Più che l’analisi formulata da Draghi alla presentazione del libro di Cazzullo “Quando eravamo padroni del mondo” – quasi scontata, e condivisa da tutti, secondo la quale l’Unione Europea non funziona più, ed è, perciò, da reinventare-, stupiscono i commenti dei giornali dell’ “establishment”, e, in primis, quello de “La Repubblica”, che, in altri tempi, si sarebbero limitati ad applaudire. L’articolo di Giovanni Orsina“Perché lo Stato europeo di Draghi è un’idea forte ma irrealizzabile” percorre, sostanzialmente, la strada dell’euroscetticismo, constatando che l’andamento elettorale in tutta Europa, che premia i partiti definiti impropriamente “sovranisti”, va piuttosto nel senso di una riappropriazione di poteri da parte degli Stati membri. Secondo Orsina, s’imporrebbe un compromesso fra il “razionale” federalismo e il sostanziale micro-nazionalismo (che potrebbe trovare la sua espressione al Parlamento Europeo in un allargamento a destra della “Maggioranza Ursula”, verso l’instabile galassia degli europartiti di destra, che si stanno confrontando al loro interno, nella speranza di essere arrivati finalmente alla “stanza dei bottoni”.
Più che l’analisi formulata da Draghi alla presentazione del libro di Cazzullo “Quando eravamo padroni del mondo” – quasi scontata, e condivisa da tutti, secondo la quale l’Unione Europea non funziona più, ed è, perciò, da reinventare-, stupiscono i commenti dei giornali dell’ “establishment”, e, in primis, quello de “La Repubblica”, che, in altri tempi, si sarebbero limitati ad applaudire. L’articolo di Giovanni Orsina“Perché lo Stato europeo di Draghi è un’idea forte ma irrealizzabile” percorre, sostanzialmente, la strada dell’euroscetticismo, constatando che l’andamento elettorale in tutta Europa, che premia i partiti definiti impropriamente “sovranisti”, va piuttosto nel senso di una riappropriazione di poteri da parte degli Stati membri. Secondo Orsina, s’imporrebbe un compromesso fra il “razionale” federalismo e il sostanziale micro-nazionalismo (che potrebbe trovare la sua espressione al Parlamento Europeo in un allargamento a destra della “Maggioranza Ursula”, verso l’instabile galassia degli europartiti di destra, che si stanno confrontando al loro interno, nella speranza di essere arrivati finalmente alla “stanza dei bottoni”.
1.La federazione europea non è nell’ interesse degli Stati Uniti (ANDREW A. MICHTA, “Politico”)
Una spiegazione esauriente del cambiamento di rotta dell’“establishment” si può trovare nell’ articolo di Michta su “Politico” che abbiamo riportato nel post del 24 Novembre u.s, il rafforzamento dell’ Unione, quale vorrebbero (forse) i Governi francese e tedesco, che ha trovato una sua blanda espressione nel documento del “Gruppo dei 12” franco-tedesco, “non è nell’ interesse degli Stati Uniti”.L’optimum è che l’ Europa non si rafforzi troppo, ma neppure si sgretoli, restando in eterno “né carne, né pesce”. Cosa possibile, ma improbabile.
Viene così al pettine il nodo cruciale dell’Unione Europea: nonostante che uno Stato europeo forte, come invoca Draghi, sia da almeno cent’anni un’esigenza urgente per i popoli d’Europa e per il mondo intero (vedi “Pan-europa”, 1923), le classi dirigenti europee, succubi delle vecchie ideologie sette-ottocentesche, come il neo-liberismo internazionale, l’internazionalismo socialista, la teologia della liberazione, il micro-nazionalismo e perfino il “fardello dell’ Uomo Bianco” (e/o “occidentale” o “ariano”), non vi hanno prestato minimamente attenzione, e, quando l’hanno fatto, l’hanno fatto distrattamente, senza dedicarvi eccessivo impegno.
Basti riandare al quasi dilettantistico, anche se sofisticato, progetto di Coudenhove Kalergi, alle oscillazioni di Spinelli fra un federalismo rivoluzionario come quello di Ventotene e un inserimento di fatto nell’establishment funzionalistico ( come commissario ed europarlamentare), e, infine, alla facile liquidazione dei conati europeistici della Francia post-gollista (Giscard d’Estaing, Mitterrand), nonché di Gorbaciov, e perfino del progetto di federazione sotto l’Asse, subito bloccatosi al “Nein” stilato da Hitler al margine dell’ apposito documento di Ribbentrop.
In realtà, come scrivevamo nel post del 24/11, le Comunità Europee avevano esordito nientemeno che con un ordine del giorno approvato dal Senato americano su proposta del Senatore Fulbright, con l’American Commission for a United Europe e con una Dichiarazione Schuman in realtà approntata da Monnet a quattr’occhi con il Segretario di Sato americano Dean Atcheson, sbarcato con un blitz a Parigi il giorno prima dell’ annunzio al Quai d’Orsai.
Le Comunità Europee erano quindi nate da cerchie ristrettissime, più americane che europee, e non avevano mai posseduto, né la ricchezza intellettuale, ne lo spirito combattivo, non diciamo per discostarsi dai desiderata americani, ma neppure per pensare a un proprio autonomo percorso culturale.
2. Sconvolgimento degli equilibri post-1945
Oggi, di fronte al mutamento drammatico dello scenario mondiale, dominato da un’ Intelligenza Artificiale che, sole, possono permettersi le Grandi Potenze; dinanzi allo sconvolgimento del potere di fatto all’ interno degli USA per via della crescente maggioranza “non WASP” (cioè Latinos, Afroamericani, Nativi Americani, Asiatici, più Cattolici, Irlandesi, Gallesi, Scozzesi, Tedeschi, Italiani, Polacchi, Ebrei…), e del conseguente peso della cultura “woke”, e, infine, dinanzi al prevalere economico dell’ Asia e dei BRICS, una nuova ondata in Europa è inevitabile, con o senza l’ Unione Europea.
Tutto ciò rende, da un lato, più urgente che mai, e, dall’ altro, finalmente possibile, un’Europa forte come indicato da Draghi, a patto, però, di abbandonare la cultura “mainstream” del nostro “establishment”, ponendosi come obiettivo, non già di supportare da un ruolo ancillare la prosecuzione del tentativo di presa di controllo sul mondo dei GAFAM, bensì di costruire un’alternativa agli stessi, fondata sulla cultura tradizionale europea, che è critica, elitaria e sociale.
Accertato infatti (come implicitamente fanno tanto Draghi quanto Orsina) che le classi dirigenti europee attuali non sono in grado di esprimere alcun progetto sui temi più importanti, come la sopravvivenza dell’ Umanità, il dialogo multiculturale e la Guerra Mondiale a Pezzi, occorrerebbe partire da una seppur modesta élite capace di pensiero autonomo, che si dedicasse alla comparazione senza pregiudizi con gli altri Continenti, alla risposta alle domande irrisolte dei nostri filosofi e delle diverse confessioni religiose europee, e, infine, all’ educazione degli Europei per il XXI Secolo. Solo una siffatta classe dirigente potrebbe volere, e tentare di realizzare , un’Europa più compatta, talmente sicura di sé da poter permettere senza pericolo alle sue regioni di esprimere quelle distinte identità che contrassegnano il nostro Continente, soddisfacendo così nello stesso tempo le esigenze dei federalisti europei e quelle dei micronazionalisti.
La lentezza con cui in Europa si muovono tutti i processi politici costituisce la prova provata dell’inidoneità del sistema attuale a fronteggiare i problemi del XXI° secolo, dominato da colossali Stati-civiltà capaci d’ immaginare il futuro guardando al passato, di delineare politiche nuove dedicate ai problemi dell’oggi (tecnologia, geopolitica), di formare classi dirigenti “epistocratiche”, di scrivere leggi leggibili e di attuarle, e, soprattutto, di agire in pochissimi anni…
Come noto, l’esempio tipico di uno Stato-civiltà (Wénmíng guójiā) è costituito dalla Repubblica Popolare Cinese, che, nata nel 1949 dalle macerie lasciate da cent’anni di guerre, ha saputo riconquistare in 100 anni alla Cina il suo ruolo millenario di prima potenza mondiale. Invece, l’Unione Europea, nata (come Comunità Europee) più o meno negli stessi anni, non è ancora riuscita a unificare il nostro Continente, è ancora occupata da una potenza straniera, “perde continuamente pezzi” (cfr. Brexit, Turchia) , e, infine, è divisa al suo interno ad un punto tale che il presidente di turno, lo sloveno Janez Janša, è stato costretto ad affermare, nel suo discorso inaugurale, che il suo Paese viene trattato, dall’ Unione Europea, “come una colonia”. Il che è particolarmente grave per chi, come Janša, trent’anni fa aveva combattuto armi alla mano per una Slovenia indipendente.
Tutto quanto sopra rende più necessaria che mai una vera Conferenza sul Futuro dell’Europa, per affrontare, e, possibilmente, eliminare questi difetti della costruzione europea. Purtroppo, come risulta sempre più evidente di giorno in giorno, e come denunziato sempre più frequentemente dagli stessi federalisti europei, la Conferenza indetta dalle Istituzioni si sta rivelando, come ha scritto Virgilio Dastoli, “una farsa”.
Infatti, mentre la logica vorrebbe che si partisse da uno studio storico-filosofico comparativo, dell’Europa e degli altri Continenti, nell’era delle macchine intelligenti, per poi passare all’elaborazione, sul piano culturale, di ipotesi politiche di trasformazione, di qui a un dibattito nel mondo politico, nell’ accademia, nella società civile, e ,solo allora, al confronto politico (e, semmai, elettorale), qui si sta invece procedendo in un modo anodino, praticamente segreto, senz’alcun progetto, con una piattaforma digitale che sfigura, non solo nel confronto con quelle dei GAFAM e dei BATX, ma perfino con la vecchia piattaforma di Juncker, con “rappresentanti dei cittadini” scelti a sorte…
In queste condizioni, ha perfettamente ragione l’ “Appello sul Futuro dell’ Europa”dei 16 partiti “sovranisti”del Parlamento Europeo a criticare l’approccio verticistico della Conferenza, anche se poi i sovranisti stessi si comportano esattamente nello stesso modo delle Istituzioni. Tanto per cominciare, l’Appello non è stato pubblicato sul sito di nessuno dei 16 movimenti firmatari, salvo che su quello del Rassemblement National di Marine Le Pen, dove (con un trucchetto usato sistematicamente dalle Istituzioni) lo hanno collegato con un link così instabile ch’è impossibile accedervi.
Inoltre, l’elenco dei pretesi “valori dell’ Europa” per i sovranisti è altrettanto stantio quanto quello dell’ establishment, e le proposte concrete per il futuro dell’ Europa, inesistenti.
E’ chiaro che le forze politiche presenti nel Parlamento Europeo (siano esse di sinistra o di destra) hanno sempre più paura che si cominci a dibattere sui veri problemi dell’Europa del XXI secolo (che non hanno più nulla in comune con le loro vecchie ideologie), perché un siffatto dibattito, mettendo in luce la loro inconsistenza culturale, renderebbe più acuta che mai l’urgenza del ricambio integrale della classe politica.
1.I “VALORI”
Rémi Brague, forse l’unico teorico europeo serio nell’area conservatrice, ha giustamente rilevato che il termine “valori” non è appropriato, né per descrivere la visione del mondo classica, né per quella postmoderna.
Infatti, il termine “valori” (che fa parte evidentemente di una terminologia mercantile) è stato usato da Nietzsche proprio per sottolineare il loro carattere relativo e transeunte (“la trasmutazione di tutti i valori”), mentre, nelle culture dell’Era Assiale (fra cui il Cristianesimo), si usava il termine “virtù” (“areté”, “De”), e, in quella dell’attuale “establishment” si pretende che essi siano validi “in ogni tempo e in ogni luogo”.
I “valori” dei “populisti”, allo stesso modo di quelli dei “progressisti”, non sono “virtù”, bensì puri e semplici slogan, espressione di una società vuota e ipocrita che si dirige direttamente verso la distruzione dell’uomo, preconizzata da Asimov, Anders, von Neumann, Kurzweil, Joy, Hawking e Rees.
La sola differenza è che i primi si rifanno alle retoriche delle Chiese dell’era maccartistica, quando la precettistica tridentina veniva usata sostanzialmente come giustificazione della repressione e del disciplinamento dei popoli sotto l’Occidente, mentre quelli dei “progressisti” ripetono semplicemente le ossessioni dell’ideologia californiana, un mix di Kabbala, marcusianesimo e postumanesimo.
Le “virtù” dell’Era Assiale (-Jaspers, Eisenstadt, Assmann-, fossero esse quelle “teologali” o quelle “cardinali”), erano quegli strumenti di educazione dell’ uomo che gli permettevano di resistere alla natura e ai conflitti umani in un’era di risorse limitate. Le “virtù” di oggi, per essere valide, dovrebbero permettere all’ uomo postmoderno di resistere all’ avanzata delle Macchine Intelligenti. Esempi di virtù postmoderne: il coraggio di Petrov nel rifiutarsi di scatenare la guerra nucleare; l’ingegnosità di Assange nel raccogliere e divulgare il materiale compromettente di tutti i Governi mondiali; la determinatezza di Snowden nel carpire i segreti della NSA, e nel passare indenne attraverso le più rischiose frontiere. Invece, nulla di tutto questo esiste fra i politici europei, né da una parte, né dall’ altra. Tutti mirano a rendere l’umanità di oggi sempre più disciplinata (vuoi con la repressione, vuoi con la dissoluzione delle personalità), in modo che gli scienziati pazzi, le macchine intelligenti, il complesso informatico-militare, i GAFAM e i BATX, possano svolgere indisturbati il loro lavoro di asservimento dell’ Umanità.
2.I “DIRITTI”.
La contrapposizione fra “tradizione cristiana occidentale” e “diritti umani” è anch’essa semplicemente fuori luogo in questo contesto. Il Cristianesimo occidentale (oltre che essere un’infima parte del Cristianesimo in generale, il quale comprende anche l’Ortodossia, le Chiese Orientali, le Chiese africane ed asiatiche, la Teologia della Liberazione… , ma perfino della Chiesa Cattolica, che ha, per esempio, un Papa gesuita e sudamericano), non può affatto vantare un blocco uniforme di valori sociali, spaziando esso dall’anarchismo della comunità gerosolimitana e delle eresie medievali al cesaropapismo bizantino e ortodosso; dal machismo di San Paolo alle religiosità femministe di Santa Chiara, Teresa di Avila e Teresa di Lisieux; dalla teologia gerarchica di Dionigi lo pseudo-areopagita, a quella anarchica di Gioacchino da Fiore; dal relativismo di Tertulliano al dogmatismo di San Tommaso; dal determinismo di Lutero al volontarismo di Erasmo; dal filo-confucianesimo di Matteo Ricci al filo-buddhismo di Raimon Panikkar (ambedue gesuiti). Basti pensare che, fino a metà del Medioevo, anche i sacerdoti cattolici potevano sposarsi, come quelli orientali e protestanti, senza che ciò avesse suscitato controversie di rilievo. L’unica cosa che ha accomunato, nel tempo e nello spazio, tutta questa gente disparata è la fede in Gesù Cristo.
Nello stesso modo, le idee sui “diritti umani” nella cultura “laica” europea sono anch’esse le più varie: dall’assoluta disciplina del singolo allo Stato o al Partito, che viene espressa di Saint-Just e Mazzini, all’indiscriminato arbitrio individuale di Stirner; dalla repressione penale dell’omosessualità in quasi tutti i Paesi europei fino agli anni ’60 del secolo scorso, all’ esaltazione della stessa nella cultura “gender”; dalla difesa a ogni costo della libertà di pensiero in Stuart Mill, all’elenco dei libri proibiti di Lukàcs.
Personalmente, non trovo che i “diritti civili” siano particolarmente ben difesi in Europa. Il fatto stesso che i documenti ufficiali li esaltino, ma poi la realtà dei fatti li neghi (con gli abusi delle multinazionali, le epurazioni, le censure, i reati di opinione; lo scioglimento di movimenti politici; le “extraordinary renditions”; la repressione di minoranze come quelle conservatrice, islamica, catalana, nord-irlandese, serba, russofona; la detenzione di Assange, le violenze nelle prigioni…), ridicolizza il concetto stesso di “Stato di Diritto”, che, a mio avviso, dovrebbe significare invece che, una volta che ci sia dati (quale che sia la procedura legislativa) una legge (costituzionale, civile o penale), poi le autorità la devono applicare in modo obiettivo e rigoroso, senza distinguere se i soggetti colpiti siano grandi potenze o comuni cittadini, di destra o di sinistra, di una o di un’altra religione, multinazionali o piccole-medie imprese. Invece, in Europa le Autorità applicano in modo sistematicamente discriminatorio le legislazioni sulla privacy, sulla cittadinanza, sul segreto di Stato, fiscale e antitrust, e perfino quella penale (pensiamo ad Abu Omar, al Cermis, all’ omicidio Meredith, per non parlare delle leggi memoriali e sui delitti d’opinione), a seconda che si tratti o no dei poteri forti, con le conseguenze aberranti che stiamo vedendo ancora recentemente nei casi Schrems, Web Tax e antitrust.
Non mi risulta che nessuno (né di sinistra, né di destra) si sia scomodato al Parlamento Europeo per ospitare Assange o Snowden, per confermare la condanna dei sequestratori di Abu Omar, per scorporare i GAFAM, per applicare le sentenze SCHREMS o per vietare i tax rulings.
3.L’”IDENTITÀ EUROPEA”.
Ambedue i fronti “contrapposti” al Parlamento Europeo pretenderebbero di difendere la “vera identità europea”, ma, a mio avviso, sono, gli uni e gli altri, fra coloro che la stanno distruggendo. Per gli uni, la “vera identità europea” consisterebbe nel cristianesimo modernistico e chiliastico; per gli altri, nella “laicité à la Francaise”. In realtà, ambedue queste correnti sono ora, e sono state sempre nella storia, minoritarie in Europa. Basti pensare a Sant’Agostino, al Dictatus Papae, a Dante,a Matteo Ricci, a Pascal, a Kierkegaard, a Guénon, a Saint-Exupéry, a Simone Weil…, che non si possono certo inquadrare nell’una, né nell’ altra scuola.
E’ assurdo anche sostenere, come fanno i cosiddetti “sovranisti”, che gli unici difensori dell’Identità Europea siano gli Stati Membri. Per me, l’identità europea è iscritta innanzitutto nell’inconscio collettivo (Freud, Jung), poi nelle opere di Omero, Ippocrate, Erodoto, Socrate, Orazio, Dante, Machiavelli, Pascal, Rousseau, Leibniz, Voltaire, Alfieri, Foscolo, Kierkegaard, Baudelaire, Nietzsche, Freud, Jung, Wittgenstein, Coudenhove-Kalergi, Saint Exupéry, Drieu la Rochelle, Chabod, che non hanno affatto un carattere “nazionale”. Certo, vi sono anche le identità euroregionali (nordica, atlantica, mitteleuropea, eurasiatica, mediterranea, balcanica), come pure quelle nazionali, regionali e cittadine, ma sono funzioni di una poliedrica identità europea (così come Chabod aveva illustrato mirabilmente abbinando il suo libro sulla storia dell’ idea di Europa a quello sull’ idea di nazione.
A me sembra che ambedue le fazioni siano ispirate in realtà dalla più totale ignoranza (cfr. Tinagli, la grande ignoranza; Iacci, Sotto il segno dell’ ignoranza). Avendo dedicato decenni della mia vita a studiare l’Identità Europea, so che, per capire che cosa abbiano avuto, ed abbiano, in comune, miliardi di persone delle epoche più diverse, occorre uno studio accanito e puntiglioso, di antropologia, filosofia, filologia, storia, sociologia, economia, politica, storia della cultura. Inoltre, l’Europa è sempre stata un Paese altamente elitario, dove gl’ideali culturali sono sempre stati patrimonio di pochi (i “kaloikagathoi”, i “saggi”, i “santi”, i “chierici”, gli “iniziati”, gli “hommes d’esprit”). Come stupirsi che le tracce dell’identità europea siano così difficili a ricostruirsi?
Eppure, l’esperienza acquisita mi dice che quel poco che si trova in materia è più che sufficiente a riempire molti volumi, e comunque è troppo abbondante per poter essere facilmente comunicato. Basti considerare che già soltanto il primo volume della mia storia dell’ Identità Europea (“10.000 anni d’identità europea”) è di quasi 400 pagine.
Molti degli aspetti di quell’ identità si riallacciano a culture ancestrali, come quelle di Jamnaja, danubiana, dei mitici Tùatha de Danann; altre, alla cultura greco-romana; altre ancora alle religioni abramitiche; alcune ai Popoli delle Steppe; altre ancora a Paesi che oggi non sono Stati, come il sacro Romano Impero, gl’Imperi dell’ Europa Orientale e dell’ Oltremare, l’Aragona, la Provenza, la Borgogna, la Scozia, il Galles, la Prussia, la Jugoslavia…
L’educazione degli Europei dovrebbe passare attraverso quest’esercizio della memoria.
4. La “DIFESA DELL’ IDENTITÀ”
Se c’è qualcosa in cui i “sovranisti” hanno ragione è nel fatto che le identità (tutte le identità, personali, sessuali, familiari, locali, territoriali, religiose, cetuali, ideologiche, nazionali, etniche, continentali), vanno difese energicamente (la “Selbstbehauptung” di heideggeriana memoria), mentre troppi pretesi “europeisti” vorrebbero in realtà ch’esse sparissero, per fare luogo a un amalgama indifferenziato di “persone” ( “anthropoi”, “Menschen, “Ljudy”,”emberek”, “Nas”) senza qualità.
Sotto il punto di vista della difesa delle identità, le carte in regola le hanno più i “sovranisti” dell’ Est, che, per difendere quelle identità, hanno combattuto tante guerre, dalle insurrezioni dell’ Ottocento, a quelle durante la IIa Guerra Mondiale, alle guerriglie del Dopoguerra, ai fatti di Berlino, Budapest, Poznan, Praga, Danzica, Vinius, …e per questo è del tutto comprensibile che i governanti ungheresi, polacchi o sloveni, si ribellino all’accusa di “illibertà” rivolta loro da molti leaders europei occidentali, che, quando gli orientali combattevano e morivano, simpatizzavano magari per le forze dell’Asse o per il blocco comunista, e comunque non hanno mai imbracciato un fucile in difesa della libertà, come il presidente Janša.
E, certo, fa parte della difesa dell’identità anche la gestione della demografia e dei flussi migratori, ma questa non può essere fatta in modo aprioristico ed astorico, bensì solo tenendo conto dei legami storici con i vari Paesi, del surriscaldamento atmosferico, dei rapporti con lo slavismo, la Russia e la Siberia…
Infine, la polemica contro il preteso “Superstato” europeo è semplicemente irreale, se si pensa che basta un viaggio in Europa di Soros, di Bannon, di Pompeo , di Biden o di Blinken per fare cambiare tutte le idee a tutti i politici europei (altro che Superstato! Piuttosto, una colonia, di cui sono complici tanto gli “europeisti” quanto i “sovranisti”).
I “sovranisti” dovrebbero intanto spiegarci come si fa a difendere la sovranità dei popoli d’Europa nell’ era dello “Hair Trigger Alert”, del CRISPR, delle gravidanze eterologhe, dell’Intelligenza Artificiale, di Echelon, di Prism, senza Stati-potenza, capaci di una difesa nucleare, come diceva De Gaulle, “à tous les azimuts”, di un proprio Internet, dell’”unione del civile e del militare”, di servizi segreti autonomi worldwide. E ci spieghino anche se, secondo loro, ciascuno dei 27 Stati “sovrani” dell’ Unione possa, o debba, dotarsi di tutto ciò.
Di converso, le Istituzioni ci dovrebbero spiegare come fanno a contrastare la propaganda sovranista contro il depotenziamento degli Stati Membri, quando, in 60 anni, non hanno neppure iniziato a discutere su come dotare l’Unione degli attributi della sovranità come sopra. Altro che “Superstato”! L’Unione e gli Stati Membri sono dei semplici Stati-fantoccio in balia del Complesso Informatico-Militare americano. E’ovvio che, in questa situazione,l’adozione di un eventuale “regola della maggioranza” nelle istituzioni europee non cambierebbe nulla e, anzi, renderebbe solo più facile agli emissari americani vedere eseguiti i propri ordini. Infatti, tutti i politici, di tutti i partiti e di tutti gli Stati, quando sono in gioco gl’interessi americani, sono sempre tutti d’accordo (come sulla questione delle basi e sui GAFAM). Il problema è quindi a monte: bisogna eleggere come rappresentanti dell’Europa persone non manipolabili dall’esterno.
E’ paradossale, ma l’unico difensore della sovranità europea è oggi Ji Xinping, che si è visto vede costretto a convincerne Merkel e Macron via teleconference. Secondo la televisione cinese CNTV, il presidente ha infatti espresso ieri ad Angela Merkel ed Emmanuel Macron l’auspicio che “gli Europei possano svolgere un ruolo più attivo negli affari internazionali e raggiungerel’indipendenza strategica”.Gli uffici stampa dei due Governi in questione hanno confermato ufficialmente solo a metà questo scambio di punti di vista con Xi Jinping, che comunque resta rilevante ai fini di quanto andiamo qui affermando: che cioè i leaders europei hanno purtroppo bisogno di qualcuno che gli ricordi dall’ esterno che debbono essere più indipendenti .
5. Una “TERZA VIA”, semplicemente… “europea”
Da quest’ analisi comparativa delle questioni più qualificanti, risulta che, né le posizione dei “sovranisti”, né quelle dell’ “establishment”, sono atte a far uscire l’Europa dall’ “empasse” cui essa si trova, e che esse, al di là delle apparenze, sono in realtà molto simili fra di loro.
Per questo motivo, abbiamo proposto, e continuiamo a proporre, nella Conferenza sul Futuro dell’ Europa e fuori di essa, una posizione ancora diversa:
1)L’Europa unita è necessaria al mondo quale strumento per contrastare il tentativo del Complesso Informatico-militare di eternare il proprio controllo sull’ Umanità mediante la centralizzazione del sistema digitale (la “Singularity”di von Neumann e di Kurzweil);
2)L’Europa potrà svolgere questo suo compito solo inserendosi autorevolmente nel conflitto in corso fra le grandi potenze digitali, in modo da affermarsi quale sistema sociale e tecnico alternativo, fondato sul rilancio, contro la decadenza e contro la tecnocrazia, dei valori dell’Età Assiale (l’”Europa Poliedrica” di cui hanno parlato i Pontefici);
3)Per divenire multipolare, l’Europa deve rendersi indipendente, prima culturalmente, poi politicamente, poi economicamente, e, infine, militarmente, dal blocco occidentale in cui oggi è inserita (la “Sovranità Strategica” vagheggiata da Macron e da Borrell, ma che, come si vede, non viene concretamente perseguita);
4)Per raggiungere veramente una siffatta sovranità, l’Europa deve rafforzare le proprie resistenze immunitarie all’omologazione tecnocratica, prima riscoprendo la propria cultura, poi dandosi un’industria digitale, e, infine, coordinando le due nell’ ambito di un nuovo sistema sociale digitale partecipato (una sorta di cogestione dell’industria digitale, ampliando e modernizzando il “diritto sociale europeo”).
Tutto ciò significa che i pensatori e le organizzazioni veramente e semplicemente “europeisti” non potranno esimersi dall’ entrare in conflitto, tanto con i “sovranisti” di facciata, quanto con un “establishment” che si pretende “europeista”, ma non fa neppure più finta di preoccuparsi del futuro dell’Europa (e dell’Umanità).
Dobbiamo creare, in sostanza, un “TERZO FRONTE”, semplicemente “europeo”, alleandoci con chiunque (in primo luogo Russia e Cina) ci possa aiutare a creare un qualche margine di libertà per il nostro Continente, e recuperando tutte le memorie eccentriche che, nel corso della Storia, hanno creato l’Identità Europea contro tutti gli arrendisti, i conformisti e, in generale, i mediocri, che non sono mancati e non mancano tutt’ora nel nostro Continente.
Un tempo si diceva che, con l’avvento della democrazia, era finita la diplomazia segreta, e ci si avviava verso un’epoca di trasparenza. Tutto ciò sarà anche parzialmente vero, però oggi stiamo assistendo a un’altra, non meno grave, forma di opacità: la politica trasformata in sceneggiata, che non ci permette più di capire che cosa sia vero e che cosa sia falso nelle grandi questioni che riguardano l’Umanità (la questione delle “fake news”, ma portata all’ ennesima potenza). In questo modo, si impedisce che il tanto decantato processo democratico possa mai portare a una qualsivoglia decisione concreta, e, questo, in un mondo in cui decisioni drammatiche debbono essere assunte in ogni momento, e quindi vengono prese in un modo assolutamente opaco da alcuni individui, spesso occulti.
Il caso più preoccupante è quello del Presidente Trump, che, prova, qua e là, a realizzare (giuste o sbagliate che fossero) le promesse fatte agli elettori, per essere poi rimbeccato e violentemente contestato da tutto l’ “establishment”, e, quindi, rimangiarsi (almeno formalmente), tutto quanto detto e fatto fino al giorno prima. Sicché, tutti insieme, gli Americani riescono a occultare, con quella che Nixon chiamava “tattica del pazzo” (quello che ora Trump chiama ‘l’elemento sorpresa’), quali siano le reali intenzioni dell’America: « È importante che ‘i pianificatori non siano troppo razionali nel determinare […] quali siano gli obiettivi che contano di più per l’oppositore”, che vanno comunque tutti colpiti. “Non è bene dare di noi stessi un’immagine troppo razionale o imperturbabile”. “Il fatto che gli USA possano diventare irrazionali e vendicativi, nel caso che i loro interessi vitali siano attaccati, dovrebbe far parte dell’immagine che diamo in quanto nazione.” È “giovevole” per la nostra condotta strategica che “alcuni elementi possano sembrare fuori controllo”. »
Ricordiamo solo alcune delle prese di posizione di questa Presidenza: introduzione di dazi commerciali contro tutti i principali Paesi del mondo; cancellazione dei trattati sul clima e con l’ Iran; spostamento dell’ ambasciata in Israele, da Tel Aviv, a Gerusalemme; la definizione dell’Europa come “nemico”; la minaccia di ritirare 35.000 soldati dalla Germania se gli Europei non aumentano le spese militari al 4% del PIL(800 miliardi di dollari) l’anno; la proposta a Macron di lasciare la Unione Europea; l’invito a Theresa May a farle causa, e, all’ Europa stessa, di abbandonarla….Dietro di esse c’è certamente una logica, e questa è che gli USA resteranno ancora per poco tempo così forti da potersi imporre con le minacce e con i ricatti, perché dopo comincerà un’era veramente multipolare in cui la voce degli altri Paesi del mondo li sovrasterà.
La “politica come sceneggiata” rende comunque difficile non farsi travolgere dai riflessi condizionati deliberatamente provocati dai potenti e dai sistemi di comunicazione di massa. A mio avviso, il modo migliore per opporvisi è fare, di tempo in tempo, un’opera di chiarificazione dei concetti: quella che Soctate chiamava “maieutica”, e Confucio “Rettificazione dei nomi”. Mi avvarrò, nel fare questo, di riferimenti incrociati ad articoli pubblicati in questi giorni da autorevoli giornalisti su vari giornali italiani.
1.Gl’irreali schieramenti attuali
Non più affidabilmente di quella americana si comporta anche la classe dirigente italiana (vecchia e nuova), divisa nei tre improbabili partiti dei “sovranisti”, degli “europeisti” e degli “antiamericani”:
-i pretesi “sovranisti” affermano di voler riaffermare la sovranità nazionale (cioè degli spesso improbabili Stati nazionali sette-ottocenteschi), ma, paradossalmente, se la prendono, come capro espiatorio, proprio con quell’Unione Europea, che è la principale stampella su cui si appoggiano tali obsoleti Stati, e non, invece, con gli Stati Uniti, che da 70 anni occupano proprio tali Stati -esemplificazione eclatante della loro “non sovranità” – ( Steve Bannon, come già Zbygniew Brzezinski, la chiama, senza mezzi termini, “protettorato”-), e ora si permettono addirittura di dichiarare l’Europa come “loro nemico” , nonostante la cieca obbedienza a i loro ordini per tutti questi anni. Ora che Bannon si propone espressamente di orientare, finanziare e inquadrare i movimenti “sovranisti” europei nello stesso Parlamento europeo, i “sovranisti” ci dovranno spiegare di chi essi difendono la sovranità: dell’ Europa o dell’ America?;
-i pretesi “europeisti”, che si limitano (come ci ricorda, su “Il Sole 24 Ore”, Sergio Fabbrini), a ripetere all’ infinito i presunti meriti delle Comunità Europee e dell’Unione Europea, ma senza avanzare alcun programma concreto, e (aggiunge Rumiz su “La Repubblica”), con “uno spaventoso vuoto narrativo”. Infine, essi sembrano difendere più l’”Occidente” che non l’ Europa, vista la loro “totale assenza di passione per l’ Europa”(Rumiz). Molti di costoro hanno inizialmente sostenuto l’internazionalismo comunista, poi quello gauchista, poi ancora quello delle multinazionali e della Rete, e ancora oggi tifano per la Clinton, per Obama e per Soros;
-i pretesi “antiamericani”, che, prima delle elezioni, erano diventati numerosissimi, a sinistra come a destra, perchè inseguivano gli umori della maggioranza degli elettori, e, dopo le elezioni, sono letteralmente scomparsi, con gli scongiuri di non voler mettere in discussione la NATO (mentre la può mettere in discussione lo stesso Presidente degli Stati Uniti), con i loro precipitosi viaggi a Washingron, con gli applausi a Steve Bannon, ennesimo “avatar” dell’egemonia americana, questa volta teorizzata dalla destra di Trump per “americanizzare”, infine, dopo il centro e la sinistra, anche i “sovranisti”.
In realtà, dietro a tutti questi gruppi si vedono sempre all’opera le eterne lobbies americane e filo-americane, che si sono da sempre travestite nei modi più svariati per orientare meglio gli Europei: ieri Lafayette, Dupont de Nemour, Talleyrand, Mazzini, Trockij, la Banca Schroeder, i “servizi deviati”; oggi, “le cancellerie”, , le holding editoriali, i “think tanks” trasversali. Non per nulla, Bannon parla di “riorientare” (cioè mettere in riga) “i Paesi amanti della libertà”(cioè i passivi alleati degli USA), vale a dire di consolidare con mezzi diversi un ”Occidente” che le politiche dei globalisti americani hanno ormai screditato e polverizzato.
Un esempio tipico dei discorsi di queste lobbies è fornito dall’articolo su “La Stampa” dell’ Ambasciatore Massolo, che incitava, come sempre, gl’Italiani alla “politica dei due forni”, attaccandosi, ora alla greppia americana, ora alla greppia russa, senza rivendicare mai un’ autonoma missione civile, e svalutando, per questo, il ruolo dell’ Europa. La quale ultima è oggi invece indispensabile, seppure in forme radicalmente nuove, almeno per sopravvivere nello scontro fra le grandi potenze, a cui non possono opporsi solo calcoli opportunistici: si può lottare solo se si ha una diversa visione di se stessi e dell’ Umanità.
2.L’Europa autentica
Oggi più che mai, nessuno si prende veramente cura dell’Europa, intesa quale insieme di popoli concreti, con le loro terre, le loro culture, le loro ambizioni, le loro rivendicazioni, in leale, ma ferma, competizione, con il resto del mondo, senza pretese colonialistiche ma anche senz’ alcuna tolleranza per i “diktat” da parte di chicchessia.
Nel fondo della loro anima, questi nostri popoli non s’identificano, né con il mitizzato, ma fortunatamente inesistente, “ceto medio”, che si pretenderebbe decerebrato e facile preda della demagogia, né con l’ipocrita retorica millenaristica e puritana, che ha predicato per secoli libertà, fraternità ed eguaglianza, per tendere possibili, in realtà, un generalizzato razzismo, la Tratta Atlantica, il Trail of Tears, il terrore rivoluzionario e la bomba atomica, né, infine con le smargiassate dei tanti pseudo-rivoluzionari, che, da sinistra o da destra, hanno esaltato per decenni le lotte di liberazione di tutti i popoli del mondo, ma non ne hanno avviata neppure una, che sarebbe spettata proprio a loro: quella dell’ Europa.
Ma qual’ è l’”anima” del nostro Continente?
Rumiz vorrebbe che si “narrasse con l’anima” il nostro Continente. Ma siamo sicuri che quei pochi che, come lui, stanno cercando di farlo, stiano raccontandoci l’Europa vera, quella che emerge chiaramente dalle nostre culture e dai nostri monumenti, e non il, ben diverso, “Occidente”? Già Freud lamentava che “la coscienza europea” occultasse l’ “identità Europea”: il radicamento dell’ Europa nelle religioni monoteistiche, nella tecnica o nella sintesi liberal-democratica volutamente non definisce l’ Europa nella sua essenza, bensì si limita ad enumerare dei fenomeni comuni a vari Continenti. Come tale, esso non serve per guidare il comportamento degli Europei così come l’“American creed” guida quello degli Americani.
Vogliamo invece parlare qualche volta d’Ippocrate, di Leonida, di Dante, di Podiebrad, del “Rescrit de l’ Empereur de la Chine” di Voltaire, della “finlandizzazione” di Czartoryski, dei “Buoni Europei” di Nietzsche, della “Religione della Libertà” di Croce, della Costituzione Europea di Galimberti, della “Sfida Americana” di Servan-Schreiber? Questi sono i rari personaggi, momenti e passaggi in cui l’Europa è stata evocata apertamente e specificamente, secondo l’ insegnamento di Chabod, come alternativa ad altri modelli: gli “Europaioi” definiti come liberi nel senso di “autonomoi”, l’Italia come “giardin dell’ Impero”; il patto pacifico fra i sovrani, seguendo l’esempio unitario della Cina; la “Nazione Cristiana” di Novalis e di Alessandro I; la “Force de Frappe” gaulliana. Tutte cose cancellate invece dalla memoria collettiva attraverso scelte politiche ufficiose dei Governi tenute praticamente segrete, come quella operata dai Ministri della Cultura di Blois, consistente precisamente nell’ignorare la storia dell’ Europa prima del 1945.
Secondo questa cosiddetta “memoria condivisa”, l’ integrazione europea nascerebbe all’ improvviso, come per miracolo, per il solo effetto dello spavento per le atrocità della II Guerra Mondiale. L’identità europea sarebbe quindi soltanto la sommatoria delle ideologie che si sono imposte a partire da quella. Ma, a quel punto, come fare a dare delle priorità al governo dell’ Europa,
3.Prepararsi al peggio
Al di là di ogni considerazione europea, questa “tattica del pazzo” costituisce un pericolo permanente per la sopravvivenza dell’ Umanità, perché la drammatizzazione artificiale di ogni trattativa, tipica dei negoziati finanziari o forensi, trasposta in campo geopolitico, può portare fino alla guerra totale.
Ma anche a prescindere da Trump, scrive Roberto Castaldi su “L’Espresso”, oggi “l’Europa è un vuoto di potere, una bassa pressione, intorno a cui si concentrano crisi geopolitiche”, e questo costituisce un ulteriore pericolo. Tuttavia, c’è da chiedersi se i vetusti suggerimenti proposti da Castaldi, come la comunitarizzazione della “Force de Frappe” (che pure sarebbe da se sola una rivoluzione), siano sufficienti in un momento dominato, come il nostro, dalla cyberguerra e dalle guerre asimmetriche, di fronte alle quali i pochi missili nucleari francesi, contrariamente che ai tempi di De Gaulle (quando erano “à tous les azimuts”, cioè puntati anche contro gli USA), sono oramai ben poca cosa.
Infatti, come scrive su “La Stampa” Gianni Vernetti, il declino dell’egemonia americana porterà a un conflitto per il controllo del nostro Continente, a cui gli Europei devono essere preparati, per non subirlo passivamente, bensì per divenirne, al contrario, i vittoriosi protagonisti. Dunque, è forse un problema già il fatto che Trump sia molto titubante a tener fede alla clausola (per altro puramente cartacea) dell’ art. 5 del Trattato NATO, che impegna i firmatari alla difesa reciproca contro attacchi di terzi, ma ben più grave è che Trump abbia qualificato gli Europei come “dei nemici”. Chi, infatti, dopo De Gaulle, ha approntato strumenti di difesa “à tous les azimuths”, vale a dire anche contro un’eventuale aggressione americana (che sarebbe coerente con certi atteggiamenti di Trump)?
Speriamo che tutto possa risolversi pacificamente, con l’accettazione di quel naturale riorentamento progressivo dell’ Europa verso l’Eurasia, tanto aborrito da Brzezinski e da Bannon, che permetterà in primo luogo di rovesciare pacificamente l’innaturale rapporto di forze all’ interno dell’ Occidente. Segnaliamo per altro anche l’interessante scelta, da parte di due intellettuali belgi, di arruolarsi come volontari nelle truppe del loro Paese, col deliberato proposito di acquisire quelle competenze militari che forse saranno purtroppo necessarie agli Europei in quel frangente: “si vis pacem, para bellum”. Basti pensare a come è stato facile destabilizzare, con le “primavere arabe”, cinque importantissimi Stati a noi vicini, provocando una micidiale guerra internazionale, più lunga della Seconda Guerra Mondiale.
4.Le elezioni del 2019
Visto che tanto i “sovranisti”, quanto gli “europeisti”, si stanno preparando a presentarsi come coalizioni possibilmente coerenti alle prossime Elezioni Europee, spero che tanto gli uni, quanto gli altri, porgano orecchio a questi nostri argomenti. Né gli uni, né gli altri, devono dimenticare che se, insieme, essi coprono la totalità del Parlamento Europeo, invece, l’enorme maggioranza degli Europei non è rappresentata da nessuno dei loro uomini : alcuni, perchè appartenenti a Paesi Europei non facenti parte della UE; gli altri, perchè, pur potendo votare per il PE, si rifiutano maggioritariamente di farlo, essendo contrari alle politiche di tutti gli attuali partiti organizzati, tutti egualmente indifferenti alle vere sorti dell’ Europa e mossi da ben altri interessi.
A queste centinaia di milioni di Europei, occorrerà proporre, come afferma l’omonimo manifesto firmato da molti intellettuali europei tra cui Rémi Brague e Chantal Delsol, “Un’Europa a cui possiamo credere”.
Nel suo recente viaggio in Italia, Steve Bannon, già consigliere e stratega del Presidente Trump, poi “licenziato” per il suo eccesso di zelo, ha affermato che la vittoria dei sovranisti è inevitabile in tutto il mondo, e, in particolare, in Europa, e che, pertanto, l’Unione Europea ha i giorni contati. E certamente, come pensa anche Trump, il sovranismo va bene per gli Stati Uniti perché questi sono i soli ad essere veramente” sovrani”, cosicché, se cade, a livello internazionale, ma in Europa,, stante la nostra “Kleinstaaterei”, avrebbe un effetto micidialmente autdistruttivo.
Tuttavia, paradossalmente, l’attesa vittoria degli attuali “sovranisti” (più propriamente, “populisti”) potrebbe essere sabotata proprio dai comportamenti di Trump, il quale, minacciando l’intera Europa, metterà sempre più in evidenza l’esigenza di un “sovranismo europeo”.
Come reagire, infatti, ai nuovi dazi di Trump (e/o a quel che ne segue), se non a livello europeo?
Una volta caduto il tabù circa l’utilizzo discrezionale del potere sovrano, da un lato, gli USA avranno più chances di continuare a disciplinare gli alleati sotto il loro potere “sovrano”, e, dall’ altro, potranno esasperare più facilmente un clima conflittuale con Cina e Russia, così rallentando il progetto d’integrazione eurasiatica che si muove intorno al progetto della Nuova Via della Seta. e danneggiando ancora una volta l’ Europa, che già oggi non può commerciare con la Russia e l’Iran a causa delle sanzioni, e avrà sempre più difficoltà a commerciare con l’ America (e magari la Cina).
1.Il nuovo “nazionalismo”: l’ultima trovata tattica dell’ America per non “mollare la presa”
Indubbiamente, l’amministrazione Obama, con le sue ambiguità, un mix di pacifismo e di interventismo, non era riuscita a rallentare ia ritirata dell’ America dal mondo, fallendo le sue manovre più spettacolari, come il TTIP, il TTP, l’Ucraina, la Libia e la Siria.
Tuttavia, l’idea di essere “il legislatore del mondo”(Whitman) è talmente alla radice dell’ identità americana, da aver costituito da sempre il “leitmotiv” della politica degli USA, sotto i più diversi presidenti. Infatti, come continuare a pretendere un ruolo egemone “per diritto divino” (i “leaders del mondo libero”), se non attraverso la diuturna dimostrazione dell’invincibilità, segno da sempre della Grazia divina? Già Jefferson scriveva disperatamente ai rivoluzionari francesi ch’essi dovevano semplicemente copiare la costituzione americana; Emerson esaltava la “razza sassone imperatoria” che avrebbe disciplinato, allo stesso tempo, i selvaggi americani e i litigiosi europei; Fiske e Wilkie pensavano che gli Stati Uniti avrebbero annesso tutto il mondo; Wilson aveva fondato la Società delle Nazioni, ma poi gli USA non vi erano entrati, restando con le mani libere mentre tutti gli altri risultavano vincolati.
La classe dirigente americana, come sempre, non demorde da questo suo progetto di conquista mondiale nonostante gli ostacoli via via incontrati, e ogni volta “tira fuori dal cappello” una tattica nuova, apparentemente opposta. Come dopo Roosvelt venne Truman, dopo Clinton, Bush, dopo Bush, Obama, dopo Obama, Trump. Tuttavia, il risultato non cambia. L’obiettivo è sempre stato quello di tenere disciplinati gli alleati e, contemporaneamente, destabilizzare tutti gli Stati rimasti veramente sovrani.
Il punto è proprio questo. Quanti Stati sono oggi veramente sovrani? Chi non è controllato dallo spionaggio elettronico delle superpotenze? Chi è al di fuori della Weltanschauung modernistica dell’ America? Chi non ha basi americane? Chi non è dominato dalle Big Five? Questi Stati si contano sulla punta delle dita. Solo questi hanno la possibilità pratica di essere “sovranisti”
Infatti, è vero quello che dicono i “globalisti”, che cioè oggi , è impossibile assumere decisioni veramente autonome. Ma questo non già perché gli Stati si siano liquefatti dinanzi ai mercati, bensì perché c’è uno Stato che, grazie alle posizioni acquisite, condiziona tutti gli altri. in realtà, chi fosse sinceramente ” sovranista” dovrebbe, come prima cosa, crearsi un proprio Complesso Informatico-Militare nazionale, sganciato da quello “occidentale”. Solo così potrebbe assumere una qualsivoglia decisione autonoma.
Oggi, un’indipendenza dagli USA ce l’hanno solo la Russia e la Cina, mentre India e Israele, per quanto potenti, non possono fare a meno d’interagire continuamente con gli Stati Uniti.
L’ Unione Europea, poi, è, in realtà, ad di sotto del limite necessario per poter esercitare poteri sovrani.Figuriamoci gli Stati membri!Durante i primi sessant’anni di vita delle Comunità Europee, le classi politiche ufficiali hanno dedicato i loro massimi sforzi a convincere i cittadini che, attraverso l’integrazione, l’ Europa stesse diventando anche meno dipendente dagli Stati Uniti: più ricca, più grande, più sociale…Peccato che vi fosse fin dall’ inizio l’ “arrière-pensée” che, oltre a un cero limite, né di indipendenza, né di autonomia, non si potesse andare ( “America First” significa soprattutto che, per un’ esigenza ideologica, l’America dev’ essere il “Leader”, e gli altri, i “Followers”).
Si è visto così, anno dopo anno, che, sotto l’illusione del “miracolo economico” ,si celava un’inaudita debolezza strutturale; sotto lo stile di vita consumistico, la dilapidazione delle risorse; sotto l’immagine della libertà, un inedito controllo da parte della cultura mainstream e del Complesso Informatico-militare :insomma un declassamento e un impoverimento senza fine. E’ naturale perciò che, alla fine, molti stiano perdendo la pazienza, anche se non ne hanno ancora compreso il perché, e cerchino di scrollarsi di dosso quello che sembra un inspiegabile incantesimo maligno.
Per questo, come dice Franco Cardini, i populisti dei vari stati europei non sono affatto sovranisti, perché non rivendicano affatto l’indipendenza dall’America, ma, al massimo, vogliono continuare come hanno sempre fatto i vari Moro, Strauss, Craxi, Brandt, Chirac, Schmidt ; la “politica dei due forni”, per cui di tanto in tanto si va a Mosca per fare ingelosire l’America, ma poi si torna sempre tutti all’ ovile.
2.Gli Europei si rendono conto delle loro ridicole dimensioni?
Un altro motivo per cui un “sovranismo” dei singoli Stati europei non è semplicemente fattibile sono le loro infime dimensioni. Come noto, Carl Schmidt diceva che “Sovrano è chi decide sullo stato d’eccezione”. Oggi, sullo “stato di eccezione” possono decidere solo i Paesi che, come gli USA, la Cina, la Russia, Israele e l’India, hanno un proprio Complesso Informatico-Militare, che guida tutte le attività del Paese in funzione della sua forza: ideologica, culturale, conomica, politica e militare (come espresso esplicitamente dalla nuova dottrina militare americana).
Non certo, comunque, Stati, come la Germania, la Francia, o l’Italia, che hanno una popolazione comparabile a quella di una provincia cinese o addirittura di un distretto indiano.
Vorrei solo ricordare, a chi non se ne fosse ancora accorto, le dimensioni di alcuni Stati indiani o province della Cina, confrontandole con quelle dei maggiori Paesi europei (a cominciare da Russia, Germania e Turchia):
Uttar Pradesh (Benares) 207 milioni
Federazione Russa 144
Maharashtra (Mumbai) 112
Guangdong (Canton) 104
Bihar (Patna) 103
Bengala (Calcutta) 91
Germania 84
Madya Pradesh (Bhopal) 72
Tamil Nadu (Chennai) 72
Turchia 71
Ovviamente, regno Unito, Italia, Francia, Spagna, Polonia, ecc…, sono ancora più piccole.
Un ulteriore problema è che, mentre la Cina, l’India e la Russia, grazie a una guida unitaria, non fanno che crescere, economicamente e politicamente, l’ Europa cresce (quando cresce), a una velocità che è che pari a meno della a metà di quella della Cina.
Quindi, non c’è scampo: se l’Europa vuole contare di più, l’unico “sovranismo” possibile è quello europeo, quello che (a parole) vorrebbe Macron, il quale però si guarda bene dal rievocare anche solo blandamente le idee formulate a questo proposito 50 anni fa da De Gaulle e da Servan Schreiber. Come ha detto Varufakis, si tratta solo di “una mano di bianco” E’ tenendo a mente questa situazione che ho scritto il libro Da Qin, che parte dall’ idea, espressa da Zhang Weiwei, secondo cui “l’Impero Romano, se fosse rimasto unito, oggi sarebbe come la Cina”. Quindi, l’Europa, per essere all’ altezza delle sfide di oggi, deve tornare ad essere ameno quello che era l’Impero Romano: appunto, “la Grande Cina.”
3.Basta con l'”Imbroglio” europeo
In effetti, come scriveva Toni Negri, proprio i più convinti europeisti hanno dovuto convincersi, loro malgrado, che l’Europa come è stata costruita è stata un imbroglio. Un imbroglio, per dirla con Franz Josef Strauss, “for keeping the Germans down, the Americans in and the Russians out”.
Già Freud aveva sostenuto che la cosiddetta “Coscienza Europea” (cioè un buonismo come quello che prevale nell’ attuale Unione), celava la vera identità Europea. Dopo ’70 anni trascorsi sotto queste classi dirigenti, che predicano la “negazione di se stessi”, in tutti i campi: in quello culturale (ironia, informalità, individualismo piccolo borghese), in campo economico (apertura unilaterale, no alle guerre economiche), in campo politico (no a un'”ideologia europea”), l’Unione Europea ha dimostrato di non essere all’ altezza di rappresentare adeguatamente nel mondo il nostro Continente . Manca una visione culturale specifica che, come quella confuciana, ragioni sulla base dei millenni; un movimento politico come quello sionista, con progetti che vanno avanti per almeno un secolo , una struttura politica, come quella russa, capace di operare in profondità per almeno alcuni decenni; uomini politici capaci almeno, come Modi, di fare comunque dei programmi; imprenditori, come Jack Ma, che non siano affetti, come i nostri, da provincialismo ; intellettuali con una visione mondiale com’erano stati, ai loro tempi, un Leibniz o un Toynbee.
La nostra mutevole classe dirigente, con il suo eterno camaleontismo, finge dunque di sposare le sempre cangianti mode politiche occidentali (oggi, il “populismo”) solo per continuare a non fare nulla di concreto contro la subordinazione dell’ Europa. Ad esempio, contro le sanzioni di Trump per acciaio e alluminio si discute di colpire…le arachidi e i jeans!
4.Le esigenze della difesa
Non si considera che, se si vuole spaventare l’ America, occorre colpire l’industria militare, informatica e culturale, che sono quelle grazie alle quali l’ America domina l’ Europa. Non per nulla, per i suoi dazi, che sono in realtà delle sanzioni politico-militari, Trump ha invocato una precisa clausola del WTO, quella sulle esigenze della difesa.Sempre nella stessa occasione, il presidente ha citato, come motivazione, anche il tema delle spese per la NATO. In pratica, si vuole colpire l’ Europa perché non obbedisce ciecamente agli USA per le politiche militarì.
Certo, l'”unilateralismo” di questa posizione americana è sbalorditivo. Perché mai l’ Europa, che da sola spende per la Difesa più di Russia e Cina messe insieme senza poter avere una “sua” difesa, dovrebbe aumentare ancora questa spesa per allinearsi agli USA, che spendono da sole più di tutti i Paesi del mondo, ma solo perché vogliono occupare tutto il mondo? Tra l’altro, se l’Europa potesse spendere per conto suo tutti quei soldi, li spenderebbe molto meglio, in cose che servano veramente. Visto che gli USA occupano l’Europa con un esercito grande quasi come quello stanziato negli USA, i pagamenti che servono a mantenere le basi NATO sono un vero e proprio tributo, come il terzo dei raccolti, che le province romane pagavano per il mantenimento delle legioni romane nel loro territorio. Infine, l’Europa finge solo per timore reverenziale di condividere gli obiettivi americani (come quello di tenere permanentemente occupati Afghanistan e Iraq), ma non ne ha affatto un interesse vitale; pertanto, non si capisce perché debba contribuire anche a quei costi.
4.I dazi/sanzioni
In realtà, vi è una profonda verità nella tesi di Trump: le sue preoccupazioni sono anche e soprattutto di carattere militare. Trump ha interiorizzato completamente le tesi degli autori cinesi di “Guerra Senza Limiti” e del Comitato cinese per l’ Unificazione del Civile e del Militare: oggi più che mai vale il concetto di SunZu e di Clausewitz, che vi sia una continuità fra guerra e pace. Concetto espresso ufficialmente nella nuova dottrina americana della difesa. La leadership ideologica americana non sarebbe mai nata se gl’Inglesi non avessero sconfitto i francesi nel Canada; quella culturale se i rivoluzionari non avessero sconfitto gl’ Inglesi, quella politica, senza la Guerra con il Messico, e quella economica senza quella di secessione. L’America non sarebbe divenuta una potenza mondiale senza la guerra contro la Spagna, né il leader mondiale senza la Seconda Guerra Mondiale. Non sarebbe potuta nascere la religione tecnologica senza il Progetto Manhattan, né quella di internet senza il DARPA.
Per sopravvivere come Stato ideologico, gli Stati Uniti debbono mantenere la leadership, al contempo economica e militare. Altrimenti, temono di fare la fine dell’ altra grande potenza ideologica, l’ URSS, che nessuno più seguiva perché tutti amano i forti, non già i perdenti.
Quindi, Trump vuole effettivamente riportare in America le produzioni di metalli, non solo perché glielo chiede il suo elettorato, ma anche perché effettivamente non esclude, come tutti i Presidenti americani, e come egli in particolare ama ripetere, una Terza Guerra Mondiale, in preparazione della quale occorre che l’ America si doti di un’ampia base industriale autarchica, per poter sostenere l’urto di avversari sempre più agguerriti. E’ in quest’ottica che le minacce e i ricatti debbono essere rivolti innanzitutto agli alleati, perché sono questi che, con un atteggiamento sempre meno risoluto, potrebbero determinare la sconfitta degli USA.
Ma, di converso, se Trump dichiarando di essere costretto (ai sensi delle norme WTO) a rinazionalizzare le produzioni di acciaio e alluminio prodotti in Canada, Brasile e Europa, riconosce con ciò implicitamente che non conta di averli al suo fianco in un’ipotetica guerra mondiale, o che, come Hitler per l’ Italia, non se ne fida, al punto di non volerli in guerra al suo fianco.
Infine, l’atteggiamento di Trump ufficializza l’adozione, della dottrina del “Keynesismo militare” dell’ economista polacco Kalecki, che, per quanto ampiamente adottata (dalla Germania Nazista, dagli USA e dalla stessa UE), e teorizzata recentemente dal generale lettone Alekss Tiltins, era stata fino ad ora tenuta nascosta. Si tratta, cioè, di utilizzare la spesa militare, e ancor più la preparazione militare bellica, come “leva” per fare crescere l’economia in tempi di recessione.
in realtà, proprio la vicenda dei dazi finirà per rendere difficile il compito dei “sovranisti” europei. Se diventa evidente che chi vuole deliberatamente rovinare l’economia europea per mantenere un primato americano (“America First”) sono proprio gli USA, e in particolare Trump, non già gl’immigrati, né i burocrati di Bruxelles, né l’Organizzazione di Shanghai (che forse non aiutano, ma non sono certo la causa principale), diventerà difficile per i diversi “sovranisti” non schierarsi a favore di molto probabili contro-sanzioni, o, addirittura, contro il Presidente americano e dei suoi sostenitori.
L’unica intesa a lungo termine fra Europa e USA sarebbe quella fondata sulla rinunzia, da parte dell’ America, alla sua “priorità”, accettando essa di essere, per l’ Europa, un partner come tutti gli altri. Certo, tale intesa sarebbe più facile con un’ America integralmente “sovranista” che con un’America ispirata ad un messianesimo “idealistico” puritano come quella di Obama .Sarà questo possibile? Gli USA, con qualunque tipo di governo, accetteranno mai di non essere, come diceva Madeleine Albright, “la sola nazione necessaria”? All’ inizio della campagna elettorale, sembrava che questa fosse l’intenzione di Trump; però, un paio di anni dopo, dobbiamo osservare ch’egli si è piegato ai diktat del Complesso Informatico-Militare, per il quale un mondo veramente multipolare significherebbe l’inizio della disoccupazione per generali, spie, finanzieri, lobbisti, amministratori delegati, hackers, fornitori e contractors(cioè il contrario del “keynesismo militare”).
Comunque sia, questa battaglia dei dazi è, per gli Europei, un’occasione imperdibile per aprire gli occhi a molti e costringere tutti i pretesi “sovranisti” a diventarlo davvero.