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CONTINUA LA MALEDIZIONE DELL’ OLIVETTI

Confermata la fine dell’ Istituto Italiano per l’ Intelligenza Artificiale

Respingendo l’ Assedio di Torino,
il Ducato di Savoia divenne regno

Nel Settembre 2020 il Governo aveva annunziato che, nell’ambito della Strategia Italiana per l’Intelligenza Artificiale,  sarebbe stato creato a Torino un Istituto Italiano per l’ Intelligenza Artificiale.

Avevamo sostenuto il progetto con la massima energia, dedicandovi addirittura il libro “L’Istituto Italiano dell’ Intelligenza Artificiale”, con una prefazione di Markus Krienke, nel quale avevamo ricostruito le basi storiche e filosofiche del progetto, nonché il laborioso iter nelle Istituzioni Europee e nei Ministeri. Avevamo presentato il libro al Salone del Libro 2020. Quest’anno, abbiamo pubblicato un secondo libro, con la prefazione di Enrica Perucchietti, dedicato a”L’Intelligenza Digitale e l’Agenda Digitale”.

FIAT:un impero multinazionale

1.Una delusione prevedibile

Nel settembre del 2020, la sindaca  Appendino aveva annunciato: “L’Istituto italiano per l’Intelligenza artificiale sarà a Torino e avrà l’obiettivo di coordinare le attività di ricerca in questo campo”. Non era mai stato così. L’ attuale sindaco, Stefano Lo Russo, intervistato da La Stampa, conferma: “Quel progetto, va detto con chiarezza, non è mai stato attuato dal Parlamento e non è più tale già da luglio dello scorso anno, quando il governo ha deciso di fare di Torino la sede di un centro per l’intelligenza artificiale associata alla mobilità sostenibile”, uno dei 10 centri che dovrebbero sorgere nel nostro Paese.

L’Istituto  avrebbe dovuto costituire, per così dire, il “risarcimento” di Torino per la mancata  candidatura a sede di una corte secondaria del Tribunale Europeo dei Brevetti (TUB), ma chi aveva letto con attenzione le decisioni prese da governo e parlamento nel 2021 già sapeva che il progetto era stato fortemente ridimensionato, come avevamo anticipato proprio in questo blog. Le novità è che ora tutti lo ammettono, e che, inoltre, l’assegnazione all’ Italia (e la stessa nascita) della corte dei brevetti, è in alto mare (sicché anche l’ “indennizzo” per Torino avrebbe poco senso).

Il caso è tornato di attualità  sui media perché  venerdì 27 maggio il ministro dell’Innovazione e della Ricerca, Maria Cristina Messa – parlando a investitori e istituzioni alla Nuvola Lavazza, riuniti per discutere del PNRR – aveva detto che, sull’intelligenza artificiale, Torinodovrà partecipare a un bando come tutti” e che per la città è previsto invece “un Centro per la mobilità sostenibile che però non ha competenze specifiche sull’intelligenza artificiale”. La legge istitutiva definisce tale centro come segue: “Al fine di incrementare la ricerca scientifica, il trasferimento tecnologico e più in generale l’innovazione del Paese nel settore dell’automotive e di favorire la sua ricaduta positiva nell’ambito dell’industria, dei servizi e della pubblica amministrazione, è istituita la fondazione Centro italiano di ricerca per l’automotive, competente sui temi tecnologici e sugli ambiti applicativi relativi alla manifattura nei settori dell’automotive e aerospaziale, nel quadro del processo Industria 4.0 e della sua intera catena del valore, per la creazione di un’infrastruttura di ricerca e innovazione che utilizzi i metodi dell’intelligenza artificiale. La fondazione ha sede a Torino. Per il raggiungimento dei propri scopi la fondazione instaura rapporti con omologhi enti e organismi in Italia e all’estero.
Sono membri fondatori della fondazione il Ministero dell’economia e delle finanze, il Ministero dell’università e della ricerca e il Ministero dello sviluppo economico, ai quali è attribuita la vigilanza sulla fondazione medesima”.

Il problema a questo punto è che neanche la Fondazione è mai nata. Entro sessanta giorni dall’entrata in vigore della legge il Ministero dell’economia (d’accordo con Mise e Miur) avrebbe dovuto nominare il Comitato di coordinamento. Ma questo non è mai avvenuto.

Inizio modulo

Da venerdì, a Torino circola infine la voce che il Centro italiano per l’intelligenza artificiale alla Città dell’Aerospazio sia stato “scippato” dalla “solita Milano”.

Tuttavia, non è questo il problema principale.

2.Il veto al rilancio di Torino

Togliatti: la città industriale
italo- russa, oggi ferma

Ciò che preoccupa veramente è l’assoluta assenza di programmi, da parte dell’ Europa, per l’intelligenza artificiale, e, da parte dell’ Italia, per Torino.

Per ciò che riguarda l’Europa, avevamo pubblicato l’anno scorso “European Technology Agency”, in cui reclamavamo un progetto centralizzato dell’Europa per stare al passo, da un lato, della legislazione cinese (Made in China 2025 e China Standards 2035), e, dall’ altra, di quella in preparazione in America (lo “Endless Frontier Act”). L’attuale approccio dell’Unione Europea, basato su un investimento molto inferiore a quello dei nostri concorrenti, come pure su un’organizzazione troppo decentrata della ricerca, dove la parte del leone è fatta da hubs” a livello locale e da piccole e medie imprese, sembra fatto apposta per non fare ombra ai GAFAM, i quali sono comunque coinvolti con un ruolo direttivo nelle iniziative europee (come nel caso di GAIA-X).

Come aveva rilevato già l’anno scorso il Prof. Metta, direttore dell’ Istituto Italiano di Tecnologia di Genova, nel Piano Italiano per l’ Intelligenza Artificiale, l’IA è vista come qualcosa che si compra presso altri, non come una tecnologia che si sviluppa autonomamente, e che eventualmente si vende ad altri.

Non parliamo poi dell’idea di Don Luca Peyron, di orientare il previsto Istituto verso la tematica dell’etica dell’ Intelligenza Artificiale. Troncare, sopire, sopire, troncare! Come quando, a proposito della Olivetti, Valletta disse che la Divisione Informatica era “un neo che occorre estirpare”.

Per ciò che riguarda l’Italia, richiamiamo i nostri due libri  “L’Istituto Italiano dell’ Intelligenza Artificiale” e ”Intelligenza Artificiale e  Agenda Digitale che illustrano il collegamento strettissimo fra Intelligenza Artificiale, economia nazionale, geopolitica e futuro dell’ Umanità.

L’Istituto Italiano dell’ Intelligenza, ed ancor più l’Agenzia Europea per la Tecnologia, avrebbero dovuto affrontare di petto proprio il problema dell’ inadeguatezza di Torino, dell’ Italia e dell’ Europa, dopo la distruzione dell’ Olivetti,  ad affrontare l’Era delle Macchine Intelligenti, portando i nostri territori a un livello di Paesi sottosviluppati.

Questo è il risultato del rapporto di tipo coloniale che intratteniamo con gli Stati Uniti, rapporto che risulta sempre più evidente ora che gli USA impongono la loro volontà, come nella riunione di Ramstein, gli Europei pagano (al DoD, ai GAFAM, alla Russia, all’ Ucraina), e gli Ucraini combattono e muoiono per un  “Occidente” a cui non appartengono.

Nell’abisso di arretratezza in cui questa situazione ci sta sprofondando, risulta più che mai urgente immergerci totalmente nella cultura (unica attività che non ci sia stata ancora preclusa), per studiare il rapporto fra cultura e tecnica, fra tecnica e geopolitica, fra informatica e Occidente, fra Occidente e mondo, elaborando una filosofia, una dottrina politica e militare, una strategia economica incentrati sul riscatto del nostro Continente.

Il nostro ultimo libro tratta dell’assenza europea, italiana e torinese

3.Da Emanuele Filiberto al Principe Eugenio, al Senatore Agnelli

I periodi di grandezza di Torino sono sempre stati avviati da atti di forza: dalla battaglia di San Quintino, all’assedio del 1706, a “Terra, Mare, Cielo”.

Quando manca il potere politico, anche l’economia langue. L’ultimo grande sforzo di Torino, con l’espansione internazionale (Togliatti, FIAT Polski, New Holland, Pegaso) è fallito di frante alla delusione del fallimento della Perestrojka.

Oggi, le fabbriche FIAT all’ estero, quando non siano state ri-nazionalizzate per volontà della NATO (come per esempio l’ Avtovaz), sono passate sotto il controllo straniero, quando non addirittura chiuse.

100 anni di sforzi di generazioni di managers, tecnici, lavoratori, per portare il lavoro italiano in tutto il mondo, dall’ Ungheria all’ Indonesia, dall’ Egitto alla Spagna, dal Marocco all’ Argentina, dalla Polonia alla Yugoslavia, dalla Russia al Brasile, dalla Turchia agli Stati Uniti, si sono rivelati inutili. Non siamo più destinati ad essere il centro di imperi economici, bensì docili colonie delle multinazionali del web. E ci stupiamo pure che altri non vogliano condividere questa stessa nostra sorte, e continuino a battersi per restare fra coloro che hanno voce in capitolo circa il futuro del mondo.

COME USCIRE DAL VICOLO CIECO?

RIMANDARLI TUTTI A SCUOLA

Co n le sanzioni,
il business russo è schizzato alle stelle

Si discute giustamente in questi giorni sul se le sanzioni occidentali, e le relative contro-sanzioni russe (sommandosi alle sanzioni e contro-sanzioni con Iran e Cina, esistenti da decenni), abbiano danneggiato maggiormente la Russia o l’Occidente. Io credo l’Europa, e lo spiegherò nel corso di questo post.

Il “circo mediatico” non si sta accorgendo che, con queste sanzioni, l’’”establishment” occidentale sta facendo un gran favore, tanto a Putin, quanto alla Cina, nello stesso modo in cui esso era già stato deliberatamente complice dell’ URSS per  i  35 anni della Guerra Fredda, e continua a procedere con lo stesso cinismo (o incoscienza).  Lo dimostreremo al termine dell’articolo, chiedendoci anche il perché.

L’andamento della spesa militare in Europa e Russia

1.Le nostre classi dirigenti non sono mai state  all’ altezza di occuparsi di strategie

Per ora, incominciamo a notare solo che tutti “pontificano” sull’URSS, la Perestrojka, l’Europa Centrale e Orientale, ma  con un grado di competenza assolutamente insufficiente. Sfido per esempio la maggior parte dei commentatori politici a citare i nomi delle capitali dei Paesi dell’Europa Orientale, o i rispettivi presidenti e primi ministri.

L’ignoranza, da parte dell’”establishment”, delle realtà basilari della storia, della politica, della cultura e dell’economia, cancellate, nelle loro menti, dall’opportunismo e dal fanatismo ideologico, si rivela ogni giorno di più di fronte a realtà drammatiche come la pandemia e la crisi ucraina, che mettono a nudo la natura complessa e tragica della realtà, che non si lascia certo spiegare con gli slogan rassicuranti della Modernità.

Esempio tipico: Putin “sarebbe rimasto fermo al XIX secolo”. Anche i suoi detrattori usano, per altro, terminologie da 18° secolo.  Che il XX secolo sia stato migliore del XIX, e che il XXI sarà per forza migliore del XX, è ancora tutto da dimostrare.

Al di là di facili polemiche terminologiche, credo comunque di poter parlare, di mercato energetico e di oligarchi, con un po’ più di conoscenza di causa di altri, essendomi occupato, dal 1989 al 1993, cioè durante il periodo della Perestrojka, delle problematiche giuridiche degli investimenti FIAT in Russia, e, poi, fino al 2005, delle centrali a gas, delle reti elettriche, dei gasdotti e del loro finanziamento.

Soprattutto  mi ha stupito l’ignoranza del nostro Primo Ministro, esaltato da tutti per le sue pretese competenze di politica economica europea (è stato Governatore della Banca d Italia e Presidente della BCE) su un argomento che dovrebbe essere invece alla base delle sue riflessioni politiche ed economiche: l’aspetto economico delle politiche della difesa dei grandi Stati del mondo, e, in particolare, del’ Europa.

Non è, a mio avviso, ammissibile che un siffatto personaggio affermi, come ha fatto durante la conferenza – stampa dell’altro ieri, di non essersi accorto, fino a pochi giorni fa, quando glielo hanno fatto notare i suoi colleghi degli altri Stati membri, che, attualmente, l’Europa spende, per la propria difesa, quasi tre volte della Russia, ma con risultati neppure lontanamente comparabili.

Fatto che costituisce la realtà fondamentale dell’Europa, e ci fa capire le ragioni d’ essere della sua struttura e i suoi rapporti con il resto del mondo. Ci fa capire  che le attuali organizzazioni internazionali sono state costruite più per paralizzare l’ Europa che per favorirla e potenziarla (Ikenberry), e che tutta la nostra economia si regge sul boicottaggio istituzionale delle nostre imprese e istituzioni, la cui forza viene dispersa con politiche dissennate per favorire l’ America.

Ma proprio per questo è gravissimo che non sappia queste chi ha avuto, e ancora ha, le massime responsabilità nel governo dell’ Europa. Se queste cose non le sa Draghi, figuriamoci gli altri! Evidentemente, sono stati anch’essi avviluppati per decenni in una “bolla” costruita da consulenti internazionali, “gatekeepers”, accademici e militari deviati, che hanno creato un mondo fittizio di “magnifiche sorti e progressive”,di “liberi mercati” e di”conquiste sociali” che non esistono…..

Com’ è possibile, comunque, che permettiamo che ci governino persone che non conoscono quelle elementari verità, che sono accessibili a tutti anche solo tramite Internet, e sono state da noi ripetute almeno 100 volte in questo blog?

Tutti si chiedono perché da ben 70 anni non si faccia una politica estera e di difesa comune. Chi la potrebbe fare, se i governanti denotano una così grave e colpevole ignoranza? Certo, bellamente alimentata dai nostri generali “bibéronnés dans les campus américains”(Cfr. Le Monde Diplomatique).

Giustamente, Draghi ha dichiarato di essersi reso conto che occorre “un migliore coordinamento”. Era ora! Da modesto sottotenente di complemento di Amministrazione Militare ed ex Ufficiale Pagatore, mi permetto di ribadire quanto già scritto in un precedente post. Per una buona “spending review”,  bisognerebbe incominciare licenziando tutti i generali!

E, invece, che cosa sta facendo il Governo Tedesco? Sta aumentando la propria spesa militare come richiesto dagli USA: compra degli F-35, così sabotando la costruzione dei caccia europei. La spiegazione? Gli F35 sono gli unici idonei a trasportare le bombe atomiche americane “a doppia chiave” (vale a dire che possono essere usati solo con il consenso tedesco e americano). Ma queste bombe sono una follia! Senza essere di alcuna utilità in un mondo dominato dai missili balistici, espongono gli Europei (che non possono usarle autonomamente) alle rappresaglie russe. Soprattutto ora che sono ormai in uso (almeno da parte della Russia) i missili ipersonici da 12.500 Km/ora (e quindi inintercettabili), il primo dei quali è stato lanciato ieri dai Russi con successo per distruggere un bunker sotterraneo vicino alla Polonia con  missili forniti all’ Ucraina dalla NATO. Questi missili potrebbero benissimo essere utilizzati in pochi secondi per distruggere le bombe atomiche immagazzinate in Italia e Germania.

Le bombe “a doppia chiave” ci erano state imposte negli anni 60, quando (ma nessuno lo sa); Italia, Francia e Inghilterra stavano preparando la bomba atomica europea. Noi avevamo già prodotto e testato il nostro missile, lo “Alfa”. Il fallimento dell’ atomica europea e l’imposizione delle grottesche “bombe a doppia chiave” avevano prodotto la rivolta Di De Gaulle e la Force de Frappe. Così, gl’inglesi si sono fatti la loro bomba atomica, i francesi la loro, e noi siamo rimasti con le bombe “a doppia chiave”.

E’ ovvio che gli europeisti, e prima di tutto il Movimento Europeo, dovrebbero porre immediatamente all’ ordine del giorno della Conferenza sul Futuro dell’ Europa questa apparentemente innocente questione delMigliore coordinamento” delle politiche di difesa dell’ Europa, aprendo però un dibattito a tutto tondo sull’ argomento  (a cominciare da questi dei costi, della bomba atomica europea e dell’ utilità o meno delle sanzioni).

Infatti, se, come tutti ritengono oramai possibile, ci fosse per ipotesi un allargamento, sotto qualunque forma, della guerra al nostro territorio, mi risulta che avremmo un “nuovo 8 settembre”. Se guardiamo, infatti, all’esempio ucraino, è chiaro che le prime due cose da fare sarebbe individuare (se ne esistono), dei rifugi sotterranei, e, poi, predisporre le modalità per la mobilitazione, e/o evacuazione, della popolazione civile

Premesso che cinquant’anni fa, durante il servizio militare, ero preposto proprio a queste incombenze, devo ricordare che anche allora c’era una grande confusione (soprattutto per il timore che si scambiassero le esercitazioni  per la realtà). Ora, con l’abolizione del servizio di leva e con la corrispondente scomparsa della mobilitazione generale, credo che non si saprebbe proprio da dove cominciare. Non parliamo poi dei corridoi umanitari (uno dei compiti oggi più essenziali, ma a cui mi pare non si stia proprio pensando).

Le basi degli aerei italiani con a bordo le bombe atomiche americane

2.Gli effetti delle sanzioni

Le sanzioni hanno senso ed efficacia se imposte da uno Stato più forte a uno stato più debole. Se la situazione è opposta, non hanno senso. Infatti, il commercio internazionale è per natura reciproco. Se vendo qualcosa, devo pure acquistare qualcosa in cambio, e vice-versa. Se non vendo, non acquisto, e questo impoverisce anche chi impone le sanzioni.

Importazioni di gas in Italia

a)Dopo le sanzioni, la spesa energetica europea con la Russia è esplosa

L’Europa importa dalla Russia gas, petrolio e grano, ed esporta  macchinari, prodotti di lusso, agro-alimentari e servizi turistici. Se vieto le importazioni di gas, o la mia economia si blocca, o le merci importate divengono più care, e comunque i miei cittadini s’impoveriscono. E’ quanto sta accadendo in Europa, senza ancora che l’importazione dei beni essenziali sia vietata, ma già solo per effetto delle aspettative in tal senso degli operatori, e l’incremento del prezzo del gas, che favorisce solo i Russi. Ma c’è di più. Giacché gran parte del fabbisogno energetico europeo è coperto dal gas russo, nonostante le sanzioni, non abbiamo diminuito, bensì aumentato, le importazioni, mentre il prezzo è triplicato. Paghiamo ogni giorno alla Russia miliardi più che in passato e il gas importato, e così finanziamo la guerra. Altro che default della Russia!

Infine, quand’anche noi, o la Russia, volessimo interrompere completamente le importazioni, l’intera vita in Europa (che si basa sempre sull’ energia), cesserebbe in pochi minuti, con l’interruzione delle comunicazioni, dei servizi di sicurezza, dei trasporti, della refrigerazione, del riscaldamento, della produzione industriale, delle prestazioni sanitarie…Per distruggere l’Europa, non c’è bisogno neppure delle bombe atomiche.

L’economista Robin Brooks ha studiato come si siano evoluti, durante la crisi, i flussi di cassa verso la Russia, giungendo alla paradossale conclusione che, nonostante il blocco delle riserve finanziarie all’ estero, la Russia ne stia generando di nuove grazie all’ aumento del prezzo del gas, al ritmo di 1 miliardo di dollari al giorno.

Esposizione verso la Russia
delle banche italiane ed europee

b)Il cosiddetto “Default della Russia” consisterebbe nel fatto che fra  sono venuti a scadenza moltissimi titoli di debito russi. A parte il fatto che c’è già stato un periodo di grazia,  è intenzione della Russia  pagarli in rubli svalutati, così scaricando la svalutazione sui creditori esteri.

Tuttavia, le sanzioni modificano comunque i flussi di merci, e, in tal modo, le situazioni economiche e sociali dei Paesi coinvolti.Vediamo come.

c)Industria

Gli enormi effetti si erano già visti anche prima, a causa dei problemi nella fornitura di materiali, il gruppo BMW ha fermato o sta fermando:

  • gli stabilimenti BMW di Monaco e Dingolfing, entrambi in Germania;
  • lo stabilimento MINI di Oxford, in Inghilterra;
  • la fabbrica di motori BMW di Steyr, in Austria.

Mercedes-Benz riduce i turni di lavoro a causa della carenza di pezzi.

Porsche addirittura sospende completamente la produzione di Macan e Panamera a causa della mancanza dei componenti.

Toyota ha bloccato la produzione a San Pietroburgo delle RAV4 e Camry, destinate al mercato europeo, dove produceva 100.000 auto l’anno.

Renault affronta una vera crisi in quanto la Russia è il suo secondo maggior mercato (che gli vale 5 miliardi di euro l’anno) e ha dovuto interrompere la produzione a Togliattigrad, ma continua per ora a pagare gli stipendi in valuta locale.

Cominciano a scarseggiare gli pnenumatici (con tensioni sui prezzi) a causa della chiusura degli stabilimenti Continental di Kaluga e Bridgestone di Ulyanovsk.

La carenza di materie prime potrebbe portare ad un aumento dei prezzi al consumatore (e la crisi dei chip lo ha dimostrato già molto bene). La Russia, lo ricordiamo, è un importante fornitore di nichel, materiale essenziale, ad esempio, per la produzione di batterie per le auto elettriche.

Andamento dell’interscambio Russia-Cina

c)Incremento dei rapporti commerciali Cina-Russia

L’aspettativa di una riduzione (o non incremento) delle esportazioni russe di gas verso l’Europa (anche a causa del blocco ormai biennale di “North Stream 2)”  ha prodotto l’aumento del prezzo del petrolio esportato e del ricavato di Gazprom,  un aumento delle esportazioni verso la Cina e la diminuzione del prezzo degl’idrocarburi verso i cittadini russi. Tutti effetti  vantaggiosi per il Governo russo. Perfino la svalutazione del rublo mette a posto il bilancio dello Stato, visto che il petrolio si paga in dollari.

Intanto, si sta costruendo a ritmo serrato un nuovo gasdotto, che porterà il gas della Penisola di Yamal, non più in Europa, ma in Cina. Ancora non si è saputo dire come si riuscirà comunque ad evitare di comprare il gas russo prima di tre annoi da ora.

Parmigiano russo

d)Agroalimentare

Il divieto di importazione dell’agroalimentare ha costretto fin dal 2014 le industrie nazionali a produrre gli stessi prodotti nel Paese, con effetti positivi sull’ autonomia alimentare, sulla bilancia dei pagamenti, sull’ occupazione e sulle competenze delle imprese russe.

Abbiamo così i magazzini pieni di Parmesan e Shampanskoje russi, o della Crimea.

Ma perfino gli allevamenti di bestiame europei lamentano già ora lo scarseggiare dei mangimi in provenienza da Russa e Ucraina, con necessità di abbattere gli animali.

Gl’industriali italiani in teleconference con Putin

e)Investimenti stranieri

Il boicottaggio reciproco degl’investimenti stranieri in Russia ha reso più autonomo il Paese e rinsaldato i legami con la Cina e con altri alleati come Serbia, Siria e Paesi africani. Le imprese russe controllate da stranieri, e abbandonate alla loro sorte per via delle sanzioni, vengono ora gestite da una fiduciaria di Stato, e, in caso di fallimento, verranno vendute  al miglior offerente.

Il prezioso piumino italiano di Putin

e)Prodotti di lusso

Infine, la scomparsa in Russia dei prodotti stranieri di lusso ha rallentato l’occidentalizzazione della società russa. Per esempio, lo stesso piumino Loro Piana  indossato da Putin per l’anniversario della riunificazione con l’Ucraina non è più in vendita in Russia da molti anni.

Le ville italiane degli oligarchi

f)Sequestro dei beni degli oligarchi

Veniamo infine a una misura tanto conclamata: il sequestro dei beni degli Oligarchi.

Ricordiamo che gli Oligarchi sono una classe sociale emersa con la Perestrojka, grazie a cui i vertici della nomenklatura crearono piccole società finanziarie all’ estero, intestate a se stessi, su cui dirottarono un certo numero di fondi neri, per sostenersi in caso di caduta del sistema. Il fallimento dello stato sovietico rese poi controversa la proprietà di vari beni statali, il che consentì accordi informali con ex funzionari dell’URSS (principalmente in Russia e Ucraina) come un mezzo per acquisire proprietà statali.

Gli oligarchi si appropriavano dei nuovi strumenti di business creati dalla Perestrojka, come licenze di importazione e posti direttivi nelle joint-ventures con gli stranieri, grazie a cui alimentarono ancora le proprie società finanziarie. Al tempo delle liberalizzazioni, si ponevano in qualità di intermediari con i partner esteri che investivano nelle imprese di Stato, divenendone dirigenti. Al tempo delle prime privatizzazioni “improprie”, si riservarono parte del capitale sociale delle grandi imprese, favorivano i partner esteri e ingrossavano i loro conti all’ estero. Tutto ciò veniva giustificato con il fatto che occorreva creare dal nulla un nuovo ceto imprenditoriale. Si diede a tutto ciò una facciata di diritto commerciale, e, con il meccanismo delle privatizzazioni di massa, si favorì l’azionariato popolare, che fu presto riscattato dagli oligarchi con la complicità della mafia .Le bande mafiose in combutta con gli oligarchi si combattevano nelle strade per il possesso dei pacchetti azionari. Nel frattempo, tutti evadevano le tasse, lo Stato s’impoveriva e gli oligarchi acquisivano la cittadinanza straniera. A un certo punto, Putin cominciò a mettere sotto controllo le grandi imprese e gli oligarchi, facendo effettuare controlli fiscali a tappeto, finché ebbe la certezza che avrebbe potuto colpirli.

A quel punto, propose ad essi un patto, in base al quale, in futuro, essi avrebbero dovuto sostenere il Governo ed astenersi da azioni contrarie all’ interesse nazionale. Alcuni accettarono, altri rifiutarono, e Khodorkovski si mise addirittura in rotta di collisione con il Presidente, venendo incarcerato, poi graziato. Nel frattempo, le imprese energetiche, sottratte agli oligarchi, venivano nuovamente nazionalizzate.

Quegli oligarchi che non accettarono il patto con Putin pur senza opporsi apertamente, com’è il caso di Abramovich, spostarono il centro dei loro interessi all’ estero, e, in particolare, a Londra. Ora, sono essi ad essere colpiti. Ma questo non è certo contrario agl’interessi della Russia, che, degli oligarchi, avrebbe potuto  volentieri fare a meno! Grazie alle misure contro gli oligarchi e alla fuga delle imprese straniere, il capitalismo di Stato riprende forza, accrescendo ulteriormente la presa dell’Esecutivo per costruire una permanente economia di guerra (cosa che per altro sta facendo Draghi da noi, con la “golden share”, il bando delle imprese di Paesi ostili, i sussidi a tappeto, la richiesta di sempre nuovi fondi dell’ Unione per contrastare pandemia e guerra).

Google ha eseguito la censura
per ordine della Commissione

f)Internet

Putin aveva definito Internet come una  “operazione speciale della CIA”. Proprio così: una “spetsijalmaja operatsija”, come quella svolta ora in Ucraina dall’ Armata Russa. Certo, non vi è chi non veda quante e quali incidenze militari abbia il web, dallo spionaggio, alla diffusione di notizie false e tendenziose, alla censura militare, alla propaganda, all’ organizzazione di operazioni coperte.

Si è visto con Google Analytica, con la legislazione sulle fake news, con il silenziamento di Trump, con la censura su RT e Sputnik, con lo hate speech di Facebook contro la Russia, che queste non sono solo vuote parole, bensì la realtà di tutti i giorni, che condiziona tutte le nostre vite e, in particolare,  lo scontro militare in corso.

Si era anche detto che l’11 marzo, nell’ ambito delle contro-sanzioni, la Russia sarebbe addirittura uscita dal WorldWide Web, attuando un piano che era stato studiato da tempo per il caso di guerra, usando una tecnologia parallela  a quella studiata, per circostanze simili, dall’ India. Invece, in seguito alla decisione unilaterale di Meta di sospendere la propria policy sullo hate speech solo nelle proprie versioni dell’Europa Orientale e per le espressioni di odio indirizzate alla Russia, la Russia stessa ha avviato la procedura per fare definire Facebook e Instagram organizzazioni terroristiche, e nel frattempo ne ha vietato l’uso in Russia.

Abbiamo perciò una separazione molto parziale. Il che dimostra per l’ennesima volta il potere esorbitante dei GAFAM perfino in Russia.

In Russia arrestano
chi critica la guerra:
qui censurano i Russi
tout court

f) Censura militare

Questo è uno dei temi più controversi, perché, in generale, l’Occidente è nato con la presunzione, settaria, di avere sempre ragione, e, pertanto, di avere il dovere, morale e religioso, di convertire il resto del mondo. quanto tutti i Paesi abbiano adottato, nell’ultimo secolo, almeno qualcosa  della cultura occidentale, per l’ America, questo non basta mai. SI ha sempre l’impressione che gli altri siano pazzi, vivano in una bolla, manipolino la realtà.

Che la scoperta dell’America abbia avviato un genocidio; che India e Cina fossero nettamente superiori all’Occidente fino al 1850; che i popoli eurasiatici sostengano i loro governi, sono tutte cose a cui gli Occidentali, e, in particolare, gli Americani, non riescono a credere.

Lo stato di guerra ha portato questa situazione fino al parossismo. Le radiotelevisioni di tutti gli Stati sputano in continuazione servizi sulla guerra, dove ogni dettaglio è, in Russia e in Occidente, specularmente opposto. Se la guerra nasce dalla volontà di potenza immotivata di Putin, per la Russia essa nasce invece da una russofobia ancestrale che ha provocato il continuo tentativo di attaccare la Russia e smembrala; se per gli Occidentali la lentezza  dell’ avanzata dipende dall’ inefficienza dell’ esercito russo, per i Russi essa deriva dalla volontà di non colpire i civili, specialmente trattandosi di un popolo fratello; se, per l’Occidente, le difficoltà dei cittadini di Mariupol derivano dall’assedio da parte dei Russi, per questi ultimi derivano dal fatto che il Battaglione Azov, nato a Mariupol, ha tenuto per settimane in ostaggio i civili come scudi umani; se, per gli Occidentali, una strage si è svolta a Kiev per colpa dei Russi, per questi si tratta di una strage a Doneck, fatta dal Battaglione Azov…

Per migliorare la situazione, la UE ha messo al bando le emittenti e i siti russi, e la Russia ha adottato una severissima legge sulla censura militare, sicché i due mondi sono ermeticamente isolato.

Ma questo permette di realizzare al meglio la “Dottrina Putin”, che mira alla militarizzazione della società per meglio sostenere lo scontro con l’ Occidente.

La prima pagina ingannatrice di Massimo Giannini

3.L’Occidente sta favorendo il progetto di Putin

In effetti, l’enorme polverone sollevato serve a nascondere l’impotenza degli Europei a fare qualcosa per evitare questa guerra fratricida, che, a mio avviso, si sarebbe potuta benissino evitare (come quelle del Nagorno Karabagh, Cecenia, Transnistria, Croazia, Bosnia, Kossovo, Georgia, Donbass), se solo fosse stata perseguita, nel 1989, la proposta di Gorbachev e Mitterrand di una Confederazione Europea (cfr. precedenti post), alla quale ovviamente l’America si era sempre opposta

Ancora oggi, quel progetto sarebbe proponibile. Infatti, l’elemento scatenante della guerra in corso è stato costituito dal pluridecennale rifiuto, da parte dell’Occidente, di creare un sistema condiviso di sicurezza europea, proposto dalla Russia, alla quale la NATO ha risposto con sempre nuovi allargamenti della NATO, indotti da un’ ideologia secolare e conclamata di conquista del mondo (l’”Esportazione della Democrazia”).

Ebbene, la Russia, prima di compiere la propria “operazione speciale” in Ucraina, aveva inviato agli Stati Uniti e alla NATO:

a) due bozze di trattato sulla sicurezza europea, che gli USA avevano rifiutato di discutere;

b)un documento sintetico con l’elenco delle proprie richieste, il cui rifiuto è stato la base dell’ attacco in Ucraina.

Certo, vi è un salto logico fra le ben argomentate e formalizzate richieste agli USA e alla NATO inviate da Lavrov e l’attacco militare all’  Ucraina (che non è neppure membra della NATO,  e che quindi non avrebbe potuto, neppure volendo, dare alla Russia le garanzie ch’essa richiede). L’Ucraina ha quindi certamente ragione a lamentarsi di essere stata brutalmente messa in mezzo in questo modo, ma l’alternativa per la Russia sarebbe stata, come detto dallo stesso Biden, un attacco alla NATO,e, quindi una Terza Guerra Mondiale nucleare. Si noti che vi siamo più vicini che mai, perché i missili ipersonici “Kindzhal”usati dalla Russia per la prima volta nella storia, per non parlare della guerra chimico-batteriologica, sono l’ultimo passo prima della guerra nucleare.

La guerra in Ucraina, con la distruzione di tutti gli armamenti forniti nei decenni dalla NATO e con il salato conto petrolifero, costituiva dunque l’unica arma di pressione sulla NATO e su quei Paesi (come Svezia, Finlandia e Georgia), i quali, pur non facendone parte, si comportano già come se lo fossero.Orbene, fornendo alla Russia l’occasione per fare ciò che avrebbe avuto tutto l’interesse a fare già da tempo, ma che non aveva mai osato fare, l’ America hareso, un favore a se stessa e nel contempo anche all’ Amministrazione Putin, ricostituendo il bipolarismo e assoggettando più che mai gli Europei.

Studenti torinesi bruciano
bandiera NATO

4.Come andrà a finire?

Visto quanto sopra, è ben difficile predire come le cose evolveranno. Certamente, l’Europa esce da questa vicenda più debole che mai, perché, a causa dell’ assenza di una sua qualsivoglia politica estera e di difesa europea (con un Comando Europeo, una Dottrina Militare Europea, un Esercito Europeo, un’Intelligence Europea, una Force de Frappe europea, una cyberguerra europea, un’accademia militare europea, non può evidentemente dire nulla in trattative internazionali, come quelle di questi giorni, che sono basate su equilibri geostrategici, tecnologici, militari e intelligence. Infatti, i molti e pure lodevoli tentativi di Macron, Draghi e Scholz, d’inserirsi nei frenetici pourparlers fra i leaders dei grandi Paesi, sono stati frustrati e caduti nel ridicolo.

Borrell, von der Leyen e Michel non ci hanno neppure provato, pur essendo Russia e Ucraina due grandi Paesi europei di cui essi dovrebbero prendersi cura.D’altronde, di cosa avrebbero potuto parlare, se tutti gli argomenti seri (che sono molti) sono già stato affrontati (senza risolverli), da Russi, Americani, Ucraini, Turchi, Cinesi e Israeliani?

Certo, è’ umiliante essere Europei in queste condizioni. Se la Conferenza sul Futuro dell’ Europa deve avere un senso, esso sarebbe quello di colmare questoi vuoto.

Come procedere?

ALLEGATO

BOZZE DI DOCUMENTI SULLA NUOVA ARCHITETTURA DDI SICUREZZA UROPEA,INVIATE DALLA RUSSIA A AMERICA E NATO

17 December 2021

Agreement on measures to ensure the security of The Russian Federation and member States of the North Atlantic Treaty Organization

Unofficial translation

Draft

The Russian Federation and the member States of the North Atlantic Treaty Organization (NATO), hereinafter referred to as the Parties,

reaffirming their aspiration to improve relations and deepen mutual understanding,

acknowledging that an effective response to contemporary challenges and threats to security in our interdependent world requires joint efforts of all the Parties,

determined to prevent dangerous military activity and therefore reduce the possibility of incidents between their armed forces,

noting that the security interests of each Party require better multilateral cooperation, more political and military stability, predictability, and transparency,

reaffirming their commitment to the purposes and principles of the Charter of the United Nations, the 1975 Helsinki Final Act of the Conference on Security and Co-operation in Europe, the 1997 Founding Act on Mutual Relations, Cooperation and Security between the Russian Federation and the North Atlantic Treaty Organization, the 1994 Code of Conduct on Politico-Military Aspects of Security, the 1999 Charter for European Security, and the Rome Declaration “Russia-NATO Relations: a New Quality” signed by the Heads of State and Government of the Russian Federation and NATO member States in 2002,

have agreed as follows:

Article 1

The Parties shall guide in their relations by the principles of cooperation, equal and indivisible security. They shall not strengthen their security individually, within international organizations, military alliances or coalitions at the expense of the security of other Parties.

The Parties shall settle all international disputes in their mutual relations by peaceful means and refrain from the use or threat of force in any manner inconsistent with the purposes of the United Nations.

The Parties shall not create conditions or situations that pose or could be perceived as a threat to the national security of other Parties.

The Parties shall exercise restraint in military planning and conducting exercises to reduce risks of eventual dangerous situations in accordance with their obligations under international law, including those set out in intergovernmental agreements on the prevention of incidents at sea outside territorial waters and in the airspace above, as well as in intergovernmental agreements on the prevention of dangerous military activities.

Article 2

In order to address issues and settle problems, the Parties shall use the mechanisms of urgent bilateral or multilateral consultations, including the NATO-Russia Council.

The Parties shall regularly and voluntarily exchange assessments of contemporary threats and security challenges, inform each other about military exercises and maneuvers, and main provisions of their military doctrines. All existing mechanisms and tools for confidence-building measures shall be used in order to ensure transparency and predictability of military activities.

Telephone hotlines shall be established to maintain emergency contacts between the Parties.

Article 3

The Parties reaffirm that they do not consider each other as adversaries.

The Parties shall maintain dialogue and interaction on improving mechanisms to prevent incidents on and over the high seas (primarily in the Baltics and the Black Sea region).

Article 4

The Russian Federation and all the Parties that were member States of the North Atlantic Treaty Organization as of 27 May 1997, respectively, shall not deploy military forces and weaponry on the territory of any of the other States in Europe in addition to the forces stationed on that territory as of 27 May 1997. With the consent of all the Parties such deployments can take place in exceptional cases to eliminate a threat to security of one or more Parties.

Article 5

The Parties shall not deploy land-based intermediate- and short-range missiles in areas allowing them to reach the territory of the other Parties.

Article 6

All member States of the North Atlantic Treaty Organization commit themselves to refrain from any further enlargement of NATO, including the accession of Ukraine as well as other States.

Article 7

The Parties that are member States of the North Atlantic Treaty Organization shall not conduct any military activity on the territory of Ukraine as well as other States in the Eastern Europe, in the South Caucasus and in Central Asia.

In order to exclude incidents the Russian Federation and the Parties that are member States of the North Atlantic Treaty Organization shall not conduct military exercises or other military activities above the brigade level in a zone of agreed width and configuration on each side of the border line of the Russian Federation and the states in a military alliance with it, as well as Parties that are member States of the North Atlantic Treaty Organization.

Article 8

This Agreement shall not affect and shall not be interpreted as affecting the primary responsibility of the Security Council of the United Nations for maintaining international peace and security, nor the rights and obligations
of the Parties under the Charter of the United Nations.

Article 9

This Agreement shall enter into force from the date of deposit of the instruments of ratification, expressing consent to be bound by it, with the Depositary by more than a half of the signatory States. With respect to a State that deposited its instrument of ratification at a later date, this Agreement shall enter into force from the date of its deposit.

Each Party to this Agreement may withdraw from it by giving appropriate notice to the Depositary. This Agreement shall terminate for such Party [30] days after receipt of such notice by the Depositary.

This Agreement has been drawn up in Russian, English and French, all texts being equally authentic, and shall be deposited in the archive of the Depositary, which is the Government of …

17 December 2021

Treaty between The United States of America and the Russian Federation on security guarantees

Unofficial translation

Draft

The United States of America and the Russian Federation, hereinafter referred to as the “Parties”,

guided by the principles contained in the Charter of the United Nations, the 1970 Declaration on Principles of International Law concerning Friendly Relations and Cooperation among States in accordance with the Charter of the United Nations, the 1975 Helsinki Final Act of the Conference on Security and Cooperation in Europe, as well as the provisions of the 1982 Manila Declaration on the Peaceful Settlement of Disputes, the 1999 Charter for European Security, and the 1997 Founding Act on Mutual Relations, Cooperation and Security between the North Atlantic Treaty Organization and the Russian Federation,

recalling the inadmissibility of the threat or use of force in any manner inconsistent with the purposes and principles of the Charter of the United Nations both in their mutual and international relations in general,

supporting the role of the United Nations Security Council that has the primary responsibility for maintaining international peace and security,

recognizing the need for united efforts to effectively respond to modern security challenges and threats in a globalized and interdependent world,

considering the need for strict compliance with the principle of non-interference in the internal affairs, including refraining from supporting organizations, groups or individuals calling for an unconstitutional change of power, as well as from undertaking any actions aimed at changing the political or social system of one of the Contracting Parties,

bearing in mind the need to create additional effective and quick-to-launch cooperation mechanisms or improve the existing ones to settle emerging issues and disputes through a constructive dialogue on the basis of mutual respect for and recognition of each other’s security interests and concerns, as well as to elaborate adequate responses to security challenges and threats,

seeking to avoid any military confrontation and armed conflict between the Parties and realizing that direct military clash between them could result in the use of nuclear weapons that would have far-reaching consequences,

reaffirming that a nuclear war cannot be won and must never be fought, and recognizing the need to make every effort to prevent the risk of outbreak of such war among States that possess nuclear weapons,

reaffirming their commitments under the Agreement between the United States of America and the Union of Soviet Socialist Republics on Measures to Reduce the Risk of Outbreak of Nuclear War of 30 September 1971, the Agreement between the Government of the United States of America and the Government of the Union of Soviet Socialist Republics on the Prevention of Incidents On and Over the High Seas of 25 May 1972, the Agreement between the United States of America and the Union of Soviet Socialist Republics on the Establishment of Nuclear Risk Reduction Centers of 15 September 1987, as well as the Agreement between the United States of America and the Union of Soviet Socialist Republics on the Prevention of Dangerous Military Activities of 12 June 1989,

have agreed as follows:

Article 1

The Parties shall cooperate on the basis of principles of indivisible, equal and undiminished security and to these ends:

shall not undertake actions nor participate in or support activities that affect the security of the other Party;

shall not implement security measures adopted by each Party individually or in the framework of an international organization, military alliance or coalition that could undermine core security interests of the other Party.

Article 2

The Parties shall seek to ensure that all international organizations, military alliances and coalitions in which at least one of the Parties is taking part adhere to the principles contained in the Charter of the United Nations.

Article 3

The Parties shall not use the territories of other States with a view to preparing or carrying out an armed attack against the other Party or other actions affecting core security interests of the other Party.

Article 4

The United States of America shall undertake to prevent further eastward expansion of the North Atlantic Treaty Organization and deny accession to the Alliance to the States of the former Union of Soviet Socialist Republics.

The United States of America shall not establish military bases in the territory of the States of the former Union of Soviet Socialist Republics that are not members of the North Atlantic Treaty Organization, use their infrastructure for any military activities or develop bilateral military cooperation with them.

Article 5

The Parties shall refrain from deploying their armed forces and armaments, including in the framework of international organizations, military alliances or coalitions, in the areas where such deployment could be perceived by the other Party as a threat to its national security, with the exception of such deployment within the national territories of the Parties.

The Parties shall refrain from flying heavy bombers equipped for nuclear or non-nuclear armaments or deploying surface warships of any type, including in the framework of international organizations, military alliances or coalitions, in the areas outside national airspace and national territorial waters respectively, from where they can attack targets in the territory of the other Party.

The Parties shall maintain dialogue and cooperate to improve mechanisms to prevent dangerous military activities on and over the high seas, including agreeing on the maximum approach distance between warships and aircraft.

Article 6

The Parties shall undertake not to deploy ground-launched intermediate-range and shorter-range missiles outside their national territories, as well as in the areas of their national territories, from which such weapons can attack targets in the national territory of the other Party.

Article 7

The Parties shall refrain from deploying nuclear weapons outside their national territories and return such weapons already deployed outside their national territories at the time of the entry into force of the Treaty to their national territories. The Parties shall eliminate all existing infrastructure for deployment of nuclear weapons outside their national territories.

The Parties shall not train military and civilian personnel from non-nuclear countries to use nuclear weapons. The Parties shall not conduct exercises or training for general-purpose forces, that include scenarios involving the use of nuclear weapons.

Article 8

The Treaty shall enter into force from the date of receipt of the last written notification on the completion by the Parties of their domestic procedures necessary for its entry into force.

Done in two originals, each in English and Russian languages, both texts being equally authentic.

INCALZARE LE AUTORITA’ NEOELETTE: RISPOSTA A LUCIO LEVI

 

Dopo un’estenuante (e mai finita) campagna elettorale, oggi in Europa il tema del giorno per i media resta purtroppo quello dei rapporti di forza fra i partiti – fra i grandi gruppi europei a Strasburgo e a Bruxelles, fra Lega e 5 stelle a Roma, fra CDU e SPD in Germania, fra conservatori e Brexit Party in Inghilterra, fra gollisti e macroniani in Francia-. Invece, delle cose che veramente contano, come le discussioni al G20 sul digitale, degli sviluppi sempre più catastrofici delle guerre commerciali di Trump, e degli aspetti irrazionali della teoria economica che sta alla base dei cosiddetti “vincoli europei”, e, infine, delle concrete operazioni finanziarie, industriali e/o commerciali che riguardano i nostri territori, quasi non si parla.

 

Perciò, molto opportuno mi pare il commento di Lucio Levi nel suo articolo, “I partiti europeisti prevalgono nelle elezioni europee”, che invita a una visione d’insieme della situazione post-elettorale, che si elevi a un livello più alto, e che riguarda proprio la necessità di un pacchetto d’interventi in relazione alla nuova legislatura del Parlamento Europeo. E, aggiungerei io, di quella della Regione Piemonte.

L’Europa è una  buona quarta nella competizione internazionale

1.Basta con un “approccio ordinario” (vale a dire novecentesco)

 

Giustamente quindi scrive  Levi: “Il fatto è che i partiti tradizionali hanno adottato provvedimenti ordinari, mentre la rivoluzione scientifica della produzione materiale, la crisi economica e ambientale e le crescenti tensioni internazionali, dovute al ritorno del protezionismo e della corsa agli armamenti, richiedono misure straordinarie”.

 

Questo è certamente il punto: i partiti tradizionali, nati, chi nel 18°, chi nel 19°, chi nel 20° secolo, non comprendono (o fanno finta di non comprendere) il 21°, e quindi continuano ad adottare provvedimenti non solo “ordinari”, bensì semplicemente vecchi di almeno 100 anni, i quali, appunto per questo, non solo non risolvono i problemi o addirittura li aggravano, ma si prestano anche a nascondere le inquietanti realtà dei nostri giorni:

 

I liberali erano nati per difendere l’aristocrazia dai sovrani illuminati (la Fronda,la “Glorious Revolution”), ma avevano già avuto difficoltà a difendere la borghesia contro lo statalismo giacobino, e, poi , la libertà tout court contro la tirannide dalla maggioranza sotto le democrazie. Oggi, non sono in grado neanche d’immaginare come fare a sgominare la società del controllo totale. Le leggi sulla “privacy” sono infatti pannicelli caldi.

 

I nazionalisti erano nati per affermare il Terzo Stato contro lo stato patrimoniale”(Sieyès dei monarchi); hanno fatto difficoltà a difendere “il popolo” contro gl’imperi, e “le nazioni” contro l’occupazione straniera. Oggi, non riescono a comprendere che l’indipendenza della “patria” va difesa contro l’unico apparato informatico-militare che ha pretese mondiali. Il “sovranismo” degli Stati Membri è una carnevalata, smascherata dall’ adesione al “Movement” di Bannon.

 

I socialisti erano nati per affermare le esigenze dell’organizzazione sociale contro quelli dell’atomismo asociale (Saint-Simon, Owen, Fourier).  Avevano già difficoltà a riconciliarsi, tanto con lo spirito ottocentesco della libertà, quanto con la necessità, emersa nel Novecento, delle “vie nazionali al socialismo”. Oggi non capiscono lo sfuggente “socialismo con caratteristiche cinesi”, che è il vero modello di successo del XXI secolo. Negano addirittura che in fondo la sfida ideologica è stata vinta dal socialismo, con lo Stato cinese che impone l’agenda dello sviluppo economico mondiale e con le altre Grandi Potenze con l’ARPA americana, le grandi holding russe e i fondi sovrani arabi ed anche europei, che seguono a ruota.

 

Si potrebbe continuare così con democristiani, comunisti, neofascisti e verdi, ma non è questa la sede più appropriata.

Huawei vittima del protezionismo

2.Il “ritorno del protezionismo”

Unico barlume di attenzione per l’attualità, l’appello di Di Maio a “trattare con Trump sui dazi” automobilistici, anche se, significativamente, il ministro non ha detto, né come, né perchè. Appello seguito, seppur tardivamente, dall’ incontro fra le Autorità piemontesi e il responsabile dell’EMEA (area Europa, Medio Oriente e Africa) del gruppo FCA -accettando con ciò però implicitamente che, mentre, per Francia (e forse America), le trattative si svolgono al vertice, per noi hanno luogo al “piano di servizio”-

 

Questo vuoto si comprende benissimo in considerazione di tre fatti fondamentali: (a) l’Italia non ha (più?) propri costruttori nazionali, e anche  ben pochi componentisti indipendenti, tant’ è vero che il Governo si disinteressa sostanzialmente delle sorti del Gruppo FCA, che è essenzialmente americano (66% del fatturato realizzato negli Stati Uniti);(b)ben poche fra le automobili fabbricate in Italia sono esportate negli Stati Uniti, dove Chrysler aveva già le proprie fabbriche; il grosso delle automobili, ma soprattutto dei componenti esportati dall’ Italia, viene esportato nella UE, dove il problema dei dazi non si pone; (c)l’Italia non ha più competenza giuridica in materia di dazi doganali, che fanno parte della politica commerciale comune dell’ Unione Europea. Quindi, la crisi dell’industria italiana, e soprattutto dell’ industria “veicolistica” del Piemonte (-22%!) passa innanzitutto attraverso la riduzione dei mercato tedesco e, indirettamente, cinese (visto che la maggior parte delle auto delle case tedesche viene venduta, e per lo più anche fabbricata, in Cina).

Per ciò che riguarda l’ Italia in generale, si tratta solo di una mancata crescita, tuttavia grave perché,almeno a partire dal 2010, l’unico fattore economico che sia cresciuto per il nostro Paese è stato l’export (secondo SACE +6,4% fino al 2017), mentre tutti gli altri contributori del PIL, ovvero consumi, investimenti pubblici e privati, hanno registrato un netto segno meno. Perciò, tradotto in numeri, l’impatto della guerra commerciale sull’export italiano nel 2020 sarebbe dello 0,6% in meno; dell’1,1% in calo per le vendite verso gli Usa e di -1% per quelle verso la Germania.E pensare che l’Italia non è stata colpita direttamente, perché i dazi attualmente in vigore hanno rilevanza solo marginale per il nostro Paese, ma le imprese USA che fanno produzione all’estero (come la FCA) vengono colpite direttamente e indirettamente dai dazi di ritorsione (oltre che dalle controsanzioni russe, dalle sanzioni iraniane e dalla crisi provocata deliberatamente in Turchia).

 

Un altro aspetto da non sottovalutare è che già dal 2015 si era ridotto il tasso di crescita delle esportazioni, reali mentre ha continuato ad aumentare il tasso di crescita degli scambi digitali. Con la conseguenza che si è creata una divaricazione tra economie basate sui prodotti digitali e produttori di mezzi reali: la perdita è stata pesante per i Paesi europei che hanno proprie industrie digitali (cfr. punto 4 infra).

Infine, l’ Italia è nella lista dei Paesi che hanno un surlpus commerciale con gli USA e che quindi, secondo la “dottrina Trump”, dovrebbero essere direttamente penalizzati.

Nonostante tutto quanto sopra, gli sforzi dell’Ue per frenare il declino economico in questi anni sono stati rivolti invece a politiche interne dei Paesi (parametri di Maastricht) piuttosto che al valore complessivo di PIL che possiamo esprimere (fra cui l’industria digitale)(cfr. Cassese)

Il dibattito sullo “sforamento del 3% del rapporto fra debito e PIL sta portando taluni (come Cassese), a chiedersi la ragion d’essere e la sensatezza delle politiche europee di bilancio all’insegna della “stabilizzazione”. Perché mai l’economia dovrebbe essere “stabile”? Ammettiamolo pure che questo possa essere utile dal punto di vista dei ceti e delle nazioni più avvantaggiate, ma, tradizionalmente, per gli svantaggiati, l’optimum sarebbe che l’economia subisse profondi stravolgimenti, sperando così di risalire la china nella quale si è precipitati.

Quindi, “negoziare con Trump”, o meglio, affrontare il nodo dei rapporti con l’America, è la vera questione prioritaria della politica europea. Invece, attualmente le discussioni con gli USA si fanno alla spicciolata e alla chetichella, sperando di non “svegliare il can che dorme”.

 

I comandi delle Forze Armate americane sono come le province romane

3.Le “crescenti tensioni internazionali”.

Sembra  assurdo che gli Europei si preoccupino tanto della “stabilità”, che in pratica significa ingessare una situazione di subordinazione come quella attuale, in cui il nostro Continente  non ha accesso alle risorse-chiave, come una moneta di riserva e il controllo del Web. Come sembra assurdo ripetere fino alla nausea che siamo un Continente ricchissimo, mentre la realtà è che siamo in costante decadenza, non controlliamo le risorse essenziali e fra qualche anno non esisteremo praticamente più.

Intanto, non si capisce perché la BCE debba essere priva della possibilità di fare una sua politica monetaria come fanno la FED e la Bank of China. Come conseguenza, oggi l’iniziativa per l’aumento o la diminuzione dei tassi o per la svalutazione o la rivalutazione dell’Euro la prendono in pratica la FED e la Bank of China. Tra l’altro, l’assurda teoria che la BCE non deve poter svalutare l’Euro è contraddetta dal fatto che l’Euro si è svalutato pesantemente (30% circa) nei confronti dello Yuan. Quindi, l’Euro non deve svalutarsi rispetto al dollaro, ma, se si svaluta verso lo Yuan, tutti sono ben felici (salvo poi stracciarsi i capelli perché i Cinesi corrono a comprare le nostre aziende). Se la svalutazione dell’Euro (che c’è già stata) non è poi quella grande jattura, perché mai si dovrebbe imporre l’equilibrio di bilancio? Solo perché, se ciascuno potesse fare i bilanci come gli pare, qualcuno potrebbe “fare il furbo”, indebitandosi “a spese degli altri”? Ma neanche questo è totalmente vero, perché chi si indebita troppo subisce comunque lo “spread”.

E, anche ammettendo che l’attuale ingessata disciplina europea di bilancio abbia un senso, è comunque l’orientamento di politica economica sottostante al “fiscal compact” ad essere insensato. Quest’orientamento parte dall’idea che l’allocazione delle risorse  fra i vari Paesi sia un dato immutabile, e che l’unico intervento dei governi possa consistere nell’ottimizzare l’output con delle politiche monetarie o con degli efficientamenti. Invece, tutta la storia economica è lì per dimostrare il contrario. La struttura economica degli Stati Uniti è stata modificata più volte con azioni di forza da parte del Governo Federale:-con la guerra d’indipendenza, per appropriarsi dei territori indiani e mantenere la schiavitù, vietata invece in  Inghilterra;-con l’acquisto della Luisiana da Napoleone per 10.000 dollari;-con la conquista armata di metà del Messico;-con la Tennessee Valley Authority;-con le spese di guerra che hanno raddoppiato il PIL americano fra il 1941 e il 1945;-con il Piano Marshall; -con la NASA e l’ARPA, che, con la scusa del “duale”, hanno letteralmente inventato tutte le industrie di alta tecnologia; ultimamente, -con i dazi di Trump, che stanno dirottando tutte le filiere produttive mondiali. Non parliamo poi di ciò che ha fatto e sta facendo la Cina, prima con le nazionalizzazioni e poi, le privatizzazioni, le Zone Economiche Speciali, la Nuova Via della Seta…

Noi Europei, nel frattempo, non solo non stiamo facendo assolutamente nulla (anche se ne avremmo il massimo bisogno), non solo di politica industriale, ma, in generale, di politica economica, ma addirittura ci vietiamo di fare qualunque cosa in questi campi(programmazione, campioni nazionali, imprese pubbliche, svalutazioni competitive, “keynesismo militare”….). Quanto poi all’Italia, i dati (anche della disoccupazione e dell’emigrazione) ci stanno riportando praticamente al 1911, quando Giovanni Pascoli , nel “Discorso di Barga” aveva parlato della “Grande Proletaria”, costretta alle guerre espansionistiche per ovviare alla disoccupazione e all’emigrazione. E in questa situazione non dovremmo cercare di alterare questa struttura dell’economia reale, imitando almeno in parte quanto già fatto dall’ America e dalla Cina?

L’aspetto più grottesco di questa situazione è che, secondo la teoria alla base dei “vincoli di bilancio” assunta come un dogma dalla Commissione, la “disoccupazione strutturale” dell’Italia dovrebbe aggirarsi intorno al 10% (quindi, restare quella che è), e l’unico modo per ridurla (per esempio al 4%, come in Germania), sarebbe costituito da una sorta di “spending review”. Ma allora, il “diritto al lavoro”, sancito fin dal 1920 dalla Carta del Carnaro di Fiume e ribadita dalla Carta Europea dei Diritti dei Lavoratori di Torino del 1961 deve rimanere, dopo un secolo, una vuota promessa?

Ma perché mai ci dovrebbe essere una disoccupazione strutturale? Come se non mancassero attività socialmente utili (e anzi indispensabili per l’economia), che in realtà non si fanno, come per esempio un’ intelligence politica ed economica europea, gli studi sociali ed economici a lungo termine, la programmazione economica, le imprese di alta tecnologia, l’educazione permanente, la protezione del territorio, la promozione internazionale del turismo…Ammettiamo pure (ma bisognerebbe ancora dimostrarlo) che certe (moltissime) attività non si possano fare oggi in Europa  a condizioni di mercato- (i “fallimenti del mercato”) ebbene,  si possono comunque effettuare con l’intervento pubblico (per esempio, con l’EFSI o la Cassa Depositi e Prestiti), creando nuove imprese pubbliche, oppure, con il volontariato, con il servizio civile o con la militarizzazione di certe attività, come la ricerca o le comunicazioni…-

Dirò di più: senza quelle nuove attività, che costituirebbero  per l’Europa dei veri e propri nuovi segmenti di offerta, non vi è alcuna possibilità di creare nuovi posti di lavoro “veri”, cioè posti di lavoro che generino nuovi flussi positivi di profitti e di reddito ed elevino il livello sociale e culturale degli Europei rispetto alla media mondiale. Quindi, non spendiamo soldi in assistenzialismo, bensì spendiamoli per organizzare, possibilmente a costi minimi, tutte quelle attività. D’altronde, a che cosa dovrebbero servire i fondi strutturali, la BEI, l’EFSI e i fondi sovrani degli stati Membri e delle autorità locali?

L’Europa non dovrebbe vietare agli Stati membri di fare tutte quelle cose, bensì farle essa stessa, o almeno imporre agli Stati membri di farle, premiando chi le fa e penalizzando chi non le fa (i “vincoli europei invertiti”).

Di converso, non si comprende come il reddito minimo o la flat tax possano ovviare alla mancanza di imprese nazionali nei settori di punta. Nell’ attuale situazione, anziché all’ “espansione dell’0 economia”, esse porteranno solo alla sopravvivenza per qualche mese di imprese decotte e al fallimento delle poche che ancora stanno in piedi.

Tutti i mari del mondo sono testimoni di confronti fra le marine

4.La “corsa agli armamenti”

 

L’unica spiegazione di questa paralisi delle politiche economiche europee è che, in una situazione, come dicono i Cinesi, di “guerra senza limiti”, una vera politica economica fa parte di un’onnicomprensiva politica estera e di difesa comune, che è interdetta agli Europei dalla situazione internazionale.

 

Ancora la scorsa settimana,  è stato pubblicato su “la Repubblica” un articolo di Luca Caracciolo, con cui il noto giornalista insisteva su un tema sviluppato ampiamente nell’ultimo numero di Limes, secondo cui l’Europa dovrebbe compiere una scelta drastica fra gli Stati Uniti e la Cina (gli unici Stati che secondo l’articolista possano fare oggi una politica internazionale). Ora, per quanto ciò possa sembrare fantascientifico, la scelta attuale della maggioranza degli Stati Membri, e, in seguito (9 maggio) a quella, anche della Commissione uscente, è stata quella di aderire alla Via della Seta. Se togliessimo, dalla Politica Estera e di Difesa dell’Unione Europea, questa che potremmo chiamare  “politica dei due forni” fra USA e Cina, non ci resterebbe più nessuna politica estera e di difesa. Tanto varrebbe che, nei rapporti internazionali, ci facessimo rappresentare dal Segretario Generale della NATO. Ma c’è di più. Seppur eliminando, in tal modo, la Politica Estera e di Difesa dell’Unione Europea, anche la politica estera e di difesa degli Stati Membri consiste attualmente in un barcamenarsi fra gli Stati Uniti, la Russia, la Cina, Israele e i Paesi Arabi. Anche qui, se si eliminasse la possibilità di questi giochi, tanto varrebbe eliminare i Ministri degli Esteri e della Difesa. Però, a quel punto, non resterebbe che brigare per essere annessi tutti dagli Stati Uniti. Essendo noi 500 milioni, e loro solo 300, conteremmo certamente di più di adesso.

 

Quindi, il nodo gordiano della politica estera e di difesa resta l’autonomia dagli Stati Uniti o almeno il ribaltamento delle posizioni di forza, un nodo che, per altro, né i “sovranisti”, né gli “Europeisti” sembrano voler risolvere.

 

Neppure il voto a maggioranza sulle questioni di politica estera non scioglierebbe questo nodo, perché la politica estera e di difesa non è fatta in nessun Paese dal Parlamento, bensì, ovunque, dal Capo dello Stato o del Governo attraverso la diplomazia, le Forze Armate e soprattutto i servizi segreti. Un giorno, viene arrestata in Canada la figlia del presidente di Huawei, un altro,  viene revocata dall’ Ecuador la protezione diplomatica ad Assange, un terzo, un convoglio americano attraversa il Mar della Cina, il quarto, l’ India bombarda il Pakistan, il quinto  c’è una manifestazione a Hong-Kong contro l’estradizione nei “quartieri” confinanti del “PRD”, il sesto si svela il passato di Angela Merkel nella STASI, il settimo Trump revoca i dazi contro il Messico, ecc…Tutto questo viene coordinato minuto per minuto direttamente da Trump, Xi Jinping, Putin e Modi. Né in America, né in Cina, né in India, si vota su alcuno di questi argomenti (né, materialmente, si potrà mai farlo, perché sono cose che accadono nell’ immediato e lontano dal potere legislativo).

L’Europa non avrebbe quindi bisogno di una nuova procedura di voto sulla politica estera e di difesa, bensì di un Alto Rappresentante che fosse veramente il Comandante in Capo di tutte quelle attività militari “non tradizionali” che oggi le Grandi Potenze stanno facendo e che gli Stati membri della invece UE non stanno facendo. Ma per poter fare questo, egli (ella) dovrebbe essere in grado d’incarnare idealmente gl’interessi vitali dell’Europa, così come il maggiore Petrov incarnava, quella notte del 1983, gl’interessi reali dei popoli dell’URSS (anche contro il PCUS e il Soviet Supremo). Non basterebbe, per questo, che fosse eletto: occorrerebbe che vi fossero a monte una cultura strategica e un ethos militare comuni.

 

Consideriamo ora anche quanto scritto sempre nell’editoriale del numero 4/2019 di Limes:”Nella riunione segreta del 3 aprile 1949 con i ministri degli Esteri dei paesi che il giorno dopo avrebbero firmato il Patto Atlantico, discettando della bomba Truman avrebbe lasciato cadere un caveat sulla necessità di doverla eventualmente usare contro i nostri alleati dell’ Europa occidentale quando fossero occupati.”Anche questo, è mai stato votato? Per quanto riguarda l’Italia, il Generale Mini ha dichiarato in un’intervista che, in una manovra NATO a cui aveva partecipato , si era simulato appunto  il bombardamento atomico, da parte della NATO, di Udine occupata dal Patto di Varsavia, un bombardamento che avrebbe provocato deliberatamente 300.000 morti. Gli Europei accettano ancora questi principi? E, se no, sono disposti a fare a meno dell’ombrello americano? Sono disposti a costruirsene uno totalmente europeo, e contro chi lo userebbero, visto che noi e i Russi siamo strettamente interconnessi, per esempio nel Baltico e lungo il Mar Nero?

Ma, soprattutto, alcune domande a monte: ha senso per l’Europa una politica estera che si basi sulla minaccia reciproca, con i nostri vicini più prossimi, di un auto-annientamento sulla falsariga dei kamikaze di al Qaida  e dell’ ISIS moltiplicato per centinaia di migliaia di vite? Non esistono alternative culturali, politiche e anche militari-tecnologiche totalmente alternative?

E, infine, quale alto ufficiale europeo potrebbe assumersi simili responsabilità?

 

L’Africa resta arretrata, ma si sta avvicinando all’ Europa

5.Ripensare “la politica per lo sviluppo dell’ Africa”

Parliamo poi anche dell’ Africa. Scrive Levi:” l’UE dovrebbe promuovere un piano di sviluppo con l’Unione africana che miri a gestire la migrazione nel lungo periodo attraverso investimenti per progetti infrastrutturali”. In realtà ,questo piano esiste, ed è già stato attuato, da ben 50 anni, precisamente per ”aiutare gli Africani a casa loro”, come si dice oggi, tant’è vero che il PIL dell’Africa sta crescendo del 3,7%, mentre quello dell’ UE cresce appena del 2,4%.

Gli accordi di Yaoundé, di Lomé e di Cotonou trattano, fin dal 1963:

-delle migrazioni (art. 13)” each ACP or EU State shall accept the return of and readmit any of its nationals who are illegally present on the territory of a EU or ACP State , at that State’s request and without further formalities. The Agreement also includes a provision establishing non-discriminatory treatment of legally employed workers from ACP countries in EU Member States or of workers from the EU in ACP countries”.

-dell’assistenza finanziaria:The overall amount of EU financial assistance for the first five years of the Agreement (2003-2008) is €13 500 million. An additional €2 500 million from previous European Development Funds (EDF) is available, bringing the total to €16 000 million. Loans worth €1 700 million from the European Investment Bank are also available. Under the European Development Fund, €10 000 million in grants is earmarked for supporting long term development. The Investment Facility aims to help businesses in ACP countries by supporting sound private companies, privatisation, providing long term finance and risk capital, and strengthening local banks and capital markets. It will receive €2 200 million to be managed by the European Investment Bank, with €1 300 million for regional cooperation. It has been agreed that the ACP will define the regions eligible for support”.

I fatti dimostrano che il risultato dichiarato è stato raggiunto, perchè l’economia africana ha oramai prospettive migliori di quella europea. Anzi, il fatto stesso che gli Africani riescano ad emigrare dimostra che il denaro circola in Africa, visto che ogni emigrazione, specie se clandestina, costa qualche migliaio di Euro.

Già nel 1981, avevo scritto a Lussemburgo un libro su questo argomento (“Les procédures de la coopération financière et techniques dans le cadre del II Convention de Lomé”). Avevo anche  “ girato come una trottola”, da Algeri a Tunisi, da Niamey a Abidjan, da  Lomé a Lagos, da Douala a Johannesburg, da Mbabane a Nairobi, a visitare mattatoi, magazzini, concerie, fabbriche di pelletterie, banche di sviluppo, ministeri, società di consulenza, organizzazioni internazionali,  parlamenti, per costruire laggiù delle “industries adaptées” favorevoli allo sviluppo. Perché allora continuiamo a  comportarci come se per cinquant’anni non si fosse fatto nulla? E, di converso, è poi un risultato così positivo il fatto che il PIL dell’Africa cresca molto più di quello italiano? Non saremmo ora noi a dover essere aiutati? Ricordo a questo proposito che la Cassa per il Mezzogiorno (Svimez) e i Fondi Strutturali Europei erano nati proprio per aiutare le regioni svantaggiate dell’Italia e, rispettivamente, dell’Europa, ma non sembra che abbiamo ottenuto grandi risultati, se si guarda, per esempio, alla Grecia o all’ILVA. Oggi, comunque, non funzionano più, almeno per ciò che riguarda l’Italia.

Infine, la politica per l’Africa la si sta studiando insieme alla Cina, la quale, non solo la sta attuando in modo ben più energico di noi, ma ha anche una cultura manageriale più consona alle enormi problematiche dei Paesi in via di Sviluppo.

“Odissea nello spazio” resta la migliore metafora del XXI secolo

6.La “rivoluzione scientifica della produzione materiale”              

Nel corso delle riunioni del G20 in Giappone, si è parlato parecchio, appunto, di nuova economia, sotto due importanti punti di vista. Da un lato, si è manifestato un certo consenso sul fatto che occorrano accordi internazionali per  tassare in modo corretto il commercio digitale transfrontaliero, che oggi sfugge a una tassazione secondo il principio generale del diritto fiscale internazionale, quello dell’imposizione nel Paese dove il reddito è prodotto; dall’ altro, si è preso posizione a favore delle direttive OSCE per un’Intelligenza Digitale sostenibile.

Mentre non si può che plaudire al fatto che si stia affermando un consenso circa la necessità di accordi internazionali in materia, resta da dire i documenti delle organizzazioni internazionali non sono altro che stinte descrizioni delle prassi attuali, senz’alcuna capacità (né intenzione) d’incidere seriamente, né sull’utilizzo dei dati come strumento di dominio delle grandi potenze sul resto del mondo, né sulla macchinizzazione delle società, con la conseguente perdita dei valori umanistici e l’instaurazione di una tirannide degli algoritmi.

Questo fatto conferma l’egemonia, nelle attività legislative internazionali, delle lobby tecnocratiche, che concepiscono la cooperazione internazionale come un ulteriore canale per l’affermazione di un tipo di uomo privo di volontà, perfetto schiavo delle grandi organizzazioni digitali (siano esse pubbliche o private).

Invece, se l’Europa vuole tenere fede alla propria “immagine di marca” di roccaforte delle libertà e della cultura, deve costruire, in ambo i settori, una cultura radicalmente diversa, fondata sulla prevalenza dell’umano, e farla divenire la sua arma di battaglia nei consessi internazionali (come quello, appunto, di Tsukuba). Anzi, questa battaglia dovrebbe divenire, dal mio punto di vista, la ragion d’essere stessa di uno Stato europeo, che su di essa e per essa dovrebbe essere modellato. Non più sulle logiche di una società prevalentemente agricola, come lo sono stati tutti gli Stati attualmente esistenti, specie in Europa, bensì su una società post-moderna dematerializzata e integrata a livello mondiale.

Per ottenere questo risultato, è fuori luogo scervellarsi per definire in astratto un’identità europea distinta, da un lato da quella delle singole Nazioni, religioni e regioni dell’Europa, e, dall’ altra, da quella dell’Occidente, e, in particolare, dell’America. L’identità europea è quella già ben definita da ben 2500 anni da Ippocrate e da Erodoto, come quella degli “autonomoi”, contrapposti all’ impero universale del Re di Persia, e ridefinita da Machiavelli come “qualche regno e infinite repubbliche”, così come anche quelle della Cina e dell’ India sono quelle definite dalle rispettive filosofie del 1° millennio a.C.. Oggi, quei “qualche regno e infinite repubbliche” dove vivono gli “autonomoi” non devono inventarsi nulla di nuovo: devono semplicemente continuare la lotta che fu di Leonida contro Serse, solo che, questa volta, non è la guerra contro un esercito in carne ed ossa, bensì quella contro l’”esercito” dei logaritmi, che vuole ridurre i nostri regni e le nostre repubbliche a un unico impero digitale.

La battaglia per la libertà e la sopravvivenza passa per l'”ecologia della mente”

  1. La “Green Economy”

Nel fare ciò, per quanto l’economia verde sia una cosa utile e necessaria (l’”ecologia profonda”), c’è qualcosa di ancor più urgente per la nostra economia e per la nostra società (l’”ecologia della mente”), qualcosa che tutti gli altri hanno, tranne noi: un’industria del web (simile alla Google, alla Facebook e all’Amazon  americane, alla Baidu e all’ Alibaba cinesi, alla Yandex e alla VKontakte russe). Tutta l’economia, dalla borsa alle comunicazioni, dalla cultura all’ entertainment, dal commercio ai trasporti, dal turismo all’ immobiliare, sono oggi governati da Internet, che sta compiendo una mutazione antropologica dell’Umanità e allo stesso tempo sposta ingenti masse di denaro in tutto il mondo. Non solo, ma su Internet si giocano la nostra libertà e la nostra identità. Perché la BEI, l’ EFSI e i fondi sovrani degli Stati membri hanno investito così poco su Internet, e, quando l’hanno fatto, l’hanno fatto su progetti non trasparenti e minimalistici come Qwant? Qwant ha ottenuto , fra l’ EFSI, la Cassa Depositi e Prestiti francese e il Gruppo Springer, 35 milioni di Euro per creare il web europeo. Qualcuno ne ha poi più sentito parlare?

Ciò detto, l’Europa può e deve partecipare alla “rivoluzione verde” in corso nel mondo. Tuttavia, anche qui c’è qualcosa di strano nel comportamento, non solo delle autorità, ma anche delle imprese, in relazione ai nuovi settori tecnologici. Prendiamo per esempio l’auto elettrica. Sta partendo in questi giorni per la Cina da Beinasco un carico di 400 container contenente, impacchettata, una linea completamente automatizzata per costruire in Cina un SUV elettrico, costruita dalla CPM, una controllata della tedesca Duerr. A parte il fatto che la notizia apparsa sulla Repubblica sia stata forse esagerata (si tratterebbe solo di una linea di verniciatura), il  giornalista di Repubblica ha posto, al Presidente dell’ Unione Industriale di Torino, Gallina, la domanda, del tutto pertinente “Perché è così utopistico pensare che quella fabbrica potesse essere realizzata qui in Piemonte?” In effetti, trattandosi di una fabbrica automatizzata, la questione decisiva non è certamente il costo del lavoro. Eppure, il Presidente non ha saputo dare una risposta, limitandosi a dire che bisogna cercare di attrarre gl’investitori. Ma perché, come si è fatto con Qwant, non si possono spendere 35 milioni di Euro dell’EFSI, della Cassa Depositi e Presiti e di un investitore privato per creare ex novo in Piemonte una fabbrica di auto elettriche, anziché chiudere l’esistente  Blue Car di Bairo?

Alla fine, a dispetto delle retoriche mercatistiche, la quantità di trasferimenti finanziari pubblici che di fatto si sviluppano fra Europa, America e Paesi in Via di Sviluppo, fra Bruxelles, Stati Membri e Regioni, è così impressionante, che è impossibile capire chi ne sia avvantaggiato e chi ne sia svantaggiato: contributi NATO, acquisto di aerei americani, trasferimento all’ estero di imprese, aiuti allo sviluppo, contributi all’ Unione, fondi strutturali non spesi, fondi BEI non utilizzati per mancanza di progetti. Prima di accapigliarsi circa la destinazione dei vari fondi, sarebbe necessario fare come minimo un po’ di trasparenza dei reali flussi, e di come questi impattino sul PIL dei vari territori;. La “glasnost” di Gorbaciv che precedette la “Perestrojka” dell’ impero sovietico.

Non smettere d’interrogare la società

  1. Richiedere i “provvedimenti straordinari” accennati da Levi alle nuove Autorità (europee e locali)

Le istituzioni europee (ma anche locali) potranno essere prese sul serio (indipendentemente se le loro maggioranze saranno “europeiste” o “sovraniste”), solo se esse affronteranno, e subito, i nodi gordiani elencati in questo post. I movimenti europeistici dovrebbero incalzare fin da subito i nuovi parlamentari, i gruppi politici europei, le nuove Istituzioni e le nuove autorità, comunque e ovunque elette, perché, non dico risolvano questi problemi, ma almeno avviino un dialogo sugli stessi senza lasciare sempre tutto nel vago, di modo che a ogni nuova legislatura non dobbiamo porci le stesse domande, solo con una situazione ulteriormente deteriorata.

In occasione delle precedenti elezioni europee (2014), l’Associazione Culturale Diàlexis aveva pubblicato presso Alpina tre opere volte a sollecitare decisioni in queste materie:

-“Corpus Iuris Technologici”, dedicato alla nuova legislazione europea sul web, inviata alla Presidentessa Boldrini e al presidente Rodotà;

– “Restarting EU Economy”, una lettera aperta al Presidente Juncker perché indirizzasse l’ FSI verso le nuove tecnologie;

-100 tesi sull’ Europa (inviate a tutti gli Europarlamentari) con cui si valutavano criticamente i programmi dei partiti europei per le elezioni del 2014.

Nel Salone del Libro di Torino abbiamo presentato 4 libri dedicati a quattro filoni di approfondimento  (i “Cantieri d’ Europa”: riforma istituzionale; tecnologia; lingue; rapporti con la Cina). Contiamo di proseguire questo lavoro al salone “Più libri, più liberi” di Roma. Come è già successo con il Salone di Torino, invitiamo tutti a contribuire a questo sforzo collettivo.

Soprattutto, invitiamo tutti ad avviare un dialogo con i nuovi eletti, che stanno affrontando il non facile compito di fronteggiare i nodi ormai inestricabili di cui abbiamo parlato nei punti precedenti, con l’obiettivo di raggiungere almeno nuovi livelli di consapevolezza, per esempio sulla tematica della sovranità e sulle competenze tecnico-giuridiche-economiche necessarie per inserirsi nello sviluppo dell’ Asia.

* * * * *

Si allegano i principi sull’ intelligenza artificiale che il G20 in Giappone ha fatto suoi prendendo semplicemente a prestito quelli dell’ OCSE, i quali, a loro volta, assomigliano molto a quelli dell’ Unione Europea.

ALLEGATO

Torino centro della cultura tecno-umanistica?

G20 AI PRINCIPLES

 

The G20 supports the Principles for responsible stewardship of Trustworthy AI in Section 1 and takes note of the Recommendations in Section 2.

 

Section 1: Principles for responsible stewardship of trustworthy AI

 

1.1. Inclusive growth, sustainable development and well-being Stakeholders should proactively engage in responsible stewardship of trustworthy AI in pursuit of beneficial outcomes for people and the planet, such as augmenting human capabilities and enhancing creativity, advancing inclusion of underrepresented populations, reducing economic, social, gender and other inequalities, and protecting natural environments, thus invigorating inclusive growth, sustainable development and well-being.

 

1.2. Human-centered values and fairness a) AI actors should respect the rule of law, human rights and democratic values, throughout the AI system lifecycle. These include freedom, dignity and autonomy, privacy and data protection, non-discrimination and equality, diversity, fairness, social justice, and internationally recognized labor rights. b) To this end, AI actors should implement mechanisms and safeguards, such as capacity for human determination, that are appropriate to the context and consistent with the state of art.

 

1.3. Transparency and explainability AI Actors should commit to transparency and responsible disclosure regarding AI systems. To this end, they should provide meaningful information, appropriate to the context, and consistent with the state of art: i. to foster a general understanding of AI systems; ii. to make stakeholders aware of their interactions with AI systems, including in the workplace; iii. to enable those affected by an AI system to understand the outcome; and, iv. to enable those adversely affected by an AI system to challenge its outcome based on plain and easy-to-understand information on the factors, and the logic that served as the basis for the prediction, recommendation or decision.

 

1.4. Robustness, security and safety a) AI systems should be robust, secure and safe throughout their entire lifecycle so that, in                                                    2 This Annex draws from the OECD principles and recommendations.

12

 

conditions of normal use, foreseeable use or misuse, or other adverse conditions, they function appropriately and do not pose unreasonable safety risk. b) To this end, AI actors should ensure traceability, including in relation to datasets, processes and decisions made during the AI system lifecycle, to enable analysis of the AI system’s outcomes and responses to inquiry, appropriate to the context and consistent with the state of art. c) AI actors should, based on their roles, the context, and their ability to act, apply a systematic risk management approach to each phase of the AI system lifecycle on a continuous basis to address risks related to AI systems, including privacy, digital security, safety and bias.

 

1.5. Accountability AI actors should be accountable for the proper functioning of AI systems and for the respect of the above principles, based on their roles, the context, and consistent with the state of art.  

13

 

Section 2: National policies and international co-operation for trustworthy AI

 

2.1. Investing in AI research and development a) Governments should consider long-term public investment, and encourage private investment, in research and development, including inter-disciplinary efforts, to spur innovation in trustworthy AI that focus on challenging technical issues and on AI-related social, legal and ethical implications and policy issues. b) Governments should also consider public investment and encourage private investment in open datasets that are representative and respect privacy and data protection to support an environment for AI research and development that is free of inappropriate bias and to improve interoperability and use of standards.

 

2.2. Fostering a digital ecosystem for AI Governments should foster the development of, and access to, a digital ecosystem for trustworthy AI. Such an ecosystem includes in particular digital technologies and infrastructure, and mechanisms for sharing AI knowledge, as appropriate. In this regard, governments should consider promoting mechanisms, such as data trusts, to support the safe, fair, legal and ethical sharing of data.

 

2.3 Shaping an enabling policy environment for AI a) Governments should promote a policy environment that supports an agile transition from the research and development stage to the deployment and operation stage for trustworthy AI systems. To this effect, they should consider using experimentation to provide a controlled environment in which AI systems can be tested, and scaled-up, as appropriate. b) Governments should review and adapt, as appropriate, their policy and regulatory frameworks and assessment mechanisms as they apply to AI systems to encourage innovation and competition for trustworthy AI.

 

2.4. Building human capacity and preparing for labor market transformation a) Governments should work closely with stakeholders to prepare for the transformation of the world of work and of society. They should empower people to effectively use and interact with AI systems across the breadth of applications, including by equipping them with the necessary skills. b) Governments should take steps, including through social dialogue, to ensure a fair transition for workers as AI is deployed, such as through training programs along the working life, support for those affected by displacement, and access to new opportunities in the labor market.

14

 

  1. c) Governments should also work closely with stakeholders to promote the responsible use of AI at work, to enhance the safety of workers and the quality of jobs, to foster entrepreneurship and productivity, and aim to ensure that the benefits from AI are broadly and fairly shared.

 

2.5. International co-operation for trustworthy AI a) Governments, including developing countries and with stakeholders, should actively cooperate to advance these principles and to progress on responsible stewardship of trustworthy AI. b) Governments should work together in the OECD and other global and regional fora to foster the sharing of AI knowledge, as appropriate. They should encourage international, cross sectoral and open multi-stakeholder initiatives to garner long-term expertise on AI. c) Governments should promote the development of multi-stakeholder, consensus-driven global technical standards for interoperable and trustworthy AI. d) Governments should also encourage the development, and their own use, of internationally comparable metrics to measure AI research, development and deployment, and gather the evidence base to assess progress in the implementation of these principles.

G20 AI PRINCIPLES

 

The G20 supports the Principles for responsible stewardship of Trustworthy AI in Section 1 and takes note of the Recommendations in Section 2.

 

Section 1: Principles for responsible stewardship of trustworthy AI

 

1.1. Inclusive growth, sustainable development and well-being Stakeholders should proactively engage in responsible stewardship of trustworthy AI in pursuit of beneficial outcomes for people and the planet, such as augmenting human capabilities and enhancing creativity, advancing inclusion of underrepresented populations, reducing economic, social, gender and other inequalities, and protecting natural environments, thus invigorating inclusive growth, sustainable development and well-being.

 

1.2. Human-centered values and fairness a) AI actors should respect the rule of law, human rights and democratic values, throughout the AI system lifecycle. These include freedom, dignity and autonomy, privacy and data protection, non-discrimination and equality, diversity, fairness, social justice, and internationally recognized labor rights. b) To this end, AI actors should implement mechanisms and safeguards, such as capacity for human determination, that are appropriate to the context and consistent with the state of art.

 

1.3. Transparency and explainability AI Actors should commit to transparency and responsible disclosure regarding AI systems. To this end, they should provide meaningful information, appropriate to the context, and consistent with the state of art: i. to foster a general understanding of AI systems; ii. to make stakeholders aware of their interactions with AI systems, including in the workplace; iii. to enable those affected by an AI system to understand the outcome; and, iv. to enable those adversely affected by an AI system to challenge its outcome based on plain and easy-to-understand information on the factors, and the logic that served as the basis for the prediction, recommendation or decision.

 

1.4. Robustness, security and safety a) AI systems should be robust, secure and safe throughout their entire lifecycle so that, in                                                    2 This Annex draws from the OECD principles and recommendations.

12

 

conditions of normal use, foreseeable use or misuse, or other adverse conditions, they function appropriately and do not pose unreasonable safety risk. b) To this end, AI actors should ensure traceability, including in relation to datasets, processes and decisions made during the AI system lifecycle, to enable analysis of the AI system’s outcomes and responses to inquiry, appropriate to the context and consistent with the state of art. c) AI actors should, based on their roles, the context, and their ability to act, apply a systematic risk management approach to each phase of the AI system lifecycle on a continuous basis to address risks related to AI systems, including privacy, digital security, safety and bias.

 

1.5. Accountability AI actors should be accountable for the proper functioning of AI systems and for the respect of the above principles, based on their roles, the context, and consistent with the state of art.  

13

 

Section 2: National policies and international co-operation for trustworthy AI

 

2.1. Investing in AI research and development a) Governments should consider long-term public investment, and encourage private investment, in research and development, including inter-disciplinary efforts, to spur innovation in trustworthy AI that focus on challenging technical issues and on AI-related social, legal and ethical implications and policy issues. b) Governments should also consider public investment and encourage private investment in open datasets that are representative and respect privacy and data protection to support an environment for AI research and development that is free of inappropriate bias and to improve interoperability and use of standards.

 

2.2. Fostering a digital ecosystem for AI Governments should foster the development of, and access to, a digital ecosystem for trustworthy AI. Such an ecosystem includes in particular digital technologies and infrastructure, and mechanisms for sharing AI knowledge, as appropriate. In this regard, governments should consider promoting mechanisms, such as data trusts, to support the safe, fair, legal and ethical sharing of data.

 

2.3 Shaping an enabling policy environment for AI a) Governments should promote a policy environment that supports an agile transition from the research and development stage to the deployment and operation stage for trustworthy AI systems. To this effect, they should consider using experimentation to provide a controlled environment in which AI systems can be tested, and scaled-up, as appropriate. b) Governments should review and adapt, as appropriate, their policy and regulatory frameworks and assessment mechanisms as they apply to AI systems to encourage innovation and competition for trustworthy AI.

 

2.4. Building human capacity and preparing for labor market transformation a) Governments should work closely with stakeholders to prepare for the transformation of the world of work and of society. They should empower people to effectively use and interact with AI systems across the breadth of applications, including by equipping them with the necessary skills. b) Governments should take steps, including through social dialogue, to ensure a fair transition for workers as AI is deployed, such as through training programs along the working life, support for those affected by displacement, and access to new opportunities in the labor market.

14

 

  1. c) Governments should also work closely with stakeholders to promote the responsible use of AI at work, to enhance the safety of workers and the quality of jobs, to foster entrepreneurship and productivity, and aim to ensure that the benefits from AI are broadly and fairly shared.

 

2.5. International co-operation for trustworthy AI a) Governments, including developing countries and with stakeholders, should actively cooperate to advance these principles and to progress on responsible stewardship of trustworthy AI. b) Governments should work together in the OECD and other global and regional fora to foster the sharing of AI knowledge, as appropriate. They should encourage international, cross sectoral and open multi-stakeholder initiatives to garner long-term expertise on AI. c) Governments should promote the development of multi-stakeholder, consensus-driven global technical standards for interoperable and trustworthy AI. d) Governments should also encourage the development, and their own use, of internationally comparable metrics to measure AI research, development and deployment, and gather the evidence base to assess progress in the implementation of these principles.

SOVRANISMO E DAZI/SANZIONI: RISPOSTA A STEVE BANNON

 

Nel suo recente viaggio in Italia, Steve Bannon, già consigliere e stratega del Presidente Trump, poi “licenziato” per il suo eccesso di zelo, ha affermato che la vittoria dei sovranisti è inevitabile in tutto il mondo, e, in particolare, in Europa, e che, pertanto, l’Unione Europea ha i giorni contati. E certamente, come pensa anche Trump, il sovranismo va bene  per gli Stati Uniti perché questi sono i soli ad essere veramente” sovrani”, cosicché, se cade, a livello internazionale, ma in Europa,, stante la nostra “Kleinstaaterei”, avrebbe un effetto micidialmente autdistruttivo.

Tuttavia, paradossalmente, l’attesa vittoria degli attuali “sovranisti”  (più propriamente, “populisti”) potrebbe essere  sabotata proprio dai comportamenti di Trump, il quale, minacciando l’intera Europa,  metterà sempre più  in evidenza l’esigenza di un “sovranismo europeo”.

Come reagire, infatti, ai nuovi dazi di Trump (e/o a quel che ne segue), se non a livello europeo?

Una volta caduto il  tabù circa l’utilizzo discrezionale  del potere sovrano, da un lato, gli USA avranno  più chances di continuare a disciplinare gli alleati sotto il loro potere “sovrano”, e, dall’ altro, potranno   esasperare  più facilmente un clima  conflittuale con Cina e Russia, così rallentando il progetto d’integrazione eurasiatica che si muove intorno al progetto della Nuova Via della Seta. e danneggiando ancora una volta l’ Europa, che già oggi non può  commerciare con la Russia e l’Iran  a causa delle sanzioni, e avrà sempre più difficoltà a commerciare con l’ America (e magari la Cina).

1.Il nuovo “nazionalismo”: l’ultima trovata tattica dell’ America per non “mollare la presa”

Indubbiamente, l’amministrazione Obama, con le sue ambiguità, un mix di pacifismo e di interventismo, non era riuscita a rallentare ia ritirata dell’ America dal mondo, fallendo le  sue manovre più spettacolari, come il TTIP, il TTP,  l’Ucraina, la Libia e la Siria.

Tuttavia, l’idea di essere “il legislatore del mondo”(Whitman) è talmente alla radice dell’ identità americana, da aver costituito  da sempre il “leitmotiv” della politica degli USA, sotto i più diversi presidenti. Infatti, come continuare a pretendere un ruolo egemone “per diritto divino” (i “leaders del mondo libero”), se non attraverso la diuturna  dimostrazione dell’invincibilità, segno da sempre della Grazia divina? Già Jefferson scriveva disperatamente ai rivoluzionari francesi ch’essi dovevano semplicemente copiare la costituzione americana;  Emerson esaltava la “razza sassone imperatoria” che avrebbe disciplinato, allo stesso tempo, i selvaggi americani e i litigiosi europei; Fiske e Wilkie pensavano che gli Stati Uniti avrebbero annesso tutto il mondo; Wilson aveva fondato la Società delle Nazioni, ma poi gli USA non vi erano entrati, restando con le mani libere mentre tutti gli altri risultavano vincolati.

La classe dirigente americana, come sempre, non demorde da questo suo progetto di conquista mondiale nonostante gli ostacoli via via incontrati, e ogni  volta “tira fuori dal cappello” una tattica nuova, apparentemente opposta. Come dopo Roosvelt venne Truman, dopo Clinton, Bush, dopo Bush, Obama, dopo Obama, Trump. Tuttavia, il risultato non cambia. L’obiettivo è sempre stato  quello di tenere disciplinati gli alleati e, contemporaneamente, destabilizzare tutti gli Stati rimasti veramente sovrani.

Il punto è proprio  questo. Quanti Stati sono oggi veramente sovrani? Chi non è controllato dallo spionaggio elettronico delle superpotenze? Chi è al di fuori della Weltanschauung  modernistica dell’ America? Chi non ha basi americane? Chi  non è dominato dalle Big Five? Questi Stati si contano sulla punta delle dita. Solo questi hanno la possibilità pratica di essere “sovranisti”

Infatti, è vero quello che dicono i “globalisti”,  che cioè oggi , è impossibile assumere decisioni veramente autonome. Ma questo non già perché gli Stati si siano liquefatti dinanzi ai mercati, bensì perché c’è uno Stato che, grazie  alle posizioni acquisite, condiziona tutti gli altri. in  realtà, chi fosse sinceramente  ” sovranista” dovrebbe, come prima cosa, crearsi  un proprio Complesso Informatico-Militare nazionale, sganciato da quello “occidentale”. Solo così potrebbe assumere una qualsivoglia decisione autonoma.

Oggi, un’indipendenza dagli USA ce l’hanno solo la Russia e la Cina, mentre India e Israele, per quanto potenti, non possono fare a meno d’interagire continuamente con gli Stati Uniti.

L’ Unione Europea, poi,  è, in realtà, ad di sotto del limite necessario per poter esercitare poteri sovrani.Figuriamoci gli Stati membri!Durante i primi sessant’anni di vita delle Comunità Europee, le classi politiche ufficiali hanno dedicato i loro massimi  sforzi a convincere i cittadini che, attraverso l’integrazione, l’ Europa stesse diventando anche meno dipendente dagli Stati Uniti: più ricca, più grande, più sociale…Peccato che vi fosse fin dall’ inizio l’ “arrière-pensée” che, oltre a un cero limite, né di indipendenza, né di autonomia, non si potesse andare ( “America First” significa soprattutto che, per un’ esigenza ideologica, l’America dev’ essere il “Leader”, e gli altri, i “Followers”).

Si è visto così, anno dopo anno, che, sotto l’illusione del “miracolo economico” ,si celava un’inaudita debolezza strutturale; sotto lo stile di vita consumistico, la dilapidazione delle risorse; sotto l’immagine della libertà, un inedito controllo da parte della cultura mainstream e  del Complesso Informatico-militare :insomma un declassamento e un impoverimento senza fine. E’ naturale perciò che, alla fine, molti stiano perdendo la pazienza, anche se non ne hanno ancora compreso il  perché, e cerchino di scrollarsi di dosso quello che sembra un inspiegabile incantesimo maligno.

Per questo, come dice Franco Cardini, i populisti dei vari stati europei non sono affatto sovranisti, perché non rivendicano affatto l’indipendenza dall’America, ma, al massimo, vogliono continuare  come hanno sempre fatto i vari Moro, Strauss, Craxi, Brandt, Chirac, Schmidt ; la “politica dei due forni”, per cui di tanto in tanto si va a Mosca per fare ingelosire l’America, ma poi si torna sempre tutti  all’ ovile.

2.Gli Europei si rendono conto delle loro ridicole dimensioni?

Un altro motivo per cui un “sovranismo” dei singoli Stati europei non è semplicemente fattibile sono le loro infime dimensioni. Come noto, Carl Schmidt  diceva che “Sovrano è chi decide sullo stato d’eccezione”. Oggi, sullo “stato di eccezione” possono decidere solo i Paesi che, come gli USA, la Cina, la Russia, Israele e l’India, hanno un proprio Complesso Informatico-Militare, che guida tutte le attività del Paese in funzione della sua forza: ideologica, culturale, conomica, politica e militare (come espresso esplicitamente dalla nuova dottrina militare americana). 

Non certo, comunque, Stati, come la Germania, la Francia, o l’Italia, che hanno una popolazione comparabile a quella di una provincia  cinese o addirittura di un distretto indiano.

Vorrei solo ricordare, a chi non se ne fosse ancora accorto, le dimensioni  di alcuni Stati indiani o province della Cina, confrontandole con quelle dei maggiori Paesi  europei (a cominciare da Russia,  Germania e Turchia):

Uttar Pradesh      (Benares) 207 milioni

Federazione Russa                  144

Maharashtra  (Mumbai)       112

Guangdong    (Canton)           104

Bihar (Patna)                                103

Bengala (Calcutta)                        91

Germania                                           84

Madya Pradesh (Bhopal)           72

Tamil Nadu (Chennai)                  72

Turchia                                                  71

Ovviamente, regno Unito, Italia, Francia, Spagna, Polonia, ecc…, sono ancora più piccole.

Un ulteriore  problema è che, mentre la Cina, l’India e la Russia, grazie a una guida unitaria, non fanno che crescere, economicamente e politicamente, l’ Europa cresce (quando cresce), a una velocità che è che pari a meno della a metà di quella della Cina.

Quindi, non c’è scampo: se l’Europa vuole contare di più, l’unico “sovranismo” possibile è quello europeo, quello che (a parole) vorrebbe Macron, il quale però si guarda bene dal rievocare anche solo blandamente le idee formulate  a questo proposito 50 anni fa da De Gaulle e da Servan Schreiber. Come ha detto Varufakis, si tratta solo di “una mano di bianco” E’ tenendo a mente questa situazione  che ho  scritto il libro Da Qin, che parte dall’ idea, espressa  da Zhang Weiwei, secondo cui “l’Impero Romano, se fosse rimasto unito, oggi sarebbe come la Cina”. Quindi, l’Europa, per essere all’ altezza delle sfide di oggi,  deve tornare ad essere ameno quello che era l’Impero Romano: appunto, “la Grande Cina.”

3.Basta con l'”Imbroglio” europeo

In effetti, come scriveva Toni Negri, proprio i più convinti europeisti hanno dovuto convincersi, loro malgrado, che l’Europa come è stata costruita è stata un imbroglio. Un imbroglio, per dirla con Franz Josef Strauss, “for keeping the Germans down, the Americans in and the Russians out”.

Già Freud aveva sostenuto che la cosiddetta “Coscienza Europea” (cioè un  buonismo come quello che prevale nell’ attuale Unione), celava la vera identità Europea. Dopo ’70 anni trascorsi sotto queste classi dirigenti, che predicano la “negazione di se stessi”, in tutti i campi: in quello  culturale (ironia, informalità, individualismo piccolo borghese), in campo economico (apertura unilaterale, no alle guerre economiche), in campo politico (no a un'”ideologia europea”), l’Unione Europea ha dimostrato di non essere all’ altezza di rappresentare adeguatamente nel mondo il nostro Continente . Manca una visione culturale specifica che, come quella confuciana,  ragioni  sulla base dei millenni; un movimento politico come quello sionista, con progetti che  vanno avanti per almeno un secolo , una struttura politica, come quella russa,  capace di operare in  profondità per almeno alcuni decenni; uomini politici capaci almeno, come Modi, di fare comunque dei programmi; imprenditori, come Jack Ma, che non siano affetti, come i nostri, da provincialismo ; intellettuali con una visione mondiale com’erano stati, ai loro tempi, un Leibniz o un Toynbee.

La nostra mutevole classe dirigente, con il suo eterno camaleontismo, finge dunque di sposare le sempre cangianti mode politiche occidentali (oggi, il “populismo”) solo per continuare a non fare nulla di concreto contro la subordinazione dell’ Europa. Ad esempio, contro le sanzioni di Trump per acciaio e alluminio si discute di colpire…le arachidi e i jeans!

4.Le esigenze della difesa

Non si considera che, se si vuole spaventare l’ America, occorre colpire l’industria militare, informatica e culturale, che sono quelle grazie alle quali l’ America domina l’ Europa. Non per nulla, per i suoi dazi, che sono in realtà delle sanzioni politico-militari, Trump ha invocato una precisa clausola del WTO, quella sulle esigenze della difesa.Sempre nella stessa occasione, il presidente  ha citato, come motivazione, anche il tema delle spese per la NATO.  In pratica, si vuole colpire l’ Europa perché non obbedisce ciecamente agli USA per le politiche militarì.

Certo, l'”unilateralismo”  di questa posizione americana è sbalorditivo. Perché mai l’ Europa, che da sola spende per la Difesa più di Russia e Cina messe insieme senza poter avere una “sua” difesa, dovrebbe aumentare ancora questa spesa per allinearsi agli USA, che spendono da sole più di tutti i Paesi del mondo, ma solo perché vogliono occupare tutto il mondo? Tra l’altro, se l’Europa potesse spendere per conto suo tutti quei soldi, li spenderebbe molto meglio, in cose che servano veramente. Visto che gli USA occupano l’Europa con un esercito grande quasi come quello stanziato  negli USA, i pagamenti che servono a mantenere le basi NATO sono un vero e proprio tributo, come il terzo dei raccolti,  che le province romane pagavano per il mantenimento delle legioni romane nel loro territorio. Infine, l’Europa finge  solo per timore reverenziale  di condividere gli obiettivi americani (come quello di  tenere permanentemente occupati  Afghanistan  e Iraq), ma non ne ha affatto un interesse vitale; pertanto, non si capisce perché debba contribuire anche a quei costi.

4.I dazi/sanzioni

In realtà, vi è una profonda verità nella tesi di Trump: le sue preoccupazioni  sono anche e soprattutto  di carattere militare. Trump ha interiorizzato completamente le tesi degli autori cinesi di “Guerra Senza Limiti” e del Comitato cinese per l’ Unificazione del Civile e del Militare: oggi più che mai vale il concetto di SunZu e di Clausewitz, che vi sia una continuità fra guerra e pace. Concetto espresso ufficialmente nella nuova dottrina americana della difesa. La leadership ideologica americana non sarebbe mai nata se gl’Inglesi non avessero sconfitto i francesi nel Canada; quella culturale  se i rivoluzionari non avessero sconfitto gl’ Inglesi, quella politica, senza la Guerra con il Messico, e quella economica senza quella  di secessione. L’America non sarebbe divenuta una potenza mondiale senza la guerra contro la Spagna, né il leader mondiale senza la Seconda Guerra Mondiale. Non sarebbe potuta nascere la religione tecnologica senza il Progetto Manhattan, né quella di internet senza il DARPA.

Per sopravvivere come Stato ideologico, gli Stati Uniti debbono mantenere la leadership, al  contempo economica e militare. Altrimenti, temono di fare la fine dell’ altra grande potenza ideologica, l’ URSS, che nessuno più seguiva perché tutti amano  i forti,  non già i perdenti.

Quindi, Trump vuole effettivamente riportare in America le produzioni di metalli, non solo perché glielo chiede il suo elettorato, ma anche  perché effettivamente non esclude, come tutti i Presidenti americani, e come egli in particolare ama ripetere,  una Terza Guerra Mondiale, in preparazione della quale occorre che l’ America si doti di un’ampia base industriale autarchica, per poter sostenere l’urto di avversari sempre più agguerriti.  E’ in quest’ottica che le minacce e i ricatti debbono essere rivolti innanzitutto agli alleati, perché sono questi che, con un atteggiamento sempre meno risoluto, potrebbero determinare la sconfitta degli USA.

Ma, di converso, se Trump dichiarando di essere costretto (ai sensi delle norme WTO) a rinazionalizzare le produzioni di acciaio e alluminio prodotti in Canada, Brasile e Europa, riconosce con ciò implicitamente che non conta di averli al suo fianco in un’ipotetica guerra mondiale, o che, come Hitler  per l’ Italia, non se ne fida, al punto di non volerli in guerra al suo fianco.

Infine, l’atteggiamento di Trump ufficializza l’adozione, della dottrina del “Keynesismo militare” dell’ economista polacco Kalecki, che, per quanto ampiamente adottata  (dalla Germania Nazista, dagli USA e dalla stessa UE), e teorizzata recentemente  dal generale lettone Alekss Tiltins, era stata fino ad ora tenuta nascosta. Si tratta, cioè, di utilizzare la spesa militare, e ancor più la preparazione militare bellica, come “leva” per fare crescere l’economia in tempi di recessione.

in realtà, proprio la vicenda dei dazi finirà per rendere difficile il compito  dei “sovranisti” europei. Se diventa evidente che chi vuole deliberatamente rovinare l’economia europea per mantenere un primato americano (“America First”) sono proprio gli USA, e in particolare Trump, non già gl’immigrati, né i burocrati di Bruxelles, né l’Organizzazione di Shanghai (che forse non aiutano, ma non sono certo la causa principale), diventerà difficile per i diversi “sovranisti” non schierarsi a favore di molto probabili contro-sanzioni, o, addirittura, contro il Presidente americano e dei suoi sostenitori.

L’unica intesa a lungo termine  fra Europa e USA  sarebbe quella fondata sulla rinunzia, da parte dell’ America, alla sua “priorità”, accettando essa di essere, per l’ Europa,  un partner come tutti gli altri. Certo,  tale intesa sarebbe più facile con un’ America integralmente “sovranista” che con un’America ispirata ad un  messianesimo “idealistico” puritano come quella di Obama  .Sarà questo possibile? Gli USA, con qualunque tipo di governo, accetteranno mai di non essere, come diceva Madeleine Albright, “la sola nazione necessaria”? All’ inizio della campagna elettorale, sembrava che questa fosse l’intenzione di Trump; però, un paio di anni dopo, dobbiamo osservare ch’egli si è piegato ai diktat del Complesso Informatico-Militare, per il quale un mondo veramente multipolare  significherebbe l’inizio della disoccupazione per generali, spie, finanzieri, lobbisti, amministratori delegati, hackers, fornitori e contractors (cioè il contrario del “keynesismo militare”).

Comunque sia, questa battaglia dei dazi è, per gli Europei, un’occasione imperdibile per aprire gli occhi a molti e costringere tutti i pretesi “sovranisti” a diventarlo davvero.