Archivi tag: limes

PER “LIMES”, L’UE SCOMPARIRA’ENTRO IL 2050: altro che “Futuro dell’ Europa”!

Erdogan circondato da soldati
dei 16 imperi turchi

Luca Caracciolo non ha mai creduto molto nell’integrazione europea, ma il numero di ottobre di Limes ha raggiunto un livello di euroscetticismo che supera tutte le precedenti esperienze: nell’illustrare come sarà il mondo nel 2050, si è dimenticato (?) perfino di parlare (foss’anche male) dell’Unione Europea, partendo evidentemente dal presupposto che, in quell’anno, non esisterà proprio più. Il che era quanto era stato detto anche dall’ insospettabile Helmut Schmidt. La questione va quindi presa estremamente sul serio.

Tutto ciò dovrebbe infatti preoccupare non poco le Istituzioni e il Movimento Europeo, che vedono ora bocciate da un’autorevole rivista tutte le loro pretese di dare un futuro all’ Unione (almeno così com’ essa è). Questo fatto non può e non deve, a nostro avviso, rimanere fuori dei riflettori della Conferenza attualmente in corso, costituendo uno stimolo aggiuntivo a essere più concreti (a meno che non ci sia, sottointesa, l’idea di una grande messa in scena).

La mappa del mondo medievale nel Diwan Lughat it-Tuerk

(antologia delle lingue turciche)

1.L’Europa come preda di tutte le potenze del mondo

Nella rivista, ci sono infatti 3 articoli sul futuro della Cina, 2 sull’ Italia, due sull’ America, uno a testa su Russia, Francia, Inghilterra, Turchia, Germania, Giappone, uno sulla Chiesa Cattolica, ma nessuno sull’ Unione Europea, il cui nome non è neppure citato, mentre invece si afferma chiaramente che l’Europa non sarà, né un soggetto politico, né, tanto meno, un protagonista, bensì la preda a cui aspireranno tutte le potenze del mondo. Il che costituisce  per altro un fatto evidente, a meno che  l’Unione Europea non diventi rapidissimamente un vero soggetto -culturale, sociale, tecnologico, militare, statuale, economico e politico- degno di questo nome. Evidentemente,  “Limes” non crede che ci riuscirà, e non si può dargli torto visto che non ci sono in giro proposte concrete in questa direzione. Lo stesso Fabbrini, nel suo intervento settimanale su “Il Sole 24 Ore”, parla di “retorica”.

Per la Cina, intanto, secondo Limes “non si tratta di sbarcare in America, ma di legare a sé l’Europa per costringere Washington a riconoscere il primato sinico. Senza Europa non si dà Occidente – oggi sinonimo di impero americano-  nemmeno nella flebile complessione attuale. A quel punto, solo a quel punto l’America scadrebbe a Numero Due.”

Cosa parzialmente vera. L’idea che ci debba essere per forza un “Numero Uno”nel mondo (derivata da Hegel e da Marx) , per quanto profondamente radicata, è in sé discutibile. E’comunque vero che gli USA, senza l’Europa, perderebbero ogni credibilità, perché,  nati con la presunzione di rappresentare il mondo intero, già oggi rappresentano poco più di se stessi, e un’Europa più prossima alle proprie radici che alla secessione americana dimostrerebbe ulteriormente  la faziosità della pretesa dell’ America. Ma, a nostro avviso, non sarebbe affatto una sciagura per l’ Europa: anzi…

La Cina ha dal 1° novembre
il più ricco corpus di legislazione digitale

2.L’Europa potrebbe, se vuole, divenire “sovrana” come stanno dicendo Draghi e Macron

Proprio per quanto detto al punto precedente, non è vero che l’Europa non abbia scelta, vale a dire se essere suddita dell’America o della Cina, e, ciò , per una serie di ragioni che l’editoriale di Limes così sintetizza: ”Saremo sempre più vecchi, certo. Ma lo status quo in Europa, se esistito, non è mai durato oltre un secolo. Ci siamo quasi.”

L’incombente “balcanizzazione”, che tende a scalfire, non già la nostra indipendenza, che oggi non esiste, bensì il nostro attuale appiattimento sull’ Occidente, origina, come osserva Limes,  da molte parti: certo, dalla Cina, bisognosa d’intrattenere rapporti più stretti con tutto il mondo (cfr. Via della Seta e Trattato sugl’Investimenti); dalla Russia, unico Stato europeo oggi in grado, se lo volesse, di unificare il Continente; dalla Turchia, dall’ Ungheria e dalla Polonia, condannate dalla storia a rivendicare, chi l’Impero Ottomano ,  chi i Carpazi, chi le steppe pontiche. Ma, anche e soprattutto, dagli Stati Uniti, lacerati   fra le pulsioni anti-WASP di neri, latinos, sino-americani, nippo-americani, indo-americani…(“movimento “Woke”) lo “European Traditionalism” dei White Suprematists, dei Radical Democrats, degl’incorreggibili Sudisti, della working class, delle campagne, e, infine, l’imperialismo tecnologico dei GAFAM, che, impossessatisi del Parlamento, vi dettano oramai leggi militaristiche e poliziesche (come l’”Endless Frontier Act”), che tendono ad assoggettare lo Stato americano, e poi il mondo,  ai loro  progetti post-umanistici. Tutti  questi trends sono fonte di disorientamento negli establishments europei, avvezzi a ricevere imbeccate univoche da un’America auto-referenziale e rassicurante, e ora costretti a un tour de force contraddittorio fra sanzioni in tutte le direzioni, leggi Woke e compromessi con i GAFAM.

Certo, tali establishments sono i meno idonei a partecipare alla prevedibile lotta per il potere che si sta aprendo in Europa dopo il rarefarsi della morsa straniera, prima sovietica, ed ora anche americana. Infatti: socialmente, gli ottant’anni di Yalta hanno generato un establishment di deracinés deculturati ed opportunisti. Antropologicamente, l’educazione “anti-autoritaria” rende difficile la creazione di movimenti politici organizzati e combattivi; militarmente, gli eserciti europei sono disorganizzati, arretrati e infiltrati dagli Americani; politicamente, le agende dei vari Paesi europei sono quanto di più irrazionale, dispersivo e contraddittorio si possa immaginare…

Eppure, l’occasione fa l’uomo ladro.   Quando tutti vedranno che i migliori business si possono fare solo con la Cina e con la Russia (vedi per esempio il colloquio di “Conoscere Eurasia” del 24 al Grattacielo di Intesa); che vi sono vaste aree, come l’Ucraina, la Bosnia e la Macedonia, che possono essere facilmente contese da tutti; che tutte le grandi potenze hanno fatto loro programmi molto dettagliati per la conquista del mondo -appunto intorno al 2050-, vediamo se  non sorgeranno anche movimenti europei vogliosi di  scendere anch’essi in queste competizioni, quand’anche in modo asimmetrico.

A nostro avviso, in quel contesto, il trend più ragionevole per gli Europei resterebbe quello di continuare, sì con l’attuale politica conciliatoria fra Est e Ovest, Nord e Sud, ma in un modo più adeguato di oggi -vale a dire con una visione culturale ben più ampia, con obiettivi anche di sana autoconservazione e di autopromozione, e con molta maggiore assertività (quello che Draghi e Macron chiamano pomposamente “Sovranità Europea”, ma poi non perseguono seriamente)-.

I popoli turcichi si sovrappongono alla Russia, alla Via della Seta e all’ Europa Orientale

3.La rinascita panturchista quale modello per l’ Europa

Questo numero di Limes  fornisce stupefacentemente un’esemplificazione di come potrebbe funzionare una politica siffatta attraverso l’inattesa  l’esaltazione del neo-turanismo contenuta nell’ articolo “Perché la Turchia deve tornare impero entro il 2053”, di Daniele Santoro.

Anche il vessillo presidenziale turco, scelto da Atatuerk, come quello europeo contiene  molte stelle. Sono sedici: quelle dei sedici imperi della storia turca (unni, Goektuerk,avaro, cazaro, uiguro, karakhanide, gaznavide, selgichide, corasmio, dell’ Orda d’Oro, timuride, baburide e ottomano) .Quando riceve ospiti stranieri, Erdogan è circondato da 16 guardie del corpo, vestite con le armature dei soldati dei 16 imperi. Parlare di Neo-ottomanismo è perciò limitativo, perché i 16 imperi turchi andavano da Pechino   alla Slovenia, dal Mare Artico alla Moldova, da Mosca a Chennai: si tratta in realtà di neo-turanismo, o di “Stati Uniti Turchi”.  

L’articolo delinea i molti aspetti di questo fenomeno, che non è certo nuovo, ma trascende tanto la Repubblica, quanto lo stesso Ottomanismo, e si riallaccia all’ idea cinese di “Stato-civiltà”. Anche qui, essenziali sono la lingua e l’eredità culturale, visto che i territori dei “16 Imperi” sono diversissimi fra loro, ed anche il substrato etnico (come dimostrano le recenti ricerche di paleo-biologia) è diversissimo (fra Eurasiatici Orientali e Occidentali, Indo-Europei, Mediterranei…).Ci sono però le steli del monte Orkhon, del 6° secolo d.C.,in Mongolia,  scritte in rune turche, e, poi, una serie di altre opere altre opere, anche importanti, a cominciare dal Diwan Lüghat it-Türk, scritto dell’11°secolo a Baghdad  da Mahmud .di Kashgar, nel XinJiang, i quali testimoniano un’incredibile continuità linguistica e culturale turanica, che attraversa tutta l’ Asia e parti dell’ Europa e dell’ Africa per 1500 anni.

Anche le recenti scoperte archeologiche in Giappone, Cina e Corea portano a rivalutare l’idea di popolazioni “Transeurasiatiche”, e, quindi, le ipotesi uralo-altaica (Vambéry) e nostratica (Illich Svitich) e dei “popoli a cavallo” (Emori).

Inoltre, le popolazioni turche sono in gran parte sovrapponibili all’ ex-Unione Sovietica, e perfino all’ attuale Russia, e, in tal modo, le intere pretese turche si sovrappongono a quelle russe, come emergeva già dal libro-culto “Az i Ja”, all’origine delle rivendicazioni nazionali in URSS sotto Gobaciov.

Il Panturchismo si sovrappone ovviamente anche all’ Eurasiatismo e alla Via della Seta, e, infine, al progetto Gorbacioviano della “Casa Comune Europea”.

Il modello turco dimostra l’applicabilità, anche in contesti caratterizzati da una grande dispersione territoriale ed etnica, del modello dello Stato-Civiltà, basato essenzialmente sulla continuità della memoria culturale (Jan Assmann), che, a nostro avviso, costituisce la base metodologica utile anche per la ricerca dell’ Identità Europea (cfr. nostro libro omonimo).

Dal punto di vista pratico, la Turchia dimostra come sia perfino possibile fare parte della NATO su un piede di parità con gli Stati Uniti (come richiesto a suo tempo dalla Russia). Ankara è l’unico Paese dell’ alleanza che si sia opposto con successo a  delle richiesta americane, come quando ha rifiutato la base di Incirlik per i bombardamenti in Irak e quando ha comprato i missili S-400 anziché i Patriot. E, questo, senz’alcuna sudditanza verso la Russia, come dimostra il suo appoggio all’ Ucraina e alla Bosnia. Questo esempio è mal sopportato dagli Stati Uniti, i quali hanno invitato al summit delle democrazie paesi alleati della Cina come il Pakistan, ma non gli alleati Turchia e Ungheria.

Orbene, se la Turchia può stare nella NATO pur senza obbedire ciecamente all’ America, perché non potrebbe farlo anche l’Unione Europea?

E, comunque, se Turchia e Russia sono condannate a sovrapporsi fra di loro e con l’ Europa, perché non ritornare a pensare alla Casa Comune Europea di Gorbaciov?

L’imperatore Kanxi, il grande protettore dei “Riti Cinesi”

4. Leggere Papa Francesco attraverso il progetto eurasiatico dei Gesuiti

I Gesuiti sono nemici dell’ Eurocentrismo. Essi hanno sempre inteso il ruolo della Chiesa come superiore a quello degl’Imperi (anche europei). In Asia, essi hanno avuto un rapporto  speciale con la Cina, non solo perché questa li ha accolti decisamente meglio del Giappone, forse per la particolare intelligenza di Matteo Ricci,  ma anche per la loro particolare affinità culturale con quel Paese, per la sua cultura gerarchica, epistocratica e tollerante.

Essi non solo riuscirono a diventare confidenti dell’Imperatore (p.es., Padre Verbiest), ma addirittura fondarono un’intera scuola di pensiero euro-cinese (le Lettres Amusantes et Curieuses), che si sarebbe poi riverberata sulle opere “filocinesi” di Leibniz e di Voltaire. Essi svilupparono in particolare la linguistica comparata, la logica e la matematica, e giunsero ad elaborare l’idea di una superiorità del cristianesimo cinese, ch’essi consideravano antichissimo grazie alla scoperta delle vestigia nestoriane a Xi’an (Kircher) e all’ utilizzo del Sutra di Gesù come fonte per la lingua delle traduzioni della Bibbia e per i Riti Cinesi.

Ancor oggi, secondo l’articolo di Piero Schiavazzi (“La Chiesa di Roma avrà il suo nuovo concilio”), vi è un feeling particolare fra Papa Francesco e la Cina (testimoniato dall’ accordo “segreto” sui Vescovi e dal testo dell’enciclica “Fratelli Tutti”, il cui ideale dell’ “Amicizia Sociale” è precisamente lo stesso dell’ omonima opera di Matteo Ricci, tratta dal “De Amicitia” di Cicerone. Ideale di armonia universale tipico dell’ Era Assiale, che unisce tutti i grandi imperi della Storia, e, in particolare, quelli romano e Han, da sempre considerati speculari (“Qin” e “Da Qin”, cfr. il nostro libro “Da Qin”). Un ideale umanistico radicalmente opposto a quelli messianici e politici  che gli USA vorrebbero imporre anche alla Chiesa quale prova concreta della sua sudditanza al progetto della globalizzazione occidentale.

La Chiesa si qualifica quindi ancora una volta come una delle poche forze che (come la Turchia e la Russia) riescano a mantenere in piedi delle tradizioni propriamente europee contro il “dirottamento” imposto dall’ Occidente, e, come tale, dovrebbe costituire un modello per l’ Europa.

I GAFAM tengono in ostaggio i cervelli del mondo intero

5.   La Cina sta frenando il Complesso Informatico-Militare.

Un ulteriore sguardo sul Futuro dell’ Europa di cui si sta discutendo nell’ omonima Conferenza, è fornito dall’ articolo “L’improbabile distopia post-umana”, di Enrico Pedemonte. Premetto subito che l’aggettivo “improbabile”, inserito in ossequio agl’inputs quietistici dei vari “gatekeepers”, è, a mio avviso, fuori luogo.

Infatti, non è particolarmente rilevante se effettivamente Google riuscirà tecnicamente, entro il 2100, come si accenna nelle opere di Kurzweil, nel suo progetto teurgico di eliminare la molteplicità dell’ Universo (Singularity), bensì che il mondo è già, antropologicamente, fin d’ora, configurato dalla Singularity.

Questo dal punto di vista tecnologico, perché tutte le tecnologie necessarie all’ abolizione della “distinzione delle persone” sono oramai operative (Worldwide Web, Mutually Assured Destruction, militarizzazione dello spazio, Intelligenza Artificiale,Cyberintelligence, Big Data, Cyberguerra,  Smartphones, Interfaccia mente-computer, Cyborgs, Robots, androidi, Prism,  Metaverso). Inoltre, gli attuali comportamenti sociali, basati sulle gerarchie fra potenze tenologici, sul monopolio dei GAFAM, sulla dittatura del Politically Correct, sull’ Occidentalismo, sulla repressione automatica delle Fake News, è già quello di un “General Intellect” che incombe sulle persone e sui popoli, annullando, non solo le libertà politiche, bensì proprio, alla radice, il libero arbitrio.

Di fronte a questo scenario, quanto è avvenuto e sta avvenendo in Cina è estremamente significativo. Secondo le retoriche occidentali, la centralizzazione del potere sarebbe solo una prova del fatto che la Cina, abbandonando proditoriamente l’apparente occidentalizzazione degli ultimi 50 anni, starebbe tornando a una forma estrema di potere maoista.

Certamente, l’idea stessa della transizioone dal ”capitalismo” a una qualsiasi forma di “socialismo” è già un’idea di centralizzazione. E certamente, questa centralizzazione si sposa benissimo con la “clonazione” dell’ America effettuata fin dall’ inizio dagli Stati comunisti (pensiamo a Dniprohydro, ai grattacieli moscoviti, ai “tresty” staliniani, alle Ford nere del KGB, alla bomba sovietica, ma anche all’“arricchirsi è glorioso”di Deng, allo skyline delle città cinesi…).

Certamente, poi, l’uso delle tecnologie digitali occidentali per politiche di pubblica sicurezza dimostra un certo apparentemento fra il totalitarismo tecnocratico occidentale e lo stato di sicurezza della Cina.

Ciò detto, occorre però anche osservare anche che:

a) nella transizione digitale, la Cina è ormai più avanzata degli USA, e quindi manifesta prima i problemi tipici, quali della Società delle Macchine Intelligenti, con anticipo sull’America e poi sul mondo intero;

b)gli USA stanno approntando in questo momento una serie di atti legislativi di tipo pre-bellico mirati precisamente contro la Cina (a cominciare dall’”Endless Frontier Act”), e quindi, da questo punto di vista, i due Paesi si  assomigliano già moltissimo;

c)l’Europa ha tentato di contrastare, con un pacchetto di progetti e qualche regolamento in campo digitale, il carattere totalitario del complesso informatico-digitale americano , ma continua a subire sconfitte su sconfitte (sentenze Schrems, Web Tax, Antitrust..) perché non controlla, né la cultura digitale, né le tecnologie, né lo spionaggio occidentale, né i giganti del web;

d)la sua pretesa di essere una “Potenza Civile” moralmente superiore ad America e Cina non è perciò attualmente credibile, perché l’Europa subisce invece di fatto tutte le scelte illiberali dell’ America (Controllo elettronico dei cittadini europei, monopolio dei GAFAM, dirottamento di risorse e di gettito fiscale, cancellazione della privacy), senza avere alcuno strumento, né tecnico, né processuale, per contrastarle;

d)La Cina ha “clonato” integralmente quest’anno quell’intero pacchetto digitale europeo, trasformandolo in leggi giuridicamente vincolanti già dal 1° novembre 2021, mentre in Europa nessuna di quelle norme è veramente operativa. La Cina lo può fare concretamente  perché, per ora almeno sul proprio territorio, controlla l’intero ciclo del digitale: cultura, progettazione, creazione e gestione d’imprese, ricerca, innovazione, mercato, costume, diritto, intelligence, cyberguerra, rapporti internazionali:“Negli ultimi mesi la Cina ha deciso di reagire allo strapotere dei propri campioni digitali ridimensionandone l’autonomia, mettendo così a rischio la propria futura supremazia tecnologica. Gli Europei possono solo svolgere un’opera di contenimento del potere delle piattaforme, creando regole più rigide. Per gli Stati Uniti è particolarmente difficile limitare il potere delle piattaforme: è necessario fare i conti non solo con lobby potentissime, ma anche con un’opinione pubblica largamente condizionata dalla cultura alimentata da questi colossi, oltreché dall’ utilità di servizi molto spesso gratuiti.”

In pratica, solo in Cina sono oggi garantiti i diritti digitali degli utenti proclamati dall’ Unione. Certo, i servizi di sicurezza possono usare tutti i dati del web e le tecnologie per il controllo della società e per la preparazione bellica. Ma, come dimostrano le sentenze Schrems e il loro seguito, l’unica differenza nella UE è che il controllo sugli Europei non è esercitato dai servizi segreti europei(che non esistono), bensì da quelli americani, che, secondo gli accordi (illegali) USA-UE, hanno accesso ai nostri dati.

In breve: certo, la Cina usa abilmente il sistema digitale da essa miracolosamente creato pur all’ interno di un ecosistema mondiale dominato dagli Stati Uniti, per contrastare questi ultimi, i GAFAM, e, per soprappeso, anche i propri oppositori, considerati, a torto o a ragione, delle quinte colonne degli Stati Uniti e dei GAFAM. Tuttavia, ciò facendo, oltre a compiere un’azione eguale e contraria a quella delle 16 agenzie americane,  svolge anche un compito preziosissimo a favore della sopravvivenza dell’Umanità, perché rallenta almeno l’avvento della supremazia delle macchine:

a)creando una concorrenza complessiva al sistema dei GAFAM (i BATX cinesi);

b)assoggettando i BATX cinesi alla legge (copiata da quelle che l’Europa scrive ma non è capace di attuare), e quella  a un progetto politico-culturale alternativo a quello post-umanista (quello a cui fa riferimento l’ enciclica “Fratelli Tutti”, che, come scrive Schiavazzi, sembra fatta apposta per il “mercato” cinese). Essa dimostra  con ciò che è tecnicamente possibile, se se ne ha la volontà politica, quella subordinazione del diritto all’ etica e della tecnologia al diritto che è al cuore delle retoriche europee (e anche pontificie) sull’ “Umanisimo Digitale”, ma poi, da noi, non riesce a tradursi in un sistema giuridico effettivo.

Se, poi, a più lungo termine, la concorrenza fra l’ecosistema cinese e quello americano porterà ad ancor più elevate capacità delle macchine, che prenderanno così ancor il controllo dei rispettivi sistemi, è ancora da vedere. Anche perché, nel frattempo, entreranno probabilmente in lizza i sistemi russo, indiano, israeliano (e altri), fra cui (si spera) anche quello europeo.

L’unica strategia realistica in questo campo sarebbe, per l’Europa, quella che puntasse ad inserirsi proprio in quel momento nella competizione mondiale (ma preparandosi fin da ora, cosa che invece non si sta facendo).

La partita a scacchi fra Lenin e Trockij
a Capri, un covo di postumanisti

6.Il ruolo della Russia

Limes dedica uno spazio anche all’ articolo di Trenin “2051, la Russia esisterà e guarderà dentro e fuori di sé”.

Vi si dice,intanto che la Russia esisterà, e ciò è diverso da ciò che si dice dell’ Unione Europea, cioè nulla. Il che significa implicitamente che, per Limes, la Russia esisterà, ma l’UE no.

Quest’articolo è per altro anche in implicito contrasto con quello sulla Turchia. Come potrebbe la Turchia realizzare il suo impero senza disgregare la Russia, visto che dovrebbe recuperare, fra l’altro, la Yacutia, l’ Altai e il Tatarstan, che sono nel cuore della Russia?

Ma, a prescindere da ciò, è ben vero che la Russia ha un suo significato geopolitico millenario, perché rappresenta il ruolo fondamentale dei popoli della steppa eurasiatica. Però, anche questo ruolo muta nel tempo: non può essere lo stesso al tempo degli uomini primitivi, dei cavalieri nomadi, della Transiberiana, degli Sputnik e di Internet.La Russia è , oggi, molto più integrata di un tempo, da un lato, con la Cina, dall’ altra, con l’Europa (North Stream, South Stream, Siria, Libia), e non potrà non esserlo ancor più nel futuro. Del resto, le recenti rivelazioni dell’ex segretario NATO Robertson confermano quanto già affermato da Putin nel 2000, che la Russia aveva chiesto di entrare nella NATO su un piede di parità con gli Stati Uniti, anche perché si considerava a tutti gli effetti un Paese europeo. Il motivo per cui la Russia non si è integrata in Europa è che nessuno ha voluto accettarla alla pari, temendo, sotto un certo punto di vista a ragione, che, date le sue caratteristiche, avrebbe assunto presto un ruolo dominante.

Tuttavia, con l’indebolimento di America e Unione, è ora possibile che l’ingresso in Europa di Russia e Turchia, discusso da 30 anni, finalmente si realizzi. Il peso di questi due Paesi  potrebbe ricostituire un certo equilibrio in Europa.

Come affermato da Putin e da Erdogan in varie occasioni, ciò non stravolgerebbe la natura dell’ Europa, dato lo strettissimo rapporto ancestrale degli Europei con i popoli ad Oriente: gli agricoltori medio-orientali e gl’”immigranti” indo-europei, la Civiltà Danubiana, l’affinità reclamata dai Greci con Sciti e Sarmati, l’impero macedone, lo “Sprachbund” balcanico, lo slavismo, il Turanismo, la presenza in Russia di Goti e Bulgari, Magiari e Variaghi, Greci ed Ebrei, Polacchi e Lituani, Tedeschi e Svedesi; l’Impero Ottomano; le parentele europee degli Zar; la cultura europea di San Pietroburgo; l’Ermitage; il marxismo…

Il punto è che questo spirito asserivo nelle rispettive aree non lo stanno dimostrando solo Russia e Turchia, bensì anche Lituani e Polacchi, Bielorussi e Ungheresi, Serbi e Albanesi, sicché l’ Europa Centro-Orientale rischia di ridivenire un ginepraio (anche qui se l’Unione non fa finalmente qualcosa d’intelligente e di coraggioso, come cominciare un vero dialogo culturale a Oriente, rilanciare le Strategie Macroregionali Europee, e infine pensare a Territori Federali come Bosnia, Macedonia, Cipro,Ucraina…).

Qui come in altri campi, la visione di Limes sembrerebbe invece essere che, nonostante tutta la fragilità degli equilibri attuali, nei prossimi 30 anni, di nuovo non cambi nulla, fino all’ Apocalisse finale.

La “nave dei filosofi”, su cui Lenin espulse in un sol giorno tutta l’ “intelligentija”

7.Il “Conservatorismo moderato” di Putin

Il punto di vista  dell’ articolo di Trenin si sposa bene con l’atteggiamento  molto equilibrato dimostrato da Putin nel suo recente intervento di prammatica al forum 2021 del Club Valdai, tutto incentrato sull’ idea del “conservatorismo russo”, l’ideologia di Russia Unita, che non può non trovare vasti consensi ovunque, e in primo luogo in Europa, concentrato com’esso è nella critica al “politicamente corretto”, al movimento “woke” e alla “cancel culture”.

Putin riconduce gli eccessi di questi movimenti alla “hybris” dell’ Occidente dopo il crollo del Muro di Berlino:”.. coloro che, presumendosi vincitori  dopo la Guerra Fredda, …si credevano pari a degli Dei, dovettero ben presto accorgersi che proprio allora stava venendo il loro turno, che  il terreno stava loro crollando sotto i piedi, né potevano ‘fermare l’attimo’, per quanto bello esso potesse apparire.”  

Infatti, il crollo del muro di Berlino fu la premessa logica della decadenza dello stesso Occidente: “Guardiamo con raccapriccio ai processi in corso nei Paesi considerati tradizionalmente come i vessilliferi del progresso. Ovviamente, le crisi sociali e culturali in corso negli USA e in Europa non sono affar nostro, e non ce ne immischiamo.

Alcuni credono in Occidente che l’eliminazione violenta di intere pagine della loro storia, la repressione contro la maggioranza a favore di una minoranza e l’intimazione di rinnegare concetti radicati, come quelli di madre, di padre, di famiglia e perfino dei sessi, siano pietre miliari sulla strada dell’innovazione sociale.

Ribadisco che l’Occidente ha tutto il diritto di farlo, e che noi non ci immischiamo, ma chiedo dolo anche a loro di non immischiarsi negli affari nostri. Abbiamo punti di vista diversi, o, almeno, diciamo correttamente che la maggioranza schiacciante della società russa ha un punto di vista diverso. Crediamo di doverci fidare dei nostri valori spirituali, della nostra tradizione storica e della cultura della nostra nazione multietnica.”

Secondo Putin, l’attuale ondata di estremismo anti-tradizionalistico è semplicemente una ripetizione della frenesia postumanistica dei Bogostroiteli fra la Rivoluzione d’ Ottobre e la NEP, e pertanto la Russia avrebbe una grande esperienza da fare valere in proposito:”Permettetemi però di osservare che le vostre ricette non sono affetto nuove. Anche se qualcuno se ne stupirà, la Russia è già passata attraverso questa fase. Dopo la Rivoluzione del 1917, i Bolsceviochi, basandosi sui dogmi di Marx ed Engels, si ripromettevano anch’essi  di cambiare le regole e i costumi, non soltanto  politici ed economici,  e l’idea stessa della morale umana e le fondamenta di una società sana. La distruzione dei valori antichi, della religione e dei rapport interpersonali, ivi compreso perfino il rifiuto totale della famiglia, l’istigazione alla delazione  contro i propri cari, tutto ciò veniva proclamato come progresso ,ovviamente  con un forte supporto in  tutto il resto del mondo, dov’era molto di moda, proprio come oggi. Tra l’altro, i Bolscevichi erano assolutamente intolleranti delle opinioni diverse dalle loro.

Credo che questo ricordi in parte ciò a cui assistiamo oggi. Guardando ciò che accade in molti Paesi occidentali, siamo stupiti di vedere  in quelle nazioni comportamenti, che noi abbiamo, spero, fortunatamente abbandonato fino da tempi lontani. La lotta per l’eguaglianza e contro le discriminazioni si è convertita in un aggressive dogmatismo sconfinante nell’ assurdità: le opera dei grandi autori del passato  – come Shakespeare – non vengono più insegnate nelle scuole e nelle Università perché le loro idee si considerano retrograde. I classici sono dichiarati retrogradi e ignoranti sulle questioni di genere e di razza.

A Hollywood distribuiscono veline sulla correttezza richiesta nelle trame dei film e sul numero di personaggi di quale colore debbano esserci. Peggio del vecchio dipartimento ‘Agitprop’ del Comitato Centrale del PCUS”.

In definitiva,dopo i Trockisti, i Bogostroiteli, i Cosmisti e lo Zhdanovismo, la Russia ha pieno titolo ad ammonire gli Occidentali contro gli eccessi del post-umanesimo:“attenti a non andare là dove i Bolscevichi avevano solo tentato  di arrivare – socializzare non solo il pollame, ma  perfino le donne-. Ancora un passo, e voi ci sarete arrivati.

Gli zeloti di queste nuove tendenze arrivano a pretendere la pura e semplice abolizione di questi concetti: chiunque osi accennare all’esistenza effettiva di uomini e donne quale fatto biologico rischiano l’ostracismo”.

“Anche qui, nulla di nuovo: negli Anni 20, I cosiddetti Kulturtraeger sovietici avevano inventato un “newspeak” nella presunzione di creare una nuova coscienza, cambiando così i  valori. Come ho già detto, si creò una confusione tale, e ancora tremiamo al ricordo”.

Implicitamente, Putin ha messo il dito sulla piaga  delle attuali ideologie occidentali: quando in Russia prevaleva l’estremismo rivoluzionario comunista, i borghesi occidentali applaudivano; ora che la Russia, grazie alle sue tristi esperienze, è tornata a un saggio conservatorismo, l’Occidente l’aggredisce e la calunnia perché vuole ripetere le gesta dei primi Bolscevichi:

“Oggi, quando il mondo è nel vortice di una destrutturazione strutturale ,l’importanza di porre alla base della nostra linea politica un ragionevole conservatorismo è cresciuta in modo esponenziale proprio a causa del moltiplicarsi di rischi e pericoli, e della fragilità della fragilità della realtà che ci circonda.

Non si tratta di ottuso tradizionalismo, di paura delle novità o di una tattica banalizzatrice, né, infine, di rintanarci nel nostro guscio. Innanzitutto, confidiamo nelle nostre antiche e tradizioni; garantiamo la nostra crescita demografica; valutiamo obiettivamente noi stessi e gli altri; stabiliamo precise priorità;  confrontiamo necessità e possibilità; rifiutiamo radicalmente i metodi estremistici. A mio parere, un moderato conservatorismo è la linea di condotta più ragionevole nel periodo che ci attende, di ricostruzione del mondo, un  periodo  lungo e dagli sbocchi imprevedibili. Le cose cambieranno inevitabilmente prima o poi, ma, fino ad allora, il principio più razionale sembra essere ‘Noli Nocere’ (non nuocere), il principio-base della medicina.”

Se questa è la posizione tenuta nella seduta plenaria del Club Valdai, a margine del convegno Putin ha manifestato punti di vista più assertivi e impegnati, probabilmente riferiti alla “fine del periodo di ricostruzione del mondo”, là dove ha citato Ilyin, Berdiajev e, soprattutto, Dostojevskij, che, come noto, vedeva, nella Russia, la salvatrice dell’Europa

Dostojevskij, il maggiore assertore della “Russia salvatrice dell’ Europa”

8.Gl’insegnamenti per la Conferenza sul Futuro dell’ Europa

Nonostante la ricchezza dei contributi, questo numero di Limes è particolarmente deludente perché, a dispetto delle sue pretese di specialismo e di anticonformismo, non fornisce idee nuove.

Tuttavia, in una situazione di quietismo generalizzato, è comunque utile, in quanto fornisce un argomento in più a coloro che, come noi, vorrebbe “dare la sveglia” alle Autorità e alla società civile, facendo presente che, continuando di questo passo, non esisteremo proprio più.

A meno che l’obiettivo nascosto di tutti, con un abile gioco delle parti, non sia proprio questo: abituare gradualmente gli Europei a un ruolo sempre più marginale nella cultura, nella politica, nell’economia, fino a che gli Europei si adatteranno ad accettare lavori meno prestigiosi, ad avere meno figli, e, alla fine, ad essere sostituiti da immigrati da tutto il mondo, che faranno perdere definitivamente la memoria delle nostre tradizioni, in preparazione della completa meccanizzazione del mondo. Obiettivo che già traspariva sessant’anni fa nel boicottaggio sistematico delle imprese europee innovative, a partire dalla Olivetti, dall’ ENI, dal Concorde…, in modo da salvaguardare il ruolo di primadonna dell’ America (la “Fine della Storia” di Fukuyama, l’”America First” di Trump, l’”America is Back” di Biden). Idea che a mio avviso non è estranea alla linea politica di molti, a cominciare da Limes, che infatti conclude il volume con l’idea dell’insostituibilità degli Stati Uniti, e che talvolta sembra condivisa perfino da Putin, che (forse per colpa nostra), ci accomuna oramai agli aborriti  decadenti americani.

Nel caso di Torino questo risultato è già stato conseguito, con una diminuzione costante della popolazione (la “Fuga dal Piemonte”, Leonardo di Paco, La Stampa, 25 Novembre). Peccato che l’obiettivo sia stato centrato così bene, che perfino gl’immigrati se ne stanno già andando (in un anno, 300.000 uscite dall’ Italia). Dov’è finita la paura per l’arrivo degl’immigrati? Adesso,sono gl’immigrati che hanno paura di venire in Europa, e, soprattutto,a Torino.

Occorre impedire che la Conferenza sul Futuro dell’Europa venga utilizzata per sterilizzare il dibattito su quanto precede. Per questo è importante che le nostre proposte sul futuro dell’Europa – un futuro che ha da essere molto diverso dal deludente presente- facciano oggetto di un vero dibattito, alternativo alle messe in scena ufficiali, e forniscano outputs pluralistici accessibili a tutti e per la “Fase Costituente” che dovrebbe seguire.  

.

PASQUA DI RESURREZIONE

Wuhan festeggia la chiusura degli ospedali d’emergenza

Speriamo che questa Pasqua costituisca veramente una resurrezione di tutti, dalla pandemia, dalla crisi dell’Europa e della decadenza dell’Italia. Tuttavia, mentre a Wuhan si ricomincia a poter uscire, seppure con cautela, da noi siamo ancora nel pieno dell’epidemia. L’Europa, e in particolare l’Italia, totalizzano la maggior parte dei decessi, e probabilmente l’epidemia è ancora solo agl’inizi, non solo da noi.

Non ci può consolare il fatto che, in extremis, i Ministri delle Finanze avrebbero raggiunto un accordo, seppure “al ribasso”, su come finanziare l’indebitamento degli Stati Membri derivante dalla pandemia, e reso necessario per il suo superamento, perchè è certo che il mix di strumenti finanziari usciti dal compromesso sarà in grado forse  di risolvere i problemi del Coronavirus, ma non quelli di fronte ai quali ci trovavamo già prima: problemi strutturali dell’ intera Europa al cui superamento stiamo lavorando, preparando le novità librarie di quest’anno.

Stefano Folli scrive su “La Repubblica”:”Nella serata in cui l’Eurogruppo approda a un modesto compromesso, si può misurare quanto sia limitata la capacità dell’Italia di essere ascoltata sul piano internazionale. La battaglia per gli eurobond (o coronabond che dir si voglia) era già persa da giorni, ma si è voluto farne la bandiera di una sorta di sfida al resto dell’Unione che è finita in un nulla di fatto. In sostanza con un rinvio delle decisioni ai capi di Stato e di governo, ma su una base poco propizia alle posizioni italiane.”

Giustamente il primo ministro Conte ha deciso di non sottoscrivere l’accordo così com’è, perchè “qui ci vuole un’economia di guerra”. Ma occorre fare mente locale a che cos’è un’”economia di guerra”.

Riguardo la domanda aggregata, questo concetto è stato al “Keynesismo militare”, dove il budget di difesa di un Governo stabilizza il ciclo economico e le fluttuazioni, usato anche per la recessione. La guerra è spesso usata preventivamente contro il deterioramento di una situazione da crisi monetaria, in particolare espandendo servizi e impiego in ambito militare, e contemporaneamente depopolando segmenti della società liberando risorse e attuando un riordino sociale e economico.

E questo potrebbe essere il nostro caso. Dal lato dell’offerta, è dimostrato che in alcuni periodi bellici c’è una accelerazione del progresso tecnologico che rende forte la società al termine del conflitto. Questo è il caso degli USA nella prima e seconda guerra mondiale.

Rosie the Rivetter in corsia

  1. L’handicap dell’Europa rispetto ai concorrenti

Romano Prodi ha giustamente osservato che, per sbloccare la situazione, basterebbe che l’Europa facesse quello che stanno facendo Stati Uniti e Cina, vale a dire stampare molti più Euro (destinandoli evidentemente direttamente alle loro finalità economiche: pagare apparecchiature mediche, cassa integrazione, sussidi alle imprese), e la situazione sarebbe risolta. Invece, l’Europa questo non lo fa.

Perché? In Italia, tutti dicono che sono i Paesi del Nord che non vogliono perché ne hanno un interesse finanziario. Questa è soltanto una parte della verità. La realtà è che l’Unione Europea, qualora avesse veramente tanti Euro da spendere, non saprebbe che farsene, perché non è strutturata per svolgere azioni di carattere straordinario: piani di salvataggio, finanza anticiclica, Stato innovatore. Non ha sufficienti poteri dal punto di vista giuridico, ma soprattutto non ha un vertice forte, e nemmeno un numero sufficiente di funzionari. E soprattutto, da quando si è trasformata, da Comunità Europee (di cui mi vanto di essere stato un funzionario), in Unione Europea, aveva acquisito (essenzialmente dalla Inghilterra) un’ideologia anacronisticamente liberistica, che non tiene conto del fatto che oggi, in tutti gli Stati (e in primo luogo gli Stati Uniti), il settore pubblico, fra demanio, fiscalità, burocrazie, pensioni, difesa allargata, assistenza, sostegno all’industria, alla sanità e alla cultura, controlla più di metà del PIL, e, quindi, è alla razionale gestione di questo settore che si deve guardare per migliorare l’ economia.

L’Unione non è invece concepita per svolgere i compiti di un grande Stato del XXI° secolo, come l’America e la Cina, anche perché, secondo quell’ ideologia, tali compiti (ideazione, progettazione, difesa nell’ arena mondiale) non dovrebbe svolgerli proprio nessuno. E, invece, le grandi potenze nostre concorrenti li svolgono, eccome, in modo sempre più penetrante. D’altra parte, basti dire che il massimo del federalismo sembrerebbe ispirarsi al “Federalist” di Hamilton, scritto a fine Settecento per tredici colonie inglesi quasi spopolate e dove la maggior parte degli abitanti era composta da indiani senza diritti e schiavi africani. Le quali non avevano evidentemente un’industria digitale, un sistema sanitario nazionale, megalopoli da decine di milioni di abitanti…Eppure proprio Hamilton già allora era costretto a battersi (nei limiti allora pensabili) per più intervento pubblico nell’ economia, per un ruolo maggiore delle forze armate, ecc…

Dirò di più: l’Europa dovrebbe compiere queste azioni centralizzate e  dirette (l’economia di guerra, invocata da Macron, Conte e Johnson) in modo ancora più energico dei suoi concorrenti, per recuperare 70 anni di ritardo, nella politica culturale, nell’autonomia militare, nelle alte tecnologie, nei “campioni europei”…

Invece, l’Unione può al massimo aiutare gli Stati membri a migliorare le loro finanze(e questi ultimi debbono indebitarsi, seppure  con le garanzie europee) per svolgere i loro (modesti) compiti. Tanto con il MES quanto con il Coronabonds, siamo inoltre in una situazione anomala. Se il finanziamento è dell’Unione, allora dovrebbe essere l’Unione stessa a gestirlo (e magari a spenderlo), e non gli Stati membri, ricchi o poveri che siano. Non ha senso che tutti i finanziamenti europei si traducano in tal modo necessariamente in una licenza a indebitarsi sui “mercati internazionali”, che, né gli Stati Membri, né ‘Unione, tengono sotto controllo. A quel punto, come stupirsi dei “finanziamenti a pioggia”, che gli Stati membri distribuiscono districandosi a mala pena fra astratti regolamenti europei inapplicabili alla realtà concreta e pressioni delle lobbies corporative locali?

E’ poi da vedere se questo meccanismo sia veramente favorevole anche ai Paesi del Nord, che la “politica della lesina” condanna a essere in eterno dei “followers”, prima solo degli Stati Uniti, e, ora, anche della Cina. Glotz, Seitz e Suessmuth avevano condannato questa politica tedesca fino   dagli anni ottanta, definendo la classe dirigente del loro Paese  “die planlosen Eliten”(“élites senza progetto”). Secondo quegli autori, la Germania stava perdendo, già allora, il treno dell’avvenire, perché, attenta solo alla solidità del bilancio, disdegnava già allora le alte tecnologie.

E infatti, oggi più che mai è in crisi, con le grandi case automobilistiche in affanno per l’ecologia, i dazi e le multe americani, la concorrenza cinese; l’industria ferroviaria surclassata da quella cinese; le grandi banche sull’ orlo del fallimento…Quello  dell’ Unione quale disegnata a Maastricht, Amsterdam e Lisbona è comunque un meccanismo farraginoso, che mal si concilia con operazioni grandiose come  l’”helicopter money”, la War Production Law e la Via Sanitaria della Seta, da realizzarsi in tempi strettissimi come le vecchie Blitzktriege – operazioni indispensabili per sopravvivere in un mondo multipolare e altamente competitivo- .

S’impone una Costituzione Europea o almeno un nuovo patto fra gli Europei, che permetta di organizzare una vera “economia di guerra”.

I greco-romani:”kalòi k’agathòi”

2.L’Italia, nazione indispensabile

Queste considerazioni smorzano solamente, ma non eliminano, il giudizio su  Paesi , come l’ Olanda, e i loro governanti, che hanno alle porte le situazioni drammatiche dei loro vicini e  si permettono di sentenziare sull’uso (a loro avviso sbagliato), che i potenziali beneficiari farebbero dei fondi così ottenuti (ma  certo non grazie all’Olanda stessa, che, invece, è fra i principali cavalli di Troia che le multinazionali usano per sottrarre risorse all’ Europa). In fondo, l’Europa del Sud non ha chiesto al vertice europeo (come chiedono l’Hubei  alla  Cina e lo Stato di New York all’ Unione), del denaro contante, ma solo delle garanzie.

Non assocerei a questa critica la Germania, dove è in corso un serio dibattito sugli Eurobond. Anche l’ormai famigerato articolo della Welt, dove si parlava dei pericoli della mafia, va letto con attenzione, perché esso partiva da un dato di fatto obiettivo: da tre interviste, di Saviano, di Sala e di Gratteri, che concordemente allertavano su quel pericolo (già denunziato da Grillo al Parlamento Europeo).

Come ha scritto Marco Margrita,e riportato dal sito di Rinascimento Europeo, “ll Coronavirus può uccidere l’Europa, che senza l’Italia semplicemente non c’è”. L’Italia è infatti un elemento essenziale dell’Europa, non solo in senso geografico,ma  perché è stata sempre uno snodo fondamentale dell’Identità europea, fra Oriente, Grecia e Barbaricum. Anche il ruolo centrale della Roma dei Papi  e in generale del Sud cattolico dell’Europa, almeno in quanto modello storico, non può essere negato da alcuno, perché da esso traggono origine non soltanto l’Occidente moderno, ma anche l’ Islam (che si richiama al Cristianesimo antico); parzialmente, l’ “indigenismo” del Sud del mondo (attraverso De las Casas, Valera, De la Vega, le Reducciones e la “Teologia della Liberazione”); perfino il “socialismo con caratteristiche cinesi” (attraverso i missionari e  l’”ideologia Taiping”).Del resto lo stesso primo ministro polacco lo ribadisce insistentemente nel suo articolo di oggi su “La Repubblica”:

“La Polonia sarebbe stata diversa senza il patrimonio dell’ Italia, che così profondamente ha segnato la nostra arte e cultura. Il nostro inno nazionale sottolinea il ruolo eccezionale dell’Italia come luogo dal quale i polacchi hanno intrapreso la strada verso l’indipendenza…L’Europa è nata proprio qui, in Italia,. Cosa sarebbe stato il nostro continente senza il diritto romano, senza la guida spirtituale di Roma?Senza il genio di Michelangelo?Soltanto con la solidarietà possiamo superare, il quanto comunità, questo grande esame”.

In questo senso, in Europa è l’Italia la vera “nazione indispensabile” (come voleva il Gioberti nel suo “Primato morale e civile degl’Italiani”), quella che permette all’ Europa di “respirare con i suoi due polmoni” (come scriveva, a Roma, sua seconda patria e suo mito culturale, Viačeslav Ivanov- concetto ripreso poi da Giovanni Paolo II-). Quand’anche l’Europa si disgregasse ulteriormente, l’antico Impero Romano, l’Europa cattolica e mediterranea, non avrebbe difficoltà, sulla base di quel concetto,  a trovare forme di collegamento con il blocco centrale dell’Europa, che (anche geograficamente), non si trova lungo il Reno, bensì da qualche parte fra Kaliningrad e Istanbul (la Prima, Seconda e Terza Roma). I progetti politici e giuridici che hanno preceduto la costituzione delle Comunità Europee erano stati elaborati, oltre che in Italia (Spinelli e Galimberti), solo nell’ Europa danubiana (Coudenhove Kalergi), e i trattati istitutivi delle Comunità Europee si chiamano “Trattati di Roma” perché lì sono stati firmati. Infine, se non c’è stata solidarietà sul Coronavirus dall’ Europa Occidentale, questa è venuta, eccome, da Oriente (Russia, Turchia, Albania, Polonia, Repubblica Ceca). Si noti che, proprio in questi giorni, la Regione Piemonte, spazientita per non aver ricevuto il necessario aiuto dalle autorità nazionali, ha richiesto espressamente di essere supportata dalle unità antiepidemiche dell’ Esercito Russo sbarcate a Pratica di Mare e attualmente operanti in Lombardia e Toscana.

Non parliamo della grottesca e oltraggiosa bufala dei 100 miliardi per l’Europa promessi da Trump e mai partiti dall’ America, che adesso Trump sembrerebbe voler rimediare (anche se sempre più in ritardo).

Poi, del modesto e tardivo, ma almeno esistente, coordinamento europeo degli aiuti per il Coronavirus attraverso l’”Integrated Political Crisis Response” (IPCR), non parla proprio nessuno. Anzi, neanche dell’ IPCR, nessuno ha mai neppure sentito parlare. Anche perché, anche in questo caso,  nell’ Aprile 2020, un preteso “aiuto d’emergenza” è un poco fuori tempo massimo. Infatti, le difficoltà iniziali derivavano, da un lato, dall’ impreparazione da causa dell’inosservanza dei protocolli d’emergenza dell’OMS e della NATO, dall’ altra dall’ inesperienza specifica su questa nuova malattia, e, infine, dall’avere delocalizzato, gli Europei,  in  Cina tutta la produzione dei dispositivi di protezione. Oggi, tuttavia, i protocolli sono stati  finalmente  attivati (anzi aggiornati dall’ OMS), l’esperienza si è fatta sul campo, soprattutto in Asia, e, infine, si sono firmati grandiosi contratti con la Cina e si sono convertite in Europa diverse produzioni alla fabbricazione di dispositivi. Anche il preteso coordinamento arriva dunque, in un certo senso, ex post factum.

Il punto che l’lPCR dovrebbe diventare un qualcosa di ben più solido e corposo, diretto direttamente da Bruxelles, con propri funzionari semi-militarizzati.

Innanzitutto, l’Unione Europea farebbe meglio a concentrarsi su concreti aiuti alle popolazioni colpite e ahgli Stati Membri maggiormente danneggiati, astenendosi, almeno in un momento di grave difficoltà e di lutti per il mondo intero e per l’Unione in particolare, dall’affiancare al modesto aiuto astiose polemiche come quella di EvsDsinform, un gruppo di lavoro delle Istituzioni che, a spese dei cittadini,  attacca come “fake news” ( che naturalmente sarebbero fomentate da Russia, Cina, Turchia, Kossovo, Siria e perfino Daesh),delle tesi che sono diffusissime sulla stampa italiana, governativa ed europeista, come quella che gli Stati membri non si stanno aiutando abbastanza a vicenda, quella che la pandemia, se non padroneggiata, potrebbe disintegrare la UE, e quella che la UE si stia disinteressando dei Balcani Occidentali (visto che le domande di adesione sono state rese difficilissime). Insomma. L’EvsDsinform è, come dice il suo nome stesso, un tipico organo di “disinformacija europea”, una sorta di scimmiottamento delle tesi contenute nei tweet di Trump.

La Patrios politeia è l’ “antica costituzione europea”

3.Puntare tutto sull’ Identità Europea

Per quanto io creda in generale poco  in generale alle retoriche della solidarietà ostentate dai politici, che ricordano da vicino quella degli Scribi e dei Farisei, certo, questa l’assenza di solidarietà da parte dell’Europa Nord-Occidentale in un frangente così essenziale per la sopravvivenza stessa del popolo europeo è schiacciante, perché è il sintomo, gravissimo e inaccettabile, di una malattia ben più profonda: l’abbandono dell’identità europea, che porta implicitamente con sé la mancanza di sentimenti e, in generale, perfino del’ “élan vital”, della volontà di sopravvivenza. Non per nulla l’Europa nel suo complesso è il “ventre molle” senescente del mondo; non per nulla anche quello in cui si sta concentrando la maggior parte dei casi di Coronavirus.

L’identità europea era fortissima nelle società elitarie del Medioevo, del Rinascimento e dell’Illuminismo, animate da una cultura e un ethos comuni, volti all’ eccellenza (lo spirito cavalleresco, il culto dell’ ingegno, dell’ “homme d’esprit”); aveva incominciato a incrinarsi nell’ Ottocento con il dispiegarsi di ideologie, da un lato, nazionaliste, e, dall’ altro, universalistico-messianiche (due facce della stessa medaglia); infine, è stata costretta alla  difensiva all’ interno dell’impero mondiale ideocratico e spersonalizzato dominato dal Complesso Informatico-Militare.

Se ciò che guida l’ Europa sono degli Stati “nazionali” burocratizzati,  ridotti a reparti distaccati dell’ “Apparato” mondiale,  i quali possono continuare a funzionare solo soddisfacendo alla meno peggio le insaziabili esigenze materiali di sopravvivenza dei loro amministrati, allora è normale che non si senta nessuna particolare solidarietà per i propri vicini, anch’essi semplici pedine della megamacchina mondiale, e che s’imponga la forma più gretta di “sacro egoismo”, con diatribe interminabili su trucchi contabili da riunione di condominio.

Il nostro impegno per l’Identità Europea non è retorico, ma reale. In previsione del prossimo Salone del Libro (se e quando ci sarà), l’Associazione Culturale Diàlexis ripubblicherà e diffonderà anche come e.book il primo volume di “1.000 anni d’identità europea”, “Pàtrios Politèia”.

L’obiettivo è il ritorno a un’Europa dell’eccellenza, fondata sulla cultura “alta”, che riconosce, da un lato, la generale solidarietà umana come un dato ancestrale comune a tutti i popoli, radicata nell’inconscio collettivo e coltivata dalle tradizioni religiose e umanistiche, e, dall’ altra, un vincolo speciale fra etnie, come quelle mediterranee, gallo-romane, germaniche e balto-slave, che sono legate fra loro da più di 2000 anni di storia comune (una “comunità di destino” quant’altre mai).

Se, com’ è accaduto con l’Inghilterra, alcuni popoli del Nord-Ovest dell’Europa preferissero, assurdamente, isolarsi dalle loro stesse radici culturali e storiche arroccandosi su un preteso ed effimero benessere, ci saranno altri popoli che raccoglieranno la bandiera dell’Europa e rappresenteranno l’Europa nel mondo.

 

Marco Polo in divisa da guerriero tartaro

4.La Conferenza sul Futuro dell’ Europa

Ciò che manca drammaticamente è una classe dirigente all’altezza del compito. Purtroppo, nel mondo contemporaneo, livellato e materialista, solo i grandi Stati burocratici e alcune grandi organizzazioni viventi in simbiosi con essi generano le condizioni per la nascita di nuove idee. Solo essi hanno i mezzi, ideologici, organizzativi e finanziari, per sostenere nuove ideologie, perfino nuove rivoluzioni “dall’ alto”, attraverso le istituzioni accademiche e scolastiche, il finanziamento alla cultura, il circolo chiuso fra Stato e partiti e fra Stato ed economia, e perfino attraverso le “covert operations” all’estero. Eppure qualche volta si è riusciti a by-passarli, come nel caso dell’ India di Gandhi.

Purtroppo, cent’anni dopo, nessuno può più permettersi, materialmente, di dedicare la propria vita a criticare l’esistente, senza qualche potere forte che lo sostenga. Perciò è così difficile creare una forza politica e sociale che aspiri a creare uno Stato nuovo: l’Europa, in concorrenza con quelli già esistenti.

Orbene, questo miracolo potrebbe forse avvenire, nonostante le pessimistiche previsioni di Spinelli, attraverso la Conferenza sul Futuro dell’Europa indetta dalle Istituzioni subito prima del Coronavirus, e che potrebbe ora coincidere con un momento di radicale ripensamento del sistema culturale e sociale nel quale siamo vissuti.

Vi è, almeno concettualmente, una tensione enorme fra i cambiamenti che dovrebbero essere fatti e ciò che la cultura dominante è disponibile a concedere. Per questo si tenterà in tutti i modi d’impedire che le esigenze reali dell’Europa possano emergere.  Così, la Conferenza rischia veramente di rivelarsi un boomerang, dimostrando più che mai che gli attuali meccanismi non sono in grado di rappresentare le esigenze dei cittadini.

Del resto, il federalismo moderno era nato proprio con l’obiettivo di quadrare il cerchio: rispondendo allo “Esprit des Lois” di Montesquieu, inventare un modo di conciliare la rappresentanza popolare, tipica delle antiche città-Stato, con le esigenze di decisionismo degli Stati moderni di grandi dimensioni.

Tuttavia,  alcuni importanti esperimenti federalistici, come  URSS e Jugoslavia, hanno portato a delle catastrofi, altri , come quello degli  Stati Uniti, non hanno dato buone prove di funzionamento federale. Tocca ora all’ Europa tentare di superare l’esame. Ricordiamoci ch’è sempre richiamandosi a Montesquieu che Caterina II, nella premessa alle Istruzioni alla riformatrice Commissione Legislativa, aveva scritto che l’impero russo, per le sue dimensioni, non poteva essere governato con un un sistema rappresentativo. Ora, l’Imero Russo aveva una popolazione ben inferiore a quella dell’Unione Europea.

Sta a noi evitare, con proposte radicali e una lotta accanita, che anche quest’ esame si concluda con una bocciatura.

Vorrei perciò concludere con una nota positiva tratta dall’ articolo di Morawiecki:

“Nella nostra tradizione cristiana la Pasqua è il tempo della speranza, quando Gesù Cristo, dopo la crudele Via Crucis, sconfisse la morte. Vi possiamo vedere il riflesso del destino del nostro continente, colpito da un’epidemia devastante. Siamo in grado di sconfiggere la pandemia del Coronavirus. Con la solidarietà. Si vince tuttavia solo passando all’ ofdfensiva. E’ il tempo dell’ offensiva europea.Per l’ Italia. Per l’intera Europa”

Il Mazurka Dabrowskiego fu composta

a Reggio Emilia dai legionari polacchi

INCALZARE LE AUTORITA’ NEOELETTE: RISPOSTA A LUCIO LEVI

 

Dopo un’estenuante (e mai finita) campagna elettorale, oggi in Europa il tema del giorno per i media resta purtroppo quello dei rapporti di forza fra i partiti – fra i grandi gruppi europei a Strasburgo e a Bruxelles, fra Lega e 5 stelle a Roma, fra CDU e SPD in Germania, fra conservatori e Brexit Party in Inghilterra, fra gollisti e macroniani in Francia-. Invece, delle cose che veramente contano, come le discussioni al G20 sul digitale, degli sviluppi sempre più catastrofici delle guerre commerciali di Trump, e degli aspetti irrazionali della teoria economica che sta alla base dei cosiddetti “vincoli europei”, e, infine, delle concrete operazioni finanziarie, industriali e/o commerciali che riguardano i nostri territori, quasi non si parla.

 

Perciò, molto opportuno mi pare il commento di Lucio Levi nel suo articolo, “I partiti europeisti prevalgono nelle elezioni europee”, che invita a una visione d’insieme della situazione post-elettorale, che si elevi a un livello più alto, e che riguarda proprio la necessità di un pacchetto d’interventi in relazione alla nuova legislatura del Parlamento Europeo. E, aggiungerei io, di quella della Regione Piemonte.

L’Europa è una  buona quarta nella competizione internazionale

1.Basta con un “approccio ordinario” (vale a dire novecentesco)

 

Giustamente quindi scrive  Levi: “Il fatto è che i partiti tradizionali hanno adottato provvedimenti ordinari, mentre la rivoluzione scientifica della produzione materiale, la crisi economica e ambientale e le crescenti tensioni internazionali, dovute al ritorno del protezionismo e della corsa agli armamenti, richiedono misure straordinarie”.

 

Questo è certamente il punto: i partiti tradizionali, nati, chi nel 18°, chi nel 19°, chi nel 20° secolo, non comprendono (o fanno finta di non comprendere) il 21°, e quindi continuano ad adottare provvedimenti non solo “ordinari”, bensì semplicemente vecchi di almeno 100 anni, i quali, appunto per questo, non solo non risolvono i problemi o addirittura li aggravano, ma si prestano anche a nascondere le inquietanti realtà dei nostri giorni:

 

I liberali erano nati per difendere l’aristocrazia dai sovrani illuminati (la Fronda,la “Glorious Revolution”), ma avevano già avuto difficoltà a difendere la borghesia contro lo statalismo giacobino, e, poi , la libertà tout court contro la tirannide dalla maggioranza sotto le democrazie. Oggi, non sono in grado neanche d’immaginare come fare a sgominare la società del controllo totale. Le leggi sulla “privacy” sono infatti pannicelli caldi.

 

I nazionalisti erano nati per affermare il Terzo Stato contro lo stato patrimoniale”(Sieyès dei monarchi); hanno fatto difficoltà a difendere “il popolo” contro gl’imperi, e “le nazioni” contro l’occupazione straniera. Oggi, non riescono a comprendere che l’indipendenza della “patria” va difesa contro l’unico apparato informatico-militare che ha pretese mondiali. Il “sovranismo” degli Stati Membri è una carnevalata, smascherata dall’ adesione al “Movement” di Bannon.

 

I socialisti erano nati per affermare le esigenze dell’organizzazione sociale contro quelli dell’atomismo asociale (Saint-Simon, Owen, Fourier).  Avevano già difficoltà a riconciliarsi, tanto con lo spirito ottocentesco della libertà, quanto con la necessità, emersa nel Novecento, delle “vie nazionali al socialismo”. Oggi non capiscono lo sfuggente “socialismo con caratteristiche cinesi”, che è il vero modello di successo del XXI secolo. Negano addirittura che in fondo la sfida ideologica è stata vinta dal socialismo, con lo Stato cinese che impone l’agenda dello sviluppo economico mondiale e con le altre Grandi Potenze con l’ARPA americana, le grandi holding russe e i fondi sovrani arabi ed anche europei, che seguono a ruota.

 

Si potrebbe continuare così con democristiani, comunisti, neofascisti e verdi, ma non è questa la sede più appropriata.

Huawei vittima del protezionismo

2.Il “ritorno del protezionismo”

Unico barlume di attenzione per l’attualità, l’appello di Di Maio a “trattare con Trump sui dazi” automobilistici, anche se, significativamente, il ministro non ha detto, né come, né perchè. Appello seguito, seppur tardivamente, dall’ incontro fra le Autorità piemontesi e il responsabile dell’EMEA (area Europa, Medio Oriente e Africa) del gruppo FCA -accettando con ciò però implicitamente che, mentre, per Francia (e forse America), le trattative si svolgono al vertice, per noi hanno luogo al “piano di servizio”-

 

Questo vuoto si comprende benissimo in considerazione di tre fatti fondamentali: (a) l’Italia non ha (più?) propri costruttori nazionali, e anche  ben pochi componentisti indipendenti, tant’ è vero che il Governo si disinteressa sostanzialmente delle sorti del Gruppo FCA, che è essenzialmente americano (66% del fatturato realizzato negli Stati Uniti);(b)ben poche fra le automobili fabbricate in Italia sono esportate negli Stati Uniti, dove Chrysler aveva già le proprie fabbriche; il grosso delle automobili, ma soprattutto dei componenti esportati dall’ Italia, viene esportato nella UE, dove il problema dei dazi non si pone; (c)l’Italia non ha più competenza giuridica in materia di dazi doganali, che fanno parte della politica commerciale comune dell’ Unione Europea. Quindi, la crisi dell’industria italiana, e soprattutto dell’ industria “veicolistica” del Piemonte (-22%!) passa innanzitutto attraverso la riduzione dei mercato tedesco e, indirettamente, cinese (visto che la maggior parte delle auto delle case tedesche viene venduta, e per lo più anche fabbricata, in Cina).

Per ciò che riguarda l’ Italia in generale, si tratta solo di una mancata crescita, tuttavia grave perché,almeno a partire dal 2010, l’unico fattore economico che sia cresciuto per il nostro Paese è stato l’export (secondo SACE +6,4% fino al 2017), mentre tutti gli altri contributori del PIL, ovvero consumi, investimenti pubblici e privati, hanno registrato un netto segno meno. Perciò, tradotto in numeri, l’impatto della guerra commerciale sull’export italiano nel 2020 sarebbe dello 0,6% in meno; dell’1,1% in calo per le vendite verso gli Usa e di -1% per quelle verso la Germania.E pensare che l’Italia non è stata colpita direttamente, perché i dazi attualmente in vigore hanno rilevanza solo marginale per il nostro Paese, ma le imprese USA che fanno produzione all’estero (come la FCA) vengono colpite direttamente e indirettamente dai dazi di ritorsione (oltre che dalle controsanzioni russe, dalle sanzioni iraniane e dalla crisi provocata deliberatamente in Turchia).

 

Un altro aspetto da non sottovalutare è che già dal 2015 si era ridotto il tasso di crescita delle esportazioni, reali mentre ha continuato ad aumentare il tasso di crescita degli scambi digitali. Con la conseguenza che si è creata una divaricazione tra economie basate sui prodotti digitali e produttori di mezzi reali: la perdita è stata pesante per i Paesi europei che hanno proprie industrie digitali (cfr. punto 4 infra).

Infine, l’ Italia è nella lista dei Paesi che hanno un surlpus commerciale con gli USA e che quindi, secondo la “dottrina Trump”, dovrebbero essere direttamente penalizzati.

Nonostante tutto quanto sopra, gli sforzi dell’Ue per frenare il declino economico in questi anni sono stati rivolti invece a politiche interne dei Paesi (parametri di Maastricht) piuttosto che al valore complessivo di PIL che possiamo esprimere (fra cui l’industria digitale)(cfr. Cassese)

Il dibattito sullo “sforamento del 3% del rapporto fra debito e PIL sta portando taluni (come Cassese), a chiedersi la ragion d’essere e la sensatezza delle politiche europee di bilancio all’insegna della “stabilizzazione”. Perché mai l’economia dovrebbe essere “stabile”? Ammettiamolo pure che questo possa essere utile dal punto di vista dei ceti e delle nazioni più avvantaggiate, ma, tradizionalmente, per gli svantaggiati, l’optimum sarebbe che l’economia subisse profondi stravolgimenti, sperando così di risalire la china nella quale si è precipitati.

Quindi, “negoziare con Trump”, o meglio, affrontare il nodo dei rapporti con l’America, è la vera questione prioritaria della politica europea. Invece, attualmente le discussioni con gli USA si fanno alla spicciolata e alla chetichella, sperando di non “svegliare il can che dorme”.

 

I comandi delle Forze Armate americane sono come le province romane

3.Le “crescenti tensioni internazionali”.

Sembra  assurdo che gli Europei si preoccupino tanto della “stabilità”, che in pratica significa ingessare una situazione di subordinazione come quella attuale, in cui il nostro Continente  non ha accesso alle risorse-chiave, come una moneta di riserva e il controllo del Web. Come sembra assurdo ripetere fino alla nausea che siamo un Continente ricchissimo, mentre la realtà è che siamo in costante decadenza, non controlliamo le risorse essenziali e fra qualche anno non esisteremo praticamente più.

Intanto, non si capisce perché la BCE debba essere priva della possibilità di fare una sua politica monetaria come fanno la FED e la Bank of China. Come conseguenza, oggi l’iniziativa per l’aumento o la diminuzione dei tassi o per la svalutazione o la rivalutazione dell’Euro la prendono in pratica la FED e la Bank of China. Tra l’altro, l’assurda teoria che la BCE non deve poter svalutare l’Euro è contraddetta dal fatto che l’Euro si è svalutato pesantemente (30% circa) nei confronti dello Yuan. Quindi, l’Euro non deve svalutarsi rispetto al dollaro, ma, se si svaluta verso lo Yuan, tutti sono ben felici (salvo poi stracciarsi i capelli perché i Cinesi corrono a comprare le nostre aziende). Se la svalutazione dell’Euro (che c’è già stata) non è poi quella grande jattura, perché mai si dovrebbe imporre l’equilibrio di bilancio? Solo perché, se ciascuno potesse fare i bilanci come gli pare, qualcuno potrebbe “fare il furbo”, indebitandosi “a spese degli altri”? Ma neanche questo è totalmente vero, perché chi si indebita troppo subisce comunque lo “spread”.

E, anche ammettendo che l’attuale ingessata disciplina europea di bilancio abbia un senso, è comunque l’orientamento di politica economica sottostante al “fiscal compact” ad essere insensato. Quest’orientamento parte dall’idea che l’allocazione delle risorse  fra i vari Paesi sia un dato immutabile, e che l’unico intervento dei governi possa consistere nell’ottimizzare l’output con delle politiche monetarie o con degli efficientamenti. Invece, tutta la storia economica è lì per dimostrare il contrario. La struttura economica degli Stati Uniti è stata modificata più volte con azioni di forza da parte del Governo Federale:-con la guerra d’indipendenza, per appropriarsi dei territori indiani e mantenere la schiavitù, vietata invece in  Inghilterra;-con l’acquisto della Luisiana da Napoleone per 10.000 dollari;-con la conquista armata di metà del Messico;-con la Tennessee Valley Authority;-con le spese di guerra che hanno raddoppiato il PIL americano fra il 1941 e il 1945;-con il Piano Marshall; -con la NASA e l’ARPA, che, con la scusa del “duale”, hanno letteralmente inventato tutte le industrie di alta tecnologia; ultimamente, -con i dazi di Trump, che stanno dirottando tutte le filiere produttive mondiali. Non parliamo poi di ciò che ha fatto e sta facendo la Cina, prima con le nazionalizzazioni e poi, le privatizzazioni, le Zone Economiche Speciali, la Nuova Via della Seta…

Noi Europei, nel frattempo, non solo non stiamo facendo assolutamente nulla (anche se ne avremmo il massimo bisogno), non solo di politica industriale, ma, in generale, di politica economica, ma addirittura ci vietiamo di fare qualunque cosa in questi campi(programmazione, campioni nazionali, imprese pubbliche, svalutazioni competitive, “keynesismo militare”….). Quanto poi all’Italia, i dati (anche della disoccupazione e dell’emigrazione) ci stanno riportando praticamente al 1911, quando Giovanni Pascoli , nel “Discorso di Barga” aveva parlato della “Grande Proletaria”, costretta alle guerre espansionistiche per ovviare alla disoccupazione e all’emigrazione. E in questa situazione non dovremmo cercare di alterare questa struttura dell’economia reale, imitando almeno in parte quanto già fatto dall’ America e dalla Cina?

L’aspetto più grottesco di questa situazione è che, secondo la teoria alla base dei “vincoli di bilancio” assunta come un dogma dalla Commissione, la “disoccupazione strutturale” dell’Italia dovrebbe aggirarsi intorno al 10% (quindi, restare quella che è), e l’unico modo per ridurla (per esempio al 4%, come in Germania), sarebbe costituito da una sorta di “spending review”. Ma allora, il “diritto al lavoro”, sancito fin dal 1920 dalla Carta del Carnaro di Fiume e ribadita dalla Carta Europea dei Diritti dei Lavoratori di Torino del 1961 deve rimanere, dopo un secolo, una vuota promessa?

Ma perché mai ci dovrebbe essere una disoccupazione strutturale? Come se non mancassero attività socialmente utili (e anzi indispensabili per l’economia), che in realtà non si fanno, come per esempio un’ intelligence politica ed economica europea, gli studi sociali ed economici a lungo termine, la programmazione economica, le imprese di alta tecnologia, l’educazione permanente, la protezione del territorio, la promozione internazionale del turismo…Ammettiamo pure (ma bisognerebbe ancora dimostrarlo) che certe (moltissime) attività non si possano fare oggi in Europa  a condizioni di mercato- (i “fallimenti del mercato”) ebbene,  si possono comunque effettuare con l’intervento pubblico (per esempio, con l’EFSI o la Cassa Depositi e Prestiti), creando nuove imprese pubbliche, oppure, con il volontariato, con il servizio civile o con la militarizzazione di certe attività, come la ricerca o le comunicazioni…-

Dirò di più: senza quelle nuove attività, che costituirebbero  per l’Europa dei veri e propri nuovi segmenti di offerta, non vi è alcuna possibilità di creare nuovi posti di lavoro “veri”, cioè posti di lavoro che generino nuovi flussi positivi di profitti e di reddito ed elevino il livello sociale e culturale degli Europei rispetto alla media mondiale. Quindi, non spendiamo soldi in assistenzialismo, bensì spendiamoli per organizzare, possibilmente a costi minimi, tutte quelle attività. D’altronde, a che cosa dovrebbero servire i fondi strutturali, la BEI, l’EFSI e i fondi sovrani degli stati Membri e delle autorità locali?

L’Europa non dovrebbe vietare agli Stati membri di fare tutte quelle cose, bensì farle essa stessa, o almeno imporre agli Stati membri di farle, premiando chi le fa e penalizzando chi non le fa (i “vincoli europei invertiti”).

Di converso, non si comprende come il reddito minimo o la flat tax possano ovviare alla mancanza di imprese nazionali nei settori di punta. Nell’ attuale situazione, anziché all’ “espansione dell’0 economia”, esse porteranno solo alla sopravvivenza per qualche mese di imprese decotte e al fallimento delle poche che ancora stanno in piedi.

Tutti i mari del mondo sono testimoni di confronti fra le marine

4.La “corsa agli armamenti”

 

L’unica spiegazione di questa paralisi delle politiche economiche europee è che, in una situazione, come dicono i Cinesi, di “guerra senza limiti”, una vera politica economica fa parte di un’onnicomprensiva politica estera e di difesa comune, che è interdetta agli Europei dalla situazione internazionale.

 

Ancora la scorsa settimana,  è stato pubblicato su “la Repubblica” un articolo di Luca Caracciolo, con cui il noto giornalista insisteva su un tema sviluppato ampiamente nell’ultimo numero di Limes, secondo cui l’Europa dovrebbe compiere una scelta drastica fra gli Stati Uniti e la Cina (gli unici Stati che secondo l’articolista possano fare oggi una politica internazionale). Ora, per quanto ciò possa sembrare fantascientifico, la scelta attuale della maggioranza degli Stati Membri, e, in seguito (9 maggio) a quella, anche della Commissione uscente, è stata quella di aderire alla Via della Seta. Se togliessimo, dalla Politica Estera e di Difesa dell’Unione Europea, questa che potremmo chiamare  “politica dei due forni” fra USA e Cina, non ci resterebbe più nessuna politica estera e di difesa. Tanto varrebbe che, nei rapporti internazionali, ci facessimo rappresentare dal Segretario Generale della NATO. Ma c’è di più. Seppur eliminando, in tal modo, la Politica Estera e di Difesa dell’Unione Europea, anche la politica estera e di difesa degli Stati Membri consiste attualmente in un barcamenarsi fra gli Stati Uniti, la Russia, la Cina, Israele e i Paesi Arabi. Anche qui, se si eliminasse la possibilità di questi giochi, tanto varrebbe eliminare i Ministri degli Esteri e della Difesa. Però, a quel punto, non resterebbe che brigare per essere annessi tutti dagli Stati Uniti. Essendo noi 500 milioni, e loro solo 300, conteremmo certamente di più di adesso.

 

Quindi, il nodo gordiano della politica estera e di difesa resta l’autonomia dagli Stati Uniti o almeno il ribaltamento delle posizioni di forza, un nodo che, per altro, né i “sovranisti”, né gli “Europeisti” sembrano voler risolvere.

 

Neppure il voto a maggioranza sulle questioni di politica estera non scioglierebbe questo nodo, perché la politica estera e di difesa non è fatta in nessun Paese dal Parlamento, bensì, ovunque, dal Capo dello Stato o del Governo attraverso la diplomazia, le Forze Armate e soprattutto i servizi segreti. Un giorno, viene arrestata in Canada la figlia del presidente di Huawei, un altro,  viene revocata dall’ Ecuador la protezione diplomatica ad Assange, un terzo, un convoglio americano attraversa il Mar della Cina, il quarto, l’ India bombarda il Pakistan, il quinto  c’è una manifestazione a Hong-Kong contro l’estradizione nei “quartieri” confinanti del “PRD”, il sesto si svela il passato di Angela Merkel nella STASI, il settimo Trump revoca i dazi contro il Messico, ecc…Tutto questo viene coordinato minuto per minuto direttamente da Trump, Xi Jinping, Putin e Modi. Né in America, né in Cina, né in India, si vota su alcuno di questi argomenti (né, materialmente, si potrà mai farlo, perché sono cose che accadono nell’ immediato e lontano dal potere legislativo).

L’Europa non avrebbe quindi bisogno di una nuova procedura di voto sulla politica estera e di difesa, bensì di un Alto Rappresentante che fosse veramente il Comandante in Capo di tutte quelle attività militari “non tradizionali” che oggi le Grandi Potenze stanno facendo e che gli Stati membri della invece UE non stanno facendo. Ma per poter fare questo, egli (ella) dovrebbe essere in grado d’incarnare idealmente gl’interessi vitali dell’Europa, così come il maggiore Petrov incarnava, quella notte del 1983, gl’interessi reali dei popoli dell’URSS (anche contro il PCUS e il Soviet Supremo). Non basterebbe, per questo, che fosse eletto: occorrerebbe che vi fossero a monte una cultura strategica e un ethos militare comuni.

 

Consideriamo ora anche quanto scritto sempre nell’editoriale del numero 4/2019 di Limes:”Nella riunione segreta del 3 aprile 1949 con i ministri degli Esteri dei paesi che il giorno dopo avrebbero firmato il Patto Atlantico, discettando della bomba Truman avrebbe lasciato cadere un caveat sulla necessità di doverla eventualmente usare contro i nostri alleati dell’ Europa occidentale quando fossero occupati.”Anche questo, è mai stato votato? Per quanto riguarda l’Italia, il Generale Mini ha dichiarato in un’intervista che, in una manovra NATO a cui aveva partecipato , si era simulato appunto  il bombardamento atomico, da parte della NATO, di Udine occupata dal Patto di Varsavia, un bombardamento che avrebbe provocato deliberatamente 300.000 morti. Gli Europei accettano ancora questi principi? E, se no, sono disposti a fare a meno dell’ombrello americano? Sono disposti a costruirsene uno totalmente europeo, e contro chi lo userebbero, visto che noi e i Russi siamo strettamente interconnessi, per esempio nel Baltico e lungo il Mar Nero?

Ma, soprattutto, alcune domande a monte: ha senso per l’Europa una politica estera che si basi sulla minaccia reciproca, con i nostri vicini più prossimi, di un auto-annientamento sulla falsariga dei kamikaze di al Qaida  e dell’ ISIS moltiplicato per centinaia di migliaia di vite? Non esistono alternative culturali, politiche e anche militari-tecnologiche totalmente alternative?

E, infine, quale alto ufficiale europeo potrebbe assumersi simili responsabilità?

 

L’Africa resta arretrata, ma si sta avvicinando all’ Europa

5.Ripensare “la politica per lo sviluppo dell’ Africa”

Parliamo poi anche dell’ Africa. Scrive Levi:” l’UE dovrebbe promuovere un piano di sviluppo con l’Unione africana che miri a gestire la migrazione nel lungo periodo attraverso investimenti per progetti infrastrutturali”. In realtà ,questo piano esiste, ed è già stato attuato, da ben 50 anni, precisamente per ”aiutare gli Africani a casa loro”, come si dice oggi, tant’è vero che il PIL dell’Africa sta crescendo del 3,7%, mentre quello dell’ UE cresce appena del 2,4%.

Gli accordi di Yaoundé, di Lomé e di Cotonou trattano, fin dal 1963:

-delle migrazioni (art. 13)” each ACP or EU State shall accept the return of and readmit any of its nationals who are illegally present on the territory of a EU or ACP State , at that State’s request and without further formalities. The Agreement also includes a provision establishing non-discriminatory treatment of legally employed workers from ACP countries in EU Member States or of workers from the EU in ACP countries”.

-dell’assistenza finanziaria:The overall amount of EU financial assistance for the first five years of the Agreement (2003-2008) is €13 500 million. An additional €2 500 million from previous European Development Funds (EDF) is available, bringing the total to €16 000 million. Loans worth €1 700 million from the European Investment Bank are also available. Under the European Development Fund, €10 000 million in grants is earmarked for supporting long term development. The Investment Facility aims to help businesses in ACP countries by supporting sound private companies, privatisation, providing long term finance and risk capital, and strengthening local banks and capital markets. It will receive €2 200 million to be managed by the European Investment Bank, with €1 300 million for regional cooperation. It has been agreed that the ACP will define the regions eligible for support”.

I fatti dimostrano che il risultato dichiarato è stato raggiunto, perchè l’economia africana ha oramai prospettive migliori di quella europea. Anzi, il fatto stesso che gli Africani riescano ad emigrare dimostra che il denaro circola in Africa, visto che ogni emigrazione, specie se clandestina, costa qualche migliaio di Euro.

Già nel 1981, avevo scritto a Lussemburgo un libro su questo argomento (“Les procédures de la coopération financière et techniques dans le cadre del II Convention de Lomé”). Avevo anche  “ girato come una trottola”, da Algeri a Tunisi, da Niamey a Abidjan, da  Lomé a Lagos, da Douala a Johannesburg, da Mbabane a Nairobi, a visitare mattatoi, magazzini, concerie, fabbriche di pelletterie, banche di sviluppo, ministeri, società di consulenza, organizzazioni internazionali,  parlamenti, per costruire laggiù delle “industries adaptées” favorevoli allo sviluppo. Perché allora continuiamo a  comportarci come se per cinquant’anni non si fosse fatto nulla? E, di converso, è poi un risultato così positivo il fatto che il PIL dell’Africa cresca molto più di quello italiano? Non saremmo ora noi a dover essere aiutati? Ricordo a questo proposito che la Cassa per il Mezzogiorno (Svimez) e i Fondi Strutturali Europei erano nati proprio per aiutare le regioni svantaggiate dell’Italia e, rispettivamente, dell’Europa, ma non sembra che abbiamo ottenuto grandi risultati, se si guarda, per esempio, alla Grecia o all’ILVA. Oggi, comunque, non funzionano più, almeno per ciò che riguarda l’Italia.

Infine, la politica per l’Africa la si sta studiando insieme alla Cina, la quale, non solo la sta attuando in modo ben più energico di noi, ma ha anche una cultura manageriale più consona alle enormi problematiche dei Paesi in via di Sviluppo.

“Odissea nello spazio” resta la migliore metafora del XXI secolo

6.La “rivoluzione scientifica della produzione materiale”              

Nel corso delle riunioni del G20 in Giappone, si è parlato parecchio, appunto, di nuova economia, sotto due importanti punti di vista. Da un lato, si è manifestato un certo consenso sul fatto che occorrano accordi internazionali per  tassare in modo corretto il commercio digitale transfrontaliero, che oggi sfugge a una tassazione secondo il principio generale del diritto fiscale internazionale, quello dell’imposizione nel Paese dove il reddito è prodotto; dall’ altro, si è preso posizione a favore delle direttive OSCE per un’Intelligenza Digitale sostenibile.

Mentre non si può che plaudire al fatto che si stia affermando un consenso circa la necessità di accordi internazionali in materia, resta da dire i documenti delle organizzazioni internazionali non sono altro che stinte descrizioni delle prassi attuali, senz’alcuna capacità (né intenzione) d’incidere seriamente, né sull’utilizzo dei dati come strumento di dominio delle grandi potenze sul resto del mondo, né sulla macchinizzazione delle società, con la conseguente perdita dei valori umanistici e l’instaurazione di una tirannide degli algoritmi.

Questo fatto conferma l’egemonia, nelle attività legislative internazionali, delle lobby tecnocratiche, che concepiscono la cooperazione internazionale come un ulteriore canale per l’affermazione di un tipo di uomo privo di volontà, perfetto schiavo delle grandi organizzazioni digitali (siano esse pubbliche o private).

Invece, se l’Europa vuole tenere fede alla propria “immagine di marca” di roccaforte delle libertà e della cultura, deve costruire, in ambo i settori, una cultura radicalmente diversa, fondata sulla prevalenza dell’umano, e farla divenire la sua arma di battaglia nei consessi internazionali (come quello, appunto, di Tsukuba). Anzi, questa battaglia dovrebbe divenire, dal mio punto di vista, la ragion d’essere stessa di uno Stato europeo, che su di essa e per essa dovrebbe essere modellato. Non più sulle logiche di una società prevalentemente agricola, come lo sono stati tutti gli Stati attualmente esistenti, specie in Europa, bensì su una società post-moderna dematerializzata e integrata a livello mondiale.

Per ottenere questo risultato, è fuori luogo scervellarsi per definire in astratto un’identità europea distinta, da un lato da quella delle singole Nazioni, religioni e regioni dell’Europa, e, dall’ altra, da quella dell’Occidente, e, in particolare, dell’America. L’identità europea è quella già ben definita da ben 2500 anni da Ippocrate e da Erodoto, come quella degli “autonomoi”, contrapposti all’ impero universale del Re di Persia, e ridefinita da Machiavelli come “qualche regno e infinite repubbliche”, così come anche quelle della Cina e dell’ India sono quelle definite dalle rispettive filosofie del 1° millennio a.C.. Oggi, quei “qualche regno e infinite repubbliche” dove vivono gli “autonomoi” non devono inventarsi nulla di nuovo: devono semplicemente continuare la lotta che fu di Leonida contro Serse, solo che, questa volta, non è la guerra contro un esercito in carne ed ossa, bensì quella contro l’”esercito” dei logaritmi, che vuole ridurre i nostri regni e le nostre repubbliche a un unico impero digitale.

La battaglia per la libertà e la sopravvivenza passa per l'”ecologia della mente”

  1. La “Green Economy”

Nel fare ciò, per quanto l’economia verde sia una cosa utile e necessaria (l’”ecologia profonda”), c’è qualcosa di ancor più urgente per la nostra economia e per la nostra società (l’”ecologia della mente”), qualcosa che tutti gli altri hanno, tranne noi: un’industria del web (simile alla Google, alla Facebook e all’Amazon  americane, alla Baidu e all’ Alibaba cinesi, alla Yandex e alla VKontakte russe). Tutta l’economia, dalla borsa alle comunicazioni, dalla cultura all’ entertainment, dal commercio ai trasporti, dal turismo all’ immobiliare, sono oggi governati da Internet, che sta compiendo una mutazione antropologica dell’Umanità e allo stesso tempo sposta ingenti masse di denaro in tutto il mondo. Non solo, ma su Internet si giocano la nostra libertà e la nostra identità. Perché la BEI, l’ EFSI e i fondi sovrani degli Stati membri hanno investito così poco su Internet, e, quando l’hanno fatto, l’hanno fatto su progetti non trasparenti e minimalistici come Qwant? Qwant ha ottenuto , fra l’ EFSI, la Cassa Depositi e Prestiti francese e il Gruppo Springer, 35 milioni di Euro per creare il web europeo. Qualcuno ne ha poi più sentito parlare?

Ciò detto, l’Europa può e deve partecipare alla “rivoluzione verde” in corso nel mondo. Tuttavia, anche qui c’è qualcosa di strano nel comportamento, non solo delle autorità, ma anche delle imprese, in relazione ai nuovi settori tecnologici. Prendiamo per esempio l’auto elettrica. Sta partendo in questi giorni per la Cina da Beinasco un carico di 400 container contenente, impacchettata, una linea completamente automatizzata per costruire in Cina un SUV elettrico, costruita dalla CPM, una controllata della tedesca Duerr. A parte il fatto che la notizia apparsa sulla Repubblica sia stata forse esagerata (si tratterebbe solo di una linea di verniciatura), il  giornalista di Repubblica ha posto, al Presidente dell’ Unione Industriale di Torino, Gallina, la domanda, del tutto pertinente “Perché è così utopistico pensare che quella fabbrica potesse essere realizzata qui in Piemonte?” In effetti, trattandosi di una fabbrica automatizzata, la questione decisiva non è certamente il costo del lavoro. Eppure, il Presidente non ha saputo dare una risposta, limitandosi a dire che bisogna cercare di attrarre gl’investitori. Ma perché, come si è fatto con Qwant, non si possono spendere 35 milioni di Euro dell’EFSI, della Cassa Depositi e Presiti e di un investitore privato per creare ex novo in Piemonte una fabbrica di auto elettriche, anziché chiudere l’esistente  Blue Car di Bairo?

Alla fine, a dispetto delle retoriche mercatistiche, la quantità di trasferimenti finanziari pubblici che di fatto si sviluppano fra Europa, America e Paesi in Via di Sviluppo, fra Bruxelles, Stati Membri e Regioni, è così impressionante, che è impossibile capire chi ne sia avvantaggiato e chi ne sia svantaggiato: contributi NATO, acquisto di aerei americani, trasferimento all’ estero di imprese, aiuti allo sviluppo, contributi all’ Unione, fondi strutturali non spesi, fondi BEI non utilizzati per mancanza di progetti. Prima di accapigliarsi circa la destinazione dei vari fondi, sarebbe necessario fare come minimo un po’ di trasparenza dei reali flussi, e di come questi impattino sul PIL dei vari territori;. La “glasnost” di Gorbaciv che precedette la “Perestrojka” dell’ impero sovietico.

Non smettere d’interrogare la società

  1. Richiedere i “provvedimenti straordinari” accennati da Levi alle nuove Autorità (europee e locali)

Le istituzioni europee (ma anche locali) potranno essere prese sul serio (indipendentemente se le loro maggioranze saranno “europeiste” o “sovraniste”), solo se esse affronteranno, e subito, i nodi gordiani elencati in questo post. I movimenti europeistici dovrebbero incalzare fin da subito i nuovi parlamentari, i gruppi politici europei, le nuove Istituzioni e le nuove autorità, comunque e ovunque elette, perché, non dico risolvano questi problemi, ma almeno avviino un dialogo sugli stessi senza lasciare sempre tutto nel vago, di modo che a ogni nuova legislatura non dobbiamo porci le stesse domande, solo con una situazione ulteriormente deteriorata.

In occasione delle precedenti elezioni europee (2014), l’Associazione Culturale Diàlexis aveva pubblicato presso Alpina tre opere volte a sollecitare decisioni in queste materie:

-“Corpus Iuris Technologici”, dedicato alla nuova legislazione europea sul web, inviata alla Presidentessa Boldrini e al presidente Rodotà;

– “Restarting EU Economy”, una lettera aperta al Presidente Juncker perché indirizzasse l’ FSI verso le nuove tecnologie;

-100 tesi sull’ Europa (inviate a tutti gli Europarlamentari) con cui si valutavano criticamente i programmi dei partiti europei per le elezioni del 2014.

Nel Salone del Libro di Torino abbiamo presentato 4 libri dedicati a quattro filoni di approfondimento  (i “Cantieri d’ Europa”: riforma istituzionale; tecnologia; lingue; rapporti con la Cina). Contiamo di proseguire questo lavoro al salone “Più libri, più liberi” di Roma. Come è già successo con il Salone di Torino, invitiamo tutti a contribuire a questo sforzo collettivo.

Soprattutto, invitiamo tutti ad avviare un dialogo con i nuovi eletti, che stanno affrontando il non facile compito di fronteggiare i nodi ormai inestricabili di cui abbiamo parlato nei punti precedenti, con l’obiettivo di raggiungere almeno nuovi livelli di consapevolezza, per esempio sulla tematica della sovranità e sulle competenze tecnico-giuridiche-economiche necessarie per inserirsi nello sviluppo dell’ Asia.

* * * * *

Si allegano i principi sull’ intelligenza artificiale che il G20 in Giappone ha fatto suoi prendendo semplicemente a prestito quelli dell’ OCSE, i quali, a loro volta, assomigliano molto a quelli dell’ Unione Europea.

ALLEGATO

Torino centro della cultura tecno-umanistica?

G20 AI PRINCIPLES

 

The G20 supports the Principles for responsible stewardship of Trustworthy AI in Section 1 and takes note of the Recommendations in Section 2.

 

Section 1: Principles for responsible stewardship of trustworthy AI

 

1.1. Inclusive growth, sustainable development and well-being Stakeholders should proactively engage in responsible stewardship of trustworthy AI in pursuit of beneficial outcomes for people and the planet, such as augmenting human capabilities and enhancing creativity, advancing inclusion of underrepresented populations, reducing economic, social, gender and other inequalities, and protecting natural environments, thus invigorating inclusive growth, sustainable development and well-being.

 

1.2. Human-centered values and fairness a) AI actors should respect the rule of law, human rights and democratic values, throughout the AI system lifecycle. These include freedom, dignity and autonomy, privacy and data protection, non-discrimination and equality, diversity, fairness, social justice, and internationally recognized labor rights. b) To this end, AI actors should implement mechanisms and safeguards, such as capacity for human determination, that are appropriate to the context and consistent with the state of art.

 

1.3. Transparency and explainability AI Actors should commit to transparency and responsible disclosure regarding AI systems. To this end, they should provide meaningful information, appropriate to the context, and consistent with the state of art: i. to foster a general understanding of AI systems; ii. to make stakeholders aware of their interactions with AI systems, including in the workplace; iii. to enable those affected by an AI system to understand the outcome; and, iv. to enable those adversely affected by an AI system to challenge its outcome based on plain and easy-to-understand information on the factors, and the logic that served as the basis for the prediction, recommendation or decision.

 

1.4. Robustness, security and safety a) AI systems should be robust, secure and safe throughout their entire lifecycle so that, in                                                    2 This Annex draws from the OECD principles and recommendations.

12

 

conditions of normal use, foreseeable use or misuse, or other adverse conditions, they function appropriately and do not pose unreasonable safety risk. b) To this end, AI actors should ensure traceability, including in relation to datasets, processes and decisions made during the AI system lifecycle, to enable analysis of the AI system’s outcomes and responses to inquiry, appropriate to the context and consistent with the state of art. c) AI actors should, based on their roles, the context, and their ability to act, apply a systematic risk management approach to each phase of the AI system lifecycle on a continuous basis to address risks related to AI systems, including privacy, digital security, safety and bias.

 

1.5. Accountability AI actors should be accountable for the proper functioning of AI systems and for the respect of the above principles, based on their roles, the context, and consistent with the state of art.  

13

 

Section 2: National policies and international co-operation for trustworthy AI

 

2.1. Investing in AI research and development a) Governments should consider long-term public investment, and encourage private investment, in research and development, including inter-disciplinary efforts, to spur innovation in trustworthy AI that focus on challenging technical issues and on AI-related social, legal and ethical implications and policy issues. b) Governments should also consider public investment and encourage private investment in open datasets that are representative and respect privacy and data protection to support an environment for AI research and development that is free of inappropriate bias and to improve interoperability and use of standards.

 

2.2. Fostering a digital ecosystem for AI Governments should foster the development of, and access to, a digital ecosystem for trustworthy AI. Such an ecosystem includes in particular digital technologies and infrastructure, and mechanisms for sharing AI knowledge, as appropriate. In this regard, governments should consider promoting mechanisms, such as data trusts, to support the safe, fair, legal and ethical sharing of data.

 

2.3 Shaping an enabling policy environment for AI a) Governments should promote a policy environment that supports an agile transition from the research and development stage to the deployment and operation stage for trustworthy AI systems. To this effect, they should consider using experimentation to provide a controlled environment in which AI systems can be tested, and scaled-up, as appropriate. b) Governments should review and adapt, as appropriate, their policy and regulatory frameworks and assessment mechanisms as they apply to AI systems to encourage innovation and competition for trustworthy AI.

 

2.4. Building human capacity and preparing for labor market transformation a) Governments should work closely with stakeholders to prepare for the transformation of the world of work and of society. They should empower people to effectively use and interact with AI systems across the breadth of applications, including by equipping them with the necessary skills. b) Governments should take steps, including through social dialogue, to ensure a fair transition for workers as AI is deployed, such as through training programs along the working life, support for those affected by displacement, and access to new opportunities in the labor market.

14

 

  1. c) Governments should also work closely with stakeholders to promote the responsible use of AI at work, to enhance the safety of workers and the quality of jobs, to foster entrepreneurship and productivity, and aim to ensure that the benefits from AI are broadly and fairly shared.

 

2.5. International co-operation for trustworthy AI a) Governments, including developing countries and with stakeholders, should actively cooperate to advance these principles and to progress on responsible stewardship of trustworthy AI. b) Governments should work together in the OECD and other global and regional fora to foster the sharing of AI knowledge, as appropriate. They should encourage international, cross sectoral and open multi-stakeholder initiatives to garner long-term expertise on AI. c) Governments should promote the development of multi-stakeholder, consensus-driven global technical standards for interoperable and trustworthy AI. d) Governments should also encourage the development, and their own use, of internationally comparable metrics to measure AI research, development and deployment, and gather the evidence base to assess progress in the implementation of these principles.

G20 AI PRINCIPLES

 

The G20 supports the Principles for responsible stewardship of Trustworthy AI in Section 1 and takes note of the Recommendations in Section 2.

 

Section 1: Principles for responsible stewardship of trustworthy AI

 

1.1. Inclusive growth, sustainable development and well-being Stakeholders should proactively engage in responsible stewardship of trustworthy AI in pursuit of beneficial outcomes for people and the planet, such as augmenting human capabilities and enhancing creativity, advancing inclusion of underrepresented populations, reducing economic, social, gender and other inequalities, and protecting natural environments, thus invigorating inclusive growth, sustainable development and well-being.

 

1.2. Human-centered values and fairness a) AI actors should respect the rule of law, human rights and democratic values, throughout the AI system lifecycle. These include freedom, dignity and autonomy, privacy and data protection, non-discrimination and equality, diversity, fairness, social justice, and internationally recognized labor rights. b) To this end, AI actors should implement mechanisms and safeguards, such as capacity for human determination, that are appropriate to the context and consistent with the state of art.

 

1.3. Transparency and explainability AI Actors should commit to transparency and responsible disclosure regarding AI systems. To this end, they should provide meaningful information, appropriate to the context, and consistent with the state of art: i. to foster a general understanding of AI systems; ii. to make stakeholders aware of their interactions with AI systems, including in the workplace; iii. to enable those affected by an AI system to understand the outcome; and, iv. to enable those adversely affected by an AI system to challenge its outcome based on plain and easy-to-understand information on the factors, and the logic that served as the basis for the prediction, recommendation or decision.

 

1.4. Robustness, security and safety a) AI systems should be robust, secure and safe throughout their entire lifecycle so that, in                                                    2 This Annex draws from the OECD principles and recommendations.

12

 

conditions of normal use, foreseeable use or misuse, or other adverse conditions, they function appropriately and do not pose unreasonable safety risk. b) To this end, AI actors should ensure traceability, including in relation to datasets, processes and decisions made during the AI system lifecycle, to enable analysis of the AI system’s outcomes and responses to inquiry, appropriate to the context and consistent with the state of art. c) AI actors should, based on their roles, the context, and their ability to act, apply a systematic risk management approach to each phase of the AI system lifecycle on a continuous basis to address risks related to AI systems, including privacy, digital security, safety and bias.

 

1.5. Accountability AI actors should be accountable for the proper functioning of AI systems and for the respect of the above principles, based on their roles, the context, and consistent with the state of art.  

13

 

Section 2: National policies and international co-operation for trustworthy AI

 

2.1. Investing in AI research and development a) Governments should consider long-term public investment, and encourage private investment, in research and development, including inter-disciplinary efforts, to spur innovation in trustworthy AI that focus on challenging technical issues and on AI-related social, legal and ethical implications and policy issues. b) Governments should also consider public investment and encourage private investment in open datasets that are representative and respect privacy and data protection to support an environment for AI research and development that is free of inappropriate bias and to improve interoperability and use of standards.

 

2.2. Fostering a digital ecosystem for AI Governments should foster the development of, and access to, a digital ecosystem for trustworthy AI. Such an ecosystem includes in particular digital technologies and infrastructure, and mechanisms for sharing AI knowledge, as appropriate. In this regard, governments should consider promoting mechanisms, such as data trusts, to support the safe, fair, legal and ethical sharing of data.

 

2.3 Shaping an enabling policy environment for AI a) Governments should promote a policy environment that supports an agile transition from the research and development stage to the deployment and operation stage for trustworthy AI systems. To this effect, they should consider using experimentation to provide a controlled environment in which AI systems can be tested, and scaled-up, as appropriate. b) Governments should review and adapt, as appropriate, their policy and regulatory frameworks and assessment mechanisms as they apply to AI systems to encourage innovation and competition for trustworthy AI.

 

2.4. Building human capacity and preparing for labor market transformation a) Governments should work closely with stakeholders to prepare for the transformation of the world of work and of society. They should empower people to effectively use and interact with AI systems across the breadth of applications, including by equipping them with the necessary skills. b) Governments should take steps, including through social dialogue, to ensure a fair transition for workers as AI is deployed, such as through training programs along the working life, support for those affected by displacement, and access to new opportunities in the labor market.

14

 

  1. c) Governments should also work closely with stakeholders to promote the responsible use of AI at work, to enhance the safety of workers and the quality of jobs, to foster entrepreneurship and productivity, and aim to ensure that the benefits from AI are broadly and fairly shared.

 

2.5. International co-operation for trustworthy AI a) Governments, including developing countries and with stakeholders, should actively cooperate to advance these principles and to progress on responsible stewardship of trustworthy AI. b) Governments should work together in the OECD and other global and regional fora to foster the sharing of AI knowledge, as appropriate. They should encourage international, cross sectoral and open multi-stakeholder initiatives to garner long-term expertise on AI. c) Governments should promote the development of multi-stakeholder, consensus-driven global technical standards for interoperable and trustworthy AI. d) Governments should also encourage the development, and their own use, of internationally comparable metrics to measure AI research, development and deployment, and gather the evidence base to assess progress in the implementation of these principles.