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EGEMONIA CULTURALE ED ESOTERISMO

Il Governo Meloni si è posto giustamente fin dall’ inizio un problema effettivo: quello dell’“egemonia culturale” nel mondo postmoderno, sulla quale si sono spese oramai tonnellate d’inchiostro, e si stanno ancora scrivendo molti libri.

Contrariamente a quanto sembrerebbe emergere dai limitatissimi dibattiti nostrani, si tratta di una questione addirittura universale, derivante dalla transizione epocale in corso nel mondo intero, in un sistema dominato dalla cultura di massa. Dovunque imperversa più che mai un nuovo “Kulturkampf”, una lotta fra sette ideologizzate per imporre la coincidenza della propria ideologia con la “vera” missione della propria Nazione (la democrazia, l’armonia, la fede, il monoteismo, il politeismo). Questione non marginale anche da noi, visto che i vertici delle nostre Istituzioni ribadiscono quotidianamente la centralità di una nostra ”ideologia nazionale” (i “Valori Condivisi”), anche se ciascun gruppo ha idee lievemente diverse sul loro contenuto. In Usa, fra Suprematisti Bianchi e intellettuali Woke; in India, fra Hindutva e identità minoritarie; nell’ Europa Orientale, fra l’interpretazione russa della storia e quella ucraina; in Palestina, fra la vulgata  biblica e quella cananea; nei Balcani, fra Greci e Macedoni….

Ora, questo Kulturkampf è arrivato fino nell’ aula del Parlamento Europeo, con il Presidente pro-tempore dell’Unione e la Presidentessa della Commissione che si sono affrontati a pochi metri di distanza in uno scontro degno, non già di due Istituzioni europee ispirate al dialogo istituzionale per la difesa dell’Europa, bensì dei leader di due rivali gruppuscoli estremisti sessantottini. E non ha stonato, perciò, in questo clima, l’intervento di Ilaria Salis, epigona di quel periodo storico. Del resto, quel che resta del dibattito politico è un pallido strascico  della “Lunga Marcia Attraverso le Istituzioni” di Rudi Dutschke, nelle sue due versioni, gauchista e misoneista.

Ben venga, per altro, questo rinnovamento della conflittualità, che ci permetterà ben presto di portare dinanzi al Parlamento Europeo la questione della “vera” identità europea, che dovrebbe essere al centro dei suoi interessi (cfr. il nostro “Quaderno” “Verso le elezioni europee, I partiti europei nella tempesta”).

Occorre però avvertire che, in questo contesto, i termini “Destra” e “Sinistra”, tanto centrali nell’Ottocento e Novecento, hanno oramai un valore puramente archeologico, perché il conflitto  centrale del XXI è quello fra Post-Modernità (principio d’indeterminazione, multiculturalità, multipolarismo, Stati-Civiltà) e Post-Umanesimo (Singularity, egualitarismo, one-worldism, politicamente corretto, cultura Woke).

1.La traslazione dell’egemonia culturale in funzione della Terza Guerra Mondiale

La scena a cui abbiamo assistito a Strasburgo ci dice però soprattutto che la guerra in corso in Ucraina, in Palestina e in Libano sta imponendo  ovunque uno stile militarizzato dei comportamenti (simile a quello fra il 1914 e il 1950), che è arrivato al cuore delle Istituzioni Internazionali e dell’ Europa.

In particolare, la contrapposizione fra l’“egemonia culturale della sinistra” e quella ambita dalla destra costituisce semplicemente il riflesso italiano di uno spostamento culturale in corso negli  “establishment” del mondo intero in preparazione della Terza Guerra Mondiale (quella cosiddetta fra le “Democrazie” e  le “Autocrazie”, che dovrebbe costituire un “sequel” della Seconda – fra le “Democrazie” e i “Fascismi”-). E, difatti, così essa era stata progettata fin già da Churchill,  che l’aveva chiamata “Operation Unthinkable”, e che si sta tentando di realizzare ora. In vista di quell’”operazione”, sarebbe occorso recuperare (con Gladio), all’alleanza occidentale, una parte del postfascismo, che avrebbe potuto, meglio delle ideologie centriste, fornire una giustificazione teorica credibile all’ aspetto bellicistico, autoritario e conquistatore della democrazia americana (il Maccartismo). Infatti, l’interpretazione tradizionale delle società occidentali  come società fondamentalmente “progressiste”  (millenarismo, nichilismo, egualitarismo, femminilizzazione, pacifismo, edonismo) le spinge naturalmente verso l’auto-distruzione, il che ostacola gravemente la preparazione bellica. Perciò molti, riallacciandosi all’ “Operazione Unthinkable”, al Maccartismo e a Gladio, sottendono che quando si parla di  “Destra” si parli in realtà di “Postfascismo”. Ancor più precisamente, si tratta, a nostro avviso,  di una battaglia sull’ interpretazione storica del postfascismo, in quanto, tanto il Regno del Sud e il CLN, quanto la Repubblica Sociale, potevano essere considerati collettivamente come “postfascisti”, non solo per l’ovvio motivo che il PNF era stato appena sciolto e quindi tutta la società ne era profondamente impregnata, ma anche e soprattutto perché, in un modo o nell’ altro, tutti ne riprendevano “pro quota” l’ideologia, l’organizzazione e la prassi, che proprio per questo non sono mai finite: chi il “culto della personalità”, chi la retorica rivoluzionaria, chi l’organizzazione di massa, che il sindacalismo, chi il machismo, chi i rapporti con la Chiesa o gl’industriali. E tutti lo spirito militaresco: alla “Gladio Nera” si opponeva la “Gladio Rossa”, e ben presto sarebbero sopravvenuti le Brigate Rosse e la Rote Armee Fraktion.

Sono questi “residui” del Ventennio che sono ritornati interessanti per l’Occidente, perché permettono di formare militari motivati (se non fanatici), come quelli di Tsahal e del Battaglione Azov.

La destra italiana è rimasta così identificata da tutti, in sostanza,  con la difesa delle ragioni di chi aveva scelto la Repubblica Sociale o il Regno del Sud, e la Sinistra con coloro che pretendevano di riallacciarsi al CLN (il tutto con grossolane forzature, di cui l’esempio più eclatante è “Bella Ciao”, che non fu mai cantata dai partigiani, ma si inventò molti anni dopo per nascondere “Fischia il vento e soffia la bufera”). Il che spiega gli accaniti dibattiti su questioni storiche ormai fuori tempo massimo.

Poiché si tratta oggi di dare una giustificazione ideologica alla “guerra contro le autocrazie”, si tenta dunque di separare e salvare il nocciolo “progressista” del fascismo (popolo e nazione, plebisciti, modernizzazione, borghesia), che ne farebbero un movimento “occidentale”,  dalle sue (queste, accidentali) componenti tradizionalistiche (culto dell’ antico, clerico-fascismo, patriarcato, militarismo, gerarchia), che invece lo renderebbero affine alle attuali “autocrazie” (regimi diversissimi fra di loro, ma spesso accomunati dal culto dei miti ancestrali, dalla teocrazia, dal machismo, dal ruolo dell’ esercito, da strutture verticali di potere). Una sintesi che per altro nessuno, che noi sappiamo, è stato ancora in grado di operare, ma che andrebbe fatta.

E’ in questo contesto che la Destra può credibilmente sostenere che, a partire dal secondo dopoguerra,  si è perpetuata , sotto lo slogan dell’ antifascismo, un’ egemonia culturale della Sinistra, vale a dire degli eredi ideologici putativi del CLN (che accomunavano marxisti e filo-occidentali), e che tale egemonia deve ora finire (per aprire la nuova fase, quella  dell’”alleanza contro le autocrazie”, in cui l’elemento discriminante sarà l’occidentalismo). Sul fatto che quell’egemonia vi sia stata, nulla quaestio; sul perché, è altrettanto ovvio: l’Asse era stato sconfitto dagli Alleati, e la monarchia con il referendum, sicché i ceti intellettuali preesistenti erano stati costretti a cercarsi nuovi sponsors.

Date quelle premesse storiche, altrettanto ovvie le debolezze ideologiche della Destra,  che, avendo ripreso (anch’essa indebitamente) le eredità già fra loro confliggenti del Fascismo-Regime, del Fascismo-Movimento, della Repubblica Sociale e della tradizione risorgimentale sabauda (fosse essa monarchica, liberale o mazziniana), era stata indebolita ulteriormente , da un lato dalle defezioni opportunistiche, e, dall’ altro, dalle obiettive discriminazioni (epurazioni e altre).Ma, soprattutto, la Destra post-bellica sarà di fatto molto lontana dal fascismo perché il discredito di quest’ultimo aveva permesso il riemergere, seppure in sordina, di correnti culturali antimoderne prima marginali (come lo spiritualismo e il liberalismo conservatore), in concorrenza con esso. Inoltre,  la centrale presenza della Democrazia Cristiana toglieva peso tanto alla Sinistra quanto alla Destra. Infine, l’Occidente a guida americana non rispondeva affatto all’ immagine che se ne facevano i conservatori italiani: era animato dal messianesimo protestante, e quindi anti-cattolico; alimentava nel suo seno il Post-Umanesimo; era la culla (allora incompresa) dell’ ideologia gender…

In effetti, un vero identikit della destra non è mai stato disegnato da nessuno, e oggi è troppo tardi per farlo, perché Destra e Sinistra si sono oramai sciolte, sostituite dalla  lotta fra Post-Modernità e Post-Umanesimo. Oggi sarebbe invece ora di sviluppare una teoria unitaria del mondo multipolare, con le sue diversità e i suoi progetti comuni, e del suo avversario, la Singularity.

La Sinistra aveva avuto a prima vista un gioco relativamente facile a denunziare le incoerenze, l’ignoranza, la grettezza, la limitatezza della “cultura di destra”, portata avanti per decenni da alcuni pochi volenterosi, i quali, incuranti della sconfitta, delle ristrettezze, delle persecuzioni, hanno perseverato in modo individualistico, scoordinato e quasi segreto a lavorare su vecchi autori e vecchi concetti.

E, tuttavia, occorre intanto notare che neanche la cultura di Sinistra, nonostante il favore dei potenti, la propaganda, le prebende, le carriere, le case editrici, i media, ha prodotto, in 80 anni, un solo D’Annunzio, Pirandello, Ungaretti,  Marconi, Puccini, Mascagni, Gentile, Evola, De Chirico, Marinetti, Sironi…La sua vittoria è stata importata dall’ esterno e sterile. Chi creava e inventava in quegli anni  stava altrove: Eliade, Asimov, Burgess, Horkheimer e Adorno, Buber, Eisenstadt, Wiener, Tarkovskij, Kieslowsky, Lukàcs, Sartre, Heidegger, Solzhenicin, Voegelin, Marcuse, Kissinger…Lo stesso dicasi dell’ enorme sproporzione fra il peso politico della DC e la sua incapacità di animare una forte cultura, sicché la cultura di destra, recuperando autori del passato o operanti fuori dall’ Italia, aveva comunque acquisito, nonostante le sue pecche, una sua dignità culturale, come testimoniato dal gran numero di case editrici e riviste culturali. Tutto ciò è però oggi sostituito da Post-Modernità e Post-Umanesimo.

Ciò detto, l’idea gramsciana di un’ “egemonia culturale” piace oggi a molti, perché è, in un mondo di ipocrisia “democratica”, un modo elegante e sfuggente per parlare bene della “dittatura”(di sinistra o di destra). E’ noto infatti che Gramsci, teorizzando l’”egemonia culturale del Partito Comunista”, prendeva sostanzialmente posizione per una politica dei Fronti Popolari, poi realizzata pienamente in Germania Est, Polonia e Jugoslavia, che da noi veniva invece stigmatizzata come “dittatura comunista”, ma veniva poi praticata di fatto con il nome di “Arco Costituzionale”.

Orbene, l’idea dei “fronti popolari” (o “nazionali” : “narodnye fronty”) è stata , “mutatis mutandis” la stessa formula del Fascismo,  vale a dire quella di una alleanza fra tutte le forze che rappresentano “il popolo”n si fronte a un’emergenza nazionale (la Guerra Tradita, il Biennio Rosso, il “Dolchstoss”). Si noti che, nel primo Governo Mussolini, c’erano, oltre ai fascisti (rappresentati da Mussolini, fresco di socialismo massimalista), socialdemocratici, anarco-sindacalisti, liberali, popolari e monarchici. L’”egemonia” spettava, ovviamente, ai fascisti. Per un breve periodo, perfino il PCI, illegale e fuoriuscito, aveva propugnato, sul modello cinese del KuomingTang, l’”entrismo” nel Partito Fascista (l’”Appello ai fratelli in camicia nera”).

Si noti però anche che, con “egemonia”, si vorrebbe descrivere una forma di potere basata sul “soft power”,mentre  tanto l’egemonia comunista che quella fascista si reggevano solo in parte sulla cultura egemone, per altre sulla legge o sulla violenza di Stato. Per questo, sono state definite come “totalitarismo”. Ma Tocqueville, Voegelin, Molnar, Neumann e Marcuse hanno messo in evidenza che, in realtà,  anche la “democrazia liberale” dell’ Occidente è una forma di totalitarismo, in quanto anch’essa è un’attualizzazione della cosiddetta “Nuova Società Organica” profetizzata da Saint Simon. Per ciò che ci riguarda più da vicino, poi, nell’attuale società “occidentale”, questa natura “totalitaria” è più evidente che mai, dato che tutte le informazioni su ciascuno di noi sono oramai contenute in modalità digitale nei server della NSA a Salt Lake City; che l’Italia è occupata da ben 113 basi americane; che vi è il divieto inviolabile (“tabù”) di rivelare le radici indeterminate e irrazionali di ogni cultura,  e in primis quella moderna; che i “poteri forti” orientano di nascosto la società coperti dal più assoluto  segreto; che solo chi accetta passivamente queste premesse è ammesso nei posti che contano; che tutto ciò è necessariamente coperto dall’ ipocrisia; che i comportamenti religiosi, politici, commerciali, artistici, e perfino sportivi, sono il risultato di quel formidabile meccanismo di “propaganda” ben descritto da Berneis nell’ omonimo libro e da Packard nei “Persuasori Occulti”; che, come dimostrato per esempio dalla vicenda di Cambridge Analytica, l’utilizzo di Internet ha peggiorato ulteriormente la situazione…Non manca neppure l’aspetto brutale, con Hiroshima e Nagasaki, il napalm, le Extraordinary Renditions, Gaza, l’UNIFIL…

La cosiddetta “egemonia culturale” s’identifica, nel linguaggio americano, con la “Finestra di Overton”, che delimita il campo dei modelli di pensiero ammessi nel “discorso pubblico”, che sono i soli a godere di una vera “libertà di pensiero”, mentre tutti gli altri (per esempio il relativismo assoluto, il neo-paganesimo, il nazi-fascismo, il tradizionalismo cristiano, ebraico e islamico, il pan-sindacalismo, il vetero-marxismo) non riescono a trovare nessun canale di espressione, e, quando, raramente, vi riescono, sono soggetti a ogni genere di rappresaglie.

A nostro avviso, l’egemonia culturale non è un concetto auspicabile, perché verte sull’ idea che vi sia un pensiero-guida che porta l’Umanità verso il progresso, e che, pertanto, si abbia diritto di imporre questo pensiero. Cosa che di fatto è avvenuta e avviene con la scuola laicistica ottocentesca, con la Dottrina del Fascismo, con la Memoria Condivisa, con i Valori Comuni europei. Si tratta in realtà dell’ ideologia di guerra dell’ Occidente, che la usa per delegittimare le culture orientali, pre-alfabetiche e pre-moderne, e, di conseguenza, l’attuale pretesa del “Sud del Mondo” di essere trattato su un piede di parità con l’Occidente.

Al contrario, oggi si impone, come ha detto Papa Francesco al Parlamento Europeo, una visione “poliedrica”, che permetta un reale dialogo fra le varie parti del mondo, rintracciando i “Valori spessi” comuni al di sotto della congerie dei “Valori Sottili”, specifici a ogni singolo continente, religione, nazione, ideologia, regione, ceto sociale, città o individuo (Hans Kueng).

2.Ineludibilità dell’esoterismo

La realtà è che nessuna società, e, in particolare, nessuna società democratica, può permettersi  una completa trasparenza culturale (cfr. Nadia Urbinati).

In particolare, l’”Egemonia Culturale” è un portato del dominio  della propaganda nelle società democratiche, teorizzato dal già citato Berneis, uno dei pensatori determinanti per la Modernità. Nelle società di massa, l’omogeneità culturale è un’esigenza primaria da tutti conclamata, ed attuata massicciamente attraverso i discorsi dei politici e degli opinionisti, i giornali, i libri di scuola….In queste società, dove l’ideologia ha sostituito la teologia (Lessing, Saint-Simon, Michelet, Mazzini, Trockij, Lunacarskij, Blok, Teilhard de Chardin), il ruolo dei media è comunque una forma di propaganda per il potere esistente, attraverso le mediazioni della scuola e dell’ editoria pubblica e privata. Innanzitutto, in questa società relativistica, non è possibile parlare apertamente proprio della inconoscibilità delle basi dei valori (Pascal, Nietzsche, Wittgenstein, De Finetti, Lukàcs), perché ciò scatenerebbe il caos politico e sociale, sì che opere fondamentali, come “Dialettica dell’ Illuminismo” e “Idealismo Pratico” abbiano penato enormemente per essere pubblicate. Il lavoro degl’intellettuali dev’essere censurato: per questo sono stati inventati il “politicamente corretto”, la “Cancel Culture” e la cultura Woke. Dalla censura deriva poi l’esigenza dell’autocensura, che si traduce in nicodemismo, esoterismo e appiattimento.

Fino dai tempi di Atene, solo i cittadini optimo jure della polis democratica  potevano accedere ai Misteri Eleusini, e Roma ci ha lasciato tracce inequivocabili di esoterismo – dalle catacombe ai mitrei, ai templi di Iside-…

Averroè aveva teorizzato apertamente una cultura a due livelli: i filosofi, che parlano col Principe, e i teologi che parlano col popolo. Stessa teoria aveva espresso il cinese Zhuangzi, criticando l’universalista Mozi: “Insegnare questa dottrina ad altri non è amarli; richiedere a se stessi di praticarla non è amore di sé; le vie del santo non possono annullare i cuori dei mortali. Non sono la via del mondo. Solo Mozi ne è all’ altezza, ma tutti gli altri non ci riescono!”)

Ne era derivata la teoria della “doppia verità” dell’ averroismo latino. Il resto lo avevano fatto le Società Segrete, a cominciare dalla Massoneria.

Con Gramsci, la “teologia” marxista puntava a un’ egemonia culturale che si sarebbe affiancata alla cultura popolare italiana, che, per il nostro Autore, era quella cattolica. Non è chiaro se Gramsci ambisse a costituire una forma di sapere esoterico , per le élite (che la cultura marxista comunque ebbe) , lasciando al cattolicesimo il ruolo di cultura delle masse (divisione del lavoro tipica della Ia Repubblica). In realtà, il concetto di “nazional-popolare” lascia presumere che ambedue le culture potessero coesistere a tutti i livelli.

Per tutte queste ragioni, il gramscismo è sempre piaciuto alla politica di destra, a cominciare da Giancarlo Fini. Anche perché Gentile, e perfino Croce, erano stato cultori di Marx, al punto che buona parte dei marxisti italiani erano restati, nel fondo, o gentiliani, o crociani.

Quindi, nulla di nuovo nel libro del nuovo ministro della cultura Alessandro Giuli, “Gramsci è vivo, Sillabario per un’egemonia contemporanea”, che però, anche per i motivi sopra citati, può risultare utile per  accreditare ulteriormente FdI come parte integrante del “consensus” progressista ed occidentale, di cui si afferma di voler difendere e diffondere i “valori”. Il che è, a sua volta, in Italia come nel resto del mondo, un passaggio storico necessario (anche se sotto molti aspetti discutibile) per la inevitabile “trasmutazione di tutti i valori” profetizzata da Nietzsche ed oggi grandiosamente in corso. Ad esempio, in Russia, si era partiti dal millenarismo di Trockij e Lunacarkij, per passare al riformismo della NEP, al conservatorismo staliniano, al nazionalismo della Grande Guerra Patriottica, alla Politica delle Nazionalità, al dissenso, alla Glasnost’, alla Perestrojka, al neo-liberalismo, al conservatorismo russo, e, infine, al tradizionalismo dell’era putiniana. Così pure in Cina avevamo avuto prima la Rivoluzione Culturale, poi le Quattro Modernizzazioni, e, ora, lo Xiaokang di Xi Jinping.

Entro l’ atmosfera nicodemista dell’attuale politica culturale, persino l’ironico discorso inaugurale del neo-ministro Giuli alla Commissione Cultura ha avuto una sua logica, in quanto sarebbe stato impossibile illustrare seriamente in quel contesto siffatti complessi processi storici, e allora è più saggio fingersi pazzi, tenendone però il debito conto nell’ azione politica pratica…Se non altro perché un secolo di diseducazione ha disabituato gli Europei a ragionare con le proprie teste, sì che s’impone più che mai una comunicazione a più strati, suggestiva e allusiva, come quella propugnata da Averroè.

Quello che interessa però è il dopo. La politica culturale dell’Italia  continuerà ad essere asservita al disegno globale della “Guerra fra le democrazie e le autocrazie”, e quindi, come scrive Lagioia su “La Repubblica”, ad essere concepita come un “parco a tema”? Oppure si sfrutterà l’opportunità offerta dalla “Trasmutazione di tutti i valori” in corso a livello mondiale, per una partenza veramente nuova, nella costruzione di una nuova identità europea che ci eviti la Seconda Guerra Civile Europea?

Giustamente, Massimo Recalcati indica la via verso una rinascita della società europea in una rinascita della capacità, da parte dei giovani, di desiderare. Ma questo significa fuoriuscire dalla mentalità occidentale, dove si pretende che la felicità sia un diritto costituzionale, mentre invece essa è uno stato esistenziale che sopravviene (come scriveva Nietzsche, solo se “non voluta”), come conseguenza della fedeltà tenace al proprio desiderio più alto. Non per nulla, Saint-Exupéry poneva al centro della propria opera più sistematica il valore de “la Ferveur”, ch’egli immaginava caratterizzare l’immaginario impero berbero intorno alla sua “Citadelle”.

THEOLOGIA EUROPAEA, “Religioni del Libro”, Europa.

La casa di Maimonide a Cordova

Commentando, nei suoi “Minima Cardiniana”, il libro di Aldo Schiavone dal titolo “Eguaglianza”, Franco Cardini ha contrapposto giustamente, alla concezione della “buona vita”  espressa dalla Dichiarazione d’Indipendenza americana, vale a dire quella  orientata  verso la “ricerca della felicità” e verso un’egualitarismo formale esasperato che coincide con il massimo della disuguaglianza effettiva, all’originaria concezione occidentale, fondata sulla filosofia classica e sulle “Religioni del Libro”, secondo cui la “buona vita” consegue al perseguimento delle virtù, nella necessaria differenza delle inclinazioni e di ruoli:“….gli europei debbano cessare di riconoscersi acriticamente come ‘occidentali’ e riscoprire le loro radici identitarie (radicate non già nell’astrattezza di un qualche atavismo genetico, bensì nella concretezza della storia) che, a dirla con Ferdinand Tönnies, debba fondarsi sulle comunità tradizionali della famiglia, del lavoro, del retaggio culturale che peraltro di continuo si rinnova, quindi sulle differenze che sono una ricchezza inalienabile, anziché sulle convenzioni contrattualistiche dalle quali sorgono le società con le loro astratte pretese egalitarie. Non è all’appiattimento egalitaristico che dobbiamo mirare, bensì alle vive differenze elaborate dalla natura, dall’ambiente, dalle tradizioni, dalla storia, e sostenute tuttavia da un vivo senso di equità anche sociopolitica e socioeconomica”.

Ad avviso di Cardini,il riconoscimento  di quest’ Identità Europea distinta da quella “occidentale” passa necessariamente attraverso una lettura congiunta delle “Religioni del Libro”:“Ma per giungere a costruire, com’è necessario se non vogliamo precipitare, un mondo libero sia dall’oligarchia di superstraricchi oggi imposta dal turbocapitalismo, sia dalle moltitudini di miserabili costretti a vivere non già al di sotto del livello di sopravvivenza bensì, ancor peggio, di quello del minimo di dignità al quale ogni essere umano ha diritto, è necessaria una guida. Non già quella della “Dichiarazione d’Indipendenza” degli Stati Uniti d’America, fondata sull’utopia della “ricerca della felicità”, bensì quella della Bibbia, del Vangelo e del Corano, fondata sulla Parola di Dio ch’è Giustizia e Pace.”

Certo, l’idea della “ricerca della felicità” degli utilitaristi del Settecento e delle Rivoluzioni Atlantiche, derivata dalle filosofie ellenistiche, pecca, come molte “idee moderne”, di semplicismo, in quanto, come aveva scritto Nietzsche, e com’è confermato perfino dalle scienze neurologiche, “la felicità viene solo se non voluta”, come ricompensa per una passione e uno sforzo. Tuttavia, anche un generico riferimento alle “Religioni del Libro” rischia di risultare riduttivo, perché in realtà la “ricerca della felicità” intesa nel senso della Dichiarazione d’ Indipendenza si situa all’interno di un processo complessivo di secolarizzazione che prende le mosse proprio da quelle religioni, all’interno delle quali si ritrovano praticamente tutte le grandi tendenze della storia culturale dell’Umanità. Per esempio, Lessing affermava espressamente che la religione cristiana aveva rappresentato una forma di educazione morale dell’Umanità, verso una visione del mondo senza religione, dove l’unica realtà sarebbe stata quella immanente.  Il bisogno di credere venne interpretato anch’esso, dalle filosofie dell’Ottocento, come una forma di ricerca della felicità, che, non potendo trovare sbocco in una visione trascendente, andava sostituita dal perseguimento dalla felicità pratica, resa possibile dallo sviluppo delle scienze e delle tecniche.  Quest’inveramento  della religione nella tecnica porterà, poi, secondo i post-umanisti (in primo luogo quelli “cristiani”, come il cosmista russo ortodosso Fiodorov  e il gesuita Teilhard de Chardin), all’irrilevanza della distinzione fra spirito e materia, e troverà compimento nella Singularity tecnologica di Kurzweil, un evidente avatar  del ritorno all’ Essere quale postulato dal neoplatonismo e dalla Qabbalah, ma anch’esso contrastato dalle teologie ortodosse:“Si tratta di una tendenza ben conosciuta nella storia della teologia e che dopo il medioevo costituisce quella che si è soliti chiamare ‘la posterità spirituale di Gioacchino da Fiore’. Questa tendenza è coltivata da alcuni teologi della liberazione, i quali insistono in modo tale sull’importanza di costruire il regno di Dio già dentro la nostra storia, che la salvezza trascendente la storia sembra passare in secondo piano. …. In tal senso, in quel sistema teologico, l’uomo ‘si pone nella prospettiva di un messianismo temporale, che è una delle espressioni più radicali della secolarizzazione del regno di Dio e del suo assorbimento nell’immanenza della storia umana’ (Commissione Teologica Internazionale, Problemi Attuali Di Escatologia,1990)

Oggi, il peso di quest’escatologia materialistica e collettiva (avversata a suo tempo non solo da Sant’Agostino, ma anche dal filosofo islamico al-Ghazzali e dal teologo ebraico Maimonide) è particolarmente forte in tutte le religioni occidentali (l’Americanismo, il Sionismo, la Teologia della Liberazione, gli Hojjatiyeh). Il fallimento storico del marxismo, lungi dall’ indebolire queste tendenze, le ha rafforzate perché esse, non potendo più mimetizzarsi nelle varie scuole marxiste, sono state costrette a venire allo scoperto.

Queste intime fratture all’ interno stesso delle varie religioni fanno sì che un generico richiamo alla religione, o anche alle “Religioni del Libro”, non possa costituire di per sé una “guida” per il comportamento umano, e si presti invece, da un lato, ad un’inconcludente retorica, e, dall’ altro, al mascheramento, sotto un manto di religione, e perfino di tradizione, del progetto della Società del Controllo Totale.

Scena sciamanica paleolitica

1.L’intima conflittualità interna a ciascuna religione

Secondo le ricostruzioni di alcuni paleontologi, una qualche forma di ritualità è all’origine di ogni tipo di cultura, sviluppatesi tutte attraverso riti della natura , del lavoro, della società…Questa coestensività della religione con l’insieme delle attività umane ha fatto sì che, all’ interno delle religioni stesse , fossero presenti, fino dai tempi più antichi, istituzioni diversissime, come l’ascetismo e l’esaltazione della vita, gli “hieroì gamoi” e  i sacrifici, la famiglia e la vita monastica, la poligamia e il voto di castità, le “Guerre del Signore” e la predicazione della pace, la codificazione delle leggi e l’esaltazione della spontaneità, …

Ogni concreta esperienza religiosa costituisce uno specifico tentativo d’imporre un equilibrio, hic et nunc, a queste realtà conflittuali. Per lo più, nel conseguirlo, questa contraddittorietà dà luogo all’ eterogenesi dei fini, come nel caso dell’attuale tendenza dell’escatologia materialistica, la quale vorrebbe utilizzare la religione come instrumentum regni per realizzare un’utopia utilitaristica, e invece, data l’irrealizzabilità di tale utopia, consegue, in realtà, la disgregazione della società sotto i colpi delle macchine intelligenti. Infatti, una società, come quella attuale, fatta per soddisfare i bisogni materiali dei singoli cittadini, in realtà li disabitua allo sforzo, alla ricerca, all’ impegno civile, rendendoli così succubi di meccanismi sociali impersonali, di cui il Complesso Informatico-Militare non è  che l’ultima incarnazione. In questo senso, la positivistica religione della scienza e della tecnica è il vero oppio dei popoli.

Per questi motivi, la visione dell’Apocalisse, presente sullo sfondo di tutte le religioni, svela l’essenza del mondo in cui viviamo. “Apocalisse” significa infatti semplicemente “rivelazione”: attraverso i suoi simbolismi, il libro dell’ Apocalisse (o i suoi omologhi, come lo “Zand-i Wahman Yasn” mazdeo) descrivono, in realtà, processi già in corso. Per esempio, secondo molti interpreti, lo scenario del Libro dell’Apocalisse era quello dell’Impero Romano al tempo delle persecuzioni, e il Millennio, i mille anni durante i quali l’Anticristo sarebbe stato “legato”, corrispondevano all’ era cristiana, a cui sarebbe succeduta la Parusìa. Le confuse vicende di quest’ultima sono descritte con più precisione nelle Hadith islamiche, dove, alla Fine della Storia, Gesù e Maometto sconfiggeranno l’Anticristo a Dabiq, cittadina del Kurdistan siriano attualmente contesa fra Curdi, Turchi, Siriani, Russi e Isis.

Il periodo storico che noi viviamo, l’”Ora ultima” (“as-Sa’at al -Akhira”), lungi dall’essere un periodo di Pace Perpetua, è il momento di una “lotta finale”, come del resto dice il testo dell’Internazionale”.

Non basta perciò richiamarsi genericamente allo spirito religioso, ma occorre anche approfondire dove ci porti la religione intesa quale filo rosso d’interpretazione della società, e, in particolare, della società contemporanea.

 

 

Petrov e OKO: la lotta contro l’ Anticristo

2.L ‘Anticristo oggi

Centrale a questo proposito risulta sempre la figura dell’Anticristo, che viene descritto da Dostojevskij e Soloviov come un governante mondialista apparentemente benigno, che instaurerà una qualche forma di temporanea pacificazione, ma che, in realtà, rappresenterà l’antitesi della salvezza finale promessa dalla religione. Egli – dice Soloviov – sarà un ‘convinto spiritualista’, un ammirevole filantropo, un pacifista impegnato e solerte, un vegetariano osservante, un animalista determinato e attivo. Sarà, tra l’altro, anche un esperto esegeta: la sua cultura biblica gli propizierà addirittura una laurea «honoris causa» della facoltà di Tubinga. Soprattutto, si dimostrerà un eccellente ecumenista, capace di dialogare «con parole piene di dolcezza, saggezza ed eloquenza».

Secondo Mc Luhan, l’Anticristo (“the Prince of the World”) s’identifica con i moderni mezzi di comunicazione di massa:” Electric information environments being utterly ethereal fosters the illusion of the world as spiritual substance. It is now a reasonable facsimile of the mystical body, a blatant manifestation of the Anti-Christ. After all, the Prince of this World is a very great electric engineer.

… the “Prince of this World” is a great P.R. man, a great salesman of new hardware and software, a great electrical engineer, and a great master of the media. It is His master stroke to be not only environmental but invisible, for the environment is invincibly persuasive when ignored.

… this could be the time of the Antichrist. When electricity allows for the simultaneity of all information for every human being, it is Lucifer’s moment. He is the greatest electrical engineer. Technically speaking, the age in which we live is certainly favourable to an Antichrist)”.

E, di fatto, il vero “rischio esistenziale” non è, oggi, costituito dal riscaldamento atmosferico, quanto, piuttosto, dall’inquinamento delle menti indotto dalla centralità dell’Intelligenza Artificiale, questo despota benigno che invade le nostre menti, inquinandole. Semmai, la crisi ecologica è uno dei vari aspetti e conseguenze dell’inquinamento mentale, quale quello che colpisce gli abitanti della Terra alla nascita dei “robot” in “R.O.U.R” di Capek; come la rivoluzione scatenata dall’androide nel film “Metropolis”; quello che si produce nel mondo di Asimov quando i robot, per governare meglio gli umani, decidono di fingersi fallibili, o, infine, quello indotto nella realtà, dagli ordini insensati di “Hair Trigger Alert” impartiti dal PCUS all’ Armata Rossa, e  programmati nel supercomputer “OKO”.

Attraverso l’apocalittica, le religioni ci forniscono dunque una chiave di lettura della postmodernità e “una guida” per uscirne, rimandandoci alle virtù dell’Epoca Assiale, quella in cui le religioni odierne sono nate e si sono sviluppate: virtù attive, che mal si conciliano con l’attuale quietismo, mirante a sopravvivere pur di sopravvivere, radice prima della nostra decadenza e della senescenza della nostra società.

Giacché le religioni hanno, nel loro seno, quest’inesauribile fonte di creatività culturale, si assiste ovunque, tranne che in Europa, a una rinascita della religiosità, spesso in Forme inedite e inattese (Pachamama, Lord Rama, Imperatore Giallo, Lady Shian), come forma di resistenza alla Società del Controllo Totale. Come scrive Andrea Riccardi su “Il Corriere della Sera”,  “La Chiesa è ovunque sollecitata a guardare con più attenzione alla nazione e all’identità.. a essere una riserva di legittimazione. “

Il sinodo sull’ Amazonia

3.Il ritardo della teologia europea

Solo in Europa questo fenomeno si manifesta con poca intensità a causa della non sovranità degli Europei, che impedisce la formazione di ogni fenomeno di autoaffermazione degli stessi, visto come opposizione al potere occidentale.

Inoltre, l’identità a cui pensa Riccardi e che preoccupa tutto il “mainstream” culturale, cattolico e laico, in Europa, è quella nazionale dei “sovranisti”, mentre quella che sarebbe richiesta dalla situazione, e a cui pensa Papa Bergoglio, fedele all’approccio sudamericano della Patria Grande,  è quella di una grande Patria Europea. Francesco la vede, come già Spinelli, come contrapposta alla tentazione del funzionalismo, espressamente condannato da Eric Przywara, citato nei discorsi di Strasburgo, come già nel sinodo sudamericano di Aparecida.

In Italia, ma sarebbe meglio dire in tutta Europa, la Chiesa Cattolica non ha svolto quell’opera di sviluppo “nazionale” della teologia che ha invece  svolto nelle due Americhe, e di cui Papa Francesco è un prodotto: un’opera caratterizzata da una netta demarcazione, anche nazionale, fra una teologia “liberale” al Nord, che mira ad assomigliare a quella protestante, e una “teologia del popolo” nel Sud, che confina, da un lato, con il sincretismo indigenista, e, dall’ altro, con un  socialismo nazionale. In effetti, come aveva preconizzato John Fiske nel suo arcinoto “Destino Manifesto”, la storia delle Americhe è stata concepita fin dall’ inizio come un “giudizio di Dio” fra l’etica protestante e il cattolicesimo iberico.

Come da noi più volte denunziato, ci sembra che l’Europa sia rimasta indietro nel recupero, in corso nel mondo intero, delle specifiche tradizioni religiose dei popoli, schiacciata com’essa è fra le due divergenti influenze teologiche americane: l’ Americanismo e la Teologia della Liberazione. “Quel che meraviglia è oggi la carenza di riflessione nella Chiesa su questo fenomeno”.(Riccardi).

Come abbiamo più volte rilevato, una volta arrivato al soglio pontificio, Papa Francesco (che, come è noto, è di origine italiana, anzi, è nato ed è stato battezzato proprio al centro di Torino), si era illuso di poter dare egli stesso la spinta iniziale a questa “theologia europaea”, con i suoi discorsi al Parlamento Europeo e al Consiglio d’ Europa. In quell’occasione, aveva parlato di un’”Europa poliedrica”, un’”Europa madre”, che sostituisse l’attuale “Europa nonna”, ritornando a essere “un punto di riferimento del mondo intero”. Purtroppo, le Chiese europee sono come le rispettive nazioni: svuotate dalle, per quanto contraddittorie, influenze delle due Americhe, divise fra un Paese e l’altro, autoflagellantisi al di là di ogni logica necessità. Soprattutto, vittime di pregiudizi nazionalistici e di “imperi sconosciuti”, hanno abbandonato l’invito, di Giovanni Paolo II, a “respirare con i due polmoni” dell’Europa, intestardendosi nella “colonizzazione culturale” dell’ Europa dell’ Est, che, alla fine, si è ribellata con i suoi “sovranismi”, e soprattutto con la rivendicazione delle sue diverse tradizioni (ortodossia, islam, sarmatismo, monarchia..), al mantra, tanto ossessivo quanto privo di significato, dei “nostri valori”.

Infatti, affermare che esista un elenco codificato e normativo di “valori europei”, o,, ancor peggio, “cristiani occidentali” stride con il fatto che, come tutte le espressioni della religiosità, anche i Vangeli, non essendo un testo di diritto, possano essere interpretati nei modi più disparati, e che tutta la storia del Cristianesimo è appunto costellata di controversie sui valori: “Esistono il Paradiso, l’Inferno, il Purgatorio? Che significato dare al Discorso della Montagna e, soprattutto, il Vecchio Testamento, l’opera più violenta della storia della letteratura mondiale?”

Anche per queste enormi oscillazioni è lodevolissimo il fatto che Cardini indichi, fra le fonti a cui abbeverarsi anche quelle ebraiche ed islamiche, uscendo così dall’autoreferenzialità che generalmente contraddistingue il dibattito sulla religione degli Europei. Credo infatti che un approccio comparatistico sia più che mai necessario per superare quella intrinseca contraddittorietà, anche perché il dibattito culturale intraeuropeo in senso stretto si è particolarmente insterilito, proprio a causa dell’egemonia culturale di un Cristianesimo secolarizzato secondo modelli americani. Mi sembrano utili punti di riferimento, come fonti di una rinnovata religiosità europea, l’Anatolico San Paolo, il Punico Agostino, gli Andalusi Averroè e Maimonide, i sudamericani Blas Valera e Bartolomé de Las Casas, l’Italo-Cinese Matteo Ricci,  l’Askhenazi Moses Mendelsohn, lo scandinavo Kierkegaard e l’ Italo-Argentino Papa Francesco.

Attraverso queste letture, emergerà, a mio avviso, una religiosità trasversale degli Europei, paragonabile, nel suo portato geopolitico, ai San Jiao sinici (Taoismo, Confucianesimo e Buddismo), che uniscono tutta l’Asia Orientale in un’unica ecumene culturale (il “Tian Xia”), pur senza in alcun modo appiattire la diversità culturale. Non per nulla, nella sua famosa intervista con il Professor Sisci sulla Cina, Papa Francesco aveva tentato anche di abbozzare una visione culturale e religiosa della Cina, facendo numerose allusioni alla situazione europea.

Tuttavia, nella stessa intenzione degli ultimi tre Pontefici, questo sforzo culturale va fatto, non già in modo centralizzato dal Vaticano, bensì dagli Europei, come parte integrante della loro necessaria ricerca, riscoperta, recupero, rivitalizzazione, ricostruzione, sviluppo e promozione di un’Identità Europea veramente “poliedrica”, attrezzata per svolgere un ruolo attivo e consapevole nel futuro del mondo nel momento decisivo della crisi tecnologica ed ecologica (attività che per altro gli Europei non stanno compiendo, e  per la quale noi vogliamo qui fornire uno stimolo).