge, as appropriate. They should encourage international, cross sectoral and open multi-stakeholder initiatives to garner long-term expertise on AI. c) Governments should promote the development of multi-stakeholder, consensus-driven global technical standards for interoperable and trustworthy AI. d) Governments should also encourage the development, and their own use, of internationally comparable metrics to measure AI research, development and deployment, and gather the evidence base to assess progress in the implementation of these principles.

G20 AI PRINCIPLES

 

The G20 supports the Principles for responsible stewardship of Trustworthy AI in Section 1 and takes note of the Recommendations in Section 2.

 

Section 1: Principles for responsible stewardship of trustworthy AI

 

1.1. Inclusive growth, sustainable development and well-being Stakeholders should proactively engage in responsible stewardship of trustworthy AI in pursuit of beneficial outcomes for people and the planet, such as augmenting human capabilities and enhancing creativity, advancing inclusion of underrepresented populations, reducing economic, social, gender and other inequalities, and protecting natural environments, thus invigorating inclusive growth, sustainable development and well-being.

 

1.2. Human-centered values and fairness a) AI actors should respect the rule of law, human rights and democratic values, throughout the AI system lifecycle. These include freedom, dignity and autonomy, privacy and data protection, non-discrimination and equality, diversity, fairness, social justice, and internationally recognized labor rights. b) To this end, AI actors should implement mechanisms and safeguards, such as capacity for human determination, that are appropriate to the context and consistent with the state of art.

 

1.3. Transparency and explainability AI Actors should commit to transparency and responsible disclosure regarding AI systems. To this end, they should provide meaningful information, appropriate to the context, and consistent with the state of art: i. to foster a general understanding of AI systems; ii. to make stakeholders aware of their interactions with AI systems, including in the workplace; iii. to enable those affected by an AI system to understand the outcome; and, iv. to enable those adversely affected by an AI system to challenge its outcome based on plain and easy-to-understand information on the factors, and the logic that served as the basis for the prediction, recommendation or decision.

 

1.4. Robustness, security and safety a) AI systems should be robust, secure and safe throughout their entire lifecycle so that, in                                                    2 This Annex draws from the OECD principles and recommendations.

12

 

conditions of normal use, foreseeable use or misuse, or other adverse conditions, they function appropriately and do not pose unreasonable safety risk. b) To this end, AI actors should ensure traceability, including in relation to datasets, processes and decisions made during the AI system lifecycle, to enable analysis of the AI system’s outcomes and responses to inquiry, appropriate to the context and consistent with the state of art. c) AI actors should, based on their roles, the context, and their ability to act, apply a systematic risk management approach to each phase of the AI system lifecycle on a continuous basis to address risks related to AI systems, including privacy, digital security, safety and bias.

 

1.5. Accountability AI actors should be accountable for the proper functioning of AI systems and for the respect of the above principles, based on their roles, the context, and consistent with the state of art.  

13

 

Section 2: National policies and international co-operation for trustworthy AI

 

2.1. Investing in AI research and development a) Governments should consider long-term public investment, and encourage private investment, in research and development, including inter-disciplinary efforts, to spur innovation in trustworthy AI that focus on challenging technical issues and on AI-related social, legal and ethical implications and policy issues. b) Governments should also consider public investment and encourage private investment in open datasets that are representative and respect privacy and data protection to support an environment for AI research and development that is free of inappropriate bias and to improve interoperability and use of standards.

 

2.2. Fostering a digital ecosystem for AI Governments should foster the development of, and access to, a digital ecosystem for trustworthy AI. Such an ecosystem includes in particular digital technologies and infrastructure, and mechanisms for sharing AI knowledge, as appropriate. In this regard, governments should consider promoting mechanisms, such as data trusts, to support the safe, fair, legal and ethical sharing of data.

 

2.3 Shaping an enabling policy environment for AI a) Governments should promote a policy environment that supports an agile transition from the research and development stage to the deployment and operation stage for trustworthy AI systems. To this effect, they should consider using experimentation to provide a controlled environment in which AI systems can be tested, and scaled-up, as appropriate. b) Governments should review and adapt, as appropriate, their policy and regulatory frameworks and assessment mechanisms as they apply to AI systems to encourage innovation and competition for trustworthy AI.

 

2.4. Building human capacity and preparing for labor market transformation a) Governments should work closely with stakeholders to prepare for the transformation of the world of work and of society. They should empower people to effectively use and interact with AI systems across the breadth of applications, including by equipping them with the necessary skills. b) Governments should take steps, including through social dialogue, to ensure a fair transition for workers as AI is deployed, such as through training programs along the working life, support for those affected by displacement, and access to new opportunities in the labor market.

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  1. c) Governments should also work closely with stakeholders to promote the responsible use of AI at work, to enhance the safety of workers and the quality of jobs, to foster entrepreneurship and productivity, and aim to ensure that the benefits from AI are broadly and fairly shared.

 

2.5. International co-operation for trustworthy AI a) Governments, including developing countries and with stakeholders, should actively cooperate to advance these principles and to progress on responsible stewardship of trustworthy AI. b) Governments should work together in the OECD and other global and regional fora to foster the sharing of AI knowledge, as appropriate. They should encourage international, cross sectoral and open multi-stakeholder initiatives to garner long-term expertise on AI. c) Governments should promote the development of multi-stakeholder, consensus-driven global technical standards for interoperable and trustworthy AI. d) Governments should also encourage the development, and their own use, of internationally comparable metrics to measure AI research, development and deployment, and gather the evidence base to assess progress in the implementation of these principles.

SOVRANISMO E DAZI/SANZIONI: RISPOSTA A STEVE BANNON

 

Nel suo recente viaggio in Italia, Steve Bannon, già consigliere e stratega del Presidente Trump, poi “licenziato” per il suo eccesso di zelo, ha affermato che la vittoria dei sovranisti è inevitabile in tutto il mondo, e, in particolare, in Europa, e che, pertanto, l’Unione Europea ha i giorni contati. E certamente, come pensa anche Trump, il sovranismo va bene  per gli Stati Uniti perché questi sono i soli ad essere veramente” sovrani”, cosicché, se cade, a livello internazionale, ma in Europa,, stante la nostra “Kleinstaaterei”, avrebbe un effetto micidialmente autdistruttivo.

Tuttavia, paradossalmente, l’attesa vittoria degli attuali “sovranisti”  (più propriamente, “populisti”) potrebbe essere  sabotata proprio dai comportamenti di Trump, il quale, minacciando l’intera Europa,  metterà sempre più  in evidenza l’esigenza di un “sovranismo europeo”.

Come reagire, infatti, ai nuovi dazi di Trump (e/o a quel che ne segue), se non a livello europeo?

Una volta caduto il  tabù circa l’utilizzo discrezionale  del potere sovrano, da un lato, gli USA avranno  più chances di continuare a disciplinare gli alleati sotto il loro potere “sovrano”, e, dall’ altro, potranno   esasperare  più facilmente un clima  conflittuale con Cina e Russia, così rallentando il progetto d’integrazione eurasiatica che si muove intorno al progetto della Nuova Via della Seta. e danneggiando ancora una volta l’ Europa, che già oggi non può  commerciare con la Russia e l’Iran  a causa delle sanzioni, e avrà sempre più difficoltà a commerciare con l’ America (e magari la Cina).

1.Il nuovo “nazionalismo”: l’ultima trovata tattica dell’ America per non “mollare la presa”

Indubbiamente, l’amministrazione Obama, con le sue ambiguità, un mix di pacifismo e di interventismo, non era riuscita a rallentare ia ritirata dell’ America dal mondo, fallendo le  sue manovre più spettacolari, come il TTIP, il TTP,  l’Ucraina, la Libia e la Siria.

Tuttavia, l’idea di essere “il legislatore del mondo”(Whitman) è talmente alla radice dell’ identità americana, da aver costituito  da sempre il “leitmotiv” della politica degli USA, sotto i più diversi presidenti. Infatti, come continuare a pretendere un ruolo egemone “per diritto divino” (i “leaders del mondo libero”), se non attraverso la diuturna  dimostrazione dell’invincibilità, segno da sempre della Grazia divina? Già Jefferson scriveva disperatamente ai rivoluzionari francesi ch’essi dovevano semplicemente copiare la costituzione americana;  Emerson esaltava la “razza sassone imperatoria” che avrebbe disciplinato, allo stesso tempo, i selvaggi americani e i litigiosi europei; Fiske e Wilkie pensavano che gli Stati Uniti avrebbero annesso tutto il mondo; Wilson aveva fondato la Società delle Nazioni, ma poi gli USA non vi erano entrati, restando con le mani libere mentre tutti gli altri risultavano vincolati.

La classe dirigente americana, come sempre, non demorde da questo suo progetto di conquista mondiale nonostante gli ostacoli via via incontrati, e ogni  volta “tira fuori dal cappello” una tattica nuova, apparentemente opposta. Come dopo Roosvelt venne Truman, dopo Clinton, Bush, dopo Bush, Obama, dopo Obama, Trump. Tuttavia, il risultato non cambia. L’obiettivo è sempre stato  quello di tenere disciplinati gli alleati e, contemporaneamente, destabilizzare tutti gli Stati rimasti veramente sovrani.

Il punto è proprio  questo. Quanti Stati sono oggi veramente sovrani? Chi non è controllato dallo spionaggio elettronico delle superpotenze? Chi è al di fuori della Weltanschauung  modernistica dell’ America? Chi non ha basi americane? Chi  non è dominato dalle Big Five? Questi Stati si contano sulla punta delle dita. Solo questi hanno la possibilità pratica di essere “sovranisti”

Infatti, è vero quello che dicono i “globalisti”,  che cioè oggi , è impossibile assumere decisioni veramente autonome. Ma questo non già perché gli Stati si siano liquefatti dinanzi ai mercati, bensì perché c’è uno Stato che, grazie  alle posizioni acquisite, condiziona tutti gli altri. in  realtà, chi fosse sinceramente  ” sovranista” dovrebbe, come prima cosa, crearsi  un proprio Complesso Informatico-Militare nazionale, sganciato da quello “occidentale”. Solo così potrebbe assumere una qualsivoglia decisione autonoma.

Oggi, un’indipendenza dagli USA ce l’hanno solo la Russia e la Cina, mentre India e Israele, per quanto potenti, non possono fare a meno d’interagire continuamente con gli Stati Uniti.

L’ Unione Europea, poi,  è, in realtà, ad di sotto del limite necessario per poter esercitare poteri sovrani.Figuriamoci gli Stati membri!Durante i primi sessant’anni di vita delle Comunità Europee, le classi politiche ufficiali hanno dedicato i loro massimi  sforzi a convincere i cittadini che, attraverso l’integrazione, l’ Europa stesse diventando anche meno dipendente dagli Stati Uniti: più ricca, più grande, più sociale…Peccato che vi fosse fin dall’ inizio l’ “arrière-pensée” che, oltre a un cero limite, né di indipendenza, né di autonomia, non si potesse andare ( “America First” significa soprattutto che, per un’ esigenza ideologica, l’America dev’ essere il “Leader”, e gli altri, i “Followers”).

Si è visto così, anno dopo anno, che, sotto l’illusione del “miracolo economico” ,si celava un’inaudita debolezza strutturale; sotto lo stile di vita consumistico, la dilapidazione delle risorse; sotto l’immagine della libertà, un inedito controllo da parte della cultura mainstream e  del Complesso Informatico-militare :insomma un declassamento e un impoverimento senza fine. E’ naturale perciò che, alla fine, molti stiano perdendo la pazienza, anche se non ne hanno ancora compreso il  perché, e cerchino di scrollarsi di dosso quello che sembra un inspiegabile incantesimo maligno.

Per questo, come dice Franco Cardini, i populisti dei vari stati europei non sono affatto sovranisti, perché non rivendicano affatto l’indipendenza dall’America, ma, al massimo, vogliono continuare  come hanno sempre fatto i vari Moro, Strauss, Craxi, Brandt, Chirac, Schmidt ; la “politica dei due forni”, per cui di tanto in tanto si va a Mosca per fare ingelosire l’America, ma poi si torna sempre tutti  all’ ovile.

2.Gli Europei si rendono conto delle loro ridicole dimensioni?

Un altro motivo per cui un “sovranismo” dei singoli Stati europei non è semplicemente fattibile sono le loro infime dimensioni. Come noto, Carl Schmidt  diceva che “Sovrano è chi decide sullo stato d’eccezione”. Oggi, sullo “stato di eccezione” possono decidere solo i Paesi che, come gli USA, la Cina, la Russia, Israele e l’India, hanno un proprio Complesso Informatico-Militare, che guida tutte le attività del Paese in funzione della sua forza: ideologica, culturale, conomica, politica e militare (come espresso esplicitamente dalla nuova dottrina militare americana). 

Non certo, comunque, Stati, come la Germania, la Francia, o l’Italia, che hanno una popolazione comparabile a quella di una provincia  cinese o addirittura di un distretto indiano.

Vorrei solo ricordare, a chi non se ne fosse ancora accorto, le dimensioni  di alcuni Stati indiani o province della Cina, confrontandole con quelle dei maggiori Paesi  europei (a cominciare da Russia,  Germania e Turchia):

Uttar Pradesh      (Benares) 207 milioni

Federazione Russa                  144

Maharashtra  (Mumbai)       112

Guangdong    (Canton)           104

Bihar (Patna)                                103

Bengala (Calcutta)                        91

Germania                                           84

Madya Pradesh (Bhopal)           72

Tamil Nadu (Chennai)                  72

Turchia                                                  71

Ovviamente, regno Unito, Italia, Francia, Spagna, Polonia, ecc…, sono ancora più piccole.

Un ulteriore  problema è che, mentre la Cina, l’India e la Russia, grazie a una guida unitaria, non fanno che crescere, economicamente e politicamente, l’ Europa cresce (quando cresce), a una velocità che è che pari a meno della a metà di quella della Cina.

Quindi, non c’è scampo: se l’Europa vuole contare di più, l’unico “sovranismo” possibile è quello europeo, quello che (a parole) vorrebbe Macron, il quale però si guarda bene dal rievocare anche solo blandamente le idee formulate  a questo proposito 50 anni fa da De Gaulle e da Servan Schreiber. Come ha detto Varufakis, si tratta solo di “una mano di bianco” E’ tenendo a mente questa situazione  che ho  scritto il libro Da Qin, che parte dall’ idea, espressa  da Zhang Weiwei, secondo cui “l’Impero Romano, se fosse rimasto unito, oggi sarebbe come la Cina”. Quindi, l’Europa, per essere all’ altezza delle sfide di oggi,  deve tornare ad essere ameno quello che era l’Impero Romano: appunto, “la Grande Cina.”

3.Basta con l'”Imbroglio” europeo

In effetti, come scriveva Toni Negri, proprio i più convinti europeisti hanno dovuto convincersi, loro malgrado, che l’Europa come è stata costruita è stata un imbroglio. Un imbroglio, per dirla con Franz Josef Strauss, “for keeping the Germans down, the Americans in and the Russians out”.

Già Freud aveva sostenuto che la cosiddetta “Coscienza Europea” (cioè un  buonismo come quello che prevale nell’ attuale Unione), celava la vera identità Europea. Dopo ’70 anni trascorsi sotto queste classi dirigenti, che predicano la “negazione di se stessi”, in tutti i campi: in quello  culturale (ironia, informalità, individualismo piccolo borghese), in campo economico (apertura unilaterale, no alle guerre economiche), in campo politico (no a un'”ideologia europea”), l’Unione Europea ha dimostrato di non essere all’ altezza di rappresentare adeguatamente nel mondo il nostro Continente . Manca una visione culturale specifica che, come quella confuciana,  ragioni  sulla base dei millenni; un movimento politico come quello sionista, con progetti che  vanno avanti per almeno un secolo , una struttura politica, come quella russa,  capace di operare in  profondità per almeno alcuni decenni; uomini politici capaci almeno, come Modi, di fare comunque dei programmi; imprenditori, come Jack Ma, che non siano affetti, come i nostri, da provincialismo ; intellettuali con una visione mondiale com’erano stati, ai loro tempi, un Leibniz o un Toynbee.

La nostra mutevole classe dirigente, con il suo eterno camaleontismo, finge dunque di sposare le sempre cangianti mode politiche occidentali (oggi, il “populismo”) solo per continuare a non fare nulla di concreto contro la subordinazione dell’ Europa. Ad esempio, contro le sanzioni di Trump per acciaio e alluminio si discute di colpire…le arachidi e i jeans!

4.Le esigenze della difesa

Non si considera che, se si vuole spaventare l’ America, occorre colpire l’industria militare, informatica e culturale, che sono quelle grazie alle quali l’ America domina l’ Europa. Non per nulla, per i suoi dazi, che sono in realtà delle sanzioni politico-militari, Trump ha invocato una precisa clausola del WTO, quella sulle esigenze della difesa.Sempre nella stessa occasione, il presidente  ha citato, come motivazione, anche il tema delle spese per la NATO.  In pratica, si vuole colpire l’ Europa perché non obbedisce ciecamente agli USA per le politiche militarì.

Certo, l'”unilateralismo”  di questa posizione americana è sbalorditivo. Perché mai l’ Europa, che da sola spende per la Difesa più di Russia e Cina messe insieme senza poter avere una “sua” difesa, dovrebbe aumentare ancora questa spesa per allinearsi agli USA, che spendono da sole più di tutti i Paesi del mondo, ma solo perché vogliono occupare tutto il mondo? Tra l’altro, se l’Europa potesse spendere per conto suo tutti quei soldi, li spenderebbe molto meglio, in cose che servano veramente. Visto che gli USA occupano l’Europa con un esercito grande quasi come quello stanziato  negli USA, i pagamenti che servono a mantenere le basi NATO sono un vero e proprio tributo, come il terzo dei raccolti,  che le province romane pagavano per il mantenimento delle legioni romane nel loro territorio. Infine, l’Europa finge  solo per timore reverenziale  di condividere gli obiettivi americani (come quello di  tenere permanentemente occupati  Afghanistan  e Iraq), ma non ne ha affatto un interesse vitale; pertanto, non si capisce perché debba contribuire anche a quei costi.

4.I dazi/sanzioni

In realtà, vi è una profonda verità nella tesi di Trump: le sue preoccupazioni  sono anche e soprattutto  di carattere militare. Trump ha interiorizzato completamente le tesi degli autori cinesi di “Guerra Senza Limiti” e del Comitato cinese per l’ Unificazione del Civile e del Militare: oggi più che mai vale il concetto di SunZu e di Clausewitz, che vi sia una continuità fra guerra e pace. Concetto espresso ufficialmente nella nuova dottrina americana della difesa. La leadership ideologica americana non sarebbe mai nata se gl’Inglesi non avessero sconfitto i francesi nel Canada; quella culturale  se i rivoluzionari non avessero sconfitto gl’ Inglesi, quella politica, senza la Guerra con il Messico, e quella economica senza quella  di secessione. L’America non sarebbe divenuta una potenza mondiale senza la guerra contro la Spagna, né il leader mondiale senza la Seconda Guerra Mondiale. Non sarebbe potuta nascere la religione tecnologica senza il Progetto Manhattan, né quella di internet senza il DARPA.

Per sopravvivere come Stato ideologico, gli Stati Uniti debbono mantenere la leadership, al  contempo economica e militare. Altrimenti, temono di fare la fine dell’ altra grande potenza ideologica, l’ URSS, che nessuno più seguiva perché tutti amano  i forti,  non già i perdenti.

Quindi, Trump vuole effettivamente riportare in America le produzioni di metalli, non solo perché glielo chiede il suo elettorato, ma anche  perché effettivamente non esclude, come tutti i Presidenti americani, e come egli in particolare ama ripetere,  una Terza Guerra Mondiale, in preparazione della quale occorre che l’ America si doti di un’ampia base industriale autarchica, per poter sostenere l’urto di avversari sempre più agguerriti.  E’ in quest’ottica che le minacce e i ricatti debbono essere rivolti innanzitutto agli alleati, perché sono questi che, con un atteggiamento sempre meno risoluto, potrebbero determinare la sconfitta degli USA.

Ma, di converso, se Trump dichiarando di essere costretto (ai sensi delle norme WTO) a rinazionalizzare le produzioni di acciaio e alluminio prodotti in Canada, Brasile e Europa, riconosce con ciò implicitamente che non conta di averli al suo fianco in un’ipotetica guerra mondiale, o che, come Hitler  per l’ Italia, non se ne fida, al punto di non volerli in guerra al suo fianco.

Infine, l’atteggiamento di Trump ufficializza l’adozione, della dottrina del “Keynesismo militare” dell’ economista polacco Kalecki, che, per quanto ampiamente adottata  (dalla Germania Nazista, dagli USA e dalla stessa UE), e teorizzata recentemente  dal generale lettone Alekss Tiltins, era stata fino ad ora tenuta nascosta. Si tratta, cioè, di utilizzare la spesa militare, e ancor più la preparazione militare bellica, come “leva” per fare crescere l’economia in tempi di recessione.

in realtà, proprio la vicenda dei dazi finirà per rendere difficile il compito  dei “sovranisti” europei. Se diventa evidente che chi vuole deliberatamente rovinare l’economia europea per mantenere un primato americano (“America First”) sono proprio gli USA, e in particolare Trump, non già gl’immigrati, né i burocrati di Bruxelles, né l’Organizzazione di Shanghai (che forse non aiutano, ma non sono certo la causa principale), diventerà difficile per i diversi “sovranisti” non schierarsi a favore di molto probabili contro-sanzioni, o, addirittura, contro il Presidente americano e dei suoi sostenitori.

L’unica intesa a lungo termine  fra Europa e USA  sarebbe quella fondata sulla rinunzia, da parte dell’ America, alla sua “priorità”, accettando essa di essere, per l’ Europa,  un partner come tutti gli altri. Certo,  tale intesa sarebbe più facile con un’ America integralmente “sovranista” che con un’America ispirata ad un  messianesimo “idealistico” puritano come quella di Obama  .Sarà questo possibile? Gli USA, con qualunque tipo di governo, accetteranno mai di non essere, come diceva Madeleine Albright, “la sola nazione necessaria”? All’ inizio della campagna elettorale, sembrava che questa fosse l’intenzione di Trump; però, un paio di anni dopo, dobbiamo osservare ch’egli si è piegato ai diktat del Complesso Informatico-Militare, per il quale un mondo veramente multipolare  significherebbe l’inizio della disoccupazione per generali, spie, finanzieri, lobbisti, amministratori delegati, hackers, fornitori e contractors (cioè il contrario del “keynesismo militare”).

Comunque sia, questa battaglia dei dazi è, per gli Europei, un’occasione imperdibile per aprire gli occhi a molti e costringere tutti i pretesi “sovranisti” a diventarlo davvero.