Quando, dopo la caduta del Muro di Berlino, si era incominciato a parlare di un’“Accelerazione della Storia”, non si era compresa tutta la vastità della trasformazione avviata alla fine del Secolo XX, con le Guerre Umanitarie, il Worldwide Web, il progetto della Singularity, lo sfaldarsi delle ideologie, la contendibilità dell’ Europa, le Macchine Intelligenti, il primato economico della Cina, la “Guerra senza Limiti”, Echelon e Prism, l’Intelligenza Artificiale, le Democrazie Illiberali, i BRICS, il Russkij Konzervatizm, l’ascesa del sovranismo, le transizioni ambientale e digitale, i GAFAM e i BAATX, le guerre nello spazio post-sovietico..
Trump è stato un ulteriore formidabile acceleratore della trasformazione in corso : abolizione del limite al terzo mandato, come in Russia e in Cina; fusione fra potere presidenziale e oligarchie informatiche (Musk, Thiel, i GAFAM); espansione territoriale verso tutte le aree strategiche (Canada, Groenlandia, Panama, Gaza); superamento della “ragnatela di organizzazioni internazionali” create nel dopoguerra e funzionali all’ egemonia USA (Ikenberry); limitazione dei poteri della magistratura e dell’ autonomia della stampa, secondo il modello delle “Democrazie Illiberali”; presa di distanza da Ucraina e Unione Europea..
Soprattutto in Europa, moltissimi (ancora impegolati come sono in vecchie narrazioni e soprattutto nella comodità della simbiosi con gli USA) fanno fatica a riconoscere tutte le implicazioni di queste nuove realtà, e tentano fino all’ ultimo di negarle e scongiurarle, come quelli che sostengono che non occorrerebbe reagire ai dazi imposti all’ Europa, per non “scavare un fossato fra noi e gli USA”, perchè questi ultimi “erano e restano il nostro principale alleato”, e quelli che vogliono costruire un “patriottismo occidentale” vassallo dell’ America. Ma perché mai gli USA dovrebbero restare il nostro principale alleato, se tutti i loro interessi (culturali, economici, tecnologici e politici) sono opposti ai nostri, come Trump ha dichiarato e dimostrato ad abundantiam?
Trump fa di tutto per alienarsi le simpatie degli altri Paesi (soprattutto europei), con il palese disprezzo che egli e i suoi ministri trasudano da tutti i pori, come, in particolare, con l’ultima esternazione, secondo cui decine e decine di capi di Governo starebbero “kissing his ass” per ottenere sconti sui dazi: “please please sir let me make a deal, I’ll do anything, I’ll do anything,sir.” Cosa che certamente sta facendo innanzitutto la nostra Primo Ministro, svuotando così la sua pretesa di “sovranismo”(e quella dei suoi alleati). Un’Italia sempre più mendicante. Un minimo di decenza: dopo “Giuseppi” e il bacio di Biden, ci mancava ancora essere i primi ad andare a Washington dopo l’ingiuria di Trump…
Ma è l’idea stessa che occorra comunque negoziare (condivisa da tutti i leader europei) a rafforzare la narrativa di Trump (quella del “kissing the ass”), mentre accettare l’escalation fino alle estreme conseguenze, come sta facendo la Cina (riscuotendo il rispetto perfino di Trump), finirà per ridicolizzare l’America. Infatti, i Cinesi hanno riempito i loro magazzini in America di merci senza dazi, da vendere in USA nei prossimi mesi, mentre le imprese americane sono in difficoltà per i dazi e per le difficoltà di approvvigionamento dall’ estero.
Non reagire alle nuove realtà è sempre sbagliato, perché esse presentano, comunque, non solo pericoli, ma soprattutto opportunità che occorre sfruttare. Nel caso “Europa vs. Stati Uniti”, il problema non è se introdurre dazi “reciproci” come dice Trump, come ha fatto la Cina e stava per fare l’Unione Europea, bensì quello di approfittare “asimmetricamente” (come con una mossa di Karate) della nuova situazione per fare ciò che prima non avevamo neppure osato pensare, ma che pure avremmo dovuto fare da gran tempo: costruire finalmente una nostra cultura, una nostra industria di alta tecnologia e un nostro esercito, capaci di fronteggiare qualunque avversario nel mondo volesse attaccarci (vedi per esempio il caso Groenlandia). Senza accettare la narrazione vittimaria di Trump, che stravolge completamente la realtà, cioè quella di un potere imperiale americano che ha saccheggiato, e ancora saccheggia, il mondo intero, ma ora si atteggia vittima perchè non riesce più a farlo bene come un tempo (di qui la sua nostalgia per l’”Età dell’Oro”).

- ReArm Europe potrebbe diventare un’arma negoziale contro Trump?
La diatriba fra coloro che vogliono “reagire” ai dazi e coloro che vogliono “trattare” è quindi mal fondata. Innanzitutto, perché in ambo i casi si resta nell’ orizzonte concettuale di Trump, che considera i dazi come un dato di fatto, su cui costruire un compromesso comunque a suo favore. Ma i dazi americani sono un problema per chi vuole esportare in USA prodotti materiali in America, non per chi è disposto ad esportare invece in Cina, o anche in America, ma soprattutto servizi (digitali e no). Perciò, se l’Europa vuole avere un’arma contrattuale, gli eventuali dazi “reciproci”, come se li immagina Trump, e su cui stanno discutendo gli Italiani e gli Europei, non sono la soluzione più efficace.Per timore reverenziale verso USA, l’Europa si è trattenuta da 80 anni da fare tante altre cose: cultura, informatica, politica internazionale, alta tecnologia, satelliti, bombe atomiche, ritirare le riserve auree. Basterebbe fare alcune di queste cose, oppure anche solo attuare seriamente le esistenti normative UE in materia informatica (come le sentenze Schrems), per provocare agli USA (e soprattutto agli oligarchi che circondano Trump), danni ben più gravi di quelli che gli USA ci stanno provocando con le loro sanzioni.
Gli 800 miliardi di ReArm Europe, se ben utilizzati, ci permetterebbero infatti di rifondare letteralmente Stato ed economia in Europa. Quei soldi (tanti o pochi che siano)non vanno quindi sprecati continuando a finanziare le basi americane e i GAFAM, o comprando degli F-35 con la “Kill-Pill” incorporata, bensì creando un’Accademia Superiore di Cultura Europea, un’ Accademia Digitale Europea e un’Accademia Militare Europea, un’Agenzia Europea per le Tecnologie (confronta il nostro “European Technology Agency”), una Società Europea per le Alte Tecnologie, delle grandi piattaforme europee, un’Arma Europea Missilistica e Nucleare, un Alto Comando Europeo, un Servizio Segreto Europeo, un Esercito Europeo e, infine, una vera Bomba Atomica Europea (che, oggi, dovrebbe essere trasportata da un missile ipersonico a traiettoria casuale, come l’Oreshnik russo).Questo sarebbe l’unico vero contributo possibile alla Difesa Comune Europea, perché è l’assenza di tutto ciò che non ci rende credibili, non già il livello troppo basso della spesa, che, è, in realtà, il doppio della spesa della Russia.Non credibili non solo e non soltanto per un’(auspicabilmente improbabile) guerra nucleare, ma anche e soprattutto per le continue trattative sui dazi, sull’ Intelligenza Artificial, sui dati, sulle guerre in corso, dove lo “status” nucleare conta, eccome…
Invece, l’”arriere pensee” di Trump è che il 5% del PIL europeo dovrebbe essere speso per pagare agli USA cose che non ci servono: missili, bombe, cacciabombardieri, servizi digitali e finanziari, gas GLM..).
Si noti anche che applicare le esistenti normative europee sull’ High Tech (GDPR, Sentenze Schrems, interruzione dei contratti delle Istituzioni con i GAFAM, Antitrust, fisco, Digital Service Act, Artificial Intelligence Act, Anti-Coercion Act), citate talvolta nell’ ambito della “guerra dei dazi”, sarebbe certo lodevole e necessario, ma non costituirebbe neppure “una rappresaglia” (come pensano i più), bensì semplicemente un atto da gran tempo dovuto; anche l’introduzione di nuove norme sull’immagazzinamento dei dati e sullo “spezzatino” dei GAFAM sarebbe una decisione politica da gran tempo necessaria, indipendentemente dai dazi di Trump.
Anche la distinzione fra “iniziative europee” e “iniziative degli Stati Membri” è ingannatrice. Esistono anche le iniziative intergovernative (per esempio la politica dello sviluppo), sotto forma di consorzi o di società di capitali con partecipanti pubblici e privati, centrali e locali (ESA, Ariane, BEI) .La European Technology Agency potrebbe benissimo essere costruita appunto come l’ ESA (European Space Agency). Le due agenzie potrebbero perfino fondersi.
Infine, “l’arma atomica” contro gli USA sarebbe costituita dall’ adesione dell’UE alle Nuove Vie della Seta. Essa infatti non si riferisce all’ import-export, bensì a una collaborazione più complessa, nei trasporti, nella cultura e nella tecnologia. Stupisce che nessuno l’abbia ancora riproposta. - .Perché parlare solo del disavanzo commerciale?
Ricordiamoci anche che, se vi è un “disavanzo commerciale” fra USA ed UE, non vi è invece un “disavanzo nella bilancia dei pagamenti”, perché il disavanzo commerciale è compensato dalle esportazioni, dagli USA, di beni immateriali (ben più strategici), e dal signoraggio del dollaro. In pratica, il mondo produce beni materiali e li invia (in parte) in USA, e, da parte loro, gli USA producono ideologia, potere e biglietti di carta (i dollari), e li inviano nel resto del mondo come pagamenti (ma soprattutto come leve del loro potere potere). Questa dinamica è particolarmente evidente con l’Europa, che non è una sfruttatrice parassitica, bensì un ostaggio degli USA.
Le lamentele USA sono del tutto immotivate; sono solo un pretesto per cercare di far pagare agli altri Paesi il debito pubblico americano, che è generato semplicemente dal “signoraggio del dollaro”, il privilegio degli USA di stampare moneta senza limiti, perché secondo gli iniqui accordi esistenti: (i)i Paesi occidentali sono obbligati a fare le loro transazioni in dollari; (ii)gran parte delle loro riserve auree sono depositate negli USA, (iii) molte testate nucleari sono stoccate in Europa, con evidenti scopi di ricatto. In questa situazione, chi dovrebbe lamentarsi e ribellarsi sono gli alleati, non gli USA. Siamo di fronte al discorso del lupo nella favola del Lupo e dell’Agnello.
Inoltre, come dimostra il ricorso della Cina all’OMC, prima di passare alle vie di fatto o di trattare, c’è un’ancora un’altra soluzione, che consiste nel pretendere il rispetto dei molti trattati ancora in vigore, che ancora vincolano gli Stati Uniti e che Trump viola programmaticamente. Allora aveva ragione chi sosteneva che i trattati sono pezzi di carta?Mettere gli USA sul banco degl’imputati serve comunque per chiarire a tutti che gli USA stanno distruggendo il meccanismo da loro stessi creato per schiavizzare il mondo,e sul quale sono purtroppo ancora basate le nostre false ideologie!
Fortunatamente, i dazi stanno praticamente isolando gli USA dal mercato mondiale, perché rendono molto difficile a tutti i Paesi il commerciare con gli USA, ma non impediscono loro affatto di commerciare fra di loro, di modo che il loro commercio internazionale non ne risulterà complessivamente danneggiato, bensì anzi favoritom come è successo fra Cina e Russia con le sanzioni. Il presidente del fondo sovrano russo, Dmitriev, ha fatto notare il paradosso per cui le sanzioni occidentali, invece di danneggiare la Russia, l’hanno resa più autonoma dall’economia occidentale, con risultati positivi per Mosca, al punto che oggi non è la Russia a chiedere la rimozione delle restrizioni. Sono piuttosto le aziende statunitensi, secondo Dmitriev, a mostrare interesse per un ritorno sul mercato russo, e se questo richiedesse un allentamento delle sanzioni, sarebbe un passo vantaggioso principalmente per gli Stati Uniti. Tant’è vero che, paradossalmente, Trump non ha assoggettato Russia, Bielorussia, Cuba, Iran e Corea del Nord ad alcun dazio, mentre ha introdotto un dazio contro l’Ucraina e Israele. Infatti, le cifre presentate da Dmitriev confermano come le sanzioni hanno finito per colpire soprattutto le imprese statunitensi, mentre la Russia, sostenendo di non aver più bisogno dell’Occidente, si trova oggi in una posizione negoziale più forte, avendo anche nazionalizzato a prezzi di saldo le filiali russe delle multinazionali.Come diceva il compianto Kissinger: “Essere nemici degli USA è pericoloso, ma essere loro amici è fatale”.
Prendendo per buono il valore nominale del Pil dei vari blocchi economici, quello degli USA è di 28.303,00 miliardi di dollari su 85.52 trilioni del mondo intero e 17 mila miliardi di euro della UE. Ciò implica che quest’ultima può esportare verso paesi terzi che hanno, complessivamente, un PIL di 68.52 trilioni, e nessun dazio. Sarebbe l’occasione in cui l’Europa potrebbe divenire veramente indipendente, sfruttando innanzitutto l’enorme potenziale commerciale della Cina:
“China—thanks in part to ambitious industrial policy efforts such as Made in China 2025—produced almost half the world’s chemicals, half the world’s ships, more than two-thirds of electric vehicles, more than three-quarters of electric batteries, 80 percent of consumer drones, and 90 percent of solar panels and critical refined rare-earth minerals. And Beijing is taking steps to ensure its dominance continues and expands: China was responsible for half of all industrial robot installations worldwide (seven times as many as the United States), and it is a decade ahead of anyone else in commercializing fourth-generation nuclear technology, with plans to build over 100 reactors in 20 years.” (Foreign Affairs)
Come ha scritto Cacciari su “La Stampa”, “L’Europa ha interessi vitali a rappresentare il punto di mediazione tra Occidente, Oriente, Mediterraneo e Africa. Interessi vitali a porre termine a guerre civili al proprio interno e a conflitti armati ovunque si manifestino. Un’unità d’azione per fronteggiare l’attacco sui dazi che non si fondi su questa visione strategica varrà meno di un’aspirina.”
3.Il “Liberation Day” ha spiazzato i settari europei di tutte le fedi.
E’ chiaro che, con la sua politica dei dazi, Trump ha rivoluzionato il sistema geopolitico mondiale (anche a costo di danneggiare gli USA), pur di realizzare il suo progetto politico di riportare in America la manifattura, rivitalizzando il “Rust Belt” come vorrebbero gli operai americani. Quanto ciò sia realistico in una situazione di alta occupazione e in parallelo al blocco dell’ immigrazione, lo si vedrà. Tuttavia, non si tratta di una politica nuova per gli USA, che l’hanno tradizionalmente adottata tutte le volte che si sono sentiti deboli. Come scriveva già 200 anni fa Friedrich List, dazi e liberalizzazioni hanno scandito fin dall’ inizio alternativamente l’espansione dell’Anglosfera, prima Impero Britannico, poi Stati Uniti. e i risultati sono stati sempre inconcludenti se non addirittura catastrofici.
Il XIX secolo aveva segnato addirittura l’età dell’oro dei dazi negli Stati Uniti, con un tasso medio che sfiorava regolarmente il 50 per cento: un’estensione della dottrina adottata sin dalla fondazione del Paese, che sosteneva la protezione dell’economia americana durante la fase dell’industrializzazione: “Studi accurati di quel periodo suggeriscono che i dazi hanno contribuito a proteggere in una certa misura lo sviluppo interno dell’industria”, ha affermato Keith Maskus, professore presso l’Università del Colorado, “Ma i due fattori più importanti erano l’accesso alla manodopera internazionale e al capitale che fluiva negli Stati Uniti durante quel periodo”.Io aggiungerei anche l’appropriazione delle terre e delle risorse naturali degli Indiani. Secondo Christopher Meissner,infatti, oltre a questi fattori un altro “motivo per il quale negli Stati Uniti il settore industriale era fiorente, era legato alla grande disponibilità di risorse naturali”:carbone, petrolio, minerale di ferro, rame e legname, tutti essenziali per l’industria. Ma “il settore industriale non sarebbe stato meno sviluppato se avessimo avuto dazi molto più bassi”, ha aggiunto Meissner.
3.La ‘Gilded Age’
Spesso Donald Trump cita come modello l’ex presidente degli Stati Uniti William McKinley, il ‘padre’ dell’ondata di dazi approvata nel 1890 negli anni tra il 1870 e il 1913 – la cosiddetta ‘Gilded Age’ – il periodo in cui gli Stati Uniti sono stati più ricchi. Eppure, la tassazione doganale voluta da McKinley non impedì alle importazioni di continuare a crescere negli anni successivi al 1890, tanto che, quando nel 1894 fu deciso di abbassarla, la quantità di beni che gli Stati Uniti acquistavano all’estero rimase al di sotto dei picchi raggiunti negli anni precedenti.
Nel 1929, George Roorbach aveva scritto che “dalla fine della guerra civile, durante la quale gli Stati Uniti erano stati sotto un sistema protettivo quasi, se non del tutto, senza interruzione, l’importazione si era enormemente espansa e le fluttuazioni che si verificarono sembrano essere correlate principalmente a fattori diversi dagli alti e bassi delle tasse doganali”. Un anno dopo fu il presidente repubblicano Herbert Hoover a imporre una stretta ai dazi: lo Smoot-Hawley Tariff Act del 1930 è ricordato soprattutto “per aver innescato una guerra commerciale globale e aver aggravato la Grande depressione”, afferma il Center for Strategic and International Studies.
La fine della Seconda Guerra Mondiale aveva segnato l’inizio di una nuova era nel commercio internazionale , definita dalla ratifica nel 1947 da parte di 23 paesi, tra cui gli Stati Uniti, dell’accordo di libero scambio Gatt che creò le condizioni per lo sviluppo del commercio internazionale, imponendo dazi doganali più moderati. Questo slancio fu mantenuto dal North American Free Trade Agreement (Nafta) tra Stati Uniti, Messico e Canada, entrato in vigore nel 1994. Accanto al Nafta, il libero scambio negli Stati Uniti fu ulteriormente ampliato dalla creazione dell’Organizzazione mondiale del commercio nel 1995 e da un accordo di libero scambio del 2004 tra gli Stati Uniti e diversi Paesi dell’America centrale.
4.I dazi di Trump si scontrano contro la Grande Muraglia
Nel XX Secolo, l’America puntava a liberalizzare i commerci per permettere alle sue multinazionali, in vantaggio dal punto di vista tecnico ed economico, di fare affari ovunque, senza interferenze degli Stati esteri. Le norme liberalizzatrici avevano un carattere generale, ma così favorivano chi era più forte nella sostanza (allora, l’America). Ora che le imprese più forti sono divenute quelle cinesi, l’America decide di separare i singoli mercati nazionali, per poter negoziare con ciascun Paese in base a criteri extra-economici (affinità ideologica, alleanze, interessi della famiglia Trump..), sfruttando le debolezze di ciascuno, e imporre sanzioni, dazi, bandi, preferenze, limitazioni, esenzioni, caso per caso (l’“Advocacy” delle imprese nazionali). In questo come in altri infiniti campi (ideologia, Stato-mercato, rapporti con le oligarchie), gli USA, come molti altri Paesi) si stanno dunque allineando (con quella che Girard ha chiamato “Rivalità mimetica”) al modello cinese di negoziati sovrani fra Capi di Stato (come nell’ antico “sistema tributario” del Celeste Impero. Comunque vadano le cose, la Cina vincerà dunque almeno la sua guerra culturale.
Durante il suo primo mandato, Trump aveva già deciso nuove misure contro la Cina, molte delle quali furono mantenute sotto Biden. Ma nonostante quelle imposte, il deficit commerciale degli Stati Uniti con la Cina aveva continuato a crescere fino al 2022, quando il gigante asiatico fu colpito da un rallentamento economico non correlato alle tariffe.
Di fronte a questo scenario inedito, tutto l’”establishment” italiano ed europeo, nato dalla lottizzazione partitocratica e culturale -liberali, cattolici, marxisti-, non sa più come atteggiarsi. La Cina “comunista” è risultata più “efficiente” dell’Occidente “liberale”; il “fascista” Trump è stato il primo a portare i sindacalisti a parlare dalla sua tribuna alla Casa Bianca, con tanto di casco antinfortunistico e “gilet jaune”; la sinistra europea parteggia per Wall Street; la Germania sta pensando di ritirare 1.200 tonnellate d’oro (per il valore di 24miliardi di dollari), dalla U.S. Federal Reserve, e di investire 1000 miliardi in armamenti.
Il preteso “liberismo” non esiste ormai più, con lo Stato americano che decide centralmente dove comprare e vendere, quali imprese favorire e quali svantaggiare, a chi trasferire enormi masse monetarie (sussidi, investimenti, pensioni, commesse pubbliche), e tutto è gestito da “oligarchie” che vivono in simbiosi con i vertici politici (basti vedere la famiglia Trump, i GAFAM, ecc…).
Da parte sua, la Cina stava preparandosi da almeno un trentennio alla guerra dei dazi con gli USA. Infatti, due colonnelli cinesi, Qiao Liang e Wang Xiangsui, avevano definito, già nel 1996, Osama Bin Laden, prima degli attacchi agli Usa, come l’interprete più efficace di un nuovo tipo di guerra, descritto in “Guerra senza limiti”(tradotto a cura della CIA e con il commento in Italiano, di Fabio Mini), che riverdiva una millenaria tradizione del loro Paese nella trattazione delle tecniche militari, che vanta tra i suoi capostipiti il celeberrimo “L’arte della guerra” di Sun Tzu.
5.”La Voce del Patriota“
Su La Voce del Patriota del 2019 si leggeva:
“’Mentre Russia e Cina da anni continuano a comprare oro per liberarsi del dollaro, in Europa nazioni come Germania e Austria stanno riportando in patria i loro lingotti custoditi nelle banche estere, per mettersi al riparo da eventuali crisi.
E’ bene ricordare che l’Italia è la terza nazione più ricca di oro al mondo, ma più della metà dei nostri lingotti sono detenuti fuori dai nostri confini, a differenza delle altre grandi nazioni che lo custodiscono gelosamente in casa propria.
La nostra mozione per il rimpatrio dell’oro italiano è stata bocciata da tutte le altre forze politiche, ma il futuro Governo con Fratelli d’Italia restituirà l’oro agli italiani. E’ una promessa!’.
Lo dichiara Giorgia Meloni, Presidente di Fratelli d’Italia, commentando il rischio di una tempesta finanziaria mondiale alle porte.
L’Italia ha la quarta riserva aurea al mondo, ma il 52% è all’estero.
L’Italia, con 2.452 tonnellate di oro costituito prevalentemente da lingotti (95.493) e per una parte minore da monete è quarta al mondo per riserve auree, dopo Stati Uniti, Germania e FMI. Il nostro tesoro, tuttavia, si trova per il 52% all’estero, mentre solo la restante parte è custodita nel caveau della Banca d’Italia. Il valore complessivo della riserva è di oltre 100 miliardi di euro.
Fratelli d’Italia aveva presentato una mozione, bocciata da tutti, Lega compresa, nonostante Borghi e Bagnai predichino bene, razzolando male.
‘L’Italia riporti subito in Patria le sue riserve auree custodite all’estero. È partita la corsa all’oro in tutto il mondo per timore di una tempesta finanziaria: Russia e Cina aumentano le riserve auree, Germania e Austria lo rimpatriano; Usa, Uk, Francia e Svizzera costituiscono il “Golden Billion Group” e detengono riserve auree di molti Stati esteri. Mentre l’Italia, che è il terzo Stato possessore di riserve auree al mondo, lascia all’estero gran parte dei suoi lingotti.
Una assurdità alla quale Fratelli d’Italia ha provato a mettere fine con una mozione, a mia firma, che è stata vergognosamente bocciata con il voto contrario di tutte le altre forze politiche: PD, M5S, Lega e FI.
Oggi che il tema torna prepotentemente di attualità ed espone la Nazione a gravissime conseguenze, Fratelli d’Italia torna a chiedere che il governo e Bankitalia si attivino immediatamente per riportare all’interno dei confini nazionali l’oro degli italiani’.
Lo dichiara il senatore di Fratelli d’Italia, Giovanbattista Fazzolari, responsabile nazionale del programma di FdI.”
Come mai, dopo che Fratelli d’Italia è andata al governo, questa promessa è stata bellamente dimenticata? Non sarebbe ora che, visto che l’Italia vuole trattare “tête-à-tête” con Trump, venisse rispolverato questo tema, come ha fatto recentemente la Germania, che ha già riportato a casa almeno parte del suo oro?