Il Governo Meloni si è posto giustamente fin dall’ inizio un problema effettivo: quello dell’“egemonia culturale” nel mondo postmoderno, sulla quale si sono spese oramai tonnellate d’inchiostro, e si stanno ancora scrivendo molti libri.
Contrariamente a quanto sembrerebbe emergere dai limitatissimi dibattiti nostrani, si tratta di una questione addirittura universale, derivante dalla transizione epocale in corso nel mondo intero, in un sistema dominato dalla cultura di massa. Dovunque imperversa più che mai un nuovo “Kulturkampf”, una lotta fra sette ideologizzate per imporre la coincidenza della propria ideologia con la “vera” missione della propria Nazione (la democrazia, l’armonia, la fede, il monoteismo, il politeismo). Questione non marginale anche da noi, visto che i vertici delle nostre Istituzioni ribadiscono quotidianamente la centralità di una nostra ”ideologia nazionale” (i “Valori Condivisi”), anche se ciascun gruppo ha idee lievemente diverse sul loro contenuto. In Usa, fra Suprematisti Bianchi e intellettuali Woke; in India, fra Hindutva e identità minoritarie; nell’ Europa Orientale, fra l’interpretazione russa della storia e quella ucraina; in Palestina, fra la vulgata biblica e quella cananea; nei Balcani, fra Greci e Macedoni….
Ora, questo Kulturkampf è arrivato fino nell’ aula del Parlamento Europeo, con il Presidente pro-tempore dell’Unione e la Presidentessa della Commissione che si sono affrontati a pochi metri di distanza in uno scontro degno, non già di due Istituzioni europee ispirate al dialogo istituzionale per la difesa dell’Europa, bensì dei leader di due rivali gruppuscoli estremisti sessantottini. E non ha stonato, perciò, in questo clima, l’intervento di Ilaria Salis, epigona di quel periodo storico. Del resto, quel che resta del dibattito politico è un pallido strascico della “Lunga Marcia Attraverso le Istituzioni” di Rudi Dutschke, nelle sue due versioni, gauchista e misoneista.
Ben venga, per altro, questo rinnovamento della conflittualità, che ci permetterà ben presto di portare dinanzi al Parlamento Europeo la questione della “vera” identità europea, che dovrebbe essere al centro dei suoi interessi (cfr. il nostro “Quaderno” “Verso le elezioni europee, I partiti europei nella tempesta”).
Occorre però avvertire che, in questo contesto, i termini “Destra” e “Sinistra”, tanto centrali nell’Ottocento e Novecento, hanno oramai un valore puramente archeologico, perché il conflitto centrale del XXI è quello fra Post-Modernità (principio d’indeterminazione, multiculturalità, multipolarismo, Stati-Civiltà) e Post-Umanesimo (Singularity, egualitarismo, one-worldism, politicamente corretto, cultura Woke).
1.La traslazione dell’egemonia culturale in funzione della Terza Guerra Mondiale
La scena a cui abbiamo assistito a Strasburgo ci dice però soprattutto che la guerra in corso in Ucraina, in Palestina e in Libano sta imponendo ovunque uno stile militarizzato dei comportamenti (simile a quello fra il 1914 e il 1950), che è arrivato al cuore delle Istituzioni Internazionali e dell’ Europa.
In particolare, la contrapposizione fra l’“egemonia culturale della sinistra” e quella ambita dalla destra costituisce semplicemente il riflesso italiano di uno spostamento culturale in corso negli “establishment” del mondo intero in preparazione della Terza Guerra Mondiale (quella cosiddetta fra le “Democrazie” e le “Autocrazie”, che dovrebbe costituire un “sequel” della Seconda – fra le “Democrazie” e i “Fascismi”-). E, difatti, così essa era stata progettata fin già da Churchill, che l’aveva chiamata “Operation Unthinkable”, e che si sta tentando di realizzare ora. In vista di quell’”operazione”, sarebbe occorso recuperare (con Gladio), all’alleanza occidentale, una parte del postfascismo, che avrebbe potuto, meglio delle ideologie centriste, fornire una giustificazione teorica credibile all’ aspetto bellicistico, autoritario e conquistatore della democrazia americana (il Maccartismo). Infatti, l’interpretazione tradizionale delle società occidentali come società fondamentalmente “progressiste” (millenarismo, nichilismo, egualitarismo, femminilizzazione, pacifismo, edonismo) le spinge naturalmente verso l’auto-distruzione, il che ostacola gravemente la preparazione bellica. Perciò molti, riallacciandosi all’ “Operazione Unthinkable”, al Maccartismo e a Gladio, sottendono che quando si parla di “Destra” si parli in realtà di “Postfascismo”. Ancor più precisamente, si tratta, a nostro avviso, di una battaglia sull’ interpretazione storica del postfascismo, in quanto, tanto il Regno del Sud e il CLN, quanto la Repubblica Sociale, potevano essere considerati collettivamente come “postfascisti”, non solo per l’ovvio motivo che il PNF era stato appena sciolto e quindi tutta la società ne era profondamente impregnata, ma anche e soprattutto perché, in un modo o nell’ altro, tutti ne riprendevano “pro quota” l’ideologia, l’organizzazione e la prassi, che proprio per questo non sono mai finite: chi il “culto della personalità”, chi la retorica rivoluzionaria, chi l’organizzazione di massa, che il sindacalismo, chi il machismo, chi i rapporti con la Chiesa o gl’industriali. E tutti lo spirito militaresco: alla “Gladio Nera” si opponeva la “Gladio Rossa”, e ben presto sarebbero sopravvenuti le Brigate Rosse e la Rote Armee Fraktion.
Sono questi “residui” del Ventennio che sono ritornati interessanti per l’Occidente, perché permettono di formare militari motivati (se non fanatici), come quelli di Tsahal e del Battaglione Azov.
La destra italiana è rimasta così identificata da tutti, in sostanza, con la difesa delle ragioni di chi aveva scelto la Repubblica Sociale o il Regno del Sud, e la Sinistra con coloro che pretendevano di riallacciarsi al CLN (il tutto con grossolane forzature, di cui l’esempio più eclatante è “Bella Ciao”, che non fu mai cantata dai partigiani, ma si inventò molti anni dopo per nascondere “Fischia il vento e soffia la bufera”). Il che spiega gli accaniti dibattiti su questioni storiche ormai fuori tempo massimo.
Poiché si tratta oggi di dare una giustificazione ideologica alla “guerra contro le autocrazie”, si tenta dunque di separare e salvare il nocciolo “progressista” del fascismo (popolo e nazione, plebisciti, modernizzazione, borghesia), che ne farebbero un movimento “occidentale”, dalle sue (queste, accidentali) componenti tradizionalistiche (culto dell’ antico, clerico-fascismo, patriarcato, militarismo, gerarchia), che invece lo renderebbero affine alle attuali “autocrazie” (regimi diversissimi fra di loro, ma spesso accomunati dal culto dei miti ancestrali, dalla teocrazia, dal machismo, dal ruolo dell’ esercito, da strutture verticali di potere). Una sintesi che per altro nessuno, che noi sappiamo, è stato ancora in grado di operare, ma che andrebbe fatta.
E’ in questo contesto che la Destra può credibilmente sostenere che, a partire dal secondo dopoguerra, si è perpetuata , sotto lo slogan dell’ antifascismo, un’ egemonia culturale della Sinistra, vale a dire degli eredi ideologici putativi del CLN (che accomunavano marxisti e filo-occidentali), e che tale egemonia deve ora finire (per aprire la nuova fase, quella dell’”alleanza contro le autocrazie”, in cui l’elemento discriminante sarà l’occidentalismo). Sul fatto che quell’egemonia vi sia stata, nulla quaestio; sul perché, è altrettanto ovvio: l’Asse era stato sconfitto dagli Alleati, e la monarchia con il referendum, sicché i ceti intellettuali preesistenti erano stati costretti a cercarsi nuovi sponsors.
Date quelle premesse storiche, altrettanto ovvie le debolezze ideologiche della Destra, che, avendo ripreso (anch’essa indebitamente) le eredità già fra loro confliggenti del Fascismo-Regime, del Fascismo-Movimento, della Repubblica Sociale e della tradizione risorgimentale sabauda (fosse essa monarchica, liberale o mazziniana), era stata indebolita ulteriormente , da un lato dalle defezioni opportunistiche, e, dall’ altro, dalle obiettive discriminazioni (epurazioni e altre).Ma, soprattutto, la Destra post-bellica sarà di fatto molto lontana dal fascismo perché il discredito di quest’ultimo aveva permesso il riemergere, seppure in sordina, di correnti culturali antimoderne prima marginali (come lo spiritualismo e il liberalismo conservatore), in concorrenza con esso. Inoltre, la centrale presenza della Democrazia Cristiana toglieva peso tanto alla Sinistra quanto alla Destra. Infine, l’Occidente a guida americana non rispondeva affatto all’ immagine che se ne facevano i conservatori italiani: era animato dal messianesimo protestante, e quindi anti-cattolico; alimentava nel suo seno il Post-Umanesimo; era la culla (allora incompresa) dell’ ideologia gender…
In effetti, un vero identikit della destra non è mai stato disegnato da nessuno, e oggi è troppo tardi per farlo, perché Destra e Sinistra si sono oramai sciolte, sostituite dalla lotta fra Post-Modernità e Post-Umanesimo. Oggi sarebbe invece ora di sviluppare una teoria unitaria del mondo multipolare, con le sue diversità e i suoi progetti comuni, e del suo avversario, la Singularity.
La Sinistra aveva avuto a prima vista un gioco relativamente facile a denunziare le incoerenze, l’ignoranza, la grettezza, la limitatezza della “cultura di destra”, portata avanti per decenni da alcuni pochi volenterosi, i quali, incuranti della sconfitta, delle ristrettezze, delle persecuzioni, hanno perseverato in modo individualistico, scoordinato e quasi segreto a lavorare su vecchi autori e vecchi concetti.
E, tuttavia, occorre intanto notare che neanche la cultura di Sinistra, nonostante il favore dei potenti, la propaganda, le prebende, le carriere, le case editrici, i media, ha prodotto, in 80 anni, un solo D’Annunzio, Pirandello, Ungaretti, Marconi, Puccini, Mascagni, Gentile, Evola, De Chirico, Marinetti, Sironi…La sua vittoria è stata importata dall’ esterno e sterile. Chi creava e inventava in quegli anni stava altrove: Eliade, Asimov, Burgess, Horkheimer e Adorno, Buber, Eisenstadt, Wiener, Tarkovskij, Kieslowsky, Lukàcs, Sartre, Heidegger, Solzhenicin, Voegelin, Marcuse, Kissinger…Lo stesso dicasi dell’ enorme sproporzione fra il peso politico della DC e la sua incapacità di animare una forte cultura, sicché la cultura di destra, recuperando autori del passato o operanti fuori dall’ Italia, aveva comunque acquisito, nonostante le sue pecche, una sua dignità culturale, come testimoniato dal gran numero di case editrici e riviste culturali. Tutto ciò è però oggi sostituito da Post-Modernità e Post-Umanesimo.
Ciò detto, l’idea gramsciana di un’ “egemonia culturale” piace oggi a molti, perché è, in un mondo di ipocrisia “democratica”, un modo elegante e sfuggente per parlare bene della “dittatura”(di sinistra o di destra). E’ noto infatti che Gramsci, teorizzando l’”egemonia culturale del Partito Comunista”, prendeva sostanzialmente posizione per una politica dei Fronti Popolari, poi realizzata pienamente in Germania Est, Polonia e Jugoslavia, che da noi veniva invece stigmatizzata come “dittatura comunista”, ma veniva poi praticata di fatto con il nome di “Arco Costituzionale”.
Orbene, l’idea dei “fronti popolari” (o “nazionali” : “narodnye fronty”) è stata , “mutatis mutandis” la stessa formula del Fascismo, vale a dire quella di una alleanza fra tutte le forze che rappresentano “il popolo”n si fronte a un’emergenza nazionale (la Guerra Tradita, il Biennio Rosso, il “Dolchstoss”). Si noti che, nel primo Governo Mussolini, c’erano, oltre ai fascisti (rappresentati da Mussolini, fresco di socialismo massimalista), socialdemocratici, anarco-sindacalisti, liberali, popolari e monarchici. L’”egemonia” spettava, ovviamente, ai fascisti. Per un breve periodo, perfino il PCI, illegale e fuoriuscito, aveva propugnato, sul modello cinese del KuomingTang, l’”entrismo” nel Partito Fascista (l’”Appello ai fratelli in camicia nera”).
Si noti però anche che, con “egemonia”, si vorrebbe descrivere una forma di potere basata sul “soft power”,mentre tanto l’egemonia comunista che quella fascista si reggevano solo in parte sulla cultura egemone, per altre sulla legge o sulla violenza di Stato. Per questo, sono state definite come “totalitarismo”. Ma Tocqueville, Voegelin, Molnar, Neumann e Marcuse hanno messo in evidenza che, in realtà, anche la “democrazia liberale” dell’ Occidente è una forma di totalitarismo, in quanto anch’essa è un’attualizzazione della cosiddetta “Nuova Società Organica” profetizzata da Saint Simon. Per ciò che ci riguarda più da vicino, poi, nell’attuale società “occidentale”, questa natura “totalitaria” è più evidente che mai, dato che tutte le informazioni su ciascuno di noi sono oramai contenute in modalità digitale nei server della NSA a Salt Lake City; che l’Italia è occupata da ben 113 basi americane; che vi è il divieto inviolabile (“tabù”) di rivelare le radici indeterminate e irrazionali di ogni cultura, e in primis quella moderna; che i “poteri forti” orientano di nascosto la società coperti dal più assoluto segreto; che solo chi accetta passivamente queste premesse è ammesso nei posti che contano; che tutto ciò è necessariamente coperto dall’ ipocrisia; che i comportamenti religiosi, politici, commerciali, artistici, e perfino sportivi, sono il risultato di quel formidabile meccanismo di “propaganda” ben descritto da Berneis nell’ omonimo libro e da Packard nei “Persuasori Occulti”; che, come dimostrato per esempio dalla vicenda di Cambridge Analytica, l’utilizzo di Internet ha peggiorato ulteriormente la situazione…Non manca neppure l’aspetto brutale, con Hiroshima e Nagasaki, il napalm, le Extraordinary Renditions, Gaza, l’UNIFIL…
La cosiddetta “egemonia culturale” s’identifica, nel linguaggio americano, con la “Finestra di Overton”, che delimita il campo dei modelli di pensiero ammessi nel “discorso pubblico”, che sono i soli a godere di una vera “libertà di pensiero”, mentre tutti gli altri (per esempio il relativismo assoluto, il neo-paganesimo, il nazi-fascismo, il tradizionalismo cristiano, ebraico e islamico, il pan-sindacalismo, il vetero-marxismo) non riescono a trovare nessun canale di espressione, e, quando, raramente, vi riescono, sono soggetti a ogni genere di rappresaglie.
A nostro avviso, l’egemonia culturale non è un concetto auspicabile, perché verte sull’ idea che vi sia un pensiero-guida che porta l’Umanità verso il progresso, e che, pertanto, si abbia diritto di imporre questo pensiero. Cosa che di fatto è avvenuta e avviene con la scuola laicistica ottocentesca, con la Dottrina del Fascismo, con la Memoria Condivisa, con i Valori Comuni europei. Si tratta in realtà dell’ ideologia di guerra dell’ Occidente, che la usa per delegittimare le culture orientali, pre-alfabetiche e pre-moderne, e, di conseguenza, l’attuale pretesa del “Sud del Mondo” di essere trattato su un piede di parità con l’Occidente.
Al contrario, oggi si impone, come ha detto Papa Francesco al Parlamento Europeo, una visione “poliedrica”, che permetta un reale dialogo fra le varie parti del mondo, rintracciando i “Valori spessi” comuni al di sotto della congerie dei “Valori Sottili”, specifici a ogni singolo continente, religione, nazione, ideologia, regione, ceto sociale, città o individuo (Hans Kueng).
2.Ineludibilità dell’esoterismo
La realtà è che nessuna società, e, in particolare, nessuna società democratica, può permettersi una completa trasparenza culturale (cfr. Nadia Urbinati).
In particolare, l’”Egemonia Culturale” è un portato del dominio della propaganda nelle società democratiche, teorizzato dal già citato Berneis, uno dei pensatori determinanti per la Modernità. Nelle società di massa, l’omogeneità culturale è un’esigenza primaria da tutti conclamata, ed attuata massicciamente attraverso i discorsi dei politici e degli opinionisti, i giornali, i libri di scuola….In queste società, dove l’ideologia ha sostituito la teologia (Lessing, Saint-Simon, Michelet, Mazzini, Trockij, Lunacarskij, Blok, Teilhard de Chardin), il ruolo dei media è comunque una forma di propaganda per il potere esistente, attraverso le mediazioni della scuola e dell’ editoria pubblica e privata. Innanzitutto, in questa società relativistica, non è possibile parlare apertamente proprio della inconoscibilità delle basi dei valori (Pascal, Nietzsche, Wittgenstein, De Finetti, Lukàcs), perché ciò scatenerebbe il caos politico e sociale, sì che opere fondamentali, come “Dialettica dell’ Illuminismo” e “Idealismo Pratico” abbiano penato enormemente per essere pubblicate. Il lavoro degl’intellettuali dev’essere censurato: per questo sono stati inventati il “politicamente corretto”, la “Cancel Culture” e la cultura Woke. Dalla censura deriva poi l’esigenza dell’autocensura, che si traduce in nicodemismo, esoterismo e appiattimento.
Fino dai tempi di Atene, solo i cittadini optimo jure della polis democratica potevano accedere ai Misteri Eleusini, e Roma ci ha lasciato tracce inequivocabili di esoterismo – dalle catacombe ai mitrei, ai templi di Iside-…
Averroè aveva teorizzato apertamente una cultura a due livelli: i filosofi, che parlano col Principe, e i teologi che parlano col popolo. Stessa teoria aveva espresso il cinese Zhuangzi, criticando l’universalista Mozi: “Insegnare questa dottrina ad altri non è amarli; richiedere a se stessi di praticarla non è amore di sé; le vie del santo non possono annullare i cuori dei mortali. Non sono la via del mondo. Solo Mozi ne è all’ altezza, ma tutti gli altri non ci riescono!”)
Ne era derivata la teoria della “doppia verità” dell’ averroismo latino. Il resto lo avevano fatto le Società Segrete, a cominciare dalla Massoneria.
Con Gramsci, la “teologia” marxista puntava a un’ egemonia culturale che si sarebbe affiancata alla cultura popolare italiana, che, per il nostro Autore, era quella cattolica. Non è chiaro se Gramsci ambisse a costituire una forma di sapere esoterico , per le élite (che la cultura marxista comunque ebbe) , lasciando al cattolicesimo il ruolo di cultura delle masse (divisione del lavoro tipica della Ia Repubblica). In realtà, il concetto di “nazional-popolare” lascia presumere che ambedue le culture potessero coesistere a tutti i livelli.
Per tutte queste ragioni, il gramscismo è sempre piaciuto alla politica di destra, a cominciare da Giancarlo Fini. Anche perché Gentile, e perfino Croce, erano stato cultori di Marx, al punto che buona parte dei marxisti italiani erano restati, nel fondo, o gentiliani, o crociani.
Quindi, nulla di nuovo nel libro del nuovo ministro della cultura Alessandro Giuli, “Gramsci è vivo, Sillabario per un’egemonia contemporanea”, che però, anche per i motivi sopra citati, può risultare utile per accreditare ulteriormente FdI come parte integrante del “consensus” progressista ed occidentale, di cui si afferma di voler difendere e diffondere i “valori”. Il che è, a sua volta, in Italia come nel resto del mondo, un passaggio storico necessario (anche se sotto molti aspetti discutibile) per la inevitabile “trasmutazione di tutti i valori” profetizzata da Nietzsche ed oggi grandiosamente in corso. Ad esempio, in Russia, si era partiti dal millenarismo di Trockij e Lunacarkij, per passare al riformismo della NEP, al conservatorismo staliniano, al nazionalismo della Grande Guerra Patriottica, alla Politica delle Nazionalità, al dissenso, alla Glasnost’, alla Perestrojka, al neo-liberalismo, al conservatorismo russo, e, infine, al tradizionalismo dell’era putiniana. Così pure in Cina avevamo avuto prima la Rivoluzione Culturale, poi le Quattro Modernizzazioni, e, ora, lo Xiaokang di Xi Jinping.
Entro l’ atmosfera nicodemista dell’attuale politica culturale, persino l’ironico discorso inaugurale del neo-ministro Giuli alla Commissione Cultura ha avuto una sua logica, in quanto sarebbe stato impossibile illustrare seriamente in quel contesto siffatti complessi processi storici, e allora è più saggio fingersi pazzi, tenendone però il debito conto nell’ azione politica pratica…Se non altro perché un secolo di diseducazione ha disabituato gli Europei a ragionare con le proprie teste, sì che s’impone più che mai una comunicazione a più strati, suggestiva e allusiva, come quella propugnata da Averroè.
Quello che interessa però è il dopo. La politica culturale dell’Italia continuerà ad essere asservita al disegno globale della “Guerra fra le democrazie e le autocrazie”, e quindi, come scrive Lagioia su “La Repubblica”, ad essere concepita come un “parco a tema”? Oppure si sfrutterà l’opportunità offerta dalla “Trasmutazione di tutti i valori” in corso a livello mondiale, per una partenza veramente nuova, nella costruzione di una nuova identità europea che ci eviti la Seconda Guerra Civile Europea?
Giustamente, Massimo Recalcati indica la via verso una rinascita della società europea in una rinascita della capacità, da parte dei giovani, di desiderare. Ma questo significa fuoriuscire dalla mentalità occidentale, dove si pretende che la felicità sia un diritto costituzionale, mentre invece essa è uno stato esistenziale che sopravviene (come scriveva Nietzsche, solo se “non voluta”), come conseguenza della fedeltà tenace al proprio desiderio più alto. Non per nulla, Saint-Exupéry poneva al centro della propria opera più sistematica il valore de “la Ferveur”, ch’egli immaginava caratterizzare l’immaginario impero berbero intorno alla sua “Citadelle”.