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APPROVATO LO STATUTO DELL’ISTITUTO ITALIANO PER L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE DI TORINO

Torino sarà forse finalmente  sede del centro nazionale per l’Intelligenza artificiale. L’annuncio, a sorpresa, arriva dal ministro alle Imprese e al Made in Italy, Adolfo Urso, che ha partecipato all’apertura dell’anno accademico del Politecnico. La candidatura di Torino era proprio partita dalla collaborazione tra pubblico e privato, con la spinta anche della Diocesi di Torino.

«Abbiamo finalmente definito lo statuto che permetterà di attivarlo subito – ha spiegato Urso – dando impulso all’attività di Torino e alla sua capacità di guidare un processo di trasformazione che non deve intimorirci». Sono più di tre anni che la città aspetta e ormai sembrava fosse diventata l’ennesima promessa poi tradita (fatta nel 2020: quello che era stato ribattezzato I3A per Torino era un compenso. La città aveva da poco perso la gara con Milano per diventare sede del Tribunale europeo dei brevetti e al ministero dello Sviluppo economico c’era Luigi Di Maio). Da allora il progetto si era “sgonfiato”, fino a diventare un polo per l’IA applicata solo all’automotive con il governo Draghi. Anche quello fermo perché mancava lo statuto che definiva tempi e missioni. Ieri la svolta: Torino ritornerà (forse) ad avere un centro nazionale per l’Intelligenza artificiale applicata ad automotive e aerospazio, ma anche «aperta agli altri temi». Il progetto conta gsu un finanziamento di 20 milioni l’anno. Per il luogo dove insediarsi, un’opzione è quella dell’area di corso Settembrini, accanto al Competence Industry Manufacturing 4.0.

1.L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE: FORZA DETERMINANTE DEL 21° SECOLO:

L’Artificial Intelligence Act

Un altro spunto di attualità che dimostra tangibilmente l’attualità  di questo tema è costituito  dall’ approvazione, il 14 giugno, da parte del Parlamento Europeo, –  della sua “posizione negoziale” sul progetto legislativo dell’ “Artificial Intelligence Act”, vantato, a torto, come l’unico atto legislativo in materia, mentre ,per esempio, in Cina, si sta procedendo con maggiore celerità e concretezza. -Apro una parentesi. L’iter legislativo europeo è incredibilmente lungo, tanto che viene il sospetto che si voglia soprattutto “épater le bourgeois” con continui “effetti annuncio”, a cui non fanno mai seguito fatti concreti. Anche la decisione, a sorpresa, del Governo Meloni, di riesumare, nella sua forma “depotenziata”, l’Istituto per l’ Intelligenza Artificiale, rischia di fare la stessa fine.

Ne consegue che è vero che, come diremo in seguito,   l’Unione Europea ha oramai adottato una selva di provvedimenti sull’informatica così vasta da riempire una intera biblioteca, ma, di fatto, l’unico che ha avuto un impatto pratico è stato il GDPR (General Data Protection Regulation), del 2016, a tutela della privacy sul web,  che ha generato l’enorme (e inutile) burocrazia delle autorizzazioni per l’utilizzo dei dati in rete, ma ha fallito platealmente il suo principale obiettivo: quello di evitare di consegnare (come stanno facendo le multinazionali del web -i GAFAM-, l’insieme dei nostri dati all’ Intelligence Community americana).E’ impressionante come la Commissione e le autorità nazionali preposte alla Privacy disattendano da molti anni le due chiare e univoche sentenze Schrems della Corte di Giustizia a questo riguardo. Infatti, il Governo Americano, nello stipulare sempre nuovi accordi con la Commissione, non garantisce affatto agli utenti europei le stesse tutele garantire in Europa, bensì si riserva espressamente di applicare la legislazione militare americana, ben più lasca del GDPR.

Crediamo che, fra i partiti europei, dovrebbe essere discussa proprio una revisione, per quanto graduale,  delle politiche europee del digitale, nel senso di un maggiore coraggio e di una maggior concretezza. A questo sono dedicate le numerose pubblicazioni dell’ Associazione Diàlexis sull’ argomento in oggetto, di cui si parlerà in seguito

Stupisce che in un documento così importante e così sofferto come la bozza approvovata dal Parlamento, non si riesca neppure a definire l’oggetto stesso della normativa di cui trattasi -cioè l’Intelligenza Artificiale-.

Infatti, così si definisce, in modo incredibilmente impreciso,   un“sistema di intelligenza artificiale” (sistema di IA): un software sviluppato con una o più delle tecniche e degli approcci elencati nell’allegato I, che può, per una determinata serie di obiettivi definiti dall’uomo, generare output quali contenuti, previsioni, raccomandazioni o decisioni che influenzano gli ambienti con cui interagiscono’

Ciò per altro non mi ha stupito perché l’Intelligenza Artificiale non è altro che l’informatica nella sua fase matura. E’ infatti proprio dell’ informatica generare contenuti, previsioni, raccomandazioni e decisioni che influenzano gli ambienti con cui interagiscono. Fra questi, i

 software di controllo dei motori,  quelli per la guerra digitale,  quelli delle SMART Cities, ecc..

Quello che stupisce infine  è l’incredibile scollamento fra  il riconoscimento verbale della natura dirompente dell’ Intelligenza Artificiale, che spesso emerge dalle parole degli scienziati, degl’intellettuali, dei prelati, dei politici e degl’imprenditori, e l’enorme superficialità con cui poi tutti trascurano i temi evocati, o credono di risolverli con pura retorica.

Prendiamo ad esempio il -per altro apprezzabile – discorso di Giorgia Meloni all’ Assemblea Generale delle Nazioni Unite, che ha affrontato in modo per altro non convenzionale alcuni dei temi più impegnativi in materia di intelligenza artificiale, quali quello dell’ “Antiquatezza dell’uomo”du Guenther Anders, quello di un’’”etica digitale”, quello della necessità di un Nuovo Ordine Mondiale che tenga conto dell’ Intelligenza Artificiale, e, infine, quello della responsabilità in materia delle Nazioni Unite, senza dimenticare l’accenno fatto al contributo concettuale di Henry Kissinger su cui torneremo.

A queste essenziali prese di coscienza ha fatto  anche riscontro ieri l’ormai insperato salvataggio dell’ Istituto Italiano per l’Intelligenza di Torino, su cui ci eravamo tutti tanto impegnati, e che avrebbe dovuto costituire il segno dell’iniziativa italiana su questo tema. Tuttavia, come vedremo in seguito più in dettaglio, questo recupero, che si colloca sulla falsariga di quello a suo tempo annunziato (ma mai attuato) dal Governo Draghi, è estremamente parziale, tanto da snaturare l’originario disegno, e, soprattutto, si colloca in contraddizione con quanto da noi auspicato nel libro “L’Istituto Italiano di Intelligenza Artificiale di Torino”, dove si parla soprattutto dei risvolti culturali ed etici della materia.

Un altro elemento dell’ attualità odierna che non manca, ogni giorno, di mettere sotto i nostri occhi quanto il mondo sia cambiato, è costituito da quegli   sconcertanti personaggi  che sono i guru dell’ informatica, e soprattutto del più sconcertante fra di essi: Elon Musk.

Quest’ultimo sta dimostrando plasticamente come, nella figura del guru, si cumulino oramai quelle del leader carismatico (scenografie da stella rock), dell’uomo politico (interventi presso il presidente degli USA, il Papa..), dell’ inventore (la Tesla, gl’impianti cerebrali di microchip) , dell’opinionista (i suoi famosi tweet), dell’ editore (il padrone di Tweetter, ora X), del potentato geopolitico (offerta  e successivo spegnimento di Starlink durante il conflitto ucraino), dell’ industriale (SpacelLink), vanificando i concetti moderni di sovranità (Musk opera indipendentemente dagli USA), di concorrenza (è monopolista in molti settori), perfino di soggetto autonomo (gl’impianti cerebrali permetteranno l’eterodirezione di un numero “n” d’individui)..

Per tutti questi motivi, l’AI è oggi al centro della storia mondiale, e, in particolare, della “Guerra Mondiale a Pezzi” oggi in corso, che sta estendendosi gradualmente all’ intero pianeta (dall’ Ucraina al Nagorno Karabagh, al Kosovo, alla Palestina), minacciando costantemente il futuro dell’ Umanità. Basti pensare che l’idea stessa di “cibernetica” fu creata da un insieme di intellettuali ed agenti governativi  americani  attraverso le “Conferenze Macy” durante il maccartismo e subito dopo la IIa Guerra Mondiale; o che Norbert Wiener aveva inaugurato nel 1949 il grande computer Golem di Rehovoth con un accenno neanche troppo velato al Golem, quel mostro ch’era stato creato per proteggere il popolo ebraico dai suoi nemici; che Putin aveva definito Internet “un’operazione speciale della CIA”; che Jack Ma è stato tenuto in arresto per qualche mese dalle Autorità di Pechino finché non ha accettato di coordinare la strategia di espansione internazionale delle attività informatiche dell’ industria cinese, in vista dello scontro con gli Stati Uniti.

2.SUA CENTRALITA’

L’AI opera  in tutti i campi: decision-making; salute; guerra; finanza; vita quotidiana; cultura; economia; lavoro; politica:

Decision Making: nella novella “Una decisione inevitabile” di Asimov, le decisioni dei Presidenti “dell’ Occidente” sono determinate dalla strategia dei robot e dei computer; Salute: chiunque, come me recentemente, ha dovuto sottoporsi a un controllo sanitario stringente  da parte dei medici, sa bene quante macchine elettroniche essi usino per qualunque diagnosi o terapia; la guerra in Ucraina è tutta telecomandata dall’ Intelligenza Artificiale; è impossibile gestire un conto corrente senza l’home banking; Wikipedia è diventata una fonte indispensabile di documentazione; le strategie dei fondi d’investimento sono guidate dall’ intelligenza artificiale; la disoccupazione tecnologica colpisce duramente ovunque , soprattutto le industrie dei servizi; la manipolazione dell’ elettorato da parte dell’ AI  è già risultata vincente in molti casi (Google Analytica).

Non si può elaborare una teoria sociale o politica, un insegnamento, una strategia, che non abbia ben chiara l’azione dell’ AI, che non ne consideri i rischi e il controllo, ma, al contempo, non la usi.

Non per nulla, i due grandi Stati che si contendono il controllo del mondo (USA E Cina) hanno approvato leggi volte a disciplinare e regolamentare l’Intelligenza Artificiale (Inflation Reduction Act e le varie leggi cinesi sull’ informatica), anche in vista del suo impatto sulla difesa nazionale.

Nell’Unione Europea, ci si è limitati a finanziare (seppur modestamente) la transizione digitale, senza una chiara visione degl’impatti geopolitici della stessa.

L’AI è il nuovo campo di combattimento della geopolitica (Starlink), in cui  i guru informatici (Bill Gates, Zuckerberg, Schmidt): hanno un ruolo multiforme profeti, grandi sacerdoti, inventori, dittatori, finanzieri, strateghi, imprenditori, benefattori.

In particolare,  Elon Musk sta tentando di realizzare molti dei sogni annunziati dai grandi visionari tecnocratici dei secoli scorsi:il progetto di Tsiolkowski di conquistare fisicamente il Regno dei Cieli;  produrre i cyborg (vedi il “Manifesto Cyborg” di Donna Haraway); condurre una “politica dei due forni” al di sopra degli Stati Nazionali e delle Grandi Potenze.

Paradossalmente, questo iperattivismo di Musk apre anche nuovi spazi di libertà, in quanto spezza il fronte  su basi ideologiche dei guru dell’ informatica

La “Guerra Mondiale a Pezzi” è innanzitutto una guerra culturale fra Stati-Civiltà. L’Europa non potrà interfacciarsi con il mondo se non avrà una propria precisa identità, che dovrà essere un’identità digitale.

A mio modesto avviso, la “Guerra Mondiale a Pezzi” ha mosso i primi passi a cavallo fra i due secoli, quando, con Internet e Echelon, si affermarono idee come quelle della “Fine della Storia”, dell’”America Mondo” e della “Singularity”. Queste idee, di chiara matrice apocalittica, suscitarono una forte “rivalità mimetica” all’ interno di aree culturali, come quella sinica, quella islamica e quella slavo-ortodossa, indicate da Huntington some “the Rest” destinato a opporsi all’ Occidente (“the West”), e che di fatto non intendevano, né intendono, essere inglobati in questo “Stato Mondiale” dominato dall’ informatica. Da allora abbiamo avuto il terrorismo islamico e l’assertività cinese e russa.

E’ nell’ ambito di questo conflitto che si sono sviluppate mosse e contromosse di una guerra tecnologica che ha avuto i suoi punti culminanti nella nascita dei BAATX (i GAFAM cinesi), PRYSM (il sistema americano di sorveglianza mondiale), le nuove armi supertecnologiche russe, il “crackdown sui BAATX”, il “decoupling” economico dell’ Occidente dalla Cina e dalla Russia,  le giravolte politiche di Musk…Da tutto questo, l’Europa, che, fino dai tempi di Condorcet, Hugo, Mazzini, Nietzsche, Coudenhove Kalergi, Spinelli e De Gaulle, aveva rivendicato il proprio ruolo di leader intellettuale del mondo, è stata invece assolutamente esclusa, perché la materia del contendere è oggi sostanzialmente la configurazione della futura era della Macchine Intelligenti, relativamente alle quali l’Europa, a partire dalla fine della Olivetti,  ha perduto le competenze, le basi industriali e l’autonomia strategica.

Anche la “ Sovranità Strategica Europea” rivendicata da Macron non potrà essere conseguita  se non si crea un ecosistema digitale europeo; ma questo non si crea per lo stesso motivo per cui non hanno  funzionato i campioni europei; motivi culturali e geopolitici.

Macron ha parlato spesso (più in passato che oggi), di una “Sovranità Strategica Europea”. Si tratta evidentemente di un’eco della “Europa dall’Atlantico agli Urali” di De Gaulle. Tuttavia, mentre De Gaulle aveva dato un certo seguito a questo slogan, con la Force de Frappe, con il Trattato dell’ Eliseo, con i Campioni Europei, con l’uscita dall’ organizzazione della NATO, Macron non sta facendo nulla di tutto ciò. In particolare, non sta facendo nessun serio passo per la creazione di giganti digitali europei.

Ancora recentemente, Roberto Baldoni, su La Repubblica del 29 settembre, chiedeva la creazione di una Big Tech europea. Purtroppo, 70 anni di fallimenti dimostrano che vi sono ostacoli pressoché insormontabili. Secondo Baldoni, ciò che manca è una seria programmazione europea del digitale. E’ quanto lamentava, nel 1961, riferendosi all’ Italia, Mario Chu, direttore tecnico dell’Olivetti, pochi giorni prima della sua misteriosa morte. La realtà è che il monopolio americano sull’ informatica è stato, ed è, protetto con tutti i mezzi. Mentre, in molti Stati fuori dell’Europa (e in particolare in Cina), c’è stata e c’è la volontà della politica di superare quest’opposizione stando a fianco dell’ industria nazionale, questa volontà in Europa non c’è stata e non c’è, non solo per l’informatica, ma per tutte le imprese di alta tecnologia: dagli aerei (EADS), ai lanciatori (Ariane).

Ciò è particolarmente vero per all’ informatica, dove tanto Qwant (il “motore europeo di ricerca”), quanto GAIA X (il “cloud europeo”), dopo grandi strombazzamenti pubblicitari, sono finite nel nulla perché  fagocitate nel sistema dei GAFAM.

3.L’ERA DELLE MACCHINE SPIRITUALI

Quando parliamo della minaccia costituita dalla Singularity tecnologica, intendiamo riferirci a un intero mondo di attività e di significati, che parte da lontane aspirazioni ancestrali, come quella del “mondo immaginale” zoroastriano, dell’Intelletto Attivo aristotelico, dello Spirito Assoluto hegeliano, si articola nei miti del Golem e del Superuomo, e si è concretizzato ulteriormente nelle opere di Fiodorov, di Čapek e di Teilhard de Chardin.

Alla fine del secolo scorso, Manuel de Landa aveva scritto “La guerra al tempo delle Macchine Intelligenti”, che, tra l’altro, poneva in evidenza il peso enorme che l’informatica avrebbe avuto nelle guerre di questo secolo. Ora, possiamo andare anche più in là, immaginando che esseri artificiali abbiano più chance di vincere nelle guerre del XXI° Secolo, e anche di sopravvivere in condizioni di riscaldamento atmosferico, inquinamento, guerra chimica e batteriologica, nonché di viaggi spaziali, che non gli umani.

Il termine “Macchine Spirituali” in sostituzione di quello, ormai classico, di “Macchine Intelligenti” è di Ray Kurzweil, il quale presuppone, nella sua fumosa escatologia materialistica, che l’Intelligenza Artificiale non si limiti a sostituire il pensiero umano, bensì anche la funzione di creazione di senso, tipica della cultura e della religione, che si manifesta oramai nel “Culto di Internet”: predicatore, confessore e inquisitore del mondo contemporaneo.

La rivolta contro un mostruoso Stato mondiale informatico è fondata anche e soprattutto sul rigetto  di questo progetto della “Singularity Tecnologica”, in cui l’Umano si fonderebbe con il Macchinico, l’Organico con l’Inorganico (Ishiguro).

Certamente, l’idea che (per dirla con Nietzsche) “l’uomo è qualcosa che dev’essere superato” è condivisa da gran tempo dalle culture occidentali. Il problema è la direzione in cui questo superamento dovrà avvenire: o in quello dell’auto-negazione dell’Umano per passare a un universo macchinico (l’”Antiquatezza dell’ Uomo” di Günther Anders), o in quello di un potenziamento delle qualità dell’ Umano, che permetta all’ umanità di sopravvivere alla crisi ecologica, alla guerra totale e alla conquista dello spazio (un “Enhancement” non soltanto bionico, ma, soprattutto, spirituale).

4. L’AI STA PER SUPERARE L’UOMO?

Secondo molti autori (fra cui ricordiamo qui soltanto Asimov, Kurzweil, Joy e Reed), ciò starebbe avvenendo, dato lo sviluppo enorme delle competenze dei computer e dei robot e l’utilizzo degli stessi in tutte le attività umane, di cui abbiamo già parlato.

Secondo altri, l’AI non può superare l’uomo perché non è creativa (imprevedibile)?Taluni lo sostengono, ma non è vero. Già oggi siamo superati dalla burocrazia, nonostante ch’essa non sia creativa (parte sempre da un input preesistente). Eppure, essa, con la sua “gabbia d’acciaio”(Weber) ci sovrasta e ci impedisce di esprimere noi stessi. Il problema è proprio  quest’invasione di situazioni pre-costituite che ingabbiano l’umanità fino a cancellarla. Cito una cosa per tutte: la cosiddetta “Dead  Hand” (o, in Russo “Miortvaja Rukà), quell’ecosistema digitale che comanda la risposta nucleare a un “First Strike”, e costituisce la principale garanzia della deterrenza nucleare grazie alla “Mutua Distruzione Assicurata”. Essa è congegnata in modo da funzionare anche dopo la distruzione dei propri alti comandi, così garantendo in ogni caso la completa cancellazione del paese aggressore ,senza bisogno di un ordine specifico dal comando supremo.

5.L’”ARTIFICIAL INTELLIGENCE ACT” DELL‘UNIONE EUROPEA

Esso, con tutti i suoi limiti,si pone esattamente all’incrocio delle tendenze, tensioni ed esigenze indicate in precedenza. Essa costituisce l’ultimo atto dell’attività regolatoria dell’UE

Citiamo solo i documenti più salienti di quest’ultima:

(EU) 2021/1153 Regulation on High Performance Computing Joint Undertaking,

(EU) 2022/2481 European Chips Act (Regulation),

2022/0032(COD) European critical raw materials act (Regulation),

2023/0079(COD) Establishing the Strategic Technologies for Europe Platform (STEP),

(EU) 2016/679 Regulation to protect personal data processed by EU institutions, bodies, offices and agencies,

(EU) 2019/1024 Data Governance Act (DGA Regulation),

(EU) 2022/868 ePrivacy Regulation,

 2017/0003(COD) European Data Act (Regulation),

2023/0129(COD) Cybersecurity Regulation for a Cybersecurity Act,

(EC) 2006/112, 2022/0407(CNS) Information Society Directive,

2022/0095(COD) AI Liability Directive, 2022/0303(COD)

(EU) 2018/302 Digital content Directive,

(EU) 2019/771 Digital Services Act (DSA Regulation),

(EU) 2019/790 European Media Freedom Act, 2022/0277(COD) (EU)

L’AI Act tenta (inutilmente)di regolare l’AI sulla base delle tre Leggi dell’ Informatica delineate da Asimov:

1.Un robot non può recare danno agli esseri umani, né può permettere che, a causa del suo mancato intervento, gli esseri umani ricevano danno.

2.Un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, tranne nel caso che tali ordini contrastino con la Prima Legge.

3.Un robot deve salvaguardare la propria esistenza, purché ciò non    contrasti con la Prima e la Seconda Legge.

Orbene, tutta la sterminata opera di Asimov aveva precisamente, come obiettivo, quello di dimostrare che le leggi di Asimov non possono funzionare.

E, aggiungo io, non lo possono per almeno tre motivi:

a)esse danno per scontato che si sappia che cosa è “bene per l’Umanità” (la virtù, il progresso, la felicità?)cosa che non è certo vera, ché, anzi, tutti i conflitti storici sono proprio dispute su questo sfuggente “bene”: pace o libertà; stabilità o progresso;eguaglianza o meritocrazia?

b)oggi,il “bene dell’ Umanità”viene  interpretato secondo il “Pensiero Unico”, sicché tutti gli sforzi normativi e progettuali sono volti ad orientare l’Intelligenza Artificiale contro i cosiddetti “bias” (che sono quei pregiudizi contro cui si scagliano il pensiero unico e l’ideologia woke, i quali però hanno anch’essi, eccome! i loro pregiudizi, che l’AI dovrebbe rafforzare)

c)pretenderebbero di delegare alle macchine proprio queste scelte fondamentali ed irrisolte, oggetto (tra l’altro) delle attuali Guerre Culturali.

6.CONTENUTI DELL’”AI ACT”:

Coerentemente con l’idea delle “Tre Leggi della Robotica”, l’AI Act vieta:

– quell’IA che possa essere “dannosa”, per “la salute, la vita e i diritti”;

-le tecniche subliminali;

-quella che sfrutta gruppi vulnerabili;

-i sistemi di punteggio dei cittadini organizzati dalle pubbliche autorità;

-i sistemi biometrici di identificazione a distanza in tempo reale negli spazi pubblici per obiettivi di pubblica sicurezza

I controlli previsti nel progetto di regolamento  sono più o meno stringenti a seconda delle diverse  categorie di rischi.

7.SONO CONSIDERATI “AD ALTO RISCHIO”:

-i sistemi usati quali elementi di sicurezza di un prodotto o che fanno oggetto di norme europee di armonizzazione (giocattoli, aerospaziale, auto, biomedici, ascensori)

-i sistemi rientranti nelle seguenti 8 aree:

(i)riconoscimento biometrico o classificazione di persone;

(ii)gestione e funzionamento di infrastrutture critiche;

(iii)educazione e formazione professionale;

(iii)impiego, gestione del personale e lavoro autonomo;

(iv)accesso ai servizi essenziali;

(v)pubblica sicurezza;

(vi)gestione delle migrazioni, del diritto di asilo e controlli alle frontiere;

(vii)giustizia;

(viii)i processi  elettorali.

8.CRITICHE  AL PROGETTO

Ma non è soltanto l’Artificial Intelligence Act, bensì l’insieme delle regolamentazioni UE in materia digitale, ad essere inattuabile. Infatti:

(a)Esse tentano di regolamentare l’attività dei GAFAM, che sono americani, e per questo sono più forti della UE stessa (cfr. cause Schrems, GAIA-X)

(b)Cntrariamente all’ Europa, la Cina è riuscita, nel corso di  75 anni, non solo a raggiungere, bensì anche a superare gli USA in materia informatica, attraverso diverse fasi, che vanno dal privilegiamento del settore militare, allo sviluppo di grandi imprese private (i BAATX), fino all’ adozione di una legislazione di tipo europeo e al disciplinamento dei BAATX quali strumento di politica economica internazionale.

(c)Tutto ciò frustra radicalmente l’ambizione della UE di rappresentare l’avanguardia mondiale nelle politiche del digitale, o anche soltanto di influenzare le future evoluzioni normative a livello mondiale. Le pretese di leadership culturale europea di Hugo, di Coudenhove Kalergi e di Spinelli, si rivelano così infondate.

9.IL DISCORSO DI GIORGIA MELONI ALL’ONU

Costituisce un notevole salto di qualità del discorso politico internazionale dell’ Italia, toccando alcuni dei punti salienti della problematica dell’ AI:

a)rapidità del progresso tecnologico ( l“antiquatezza dell’uomo”di Guenther Anders):”Non sono certa che ci stiamo rendendo conto abbastanza di uno sviluppo tecnologico che corre molto più velocemente della nostra capacità di governarne gli effetti”

b)il progresso rischia di sostituire le capacità umane:“Eravamo abituati a un progresso che aveva come obiettivo ottimizzare le capacità umane, e oggi ci confrontiamo con un progresso che rischia di sostituire le capacità umane”

c)l’”algoretica”:“servono meccanismi di governance globale che siano capaci di assicurare che queste tecnologie rispettino barriere etiche..”

10.CONFERMA/DECLASSAMENTO DELL’ ISTITUTO ITALIANO PER L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE.

 Come abbiamo detto, il governo Meloni ha fatto un passo in avanti rispetto ai precedenti governi, che, dopo espliciti impegni, avevano deciso di affossare il progetto dell’ Istituto Italiano di Intelligenza Artificiale di Torino, non approvandone lo statuto, primo passo nell’iter burocratico per la sua realizzazione.

Tuttavia, manca ancora molto: la nomina delle cariche sociali e l’avvio delle attività. Resta il declassamento già contemplato dal Governo Draghi: riduzione dello stanziamento da 80 a 20 miliardi e riduzione delle attività all’ auto e all’ aerospaziale, così eliminando quella ricerca di base che dovrebbe costituire una solida base culturale per ovviare alla nostra arretratezza (riconosciuta dalla stessa Meloni), e permetterci d’ interloquire autorevolmente a livello internazionale.

11. AL DI LA’ DELLE REGOLAMENTAZIONI: FARE NUOVAMENTE CRESCERE LE VIRTU’ ATTIVE

Le regolamentazioni giuridiche (privacy, antitrust, fiscalità) non sono sufficienti per ovviare  alla decadenza dell’ (conformismo, denatalità, pigrizia), terreno di cultura della dittatura tecnologica. Infatti, [LR1] parallelamente al dispiegarsi della tecnica, abbiamo assistito all’ alienazione dell’uomo, sempre più debole nei confronti dell’ “Apparato” tecnico e sociale (la “gabbia di acciaio” di Max Weber):Kierkegaard, Nietzsche, Stefan Heim, Eliot.

A nostro avviso, occorre tornare alle antiche virtù (Aristotele, San Tommaso):temperanzacoraggio, “prudenza”, giustizia; (Confucio:Ren = magnanimità, rispetto, scrupolosità, gentilezza e sincerità e Li=rapporti marito/moglie, genitore/figlio, amico/amico, giovane/anziano, suddito/sovrano).

11.L’UNIONE DI OGGI NON VUOLE, O NON PUO’, DARSI UNA VERA POLITICA DELL’ AI

Come quella di Adriano Olivetti (la cui azienda informatica  era un anche centro di iniziativa culturale e politica), probabilmente perché la fine di quell’ esperienza incute timore nei suoi potenziali continuatori.

Ricordiamo anche il fallimento dei cosiddetti “campioni europei” (Concorde, Tornado, Eurojet, EADS, Arianespace), tutti inciampati, da un lato, nella volontà di mantenere le identità nazionali, e, dall’ altra, nella concorrenza americana.

12.LE PROPOSTE DI KISSINGER PER UNA REGOLAMENTAZIONE INTERNAZIONALE DELL’ AI

A caratterizzare i decenni della Guerra Fredda, c’erano due super potenze, Stati Uniti e Unione Sovietica, e un elemento che ha funzionato da deterrente, l’arma atomica. Nel momento in cui entrambe eranoriuscite ad averlasi era creata una situazione di stallo armato, durante cui, paradossalmente, l’Europa aveva attraversato un periodo di pace lunghissimo – meno le altre regioni, ma comunque c’erano sempre Washington e Mosca pronte a fronteggiarsi e, quindi, a limitare i danni per scongiurarne di peggiori-.

Lo stesso si potrebbe dire dell’IA  del nostro tempo. Kissinger ci tiene a elencare i vari trattati con cui Usa e Urss avevano concordato di non distruggersi, ognuna delle due armata fino ai denti ma senza utilizzare la forza nei confronti dell’avversario. Lo stesso, ovvero una regolamentazione internazionale, si potrebbe  fare ora con l’intelligenza artificiale.

Le diplomazie americana e cinese ci stanno lavorando e, forse, il summit della Cooperazione economica Asia-Pacifico di scena a novembre a San Francisco potrebbe essere il giusto palcoscenico per iniziare a confrontarsi “Ciascun leader dovrebbe discutere di come valuta personalmente i rischi posti dall’IA, di cosa sta facendo il suo Paese per prevenire le applicazioni che pongono rischi catastrofici e di come si assicura che le aziende nazionali non esportino rischi. Per informare il prossimo ciclo di discussioni, dovrebbero creare un gruppo consultivo composto da scienziati statunitensi e cinesi che si occupano di IA e da altre persone che hanno riflettuto sulle implicazioni di questi sviluppi”.

A lavorare a questo incontro dovrebbe essere anche l’Italia. L’anno prossimo, il nostro Paese guiderà la presidenza del prossimo G7, dove l’IA sarà uno dei temi attorno a cui ruoteranno molte discussioni.Di qui l’intervento di Giorgia Meloni alle Nazioni Unite e l’annunzio di Urso al Politecnico di Torino.

13. CHE FARE?

Attraverso la Casa Editrice Alpina e l’Associazione Diàlexis, abbiamo realizzato, sull’ Intelligenza Artificiale, questi lavori:

-Habeas Corpus Digitale

-Codex Iuris Technologici

-Re-Starting EU Economy via Knowledge-Intensive Industries

-Il ruolo dei lavoratori nell’ era delle macchine intelligenti

-European Technology Agency

-Istituto Italiano per l’Intelligenza Artificiale,

che possono costituire il punto di partenza di una strategia culturale gradualistica, avente per oggetto di:

a)discutere e studiare su questo tema (Intelligenza Artificiale ed Europa), in tutte le sue ramificazioni: Filosofici, etici, geopolitici, costituzionali, economici, pedagogici, imprenditoriali, lavoristici (conferenze Macy).In pratica, ogni ramo dello scibile umano va riletto nell’ ottica dell’ Intelligenza Artificiale (Big Data, Cyberguerra, Teologie materialistiche, Ideologie, Governance, Industria, Diritto del Lavoro, politiche di genere, struttura economica);

b)creare istituzioni pubbliche e private dedicate a questo tema: accademie (Istituto Italiano per l’ Intelligenza Artificiale); progetti di educazione permanente; riforme dell’ economia; imprese digitali di proprietà europea; servizi segreti europei

c)battersi per l’autonomia culturale, la creazione di nuovi ceti dirigenti e una riaggregazione delle  imprese sulla  falsariga delle “Conferenze Macy” che diedero avvio all’ industria digitale americana

14.IA ed elezioni europee del 2024

Parallelamente a quella strategia culturale, potrebbe, e dovrebbe, svilupparsi un’azione politica, anche in concomitanza con le elezioni europee del 2024:

Quest’azione potrebbe, e dovrebbe, articolarsi su più livelli:

-europeo:Fare dell’Intelligenza Artificiale (e delle sue ramificazioni) il tema centrale del dibattito, anche per le Elezioni Europee), mentre invece oggi è assente;

-nazionale: battersi per la diffusione della cultura digitale (Accademia, upskilling, ristrutturazione delle imprese);

-locale: Favorire iniziative locali nell’area, soprattutto ora che il Piemonte sta perdendo ulteriori pezzi (per esempio, in primo luogo, l’Istituto Italiano per l’Intelligenza Artificiale)

Il numero  3/22 dei Quaderni di Azione Europeista è stato dedicato al possibile collegamento fra la campagna elettorale 2024 la questione dell’ IA.

Tale collegamento sarebbe, a nostro avviso, la conseguenza naturale del fatto che la minaccia “esistenziale”per l’Umano costituita dall’ Intelligenza Artificiale dovrebbe rappresentare il punto determinante dell’ incontro e dello scontro fra le forze impegnate in politica, travolgendo i tradizionali steccati partitici e permettendo una riaggregazione che abbia un senso.

Chi è seriamente preoccupato per la minaccia dell’IA dovrebbe costituire un fronte “conservazionista”, che, in tutte le aree della politica, miri a porre sotto controllo l’Intelligenza Artificiale, attraverso un rafforzamento della cultura e dei legami sociali.


 [LR1]

RISCRIVERE LE COSTITUZIONI: ATTUALITA’

DEI PROGETTI DI FEDERALISMO MONDIALE, EUROPEO E NAZIONALE

L'”antica costituzione europea”

La “cancel culture”, nata fra gl’intellettuali “non-WASP” nelle università americane, non è tuttavia solo un fenomeno americano. Come tutte le “americanate”, in breve si è diffusa in tutto il mondo, dove viene scimmiottata in modi per lo più improprii e deformanti, soprattutto in un’Europa sempre più priva di idee proprie, ed anche per questo sempre più succube dei trend culturali e politici americani.

Mentre, in America, il movimento “Woke” mira a colpire e l’eredità culturale del colonialismo europeo, in Europa prevale un’altra “Cancel Culture”, che mira invece a fare dimenticare le radici premoderne, moderne e afroasiatiche dell’integrazione europea, a vantaggio di un iconoclastico messianismo di origine manichea e puritana, secondo cui tale integrazione altro non sarebbe che la punta di diamante della nuova “religione dei diritti”, che travolge, come vendetta per le oppressioni passate, tutte le culture tradizionali, portandole tutte  a fare parte dell’ “impero mondiale omogeneo” (Kojève).

Per questa “Cancel culture” europea, l’intera storia mondiale, e non solo quella europea, sarebbe infatti viziata da un’eredità di violenza, che solo la nemesi della IIa Guerra Mondiale sarebbe riuscita a riscattare (con la vittoria degli Stati Uniti).  In ciò starebbe la nobiltà dell’Europa, la quale, modello per il mondo intero, sarebbe riuscita a sostituire ad inimicizie secolari un nuovo clima di fratellanza (come profetizzato da Fichte e da Nietzsche). L’Europa sarebbe, dunque, il primo Paese entrato, grazie alla sconfitta, nella “Post-Histoire”(Gehlen, Fukuyama)-cioè con un ruolo di “suddito” nell’ Impero del Bene.

Secondo questa “Cancel culture” europea, l’integrazione europea nascerebbe quindi solo durante la IIa Guerra Mondiale, dal rifiuto delle guerre, delle stragi e della stessa idea di “sacrificio”(Girard), emblema di una storia mondiale tutta da cancellare. La sconfitta degli eserciti europei sarebbe stata quindi una sorta di “provvida sventura”, che, “redimendo” gli Europei dal loro passato peccaminoso, ne avrebbe fatto un modello per il resto del mondo.

Da tutto ciò risulterebbe esaltata la funzione messianica dell’ America, che, sconfiggendo l’Asse e rieducando la Germania, aveva costretto l’Europa a divenire il primo paese redento dalla storia dell’ oppressione e della miseria.

Questa “Cancel culture” europea, erede di movimenti ereticali come il Manicheismo e la Gnosi cristiani ed ebraici, del mazdakismo, della Kabbalà, dei Pauliciani e degli Anabattisti, era stata proposta da una parte della Sinistra Alternativa nell’ambito della cosiddetta “Lunga Marcia attraverso le Istituzioni” di Rudi Dutschke (come riedizione moderna dell’ idea trockista della “Rivoluzione Permanente”),  e dall’ accademia occidentalistica  “funzionalista” (Mitrany), per cui l’Europa non avrebbe dovuto essere se non una sottosezione e un primo esempio dello “Stato Mondiale Omogeneo”di Kojève (o dello Stato Mondiale di Juenger).

Questa “Cancel culture” europea, espressione concreta dell’interpretazione materialistica e tecnocratica dell’ Apocalisse, rigetta ogni costrutto sociale positivo -il rigore logico, la documentazione fattuale, il politeismo dei valori, la continuità delle tradizioni storiche, le differenze fra le culture, i ceti sociali e i sessi-, postulando come unico obiettivo quell’eguaglianza assoluta ed omologante che risulterebbe, per esempio, dall’ applicazione letterale dell’ art.3 della Costituzione Italiana, e, ancor più, dall’ “affirmative action” di tradizione realsocialista e americana. Si passa così dall’ eguaglianza formale liberale, a quella sostanziale socialista, fino a quella etnica terzomondista, e sessuale (a sua volta declinata, nel tempo, come femminista, omosessuale, transessuale, “gender”). Siamo oramai sulla soglia dell’ eguaglianza degli animali e delle macchine…

La Federazione Mondiale secondo Coudenhove Kalergi

1.La censura sulla storia europea

E’ chiaro che, per questa cultura, risulta inaccettabile che proprio l’Europa attuale, quella in cui oggi viviamo,  si riveli invece essere in gran parte il  prodotto dell’incontro culturale fra un Papa polacco, un Segretario generale del PCUS e le rivendicazioni nazionali dei popoli dell’ Europa Orientale (con radici pre-moderne da cui è difficile liberarsi). Ancora più inaccettabile il fatto che i creatori delle Comunità Europee fossero stati dei leader democratici cristiani, per altro influenzati da intellettuali già comunisti (come Spinelli), comunitaristi (come Marc) e “planistes” (come Monnet), o addirittura aristocratici ed elitari (come Coudenhove Kalergi), nessuno dei quali condivideva il pathos della “Fine della Storia” (e che mai si sarebbero neppure immaginati le attuali derive nichilistiche).

Andando a ritroso, andrebbero (e vengono in effetti) cancellate ancor più  drasticamente le influenze sulla formazione del generale consenso europeista “ delle culture dell’ Asse ” (Drieu La Rochelle, von Schirach). Vanno poi ignorate le prese di posizione “europee” di Alessandro I e di Nietzsche; deformate quelle di Dubois, Dante, Podiebrad, Sully, Saint-Pierre, Kant, Voltaire. E, più lontano ancora, vanno condannate le Crociate, Roma, la Grecia, Maometto, i Padri della Chiesa, il Vecchio Testamento, l’Old Europe e gl’Indoeuropei…

Questa Cancel culture europea costituisce oggi l’ostacolo principale sulla strada della Conferenza sul Futuro dell’ Europa, perché impedisce di prendere atto che avevano ragione i teorici del passato (Spinelli, Galimberti, Weil, Marc, De Rougemont) nel vedere che la  crisi della società europea  (che dura da almeno un secolo) richiedeva e richiede un momento di critica delle narrazioni delle “nazioni borghesi” prebelliche (per esempio, quella risorgimentale), per riallacciare il futuro dell’ Europa unita all’ insieme delle sue comuni tradizioni.

Oggi, tanto l’ordinamento internazionale, quanto l’Europa, quanto, infine, la società italiana, soffrono più che mai di questa “Crisi di civiltà” : di una debolezza generalizzata, di una totale contraddittorietà nelle motivazioni,  del dominio delle macchine, della conseguente ingovernabilità, e di una tensione generalizzate in Europa Orientale (Polonia, Bielorussia, Ungheria, Russia, Bosnia, Serbia, Ungheria, Ucraina, Donbass, Albania, Kurdistan).

Di fronte a questa crisi, s’ impone, non già un “window dressing” dell’ esistente quale, incredibimente, si vorrebbe realizzare con la Conferenza (“bisogna cambiare tutto perché nulla cambi”, von der Leyen al “Summit sociale di Porto”), bensì la riscrittura contestuale degli Statuti delle Nazioni Unite e della NATO, ma specialmente del Trattato di Lisbona e delle costituzioni nazionali, sulla base di una visione culturale, se non unitaria, almeno coerente, al suo interno e con la storia d’Europa.

Quest’ esigenza di discontinuità viene illustrato bene, per l’Italia, scon l’articolo di  da Carlo Galli su “La Repubblica” del 19 Novembre,  prendendo spunto dalla proposta, presentata da Giorgia Meloni, di una nuova Assemblea Costituente per l’ Italia, finalizzata soprattutto al presidenzialismo “..l’assemblea costituente è di per sé fuori dalla costituzione vigente; se è veramente costituente, infatti, ha il pieno potere di riscrivere l’intero ordinamento…”Per Galli,”E’ sintomatico che questa proposta venga avanzata oggi, in una fase in cui la politica sembra ormai uscita dalle istituzioni, per collocarsi nelle tecnostrutture del Paese (a loro volta non in ottima salute)..”

Con l’avvertenza che, a nostro avviso, come si vedrà, è più nella Costituzione Italiana che in quella europea che il presidenzialismo avrebbe un senso.

Orbene, una riscrittura delle costituzioni italiana ed europea era precisamente quanto proposto da Galimberti l’8 Settembre 1943, e il momento di discontinuità a livello europeo era quanto richiesto da Spinelli e Marc dopo la IIa Guerra Mondiale.

Per questo non appare irrilevante riandare a quelle, e simili, proposte del XX° secolo, per capirne almeno la logica (che, a nostro avviso, è in gran parte tutt’ora valida), ed eventualmente trarne degl’insegnamenti per il futuro.

Il Progetto per una pace perpetua era un accordo fra sovrani assoluti

2.Il tanto criticato “Piano Kalergi”

E’ un luogo comune della propaganda sovranista accusare la “società dell’ 1%” di stare organizzando la “sostituzione etnica” dell’ Europa, secondo un procedimento logico che troverebbe le sue basi nelle opere di Coudenhove Kalergi, primo grande federalista, europeo e mondiale. La cosa è tanto risalente nel tempo, che, nel tentativo di dirottare queste critiche, dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, il libro in cui si parla di questo tema, “Praktischer Idealismus”, è vietato in Germania per legge (come il “Mein Kampf”).

Il pensiero politico di Coudenhove Kalergi non si poteva certo ridurre al cosiddetto “piano” di ibridazione degli Europei, e nemmeno a Paneuropa, ma mirava, appunto, ad affrontare nel suo complesso la “crisi della Società Europea”.

Kalergi, un aristocratico asburgico-giapponese, con origini ceche, olandesi, veneziane e bizantine, e aderente alla Massoneria, si preoccupava prioritariamente di dare all’ Europa una nuova élite, che conciliasse tradizioni familiari, corpi intermedi e meritocrazia “Foederalismus, Adel, Technik”). Nel  fare ciò, egli si riallacciava all’ idea di Nietzsche dei “buoni Europei” e a quella della sua amica Malwida von Meysenburg, dell’ “Idealismo Pratico”.

Riteneva positive le varie forme d’integrazione  in corso: fra l’aristocrazia mitteleuropea e l’alta borghesia ebraica, e fra l’imprenditoria occidentale e la tecnocrazia sovietica. Credeva anche che la federazione europea servisse  tra l’altro a mettere in comune le colonie (che considerava un fenomeno permanente), e per questo riteneva che gli Europei si sarebbero ibridati con gli Africani.

La sua visione di un mondo federato e ibridato era fra le più complete e concrete presentate su quest’argomento. Pensava che le grandi federazioni mondiali potessero nascere sulla base dei blocchi esistenti ai suoi tempi, e che, in particolare, l’Europa avrebbe avuto tutto l’interesse a unificarsi per rimanere all’ altezza degli altri grandi blocchi.

Le idee di Coudenhove Kalergi furono condivise da molti Governi (come quello austriaco, che gli mise a disposizione addirittura la Hofburg, quello ceco e quello francese, che, con Briand, aveva preparato un progetto di federazione europea che fu presentata nel 1928 alla Società delle Nazioni e fu commentata da tutti i Governi Europei, divenendo anche il pretesto per la firma del “Patto a Quattro” fra Francia, Inghilterra, Germania e Italia del 1932, poi naufragato per l’avvento al potere di Hitler).

Il libro di Ulrike Guérot riprende Benda, Mosley e Thiriart

3.La costituzione italiana ed europea di Duccio Galimberti  

Così come Kalergi si preoccupava di stabilire un chiaro collegamento fra federalismo europeo e federalismo mondiale, così la Costituzione Italiana ed Europea di Duccio Galimberti, comandante partigiano del CLN piemontese e martire della Resistenza, mirava a salvaguardare, alla fine della guerra, il coordinamento fra la costituzione della nuova Italia e quella della nuova Europa.

Finita di scrivere personalmente da Galimberti, che era un avvocato, l’8 settembre 1943, immediatamente prima di pronunziare, dal suo studio nella piazza centrale di Cuneo, il discorso che segnò l’avvio ufficiale della Resistenza in Italia, e prima di partire, raccattate un po’ di armi, per il rifugio partigiano di Paraloup, la “Costituzione Italiana ed Europea” è l’unica opera compiuta e propositiva tutt’ora scritta su questo argomento, e dimostra un’inaudita chiarezza di obiettivi, rara tanto nei politici, quanto nei politologi, che nei giuristi e nei leaders rivoluzionari.

Credo che, prima di chiudere la Conferenza sul Futuro dell’Europa, occorrerebbe dare almeno uno sguardo a quel progetto, per vedere se non abbiamo dimenticato qualcosa. Ma, già che ci siamo, sarebbe il caso di dare uno sguardo anche agli altri progetti che si sono presentati sulla scena negli ultimi 100 anni, anche quelli meno articolati e concreti. Cosa che noi stiamo facendo.

Il Federalismo Europeo è nato come movimento politico al di là degli Stati nazionali

4.Il Manifesto di Ventotene: l’opposto della Dichiarazione Schuman

I leader europei sono soliti citare il Manifesto come l’avvio del processo d’integrazione europea.

In realtà, come si vedrà, l’avvio dell’integrazione europea può essere rintracciato già fin negl’imperi romano e germanico. Comunque, è vero che, mentre il primo Manifesto di Ventotene fu scritto al confino e pubblicato nel 1944, la Dichiarazione Schuman fu pronunziata 6 anni dopo, in una conferenza stampa al Quai d’Orsai. In questo tempo, era successo ben poco. Se il Manifesto partiva dall’ idea  della “crisi della società europea”, dovuta alla decadenza degli Stati nazionali, da superarsi con una discontinuità di carattere rivoluzionario, la seconda  prendeva le mosse da due ben precisi Stati nazionali, Francia e Germania, e da una questione contingente (la messa in comune dei bacini carbosiderurgici tedeschi occupati dalla Francia, ma di proprietà privata), per suggerire che, attraverso altre operazioni parziali di questo tipo, si sarebbe potuto arrivare “a piccoli passi” a un’ integrazione “funzionale” delle tecnostrutture europee, secondo il modello delle Organizzazioni Internazionali (già sperimentato con la Croce Rossa, l’ Organizzazione Mondiale della Sanità, l’Unione Postale Mondiale, la Società dei Battelli del Reno, i trani Mitropa….

Si noti che l’integrazione economica teorizzata dalla Dichiarazione Schuman e realizzata con la CECA non faceva che riprendere in mano l’eredità della Grossraumwirtschaft dell’ Asse, gestendo la trasformazione dell’economia di guerra in società dei consumi.

Il Manifesto di Ventotene era dichiaratamente finalizzato alla presa del controllo sull’ Europa da parte delle forze della Resistenza, mentre la Dichiarazione Schuman fu in realtà un’iniziativa personale del Commissaire au Plan francese, Jean Monnet, con la collaborazione di alcuni funzionari ministeriali e del Segretario di Stato americano, per dare un ordine al passaggio dall’Europa tedesca a quella americana, che stava comunque sorgendo faticosamente dopo il Piano Marshall; significativamente, la presidenza della CECA (1951) fu affidata all’ ex lobbista del III Reich Walther Hallstein, reduce da un periodo di “rieducazione” in una base americana su un’isola dell’ Atlantico.

Altiero Spinelli aveva riposto, invece, le sue speranze, prima, in un movimento di base, chiamato “Congresso del Popolo Europeo”, poi nella Comunità Europea di Difesa (CED), bocciata dalla Francia nel 1954, e, per il resto, aveva sempre criticato l’integrazione attraverso il metodo intergovernativo. Solo nel 1970  aveva accettato l’incarico di Commissario, e nel 1976 divenne europarlamentare, rimanendolo per 10 anni. Nonostante questa sua riconciliazione con le Istituzioni, le sue profezie sull’ impossibilità di creare una federazione restando sul piano intergovernativo si sono avverate, ed oggi è questo il motivo principale dello stallo dell’integrazione europea.

L’Europa delle Patrie era un progetto paneuropeo e sovrano

5.L’”Europa delle Patrie”

Negli stessi anni in cui Monnet, Schuman e Hallstein cercavano di gestire da Bruxelles in modo “soft” la  riconversione consumistica dell’ economia di guerra, De Gaulle usava l’interventismo di Stato (prima le nazionalizzazioni, poi il Commissariat au Plan, affidato a Monnet, e, ancora, la Force de Frappe e i progetti europei) per forzare un’integrazione tecnologica nei settori della difesa, dello spazio e ferroviario, e patrocinando “progetti europei” di carattere intergovernativo, ma che, sulla base della sola UE non si sarebbero mai potuti realizzare:

a)perchè l’interventismo di Stato nelle nuove tecnologie non fa parte dell’ideologia, né delle Istituzioni europee, né degli altri Stati Membri;

b)perché , se la Francia non avesse agito da “apripista”, le pressioni americane sarebbero state troppo forti;

c)perché gli altri Paesi non avrebbero avuto tecnologie sufficienti, specie in campo nucleare.

La politica di De Gaulle era finalizzata soprattutto a contrastare l’influenza americana e a ipotizzare una politica neutralista dell’ Europa “à tous azimuts”, basata sul fatto che il blocco sovietico e i non allineati non costituiscono, per l’ Europa, una “minaccia” maggiore degli stessi USA. L’”Europa delle Patrie” caldeggiata oggi dai sovranisti, pur avendo, sul piano retorico, qualche affinità con l’idea gaulliana, di fatto ne abbandona i toni antiamericani e si concentra invece (illogicamente) contro una pretesa “centralizzazione” di Bruxelles (che non esiste). In realtà, oggi la ragnatela di norme UE è la prima fonte di dispersione del potere decisionale e dei conflitti intestini dell’ Europa (i “Valori”, i “Diritti”, i conflitti di competenza e giurisdizione, la litigiosità a Est, l’assenza di qualsivoglia impostazione geopolitica).

Un’altra debolezza dell’”Europa delle Patrie” è oggi che le “nazioni” a cui pensava De Gaulle 40 anni fa, e a cui pensano i “sovranisti” di oggi, non esistono oramai più. Le hanno uccise la Seconda Guerra Mondiale, la politica dei blocchi, la cultura globalizzata.  Una sopravvivenza del senso delle identità territoriale si può  ritrovare piuttosto in tradizioni meno territorializzate e burocratizzate – per esempio, l’eredità classica e cristiana, le signorie medievali e pre-moderne (Savoia, Venezia, Napoli, Sicilia, Aragona, Provenza, Scozia, Fiandre, Prussia), le città di cultura, tradizioni che hanno lasciato tracce profonde nel nostro inconscio collettivo.

Invece, quando vediamo delle manifestazioni ufficiali in Francia o in Polonia dove, cantando l’inno nazionale, tutti fanno l’ultima versione del “Bellamy Salute” americano (la prima era il saluto romano), capiamo che lì non si sta celebrando l’attaccamento alla tradizione nazionale, bensì quello all’ “Occidente”, vale a dire al modello americano. Perciò, la strada della Sovranità Europea non può passare per gli Stati Nazionali.

In ogni caso, tutto ciò che ci resta di una concreta Europa economica (l’Agenzia Spaziale Europea, Arianespace, Kourou, l’Airbus, i Corridoi Europei) lo dobbiamo a De Gaulle e alla sua Europa delle Patrie.  Per esempio, è ormai mezzo secolo che, di tanto in tanto, politici e industriali europei ripropongono l’idea di nuovi “campioni Europei” (per le reti, per i treni, per le navi, per i semiconduttori), ma si tratta sempre e soltanto di aria fritta. Vedremo se GAIA-X, stiracchiata come al solito fra Americani e Cinesi, non subirà la stessa sorte.

Le Regioni Europee non sono solo quelle che servono per l’ Europrogettazione

6.L’Europa delle Regioni

L’unico modo per far vivere un’ Europa delle Patrie sarebbe quello di  vedere queste “Patrie” come l’insieme di tutte le realtà, grandi o piccole, in cui si articola l’ Europa (l’Anglosfera, l’Europa Carolingia, l’Europa Orientale, l’Impero bizantino-ottomano, l’Europa Mediterranea, le Isole Britanniche, la Scandinavia, il Baltico, la Mitteleuropa, la Russia, il Caucaso, l’ Anatolia, i Balcani, il mondo latino, la Keltia, la Catalogna, l’ Occitania, la Renania, la Baviera, l’Intermarium, la Transnistria, la Grande Albania, il Donbass, l’Abkhazia, l’Ossetia, la Greater London, Randstadt Holland, la Région Parisienne, il Ruhrgebiet..).

E’ quanto avevano detto per primi Montesquieu, Tocqueville e Proudhon, pensando forse di fare rivivere l’”Ancienne Constitution Européenne”, come Tocqueville chiamava le leggi dell’ Ancien Régime. E, in fondo, l’Abate di Saint-Pierre, quando cercava di confederare i sovrani d’Europa (“Projet à servir pour la Paix Perpetuelle”) pensava semplicemente a un consolidamento dei trattati di Utrecht e di Rastatt, alla cui formulazione egli aveva contribuito.

Vi è stato un lungo periodo in cui le Comunità Europee avevano abbozzato un complessivo progetto euroregionale, con i fondi regionali, la Convenzione di Madrid e le Azioni Macroregionali Europee, ma tutto ciò si è perduto, come al solito, nelle nebbie della burocrazia.

Nel “Rescrit de l’ Empereur de la Chine”, Voltaire mette in satira il federalismo di Saint-Pierre, perchè vuole un impero unitario come quello cinese

7.L’”Europa Nazione”

Questo termine fu usato soprattutto per primo da Julien Benda e poi da gruppuscoli di estrema destra, come Jeune Europe e il National Party of Europe, che aveva  adottò il 1° Marzo  1962, la “European Declaration”, the  invocava la creazione di uno Stato nazionale Europeo, con un suo governo  e un parlamento europeo eletto, e il ritiro delle truppe americane e sovietiche.

In realtà, l’idea aveva avuto scarsi anticipatori, come Benda, e una parte dei collaborazionisti francesi, ai quali  cui Simone Weil si riferiva nel suo “Enracinement”, dove li accusava di seguire pedissequamente le orme dei Giacobini, sostituendo, ai Dipartimenti dell’Impero Napoleonico, le Regioni d’ Europa.

In tempi più recenti, il progetto di una Repubblica Europea intesa come Stato centralizzato è stato rilanciato da Ulrike Gérot e Robert Menesse (Warum Europa eine Republik werden muss).

Secondo Franco Cardini (che era stato membro di Jeune Europe), il progetto sarebbe stato “difficile”. A mio avviso, più che altro, uno Stato continentale centralizzato può avere un senso in un momento di conflitto ad alta intensità, in cui lo Stato non può essere governato se non come un esercito, ma non “a regime”, perché l’ideale di uno Stato non può ridursi a una caserma.

Il russo Sokurov è il maggior cantore dell’identità europea

8.La “Casa Comune Europea”

Michail Gorbaciov aveva lanciato questo slogan in varie occasioni, pensando a uno sviluppo graduale delle rivoluzioni degli anni 1988-1993, che invece furono caratterizzate da fatti traumatici come le guerre del Nagorno-karabag, della Slovenia, del Golfo, della Transnistria e della Cecenia, l’insurrezione di Bucarest e il bombardamemto del Parlamento di Mosca.

L’idea era stata ripresa da Putin nei suoi discorsi in Germania in cui si era addirittura proposto (primo ed unica capo di Stato estero a parlare al Bundestag non già in Russo, bensì in Tedesco) in una funzione di federatore dell’ Europa, paragonabile a quella che era stata di Kohl.

In quel periodo, Russia Unita teorizzava il suo ruolo quale quello del continuatore del Russkij Konservatizm di Stolypin e di Witte, e parallelo a quello della CDU.

In effetti, l’ Unione Europea non sarà credibile fintantoché rappresenterà meno  appena la metà del nostro Continente e sarà in conflitto con la restante metà.

Secondo Schmidt, i GAFAM devono condurre l’ America alla conquista del mondo

9.L’impero europeo dell’ America

Secondo il Papa, esistono nel mondo degli “Imperi Sconosciuti”. Immerwahr ha definito gli USA l’ “Impero Nascosto.”Secondo Zbygniew Brzezinski, l’Europa è un protettorato americano, che ha come unico scopo quello di costituire un avamposto dell’ America in Europa. Luca Caracciolo insiste a chiamare la UE “l’impero europeo dell’ America”.

Questa realtà costituisce l’altro vero ostacolo all’unificazione dell’ Europa.

Ricordiamoci che, quando, nel 1866, l’ Impero Austriaco, in seguito alla sconfitta di Sadowa, fu costretto a riconoscere un Regno d’Ungheria, iniziò la sua finale disgregazione. Per questo, riscrivere l’intera governance mondiale, ivi compreso lo Statuto della NATO, è così fondamentale: si tratta di ripetere ciò che, per l’Austria, era stato l’ “Ausgleich” del 1866.

Marco Aurelio, l’imperatore filosofo

10.Un presidenzialismo europeo?

La proposta di Giorgia Meloni che ha costituito l’occasione per il commento di Carlo Galli si riferisce al presidenzialismo per l’ Italia. In effetti, se si vogliono accrescere le capacità decisionali di uno Stato, il presidenzialismo può giovare. Esso è utilizzato da vari ed importanti Stati, come gli Stati Uniti, la Cina, la Russia, l’India, il Brasile…..Tuttavia, l’Unione Europea non è uno Stato come gli altri.Si caratterizza proprio per il fatto di fare parte di una “multi level governance”. Oggi, il livello di cui occorre incrementare il potere decisionale è quello europeo, perché è l’unico che ci possa difendere dal potere delle macchine intelligenti, ed è l’unico in cui si richieda un potere decisionale immediato ed illimitato, come quello degli antichi comandanti romani.

Perciò, i ragionamenti che si fanno sul presidenzialismo nazionale dovrebbero essere rivolti al presidenzialismo europeo. Che non è l’unica soluzione alla questione del decisionismo europeo, ma può essere una.

Era in questo senso che si era lavorato sull’ipotesi degli “Spitzenkandidaten”, poi miseramente fallita davanti alla realtà, non soltanto in Europa, ma anche in Germania, dov’era nata. Infatti, l’inadeguatezza ed arretratezza della cultura “mainstream” ha, fra i tanti effetti, quello dei un’illogico frazionamento del panorama ideologico e parlamentare secondo irreali linee ideologiche e  territoriali e non secondo problemi: GAFAM o non GAFAM; America o sovranità? In queste condizioni, creare delle coalizioni con un progetto è difficilissimo, e quindi nessuno Spitzenkandidat può vincere le elezioni, perché nessuna linea politica può raccogliere un consenso significativo.

Il presidenzialismo avrebbe senso solo nell’ ambito di una costellazione di provvedimenti atti ad accrescere l’incisività dell’ azione dell’ Europa, quali  la revisione della cultura mainstream, riforme “epistocratiche”, un esercito europeo prevalentemente automatizzato, un Consiglio Federale operativo come quello svizzero…

Per tutto il resto, sarebbe utile ed opportuno ricordarsi dei vari modelli proposti in passato: dell’inserimento del federalismo europeo in quello mondiale;  dell’idea di federazione come superamento degli Stati Nazionali borghesi; del coordinamento delle “costituzioni” di tutti i livelli della “multi-level governance”; della continuità storica; dell’ Europa quale oggetto primario di lealtà per i cittadini; dell’ “Europa da Brest a Vladivostock”; del rapporto problematico con l’ America.


UN MOVIMENTO EUROPEO SOVRANISTA A GUIDA AMERICANA? UN CONTROSENSO

 

“come si fa a essere sovranisti italiani se poi arriva un americano a dirci che dobbiamo essere sovranisti americaniBannon può stare tranquillamente a casa sua, non abbiamo bisogno di interferenze americane”(Antonio Tajani, Presidente del Parlamento Europeo)

Come ha scritto giustamente Scalfari, “in quest’estate così variabile, molte cose in politica sono cambiate. O meglio, gli attori e gli spettatori  (loro e noi) hanno messo a fuoco una realtà… che non è più la stessa di prima”. In particolare, aggiungo io, ci si accorge che, oggi, nella politica europea, tutto “gira” intorno ai due temi, fra di loro strettamente collegati, della sovranità e dei rapporti con America e Cina, così come noi avevamo anticipato da più di un decennio, in particolare con libri come il recente “DA QIN”, e approfondito nel precedente post.

Questi temi condizionano oramai teologia e cultura, geopolitica ed economia.

L’arrivo di Steve Bannon alla manifestazione “Atreju” all’Isola Tiberina lo stesso giorno in cui il Vaticano siglava l’accordo con la Cina ha fatto precipitare le opposte posizioni, al punto che addirittura lo stesso Presidente del Parlamento europeo, di solito così inamidato, ha finalmente usato una frase “forte”, tratta dal nostro libro DA QIN, “sovranità europea”!.

Peccato che, proprio su questi due temi, oggi tutti recitino a soggetto, senz’alcun filo conduttore. Il compito che ci siamo auto-attribuiti è proprio quello di contribuire a  ricercare questo filo d’Arianna, a favore di tutti gli Europei.

Dedicheremo ben presto adeguato spazio ai nuovi rapporti fra Vaticano e Cina e all’azione in corso in quel Paese da parte del Ministro dello Sviluppo Economico.

  1. I “sovranisti” gettano la maschera: corsa alle adesioni a “The Movement”

Mentre i movimenti politici “tradizionali” e gl’intellettuali organici si arrovellano su come presentarsi alle elezioni europee del 2019 e sostenere l’urto dei sovranisti, questi ultimi hanno realizzato da soli un autogoal  che, se ben sfruttato, potrebbe risolvere come d’incanto i problemi dei partiti tradizionali. Si tratta dell’adesione in massa, da Salvini a Le Pen a Meloni, al nuovo, misterioso,  movimento “The Movement”, organizzato, con  non meglio precisati fondi americani,  dall’ex ufficiale di marina ed ex collaboratore di Trump Steve Bannon “per coordinare i movimenti populisti nel Parlamento europeo”, e addirittura per erogare a Roma corsi di formazione ai giovani cattolici: quello che chiameremo per semplicità “il Piano Bannon”.  Come contenuti del coordinamento e dei corsi: le trite elucubrazioni dei teocon e dell’eccezionalismo americano.

Tutto questo in un momento in cui i rapporti fra Trump e gli Europei dovrebbero essere al minimo storico, e, quindi, allearsi a un amico di Trump non dovrebbe portare una grande popolarità.  Ricordiamo che il Presidente americano è riuscito in un anno, con dazi e sanzioni, a fare alzare di due punti il PIL americano e ad abbassare deliberatamente di 1 punto quello europeo, essendo l’Europa colpevole, a suo avviso di avere “approfittato dell’America”(vale a dire operato più abilmente sui mercati). Di fronte alla lapalissiana constatazione del deliberato boicottaggio da parte di Trump, tutte le altre considerazioni sull’ andamento delle varie economie nel mondo diventano prive di senso. L’unica vera leva che fa e disfa la “ricchezza delle nazioni” è, oggi più che mai, il “keynesismo militare”: l’ intervento pubblico accoppiato alla potenza delle armi. Questo è ciò che praticavano già i precedenti presidenti americani, per esempio finanziando con il DARPA lo sviluppo del Web, manovrando per porre sotto controllo l’industria automobilistica europea o l’estrazione petrolifera irachena, o per impedire la nascita di un cacciabombardiere europeo di 5° generazione. Solamente, non lo dicevano, e, anzi, predicavano il pacifismo e la cooperazione.

Né l’ “Europeismo”, né il “sovranismo” possono evidentemente consistere nell’ accettare supinamente queste prepotenze, bensì dovrebbero portare a svolgere azioni eguali e contrarie, volte a ricostituire un equilibrio. Del resto, la necessità di reagire al “contingentamento dell’Europa” è stata fuggevolmente  evidenziata dal Ministro degli Esteri tedesco Heiko Maas, ma quest’ultimo è stato subito zittito non appena ha proposto di passare dalle parole ai fatti, creando uno “swift europeo” per aggirare le sanzioni americane all’ Iran. Tanto sono forti ovunque le lobby filoamericane.

Altro che ”sovranismo”! Invece di contrastare l’aggressività di Trump, che ci definisce tutti come dei nemici, che aspira a distruggere l’Unione, che umilia e ridicolizza il presidente della Polonia, un suo fedelissimo alleato che va a promettergli due miliardi per costruire un “Fort Trump” in Polonia, certi leader sovranisti vorrebbero pervertire i rispettivi movimenti, annegandoli in un ambiguo calderone filo-americano e trumpiano, quello che Bannon ha definito “i patrioti dell’ Occidente”. L’obiettivo sarebbe quello di contribuire a trasferire la lealtà dei cittadini, dall’ Europa, all’ America, e, poi, di  dirigere i nostri governi attraverso la manipolazione dei voti e il ricatto ai politici, come fatto in America da Obama e Trump (Cambridge Analytica), per creare nel Parlamento Europeo una maggioranza “sovranista” (ma in realtà pilotata dall’ America).

Tra l’altro, le “élites” che ancor ieri Bannon ha esposto in forma anonima all’odio popolare non hanno nulla a che fare, come invece vorrebbe far credere, con le sbiadite figure ai vertici dell’Unione. Esse hanno, invece, nomi e cognomi: Kurzweil, Zuckerberg, Bezos, Pinchai; gestiscono migliaia di miliardi prelevati dalle nostre tasche; sono tutti negli Stati Uniti, dove, protetti dalle leggi americane e dall’ “advocacy” dell’Amministrazione, manipolano le elezioni di tutto il mondo.

A 73 anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, appare, non soltanto sconcertante che gli Stati Uniti continuino a comportarsi con l’Europa come con un Paese nemico e occupato, continuando a “coordinare” ufficialmente delicatissime funzioni come il web o l’organizzazione dei gruppi politici al Parlamento europeo, ma addirittura kafkiano il modo in cui ciò avviene. Si noti che, proprio in questi giorni,  il Presidente Trump è sotto inchiesta in America per aver anche solo permesso che alcuni suoi collaboratori parlassero con la Russia durante la propria campagna elettorale. Invece, da noi in Europa è normale che gli Americani fondino a Bruxelles un’organizzazione apicale di partiti europei, con il preciso intento di scardinare l’Unione influenzando pesantemente le elezioni (con metodi tipo Cambridge Analytica). Movimenti simili, ma molto più blandi (le NGOs), sono presenti tanto negli Stati Uniti, quanto in Russia, ma, in ambo i casi, devono registrarsi come “agenti stranieri”. Nulla di tutto ciò qui da noi (salvo l’obbligo, tanto deprecato da tutti, imposto in Ungheria di seguire un’analoga procedura per una delle università di Soros). Chissà che il Parlamento Europeo non si decida a varare una regola simile per l’ Europa.

E’ ben vero che le ingerenze degli Stati Uniti sono state determinanti sull’ Europa fino dalla fondazione degli Stati Uniti :dall’influenza di Franklin e Jefferson sulla Rivoluzione Francese (cfr. Annie Crépin, Benjamin Franklin et Thomas Jefferson. Aux sources de l’amitié franco-américaine. 1776‑1808), al ruolo di Allen Dulles nell’incarico di governo di Hitler (cfr. Sutton, Wall Street and the Rise of Hitler), poi ancora, alla nascita del Movimento Europeo, finanziato dall’OSS di Dulles e dalla CIA di Donovan , fino, addirittura, all’origine dell’Unione Europea, deliberata al Congresso americano su iniziativa del Senatore Fulbright (Aldrich ,OSS, CIA and European unity: The American committee on United Europe). Ma, almeno, quelle cose si facevano in America e con un po’ di discrezione (tant’è vero che ancor oggi nessuno lo sa), mentre ora tutto si fa in pieno giorno, in piena Bruxelles, e addirittura sull’Isola Tiberina, culla della civiltà romana! E, soprattutto, si sperava che, passato il dopoguerra, l’Europa sarebbe divenuta indipendente e l’America avrebbe smesso di tenere simili comportamenti.

Risulta comunque chiaro che certi nostri “sovranisti” non perseguono nessuna sovranità, bensì agiscono come l’ennesima longa manus degli Stati Uniti per continuare a “contingentare l’Europa”, come previsto già da Trockij più di 100 anni fa, nonostante che viviamo oramai in un nuovo mondo multipolare. Per altro, anche Trockij era stato uno dei più cospicui “suggeritori” americani in Europa, come ricorda sempre lo stesso Sutton in Wall Street and the Rise of Bolshevism.

L’insistenza del nuovo populismo sul “potere al popolo” ci ricorda perciò quella del generale persiano Mardonio, che, come ricorda Erodoto, quando ebbe riconquistato la Ionia, vi aveva imposto dei regimi democratici, molto più facilmente controllabili dall’ esterno che le non le chiuse aristocrazie greche, capaci di produrre dei leaders militari eccezionali: prima, un Leonida, poi, un Alessandro. D’altronde, lo stesso Erodoto ci ricorda che, proprio per questo motivo, la democrazia era stata scartata, dopo ampio dibattito, come forma di governo della Persia stessa.

Bannon non si comporta, per altro, neppure  diversamente dal suo connazionale ed arcinemico George Soros (a cui per altro testimonia amicizia e stima), né dall’imam turco-americano Fethi Gülen, solo con slogans apparentemente opposti. D’altra parte, Bannon è un americano di origini irlandesi, e quindi erede delle equivoche vicende dell’eresia americanista e del maccarthismo. Come faceva il vescovo Ireland, Bannon censura il liberalismo dei cattolici europei, ma è tutto ligio a quello americano. Il suo comportamento è anche coerente con quello del Governo irlandese, che per l’ennesima volta ha rifiutato di incassare i 13 miliardi di crediti fiscali verso Google aggiudicatigli dall’Unione Europea.   E i “sovranisti” si stanno comportando, nei confronti dell’America, nello stesso modo dei partiti europei tradizionali (che andavano tutti a Washington a prendere ordini), o dei generali golpisti turchi. La sostanza è comunque sempre la stessa: qualunque siano le  ideologie conclamate, avremo sempre un “superiore sconosciuto”, un finanziatore e un capo americani, e dovremmo attenerci alla stessa politica: tecnocrazia; colonizzazione culturale ed economica; tributi, occulti o meno, come i contributi NATO, acquisto forzato di armi americane, imposizione di  dazi e sanzioni che danneggiano l’ Europa; tempestiva uccisione delle imprese europee che minaccino quelle americane; drenaggio di informazioni, di capitali e di posti di lavoro attraverso le industrie del web; mancata ottemperanza, con connivenze a tutti i livelli, a tutte le sentenze che diano torto a un soggetto americano…

 

E’ vero, c’è proprio un complotto (una “conspiracy”): è quello plurisecolare dell’America contro l’ Europa, e i sedicenti “sovranisti” ne sono solo  i complici più recenti. Altro che “Europa contro Europa”, come annunzia il manifesto di “Atreju”! Piuttosto,  “America contro Europa”.

Scontate quindi le critiche, per altro giustissime, di +Europa: “Che hanno da guadagnare l’Italia, l’Ungheria, la Francia sovranista che immagina Marine Le Pen, a ritrovarsi ciascuno per conto proprio di fronte ai dazi di Donald Trump? E a nessuno viene il sospetto che Bannon – lo stratega elettorale di Trump – ci tenga tanto a sfasciare l’Unione Europea proprio perché è l’argine più forte contro i diktat commerciali di questa amministrazione americana? De Gaulle si rivolterà nella tomba allo spettacolo di una soi-disant nazionalista francese come la Le Pen, subordinata agli interessi americani. Ma che avrà mai ‘sto Bannon, allora, per mettere tutti in fila i sovranisti europei? “

Per fortuna, la scelta di allinearsi con Trump è assai poco condivisa anche in tutto lo spettro della destra in Europa. In tutti i campi assistiamo, e probabilmente ancora assisteremo, a delle prese di posizione forse sorprendenti.

Appropriato e dignitoso il commento del Presidente del Parlamento Europeo Tajani (PPE, ex monarchico), insolitamente (e motivatamente) aggressivo: «Io sono un sovranista europeo. Quando arriva un signore come Steve Bannon a dirci cosa dobbiamo fare per distruggere l’Europa, rispondo: caro signor Bannon, tornatene a casa. Se vuoi fare il turista, fa il turista. Ma è meglio che stai zitto”. Importante anche il garbato rifiuto di Weiland (AfD, Alternativa per la Germania):” “Sono perplesso su questo intervento di un soggetto straniero. Suppongo che non abbia il polso dell’ identità culturale del popolo europeo.”Novità ragguardevole: “Adesso, perfino  l’AfD parla dell’ “identità culturale del popolo europeo”! .

La subordinazione all’ America crea divisioni perfino fra i leader dei Paesi di Visegrad, con Duda ch’è andato andato a Washington a implorare Tusk di creare una nuova base americana proprio mentre Orban stava firmando con Putin a Mosca un accordo per la costruzione in Ungheria di una centrale nucleare russa. Il tutto si è tinto poi d’un colore kafkiano quando, pochi minuti dopo l’incontro, Trump ha pubblicato un Tweet con una foto che ritrae il tavolo dello stesso Trump, con il Presidente seduto con fare imbronciato, e Duda che firma stando in piedi davanti a lui simulando un grande sorriso. Come per smentire tutti i convenevoli e dichiarare sprezzantemente che i Polacchi sono dei semplici vassalli. Cosa per fortuna fatta rilevare da Walesa e altri politici polacchi, che hanno descritto tutto ciò come un’offesa per il popolo polacco. Ma è un offesa al popolo polacco il fatto stesso di andare a Washington a pregare il Presidente di difendere la Polonia (da che cosa, poi?), quando invece la Polonia si è sempre fatta vanto di essere essa (come nel caso di Sobieski), il difensore dell’ Europa, tanto che la sua classe portante (la gentry) era chiamata “szlachta”, che significa “i combattenti”, per il suo ruolo eminentemente militare.

Credo che continuare a umiliare, come fanno, a turno, l’America e i burocrati di Bruxelles, i più orgogliosi popoli d’ Europa (Russia, Polonia, Ungheria e Turchia) non resterà certo senza conseguenze.

Nel frattempo, si sta combattendo la battaglia della “Nuova Via della Seta” il boicottaggio della quale, secondo Bannon, costituisce il nocciolo della politica di Trump, a suo dire da lui stesso iniziata e promossa. Intanto, Di Maio sta  inaugurando ufficialmente l’ adesione dell’ Italia alla Nuova Via della Seta. Anche l’accordo siglato lo stesso giorno della presenza di Bannon a Roma, fra Cina e Vaticano fa parte di questo ampio panorama.

2.Come opporsi?

Gli oppositori del “Piano Bannon” avrebbero dunque, a mio avviso, facile gioco nel prevalere semplicemente evidenziando le incongruenze di cui sopra,  non cadendo, come invece stanno facendo Scalfari e +Europa, nell’ ingenuità di riproporre per la millesima volta le arroganti banalità delle ideologie sette-ottocentesche, e addirittura dei partiti della 1° e della 2° Repubblica, ma, invece,  recependo  quanto vi è di autentico nelle istanze sovraniste (il “sovranismo europeo” di cui parla Tajani), collegandovi in modo coerente delle posizioni autonome dell’ Europa su vari temi: tecnica, economia, sussidiarietà, economia, della cultura…, così come abbiamo proposto in concreto in molti libri di Alpina (p.es., “100 tesi sull’ Europa”), e riproporremo presto in forma aggiornata.

Con il patrimonio ideale maturato da Alpina e Diàlexis, crediamo di poter fornire contributi importanti a tutti gli schieramenti, oggi così confusi sui principali temi oggi in discussione, e, in particolare:

 

(i)“autonomìa” e principio di sussidiarietà

Secondo l’“europeismo” dell’ “establishment”, costituirebbero superate forme di tribalismo il “voler essere padroni a casa propria”, come pure il ritenere che i territori siano tutti caratterizzati da una loro specifica identità. Una delle             principali colpe del “sovranismo” sarebbe dunque quella di sostenere che gli “Stati nazionali” sarebbero  la sede naturale della spontaneità e della libertà dei popoli, mentre invece l’integrazione europea costituirebbe una innaturale e inutile cessione di sovranità.

Tuttavia, come scriveva giustamente Massimo Cacciari su “l’Espresso”, gli “europeisti”di quel genere sono “corresponsabili in pieno della catastrofe culturale, etica e politica che attraversiamo. Ci sono invece ‘europeisti’, a partire dal XVIII secolo , ben prima di molti dei ‘padri fondatori’, che ne hanno (invano?) coltivato un’ immagine di ‘arcipelago’: uno spazio composto da realtà ben distinte, da tempi distinti, e tuttavia in navigazione gli uni verso gli altri, senza alcuna velleità egemonica o omologante.”

Constatazione, questa,  fondamentale perché  nuova negli ambienti dell’ establishment: il riportare “la nascita dell’Europa” a Monnet, Schuman, De Gasperi, Adenauer e Spinelli ha costituito, in questi 60 anni, una vera e propria violenza alla storia da parte del “Pensiero Unico”, foriera di un sicuro fallimento, perché un progetto senza profonde radici non può stare in piedi, e un progetto fondato su presupposti mendaci, ancora meno. In particolare, assolutizzare come modello per l’Europa il mondo dell’immediato dopoguerra (quello del sedicente “Miracolo Economico”) significa identificare l’integrazione europea con l’egemonia americana sui nostri Stati Membri, negando ogni rilevanza alla millenaria storia propria ai popoli d’Europa.

In realtà, come spiegato, fra l’altro, nel mio libro “10000 anni d’identità europea”, fin dal 1300 si erano susseguiti progetti d’integrazione europea, sostanzialmente coerenti con gli uni e con gli altri, e che, in particolare, a partire da Proudhon  e dal “federalismo integrale”, avevano per oggetto proprio una federazione pluralistica a più livelli, erede dell’habitus politico pluralistico risalente fino alle tribù pre-romane, all’Impero, al “Concerto delle Nazioni” e alla Santa Alleanza: quella che oggi viene chiamato “multi-level governance”. Una siffatta idea di “sovranità dei popoli europei” preesiste all’ Unione Europea, e che, anzi, costituisce il nocciolo duro di quella millenaria identità che Tocqueville, ispirandosi a Platone, chiamava “l’Antica Costituzione Europea”

Contrariamente a quanto pensano gli autori “mainstream”, ciò che contraddistingue fin dall’ inizio l’”ethos” degli Europei è stato infatti proprio il suo “tribalismo”, il suo ragionare per “stirpi” (i “Bne Jishrael”; gli Eraclidi; la Gens Julia), per città; etnie (Achei, Dori, Ioni, Eolici…; Latini, Sanniti, Siculi…; Franchi, Goti, Svevi, Sassoni…); per “nationes” (non esistono solo gli “Stati-Nazione” ottocenteschi…). Era stato proprio quel  “tribalismo” a sostanziare il governo “repubblicano” classico, in cui ogni “stirpe”(genos=gens,phyle=tribus) poteva avere la propria voce,  così facendo dei Greci quel popolo guerriero, fiero della propria “autonomia”, descrittoci da Ippocrate e da Erodoto. Roma, con le sue “gentes”, i suoi “ordines”, i suoi “municipia”, le sue “coloniae”, i suoi “socii”, aveva costituito la massima dilatazione sione possibile dell’ idea di “città-stato” e del suo “tribalismo”, e il Sacro Romano Impero l’esempio più estremo di un “arcipelago” di poteri, con i “Due Soli”, l’Imperatore “primus inter pares”, alcuni regni soggetti all’ imperatore, altri solo al Papa, altri del tutto sovrani; gli ordini religiosi e cavallereschi; i Cardinali; lo Stato della Chiesa; i signori territoriali; le leghe di città; i principati ecclesiastici; i monasteri; le università; i feudatari; le diocesi; le città, le corporazioni, le parrocchie, i cavalieri; le botteghe…

Ancora nel ‘500, Machiavelli definiva l’Europa come “alcuni regni e infinite repubbliche”.

(ii)l a globalizzazione: un’idea extra-europea

L’alternativa a quest’Europa intesa, per dirla con Cacciari, come “un arcipelago” è costituita dall’impero provvidenziale, di cui abbiamo avuto esempi anche in Europa (per esempio, l’ Unione Sovietica), ma il cui archetipo è stato quello persiano. Esso ha come suo obiettivo “la pace universale”, che, come afferma Serse nel racconto di Erodoto, può realizzare il suo dominio soltanto conquistando tutta l’Europa. Cosa che i Greci, nel loro senso tribale del “limite”, giudicavano come una hybris, un peccato contro gli dei dell’Olimpo (ch’erano gli dei delle differenze). In questo senso, i combattenti delle Termopili, di Platea e di Salamina acquisiscono già allora, indirettamente, il ruolo di “rappresentanti dell’ Europa” (vedi il “sogno di Atossa” ne“I Persiani” di Eschilo). Del resto, sempre secondo Erodoto, non meno eroicamente si erano comportati “gli Sciti”, l’unico altro popolo europeo menzionato dallo storico di Alicarnasso.

E, in effetti, come inciso sulle tombe imperiali di Behistun e di Naqs-i-Rustam, l’imperatore persiano, combattendo contro i “deva”, gli dei stranieri ed ostili del politeismo,  eseguiva la volontà di Ahura Mazda, accelerando l’avvento del “Frasho Kereti”, l’ Apocalisse. Oggi, l’erede di questa concezione mazdeista della storia è l’impero americano, mosso febbrilmente dall’idea messianica della “Fine della Storia” e dell’ espansione della democrazia e del mercato nel mondo intero, con il suo esercito unico nella sua smodatezza, ed immagine  speculare dell’ armata multinazionale pluri-milionaria che Serse osserva (piangendo) sfilare al guado dell’ Ellesponto. Anche l’esercito americano chiede incessantemente a tutti i Paesi, in cambio della pace, la concessione “di acqua e terra”, vale dire di basi navali e marittime. Questo paradossale parallelismo è stato messo in rilievo da Tom Holland nel suo splendido libro “Persian Fire”: “Quando il Presidente Bush parla dell’ ‘Asse del Male’, la sua visione di un mondo diviso fra le forze rivali della luce e dell’ oscurità deriva in ultima analisi da Zarathustra, l’antico profeta dell’ Iran…”, secondo cui“una rinvigorita monarchia globale avrebbe garantito la pace mondiale”.

 

(iii)”autonomia” e spirito marziale

Il carattere tribale dell’Europa antica non era stato per altro di ostacolo alla sua capacità di difendersi e, addirittura, di contrattaccare vittoriosamente, contro i Persiani: gli Ateniesi si rivolgono, per un comando unitario, agli Spartani, e questi riuniscono gli alleati Peloponnesiaci, finché Leonida, il re degli Spartani, compie il miracolo delle Termopili. Anzi, come non mancano di sottolineare Ippocrate ed Erodoto, è proprio l’ “ethos” dei Greci “autonomoi”, che combattono per se stessi, ad essere superiore a quello dei Persiani, che combattono per il loro re, e, conformemente al messaggio della Pizia, deve prevalere. Al di là e al di sopra dell’”ethos” civile, ambedue i popoli sono animati da  opposti pathos religiosi: i Greci (esempio tipico, Leonida) ,aspirano all’ “apotheosis” individuale, realizzata attraverso gesta gloriose in battaglia, mentre i Persiani combattono una battaglia apocalittica collettiva per la vittoria del Bene contro il Male.

L’essenza dell’ “autonomìa” dei Greci è resa icasticamente e performativamente dalla filosofia e dalla letteratura. Per Eraclito, “Pólemos è padre di tutte le cose , di tutte re; e gli uni disvela come dèi e gli altri come uomini, gli uni fa schiavi gli altri liberi (frammento 53)”. La guerra ininterrotta fra le poleis, che tanto stupisce Mardonio, verte proprio su questo: i vincitori sono liberi, i perdenti schiavi. Anche Archiloco ci offre un impressionistico, anche se enigmatico, bozzetto di sé stesso, come un guerriero tutto sostanza e di poche parole: “èn dori mén moi màza memàgmne, én dori d’òinos ìsmarikòs, pinò d’én dori kèklimenòs” (=”in armi inumidisco la focaccia, in armi bevo il vino d’Ismaro, appoggiato alla mia lancia”).

Più tardi, i Greci, riuniti intorno ad Alessandro, conquisteranno addirittura l’Impero Persiano, portando in Oriente la civiltà greca, ma anche acquisendo caratteri imperiali, che si trasmetteranno a tutti i successivi imperi europei. Questo modello di un’alleanza “tribale” contro gl’imperi provvidenziali si ripeterà costantemente nella storia europea, con le Crociate, con la resistenza anti-napoleonica….A Leonida succederanno Riccardo Cuor di Leone, il Principe Eugenio, Sobieski, Suvorov e Körner.

Il preteso carattere pacifico degli Europei costituisce dunque una vecchia  “fake news”, ch’è servita fino ad oggi ad evitare che i nostri connazionali approfondissero il discorso circa l’egemonia americana e ne traessero le conseguenze. Tuttavia, dopo quest’ultima “invasione di campo”, è divenuto sempre più difficile evitare che sempre più smettano, come hanno fatto Tajani e Heiko Maas, di “porgere l’altra guancia”, e rendano finalmente pan per focaccia.

3.Anti-globalizzazione

Ancor oggi, il “tribalismo” costituisce ovunque nel mondo il primo passo verso un atteggiamento antagonistico nei confronti delle “astratte finalità omologanti”  della globalizzazione occidentale, di cui parla Cacciari: tribù e confessioni religiose in  Medio Oriente; Stati e caste in India; “repubbliche autonome” nello spazio post-sovietico e autonomismi in Spagna, Regno Unito e Italia. Soltanto nel nome di questi tribalismi si riesce ancor oggi, seppure a sprazzi, a mobilitare i popoli contro la globalizzazione: la rivoluzione sciita iraniana; la lotta dei taliban contro Sovietici e Americani; i Catalani che tengono il referendum non ostante le violenze della polizia…A questi fenomeni, non già all’omologante complesso informatico-militare americano, né alle retoriche buonistiche dell’ Europa, vanno  dunque accostate le antiche poleis greche.

Certo, presi uno per uno, gli odierni “tribalismi”, in particolare in Europa, “manifestano tutta la propria impotenza non dico a contrastare, ma a “dialogare” con le potenze economico-finanziarie e finiranno per esserne mille volte più sudditi dell’Europa semplicemente commerciale e-monetaria”(Cacciari).Ed è per questo che, mentre, sul piano teorico, si potrebbe anche credere alle promesse di Salvini e Meloni, che oramai non intenderebbero  più distruggere l’ Europa, bensì governarla con una lega di tutti i “sovranisti”, tuttavia, il fatto ch’essi abbiano contestualmente aderito a “The Movement” e che abbiano votato al Parlamento Europeo a favore delle Big Five non lascia certo sperare sul fatto l’Europa “sovranista” sarà più aggressiva contro la globalizzazione di quanto lo sia stata fino ad ora quella dei suoi avversari.

Nonostante le sue giuste intuizioni, Cacciari cade, a sua volta, nel vizio di tutti i politici e intellettuali vicini ai partiti “tradizionali”, ipotizzando semplicisticamente che un’alleanza di tutti gli “anti-sovranisti” (proprio quelli che qualche riga prima aveva così severamente fustigato) possa sconfiggere quella “deriva” pseudo-sovranista. E’ chiaro per altro perfino a lui che oggi ci vorrebbe un movimento che non negasse il “tribalismo”, bensì che lo potenziasse, e, in tal modo, lo superasse. Questo movimento non potrebbe tentare di riproporre con parole nuove le ideologie otto-novecentesche  fallite da gran tempo, ma dovrebbe prendere atto della nuova realtà, caratterizzata dal dominio delle macchine intelligenti e dall’ erosione del potere occidentale.

Il dominio delle macchine intelligenti svuota infatti di per sé i concetti, che ancor ieri erano fondamentali, di “Stato nazionale”, di “libero mercato”, di  “democrazia rappresentativa” e di “diritto sociale”, richiedendo invece nuove parole d’ordine, come “enhancement”, “guerra delle intelligenze”, “stato d’ eccezione”, “solidarietà europea”. L’erosione del potere occidentale fa sì che la ricerca delle soluzioni nen sia più confinata nell’ universo geografico e concettuale dell’ “Occidente”, ma possa e debba spaziare fra una pluralità di soluzioni alternative, vecchie e nuove, esistenti o ipotizzate, comprensiva di soluzioni imperiali, meritocratiche e direttoriali.

Occorrerà comunque scendere in campo non soltanto nel dibattito fra sovranisti e anti-sovranisti, bensì anche all’ interno dei dibattiti di ciascuno dei due campi, per mostrare le incongruenze dei due pretesi schieramenti, e costruire, con i rottami di questi, una Terza Via: il Sovranismo Europeo.