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CRISTIANESIMO-CINA: un rapporto che prosegue da più di 1000 anni

Riportiamo qui di seguito il comunicato pubblicato  dell’ Osservatore Romano che annuncia il rinnovo dell’ accordo del 2018 sulla nomina dei vescovi, venuto a scadenza ed osteggiato violentemente dal Governo americano.

Premetteriamo una nota di carattere storico, in modo da permettere ai “nostri quattro lettori” di meglio comprendere il significato di lungo termine dell’ evento, che trascende le polemiche sollevate, per esempio, dal Segretario di Stato americano, Pompeo.

Infatti, il Cristianesimo si auto-concepisce come “universale”. e “cattolico” significa precisamente questo, tant’è vero che l’espressione “cattolico” è anteriore allo scisma d’Occidente. Di fatto, la Chiesa cattolica è l’unica organizzazione religiosa mondiale presente da più di 2000 anni, e il Cristianesimo in generale è nato in Asia, si è sviluppato lungo le Vie della Seta ed è presente fin dal suo inizio nel Mediterraneo, Caucaso, Persia, India, e, da più di un millennio, in Asia Centrale e Cina (in pratica, tutta l’ Eurasia),

Di converso, lo “Stato-civiltà” cinese esiste da 5000 anni (pensiamo all’ Imperatore Giallo), e ha occupato una parte importante dell’ Asia, irradiandovi la sua civiltà. Sarebbe stato così impossibile che quei due soggetti storici non si incontrassero, e, particolare, che non partecipassero, ciascuno a modo proprio, alla Belt and Road Initiative, che costituiscono l’attualizzazione delle antiche Vioe della Seta lungo le quaali il Cristianesimo si è diffuso.

Ovviamente, in tutti questi anni,  i rapporti fra Cristianesimo e Cina, fra diverse confessioni cristiane e non, fra l’ Europa e la Cina, ecc.., hanno subito incessanti trasformazioni, con alti e bassi, ma l’importante è che essi continuino, nell’ ottica di contribuire a una migliore comprensione, non soltanto fra diverse civiltà e comunità, ma anche in generale degli uomini nei confronti di se stessi, della propria ragion d’essere e dei propri problemi

La stele nestoriana, di epoca Tang

1.Il Cristianesimo sulle Vie della Seta

La storia del Cristianesimo si svolge, fino al Medioevo, esclusivamente lungo le Vie della Seta. Già nel vecchio Testamento, Abramo proveniva da Ur dei Caldei e si trasferiva ad Harran (quindi, percorreva l’antica Via Regia degli Assiri), mentre gli altri Patriarchi si recavano in Egitto, per poi tornare, con Mosè, in Galilea, e unirsi, con la Regina di Saba, ai Sabei e agli Etiopi (dome narra il Debra Nagast).  Dopo di che, la Vita di Gesù, preannunziata dalla venuta dall’ Oriente dei Magi, e preceduta dalla Fuga in Egitto,  si svolge in Palestina. Paolo di Tarso è anatolico; egli e San Pietro vengono martirizzati a Roma, Sant’Andrea in Russia e San Tommaso a Chennai, lungo la Via delle Spezie.

I primi regni cristiani furono quelli della Cappadocia, del Caucaso, dell’ Egitto e dell’ Etipia, dove si tradusse la Bibbia in aramaico, in copto e gheez. L’apocalisse fu scritta a Patmos, di fronte le coste anatoliche, ibncorporandio le tradizioni apocalittiche persiane ed ebraiche,  e destinata alle Sette Chiese dell’ Asia Minore, ove si svolsero i primi concili. La Chiesa Orientale trae origine da Costantinopoli. Il più grande concilio nestoriano fu quello di Ctesifonte, con cui l’imperatore persiano assegnò ai Nestoriani le diocesi dell’ Asia.

L’Islam nasce nell’ Higiaz con influenze cristiane orientali. Partendo dalla Sogdiana, i Nestoriani fecero proselitismo fra i regnanti cinesi, turcofoni e mongoli, fino ad essere riconosciuti come una religione dell’ impero Tang, stabilendo la propria sede patriarcale a Xian, traducendo la Bibbia e producendo i Sutra di Gesù.

Quando i Tang smisero di riconoscere le “religioni straniere”, i nestoriani si trasferirono in Mongolia.

Il trasbordo in Occidente dell’ideologia imperiale cinese: Laozi, i Gesuiti e gl’Illuministi

2.Le missioni cattoliche

Nel 1245, in seguito alle conquiste in Europa del Khan Ögödei, Papa Innocenzo IV aveva inviato, a partire dal 1245, presso il suo successore, per proporre un accordo, diversi religiosi, tra cui   il francescano Giovanni da Pian del Carpine, ch’erano, però,   tornati  in Italia nel 1247 senza risultati politici, ma  lasciandoci invece il suo libro “Historia Mongalorum”, una delle prime opere medievali su quell’impero. Grazie a un’altra di queste opere, il “Milione”, le missioni in Cina della famiglia Matteo, Niccolò e Marco Polo sono divenute   le più famose, e la Cina aveva acquisito il fascino che la caratterizza ancor oggi, legato alla dimensione unica della sua civiltà.  Il Gran Khan aveva richiesto al Pontefice, attraverso i Polo, l’invio di un’ importante missione, richiesta  però sostanzialmente non soddisfatta dalla seconda missione, quella di Marco.

Nel 1288, mentre Marco Polo era ancora attivo in Cina,  papa Nicola IV  aveva affidato  a Giovanni da Montecorvino il compito di fondare missioni nell’Estremo Oriente, fra cui quella in Cina. Nel 1299 fra’ Giovanni aveva dunque costruito la prima chiesa di Khān Bālīq (Pechino),  traducendo poi  anche il Nuovo Testamento ed il Libro dei Salmi. Clemente V  aveva inviato poi altri sette frati francescani (molto meno di quanto desiderato dal Gran Khan) con compito di aiutarlo e di consacrarlo arcivescovo di  Pechino e “sommo vescovo” di tutta la Cina.

Buddha-Gesù

3.Il ruolo dei Gesuiti

Era stata poi la volta dei gesuiti Michele Ruggieri e Matteo Ricci, arrivati in Cina nel 1582. Ricci, che   si era stabilito a Pechino nel 1601,
scrisse numerose opere in Cinese per promuovere e presentare la religione cristiana, ma anche l’Europa in generale e la sua cultura tecnica e umanistica, pubblicando tra l’altro  il primo mappamondo di tipo occidentale scritto in Cinese. Fu anche l’iniziatore del primo progetto di dizionario cinese-latino, il cosiddetto «dizionario Ricci», che costituì la base concettuale dei “Riti Cinesi”.

Per più di cent’anni, la missione gesuitica svolse una fondamentale funzione di collegamento fra le culture cinese e occidentale, diffondendo in Cina la cultura matematica, astronomica ed artistica  europea (in particolare, Giovanni Castiglione fu pittore e architetto di corte), e,  in Europa, quella linguistica, filosofica e artistica cinese. Grazie a loro si diffuse in Europa lo stile cinesizzante, e i “philosophes” illuministi -in particolare Leibniz, Voltaire e Fresnais-, diffusero il mito della Cina, presentata, nelle loro opere, come un modello per le monarchie illuminate, in particolare per quelle di Luigi XIV e Federico II di Prussia. La “Controversia dei Riti”, con cui parti della Chiesa contestavano ai Gesuiti, tra l’altro, la traduzione della Bibbia e il culto degli antenati, si estese ben oltre il mondo ecclesiale, coinvolgendo tutta la cultura europea fra il ‘600 e il ‘700, su tutti i grandi temi -della filosofia, della teologia, della storia, della politica e della linguistica-, avendo per conseguenza la chiusura della missione dei Gesuiti in Cina e contribuendo addirittura allo scioglimento dell’ Ordine.

Le attuali Vie della Seta

4.Altre missioni

La chiusura della missione gesuitica non escluse nell’Ottocento e Novecento la presenza di altre missioni, cattoliche e protestanti, che influenzarono, nel bene come nel male, i rapporti fra la Cina e il Cristianesimo. Basti pensare alla forte influenza protestante sui Taping e sul Kuomingtang-, come pure al ritiro della condanna dei Riti Cinesi per le pressioni, su quello italiano, dell’ allora Governo collaborazionista.

Dopo il 1949, il Cattolicesimo,come tutte le religioni, poté operale solo sotto il controllo dell’Amministrazione degli Affari religiosi  e all’ interno dell’ Associazione del Cattolici Patriottici, che mira alla “sinicizzazione” della Chiesa Cattolica (sulla falsariga di quanto era avvenuto con la Chiesa nestoriana e quanto avviene con le Chiese protestanti). Sinicizzazione che prende di mira, più  che gli aspetti propriamente religiosi, quelli lato sensu culturali, come lo stile esotico dei luoghi di culto (chiese o moschee), l’ uso dell’ Arabo e di abiti islamici, e  questioni di prestigio (dimensione di templi, minareti o croci …).

L’attuale accordo costituisce finalmente una ripresa  delle antiche relazioni, grazie anche al fatto che Francesco è il primo papa gesuita. Per i motivi che precedono, sarebbe sviante ricondurre le discussioni  attualmente  in corso in Occidente sul nuovo accordo, a circoscritte questioni di carattere contingente, dovendo vedersi in esse invece il portato di una problematica di lungo periodo, che incide sull’idea stessa che i vari popoli hanno delle civiltà e della loro coesistenza.

Le Vie della Seta antiche

Da “l’Osservatore Romano” del 16/20/2020

Rinnovato per due anni l’Accordo Provvisorio tra Santa Sede e Cina

L’annuncio in un comunicato diffuso dalla Sala Stampa: “L’avvio è stato positivo, grazie alla buona comunicazione e collaborazione tra le parti”. Pubblichiamo un articolo che esce su L’Osservatore Romano di oggi per spiegare le ragioni della decisione

L’Accordo Provvisorio tra la Santa Sede e la Repubblica Popolare Cinese, riguardante la nomina dei Vescovi, è stato firmato a Pechino il 22 settembre 2018. Entrato in vigore un mese dopo, con la durata di due anni ad experimentum, l’Accordo, dunque, scade oggi. In prossimità di tale data, le due Parti, hanno valutato vari aspetti della sua applicazione, e hanno concordato, tramite lo scambio ufficiale di Note Verbali, di prolungarne la validità per altri due anni, fino al 22 ottobre 2022. Il rinnovo, quindi, dell’Accordo Provvisorio sembra essere un’occasione propizia per approfondirne lo scopo e i motivi.

Lo scopo principale dell’Accordo Provvisorio sulla nomina dei Vescovi in Cina è quello di sostenere e promuovere l’annuncio del Vangelo in quelle terre, ricostituendo la piena e visibile unità della Chiesa. I motivi principali, infatti, che hanno guidato la Santa Sede in questo processo, in dialogo con le Autorità del Paese, sono fondamentalmente di natura ecclesiologica e pastorale. La questione della nomina dei Vescovi riveste vitale importanza per la vita della Chiesa, sia a livello locale che a livello universale. Al riguardo, il Concilio Vaticano II, nella Costituzione Dogmatica sulla Chiesa, afferma che “Gesù Cristo, pastore eterno, ha edificato la santa Chiesa e ha mandato gli apostoli, come egli stesso era stato mandato dal Padre (cfr. Gv 20,21), e ha voluto che i loro successori, cioè i vescovi, fossero nella sua Chiesa pastori fino alla fine dei secoli. Affinché poi lo stesso episcopato fosse uno e indiviso, prepose agli altri apostoli il beato Pietro e in lui stabilì il principio e il fondamento perpetuo e visibile dell’unità di fede e di comunione”. (Lumen Gentium, 18).

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03/10/2020

Parolin: quello con la Cina è un accordo cercato da tutti gli ultimi Papi

Questo insegnamento fondamentale, che riguarda il ruolo peculiare del Sommo Pontefice all’interno del Collegio Episcopale e nella stessa nomina dei Vescovi, ha ispirato le trattative ed è stato di riferimento nella stesura del testo dell’Accordo. Ciò assicurerà, poco a poco, cammino facendo, sia l’unità di fede e di comunione tra i Vescovi sia il pieno servizio a favore della comunità cattolica in Cina. Già oggi, per la prima volta dopo tanti decenni, tutti i Vescovi in Cina sono in comunione con il Vescovo di Roma e, grazie all’implementazione dell’Accordo, non ci saranno più ordinazioni illegittime.

Bisogna tuttavia rilevare che con l’Accordo non sono state affrontate tutte le questioni aperte o le situazioni che suscitano ancora preoccupazione per la Chiesa, ma esclusivamente l’argomento delle nomine episcopali, decisivo e imprescindibile per garantire la vita ordinaria della Chiesa, in Cina come in tutte le parti del mondo. Recentemente, l’Em.mo Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato, intervenendo su “La Chiesa cattolica in Cina tra passato e presente” al Convegno svoltosi a Milano il 3 c.m., in occasione del 150° anniversario dell’arrivo dei missionari del Pime in Henan, ha fatto presente che sull’Accordo Provvisorio sono sorti alcuni malintesi. Molti di questi sono nati dall’attribuzione all’Accordo di obiettivi che esso non ha, o dalla riconduzione all’Accordo di eventi riguardanti la vita della Chiesa cattolica in Cina che sono ad esso estranei, oppure a collegamenti con questioni politiche che nulla hanno a che vedere con l’Accordo stesso. Ricordando che l’Accordo concerne esclusivamente la nomina dei Vescovi, il Cardinale Parolin si è detto consapevole dell’esistenza di diversi problemi riguardanti la vita della Chiesa cattolica in Cina, ma anche dell’impossibilità di affrontarli tutti insieme.

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29/09/2020

Santa Sede e Cina, le ragioni di un Accordo sulla nomina dei vescovi

La stipulazione dell’Accordo, dunque, costituisce il punto di arrivo di un lungo cammino intrapreso dalla Santa Sede e dalla Repubblica Popolare Cinese, ma è anche e soprattutto il punto di partenza per più ampie e lungimiranti intese. L’Accordo Provvisorio, il cui testo, data la sua natura sperimentale, è stato consensualmente mantenuto riservato, è frutto di un dialogo aperto e costruttivo. Tale atteggiamento dialogante, nutrito di rispetto e amicizia, è fortemente voluto e promosso dal Santo Padre. Papa Francesco è ben cosciente delle ferite recate alla comunione della Chiesa nel passato, e dopo anni di lunghi negoziati, iniziati e portati avanti dai suoi Predecessori e in una indubbia continuità di pensiero con loro, ha ristabilito la piena comunione con i Vescovi cinesi ordinati senza mandato pontificio e ha autorizzato la firma dell’Accordo sulla nomina dei Vescovi, la cui bozza peraltro era stata già approvata da Papa Benedetto XVI.

Il Cardinale Parolin ha sottolineato che l’attuale dialogo tra Santa Sede e Cina ha radici antiche ed è la continuazione di un cammino iniziato molto tempo fa. Gli ultimi Pontefici, infatti, hanno cercato ciò che Papa Benedetto XVI ha indicato come il superamento di una “pesante situazione di malintesi e di incomprensione”, che “non giova né alle Autorità cinesi né alla Chiesa cattolica in Cina”. Citando il suo predecessore Giovanni Paolo II, scriveva nel 2007: “Non è un mistero per nessuno che la Santa Sede, a nome dell’intera Chiesa cattolica e – credo – a vantaggio di tutta l’umanità, auspica l’apertura di uno spazio di dialogo con le Autorità della Repubblica Popolare Cinese, in cui, superate le incomprensioni del passato, si possa lavorare insieme per il bene del Popolo cinese e per la pace nel mondo” (Lettera del Santo Padre Benedetto XVI ai Vescovi, ai Presbiteri, alle Persone Consacrate e ai Fedeli laici della Chiesa Cattolica nella Repubblica Popolare Cinese, N. 4).

Da parte di alcuni settori della politica internazionale si è cercato di analizzare l’operato della Santa Sede prevalentemente secondo un’ermeneutica geopolitica. Nel caso della stipula dell’Accordo Provvisorio, invece, per la Santa Sede si tratta di una questione profondamente ecclesiologica, in conformità a due principi così esplicitati: “Ubi Petrus, ibi Ecclesia” (Sant’Ambrogio) e “Ubi episcopus, ibi Ecclesia” (Sant’Ignazio di Antiochia). Inoltre, c’è la piena consapevolezza che il dialogo tra la Santa Sede e la Repubblica Popolare Cinese favorisce una più proficua ricerca del bene comune a vantaggio dell’intera comunità internazionale.

Proprio con questi intendimenti, l’Arcivescovo Paul R. Gallagher, Segretario per i Rapporti con gli Stati, ha incontrato il Sig. Wang Yi, Consigliere di Stato e Ministro degli Affari Esteri della Repubblica Popolare Cinese, nel pomeriggio del 14 febbraio 2020, a Monaco di Baviera, a margine della 56^ edizione della Conferenza sulla Sicurezza, anche se di fatto, il loro primo incontro personale, benché non ufficiale, era avvenuto in occasione di una Assemblea Generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite a New York.  Occorre notare che ambedue gli incontri hanno avuto luogo nel contesto della diplomazia multilaterale che agisce in favore della pace e della sicurezza globale, cercando di cogliere ogni segnale, anche minimo, che permetta di sostenere la cultura dell’incontro e del dialogo.

Come reso pubblico dalla Santa Sede, nel corso del colloquio svoltosi in Germania sono stati evocati i contatti fra le due Parti, sviluppatisi positivamente nel tempo. In tale occasione, poi, si è rinnovata la volontà di proseguire il dialogo istituzionale a livello bilaterale per favorire la vita della Chiesa cattolica e il bene del Popolo cinese. Si è auspicata, inoltre, maggiore cooperazione internazionale al fine di promuovere la convivenza civile e la pace nel mondo e si sono scambiate considerazioni sul dialogo interculturale e i diritti umani. In particolare, è stata evidenziata l’importanza dell’Accordo Provvisorio sulla nomina dei Vescovi, ora prorogato, con l’auspicio che i suoi frutti siano sempre maggiori, in base all’esperienza maturata nei primi due anni della sua applicazione.

Per quanto riguarda i risultati finora raggiunti, sulla base del quadro normativo stabilito dall’Accordo, sono stati nominati due Vescovi (S.E. Mons. Antonio Yao Shun, di Jining, Regione autonoma della Mongolia Interna, e S.E. Mons. Stefano Xu Hongwei, a Hanzhong, Provincia di Shaanxi), mentre diversi altri processi per le nuove nomine episcopali sono in corso, alcuni in fase iniziale altri in fase avanzata. Anche se, statisticamente, questo può non sembrare un grande risultato, esso rappresenta, tuttavia, un buon inizio, nella speranza di poter raggiungere progressivamente altre mete positive. Non è possibile trascurare il fatto che negli ultimi mesi il mondo intero è stato quasi paralizzato dall’emergenza sanitaria, che ha influenzato la vita e l’attività, in quasi tutti i settori della vita pubblica e privata. Il medesimo fenomeno ha influito, ovviamente, anche sui contatti regolari tra la Santa Sede e il Governo cinese e sulla stessa attuazione dell’Accordo Provvisorio.

L’applicazione dell’Accordo, con l’effettiva e sempre più attiva partecipazione dell’Episcopato cinese, dunque, sta avendo una grande importanza per la vita della Chiesa cattolica in Cina e, di riflesso, per la Chiesa universale. In tale contesto, si colloca anche l’obiettivo pastorale della Santa Sede, di aiutare i cattolici cinesi, a lungo divisi, a dare segnali di riconciliazione, di collaborazione e di unità per un rinnovato e più efficace annuncio del Vangelo in Cina. Alla comunità cattolica in Cina – ai Vescovi, ai sacerdoti, ai religiosi, alle religiose e ai fedeli – il Papa ha affidato in modo particolare l’impegno di vivere un autentico spirito di amore fraterno, ponendo dei gesti concreti che aiutino a superare le incomprensioni, testimoniando la propria fede e un genuino amore. É doveroso riconoscere che permangono non poche situazioni di grande sofferenza. La Santa Sede ne è profondamente consapevole, ne tiene ben conto e non manca di attirare l’attenzione del Governo cinese per favorire un più fruttuoso esercizio della libertà religiosa. Il cammino è ancora lungo e non privo di difficoltà.

La Santa Sede, con piena fiducia nel Signore della storia, che guida indefettibilmente la sua Chiesa, e nella materna intercessione della Ss.ma Vergine Maria, Madonna di Sheshan, affida al sostegno cordiale e, soprattutto, alla preghiera di tutti i cattolici questo passaggio delicato e importante, auspicando che i contatti e il dialogo con la Repubblica Popolare Cinese, che hanno maturato un primo frutto nella firma dell’Accordo Provvisorio sulla nomina dei Vescovi e la proroga di oggi, contribuiscano alla soluzione delle questioni di comune interesse ancora aperte, con particolare riferimento alla vita delle comunità cattoliche in Cina, nonché alla promozione di un orizzonte internazionale di pace, in un momento in cui stiamo sperimentando numerose tensioni a livello mondiale 22 ottobre 2020, 12:00.”

PASQUA DI RESURREZIONE

Wuhan festeggia la chiusura degli ospedali d’emergenza

Speriamo che questa Pasqua costituisca veramente una resurrezione di tutti, dalla pandemia, dalla crisi dell’Europa e della decadenza dell’Italia. Tuttavia, mentre a Wuhan si ricomincia a poter uscire, seppure con cautela, da noi siamo ancora nel pieno dell’epidemia. L’Europa, e in particolare l’Italia, totalizzano la maggior parte dei decessi, e probabilmente l’epidemia è ancora solo agl’inizi, non solo da noi.

Non ci può consolare il fatto che, in extremis, i Ministri delle Finanze avrebbero raggiunto un accordo, seppure “al ribasso”, su come finanziare l’indebitamento degli Stati Membri derivante dalla pandemia, e reso necessario per il suo superamento, perchè è certo che il mix di strumenti finanziari usciti dal compromesso sarà in grado forse  di risolvere i problemi del Coronavirus, ma non quelli di fronte ai quali ci trovavamo già prima: problemi strutturali dell’ intera Europa al cui superamento stiamo lavorando, preparando le novità librarie di quest’anno.

Stefano Folli scrive su “La Repubblica”:”Nella serata in cui l’Eurogruppo approda a un modesto compromesso, si può misurare quanto sia limitata la capacità dell’Italia di essere ascoltata sul piano internazionale. La battaglia per gli eurobond (o coronabond che dir si voglia) era già persa da giorni, ma si è voluto farne la bandiera di una sorta di sfida al resto dell’Unione che è finita in un nulla di fatto. In sostanza con un rinvio delle decisioni ai capi di Stato e di governo, ma su una base poco propizia alle posizioni italiane.”

Giustamente il primo ministro Conte ha deciso di non sottoscrivere l’accordo così com’è, perchè “qui ci vuole un’economia di guerra”. Ma occorre fare mente locale a che cos’è un’”economia di guerra”.

Riguardo la domanda aggregata, questo concetto è stato al “Keynesismo militare”, dove il budget di difesa di un Governo stabilizza il ciclo economico e le fluttuazioni, usato anche per la recessione. La guerra è spesso usata preventivamente contro il deterioramento di una situazione da crisi monetaria, in particolare espandendo servizi e impiego in ambito militare, e contemporaneamente depopolando segmenti della società liberando risorse e attuando un riordino sociale e economico.

E questo potrebbe essere il nostro caso. Dal lato dell’offerta, è dimostrato che in alcuni periodi bellici c’è una accelerazione del progresso tecnologico che rende forte la società al termine del conflitto. Questo è il caso degli USA nella prima e seconda guerra mondiale.

Rosie the Rivetter in corsia

  1. L’handicap dell’Europa rispetto ai concorrenti

Romano Prodi ha giustamente osservato che, per sbloccare la situazione, basterebbe che l’Europa facesse quello che stanno facendo Stati Uniti e Cina, vale a dire stampare molti più Euro (destinandoli evidentemente direttamente alle loro finalità economiche: pagare apparecchiature mediche, cassa integrazione, sussidi alle imprese), e la situazione sarebbe risolta. Invece, l’Europa questo non lo fa.

Perché? In Italia, tutti dicono che sono i Paesi del Nord che non vogliono perché ne hanno un interesse finanziario. Questa è soltanto una parte della verità. La realtà è che l’Unione Europea, qualora avesse veramente tanti Euro da spendere, non saprebbe che farsene, perché non è strutturata per svolgere azioni di carattere straordinario: piani di salvataggio, finanza anticiclica, Stato innovatore. Non ha sufficienti poteri dal punto di vista giuridico, ma soprattutto non ha un vertice forte, e nemmeno un numero sufficiente di funzionari. E soprattutto, da quando si è trasformata, da Comunità Europee (di cui mi vanto di essere stato un funzionario), in Unione Europea, aveva acquisito (essenzialmente dalla Inghilterra) un’ideologia anacronisticamente liberistica, che non tiene conto del fatto che oggi, in tutti gli Stati (e in primo luogo gli Stati Uniti), il settore pubblico, fra demanio, fiscalità, burocrazie, pensioni, difesa allargata, assistenza, sostegno all’industria, alla sanità e alla cultura, controlla più di metà del PIL, e, quindi, è alla razionale gestione di questo settore che si deve guardare per migliorare l’ economia.

L’Unione non è invece concepita per svolgere i compiti di un grande Stato del XXI° secolo, come l’America e la Cina, anche perché, secondo quell’ ideologia, tali compiti (ideazione, progettazione, difesa nell’ arena mondiale) non dovrebbe svolgerli proprio nessuno. E, invece, le grandi potenze nostre concorrenti li svolgono, eccome, in modo sempre più penetrante. D’altra parte, basti dire che il massimo del federalismo sembrerebbe ispirarsi al “Federalist” di Hamilton, scritto a fine Settecento per tredici colonie inglesi quasi spopolate e dove la maggior parte degli abitanti era composta da indiani senza diritti e schiavi africani. Le quali non avevano evidentemente un’industria digitale, un sistema sanitario nazionale, megalopoli da decine di milioni di abitanti…Eppure proprio Hamilton già allora era costretto a battersi (nei limiti allora pensabili) per più intervento pubblico nell’ economia, per un ruolo maggiore delle forze armate, ecc…

Dirò di più: l’Europa dovrebbe compiere queste azioni centralizzate e  dirette (l’economia di guerra, invocata da Macron, Conte e Johnson) in modo ancora più energico dei suoi concorrenti, per recuperare 70 anni di ritardo, nella politica culturale, nell’autonomia militare, nelle alte tecnologie, nei “campioni europei”…

Invece, l’Unione può al massimo aiutare gli Stati membri a migliorare le loro finanze(e questi ultimi debbono indebitarsi, seppure  con le garanzie europee) per svolgere i loro (modesti) compiti. Tanto con il MES quanto con il Coronabonds, siamo inoltre in una situazione anomala. Se il finanziamento è dell’Unione, allora dovrebbe essere l’Unione stessa a gestirlo (e magari a spenderlo), e non gli Stati membri, ricchi o poveri che siano. Non ha senso che tutti i finanziamenti europei si traducano in tal modo necessariamente in una licenza a indebitarsi sui “mercati internazionali”, che, né gli Stati Membri, né ‘Unione, tengono sotto controllo. A quel punto, come stupirsi dei “finanziamenti a pioggia”, che gli Stati membri distribuiscono districandosi a mala pena fra astratti regolamenti europei inapplicabili alla realtà concreta e pressioni delle lobbies corporative locali?

E’ poi da vedere se questo meccanismo sia veramente favorevole anche ai Paesi del Nord, che la “politica della lesina” condanna a essere in eterno dei “followers”, prima solo degli Stati Uniti, e, ora, anche della Cina. Glotz, Seitz e Suessmuth avevano condannato questa politica tedesca fino   dagli anni ottanta, definendo la classe dirigente del loro Paese  “die planlosen Eliten”(“élites senza progetto”). Secondo quegli autori, la Germania stava perdendo, già allora, il treno dell’avvenire, perché, attenta solo alla solidità del bilancio, disdegnava già allora le alte tecnologie.

E infatti, oggi più che mai è in crisi, con le grandi case automobilistiche in affanno per l’ecologia, i dazi e le multe americani, la concorrenza cinese; l’industria ferroviaria surclassata da quella cinese; le grandi banche sull’ orlo del fallimento…Quello  dell’ Unione quale disegnata a Maastricht, Amsterdam e Lisbona è comunque un meccanismo farraginoso, che mal si concilia con operazioni grandiose come  l’”helicopter money”, la War Production Law e la Via Sanitaria della Seta, da realizzarsi in tempi strettissimi come le vecchie Blitzktriege – operazioni indispensabili per sopravvivere in un mondo multipolare e altamente competitivo- .

S’impone una Costituzione Europea o almeno un nuovo patto fra gli Europei, che permetta di organizzare una vera “economia di guerra”.

I greco-romani:”kalòi k’agathòi”

2.L’Italia, nazione indispensabile

Queste considerazioni smorzano solamente, ma non eliminano, il giudizio su  Paesi , come l’ Olanda, e i loro governanti, che hanno alle porte le situazioni drammatiche dei loro vicini e  si permettono di sentenziare sull’uso (a loro avviso sbagliato), che i potenziali beneficiari farebbero dei fondi così ottenuti (ma  certo non grazie all’Olanda stessa, che, invece, è fra i principali cavalli di Troia che le multinazionali usano per sottrarre risorse all’ Europa). In fondo, l’Europa del Sud non ha chiesto al vertice europeo (come chiedono l’Hubei  alla  Cina e lo Stato di New York all’ Unione), del denaro contante, ma solo delle garanzie.

Non assocerei a questa critica la Germania, dove è in corso un serio dibattito sugli Eurobond. Anche l’ormai famigerato articolo della Welt, dove si parlava dei pericoli della mafia, va letto con attenzione, perché esso partiva da un dato di fatto obiettivo: da tre interviste, di Saviano, di Sala e di Gratteri, che concordemente allertavano su quel pericolo (già denunziato da Grillo al Parlamento Europeo).

Come ha scritto Marco Margrita,e riportato dal sito di Rinascimento Europeo, “ll Coronavirus può uccidere l’Europa, che senza l’Italia semplicemente non c’è”. L’Italia è infatti un elemento essenziale dell’Europa, non solo in senso geografico,ma  perché è stata sempre uno snodo fondamentale dell’Identità europea, fra Oriente, Grecia e Barbaricum. Anche il ruolo centrale della Roma dei Papi  e in generale del Sud cattolico dell’Europa, almeno in quanto modello storico, non può essere negato da alcuno, perché da esso traggono origine non soltanto l’Occidente moderno, ma anche l’ Islam (che si richiama al Cristianesimo antico); parzialmente, l’ “indigenismo” del Sud del mondo (attraverso De las Casas, Valera, De la Vega, le Reducciones e la “Teologia della Liberazione”); perfino il “socialismo con caratteristiche cinesi” (attraverso i missionari e  l’”ideologia Taiping”).Del resto lo stesso primo ministro polacco lo ribadisce insistentemente nel suo articolo di oggi su “La Repubblica”:

“La Polonia sarebbe stata diversa senza il patrimonio dell’ Italia, che così profondamente ha segnato la nostra arte e cultura. Il nostro inno nazionale sottolinea il ruolo eccezionale dell’Italia come luogo dal quale i polacchi hanno intrapreso la strada verso l’indipendenza…L’Europa è nata proprio qui, in Italia,. Cosa sarebbe stato il nostro continente senza il diritto romano, senza la guida spirtituale di Roma?Senza il genio di Michelangelo?Soltanto con la solidarietà possiamo superare, il quanto comunità, questo grande esame”.

In questo senso, in Europa è l’Italia la vera “nazione indispensabile” (come voleva il Gioberti nel suo “Primato morale e civile degl’Italiani”), quella che permette all’ Europa di “respirare con i suoi due polmoni” (come scriveva, a Roma, sua seconda patria e suo mito culturale, Viačeslav Ivanov- concetto ripreso poi da Giovanni Paolo II-). Quand’anche l’Europa si disgregasse ulteriormente, l’antico Impero Romano, l’Europa cattolica e mediterranea, non avrebbe difficoltà, sulla base di quel concetto,  a trovare forme di collegamento con il blocco centrale dell’Europa, che (anche geograficamente), non si trova lungo il Reno, bensì da qualche parte fra Kaliningrad e Istanbul (la Prima, Seconda e Terza Roma). I progetti politici e giuridici che hanno preceduto la costituzione delle Comunità Europee erano stati elaborati, oltre che in Italia (Spinelli e Galimberti), solo nell’ Europa danubiana (Coudenhove Kalergi), e i trattati istitutivi delle Comunità Europee si chiamano “Trattati di Roma” perché lì sono stati firmati. Infine, se non c’è stata solidarietà sul Coronavirus dall’ Europa Occidentale, questa è venuta, eccome, da Oriente (Russia, Turchia, Albania, Polonia, Repubblica Ceca). Si noti che, proprio in questi giorni, la Regione Piemonte, spazientita per non aver ricevuto il necessario aiuto dalle autorità nazionali, ha richiesto espressamente di essere supportata dalle unità antiepidemiche dell’ Esercito Russo sbarcate a Pratica di Mare e attualmente operanti in Lombardia e Toscana.

Non parliamo della grottesca e oltraggiosa bufala dei 100 miliardi per l’Europa promessi da Trump e mai partiti dall’ America, che adesso Trump sembrerebbe voler rimediare (anche se sempre più in ritardo).

Poi, del modesto e tardivo, ma almeno esistente, coordinamento europeo degli aiuti per il Coronavirus attraverso l’”Integrated Political Crisis Response” (IPCR), non parla proprio nessuno. Anzi, neanche dell’ IPCR, nessuno ha mai neppure sentito parlare. Anche perché, anche in questo caso,  nell’ Aprile 2020, un preteso “aiuto d’emergenza” è un poco fuori tempo massimo. Infatti, le difficoltà iniziali derivavano, da un lato, dall’ impreparazione da causa dell’inosservanza dei protocolli d’emergenza dell’OMS e della NATO, dall’ altra dall’ inesperienza specifica su questa nuova malattia, e, infine, dall’avere delocalizzato, gli Europei,  in  Cina tutta la produzione dei dispositivi di protezione. Oggi, tuttavia, i protocolli sono stati  finalmente  attivati (anzi aggiornati dall’ OMS), l’esperienza si è fatta sul campo, soprattutto in Asia, e, infine, si sono firmati grandiosi contratti con la Cina e si sono convertite in Europa diverse produzioni alla fabbricazione di dispositivi. Anche il preteso coordinamento arriva dunque, in un certo senso, ex post factum.

Il punto che l’lPCR dovrebbe diventare un qualcosa di ben più solido e corposo, diretto direttamente da Bruxelles, con propri funzionari semi-militarizzati.

Innanzitutto, l’Unione Europea farebbe meglio a concentrarsi su concreti aiuti alle popolazioni colpite e ahgli Stati Membri maggiormente danneggiati, astenendosi, almeno in un momento di grave difficoltà e di lutti per il mondo intero e per l’Unione in particolare, dall’affiancare al modesto aiuto astiose polemiche come quella di EvsDsinform, un gruppo di lavoro delle Istituzioni che, a spese dei cittadini,  attacca come “fake news” ( che naturalmente sarebbero fomentate da Russia, Cina, Turchia, Kossovo, Siria e perfino Daesh),delle tesi che sono diffusissime sulla stampa italiana, governativa ed europeista, come quella che gli Stati membri non si stanno aiutando abbastanza a vicenda, quella che la pandemia, se non padroneggiata, potrebbe disintegrare la UE, e quella che la UE si stia disinteressando dei Balcani Occidentali (visto che le domande di adesione sono state rese difficilissime). Insomma. L’EvsDsinform è, come dice il suo nome stesso, un tipico organo di “disinformacija europea”, una sorta di scimmiottamento delle tesi contenute nei tweet di Trump.

La Patrios politeia è l’ “antica costituzione europea”

3.Puntare tutto sull’ Identità Europea

Per quanto io creda in generale poco  in generale alle retoriche della solidarietà ostentate dai politici, che ricordano da vicino quella degli Scribi e dei Farisei, certo, questa l’assenza di solidarietà da parte dell’Europa Nord-Occidentale in un frangente così essenziale per la sopravvivenza stessa del popolo europeo è schiacciante, perché è il sintomo, gravissimo e inaccettabile, di una malattia ben più profonda: l’abbandono dell’identità europea, che porta implicitamente con sé la mancanza di sentimenti e, in generale, perfino del’ “élan vital”, della volontà di sopravvivenza. Non per nulla l’Europa nel suo complesso è il “ventre molle” senescente del mondo; non per nulla anche quello in cui si sta concentrando la maggior parte dei casi di Coronavirus.

L’identità europea era fortissima nelle società elitarie del Medioevo, del Rinascimento e dell’Illuminismo, animate da una cultura e un ethos comuni, volti all’ eccellenza (lo spirito cavalleresco, il culto dell’ ingegno, dell’ “homme d’esprit”); aveva incominciato a incrinarsi nell’ Ottocento con il dispiegarsi di ideologie, da un lato, nazionaliste, e, dall’ altro, universalistico-messianiche (due facce della stessa medaglia); infine, è stata costretta alla  difensiva all’ interno dell’impero mondiale ideocratico e spersonalizzato dominato dal Complesso Informatico-Militare.

Se ciò che guida l’ Europa sono degli Stati “nazionali” burocratizzati,  ridotti a reparti distaccati dell’ “Apparato” mondiale,  i quali possono continuare a funzionare solo soddisfacendo alla meno peggio le insaziabili esigenze materiali di sopravvivenza dei loro amministrati, allora è normale che non si senta nessuna particolare solidarietà per i propri vicini, anch’essi semplici pedine della megamacchina mondiale, e che s’imponga la forma più gretta di “sacro egoismo”, con diatribe interminabili su trucchi contabili da riunione di condominio.

Il nostro impegno per l’Identità Europea non è retorico, ma reale. In previsione del prossimo Salone del Libro (se e quando ci sarà), l’Associazione Culturale Diàlexis ripubblicherà e diffonderà anche come e.book il primo volume di “1.000 anni d’identità europea”, “Pàtrios Politèia”.

L’obiettivo è il ritorno a un’Europa dell’eccellenza, fondata sulla cultura “alta”, che riconosce, da un lato, la generale solidarietà umana come un dato ancestrale comune a tutti i popoli, radicata nell’inconscio collettivo e coltivata dalle tradizioni religiose e umanistiche, e, dall’ altra, un vincolo speciale fra etnie, come quelle mediterranee, gallo-romane, germaniche e balto-slave, che sono legate fra loro da più di 2000 anni di storia comune (una “comunità di destino” quant’altre mai).

Se, com’ è accaduto con l’Inghilterra, alcuni popoli del Nord-Ovest dell’Europa preferissero, assurdamente, isolarsi dalle loro stesse radici culturali e storiche arroccandosi su un preteso ed effimero benessere, ci saranno altri popoli che raccoglieranno la bandiera dell’Europa e rappresenteranno l’Europa nel mondo.

 

Marco Polo in divisa da guerriero tartaro

4.La Conferenza sul Futuro dell’ Europa

Ciò che manca drammaticamente è una classe dirigente all’altezza del compito. Purtroppo, nel mondo contemporaneo, livellato e materialista, solo i grandi Stati burocratici e alcune grandi organizzazioni viventi in simbiosi con essi generano le condizioni per la nascita di nuove idee. Solo essi hanno i mezzi, ideologici, organizzativi e finanziari, per sostenere nuove ideologie, perfino nuove rivoluzioni “dall’ alto”, attraverso le istituzioni accademiche e scolastiche, il finanziamento alla cultura, il circolo chiuso fra Stato e partiti e fra Stato ed economia, e perfino attraverso le “covert operations” all’estero. Eppure qualche volta si è riusciti a by-passarli, come nel caso dell’ India di Gandhi.

Purtroppo, cent’anni dopo, nessuno può più permettersi, materialmente, di dedicare la propria vita a criticare l’esistente, senza qualche potere forte che lo sostenga. Perciò è così difficile creare una forza politica e sociale che aspiri a creare uno Stato nuovo: l’Europa, in concorrenza con quelli già esistenti.

Orbene, questo miracolo potrebbe forse avvenire, nonostante le pessimistiche previsioni di Spinelli, attraverso la Conferenza sul Futuro dell’Europa indetta dalle Istituzioni subito prima del Coronavirus, e che potrebbe ora coincidere con un momento di radicale ripensamento del sistema culturale e sociale nel quale siamo vissuti.

Vi è, almeno concettualmente, una tensione enorme fra i cambiamenti che dovrebbero essere fatti e ciò che la cultura dominante è disponibile a concedere. Per questo si tenterà in tutti i modi d’impedire che le esigenze reali dell’Europa possano emergere.  Così, la Conferenza rischia veramente di rivelarsi un boomerang, dimostrando più che mai che gli attuali meccanismi non sono in grado di rappresentare le esigenze dei cittadini.

Del resto, il federalismo moderno era nato proprio con l’obiettivo di quadrare il cerchio: rispondendo allo “Esprit des Lois” di Montesquieu, inventare un modo di conciliare la rappresentanza popolare, tipica delle antiche città-Stato, con le esigenze di decisionismo degli Stati moderni di grandi dimensioni.

Tuttavia,  alcuni importanti esperimenti federalistici, come  URSS e Jugoslavia, hanno portato a delle catastrofi, altri , come quello degli  Stati Uniti, non hanno dato buone prove di funzionamento federale. Tocca ora all’ Europa tentare di superare l’esame. Ricordiamoci ch’è sempre richiamandosi a Montesquieu che Caterina II, nella premessa alle Istruzioni alla riformatrice Commissione Legislativa, aveva scritto che l’impero russo, per le sue dimensioni, non poteva essere governato con un un sistema rappresentativo. Ora, l’Imero Russo aveva una popolazione ben inferiore a quella dell’Unione Europea.

Sta a noi evitare, con proposte radicali e una lotta accanita, che anche quest’ esame si concluda con una bocciatura.

Vorrei perciò concludere con una nota positiva tratta dall’ articolo di Morawiecki:

“Nella nostra tradizione cristiana la Pasqua è il tempo della speranza, quando Gesù Cristo, dopo la crudele Via Crucis, sconfisse la morte. Vi possiamo vedere il riflesso del destino del nostro continente, colpito da un’epidemia devastante. Siamo in grado di sconfiggere la pandemia del Coronavirus. Con la solidarietà. Si vince tuttavia solo passando all’ ofdfensiva. E’ il tempo dell’ offensiva europea.Per l’ Italia. Per l’intera Europa”

Il Mazurka Dabrowskiego fu composta

a Reggio Emilia dai legionari polacchi

THEOLOGIA EUROPAEA, “Religioni del Libro”, Europa.

La casa di Maimonide a Cordova

Commentando, nei suoi “Minima Cardiniana”, il libro di Aldo Schiavone dal titolo “Eguaglianza”, Franco Cardini ha contrapposto giustamente, alla concezione della “buona vita”  espressa dalla Dichiarazione d’Indipendenza americana, vale a dire quella  orientata  verso la “ricerca della felicità” e verso un’egualitarismo formale esasperato che coincide con il massimo della disuguaglianza effettiva, all’originaria concezione occidentale, fondata sulla filosofia classica e sulle “Religioni del Libro”, secondo cui la “buona vita” consegue al perseguimento delle virtù, nella necessaria differenza delle inclinazioni e di ruoli:“….gli europei debbano cessare di riconoscersi acriticamente come ‘occidentali’ e riscoprire le loro radici identitarie (radicate non già nell’astrattezza di un qualche atavismo genetico, bensì nella concretezza della storia) che, a dirla con Ferdinand Tönnies, debba fondarsi sulle comunità tradizionali della famiglia, del lavoro, del retaggio culturale che peraltro di continuo si rinnova, quindi sulle differenze che sono una ricchezza inalienabile, anziché sulle convenzioni contrattualistiche dalle quali sorgono le società con le loro astratte pretese egalitarie. Non è all’appiattimento egalitaristico che dobbiamo mirare, bensì alle vive differenze elaborate dalla natura, dall’ambiente, dalle tradizioni, dalla storia, e sostenute tuttavia da un vivo senso di equità anche sociopolitica e socioeconomica”.

Ad avviso di Cardini,il riconoscimento  di quest’ Identità Europea distinta da quella “occidentale” passa necessariamente attraverso una lettura congiunta delle “Religioni del Libro”:“Ma per giungere a costruire, com’è necessario se non vogliamo precipitare, un mondo libero sia dall’oligarchia di superstraricchi oggi imposta dal turbocapitalismo, sia dalle moltitudini di miserabili costretti a vivere non già al di sotto del livello di sopravvivenza bensì, ancor peggio, di quello del minimo di dignità al quale ogni essere umano ha diritto, è necessaria una guida. Non già quella della “Dichiarazione d’Indipendenza” degli Stati Uniti d’America, fondata sull’utopia della “ricerca della felicità”, bensì quella della Bibbia, del Vangelo e del Corano, fondata sulla Parola di Dio ch’è Giustizia e Pace.”

Certo, l’idea della “ricerca della felicità” degli utilitaristi del Settecento e delle Rivoluzioni Atlantiche, derivata dalle filosofie ellenistiche, pecca, come molte “idee moderne”, di semplicismo, in quanto, come aveva scritto Nietzsche, e com’è confermato perfino dalle scienze neurologiche, “la felicità viene solo se non voluta”, come ricompensa per una passione e uno sforzo. Tuttavia, anche un generico riferimento alle “Religioni del Libro” rischia di risultare riduttivo, perché in realtà la “ricerca della felicità” intesa nel senso della Dichiarazione d’ Indipendenza si situa all’interno di un processo complessivo di secolarizzazione che prende le mosse proprio da quelle religioni, all’interno delle quali si ritrovano praticamente tutte le grandi tendenze della storia culturale dell’Umanità. Per esempio, Lessing affermava espressamente che la religione cristiana aveva rappresentato una forma di educazione morale dell’Umanità, verso una visione del mondo senza religione, dove l’unica realtà sarebbe stata quella immanente.  Il bisogno di credere venne interpretato anch’esso, dalle filosofie dell’Ottocento, come una forma di ricerca della felicità, che, non potendo trovare sbocco in una visione trascendente, andava sostituita dal perseguimento dalla felicità pratica, resa possibile dallo sviluppo delle scienze e delle tecniche.  Quest’inveramento  della religione nella tecnica porterà, poi, secondo i post-umanisti (in primo luogo quelli “cristiani”, come il cosmista russo ortodosso Fiodorov  e il gesuita Teilhard de Chardin), all’irrilevanza della distinzione fra spirito e materia, e troverà compimento nella Singularity tecnologica di Kurzweil, un evidente avatar  del ritorno all’ Essere quale postulato dal neoplatonismo e dalla Qabbalah, ma anch’esso contrastato dalle teologie ortodosse:“Si tratta di una tendenza ben conosciuta nella storia della teologia e che dopo il medioevo costituisce quella che si è soliti chiamare ‘la posterità spirituale di Gioacchino da Fiore’. Questa tendenza è coltivata da alcuni teologi della liberazione, i quali insistono in modo tale sull’importanza di costruire il regno di Dio già dentro la nostra storia, che la salvezza trascendente la storia sembra passare in secondo piano. …. In tal senso, in quel sistema teologico, l’uomo ‘si pone nella prospettiva di un messianismo temporale, che è una delle espressioni più radicali della secolarizzazione del regno di Dio e del suo assorbimento nell’immanenza della storia umana’ (Commissione Teologica Internazionale, Problemi Attuali Di Escatologia,1990)

Oggi, il peso di quest’escatologia materialistica e collettiva (avversata a suo tempo non solo da Sant’Agostino, ma anche dal filosofo islamico al-Ghazzali e dal teologo ebraico Maimonide) è particolarmente forte in tutte le religioni occidentali (l’Americanismo, il Sionismo, la Teologia della Liberazione, gli Hojjatiyeh). Il fallimento storico del marxismo, lungi dall’ indebolire queste tendenze, le ha rafforzate perché esse, non potendo più mimetizzarsi nelle varie scuole marxiste, sono state costrette a venire allo scoperto.

Queste intime fratture all’ interno stesso delle varie religioni fanno sì che un generico richiamo alla religione, o anche alle “Religioni del Libro”, non possa costituire di per sé una “guida” per il comportamento umano, e si presti invece, da un lato, ad un’inconcludente retorica, e, dall’ altro, al mascheramento, sotto un manto di religione, e perfino di tradizione, del progetto della Società del Controllo Totale.

Scena sciamanica paleolitica

1.L’intima conflittualità interna a ciascuna religione

Secondo le ricostruzioni di alcuni paleontologi, una qualche forma di ritualità è all’origine di ogni tipo di cultura, sviluppatesi tutte attraverso riti della natura , del lavoro, della società…Questa coestensività della religione con l’insieme delle attività umane ha fatto sì che, all’ interno delle religioni stesse , fossero presenti, fino dai tempi più antichi, istituzioni diversissime, come l’ascetismo e l’esaltazione della vita, gli “hieroì gamoi” e  i sacrifici, la famiglia e la vita monastica, la poligamia e il voto di castità, le “Guerre del Signore” e la predicazione della pace, la codificazione delle leggi e l’esaltazione della spontaneità, …

Ogni concreta esperienza religiosa costituisce uno specifico tentativo d’imporre un equilibrio, hic et nunc, a queste realtà conflittuali. Per lo più, nel conseguirlo, questa contraddittorietà dà luogo all’ eterogenesi dei fini, come nel caso dell’attuale tendenza dell’escatologia materialistica, la quale vorrebbe utilizzare la religione come instrumentum regni per realizzare un’utopia utilitaristica, e invece, data l’irrealizzabilità di tale utopia, consegue, in realtà, la disgregazione della società sotto i colpi delle macchine intelligenti. Infatti, una società, come quella attuale, fatta per soddisfare i bisogni materiali dei singoli cittadini, in realtà li disabitua allo sforzo, alla ricerca, all’ impegno civile, rendendoli così succubi di meccanismi sociali impersonali, di cui il Complesso Informatico-Militare non è  che l’ultima incarnazione. In questo senso, la positivistica religione della scienza e della tecnica è il vero oppio dei popoli.

Per questi motivi, la visione dell’Apocalisse, presente sullo sfondo di tutte le religioni, svela l’essenza del mondo in cui viviamo. “Apocalisse” significa infatti semplicemente “rivelazione”: attraverso i suoi simbolismi, il libro dell’ Apocalisse (o i suoi omologhi, come lo “Zand-i Wahman Yasn” mazdeo) descrivono, in realtà, processi già in corso. Per esempio, secondo molti interpreti, lo scenario del Libro dell’Apocalisse era quello dell’Impero Romano al tempo delle persecuzioni, e il Millennio, i mille anni durante i quali l’Anticristo sarebbe stato “legato”, corrispondevano all’ era cristiana, a cui sarebbe succeduta la Parusìa. Le confuse vicende di quest’ultima sono descritte con più precisione nelle Hadith islamiche, dove, alla Fine della Storia, Gesù e Maometto sconfiggeranno l’Anticristo a Dabiq, cittadina del Kurdistan siriano attualmente contesa fra Curdi, Turchi, Siriani, Russi e Isis.

Il periodo storico che noi viviamo, l’”Ora ultima” (“as-Sa’at al -Akhira”), lungi dall’essere un periodo di Pace Perpetua, è il momento di una “lotta finale”, come del resto dice il testo dell’Internazionale”.

Non basta perciò richiamarsi genericamente allo spirito religioso, ma occorre anche approfondire dove ci porti la religione intesa quale filo rosso d’interpretazione della società, e, in particolare, della società contemporanea.

 

 

Petrov e OKO: la lotta contro l’ Anticristo

2.L ‘Anticristo oggi

Centrale a questo proposito risulta sempre la figura dell’Anticristo, che viene descritto da Dostojevskij e Soloviov come un governante mondialista apparentemente benigno, che instaurerà una qualche forma di temporanea pacificazione, ma che, in realtà, rappresenterà l’antitesi della salvezza finale promessa dalla religione. Egli – dice Soloviov – sarà un ‘convinto spiritualista’, un ammirevole filantropo, un pacifista impegnato e solerte, un vegetariano osservante, un animalista determinato e attivo. Sarà, tra l’altro, anche un esperto esegeta: la sua cultura biblica gli propizierà addirittura una laurea «honoris causa» della facoltà di Tubinga. Soprattutto, si dimostrerà un eccellente ecumenista, capace di dialogare «con parole piene di dolcezza, saggezza ed eloquenza».

Secondo Mc Luhan, l’Anticristo (“the Prince of the World”) s’identifica con i moderni mezzi di comunicazione di massa:” Electric information environments being utterly ethereal fosters the illusion of the world as spiritual substance. It is now a reasonable facsimile of the mystical body, a blatant manifestation of the Anti-Christ. After all, the Prince of this World is a very great electric engineer.

… the “Prince of this World” is a great P.R. man, a great salesman of new hardware and software, a great electrical engineer, and a great master of the media. It is His master stroke to be not only environmental but invisible, for the environment is invincibly persuasive when ignored.

… this could be the time of the Antichrist. When electricity allows for the simultaneity of all information for every human being, it is Lucifer’s moment. He is the greatest electrical engineer. Technically speaking, the age in which we live is certainly favourable to an Antichrist)”.

E, di fatto, il vero “rischio esistenziale” non è, oggi, costituito dal riscaldamento atmosferico, quanto, piuttosto, dall’inquinamento delle menti indotto dalla centralità dell’Intelligenza Artificiale, questo despota benigno che invade le nostre menti, inquinandole. Semmai, la crisi ecologica è uno dei vari aspetti e conseguenze dell’inquinamento mentale, quale quello che colpisce gli abitanti della Terra alla nascita dei “robot” in “R.O.U.R” di Capek; come la rivoluzione scatenata dall’androide nel film “Metropolis”; quello che si produce nel mondo di Asimov quando i robot, per governare meglio gli umani, decidono di fingersi fallibili, o, infine, quello indotto nella realtà, dagli ordini insensati di “Hair Trigger Alert” impartiti dal PCUS all’ Armata Rossa, e  programmati nel supercomputer “OKO”.

Attraverso l’apocalittica, le religioni ci forniscono dunque una chiave di lettura della postmodernità e “una guida” per uscirne, rimandandoci alle virtù dell’Epoca Assiale, quella in cui le religioni odierne sono nate e si sono sviluppate: virtù attive, che mal si conciliano con l’attuale quietismo, mirante a sopravvivere pur di sopravvivere, radice prima della nostra decadenza e della senescenza della nostra società.

Giacché le religioni hanno, nel loro seno, quest’inesauribile fonte di creatività culturale, si assiste ovunque, tranne che in Europa, a una rinascita della religiosità, spesso in Forme inedite e inattese (Pachamama, Lord Rama, Imperatore Giallo, Lady Shian), come forma di resistenza alla Società del Controllo Totale. Come scrive Andrea Riccardi su “Il Corriere della Sera”,  “La Chiesa è ovunque sollecitata a guardare con più attenzione alla nazione e all’identità.. a essere una riserva di legittimazione. “

Il sinodo sull’ Amazonia

3.Il ritardo della teologia europea

Solo in Europa questo fenomeno si manifesta con poca intensità a causa della non sovranità degli Europei, che impedisce la formazione di ogni fenomeno di autoaffermazione degli stessi, visto come opposizione al potere occidentale.

Inoltre, l’identità a cui pensa Riccardi e che preoccupa tutto il “mainstream” culturale, cattolico e laico, in Europa, è quella nazionale dei “sovranisti”, mentre quella che sarebbe richiesta dalla situazione, e a cui pensa Papa Bergoglio, fedele all’approccio sudamericano della Patria Grande,  è quella di una grande Patria Europea. Francesco la vede, come già Spinelli, come contrapposta alla tentazione del funzionalismo, espressamente condannato da Eric Przywara, citato nei discorsi di Strasburgo, come già nel sinodo sudamericano di Aparecida.

In Italia, ma sarebbe meglio dire in tutta Europa, la Chiesa Cattolica non ha svolto quell’opera di sviluppo “nazionale” della teologia che ha invece  svolto nelle due Americhe, e di cui Papa Francesco è un prodotto: un’opera caratterizzata da una netta demarcazione, anche nazionale, fra una teologia “liberale” al Nord, che mira ad assomigliare a quella protestante, e una “teologia del popolo” nel Sud, che confina, da un lato, con il sincretismo indigenista, e, dall’ altro, con un  socialismo nazionale. In effetti, come aveva preconizzato John Fiske nel suo arcinoto “Destino Manifesto”, la storia delle Americhe è stata concepita fin dall’ inizio come un “giudizio di Dio” fra l’etica protestante e il cattolicesimo iberico.

Come da noi più volte denunziato, ci sembra che l’Europa sia rimasta indietro nel recupero, in corso nel mondo intero, delle specifiche tradizioni religiose dei popoli, schiacciata com’essa è fra le due divergenti influenze teologiche americane: l’ Americanismo e la Teologia della Liberazione. “Quel che meraviglia è oggi la carenza di riflessione nella Chiesa su questo fenomeno”.(Riccardi).

Come abbiamo più volte rilevato, una volta arrivato al soglio pontificio, Papa Francesco (che, come è noto, è di origine italiana, anzi, è nato ed è stato battezzato proprio al centro di Torino), si era illuso di poter dare egli stesso la spinta iniziale a questa “theologia europaea”, con i suoi discorsi al Parlamento Europeo e al Consiglio d’ Europa. In quell’occasione, aveva parlato di un’”Europa poliedrica”, un’”Europa madre”, che sostituisse l’attuale “Europa nonna”, ritornando a essere “un punto di riferimento del mondo intero”. Purtroppo, le Chiese europee sono come le rispettive nazioni: svuotate dalle, per quanto contraddittorie, influenze delle due Americhe, divise fra un Paese e l’altro, autoflagellantisi al di là di ogni logica necessità. Soprattutto, vittime di pregiudizi nazionalistici e di “imperi sconosciuti”, hanno abbandonato l’invito, di Giovanni Paolo II, a “respirare con i due polmoni” dell’Europa, intestardendosi nella “colonizzazione culturale” dell’ Europa dell’ Est, che, alla fine, si è ribellata con i suoi “sovranismi”, e soprattutto con la rivendicazione delle sue diverse tradizioni (ortodossia, islam, sarmatismo, monarchia..), al mantra, tanto ossessivo quanto privo di significato, dei “nostri valori”.

Infatti, affermare che esista un elenco codificato e normativo di “valori europei”, o,, ancor peggio, “cristiani occidentali” stride con il fatto che, come tutte le espressioni della religiosità, anche i Vangeli, non essendo un testo di diritto, possano essere interpretati nei modi più disparati, e che tutta la storia del Cristianesimo è appunto costellata di controversie sui valori: “Esistono il Paradiso, l’Inferno, il Purgatorio? Che significato dare al Discorso della Montagna e, soprattutto, il Vecchio Testamento, l’opera più violenta della storia della letteratura mondiale?”

Anche per queste enormi oscillazioni è lodevolissimo il fatto che Cardini indichi, fra le fonti a cui abbeverarsi anche quelle ebraiche ed islamiche, uscendo così dall’autoreferenzialità che generalmente contraddistingue il dibattito sulla religione degli Europei. Credo infatti che un approccio comparatistico sia più che mai necessario per superare quella intrinseca contraddittorietà, anche perché il dibattito culturale intraeuropeo in senso stretto si è particolarmente insterilito, proprio a causa dell’egemonia culturale di un Cristianesimo secolarizzato secondo modelli americani. Mi sembrano utili punti di riferimento, come fonti di una rinnovata religiosità europea, l’Anatolico San Paolo, il Punico Agostino, gli Andalusi Averroè e Maimonide, i sudamericani Blas Valera e Bartolomé de Las Casas, l’Italo-Cinese Matteo Ricci,  l’Askhenazi Moses Mendelsohn, lo scandinavo Kierkegaard e l’ Italo-Argentino Papa Francesco.

Attraverso queste letture, emergerà, a mio avviso, una religiosità trasversale degli Europei, paragonabile, nel suo portato geopolitico, ai San Jiao sinici (Taoismo, Confucianesimo e Buddismo), che uniscono tutta l’Asia Orientale in un’unica ecumene culturale (il “Tian Xia”), pur senza in alcun modo appiattire la diversità culturale. Non per nulla, nella sua famosa intervista con il Professor Sisci sulla Cina, Papa Francesco aveva tentato anche di abbozzare una visione culturale e religiosa della Cina, facendo numerose allusioni alla situazione europea.

Tuttavia, nella stessa intenzione degli ultimi tre Pontefici, questo sforzo culturale va fatto, non già in modo centralizzato dal Vaticano, bensì dagli Europei, come parte integrante della loro necessaria ricerca, riscoperta, recupero, rivitalizzazione, ricostruzione, sviluppo e promozione di un’Identità Europea veramente “poliedrica”, attrezzata per svolgere un ruolo attivo e consapevole nel futuro del mondo nel momento decisivo della crisi tecnologica ed ecologica (attività che per altro gli Europei non stanno compiendo, e  per la quale noi vogliamo qui fornire uno stimolo).