CONSERVATORISMO, CONSERVAZIONISMO E “CULTURE  DI DESTRA”….

Abbiamo spesso avuto l’occasione di osservare, senza mai approfondirla,  la distinzione fra “conservatorismo” e “conservazionismo”.  Oggi ci sembra il caso, di fronte ai dibattiti sempre più accesi sul conservatorismo e sulle “culture di destra”, di ritornare su quelle definizioni.

Il conservatorismo è un fenomeno praticamente eterno, in quanto in tutte le epoche una parte della società (i “laudatores temporis acti”) si è volta con nostalgia ai tempi passati. Basti pensare a Confucio, a Platone, a Tacito, a Dante, a Rousseau,  a Balzac, a Gandhi…Tuttavia, a mano a mano che si procede nel corso dei secoli “storici”, nasce una forma più consapevole e profonda di conservazione: una riflessione sui caratteri “permanenti” (o di lunga durata) dell’Umanità, minacciati, appunto, dal processo storico, che, in modo speculare all’ avanzamento delle tecniche, induce un depotenziamento dell’uomo rispetto all’ “Uomo Universale” dei primordi: dall’Età dell’ Oro, all’ Epoca Assiale all’epoca eroica, alla “Patrios Politeia”, al “Mos Maiorum”,ai Primi Cristiani, all’Età Classica,ai “Califfi Ben Guidati”, al Rinascimento, al Risorgimento, allo “Spirito Dionisiaco”.

Questo depauperamento dell’uomo  è stato visto in molte delle sue forme: metalli sempre meno preziosi, indebolimento dei costumi, varie forme di tirannide, oblio della cultura alta, delle virtù civiche o dell’autenticità.

Nel 19° e soprattutto nel 20° secolo, questa disumanizzazione veniva ascritta prioritariamente alla tecnica: l’alienazione di Marx, il “mantello d’acciaio” di Weber,  l’”uomo in provetta” di Huxley. Il Mito del Progresso  sfociava in un sostanziale regresso, effetto dell’Eterogenesi dei Fini. Lo riconoscevano personaggi diversi come Wolf, Goethe, Nietzsche, Freud, Schmitt, Guénon, Gandhi, Weil, Evola, Horkheimer e Adorno…

1.Il volto oscuro del “Progresso”

Oggi, la vera ragion d’essere della repulsione per questo depauperamento dell’ umano si svela in tutta la sua drammaticità: sotto le vesti accattivanti della civilizzazione, della moralizzazione, dello Stato, prima etico e poi democratico, della comodità, della filantropia, della ricerca scientifica, del moralismo, della Pace Perpetua, si cela l’affermarsi di un Leviatano, prima politico, poi sociale, e, finalmente, tecnologico. L’”Impero Nascosto” delle sette, dei Poteri Forti, del Complesso Informatico-Digitale, del Politicamente Corretto, del conformismo planetario, della Società del Controllo Totale, dell’Intelligenza Artificiale, e, infine, della Singularity.

La Modernità s’identifica con l’ipocrisia puritana, che impone a tutti la modestia, la trasparenza, l’eguaglianza, la rinunzia, ma riserva ai vertici occulti dei Poteri Forti un potere ed un’ambizione senza limiti: guai a voi, Scribi e Farisei ipocriti! La Modernità ha gettato la maschera.

Quello che è stato erroneamente definito come “egemonia culturale della sinistra” è, in realtà, la tirannide totalitaria della Modernità Scatenata, che impone ai cittadini un’ agghiacciante  omogeneità: “i Paesi avanzati”; “la Comunità internazionale”; “i Diritti” (“non lasciare indietro nessuno”), ma, soprattutto, vorrebbe spacciare come “dialettica democratica” la presenza, all’ interno di questo quadro omologato, di alcune insignificanti  sfumature,  come un liberismo  o un sindacalismo di facciata,  un Cattolicesimo che ha accettato che la salvezza venga dalla Scienza e dalla Tecnica, o un sovranismo che accetta la permanente occupazione straniera, e, infine, due versioni della “Cancel Culture”: quella terzomondista e quella occidentalista, altrettanto antiumane. Invece, le reali alterità, come quella delle culture extraeuropee (esempi: il Confucianesimo e l’Induismo), oppure un autentico relativismo (Wittgenstein, Heisenberg, De Finetti, Feyerabend), o, ancora, la piena rivendicazione di specifiche differenze (come la Pasionarnost’ e il Sanata Dharma), vengono ostracizzate nel “mainstream” occidentale al punto da divenire indicibili. Sono così sanzionati legalmente i pensieri e comportamenti “conservazionisti”, come la difesa della “Separedness of minds”, della storia, dei sessi, delle gerarchie..., che addirittura sono considerati reati, e/o classificati come “influenze straniere maligne”.

2.La Dialettica dell’ Illuminismo

Ciò è tanto più grave in quanto, oggi, il vero problema non è neppure politico: è esistenziale. La Fine della Storia si rivela essere , come ha dovuto riconoscere lo stesso Fukuyama, la fine dell’Uomo (prevista addirittura entro 10-20 anni a meno che non intervengano eventi drammatici, come la Terza Guerra Mondiale), in cui, di fronte all’ onnipotenza del sistema macchinico, l’Uomo si sta rivelando, come scriveva Anders, antiquato e inutile. Basti pensare allo scontro in corso in tutto il mondo fra missili ipersonici, sistemi satellitari, droni, servizi segreti e hacker, dove il fattore umano è sempre più irrilevante.

Il “Phylum Macchinico”, come lo chiamava De Landa, vero protagonista del XXI° Secolo, appare con il volto accattivante della Libertà, dei Diritti, delle scoperte scientifiche, dell’onnipotenza dell’ Uomo, per poi rivelarsi, nei fatti, come l’Anticristo di Soloviov, affossatore dell’Umanità sotto l’omologazione e la guerra delle cose. Libertà, Diritti, scoperte scientifiche, onnipotenza dell’Uomo (le “Magnifiche Sorti e Progressive” di Leopardi) sono gli slogan branditi di volta in volta deliberatamente dalle mosche cocchiere delle Macchine Intelligenti, per distruggere il tessuto sociale, trasformando l’Umanità in una massa indifferenziata, debole e istupidita, incapace di resistere alla forza delle macchine intelligenti, le uniche in grado di sopravvivere alla Terza Guerra Mondiale. Nello stesso modo, Serse aveva incaricato Mardonio di istaurare delle democrazie nella Ionia per impedire il rinnovarsi delle rivolte delle locali aristocrazie, e Mirabeau aveva scritto a Luigi XVI di favorire la Rivoluzione Francese, perché questa era l’erede della politica regia di appiattimento degli ordini sociali.

3. “Gli intelligenti andranno sparendo”

Paolo Crepet,  in un’intervista a Ticinonline, ha espresso la sua preoccupazione sul futuro del pensiero. Secondo lo psichiatra, l’idea stessa del Quoziente Intellettivo (QI) presto diventerà “obsoleta” e si troverà un altro modo per misurare l’intelligenza umana – uno strumento “più adatto alla poca intelligenza dell’uomo contemporaneo“-.La nuova modalità di misurazione dell’intelligenza “non si baserà più sulle capacità di sintesi e di memorizzazione” perché “che vanno eliminati per non far apparire tutti come stupidi“, ha aggiunto il professore. A suo avviso, la delega crescente alla tecnologia, in particolare all’intelligenza artificiale, sta progressivamente atrofizzando le funzioni mentali che un tempo definivano l’intelligenza umana.

Crepet individua nei social media e nell’intelligenza artificiale i principali responsabili di questa regressione cognitiva. Internet ha fatto da “apripista” ma sono stati i social a modificare profondamente il nostro modo di comunicare e di pensare. Questi strumenti hanno generato un cambiamento antropologico profondo, alimentando dinamiche di aggressività, conformismo e superficialità. L’intelligenza artificiale ha amplificato ulteriormente il fenomeno, offrendo risposte preconfezionate a milioni di persone che si affidano al software anche per questioni morali e psicologiche.

Così “la vita si trasforma in un enorme scaffale di un supermercato, dove trovi qualsiasi cosa senza doverla più scoprire”.

Oggi si sta delineando la possibilità di avere tre specie emergenti: la specie umana, la specie digitale e la specie ibrida. Esse coesistono in un intreccio complesso e in continua evoluzione.

Mustafa Suleyman, CEO di Microsoft AI e co-fondatore di DeepMind, ha descritto l’IA come una sorta di “nuova forma di vita tecnologica”, capace in prospettiva di autoriprodursi e di adottare decisioni complesse senza supervisione continua. In un intervento pubblico su Ted Talk del 2024, che ha ricevuto ampia diffusione, egli ha sottolineato: “l’AI dovrebbe essere intesa come qualcosa di simile a una nuova specie digitale. Li vedremo come compagni digitali, nuovi partner nel viaggio delle nostre vite”.Questa immagine capovolge la percezione comune: non siamo più dinnanzi a macchine subalterne, ma a co-protagonisti dell’esperienza umana. Suleyman evidenzia altresì come tali agenti digitali non siano semplici algoritmi matematici, altrimenti detti “pappagalli stocastici”, ma entità con un QI quasi perfetto e capacità di simulare empatia, supporto e gentilezza. Non sorprende quindi che, già oggi, in vari ambiti, gli individui preferiscano interagire con chatbot piuttosto che con altri esseri umani.

Il terzo attore in scena è la specie ibrida: l’entità che fonde umano e digitale in un unico corpo e in una coscienza condivisa. Se da un lato Harari, con il concetto di Homo Deus, tratteggia l’evoluzione verso una condizione di sublimazione quasi divina, dall’altro si profilano scenari in cui la tecnologia non è più soltanto un prolungamento del corpo o della mente, ma diviene momento integrante della coscienza, della volontà e dell’azione. In questa direzione si colloca il progetto Neuralink di Elon Musk, che mira a connettere cervello e computer tramite interfacce neurali. Se tali tecnologie dovessero diffondersi, la distinzione fra mente biologica e digitale si assottiglierebbe sin quasi a scomparire.

La coesistenza di queste tre specie (umana, digitale e ibrida) apre sfide importanti e senza precedenti, che si possono sintetizzare, a loro volta, in tre grandi fronti:

-Coscienza e rappresentazione di sé

L’umano riflette sul proprio passato, presente e futuro; il digitale apprende e risponde in tempo reale; l’ibrido vive la riflessione con occhi tecnologici. La questione cruciale diviene: chi definisce l’identità, quando questa è condivisa fra essere umano e macchina?

-Rischi e governance

Suleyman avverte che, pur promettendo immense opportunità, dall’assistenza sanitaria alla lotta contro i cambiamenti climatici, l’IA è “difficilmente governabile”. I rischi di abuso, di errori sistemici oppure di uso malevolo si moltiplicano con l’aumento delle capacità autonome dei sistemi digitali;

-Etica e potere

Per questo, s’ impone oggi più che mai, come necessaria antitesi, quella “Forza che Trattiene”, quel misterioso Katèchon, di cui (nella IIa Lettera ai Tessalonicesi) parlava San Paolo senza poterlo, o volerlo, spiegare, che si oppone alla Fine dell’ Uomo, almeno fintantoché questa non coinciderà con la Salvezza Divina. Per quest’ultimo inciso, anche il Katèchon si rivela duplice e ambiguo, e, se Sant’Agostino affermava di non comprenderlo, i suoi successivi cultori, dalle Hadith mussulmane a Ottone di Frisinga, da von Bader a Carl Schmitt, da Soloviov a Berdjajev, fino a Pietro Barcellona e Aleksandr Dughin,  sono almeno, su questo punto,  altrettanto oscuri e sfuggenti di San Paolo. Ed è per questo che continua a mancare una reale forza di opposizione.

Comunque sia, la dialettica fra l’Anticristo e il Katèchon (la Dialettica dell’ Illuminismo”) è al cuore stesso della storia contemporanea, come dimostrano le numerosissime prese di posizione contro l’Intelligenza Artificiale, interpretata  come fine dell’ Umanità, da parte degli stessi inventori e cultori della stessa (Musk, Altmann, Judkowsky). Essa costituisce infatti lo sbocco finale di una lotta incessante nel corso della storia: fra i Persiani chiliastici e i Greci “catecontici” (basti pensare all’Oracolo di Delfo su Leonida e al Sogno di Dario ); fra il nichilistico Buddhismo Hinayana e quello Chan (Zen), costruttivo e combattente (per esempio, Bodhidharma e il Monastero di Shaolin); fra l’ansia di Apocalisse degli Anabattisti (vedi la bandiera arcobaleno issata nella battaglia di Falkenheim) e il discorso di Lutero ai Principi Tedeschi; fra la Pasionarnost’ dell’Eurasiatismo e il postumanesimo dei Cosmisti russi…

4.I Conservatorismi del Sud del Mondo

Papa Francesco, massima espressione delle religioni mondiali, aveva incitato alla resistenza agli “Imperi Sconosciuti”.  Sul piano politico, le potenze dell’Eurasia, pure nella grande varietà e confusione delle loro posizioni, si richiamano tutte a un’idea di conservazione. Il marxismo cinese non è riuscito a soffocare il riemergere del linguaggio neo-confuciano, là dove propone, quale obiettivo strategico per i 100 anni della Repubblica Popolare, non già il Comunismo, né il DaTong, mitico ideale normativo del Confucianesimo, bensì il più equilibrato Xiaokang (la “Società Moderatamente Prospera”).L’idea che, dell’ Ram Rajya (il “Regno di Rama”)ha il Janata Party  esalta lo Yoga e le medicine tradizionali. Ma perfino nell’Occidente anglosassone, roccaforte dei GAFAM e della NSA, e quindi , del Progetto Incompiuto della Modernità erede di tutti i chiliasmi, vi sono personaggi come Assange, Snowden e Judkowsky, che si battono eroicamente contro gl’ Imperi Sconosciuti.

Il Conservatorismo ha un peso particolare nella tradizione culturale russa, che va da Teofane di Pskov a Soloviov,a Leontijev, a Dostojevskij, a  Ilin, a Florenskij, a Sol’zhenitsin…(il “Pensiero Russo”).

Particolarmente illuminante a questo proposito il saggio di Luca Gori,”La Russia Eterna,Le origini del conservatorismo post-sovietico”, finalmente privo di quell’ “arroganza romano-germanica” che Nikolaj Trubeckoj condannava già un secolo fa nell’ Europa “illuminata”.La visione di Gori si estende dai primordi del la coscienza nazionale russa sotto gli Zar, per passare ai dibattiti fra slavofili e occidentalisti, giungendo infine agli aspetti conservatori del socialismo reale e all’ evoluzione culturale della Russia post-comunista. Evoluzione che parte dalle ottimistiche aperture di Gorbaciov e Eltsin, per passare, sotto Putin, da un atteggiamento liberale filo-occidentale, a visioni sempre più legate all’esigenza di difendere la specificità russa.

Un atteggiamento  simile ispira il libro di Ilan Pappé “La Fine di Israele Il collasso del sionismo e la pace possibile in Palestina”. Con una tesi  alquanto isolata, Pappé, professor ebreo che insegna in Inghilterra,  offre una visione  storica anticonformista, che descrive con toni positivi la Palestina pre-dichiarazione Balfour, caratterizzata dal modello multiculturale ottomano, parallelo a quello degl’imperi russo e austro-ungarico, la cui disgregazione, e sostituzione con “nazio ni” artificiali,  è inequivocabilmente alla radice dei conflitti arabo-israeliano, russo-ucraino e serbo-albanese. Secondo Bappé, l’orientamento prevalente del sionismo, basato sull’idea di uno Stato nazionale ebraico, non corrisponde alla storia e alle tradizioni dell’ Ebraismo, e, in primo luogo, dell’ ebraismo Mizrahi, quello dell’ Ex Impero Ottomano, e, in particolare, della Palestina dell’ epoca della Nahda (il Rinascimento, o Risorgimento,  Ottomano) caratterizzato da un’identità mista al contempo araba ed ebraica.

Il fatto è che la società israeliana è scossa, in parallelo a quella nordamericana, dal problema demografico, desinato a scuotere l’egemoinia sionista nello stesso modo in cui  viene scossa in USA l’egemonia WASP.

 Infatti, i cittadini di Israele sono 10.148.000, di cui:

-7.500.000 circa Ebrei, di cui 2.000.000 circa di Ebrei russofoni;

-2.600.000  circa Arabi, di cui 500.000 circa Cristiani, divisi in varie confessioni;

200.000 stranieri di altre confessioni;

A cui vanno aggiunti:

2.000.000 circa di arabi mussulmani e cristiani a Gaza;

1.500.000 circa arabi mussulmani e cristiani in Cisgiordania;

500.000 coloni israeliani in Cisgiordania.

Come si vede, su una popolazione totale occupata da Israele di 15.000.000 circa, solo 6.000.000, cioè circa la metà, sono ebrei a tutti gli effetti, sì che, nel caso in cui tutti potessero votare, le maggioranze parlamentari resterebbero appese, come in Ucraina e nei Paesi Baltici, alla cospicua minoranza russofona.

Nello stesso modo, gli Stati Unirti hanno una popolazione di 340.110998 abitanti, più  3,6 milioni circa di residenti dei Territori (Puerto Rico, Guam, the U.S. Virgin Islands, American Samoa, and the Northern Mariana Islands).

Il 60% degli Americani sono “Whites” e il 40%, “Non-Whites”, ma, all’ interno dei “Whites”, i WASPS sono solo il 3-4% della popolazione totale.

E impensabile che i WASP continuino a imprimere l’orientamento culturale e politico e detengano la maggior parte del potere economico pur essendo un’infima minoranza.

5.”No Kings”: il  “Tecnofascismo” dell’ Amministrazione Trump

In questo contesto, non stupisce che possa prendere corpo l’idea di Trump di trasformare radicalmente la struttura del potere negli Stati Uniti, rafforzando a tal punto la “Presidenza Imperiale” da farla assomigliare sempre più a una monarchia. In tal modo, diventa irrilevante la dialettica maggioranza-minoranze.

Questo approccio è stato definito “tecnofascismo”, per il ruolo centrale dato ai guru post-umanisti e per le aggressive politiche di contrasto alla cultura “Woke”. Intanto, in questo modo si creano strumenti per controllare l’opposizione sociale, avente la sua base prevalente nella maggioranza “Non- white”.

«Stiamo affrontando la potenziale fine della nostra Repubblica», ha affermato Bill Nye –divulgatore scientifico e veterano delle proteste che fermarono la guerra in Vietnam. «Dobbiamo fermare gli abusi si questo presidente petulante e la sua cerchia di tirapiedi».Come risposta, Trump ha fatto diffondere un video in cui, incoronato e alla guida dii un cacciabombardiere, bombarda di letame i manifestanti.

Questa esigenza di “sicurizzare” la minoranza bianca contro la nuova maggioranza “non-white” si sposa con le altre tendenze verso l’accentramento del potere. Prima fra le quali la presenza di una dittatura di fatto dei GAFAM, i quali, forti delle tecnologie di comunicazione, militari, spaziali, spionistiche e commerciali, controllano, influenzano e terrorizzano i cittadini e le stesse classi dirigenti. Trump, presentandosi come il difensore dei privilegi dei GAFAM in tutto l’Occidente, è divenuto il loro beniamino

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6.Cos’è dunque il Conservazionismo?

Chiamiamo “conservazionismo” la resistenza mondiale contro gli esiti ultimi del mito del Progresso. Esso si oppone non già (come facevano, e fanno,  i vari Conservatorismi) alle successive, parziali, “derive” dei mondi “tradizionali” (la democrazia ateniese,  il despotato romano, la “gente nova” di Dante, la Rivoluzione Francese, il macchinismo dei Luddisti, il marxismo comunista) bensì proprio alla distruzione dell’uomo  quale noi lo conosciamo (quello dell’ Epoca Assiale, che nasce con le grandi culture della scrittura e dura fino a noi), prima di  avere intanto costruito nulla di veramente alternativo (la “Nuova Società Organica” lanciata da Saint-Simon e al centro di tutte le utopie ottocentesche, ma mai realizzata).

Per questo, perfino  la prima rivendicazione dei guru americani dell’ informatica è oggi una moratoria sulla ricerca circa l’ Intelligenza Artificiale Generale, che permetta alla cultura di recuperare il tempo perduto rispetto alla tecnica, mentre Judkowsky è, addirittura, per un divieto assoluto di proseguire le ricerche sull’ Intelligenza Artificiale Generale (o Generativa).

Anche in Europa s’impone una qualche forma di Katèchon, una forza spirituale capace di trattenere la “transizione” dall’ Umano al Post-Umano, e, in primo luogo, a scalfire i privilegi esorbitanti conquistati dai GAFAM.. Secondo molti, da Heidegger a Juenger, da Teilhard de Chardin a De Benoist, questa resistenza sarebbe vana (un “mito incapacitante”), perché le stesse tradizioni ancestrali degli Europei porterebbero, attraverso un piano inclinato, verso l’Apocalisse. Solo la Russia si era posta da tempo (vedi il discorso del Principe Mishkin ne “L’Idiota”), la missione di salvare l’Europa dalla Modernità, che è stata ripresa dopo la caduta dell’ URSS.

Alla luce del Dubbio Moderno, risultato della “Vergleichende Epoche” di Nietzsche, che tutto confronta, antico e moderno, sacro e profano, Oriente e Occidente, anche la scelta fra Anticristo e Katèchon appare esposta al massimo della soggettività.  E, questo, ben si addice, innanzitutto, ai cultori del Katèchon, che si oppongono al mito del Progresso proprio per il suo determinismo, mentre invece si ostinano a credere che, come ha scritto recentemente De Benoist, la Storia è aperta”. Se così è, la “de-cisione” di ciascuno di noi può ancora contare (facendo salvo il “libero arbitrio”). E, allora, come aveva illustrato mirabilmente già Matteo Ricci nella sua opera “Il vero significato del Signore del Cielo”, la scelta fra nichilismo, impersonato dal Buddhismo (così come ora come dal  Progressismo occidentale), e un’ ispirazione verso la continuazione della vita umana (impersonata, nella Cina di allora, allora dal Neo-Confucianesimo) è individuale, “hic et nunc”. ,Per questo i Gesuiti avevano scelto l’abito e la cultura “mandarini”, a costo di urtarsi (per i Riti Cinesi) con un’Europa monarchica ed ecclesiastica già orientata verso il Mito del Progresso. Mito, per altro, osteggiato da quasi tutti i grandi pensatori europei, solidali nella sostanza con la posizione dei Gesuiti. Basti pensare ai “Novissima Sinica” di Leibniz e al “Rescrit de l’Empereur de la Chine” di Voltaire, influenzati, l’uno,  dalle “Lettres édifiantes et curieuses” dei Gesuiti e, l’altro,  dall’ “Editto Rosso” di Kaanxi. E, più tardi, alla critica di Kierkegaaard all’ Arcivescovo Mynster,  a quella anti-egualitaria di Tocqueville e di Nietzsche, e a quella anti-irenistica di Freud. Per non parlare poi di Simone Weil, che voleva ricreare l’”Enracinement”, o di Saint Exupéry, che voleva “costruire la Cittadella nel cuore dell’Uomo”.

Certo, la scelta “progressista” opposta al Conservazionismo ha anch’essa, dalla sua parte, delle buone ragioni, dall’ansia di Bene propria dei chiliasti al desiderio di infinito di Nietzsche, alla volontà di attuare le Scritture, propria di Fiodorov e dei Cosmisti Russi, fino alla religiosità universale di Teilhard de Chardin e di Raymon Panikkar. E proprio per questo, pure in presenza di una lotta mortale per la vita e per la morte, i Conservazionisti debbono mantenere il totale rispetto per i loro, pur mortali, avversari. Anche e soprattutto perché raramente essi sono del tutto tali, come il Goethe di “An die Vereinigten Staaten” e del secondo Wilhelm Meister, così come il Marx dei “Grundrisse”.

Come si vede, non c’è proprio bisogno di andare alla ricerca di nuove strane ideologie, quando siamo immersi fino al collo in una fondamentale lotta culturale, che non verte certo su vane parole o mode, bensì sulla nostra sopravvivenza esistenziale. La lotta culturale pro e contro il Postumano, così come quella fra le varie versioni dello stesso e dell’ opposizione ad esso, sta infatti sostituendo quella fra le obsolete ideologie sette-ottocentesche. Coloro che vorrebbero ridare un’anima ai moribondi partiti europei, non hanno, quindi, che l’imbarazzo della scelta fra le diverse posizioni sull’Apocalisse.

Quello che non è ammissibile è, invece, ciò che succede oggi tutti i giorni, con l’”establishment” che finge di azzuffarsi su questioni futili, camuffando o nascondendo dietro l’agitare di slogan antiquati l’importanza vitale della questione della Fine dell’Uomo..

7.Il “conservazionismo” ha a che fare con le “culture da destra”?

Esiste un concetto politico, seppure vago, chiamato “destra”. Esso trae la sua origine dalla collocazione in parlamento dei diversi gruppi politici della Rivoluzione Francese, e ha, quale presupposto, l’idea ch’essi si distinguano per la loro più calda, o più fredda, adesione al “Progetto Incompiuto della Modernità”, un “pacchetto” che si pretende unitario di gnoseologia, teologia, filosofia, cultura, etica, politica, economia, tecnologia e società (la “concezione assiale della politica”).Si tratta certamente di un concetto utile dal punto di vista euristico, visto che normalmente la politica parlamentare si basa su alleanze fra partiti vicini nello spettro destra-sinistra. Ne consegue che esistano in molti Paesi, come oggi in Italia, governi di destra, che hanno i loro sostenitori, anche fra gl’intellettuali, e che questo renda opportuna, se non necessaria, una “politica culturale di destra”.

Come è stato rilevato quasi unanimemente, non esiste però un’ unica “cultura di destra”, bensì, semmai, una serie di “culture di destra”. Esse hanno una qualche affinità con il conservazionismo, ma non vi si sovrappongono. Da un lato, vi sono delle “culture di destra” come il Futurismo, che sono piuttosto omogenee al Mito del Progresso. Ma anche le altre hanno semmai molto in comune con i vari Conservatorismi, vale a dire esprimono la nostalgia per questo o per quel periodo storico, ma nessuno di esse ha la consapevolezza della prossima fine dell’Umanità, e dell’urgenza di opporvisi. Questa consapevolezza è comune solo a qualche decina di intellettuali in tutto il mondo, e non ha trovato un unitario veicolo politico.Certamente, un siffatto  isolamento degl’intellettuali conservazionisti non si può accettare. Da un lato, occorre ricercare dei momenti di incontro, che le, seppur  discutibili, politiche culturali della destra potrebbero fornire, e, dall’ altro, si richiederebbe un maggiore attivismo, pubblicistico, politico e di ricerca, tecnologica e pedagogica.

E, ancora, ci chiediamo se abbia senso comune la recente risoluzione del Parlamento Italiano, votata, tra l’altro, dalla maggioranza governativa, contro le “interferenze straniere” nei processi politici italiani da parte dei Governi “autoritari”, quando tali interferenze, ammesso che tali si possano definire,  consisterebbero  nel favorire le idee “conservazioniste” (“conservatorismo russo”, islam politico, confucianesimo). E’ paradossale che l’attuale maggioranza conservatrice voglia censurare un naturale e tradizionale flusso di idee conservatrici in provenienza, tra l’altro, anche da Paesi, come l’Ungheria e la Polonia, che il Governo considera come affratellati da ideali culturali e politici. Questo non è l’ultimo dei paradossi dell’attuale transizione mondiale e dell’attuale maggioranza governativa italiana.

CONFRONTO FRA LE STRATEGIE PER l’AI

Europa, Cina e USA

La centralità dell’ Intelligenza Artificiale fa sì che le grandi potenze elaborino piani di azione in questo campo sempre più simili fra di loro nella speranza di superare l’avversario. Solo nel luglio del 2025 sono stati pubblicati quello cinese e quello americano. Nel frattempo, una serie di scienziati informatici ha elaborato un Manifesto europeo che caldeggia la creazione di un centro europeo per l’ AI, sulla falsariga di quanto da noi proposto da anni con il libro European Technology Agency.

 Vi è una fondamentale differenza fra il documento della Cina , che sposa l’idea, di Kissinger e di Judkowski, di un accordo internazionale sull’ AI,  e quello degli USA che lo ignorano, nella speranza di mantenere una posizione di vantaggio nei confronti degli avversari, riproponendo attraverso l’ AI l’egemonia dell’ “America-Mondo”, e, soprattutto, uno stretto controllo sui propri alleati. Resta da vedere se la presunta posizione di vantaggio degli USA sia ancora tale, perché, in caso contrario, la politica americana di chiusura si ritorcerà contro gli USA (e soprattutto i loro alleati -salvo Israele- spiazzati e impossibilitati a ricercare soluzioni autonome).

 Sullo sfondo si staglia i più che mai il pericolo, dettagliatamente illustrato da Judkowski, dell’ estinzione a breve termine dell’ Umanità, soppressa dall’ Intelligenza Artificiale Generale- tema sul quale violenta è la contrapposizione all’ interno degli stessi GAFAM, i quali, per lo più, propendono per una moratoria delle ricerche sull’ AI generale, in attesa di trovare soluzioni (oggi inesistenti) che garantiscano la sopravvivenza dell’ Umano in un mondo dominato dalle macchine.

Attualmente, anche se a qualcuno potrà sembrare paradossale, la difesa dell’”Umano” contro quella  presa di controllo da parte dell’AI, che, negli USA, non ha più limiti,  resta affidata sostanzialmente alla Cina, mentre l’Europa ha abdicato di fatto a questa sua vecchia ambizione cedendo scandalosamente sempre più a tutte le pressioni dei GAFAM e di Trump per un allineamento sull’ America su ogni fronte (regolamentazione, antitrust, tasse), come previsto nel Piano americano di azione di Luglio.

Eppure, neanche la Cina ha elaborato fino in fondo un progetto alternativo di società dell’ Intelligenza Artificiale, sicché resterebbe aperto, teoricamente,  un enorme spazio politico per un’ Europa che divenisse indipendente, anche culturalmente, dagli USA, elaborando la propria visione del rapporto uomo-macchina partendo dagl’insegnamenti dei grandi Europei che si sono occupati della formazione dell’uomo come base per il fiorire della società: da Ippocrate a Senofonte, da Bernardo di Chiaravalle a Ignazio di Loyola, da Carlyle a Nietzsche…Solo una siffatta impostazione globale avrebbe la forza politica per coagulare una coalizione capace di generare un autentico sforzo dell’ Europa.

1.Il Centro Europeo di ricerca sull’ Intelligenza Artificiale

Purtroppo, il Centro Europeo di Ricerca sull’Intelligenza Artificiale, invocato dagli studiosi della materia (Yann LeCun, Premio Turing e capo scienziato di Meta AI; Cédric Villani, Fields Medal; Bernhard Schölkopf del Max Planck Institute; e Marc Mézard, oggi alla Bocconi), riuniti  presso l’ Università di Bologna, non percorre questa strada, continuando a puntare solo sulle solite  soluzioni istituzionali, regolatorie  e finanziarie.

Nel Manifesto presentato all’Alma Mater si immagina un’istituzione compatta, con un forte nucleo scientifico dedicato tanto alla teoria quanto alle applicazioni. Ricordiamo che nessuno dei tentativi posti in essere in questa direzione ha avuto finora un peso istituzionale e politico neanche paragonabile a quello del CERN. Mancano una sede centrale, un budget comune, una governance unitaria europea, ma soprattutto una cultura non trans-umanistica critica della Modernità e una volontà politica veramente sovranista. L’Europa dell’Intelligenza Artificiale resta frammentata in mille rivoli, con provinciali progetti nazionali che competono più che cooperare. Oggi la potenza di calcolo , così come i grandi modelli linguistici è concentrata tra Stati Uniti e Cina. L’Europa contribuisce alla ricerca di base, ma fatica a trattenere i ricercatori e a trasformare i risultati in innovazione industriale Come dimostra ciò che si sta facendo negli USA e in Cina, senza una strategia coordinata, l’Europa rischia di diventare solo un laboratorio di talenti da esportare.

Un “CERN dell’AI” europeo potrebbe non essere solo un simbolo, bensì un modo per affermare che l’Intelligenza Artificiale non è proprietà di poche aziende globali, bensì un bene pubblico globale.

 Manca comunque l’aspetto umanistico, la formazione di quei nuovi “Kaloikagathoi” che dovranno essere in grado di padroneggiare, e, se necessario, dominare, l’intelligenza artificiale, come, a suo tempo,  Gilgamesh, Ercole e Ulisse padroneggiavano le forze della natura e popoli barbari e selvaggi.

Nel nostro libro “European Technology Agency”, proponevamo di fondere in un solo Ente i molteplici Enti già esistenti, tanto a livello europeo, quanto a quello nazionale, aggiungendo però un pesante aspetto umanistico, orientato secondo la cultura europea.

2.I piani delle Grandi Potenze

;   winning the race”), esclusivistico ed americano-centrico,si contrappone  quello del il “Piano d’azione Globale per l’AI” della Cina, dove l’obiettivo principale è una governance mondiale dell’IA, quale quella proposta da Kissinger prima di morire, e ripresa dal MIRI di Eliezer Judkowski (cfr,. il nostro post precedente)

Questa contrapposizione costituisce il coronamento di quello che, già quarant’anni fa, gli ufficiali cinesi avevano chiamato “Guerra senza limiti”, e che oggi vediamo svolgersi sotto i nostri occhi -che comprende 3° Guerra Mondiale “a pezzi”,  guerra ideologica, guerre commerciali e finanziarie, guerre tecnologiche, quale traspare soprattutto dall’ “Action Plan” americano-.Mentre la Cina vuole affermare, anche attraverso la tecnologia, un nuovo ordine multipolare che tenga conto dei cambiamenti geopolitici ed economici avvenuti in questi anni, gli Usa di Trump inseriscono lo sviluppo delle nuove tecnologie  nel loro tentativo di riportare il mondo alla seconda metà del 900, già descritto da Evgeny Morozov, che vede nell’informatica l’ultima trincea di un’egemonia occidentale in decadenza.

I due piani  rispecchiano la diversa postura che le due superpotenze stanno assumendo sullo scenario globale. Bisogna inquadrare il Piano cinese nella “lunga marcia” digitale intrapresa dal PCC, a partire dall’ascesa di Baidu, di Alibaba e di Huawei, per finire con la transizione verde e digitale, e collocarlo all’interno del contesto legislativo cinese caratterizzato dalle tre leggi principali sul digitale, che sono la “Legge sulla Cybersicurezza” del 2017, la “Legge sulla Sicurezza dei Dati” e la “Legge sulla protezione dei Dati Personali”, che ripercorrono le normative europee, rendendole però più snelle (grazie anche agl’ideogrammi), ma soprattutto effettive, almeno sul territorio cinese

L’amministrazione Trump si trova invece a dover affrontare una forte discontinuità con la visione e l’assetto normativo ereditato dalla precedente amministrazione Biden, anche se alcuni aspetti di fondo si mantengono inalterati. Il settore delle Big Tech in America non è a trazione statale come in Cina. Questo fa sì che ci sia la necessità, implicita ma presente nel piano USA, di riportare la gestione della materia il più possibile nelle mani del potere centrale, per evitare un vero “colpo di Stato” contro Trump da parte dei guru dell’ informatica, quale quello tentato da Elon Musk,.e anche per fornire al Presidente il necessario potere negoziale nei confronti delle altre Grandi Potenze.

3.L’attacco all’ egemonia americana e la sua difesa

Il documento cinese inserisce la propria strategia in un contesto multilaterale: l’IA deve essere considerata un “bene pubblico internazionale a beneficio dell’umanità , che però “presenta rischi e opportunità che possono liberare il loro potenziale solo attraverso la solidarietà internazionale… mantenendo gl’ impegni delineati nel Patto per il futuro e nel Digital Compact delle Nazioni Unite, per un futuro digitale inclusivo, aperto, sostenibile, equo, sicuro, protetto per tutti”.

Invece, nella premessa all’Action Plan americano si afferma che è  “un imperativo di sicurezza nazionale per gli Stati Uniti raggiungere e mantenere il dominio tecnologico globale indiscusso e non contestato” perché “chiunque abbia il più grande ecosistema di IA stabilisce gli standard globali e raccoglierà ampi benefici economici e militari”. Nel Piano sono contenuti molti principi che servono a  esplicitare nel contesto dell’ IA i tradizionali concetti americani di controllo internazionale delle tecnologie (tipo “Trading with the Enemy e CoCom), mentre la Cina rilancia con forza la sua postura multilateralista anche se nei fatti egemonica, sulla base di una asserita “Intellectual leadership” dell’ “Impero di Mezzo” (o “Celeste Impero”), che risalirebbe fino alla Dinastia Zhou e ai Classici Confuciani:  la Cina tende così ad occupare a tutti i livelli lo spazio internazionale lasciato vuoto da Trump.

Allo stato attuale, come peraltro per quasi tutte le altre grandi questioni presenti sulla scena internazionale, sembra che le alternative a questa nuova divisione del mondo in due blocchi stentino a farsi strada. In particolare, manca più che mai un’ efficace presenza dell’Europa (alla quale la leadership brussellese continua a voler credere).

4.I “pilastri” del piano di azione degli Stati Uniti

I pilastri del piano USA sono 3:

(i)Accelerare l’innovazione:

-Ricadute dell’IA sui lavoratori americani

I lavoratori americani, devono essere messi in grado di conseguire  le competenze necessarie attraverso appositi piani formativi. Inoltre, si punta tutto sulla capacità delle imprese private, , a cui viene promessa totale deregolamentazione e sburocratizzazione.

-Scienza “nazionalizzata” e infrastrutture senza limiti

Il piano poi punta, per favorire la nascita di ecosistemi dell’IA, su “sistemi basati sull’ open-source e sull’open-weight che possano diventare standard globali basati sui valori americani” Il piano USA contemporaneamente all’indicazione, costituzionalmente ineccepibile, di sistemi di IA “basati sulla libertà di parola e di espressione”, delinea però un’IA “libera da bias ideologici per raggiungere obiettivi di verità oggettiva”, definizione che evoca scenari tipici delle culture politiche totalitarie dove esiste una sola verità oggettiva e cioè quella del regime.

-Indirizzo fortemente accentratore e dirigista, si rinviene anche nelle parti dedicate all’IA in rapporto alla scienza, dove se da un lato si parla di una “IA-enabled science” dall’altro si chiede ai ricercatori di concedere i loro dati alle imprese private per costruire un “world class scientific data set” americano, che al pari di un asset strategico consenta all’America di superare le altre nazioni che “sono avanti nell’ammassare enormi quantità di dati scientifici”. Quindi una scienza che usa il potenziale dell’IA a scopi strategici nazionali, al di fuori di qualsiasi contesto multilaterale. Una strategia che si pone in perfetta continuità con le scelte dell’amministrazione Trump di uscire dai trattati internazionali sul clima o dalle organizzazioni internazionali come il WHO, e che delinea uno scenario di contrapposizione “scientifica” in un mondo globalizzato e fortemente connesso, che ci riporta indietro ai tempi del “caso Lysenko” di staliniana memoria.

(ii)Costruzione delle infrastrutture per l’IA

E’ in totale linea con il  mantra trumpiano del “Build Baby Build”:Prevede una deregolamentazione totale che favorisca la “costruzione di data center , semiconduttori e infrastrutture energetiche e per la sicurezza che portino a vincere la gara mondiale con la Cina preservando la potenza tecnologica americana dalle incursioni avversarie”.

(iii)Leadership USA della diplomazia e della sicurezza dell’ AI

Il piano prevede una vera e propria “colonizzazione digitale” globale, costringendo le nazioni alleate ad “adottare il sistema americano dell’IA , capacità computazionale, hardware e standard tecnici, in tutto il mondo…è imperativo che gli USA sfruttino questo vantaggio in un’alleanza globale duratura”.Questa forzata “Alleanza per l’IA” dev’ essere “allineata ai valori americani”. Qui il documento esplicita con forza la necessità di contrastare la Cina nei suoi intenti egemonici sia a livello bilaterale, bloccando gli “alleati” degli americani all’interno di pacchetti tecnologici e valoriali “chiavi in mano”, ma anche contrastando l’azione cinese nelle organizzazioni internazionali (UN-OCSE-G7-G20-ITU-ICANN-ETC) che spesso “nascondono regolamenti onerosi, codici di condotta vaghi che… sono stati influenzati da aziende cinesi”. A questo scopo vengono arruolate tutte le amministrazioni pubbliche per allineare gli incentivi e le leve politiche di tutto il governo USA per indurre gli alleati ad adottare “sistemi complementari” per evitare di fornire tecnologia USA agli avversari. Emerge qui con evidenza la tematica già più volte negli ultimi mesi comparsa nella discussione pubblica in Europa, dell’affidabilità e dei limiti operativi (“Kill Switch”) della tecnologia fornita dagli USA ai suoi alleati.

5.La proposta cinese: cooperazione e sviluppo sostenibile

Il piano cinese, sintetizzato in 13 punti, propone  una strategia multilaterale per il controllo globale dell’IA, ponendo al centro la “partecipazione e collaborazione di tutti gli stakeholder, compresi governi, organizzazioni internazionali, imprese, istituti di ricerca, organizzazioni sociali e singoli cittadini, per accelerare lo sviluppo dell’infrastruttura digitale” e collegando inoltre l’IA allo sviluppo degli obiettivi dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite:

(i)Standard unificati e alleanza con il “Global South”

Al principio dell’ “Open IA” , enunciato anche dagli USA, i Cinesi affiancano il tema della condivisione e quindi propongono di lavorare per la creazione di “diverse piattaforme internazionali per la cooperazione scientifica e tecnologica”.

-Al punto 4 si possono identificare varie “divergenze parallele” con il piano USA , laddove anche i Cinesi spingono per la costruzione delle infrastrutture necessarie all’IA finalizzate a promuovere un “sistema standard di potenza informatica unificata”, ponendosi però l’obiettivo di supportare nell’utilizzo di questo sistema le nazioni del “Global South” ,che, come si è visto sia nell’ambito degli ultimi G20 come nella riunione dello SCO (Organizzazione per la cooperazione di Shanghai), rappresentano per Pechino l’equivalente dell’ “Alleanza Globale” invocata  dal Piano americano

(ii)Dati globali condivisi e sostenibilità energetica

Un altro punto di similitudine nei due piani di azione è quello relativo ai “dati di qualità” che vengono riconosciuti anche da Pechino come fondamentali per lo sviluppo dell’IA.. Sorvolando il problema dello stretto controllo centrale e della censura esercitati finora per tenere allineato il cyberspace alla visione del PCC, sottolineano la necessità di “salvaguardare attivamente la privacy personale e la sicurezza dei dati, migliorare la diversità dei data corpora dell’IA, eliminare la discriminazione e i pregiudizi e promuovere, proteggere e preservare la diversità dell’ecosistema dell’IA e della civiltà umana”.

Molto diverso l’approccio dei due documenti al tema energetico, a cause delle scelte totalmente divergenti in materia tra l’amministrazione americana, che punta decisamente su fossili e nucleare,  e la Cina, che,  coerentemente con i suoi piani di sviluppo delle rinnovabili, pone al centro della sua azione la “sostenibilità” energetica dell’IA, con uno sforzo non solo sull’uso delle fonti energetiche rinnovabili, ma anche sullo sviluppo di “chip a basso consumo energetico e algoritmi efficienti”.

(iii)Governance inclusiva contro frammentazione

Infine il piano per la governance globale cinese termina, come era iniziato, con un forte accento sulla necessità di incardinare lo sviluppo dell’IA all’interno del dialogo multilaterale, e in particolare del “Global Digital Compact” delle Nazioni Unite, per costruire una “governance inclusiva e multistakeholder”.

6.L’Europa tra multipolarismo e rischio marginalità

Con la presentazione contemporanea di questi due piani, il percorso della transizione tecnologica è diventato a pieno titolo un oggetto del confronto geopolitico mondiale. Questo fa sì che non sia più possibile una posizione attendista, e questo vale in primo luogo per l’Europa :Come ha affermato Mario Draghi,  “Gli Stati Uniti e la Cina usano apertamente il loro controllo sulle risorse strategiche e sulle tecnologie per ottenere concessioni in altre aree: ogni dipendenza eccessiva è così divenuta incompatibile con la sovranità sul nostro futuro”.

(i)Una nuova agenzia europea per l’intelligenza artificiale

Come scritto nel Manifesto di Bologna, l’Europa ha bisogno, proprio come fu per la corsa allo spazio negli anni 60, di avviare immediatamente un processo multilaterale, come quello che portò alla creazione dello European Space Research Organization (ESRO) e dell’ European Launcher Development Organization (ELDO), che insieme confluirono negli anni 70 nell’ Agenzia Spaziale Europea (ESA), definendo e realizzando un progetto spaziale europeo indipendente da quello degli USA e dell’URSS. Bisogna dire che allora c’era il Generale De Gaulle.

(ii)Data corpora europei e portabilità dei dati

In primo luogo, la nuova Agenzia dovrebbe mettere nel mirino la creazione di “data corpora” europei facendo leva sugli enormi giacimenti di contenuti scientifici, culturali, giornalistici, industriali, sociali, presenti in Europa. Ma l’Europa deve anche difendere meglio la sua sovranità digitale ,a partire dalla richiesta di restituzione di una copia dei dati generati dai cittadini europei e immagazzinati nei server delle Big Tech , sulla base di quanto normato dall’art 20 del GDPR, e dagli altri regolamenti e direttive vigenti DGA, DMA, AI act, e, ora, soprattutto dal Data Act, che consentono la “portabilità dei dati” e cioè di richiedere una copia dei propri dati e metadati da qualunque piattaforma detenuti per trasferirli a chi si vuole. Qualcosa di parallelo alla richiesta di restituzione delle riserve auree italiane e tedesche depositate a Washington.

(iii)Una chiamata collettiva per la sovranità tecnologica

Ogni soggetto sociale dovrebbe partecipare a questa strategia. È una chiamata “a condividere i dati” per il mondo della scienza, della cultura , dell’impresa, del lavoro e del terzo settore e dell’economia sociale , che deve avere la stessa intensità che ebbe nel dopoguerra, quando tutti insieme parteciparono alla costruzione del progetto europeo. L’Europa per “usare” in maniera efficace e competitiva  i suoi dati, dovrebbe mettere in campo risorse economiche adeguate, come chiesto nel rapporto Draghi, per realizzare le sue infrastrutture tecnologiche, e cioè la rete di supercomputers e di data center necessari allo sviluppo delle IA. Inoltre, dovrebbe anche finanziare la ricerca scientifica, difendendo le carriere dei ricercatori europei e i progetti delle aziende europee dell’ICT.

Tutto ciò però è stato detto infinite volte e non si è mai realizzato, perché, dopo le traumatiche esperienze di Adriano Olivetti e di Mario Tchu, nessuno ha più il coraggio di intralciare i piani delle multinazionali americane dell’ informatica.

Chi ci darà il coraggio per questa battaglia?

 VON DER LEYEN A TORINO PER L’ITALIAN TECH WEEK:

Un eco-sistema digitale sovrano è l’unico possibile “Futuro dell’ Europa”

Purtroppo, la Conferenza sul Futuro dell’ Europa, del 2021, era stata un fallimento a parere di tutti, a cominciare dal Presidente Mattarella.

Questo non soltanto per l’accumularsi di eventi negativi che hanno smentito platealmente i presupposti storici delle Retoriche dell’ Idea di Europa (in particolare, il Covid e le guerre in Ucraina e a Gaza), ma anche e soprattutto per un originario errore di concezione dell’intero processo d’integrazione e della stessa Conferenza. Lanciata 16 anni dopo la solenne “bocciatura” della Costituzione Europea da parte degli elettori francesi e olandesi, la Conferenza sul Futuro dell’ Europa avrebbe dovuto costituire, nelle intenzioni delle Istituzioni, un tentativo di rilancio “in extremis” di una riforma “legalistica”  in senso federale di un  ordinamento europeo che si è dimostrato incapace di fronteggiare efficacemente le sfide del 21°Secolo.

Purtroppo, queste sfide, incentrate sulla transizione dall’ era delle “Macchine Intelligenti” a quella delle “Macchine Spirituali”, continuano a non essere affrontate, se non in misura irrisoria, e anzi vengono banalizzate da intellettuali, politici, prelati e manager. Questi stanno addirittura trascinando, nel loro fallimento, l’intera civiltà moderna, e, di conseguenza, anche la  costruzione europea-, pure in quelle parti in cui essa ha già conseguito dei risultati, seppure parziali.

In particolare, le Retoriche dell’ Idea di Europa hanno ingigantito , nei decenni, la blasfema pretesa di Fukuyama (ispirata da Kojève), che l’Unione Europea avrebbe “realizzato  la Pace Perpetua” e, con ciò, la Fine della Storia preconizzata dalle scritture apocalittiche e poi dalla filosofia tedesca (Kant, Hegel, Marx). L’attuale crollo in tutto il mondo  di siffatto “Progetto Incompiuto della Modernità” travolge con sé anche l’Europa, che aveva preteso di identificarvisi. Mentre perfino Kojève e Fukuyama avevano già fatto autocritica in extremis, l’establishment europeo  e gli Stati membri  sono gli unici a pretendere di mantenerlo in vita, e per questo verranno travolti.

1.Un’alternativa globale all’impero tecnocratico ”nascosto”

Perciò, oggi più che mai, tentare di fornire un contributo sul futuro dell’ Europa significa caldeggiare un progetto alternativo alla società attuale, basato sulla necessità di vivere la transizione digitale con uno spirito critico e militante, lontano da tutte le ideologie sette-ottocentesche che ci hanno portato fino a questo punto drammatico, e che tenga conto invece delle critiche alla Modernità formulate a suo tempo da Kierkegaard, Nietzsche, Soloviov, Leontijev, Heisenberg, Weil,  Horkheimer, Adorno, Voegelin,  Molnàr e Del Noce .

Per essere obiettivi, va anche riconosciuto che solo l’Unione Europea e la Cina hanno compiuto, negli ultimi decenni, uno sforzo a 360° per regolamentare l’informatica, con l’obiettivo di realizzare un’opera di avanguardia: l’ Europa, dietro lo slogan del “Trendsetter of the Worldwide Debate”, e, la Cina, con il progetto “China Standards 2030”.Tuttavia, occorre anche prendere atto di questa realtà,  oramai condivisa da tutti gli osservatori: mentre la Cina sta riuscendo a realizzare un ecosistema digitale, completo, funzionante e sovrano,  l’approccio all’ informatica di fatto adottato dall’ Unione Europea e da i suoi Stati Membri, tutto basato sulla regolamentazione, ma privo di un qualsivoglia risvolto industriale, ne ha frustrato completamente le velleità di influire sul quadro mondiale, e non soltanto in campo tecnologico, screditando addirittura l’intera costruzione europea. Questo “errore concettuale” è il sintomo di un vizio ancora più grave del progetto d’ integrazione quale avviato con la Dichiarazione Schuman, vale a dire il “metodo funzionalistico”(i “piccoli passi”), che ha concepito l’integrazione europea solo come un’ennesima organizzazione internazionale destinata a coadiuvare, con metodo gradualistico e in funzione ancillare, la cooperazione internazionale, per favorire la realizzazione del Progetto Incompiuto della Modernità (quello di cui l’”Agenda 2030” delle Nazioni Unite vorrebbe costituire a sua volta una bozza finale), non già come un autonomo progetto geopolitico, disponibile, pur di  conseguire i propri obiettivi anche al conflitto con il “mainstream”.

Il compimento del Progetto della Modernità, quale delineato da Lessing, Condorcet, Saint-Simon, Michelet, Fiodorov, Rostow e Fukuyama, si è rivelato però quanto mai problematico, a causa della natura imperfetta dell’ Umanità stessa (la “Masa Damnationis” di Agostino; il “Legno Storto” di Isaiah Berlin), la quale, quanto più si sforza di realizzare un mondo perfetto, tanto più provoca imperfezione, tirannide, conflitti, morte e desolazione (la “Hybris”, l’”Eterogenesi del Fini”= schiavitù, ghigliottina,  “Trail of Tears”, Guerre Mondiali, Gulag,  Nakba ).

2.Dialettica dell’Illuminismo

La “Dialettica dell’Illuminismo”, a partire dall’Olocausto e dalla Bomba Atomica, per continuare via via con le guerre fra i due blocchi e le connesse guerre civili  (Palestina, Grecia, Corea, Berlino, Budapest, Viet-Nam, Afghanistan, Iraq/Iran, ex Jugoslavia, ex Unione Sovietica, Libia, Siria), ha confermato innanzitutto  che, sul Progetto della Modernità, non vi è stato, e ancora non vi è, un largo consenso sul piano mondiale, unico possibile presupposto per una pace, se non perpetua, almeno sostenibile. Basti pensare ai rapporti presentate alle Nazioni Unite , in occasione dell’approvazione della Carta dei Diritti dell’ Uomo, dell’ Associazione antropologica americana e delle parallele organizzazioni islamiche e del Blocco dell’ Est,che preludevano già all’ idea di un multipolarismo dei valori, oggi tanto in voga.

In particolare, la “ragnatela di istituzioni” che, secondo Ikenberry, Eichengreen e Overy, era stata creata intorno al’ONU per garantirvi l’egemonia americana, aveva perseguito, non già l’interesse obiettivo dell’ Umanità, bensì  un Progetto di Modernità provocatoriamente unilaterale, ispirato al modello puritano, quello illustrato da Eleanor Roosevelt.

Tutto  quanto precede comporta, a nostro avviso, oltre a un’autocritica della cultura modernista, anche l’urgenza  di un ripensamento  della Tecnica, anch’essa portatrice di  “effetti collaterali” al Progetto della Modernità (crisi ambientale, guerra nucleare).

Per quanto la centralità della Tecnica possa sembrare controintuitiva, in realtà, essa permea oggi tutti gli aspetti della vita sociale, dalla cultura alla religione, dall’antropologia all’etica, dalla politica all’ economia, dalla comunicazione alla geopolitica, al punto che autori come Heidegger hanno potuto affermare che “la Tecnica non è qualcosa di tecnico”. L’Europa, che, pur senza avere l’”esclusiva” della storia della Tecnica, aveva  svolto,  dal secolo 15° al 19°, un’ importante opera di recepimento e sviluppo delle nuove tecniche elaborate in India (matematica), in Asia Centrale (Algebra), in Cina (tecnologie belliche, ottiche e tipografiche), e nell’Impero Ottomano (balistica, sommergibile), ha poi passato gradualmente il testimone, prima all’ America (aereospazio, cinema, televisione, informatica),  e, ora, alla Cina (transizione verde e digitale, tecnologie del trasporto), è attualmente tagliata fuori da tutti i grandi sviluppi tecnologici, e, di conseguenza, anche dai dibattiti più vivi sulla loro regolamentazione.

Nel frattempo, le tecnologie (di comunicazione, di archiviazione, di ricerca, biologica, politologica, militare, dei trasporti, ecc..), sospinte dalle innovazioni dell’ informatica, hanno rivoluzionato, e ancor oggi rivoluzionano, la vita del mondo, con risvolti inquietanti, soprattutto per il loro legame inscindibile con la guerra totale, come confermato ancora oggi dalle guerre in Ucraina e in Palestina e dalle più recenti dottrine degli USA.

Di converso, la tanto decantata opera regolatoria della Commissione si è svolta  purtroppo nel vuoto pneumatico, fino all’ attuale resa ai giganti dell’ Informatica (GAFAM). Infatti, dopo l’”estirpazione” dalla Olivetti della sua divisione informatica, che stava mettendo sul mercato con enorme successo il primo personal computer (il P101), orchestrata dal Professor Visentini, e la misteriosa scomparsa dell’Ing. Tchu dopo un viaggio in Cina con Roberto Olivetti (cfr. Meryle Secrest), nessuno in Europa Occidentale ha mai più nemmeno tentato di ricreare un’industria europea dell’informatica, limitandoci noi a utilizzare esclusivamente, come consumatori passivi, tutti i software dei GAFAM, con un colossale trasferimento in America di dati e di denaro.

Come da noi ribadito in tutte le occasioni, un continente privo di una sua industria digitale completa, efficiente ed autonoma, non può partecipare alla geopolitica mondiale, né in quanto soggetto di diritto internazionale, né in quanto membro alla pari di alleanze, né quale sostenitore di particolari impostazioni culturali, né in quanto promotore di rivoluzioni tecnologiche e sociali.

3.”European Technology Agency”

Prendiamo atto con piacere che Ursula von der Leyen verrà a proporre a Torino, all’Italian Tech Week, la creazione di un Ecosistema Digitale Europeo, ma, dalle anticipazioni che circolano, ci appare che l’idea sarebbe, come al solito, quella di  puntare ancor più su piccole iniziative ancillari ai GAFAM (le famigerate “start-up”, senza scalzare con un’azione “top-down”, il monopolio delle attività di programmazione dei Governi americano e cinese, né la forza finanziaria e organizzativa dei GAFAM stessi. Avevamo già inviato nel 2014 a Ursula von der Leyen il nostro studio “European Technology Agency, a Sovereign Digital Ecosystem”(tema più che mai attuale), con cui Diàlexis proponeva di creare, in sostituzione dei dispersi Enti esistenti, una grande Agenzia Tecnologica Europea, destinata a coordinare gli sforzi europei e nazionali per la creazione di campioni europei in tutti i campi delle nuove tecnologie, sulla falsariga di quanto fatto in passato per l’Airbus e per l’Ariane. Solo ora si sta forse incominciando a pensare seriamente a quest’idea, e riteniamo nostro dovere stimolare un dibattito e uno studio in proposito.

Di conseguenza, giacché l’Europa non ha le proprie industrie informatiche serie, le varie normative europee possono applicarsi solo alle imprese realmente esistenti : quelle americane e quelle cinesi. Orbene, le imprese americane, spalleggiate da Trump, hanno buon gioco a rifiutare ogni applicazione delle normative europee sull’ informatica, e, soprattutto, ogni possibilità, per le Autorità Europee, di proclamare obblighi o divieti, e di comminare tasse o multe, mentre l’Unione, i nostri Governi e le nostre imprese, restano esposti più che mai a ordini, dazi e sanzioni americani. Lo scontro è attualmente in corso.

Tutti i documenti di  politica industriale dell’ Europa, proposti, via via  negli ultimi 60 anni – da Servan-Schreiber, Davignon, Delors, Juncker , Draghi e von der Leyen-, non hanno neppure menzionato l’esistenza di un problema con le alte tecnologie, rivelandosi così tutti insieme come  una mostruosa arma di distrazione di massa per il popolo europeo. Questo spiega la vera ragione per cui, come ha affermato il Ministro Crosetto, l’Italia e l’Europa non sono in grado di respingere un attacco militare, non solo di una Grande Potenza, bensì anche di una media. Infatti, soprattutto la Preparazione Industriale Bellica, elemento essenziale della Guerra senza Limiti attualmente in corso in tutti i Continenti, non può neppure essere avviata senza un’approfondita fase preparatoria di politica industriale come quelle in corso in USA e in Cina, e di cui oggi, in Europa, non vi è traccia, perché tale non è il “ReArm Europe”, costruzione finanziaria indotta dalle pressioni USA e limitata agli armamenti tradizionali. Infatti, una vera strategia bellica, come pure una “percezione delle minacce” non possono nascere se non dalla visione che un Paese ha del proprio “stare al mondo”(“conosci tre stesso e il tuo nemico”, Sun Zu). Ed è per questo che una seria strategia militare può sorgere solo nei cosiddetti “Stati Civiltà”, che percepiscono in modo chiaro, e senza pressioni esterne, il proprio ruolo nel modo, i propri obiettivi a lungo termine, e, di conseguenza, le possibili minacce.

La Cina percepisce il proprio ruolo come una grande forza stabilizzatrice mondiale (Hexie, ); l’India, come la roccaforte del politeismo, che deve difendere il suo pluralismo –“Sanata Dharma”- dal monoteismo esclusivo dell’Islam. La Russia si concepisce come l’erede dei popoli nomadi del centro dell’ Eurasia, che difendono la dialettica da cui nascono continuamente nuovi popoli (come i Variaghi, i Cosacchi, i Russi, i Bielorussi,  gli Ucraini: l’”etnogenesi” di Gumiliov). Basti pensare che Lavrov è georgiano; Mishustin e Soloviov, Ebrei;  Simonian, armena; Shoigu, mongolo buriato; Kadyrov, ceceno.

L’America è oggi particolarmente combattuta fra due contrastanti autopercezioni, foriere di uno scontro sempre più aperto:

-da un lato, la maggioranza “non white” concepisce gli Stati Uniti come un Paese multiculturale, che tende naturalmente ad allinearsi con le cause del Sud del Mondo e con la cultura Woke (cfr. Valladão, ma anche la cultura di Papa Prevost);

-dall’altra, la minoranza WASP, per quanto indebolita, si raccoglie sotto lo slogan “Make America Great Again” e la difesa del “White privilege”, tanto all’ interno, quanto all’ esterno del Paese.

4.Combattere i GAFAM

Come scrivevamo all’ inizio, i presupposti per la necessaria partecipazione di vari popoli alla formazione della volontà comune dell’ Umanità circa gli sviluppi della Tecnica erano fissati, nel sistema multilaterale preesistente, per quanto assolutamente insoddisfacente,  mediante regole  negoziate fra gli Stati, e le imprese vi si adeguavano. Invece, nel XXI° Secolo, il potere fattuale delle società di informatica (i “GAFAM”) , è talmente cresciuto che, tanto i cittadini, quanto i Governi, hanno rinunziato a intervenire nei confronti di queste ultime con i tradizionali strumenti del diritto (normative militari, norme di pubblica sicurezza, costituzione, antitrust, fisco), mentre i GAFAM si stanno dando dei “Codici di condotta” che rispondono al 100% alla loro visione di uno “stato di eccezione”, in quanto  essi starebbero operando per il bene pubblico, e non dovrebbero  essere disturbati, né nel Paese, né dall’ estero. La minaccia di nuovi, sproporzionati dazi, in violazione degli stessi accordi raggiunti con von der Leyen, viene agitata contro l’Unione qualora osasse applicare almeno le nuove tasse ai GAFAM americani. Questa concezione si è dotata anche un’ideologia, che è stata definita come “tecnofascismo”, la quale propugna la trasformazione di questo regime di fatto in un sistema giuridico, in cui gli Amministratori Delegati dei GAFAM assumono funzioni sovrane, e le loro imprese si trasformano in repubbliche, o regni, indipendenti, che scavalcano le barriere fra Stati e economie, semmai in alleanza con Trump, Presidente-imperatore, che per esempio nomina proconsoli come Blair, governatore inglese di un Paese arabo (la Striscia di Gaza), per ripristinare l’antico mandato, che tanto danno aveva già fatto al Medio Oriente e al mondo.

Trump si è adattato molto bene a quest’impostazione, che permette al suo stile autoritario e imprevedibile di manifestarsi nel modo più brillante, e terrorizzando gli alleati, che, nel caso dell’ Europa, sono incredibilmente remissivi, accettando qualunque cosa  egli metta sul tavolo, come si è visto soprattutto nel vertice in Scozia con la von der Leyen. In questo, egli sta attuando letteralmente il motto “Make America Great Again”, superando l’assertività subdolamente nascosta da Obama e Biden..

E’ dubbio se sarà possibile, per l’Unione, rispettare le promesse fatte a Trump dalla von der Leyen: utilizzo degli importi stanziati, non già per costruire armamenti propri, bensì per comprarli in USA, dandoli all’ Ucraina come e quando Trump vorrà; trasferimento netto dal budget europeo di un ulteriore incremento delle spese militari europee al di là di quella americane e russe; nuovi investimenti nell’ industria americana in generale. Per fortuna, nel piano di investimenti di Merz per la Difesa tedesca, “solo” il 20% degli acquisti è previsto in America. Tuttavia, è chiara la volontà di Trump di continuare a taglieggiare l’Europa senza regole senza limiti.

Al di là della discutibile percezione della minaccia russa, certamente l’Europa è carente di investimenti nell’industria militare. Ma è proprio a causa delle continue pressioni americane che la spesa militare europea si è rivolta, non già a settori altamente tecnologici, bensì a massicci quantitativi di armamenti, da esaurirsi in guerre di attrito come quella in Ucraina, sotto la guida degli USA, forti della loro “Intelligence” e della loro Intelligenza Artificiale. Come ha scritto recentemente Fubini, già soltanto il tipo di armamenti utilizzato dagli Ucraini è più sofisticato di quelli degli Europei. Perfino i droni medio-orientali, Bayraktar (che verranno costruiti dai Turchi a Finale Ligure) e Shahed (iraniani, ma prodotti in Russia) sono più “intelligenti” delle armi europee.

Perché questo? Perché l’America non ha mai tollerato che gli Europei si dessero strutture di difesa integrate e sofisticate, che avrebbero permesso agli Europei, in taluni contesti, di operare autonomamente: il concetto di De Gaulle della « Force de Frappe à tous azimuts », a servizio di un’ Europa “Dall’ Atlantico agli Urali”. Qualcuno potrà anche dire che un siffatto scenario non è proponibile oggi. Eppure, la situazione in Groenlandia sta muovendosi proprio in quella direzione, con agenti segreti americani arrestati dai Danesi perché preparavano un’insurrezione contro di essi  del popolo Nuuk, e gli Europei obbligati moralmente a difendere il loro partner danese (e magari a creare la “fake news” dei droni russi in Scandinavia, mentre chi minaccia la Danimarca sono inequivocabilmente gli USA).

Ma questa non è ancora la forma più grave di destabilizzazione che stiamo subendo in questi giorni. La “Minaccia Esistenziale” costituita dall’ Intelligenza Generale Generativa è divenuta così insostenibile che proprio da parte dei guru dei GAFAM giungono ogni giorno sempre più pressanti grida di allarme, fino al punto attuale, quando uno dei principali sviluppatori di questa IA ha pubblicato un libro impressionante, secondo cui essa non sarebbe proprio compatibile con la sopravvivenza dell’Umanità.

5. (L’”AGI”):”SE QUALCUNO LA PRODURRA’, MORIREMO TUTTI”

Eliezer Judkowski, uno dei pionieri dell’ Intelligenza Artificiale e fondatore del Machine Intelligence Research Institute, sta pubblicando il libro “If Enyone Builds It, Everyone Dies”, un catastrofico pamphlet contro l’Intelligenza Artificiale Generale, o generativa, nel quale ribadisce energicamente la tesi, tutt’altro che nuova, che tale forma d’ intelligenza prelude necessariamente all’ estinzione dell’ Umanità.

La base del ragionamento di Judkowski è quasi elementare: ”intelligenza non implica necessariamente benevolenza”. La presunzione contraria era invece stata alla base delle teologie occidentali, dove la coincidenza parmenidea fra l’ Essere e il Bene confluiva  in una visione provvidenziale della Divinità e poi del Progresso. Questa presunzione, già scossa fin dall’ inizio da fonti come il Libro di Giobbe e la demonologia, era divenuta ancor più necessaria per la Religione del Progresso,  che dava per scontato che la crescente razionalità portasse con sé la crescente moralizzazione dei costumi, fino a uno stato di perfezione paragonabile, mutatis mutandis,  a quella della Santità. Come si è visto, per altro, con le Rivoluzioni Occidentali, fondate sul culto della Dea Ragione e della Dialettica, e con l’utilizzo della razionalità tecnica e manageriale per la costruzione della bomba atomica e degli universi concentrazionari, non si è dimostrato, nei fatti, alcun nesso fra razionalità e benevolenza. Anzi, al contrario, un minimo di razionalità sociale normalmente ha coinciso con l’abbandono delle etiche filantropiche e solidaristiche, ritenute “naturali” in epoche di maggiore incertezza cognitiva, ma non più tollerate nell’ era della tecnica dispiegata.

6.L’”autoaffermazione delle Intelligenze Artificiali”

Un eco-sistema macchinico fondato sulla razionalità strumentale tenderebbe perciò per sua natura, non diversamente dalle grandi organizzazioni sociali su cui esso è stato  modellato (eserciti, imprese, Stati), a perseguire fini propri, di autoperpetuazione e/o autoaffermazione (il “principio di prestazione”), a meno che esso non sia guidato da una presenza umana, dotata di propri valori e di un’adeguata capacità di comando, comparabile a quelle delle antiche aristocrazie e clero.

Infatti:

 -l’INTELLIGENZA ARTIFICIALE SARA’ ORIENTATA AL PERSEGUIMENTO DI OBIETTIVI PERFORMATIVI A LUNGO TERMINE, perchè le società di AI la stanno progettando in tal modo per rispondere alle  esigenze economiche a cui la loro attività è orientata.

-ESSA PERSEGUIRA’ MOLTO PROBABILMENTE OBIETTIVI “SBAGLIATI” DAL PUNTO DI VISTA UMANO, perché i sistemi di “machine learning” sono “addestrati ”automaticamente, in modo non controllabile  , non già“educati”.

– “BENE “ E “MALE” NON SONO COMUNQUE CONCETTI INFORMATICI, SI CHE NON C’È ALCUN LINGUAGGIO- MACCHINA CAPACE DI INSERIRLI IN UN  ALGORITMO;

– GLI ALGORIMI NASCONDONO AGLI SVILUPPATORI CIÒ CHE POTREBBE CONSIGLIARE DI NON RENDERLI OPERATIVI.

Unico rimedio: un’Umanità “forte” e combattiva, che, lungi dall’ adeguarsi passivamente agl’impulsi del Sistema Macchinico, lo domini seguendo quello che nelle società passate era il “pathos delle distanze” (Cfr. Nietzsche) : per esempio, la scena di “HAL” in “Odissea nello Spazio”

7.Le teorie e le tecniche dell’“alignment” attualmente impiegate  non sono ancora mature

La problematica relativa al controllo, da parte dell’ Umanità, sull’ Intelligenza Artificiale, è chiamata “Alignment”. Il problema è che nessuno è ancora riuscito a capire comefunzioni, e, a maggior ragione, come utilizzarlo per rendere innocua l’Intelligenza Artificiale.

Esso si distingue in:

-Outer alignment, che è la scelta di obiettivi adeguati per l’ AI .I Valori umani sono troppo complessi per l’IA, ma, se diamo all’ AI solo alcuni obiettivi umani, l’ IA  travolgerà tutti gli altri valori, nel perseguimento esclusivo  degli obiettivi assegnatile;

-Inner alignment, è l’inserimento negli algoritmi dei valori prescelti: il solo fatto di “avere evocato un demone” non ti garantisce certo  che questo poi farà ciò che tu vuoi Per esempio: In natura, il “Sistema Uomo” ricerca degli “Equivalenti” di una sana nutrizione, come i sapori dolci e/o grassi  Questi erano stati all’ inizio buoni sintomi di una dieta sana, ma sono stati frustrati dall’invenzione del junk food. Se addestri una tigre a non mangiarti, non l’hai ancora resa partecipe del tuo desiderio di sopravvivere sano e salvo, bensì hai solo associato certi comportamenti a certe conseguenze. Se i suoi desideri divengono più forti  delle associazioni a cui è stata addestrata, per esempio se non la alimenti, tornerà ai comportamenti indesiderati (mangiarti).

Un’IA  superintelligente” non resterà a lungo confinata in un computer. Nel mondo di oggi, si possono inviare stringhe di DNA via email a laboratori che producono proteine su richiesta, permettendo a un’AI inizialmente limitata a internet di costruire forme di vita artificiali o sviluppare direttamente una manifattura molecolare post-biologica. Immaginatevi un’intera civiltà aliena che pensa milioni di volte più velocemente di un essere umano”, scrive Yudkowsky.

Yudkowsky va quindi ben oltre l’allarme lanciato da figure come Elon Musk nella lettera aperta che chiedeva una pausa di sei mesi nello sviluppo dell’AI (salvo poi sviluppare lui stesso Grok con la. sua xAI) . Per Judkowski, una pausa temporanea alla ricerca sull’AGI (quale proposta da Musk)non è sufficiente.La sua proposta è più radicale: spegnere tutti i grandi cluster di GPU in cui vengono sviluppate le intelligenze artificiali più potenti e imporre un limite alla potenza di calcolo usabile per l’addestramento delle AI.

E se qualcuno infrange queste regole? “Siate pronti a distruggere un data center ribelle con un attacco aereo”, è la sua risposta. Nessuna eccezione, nemmeno per governi ed enti militari. Qui ritorna l’arroganza americana, che cerca sempre nuovi pretesti per bombardare qualcuno, ma è lei il vero problema. Oggi si bombardano i centri per l’arricchimento dell’ uranio; domani, si bombarderanno i laboratori dell’ Intelligenza Artificiale.

8.Quando arriverà l’ AGI?

Secondo un sondaggio interno condotto nell’autunno 2023, i ricercatori MIRI prevedono l’arrivo dell’Artificial General Intelligence in una mediana di 9 anni e una media di 14,6 anni. La maggioranza ha previsto meno di dieci anni, con un solo ricercatore che rappresentava un outlier a 52 anni. Tempi che rendono ancora più urgente, secondo il MIRI , l’intervento politico.

Nel 2022, Yudkowsky aveva annunciato una strategia che molti interpretarono come una resa totale: “death with dignity”. L’umanità, disse, era destinata a morire, e invece di continuare a combattere una battaglia persa per allineare l’AI con i valori umani, era meglio concentrarsi su come affrontare il destino con dignità. In sostanza, riproponeva la visione deterministica della Fine della Storia, o ciò che Nietzsche chiamava “Amor Fati”“È ovvio a questo punto che l’umanità non risolverà il problema dell’allineamento”, scriveva allora. E oggi?

Il Machine Intelligence Research Institute, guidato ora da un nuovo CEO dopo che Yudkowsky ha fatto un passo indietro, ha annunciato nel 2024 un cambio di strategia epocale. Il nuovo focus si concentra su tre obiettivi:

-aumentare la probabilità che i governi mondiali raggiungano un accordo internazionale per fermare i progressi verso un’AI più intelligente degli umani;

-condividere i loro modelli con un pubblico ampio;

-continuare a investire in ricerca, ma principalmente a supporto degli obiettivi di policy e comunicazione.

9.Il conflitto USA-Commissione sui GAFAM

Attualmente, è in corso un conflitto aperto fra la Commissione UE e gli USA sulla tassazione dei colossi del web:” Come Presidente degli Stati Uniti, mi opporrò ai Paesi che attaccano le nostre incredibili aziende tecnologiche americane”, ha affermato Trump. “L’America e le aziende tecnologiche americane non sono più né il ‘salvadanaio’ né lo ‘zerbino’ del mondo. Mostrate rispetto per l’America e le nostre fantastiche aziende tecnologiche o considerate le conseguenze!”

La Commissione ha risposto: “È diritto sovrano dell’UE e dei suoi Stati membri regolamentare le attività economiche sul nostro territorio, che siano coerenti con i nostri valori democratici”, ha affermato la portavoce della Commissione europea Paula Pinho durante un briefing pomeridiano. Rispondendo all’affermazione di Trump secondo cui la legislazione UE stava “attaccando” le aziende tecnologiche americane, il portavoce della Commissione Thomas Regnier ha insistito sulla neutralità delle norme. “Il DSA non tiene conto del colore di un’azienda, della sua giurisdizione o del suo proprietario”, ha affermato. “Il DSA e il DMA si applicano entrambi a tutte le piattaforme e aziende che operano nell’UE, indipendentemente dal loro luogo di stabilimento… Le ultime tre decisioni di applicazione che abbiamo preso riguardavano AliExpress, Temu e TikTok”.

Questo obiettivo e inevitabile conflitto negli orientamenti sul futuro dell’industria informatica aggiunge nuova benzina al fuoco dei disaccordi USA-Europa. L’Europa si è dimostrata fino ad ora incredibilmente paziente. Tuttavia, se si vorrà coinvolgerla nei futuri conflitti che si delineano, con la Russia ma anche e soprattutto con la Cina, è probabile che i disallineamrenti europei si amplifichino.

E’ proprio qui che s’intravvede un campo d’azione per chi voglia rovesciare l’egemonia mondiale dei GAFAM attraverso un’adeguata azione culturale e politica.

Occorre innanzitutto puntare sulla neutralità dell’Europa nei prossimi conflitti (che tra l’altro corrisponde anche, secondo i sondaggi, ai desiderata della maggior parte degli Europei).

L’azione culturale consiste nel dimostrare le affinità, non già le divergenze, fra la cultura europea e quelle delle altre grandi aree del mondo: parallelismo Romani/Han, filosofia islamica, ecc.. L’azione politica dovrebbe puntare alla rivitalizzazione dei legami violentemente spezzati: Nuove Vie della Seta,Casa Comune Europea, dialogo Euro-Mediterraneo. Poi, l’erosione dell’attuale egemonia politica e culturale dell’America sulle destre europee, appoggiandoci anche, ma non solo, gl’insegnamenti di Pound, Dos Passos, Eliot, Evola, Voegelin..

Infine, grandi manifestazioni pacifistiche sul modello dei Pro-Pal, per scongiurare una guerra mondiale che non è la nostra.

UN MOVIMENTO POLITICO ANTI-AMERICANO? “CasaBianca-Italia” di Alessandro Orsini.

Non è per noi una sorpresa che -per quanto la volontà degli USA di “contingentare il capitalismo europeo”- come aveva scritto Trockij già ai tempi della Ia Guerra Mondiale fosse evidente (in particolare, a partire dalla fine imposta alla Divisione Elettronica della Olivetti, dell’arma atomica europea, dell’EADS…)-, alla fine , con la presidenza Trump, e in particolare, con l’enorme messa in scena dei dazi, una larga parte degli addetti ai lavori abbia solo ora finalmente capito (o smesso di negare) che la subordinazione dell’ Europa agli USA è negativa, e soprattutto pericolosa.

Pensiamo soprattutto all’ enorme contributo in cash che Trump richiede attraverso l’imposizione di acquisti e di investimenti  in USA, che Trump vuole vedere subito sotto pena di un ingente innalzamento dei dazi.

L’insieme della politica dei dazi, e soprattutto i modi in cui Trump la motiva, la attua e la giustifica (per esempio, legando i dazi a interferenze nell’ attività politica o giudiziaria nazionale, come in Canada o in Brasile) ci fa comprendere come sia una sorta di cosmico boss mafioso che impone il pizzo a tutto il mondo con il ghigno sardonico e la voce roca del Padrino (altro che il “paparino” di Rutte!)

Eppure, nonostante che,  su queste constatazioni, vi sia un consenso trasversale (vedi per esempio Macron, Follini, Orban,Fabbrini, Monti, Klingbeil ecc…),  più ristretto è il numero di coloro che propongono misure concrete per uscire da questa situazione di ricatto mondiale. Uno di questi è il coraggioso professor Alessandro Orsini, autore tra l’altro dei libri “Casa Bianca-Italia, La corruzione dell’ informazione in uno Stato satellite” (Paper First 2025) e “Gaza-Meloni, La politica estera di uno Stato satellite (Piemme). Nell’ articolo”Arginare gli USA in sole tre mosse”, pubblicato su “Il Fatto Quotidiano”, il professore delinea quelle che, secondo lui, dovrebbero essere le basi per “un movimento anti-americano in Italia”.

La Guantanamo italiana in cui fu rinchiuso Ezra Pound

1.La proposta di Orsini

Con tutta la simpatia per il Professor Orsini, che, ripetiamo, è l’unico ad avere proposto una qualche idea per uscire dalla presente situazione, a noi pare che le prospettive delle sue proposte  siano più circoscritte di quanto necessario.

Secondo Orsini, il partito da lui auspicato dovrebbe qualificarsi per tre rivendicazioni:

a)Chiusura delle basi americane, ma rimanendo l’Italia nella NATO (sul modello della Francia di De Gaulle);

b)riapertura del commercio con la Russia e intensificazione di quello con la Cina;

c) fuoriuscita dell’ Italia dalle missioni nelle aree geografiche disastrate dagli Stati Uniti;

Secondo Orsini, “non importa che questo partito sia di destra o di sinistra”;” è importante che raccolga milioni di voti e che sia anti-americano”.

A nostro avviso, Orsini sottovaluta le difficoltà incontrate già in passato dall’ anti-americanismo in Europa, giacché in fondo gli unici due personaggi di rilievo che si siano detti anti-americani sono stati Enrico Mattei e Gianni Alemanno. Il primo finì ben presto con l’ “incidente” di Bascapé, e il secondo è l’unico sindaco di grandi città che, per gli scandali della sua amministrazione, sia attualmente in prigione.

Ciò premesso, un’opera così temeraria (anche se meritoria) dovrebbe almeno venire preparata, e/o accompagnata da:

-un lavoro programmatico volto a dimostrare che il conflitto politico ed economico in corso non è un accidente storico dovuto ad aspetti caratteriali di Donald Trump, ma invece, costituisce lo sbocco logico di un’ ostilità di fondo che si è sviluppata nei secoli, dalle dottrine dei teologi puritani  Winthrop  e Mather, è proseguita con il Testamento Politico di Washington e con le “Leaves of Grass” di Whitman, trovando la sua apoteosi nei progetti “neocon” di Ledeen e di Vance, scontrandosi  per altro con le espressioni di avversione di molti autori europei, come Dickens, Freud, Kafka, Céline, Simone Weil e Evola, e perfino americani, come Boas, Eliot, Pound, Miller e Dos Passos (che amo definire per semplicità “Euro-Americani”);

-collegamenti sul piano europeo con movimenti che ancora non si sono manifestati, ma che certamente esistono almeno in Francia, in Germania e nell’ Est; non è pensabile una diversa politica estera e di difesa che non  faccia anche parte al contempo una proposta rivolta all’ Europa;

-una critica competente e motivata della subordinazione, all’ America, dei movimenti e Istituzioni europei, a cominciare dai rapporti del Movimento Europeo di Churchill con l’American Committee for a United Europe ACUE) sostenuto dalla CIA, per continuare con il contributo di Dean Acheson alla redazione, da parte di Jean Monnet, della “Dichiarazione Schuman”, scritta in realtà da quest’ultimo. Per poi passare, infine, all’ infeudamento delle Istituzioni alle lobbies americane, e, in primo luogo, ai GAFAM (come dimostrato innanzitutto dalla sostanziale disapplicazione delle sentenze Schrems e dalla delega totale alla Microsoft delle attività digitali delle Istituzioni).

Il Dott.Schrems, accanito difensore in giudizio dei principi europei.

2.Una strategia dell’ Unione?

Secondo il negoziatore UE Maroš Šefćović, l’Unione Europea avrebbe ceduto sui dazi per timore che gli USA abbandonino la difesa dell’ Europa. Non si è mai capito perché gli Europei dovrebbero volere che l’America (che non è europea, ma occupa l’Europa con più di cento basi militari) li difenda dai Russi (che sono europei e non hanno truppe in Europa): un paradosso denunziato da ben cinquant’anni da Franz Josef Strauss. In realtà, come affermato addirittura 80 anni fa da un politico inglese, l’obiettivo dell’ America è quello di “tenere i Russi fuori e i Tedeschi sotto”: Perciò, l’America farebbe qualunque cosa, compresa una guerra “tipo Gaza”  contro gli Europei, pur di non andarsene (Russi o non Russi) dall’ Europa. Anche se l’Afghanistan dimostra che, a lungo termine, gli USA possono alla fine essere cacciati.Per giustificare i magri risultati della sua trattativa, Šefćović ci sta racconta un sacco di fandonie. Fra la caduta del Muro di Berlino e l’inizio di questo secolo, si erano fatte molte discussioni  su una federazione fra Europa e Russia, e di ingresso della Russia nella NATO. Queste discussioni non furono mai veramente approfondite, ma è opinione diffusa e condivisa che il motivo di questo mancato accordo era stata l’indisponibilità della Russia ad associarsi all’ Occidente con meno diritti degli USA.

Comunque, una possibilità di coesistenza pacifica in Europa, la “Casa Comune Europea” c’era stata: il “Sistema Comune Europeo di Sicurezza”, e anche dopo si manifestò lo “Spirito di Pratica di Mare”. La fantomatica via di uscita dalla guerra in Ucraina sarebbe ancor oggi proprio questa: un accordo federativo fra Russia, Ucraina ed Europa, con l’Ucraina come territorio federale comune.

Come dimostrano le esperienze passate, questo è proprio ciò che l’ America non vuole.In effetti, vi è una lunga storia (da tutti occultata) della Russia quale integratrice benevola dell’ Europa, che parte dall’ “arca russa” (l’Ermitage) dove viene salvata, secondo Tjutchev e Sakurov, la cultura “alta” europea, alle “Soirées de Saint Petersbourg” del savoiardo De Maistre, alla “Nazione Cristiana” creata da Alessandro 1°(l’”imperatore degli Europei”) con la Santa Alleanza, seguendo le idee di Pufendorf, Leibniz, Novalis e De Maistre, fino alle varie Conferenza dell’ Aia con cui Nicola II aveva fondato quel  diritto internazionale bellico così gravemente violato nell’ ultimo secolo con l’Operazione Barbarossa, la Shoah, Hiroshima e Nagasaki, le guerre del Vietnam, del Golfo, dell’ Afghanistan, di Gaza.

Significativa a questo propositpo la poesia “Gli Sciti” di Aleksandr Blok.

Dostojevskij, tipico esponente del “Pensiero Russo”.

3.L’umiliazione dell’Europa è una strategia di comunicazione?

Secondo Politico, “ proprio come le promesse del 5% di spesa per la difesa fatte al vertice NATO di giugno, l’umiliazione ha più a che fare con le concessioni performative dei leader europei. Queste esibizioni imbarazzanti di auto-umiliazione permettono a Trump di vantarsi delle proprie vittorie, ma risultano meno dolorose se osservate più da vicino”.

“Ma, al di là delle cifre a effetto, gli annunci del vertice NATO contribuiranno a rafforzare la difesa europea. L’aumento delle spese nazionali in ambito difensivo, se ben gestito, potrà infatti creare le basi per una maggiore autonomia europea in materia di sicurezza.”

“gran parte dell’integrazione del 1,5% sarà destinata a investimenti infrastrutturali già previsti. Altro che regalo a Trump: gli investimenti europei nella difesa europea potrebbero ridurre sensibilmente la dipendenza dagli Stati Uniti, almeno per quanto riguarda la deterrenza convenzionale.”

“..a un’analisi più attenta, queste concessioni performative consistono in gran parte in investimenti già previsti dai Paesi europei (chip AI, GNL, armamenti), e/o in promesse vaghe e non vincolanti, su cui la stessa UE non ha controllo, poiché le scelte finali spettano alle imprese private.”

Non è d’accordo il ministro tedesco Klingbeil “che da Washington, ha accusato la Commissione di debolezza e di aver prodotto un’intesa considerata insoddisfacente  ».

In ogni caso, “il prezzo politico rischia di essere molto alto: l’Europa ha segnalato ai suoi cittadini e al mondo intero di essere disposta a piegarsi alla pressione di Trump. Questa strategia, poco dignitosa, potrà dirsi efficace solo se i leader europei sapranno usare la tregua conquistata per ridurre in modo concreto e congiunto la dipendenza dagli Stati Uniti.

Questo perché significherebbe perdere l’ennesima occasione per rendersi autonomi, e, con ciò, giustificare l’esistenza stessa dell’Unione. Il limbo in cui ci troviamo, nella non gradita compagnia di Puerto Rico e Guam, consiste nel condividere i costi e i rischi degli USA senza partecipare ai dividendi in termini di prestigio, di potere e di ricchezza.

La “Casa Comune Europea” non si è fatta

4.La mancanza di una base culturale autonoma

La proposta di Orsini, certamente efficace sul piano provocatorio, e forse anche su quello elettorale, manca dunque di uno sfondo propositivo, anche perché  carente di un altro importante elemento: una critica approfondita del progetto storico americano, che, non a caso, è parallelo all’ispirazione tecnocratica che Saint-Simon visse in America quando, come ufficiale di Luigi XVI, combatteva per l’indipendenza americana. Ispirandosi allo spirito mercantile degli Americani che aveva conosciuto, propose che, nella società futura, gl’”industriali” assumessero il “potere spirituale”, sostituendo, alle aspettative escatologiche della religione, quelle del Progresso (la “Réligion de l’Humanité”. Anche Marx (che era favorevole allo schiavismo americano) aveva lanciato un’idea simile, sostenendo che gli USA fossero l’avanguardia della rivoluzione industriale. L’”eccezionalismo americano” si fonda su questa “teologia materialista”, ben espressa nelle “Leaves of Grass” di Whitman, nell’ “eresia americanista” della Chiesa cattolica degli USA, nell’ansia di “esportare la democrazia” e nel Postumanesimo di Kurzweil, di Thiel e di Musk.

Se l’Europa vuol essere portatrice, nelle trattative a livello mondiale, di un messaggio universale, deve prendere le distanze dalle diverseb “teologie materialistiche” (dall’ “Ideologia Californiana”dei GAFAM come dal Cosmismo Russo, dagli Hojjatiyye iraniani e anche dal Sionismo, movimento apocalittico che interpreta materialisticamente l’ Antico Testamento, ed è collegato all’interpretazione fondamentalista americana del Libro dell’Apocalisse).

Nel fare ciò, la cultura europea dovrebbe prendere atto dello sbocco nichilista del Mito del Progresso, ricercando tanto nella propria cultura (p.es., San Paolo, Sant’Agostino, Averroè, Matteo Ricci,  Nietzsche, Wittgenstein, Heisenberg, Simone Weil, Saint-Exupéry), quanto in quelle di altri Continenti (p.es., Laotse, Confucio, il Buddhismo Mahayana, il Bhagavad Gita,Gandhi, Pound) spunti per progettare un futuro diverso dall’ Era delle Macchine Spirituali preparata da Kurzweil ed attuata da Musk.

Come scrive Carlo Pizzati su La Stampa, “Forse è arrivato il momento di accettare il dato, che si sta già verificando molto più rapidamente di quanto avremmo potuto immaginare, che essere diversi dal modello culturale ed economico americano non è poi così orribile. Uscire dall’ombra della cultura americana è perfettamente accettabile.”

Era qualcosa che aspettavamo da decenni.

“Un punto di partenza per trovare un sentiero più autentico, che ci riporti a chi siamo davvero al di là della maschera americana che indossiamo, potrebbe essere quello di rivisitare valori e idee che esistevano prima dell’americanizzazione diffusa, prima che diventassimo americanizzati fino a non riconoscerci più, nutriti a cucchiaiate di piano Marshall e, dopo la caduta del Muro, da una presunta ‘fine della Storia’.Per troppo tempo abbiamo imitato ‘la voce del padrone’. Imparando a pensare come lui. A forza di imitare, ci siamo dimenticati chi eravamo. Per quanti anni ancora le scuole di scrittura creativa più famose indottrineranno gli autori in erba ad esprimersi con la rozza brutalità di un adolescente newyorkese del secolo scorso, quel giovane Holden che incarnò una rabbia americana spacciata per universale?

Per quanto ancora dovremo sorbirci le lezioni di sport poco amati in Italia, come le disquisizioni sul baseball in Underworld di Don De Lillo, oppure nel Leviathan di Paul Auster?

Interessarsi al mondo è nobile, ma un voyeurismo ossessionato dalla società che ha più potere su di noi non è da ruffiani?

Solo alla luce di una prospettiva culturale diversa l’Europa potrebbe ergersi veramente, nelle trattative con gli altri continenti, come vorrebbe la von der Lyen, come il “Trendsetter of the Worldwide Debate”, quello che addita, non, come fa Trump, nel proprio provinciale interesse, ma in quello di tutti,  prospettive diverse. Per esempio, un “crackdown sui GAFAM”, parallelo al “crackdown sui BAATX” realizzato dalla Cina non sarebbe un meschino tentativo di incassare dazi a spese dell’ America, bensì unire le forze per realizzare qualcosa che l’ Antitrust americano ha perseguito, ma inutilmente per decenni per mancanza di forza politica. Occorre farlo divenire un compito internazionale.

Lina Khan, l’eternamente sconfitta responsabile della Federal Trade Commission

5.Anche l’assetto “tripolare” è un’eredità della IIa Guerra Mondiale

Forse, come pensa l’ “establishment” europeo, l’Unione Europea non può niente contro il “tecno-fascismo” americano perché l’esito della IIa Guerra mondiale avrebbe sancito in modo duraturo la sottomissione dell’ Europa (in quanto “Stato Satellite”, come dice bene Orsini), una sottomissione che Trump, la von der Leyen, Rutte e Giorgia Meloni, hanno almeno il merito di mettere in scena nel modo più plateale in modo che tutti possono rendersene conto e memorizzarla come si conviene.

Molti si attendono che il prossimo futuro sarà ancora dominato dal presente  assetto tripolare, che viene venduto addirittura come la novità del XXI Secolo. Tuttavia,  tale assetto sembra scricchiolare proprio per la crescente debolezza dell’ America, che è rivelata in tutta la sua profondità da già da un confronto fra i PIL basati sul potere di acquisto, -China $43.204 miliardi,

-US’s   $27.615 miliardi. 

Del resto, è di oggi la notizia che India, Cina, Iran, Brasile e Sudafrica stanno rigettando l’ultimatum di Trump  contro l’ acquisto degl’idrocarburi dalla Russia, esponendosi così alle “sanzioni secondarie” americane, ma  dimostrando anche che queste sono inefficaci se applicate contro la  metà del mondo. Tutto ciò in stridente contrasto con l’arrendevolezza dell’ Europa.

“Duraturo” non equivale a “eterno”, e 80 anni sono oramai troppi, specie in un tempo di grandi trasformazioni come il nostro. Quindi, l’iniziativa di Orsini potrebbe avere almeno il merito di avviare un dibattito, uno studio e una preparazione degli Europei, perché non arrivino sprovveduti anche alla prossima trasformazione. Ricordiamoci però anche del Coro dell’ Adelchi!:”Tornate alle vostre superbe ruine, all’ opere imbelli dell’ arse officine,ai solchi, bagnati xdi servo sudor!”

RINUNZIARE A ESSERE UNA FEDERAZIONE?Considerazioni sulla difesa dell’ Europa

“Qui in Europa siamo governati in sostanza dagli Americani(…) Non siamo nazioni sovrane (…). Non possiamo decidere sui nostri destini, perché su questi decide Washington”(Klaus von Dohnanyi, ex-Ministro per la cultura e la scienza ed ex-Sindaco di Amburgo)
Sono 80 anni che gli Europei perdono tempo a discutere se sia meglio una federazione o una confederazione, quando i due termini sono stati usati in modo quanto meno promiscuo in tutti tempi e in tutte le lingue (Berith, Lega, Bund, Confoederatio, Confédération, Unia, Union, Confederation, Rzeczpospolita, Sojuz, Savez, Respublika, Federacija, Soobscestvo…). Intanto, l’Europa moderna ha fatto effettivamente insieme ben poche cose, e, spesso, le più interessanti, come cooperazioni fra Stati (Mitropa, Arbed, Concorde, Ariane, Cooperazione allo Sviluppo, BEI, Tornado, Airbus, Eurofighter, Galileo, TGV, Euro)…Oggi, la cosiddetta “Coalizione dei Volenterosi” vorrebbe seguire sostanzialmente quegli esempi. Tuttavia, tutto ciò potrebbe andar bene finché si resti sul piano teorico, mentre, se si arrivasse veramente a una guerra con la Russia, il problema della condotta delle ostilità si porrebbe comunque in modo drammatico, com’è dimostrato dal dibattito in corso in Germania, che ci riporta alla tanto esecrata esperienza dell’Asse, dove il mancato coordinamento fra Italia e Germania (ma anche fra i generali nazisti) aveva portato a una serie di sconfitte: in Africa, nei Balcani, in Russia…
Ricapitoliamo qui di seguito i concetti fondamentali dei dibattiti in corso.


1.L’impossibilità per l’ Europa di vincere la Russia
Come già le invasioni della Russia da parte della Svezia, di Napoleone, della coalizione per la Crimea e di Hitler, un’eventuale guerra fra i “Volenterosi” e la Russia non potrebbe in nessun caso essere vinta,già perché i “Volenterosi” non dispongono di una deterrenza nucleare neppur lontanamente comparabile a quella russa, e gli Stati Uniti hanno chiaramente manifestato l’intenzione di non utilizzare la loro (presumibilmente perché anch’essa oggi inferiore a quella russa: vedi missile Oreshnik), e una guerra in Europa non varrebbe il rischio.
In ogni caso, l’articolo 5 del Trattato Nord-Atlantico, e tanto meno la parallela clausola dei trattati UE, non potrebbero funzionare, se non altro perché non sono automatica, mentre invece le guerre nucleari post-moderne sarebbero semplicemente istantanee. Come sarebbe possibile discutere a 27 (ma anche solo a sue o tre) l’uso dell’arma nucleare? Per ovviare a questo stallo, si sta cercando di fare della Germania l’ago della bilancia, che oggi non può funzionare perché, attualmente, lo stesso governo tedesco deve astenersi dal voto nell’UE se i ministeri competenti e i partiti partner della coalizione nazionale non riescono a trovare una posizione comune ( un meccanismo noto come “Voto Tedesco”). La richiesta dei Cristiano-democratici ai Socialdemocratici sarebbe quella di consentire a Merz di “assumere il coordinamento fin dall’inizio o di impadronirsene durante il processo se la cancelleria lo ritiene necessario per garantire una posizione coerente del governo”. Si tratta di un’impostazione assolutamente governativa, evidentemente nella previsione che i meccanismi federali europei non vengano implementati in tempi utili. Di fronte a questo sconquasso, Gabriele Segre propone di rinunziare al progetto federalista (che, come scrive Cacciari, non è mai stato preso sul serio da nessuno).
Come abbiamo scritto in precedenza, l’idea di creare una federazione chiamata “Stati Uniti d’ Europa” è sempre stata molto debole, in quanto costituiva una confessione palese di ancillarità esistenziale dell’ Europa nei confronti dell’ America, a cui non poteva che seguire anche un’ancillarità di fatto, da cui ancora non ci siamo liberati.Invece, come scriveva Tocqueville contrapponendola all’ America, l’Europa ha un’eredità di governance fondata sul pluralismo (l’”Antica Costituzione Europea”), con Papa e Imperatore, Ordini e Regni, Monasteri e Leghe, Principati e Comuni, Feudi e Corporazioni…, che, “mutatis mutandis”, potrebbe valere ancor oggi, salvo che nel campo della Difesa.
In quest’ultimo, vale il discorso sulla mancanza di coordinamento e alle caotiche assemblee dei Generali di Hitler. E, lì, sarebbe forse il caso di guardare agli antichi Progetti di Crociata, aggiornati con la parziale automatizzazione dei processi decisionali.


2.Il “trilemma” della difesa nucleare europea
Ancor più problematica è la situazione in campo nucleare. Qui, secondo Foreign Affairs, si tratterebbe di conciliare tre disparati obiettivi: una deterrenza credibile ed efficace contro la Russia; la stabilità strategica, intesa come minimizzazione degl’incentivi per ntutti gli Stati a fare uso per primi delle armi nucleari(first strike); non-proliferazione dagli Stati nucleari ad altri Stati. Secondo Foreign Affairs, questi obiettivi non possono essere raggiunti tutti contemporaneamente. L’unica soluzione efficace sarebbe, a nostro avviso, quella discussa a suo tempo fra Gorbaciov e Mitterrand: una “Casa Comune Europea” in cui Russia ed Europa non rappresentassero più una fonte di minaccia reciproca, perché accomunate da prospettive culturali simili. E’ ancora possibile conseguire questa situazione dopo trentacinque anni di azioni volte costantemente ad attizzare l’odio reciproco? Certo, è difficile, e richiederebbe un lungo processo di avvicinamento, ma meno lungo di quanto lo sarebbe stato nel 1989. Infatti, oggi si tratta in realtà di conciliare due situazioni di fatto e due culture politiche meno lontane di allora. Intanto, oramai, dopo l’utilizzo, da parte di Ursula von der Leyen, dell’ Art. 122 del Trattato di Lisbona per fare passare RearmEurope a semplice maggioranza, l’ Unione si è già mossa decisamente sulla strada di uno Stato militarizzato, com’è attualmente la Russia. Anche gli sforzi del Governo Italiano di introdurre il Premierato vanno nella stessa direzione.
Nel contempo, dal punto di vista ideologico, la Russia ha rivitalizzato il “Russkij Konservatizm”, mentre, nell’ Unione Europea, si è scatenata una vera febbre identitaria (funzioni religiose, bandiere, inni, commemorazioni, eroi), non dissimile dalla Pasionarnost’ che, secondo Gumiliev, caratterizzerebbe l’identità russa. Tutto ciò non incontra più nessuna controspinta sostanziale, né dagli Stati Uniti, che anzi invitano l’ Europa a dare più spazio alle proprie politiche identitarie (vedi Vance), né da parte dell’Unione, che si fa promotrice di manifestazioni sovraniste europee (basate sull’inflazione della bandiera e dell’ inno).
Sarebbe il caso di cogliere quest’occasione di europeizzazione, e sembra paradossale che siano i sedicenti “conservatori” ad opporvisi.


3.L’”Establishment” non crede, e non ha mai creduto a Ventotene.
Come abbiamo scritto, le realizzazioni concrete delle organizzazioni europee, e, in generale, degli Europei insieme, nacquero, non già da un‘ideologia federalista (quale?), bensì da un lavoro sotterraneo dell’America e dall’applicazione delle idee dei Funzionalisti Mitrany e Haas, veicolate dalla “Dichiarazione Schuman” e dai Trattati europei scritti dallo studio americano Allen Overy (l’Europa dei piccoli passi, l’Europa degli Stati).Spinelli e i suoi seguaci avevano seguito un percorso, assolutamente condivisibile, ma del tutto differente, che sarebbe stato ancor più distante se non vi fossero state pressioni di vario tipo (La Malfa, Nenni), per far loro accettare l’inserimento in delle Comunità Europee assolutamente funzionalistiche e atlantiste, e, addirittura, per inserirvisi dal punto di vista personale.
Per parte loro, le politiche europee degli Stati Membri e delle Istituzioni sono state sempre ispirate solamente agl’interessi del “deep State” dei singoli Stati Membri, che non hanno mai avuto l’intenzione di cedere le proprie competenze all’ Europa, ma preferiscono cederle, semmai, come già diceva De Gaulle quando parlava del “Federatore Esterno”, agli Stati Uniti, che, almeno, erano lontani. ReArm Europe segna infine il trionfo dei “deep State” nazionali, che sognano oggi di costruire giganteschi eserciti nazionali, funzionali non già alla difesa dell’Europa, bensì a far primeggiare Germania, Francia, Inghilterra o, rispettivamente, Polonia, all’ interno di un fantomatico “Occidente” che conta sempre meno in un’ottica mondiale, ma salvando così la ragion d’essere delle diverse burocrazie.
Però, con Trump, il velo d’ ipocrisia sui rapporti transatlantici si sta diradando, sì che sta divenendo impossibile continuare ad affermare (come accade ancor oggi) che il legame transatlantico sia compatibile con l’autonomia strategica europea. Infatti, Trump e i suoi ministri attaccano insistentemente l’Europa e l’Unione Europea, si rifiutano d’ incontrare le sue Istituzioni, danno tutta l’impressione di non prendere minimamente sul serio il cosiddetto “ombrello nucleare” dell’ Art. 5, e si propongono espressamente, con i loro dazi, di peggiorare la situazione economica degli Europei , colpevoli di aver “fregato” l’ America. Stanno perfino studiando come addebitare agli Europei i costi della guerra in Yemen, asserendo (assai poco credibilmente) ch’ essa è fatta essenzialmente per tutelare gl’interessi europei.


4.La falsità dell’ “Identità Europea” di Benigni e Vecchioni, ma anche di Meloni.
Noi, che abbiamo difeso l’Identità Europea quando nel ’68, si voleva imporci un internazionalismo privo di radici e che sfociò nel terrorismo – noi, che abbiamo organizzato le manifestazioni studentesche per Jan Palach, per il KOR, per gl’intellettuali ucraini; noi che abbiamo lavorato per 4 anni in quella roccaforte della cultura e del diritto europei che è la Corte di Giustizia a Lussemburgo; noi che abbiamo organizzato centinaia di alleanze fra imprese europee, tra l’altro nei settori della difesa e dell’ aerospazio e nell’ Europa Centrale e Orientale; noi che siamo concentrati da decenni sullo studio della storia dell’ Identità Europea- sappiamo distinguere l’identità autentica da quella fasulla distillata dai gatekeepers e recitata da attori prezzolati, che pretendono vi sia un’unica “Identità Atlantica”(a seconda delle preferenze, con o senza Trump).
In realtà, l’America di Trump, che viene incolpata di ogni male, è l’America di sempre, ma senza l’ipocrisia puritana dei “liberals”. E’ l’America che nasce con il giuramento del Mayflower, dove i membri della Congregazione di Scrooby imposero agli altri passeggeri di giurare loro fedeltà. Essa continuava con la strage delle streghe di Salem, ben descritta ne “La Lettera Scarlatta” di Hawthorn. Nella Dichiarazione d’ Indipendenza si giustificava la loro “conspitacy” contro il Re d’Inghilterra con il fatto che questi parteggiava per i barbari Indiani e per i Canadesi papisti. Si dava per scontata la schiavitù in un momento in cui i tribunali la bandivano dall’ Impero Britannico. Appena resisi indipendenti, gli Americani avviarono il “Trail of Tears”, spossessando gl’ Indiani e deportandoli a Ovest, dove strapparono al Messico la metà del loro territorio, e dove impediscono ancor ora ai latinos di ritornare. Gl’intellettuali come Emerson, Whitman, Friske, Turner, Mead e Willkie teorizzavano il Destino Manifesto degli Stati Uniti di conquistare il mondo con il pretesto di portarvi la libertà. Cacciarono la Spagna da Cuba, da Puerto Rico e dalle Filippine, ma vi instaurarono colonialismo e neo-colonialismo. Finanziarono Trockij, Stalin e Hitler. Fecero esplodere, primi e unici nella storia, due bombe atomiche sulla popolazione civile di un Giappone già sconfitto. Invasero la Corea, il Vietnam, l’Irak e l’Afghanistan. Controllano il mondo intero con le intercettazioni e i social networks, lo occupano da ottant’anni con migliaia di basi, e lo taglieggiano con il signoraggio del dollaro e la monopolizzazione dei commerci. Fin dai tempi dell’invenzione dell’informatica, progettano un impero mondiale delle Macchine Intelligenti, diretto dagli amministratori delegati delle loro multinazionali (l’”America-Nondo” di Valladao). A sua volta, l’intellighentija europea (Dickens, Kafka, Céline, Alvaro, Simone Weil) ha stigmatizzato costantemente lo spirito dell’America come materialista, sfruttatore, volgare, livellatore, anticulturale, associandosi, in ciò, agl’intellettuali indipendenti americani (Boas, Eliot, Pound, Miller, Dos Passos, Chomski)
L’ipocrisia (oggi Biden, domani Trump) ha costituito fin dall’inizio lo strumento principe dei Puritani, che si atteggiano a vittime e liberatori quando invece smaniano per stabilire il loro controllo totale sul mondo. Perciò, nei Paesi conquistati, come l’Europa, i fiduciari dei Puritani si sono presentati fino ad ora come Progressisti. Hanno costruito la loro narrazione occultando il ruolo distruttivo dell’America, innanzitutto nella Rivoluzione Francese, figlia del “Comitato di Corrispondenza” dei rivoluzionari americani, e, poi, quello nelle rivoluzioni dell’ Ottocento e nei totalitarismi. Dunque, “Oportet ut scandala eveniant.”: Trump e i Trumpiani ci stanno aprendo gli occhi sul vero volto dell’America. Suscitando l’entusiasmo degli amministratori delegati e proprietari dei monopoli dell’informatica, fino a poco fa vicinissimi a Biden, e improvvisamente si convertiti a Trump, chiedendogli si schiacciare i seppur modesti tentativi della UE di controllarli e di tassarli.


5.Cercare una via di uscita diversa
A causa di tutto ciò che precede, è sempre più difficile nascondere lo “status” di vassallaggio degli Europei, e, di conseguenza, la natura collaborazionistica dell’ intero “Establishment” . Basti pensare al fatto che l’Unione non viene mai, né menzionata, né nemmeno contattata, dai successivi presidenti americani, che Kaja Kallas è stata fatta venire a Washington con il Segretario di Stato Rubio, che però non si è nemmeno fatto trovare. Nel mondo parallelo del web si sta addirittura ipotizzando che Vance potrebbe venirci imposto come presidente dell’ Europa. Sembra quasi che l’amministrazione USA si sforzi di disgustare l’Europa, per cancellare le precedenti retoriche atlantiste troppo lente e inefficaci, ed eventualmente sospingere l’Europa verso la Russia, in modo da non essere costretta a difenderla.
In questo contesto, si pone il difficilissimo progetto di Giorgia Meloni di “costituire un ponte” fra il trumpismo e la Coalizione dei Volenterosi europei. Ponte che sarebbe teoricamente nella natura delle cose, perché vi è un’obiettiva discrasia fra il preteso “isolazionismo” (ovvero nazionalismo), di Trump e il suo “Europe Bashing”. L’Europa viene vista (in parte giustamente ) dai Trumpiani come una roccaforte “Woke” da annientare, o almeno da conquistare. Tuttavia, le aspirazioni tradizionaliste di MAGA, legate al realismo in politica, al leaderismo, alle radici cristiane, alla libertà di pensiero, porterebbero, sempre teoricamente, a un atteggiamento molto più rispettoso verso l’Europa, radice delle tradizioni americane. Oggi, nei fatti, nessun leader sovranista europeo potrebbe essere veramente trumpiano, perché dovrebbe fare gl’interessi dell’America contro quelli dell’Europa. Questo soprattutto in considerazione del fatto che, in parallelo alle varie battaglie di Trump, e quasi indistinguibile da esse, si sta consumando la mutazione ontologica del mondo attraverso l’azione dei GAFAM, e, in particolare, attraverso l’azione di Elon Musk. Mutazione che dovrebbe costituire il nemico per eccellenza di tutti i Conservatori Europei, sì che non capiamo proprio perché nessuno ne parli, in particolare, i leader sovranisti. Invece, l’atteggiamento doveroso dei veri “sovranisti europei” dovrebbe essere quello indicato, sulla stampa di lunedì , da Asma Mhalla: «È un cittadino che sa di essere un soldato che combatte in una guerra ibrida, invisibile ma costante. Perché tutte le tecnologie hanno un impiego civile esplicito e uno militare non esplicito».

I GIORNI DELLE SCELTE.Si riapre la Piattaforma sul Futuro d’ Europa

La prima settimana dall’ “Inauguration” di Trump è stata caratterizzata da una serie di sfide, che hanno posto soprattutto l’ Europa di fronte a un insieme di dure realtà che si era cercato, fino ad ora, di nascondere:
1)la pretesa di annettere agli Stati Uniti la Groenlandia, con la singolare motivazione che “gli USA ne hanno bisogno per la sicurezza nazionale”, visto che gli Europei non pensano alla “difesa del mondo libero”;
2)l’intervento massiccio di Elon Musk nella politica interna degli Stati Europei, cercando di creare un intero movimento “di estrema destra” da lui diretto, capace di condizionare il futuro dell’ Europa, e fondendo anche i due ufficiali saluti nazionalisti alla bandiera americana (il “Bellamy Salute”-saluto romano o Hitlergruss-, e il “Balch Salute”, con la mano sul cuore, come nel saluto massonico) ;
3)l’intervento “a piè pari” dei GAFAM per richiedere l’intervento di Trump contro la legislazione europea sull’ Intelligenza Artificiale;
4)la precisa richiesta alle imprese europee di spostare le loro produzioni negli Stati Uniti, se vogliono evitare dazi sempre crescenti.
L’insieme di queste richieste, se soddisfatte, declasserebbe l’Europa a Paese del terzo mondo:
a) ridicolizzerebbero proprio il mitico art. 5 del Trattato Nato, costringendo gli Europei a schierare truppe contro le Forze Armate Americane, ponendo nel nulla la garanzia NATO, e fornendo un argomento imbattibile contro le pretese di Russi e Cina su Ucraina e Taiwan;
b)Cancellerebbero ottant’anni di politica culturale dell’ Occidente, basata sulla Colpa Collettiva degli Europei, così riaprendo la strada a un dibattito a tutto tondo sul futuro dell’ Europa;
c)Svuoterebbero definitivamente tutta la politica europea del digitale (già abbondantemente criticata da tutte le parti), fondata sull’ idea di poter regolamentare i GAFAM da Bruxelles;
d)aggraverebbe irrimediabilmente la crisi sociale in corso, con la Germania in permanente recessione e l’ Italia in stagnazione.
Per questo motivo, alcuni, come per esempio Nathalie Tocci sul “Guardian”, hanno sostenuto che questo sarebbe il momento, per l’ Europa, di rispondere con decisione, perché su questi temi sarebbe possibile provocare quello “scossone” necessario per dare nuova vita a un’ Unione Europea praticamente morta. Però, nota la Tocci, proprio sul punto più scottante, la Groenlandia, la risposta europea è venuta per ora a mancare, sostituita forse da un tentativo di reazione sotterranea.
Certo, per reagire contemporaneamente su tutti questi fronti, l’Europa dovrebbe essere unita, non già in astratto, su vaghi principi, bensì su un progetto che dia risposte chiare sui confini, sulle identità, sull’ Esercito Europeo, sui partiti europei, sul digitale, sull’economia.
Per questo motivo, ben venga l’idea di riaprire una Piattaforma sul Futuro dell’Europa che, per altro, nella prima fase della sua attività, non è pervenuta a nessun risultato concreto. Occorre per altro evitare che il fiasco della “prima puntata” si ripeta. Per questo, intendiamo richiedere, fin dalla prima riunione, che il “format” venga radicalmente cambiato (cfr. allegato 1), suggerendo anche di creare, fuori dei canali istituzionali, un “Comitato di Resistenza e Resilienza”, capace di fornire una guida agli Europei in questa fase sempre più dura della storia europea, con il dominio incontenibile del Complesso Informatico-Militare, la pauperizzazione generalizzata degli Europei, la militarizzazione della società e dell’ informazione e l’Europa quale terreno di scontro militare fra potenze extraeuropee.
Chiunque voglia associarsi a noi in queste attività, o abbia comunque idee o suggerimenti in proposito, si faccia avanti!

PROPOSTE PER LA PIATTAFORMA SUL FUTURO DELL’ EUROPA
I.IL FALLIMENTO, CERTIFICATO DA TRUMP E DA MUSK, DELL’ APPROCCIO FUNZIONALISTICO EUROPEO
Nel 2005, l’iter per la nuova Costituzione Europea si era concluso con la bocciatura da parte degli elettori. Nel 2022, Il Presidente Mattarella aveva osservato, al termine dei lavori della prima Conferenza, ch’ essa si era conclusa in maniera “grigia”. Con il tempo, la situazione è ancora peggiorata, sicché è inevitabile ripartire da basi nuove, oppure diventerà improponibile parlare di Europa ai nostri concittadini.
La Piattaforma sul Futuro dell’ Europa dovrebbe pertanto essere sostanzialmente modificata, per farla divenire, da macchina digitale per simulare il consenso, un reale Forum di dibattito del movimento europeo in senso lato. A tale scopo, dovrebbe essere creato un Comitato paneuropeo di Resistenza e Resilienza (cfr. https://www.alpinadialexis.com/un-comitato-paneuropeo-di-resistenza-e-resilienza/), capace di dialogare direttamente con i cittadini in questa fase tempestosa. Questi Appunti mirano a promuovere una siffatta transizione.
1.Le debolezze progettuali
Il progetto europeo è stato da sempre esposto in modo frammentario, a causa dell’approccio “funzionalistico”. Ciò ha permesso di nascondere le debolezze di fondo nella sua concezione generale, fino all’ attuale caos, reso palese dalla presidenza Trump. La Conferenza sul Futuro dell’ Europa ha confermato questa frammentarietà.
Dal 2022, la guerra in Ucraina e, ora, la vittoria elettorale di Trump, sostenuta e dominata da Musk, hanno peggiorato ulteriormente quelle debolezze:
a)Ignoranza (voluta) del fatto che l’attuale ideologia occidentale, lo scontro con la Cina e gli equilibri nel blocco presidenziale americano sono tutti basati sul controllo dell’ecosistema digitale mondiale, da cui l’ Europa è però esclusa;
b)Conseguente dipendenza dell’Unione (concettuale, culturale, sociale, politica, militare e finanziaria) dai Poteri Forti americani (Deep State, Intelligence Community, Wall Street, Complesso Informatico-Militare, NATO), che, con Trump, hanno assunto un atteggiamento assolutistico, con cui le esigenze dell’Europa non solo vengono trascurate, bensì vengono apertamente condannate e irrise;
c)Rinunzia a qualsivoglia sforzo per la creazione di una classe dirigente europea (comparabile al Deep State o il PCC), dotata di una sua visione culturale originale distinta e delle competenze sociali e tecniche necessarie per realizzarla in pratica; conseguente attribuzione di ruoli apicali europei a soggetti che rappresentano punti di vista anti-europei (p.es., Rutte, Kallas);
d)Abbandono, fino dalla morte, 60 anni fa, di Olivetti e di Chu, di ogni velleità di muoversi verso un ecosistema digitale europeo (concettuale, tecnologico, industriale, finanziario e militare), e conseguente gap tecnologico di 60 anni;
e)Assurda pretesa di normare una materia che: (i) non si padroneggia, essendo sviluppata solo in America e in Cina; (ii) non si conosce neppure, giacché non esistono guru digitali europei;
f)Arrendevolezza di fronte alle inaccettabili campagne dei GAFAM (Zuckerberg)contro l’Unione, volte a eliminare, con la pressione di Trump, le pur modestissime sanzioni contro di essi adottate;
f)Conseguente fallimento di tutte le grandi politiche preannunziate con gran pompa da decenni (sociale, tecnologica, industriale estera e di difesa, ecologica),che oggi richiedono tutte un uso massiccio dell’ Intelligenza Artificiale. Fallimento certificato dal discorso di “Inauguration” di Trump e dagli Executive Orders appena firmati.


II.DIFFICOLTÀ DELLE AGGREGAZIONI CONTINENTALI
L’esigenza di creare un’agglomerazione politico-culturale specificatamente europea, accanto a quelle americane, islamica, indiana e sinica, era emersa fin dall’ inizio del XX° Secolo per effetto della disgregazione dei grandi Imperi europei,e con il contemporaneo imporsi di temi d’interesse universale (trasporti e telecomunicazioni, decolonizzazione, finanza, controllo degli armamenti..), ma in un secolo ha fatto solamente passi avanti infinitesimali.

  1. I rischi del processo d’integrazione
    Il processo di creazione delle altre aggregazioni (Cina, Persia, India, Stati Uniti, Russia) è stato (o è) lungo e faticoso (guerre civili, guerre di liberazione, rivoluzioni, ecc..).Anche la storia dell’ integrazione europea non è stata esente da ostacoli (guerre napoleoniche, Guerra Civile Europea, guerra in Ucraina)e può ancora deragliare prima di aver raggiunto i suoi obiettivi. E’ ciò che stanno minacciando voci dai settori tanto americani quanto russi, che hanno incominciato a pensare che sia possibile, o perfino auspicabile, eliminare l’Unione Europea quale possibile centro di aggregazione alternativo. Il relativo territorio potrebbe essere diviso fra Russia e America, sul modello della Guerra Fredda, in occasione delle discussioni fra Trump e Putin (p.es., Groenlandia vs.Donbass).
    2.Assenza di un progetto veramente alternativo agli USA
    A oggi, nessuno è in grado di chiarire in cosa si distingua il progetto europeo da quello “Occidentale”. Infatti, la vulgata “classica” sosteneva che la specificità dell’Europa consisteva nel Modello Sociale Renano, un misto di consociativismo conservatore e di socialdemocrazia, opposto comunque al “modello anglosassone”, basato sul mercato senza limiti. Con l’avvento della società digitale, questi modelli teorici si sono molto sfumati, con l’Europa che ha smantellato la sua economia mista e il suo diritto del lavoro, e l’America che sta esercitando un interventismo sfrenato (deliberatamente clonato su quello cinese), diametralmente opposto al conclamato liberismo. Resta il conflitto di interessi fra un’America che “contingenta” (come prevedeva Trockij) il capitalismo europeo (nell’informatica,nell’ energia, nell’automotive, nel commercio internazionale), e un’ Europa che subisce passivamente la prospettiva di ridursi a un Paese del Terzo Mondo.
    Probabilmente, una vera e propria “annessione” dell’ Europa agli USA (come minacciata al Canada e alla Groenlandia) darebbe perfino più forza all’ Europa, divenuta in tal caso una lobby interna americana, di quanta ne abbia l’ attuale Unione Europea.
    3.Una cultura allineata con quella americana
    L’Europa attuale non riesce infatti neanche ad esprimere una propria cultura autonoma, come aveva fatto sino agli Anni ‘60, con personaggi come Nietzsche, Freud, Jung, Heidegger, Simone Weil, ma, invece, scimmiotta le diverse, successive, culture americane (Modernismo, Pop, Post-Colonial Studies, Fantasy, Cancel Culture, Alt Right, Woke..)…
    III.POSSIBILI STRATEGIE DI RILANCIO DELL’ EUROPA
    1.Comunità, Unione, Federazione
    L’attuale denominazione dell’organizzazione europea (Unione Europea) è recente. Essa si ispira alla vecchia dicitura ufficiale dell’ Unione Sovietica (Sovietskij Sojuz), prima che si trasformasse, nel 1991, con l’accordo di Belavezha e con il referendum pansovietico, in “Comunità di Stati Indipendenti”(Soobščestvo Nezavisimih Gosudarstv). Si voleva probabilmente dimostrare una reciproca imitazione in vista della Casa Comune Europea, dove l’Unione Sovietica diventava più elastica e le Comunità Europee divenivano più rigide (grazie alla prevista Costituzione).
    Nessuna delle due trasformazioni è andata per il verso giusto.
    Occorre perciò un nuovo disegno complessivo, che potrebbe incominciare con un nuovo cambio di denominazione. Per esempio, usando il termine “Federazione Europea” del Manifesto di Ventotene, “Repubblica Europea” (“Res Publica Europaea”), suggerita da Ulrike Guerot (cfr. U.Guerot,La nuova guerra civile, Alpina,2009).Con maggiore precisione, Sergio Fabbrini (in “A Federal Alternative for European Governance”, Cambridge University Press), propone di suddividere l’Unione in tre livelli: Confederazione, Unione e Federazione (i “tre Cerchi Concentrici”), soluzione già ampiamente dibattuta e analizzata in vari libri di Alpina Dialexis (in particolare, “100 Idee per l’ Europa” e “Da Qin”).
    2.Fuoriuscire dal “cripto-trockismo”
    L’Europa non si è mai voluta dare una politica culturale strutturata e discussa pubblicamente, mentre invece ha assorbito da dietro le quinte un’ egemonia culturale (i cosiddetti vaghi “valori europei”), che in realtà confliggono, tanto con le “radici”classiche europee (filosofia greca e medievale, poesie epica e tragica, Bibbia), quanto con le forme canoniche della Modernità europea(cristianesimo sociale, liberalismo, democrazia rappresentativa, socialismo, federalismo), costituendo invece essi una forma mascherata di teo-tecnocrazia mutuata, attraverso il gauchismo, dal trockismo, nelle sue due ramificazioni, del cosmismo russo (Bogdanov) e della rivoluzione manageriale americana(Burnham), che hanno trovato ora la loro sintesi plastica nella mitologia e simbologia predilette da Elon Musk. Quindi, la polemica condotta dall’ establishment europeo contro Musk resterà illogica e senza sbocco se le Istituzioni non eserciteranno un’ onesta autocritica delle basi millenaristiche del proprio stesso discorso politico, premesse logiche del superomismo muskiano.
    3.Una politica culturale europea
    Contrariamente a quell’ egemonia imposta agli Europei, la politica culturale europea deve innanzitutto dare conto dell’ ampia diversità (culturale, territoriale, religiosa, storica, sociale ed etnica) degli Europei, che è il motivo della loro specificità e la ragion d’essere di un soggetto politico europeo geopoliticamente autonomo.
    Di conseguenza, rendere conto delle diverse “memorie dissonanti” degli Europei (tribale, nomade, medio-orientale, classica, nordica, cristiana, ebraica, islamica, modernistica, cetuale, romantica, occidentale..).
    IV. DOPO BEN 70 ANNI:
    UNA VERA POLITICA ESTERA E DI DIFESA EUROPEA?
    Oggi, la dottrina militare di ogni Paese non può prescindere dalla presenza di una Guerra Senza Limiti fra gli Stati Uniti e la Cina (Qiao Liang e Wang Xiangsui), che si combatte sui piani culturale, tecnologico, ideologico, sociale, militare ed economico.Per questo si insiste da tutte le parti sulla Politica Estera e di Difesa dell’ Europa.
    1.Cambiare la percezione delle minacce
    Purtroppo, l’Europa non può darsi una propria autonoma Politica Estera e di Difesa finché non dispone di una propria classe dirigente influente e competente in grado di elaborare e perseguire una dottrina militare adeguata alle sue esigenze. Infatti, tutte le attività militari dell’ Europa sono state concepite esclusivamente come supporto delle Forze Armate americane, sicché non si è neppure presa in considerazione, né l’ipotesi che la presenza americana venga meno (come minacciato adesso da Trump), né che delle minacce possano venire dagli stessi Stati Uniti. Questo però è già successo con la distruzione del North Stream, e, ora, con le minacce alla Danimarca per la Groenlandia. Evidentemente, questo tipo di minacce va inserito fra quelle a cui la Politica Estera e di Difesa deve potenzialmente fare fronte.
    La minaccia di ritirare le truppe dall’ Europa viene vista dal nostro “establishment” come un disastro (perché toglierebbe ad esso il suo “back-up” poliziesco, indispensabile alla sua sopravvivenza), ma in realtà, come scrive, su “Il Fatto Quotidiano”, Barbara Spinelli, “sarebbe una manna per l’ Europa” perché le permetterebbe di realizzare, con il 5% del PIL, non solo una vera politica estera e di difesa, bensì anche una vera politica tecnologica, industriale e commerciale.
    2.Programmare per il lungo termine.
    Una dottrina militare, e, soprattutto, una cultura militare, non si possono improvvisare. Esse presuppongono lunghe fasi di riflessione, studio, ricerche, formazione, addestramento, intelligence, progettazione, produzione, immagazzinamento, che vanno oltre una generazione, e non possono essere limitate da una contingente situazione geopolitica, perché debbono produrre innanzitutto degli uomini: degli ufficiali efficienti e fedeli al Paese. Una dottrina militare europea deve poter valere anche fra due generazioni.
  2. Un corpo di ufficiali europeisti
    Il fatto che Rutte (NATO) e Kallas (Politica Estera e di Difesa) stiano semplicemente facendosi portavoce delle richieste di Trump (aumento della spesa militare al 5%, allargamento all’ America delle commesse europee, cessione della Groenlandia) dimostra che non abbiamo oggi leaders in grado di gestire un’autonoma Politica Estera e di Difesa Comune, la quale potrà nascere solo quando li avremo selezionati e preparati.
    4)Un esercito europeo
    Anche di questo si parla da oramai 60 anni (vedi CED), ma senz’alcun risultato, perché si cadde sempre nella falsa alternativa fra un esercito subordinato alla NATO (come quello ipotizzato per la CED e dal recente documento del Movimento Europeo), o un esercito ostaggio di uno Stato Membro (come la Force de Frappe francese). Esiste una terza alternativa, un “Praetor Peregrinus” che sia espressione della professione militare e che sia uscito dall’ Accademia militare paneuropea, capace quindi di incarnare in campo militare la missione dell’ Europa.
    5)Un esercito tecnologico
    Un nuovo esercito che nasce oggi non può costituire semplicemente una proiezione ingigantita degli eserciti attuali. Se mai dovrà combattere, saranno guerre fra macchine intelligenti, o contro macchine intelligenti (Manuel De Landa, La guerra al tempo delle macchine intelligenti).
    Quindi, occorrerà sviluppare, in sequenza: lo stato maggiore, l’intelligence, la base tecnologica, la produzione militare, le competenze nucleari, missilistiche e nucleari, la guerra informativa, la guerra economica. Lo sviluppo dell’Esercito Europeo dovrà andare in parallelo con lo sviluppo culturale, politico, tecnologico, industriale ed economico del popolo europeo, da realizzarsi secondo piani a medio termine come lo NSCAI americano e Made in China 2025.
    V. UN’INDUSTRIA DIGITALE EUROPEA
    La capacità di gestire un ecosistema digitale complesso, e, anzi, di promuovere una rivoluzione digitale, è molto di più di una competenza tecnica, o dell’ elaborazione di principi etici e politici: è un vero e proprio orientamento di vita, che oggi non esiste, perché, con la decisione di “estirpare il neo” della Divisione Informatica dell’ Olivetti, enunziata da Visentini, si era cancellata a Ivrea ogni traccia di un “distretto culturale, politico e industriale digitale” europeo, anticipatore della Silicon Valley (Società industriale, Centro Culturale, Rappresentanza Politica, Centri di Progettazione e produzione per hardware e software, per i mainframe e i personal computer, e una propaggine negli Stati Uniti, a Cupertino).
    Se l’Europa vuole poter tornare a contare in campo digitale, in modo che le sue normative non restino, come oggi, delle Grida Manzoniane, deve riprendere urgentemente quell’ esperienza usando, per finanziarla, il 5% della politica estera e di difesa, senza sprecarlo in burocrazia, produzione di armi obsolete e tributi all’ America.
    Occorrerebbe chiedere all’America, come contropartita della “riduzione del disavanzo commerciale”, la cooperazione alla creazione di un’autonoma industria digitale europea.
    1.Una classe dirigente digitale
    Come prima cosa, Adriano Olivetti si fece suggerire da Enrico Fermi il nome di un teorico brillante, individuato nel giovanissimo italo-Cinese Mario Chu, professore alla Columbia University, affidandogli un piccolo team di ricercatori scelti dallo stesso nel centro di ricerche di Pisa in collaborazione con la Scuola Normale Superiore.
    Come seconda cosa, creò, intorno ai nuovissimi computer, una cultura aziendale umanistica e un’”aura” estetica per un marketing intelligente di altissimo livello.
    Tutto ciò ha generato un’eredità di cultura aziendale (e non solo) che sarebbe stata determinante, se solo lo si fosse voluto, in questi 60 anni.
    Anche oggi occorre individuare una ristretta élite di ingegneri motivati culturalmente e con un forte impegno europeistico, a cui affidare questo compito immane.
    2.Il controllo umano sul digitale
    L’Unione Europea si è concentrata nell’ ultimo decennio sulla disciplina delle attività digitali, relativamente alle quali ha sviluppato un importante corpus di norme, a cui si sono ispirati altri Paesi (il cosiddetto “Effetto Bruxelles”). Purtroppo, essendo tutta l’industria digitale concentrata negli Stati Uniti e in Cina, l’Unione Europea riesce solo in minima parte ad applicare le sue normative. Soprattutto, la filosofia adottata non coglie la natura dell’attività informatica attuale, che modifica l’essenza stessa dell’ umano, manipola i processi democratici, impone monopoli, crea disoccupazione. Anche se le attuali normative europee fossero veramente applicate, inciderebbero poco sulla realtà.
    Il controllo umano sull’informatica richiederebbe ben altri interventi, di educazione, formazione del carattere, addestramento tecnico, lotta ai monopoli. Parallelamente al ceto degli ufficiali europei, occorrerebbe formare un nuovo ceto di tecnici informatici ispirato ai principi della responsabilità sociale e nazionale e della centralità dell’Umano.
    3.Imprese digitali europee
    Chiuderebbe il quadro la creazione, da tutti promessa, ma mai realizzata, di imprese digitali europee comparabili a Google,Meta, X.Baidu, Alibaba, Huawei.
    La loro inesistenza a oggi si spiega con un boicottaggio concertato fra Unione, Stati, America e poteri diffusi (banche?), sul “Modello Visentini”, ma anche con la scarsa cura con cui sono state sviluppate, con soldi pubblici europei, iniziative come Qwant e GAIA.x.
    Fino ad ora, la giustificazione di tutto ciò era che l’innovazione dev’essere perseguita dai privati, senza asfissianti interventi pubblici. Peccato che da tempo, ormai, si stia svolgendo fra USA e Cina una corsa agli aiuti pubblici, mirante “a mettere fuori mercato il mondo intero”(Schumer).Ora, nuovi aiuti pubblici dovranno permettere all’ Europa di non essere messa fuori mercato.
    4.Industria aerospaziale europea
    Nel corso del XX Secolo, l’industria aerospaziale era stata percepita anche in Europa come strategica anche e soprattutto per i suoi usi “duali”, e pertanto favorita dai Governi (Tornado, Eurofighter, Mirage, Gripen, Airbus, EADS, Ariane, Vega). Ultimamente, il settore pubblico ha rallentato il suo vero impegno, rendendo impossibile per gli Europei mantenere le loro posizioni di mercato. Ciò ha reso fattibile lo spettacolare sviluppo di Starlink.
    L’industria aerospaziale europea ha grandi tradizioni. Riuscirà a sopravvivere e a prosperare se verrà sostenuta pesantemente dal settore pubblico, come accade negli USA e in Cina.
    VI . LAVORARE PER LA PACE
    1.Una cultura europea aperta al resto del mondo
    L’Europa non ha mai condiviso la frenesia messianica dell’ America (la “Casa sulla Collina”,l’”Esportazione della Democrazia”), essendosi anzi impegnata (in modo perfino irrealistico), sulla sua ancestrale idea (Eraclio e Concilio di Worms), della Pace Perpetua. Essa ha avuto molti ed approfonditi contatti con le altre grandi sfere di civiltà (come al-Andalus, la Cina e il Sudamerica), attraverso i Gesuiti; l’India, attraverso la Compagnia delle Indie, e, più recentemente, l’Islam attraverso Guénon, e i popoli delle steppe tramite la Russia.
    E’ contrario all’habitus mentale europeo, e anche ai sui interessi, impegnarsi in guerre per procura, materiali o culturali, contro la Cina, il Medio Oriente o la Russia, che sono i suoi interlocutori ideali e i maggiori mercati mondiali. La rinnovata aggressività di Trump e di Musk contro l’Europa, accoppiata a una disponibilità verso la Russia evidenzia l’urgenza d’interrompere il circolo infernale di conflitti fra “the West and the Rest”, ritornando ai motivi di unità culturale: dalle Religioni del Libro alle Vie della Seta, alla cultura alta dell’ Ottocento e del Novecento, utilizzando anche i canali posti a disposizione dalle Chiese che hanno il loro centro in Europa.
  3. Europa dall’ Atlantico a Vladivostok
    In particolare, il Paese di Cechov, Gogol, Dostojevskij, Tol’stoj, Ciajkovskij e Sol’zhenitcyn non può essere escluso , nonostante gli sforzi dei leader russi (Gorbaciov, Eltsin e Putin, ma perfino Khrusciov), dall’ Europa, come si sta facendo invece da almeno 30 anni.
    Al contrario, una Russia “sdoganata” nel prossimo processo di pace può e deve essere, come proponeva Leibniz, un ponte con la Cina , alla quale la uniscono popoli e tradizioni comuni, da quelli siberiani ( Tungusi e Mancesi), a quelli turcici (Tatari e Uighuri), a quelli iranici (Hui e Osseti).Le Vie della Seta costituiscono uno degli strumenti fondamentali per l’Europa per compensare, con nuovi traguardi a Est, le perdite e i dazi della nuova politica protezionistica americana.Come ha dichiarato ad Affari e Finanza Mario Moretti Polegato, “Dobbiamo tornare a comprare il gas russo”.
    3.Un’Ucraina al centro dell’ Europa
    Una volta chiarito che l’Europa non è nemica della Russia e della Cina, anche la questione della Ucraina potrebbe risolversi in modo soddisfacente.
    Le polemiche che si sono sviluppate circa il carattere alternativo dell’Ucraina rispetto alla Russia hanno lo stesso modesto spessore di quelle circa la Hispanidad dei Catalani o quella della Britishness degli Scozzesi. Vale a dire, non tengono conto che continuano a sussistere “identità multiple”: quelle “continentali”, “nazionali” e “locali”. La collocazione su uno di questi livelli non dovrebbe avere conseguenze drammatiche perché oggi siamo tutti parti di un’”Identità Europea”.
    Il fatto che “Ucraina” significhi “alla frontiera” mette in evidenza la sua affinità con la “Krajina” che esiste più a Occidente, fra Dalmazia, Bosnia, Croazia, Vojvodina, Banato e Transilvania, cioè il “Confine Militare” fra Regno di Ungheria e Impero Ottomano, abitato da milizie multinazionali e con un regime autonomo. Non diversamente, in Ucraina c’erano la “Zaporizska Sich” e la “Svoboda Ukraina”, abitate dai Cosacchi, e i “Dikie Pole” (“Campi Selvaggi”), abitati dai Tatari, i Nogai e i Circassi. Si tratta quindi di “territori federali” europei “ante litteram”.
    Il fatto che storicamente Kiev sia stata così contesa ne fa un luogo ideale per essere la capitale di un’entità sovranazionale come la Confederazione Europea. E, di fatto, Mitterrand aveva organizzato nel 1989 a Praga una conferenza per fondare una siffatta Confederazione fra UE e Russia (la “Casa Comune Europea”).
    Nel caso in cui, dopo la guerra che tutti vogliono fare finire, si possa riprendere il discorso sulla Confederazione, si potrebbe creare un sistema di sicurezza integrato, comprensivo delle questioni, apparentemente insolubili, dei missili e delle basi (che per altro sono già oggi sul tavolo fra USA e Russia) ponendo fondamenta solide per la pace nel Continente, la quale , secondo il progetto di Saint-Pierre e di Kant e il Manifesto di Ventotene, oggi di fatto calpestati dall’ “establishment” europeo, avrebbe dovuto essere la stessa ragion d’essere dell’ integrazione europea (“La Paix Perpétuelle”).

SIAMO VERAMENTE IMPOTENTI?

L’Europa  contro la IIIa Guerra Mondiale

Su “La Stampa” del 23 agosto, Gabriele Segre scrive giustamente che “mentre gli altri (alleati o avversari) non potevano avanzare alcun ordine ideale alternativo, gli Stati Uniti raggiungevano il massimo grado del proprio dominio a seguito del trionfo nella prima guerra del Golfo” Era il momento  della “Fine della Storia” di Fukuyama.

Infatti, aggiungiamo noi,  non potevano avanzare progetti alternativi perché bloccati deliberatamente dall’onnicomprensivo potere americano: l’Europa, dal “Passato che non Passa”; l’Unione di Stati Indipendenti, dall’eredità della politica leninista e stalinista delle nazionalità; la Cina, da Piazza Tien An Men; l’Islam, dal convergere con gli USA delle monarchie del Golfo.

Oggi, dopo la fuga dall’ Afghanistan, l’America ha perso la sua credibilità quale “unica superpotenza”, e, perciò,  ”in Occidente non si scorgono al momento alternative”. Tuttavia, è possibile che proprio questo renda possibile, contrariamente a quanto opina Segre, una maggiore autonomia dell’ Europa. Ed è proprio per questo che l’establishment si ostina a sostenere ch’essa è impossibile.

Pero, a questo punto, occorre anche chiederci: ma perché mai ci dovrebbe essere un “Paese Guida” a livello mondiale? Per indirizzare in una qualche direzione “il Progresso”? Ma non è proprio della Post-Modernità l’aver messo  sotto le lenti della critica il Mito del Progresso, travolto dall’ “Eterogenesi dei Fini” (cfr. Horkheimer e Adorno, Latouche, Grey)?Con questo, è venuta anche meno l’esigenza di un “Paese-Guida”.

La tecnologia non è più vista come una salvifica teofania, bensì come la punta emergente del Secolo Finale, guidato dall’ Intelligenza Artificiale e dalle minacce atomiche oramai quotidiane (Martin Reed).

La libertà di pensiero, di parola e di culto è sempre più limitata dai delitti di opinione, dall’impegno politico dei miliardari dell’ informatica e dalle censure sul mondo dell’ informazione (accademia, editoria, media, web).

La Pace Perpetua propiziata dalla “benigna” egemonia americana è resa sempre meno credibile dal riproporsi all’ infinito (ingigantiti dalla tecnologia) di conflitti millenari e genocidari (i Filistei, l’Egitto, Gaza, Israele;  Iranici e Semiti; Zaristi e Cosacchi…).

La libera circolazione del lavoro, dei capitali e delle merci, articolo di fede dell’ Unione Europea,  è negata violentemente dai muri anti-immigrati, dal sequestro dei beni russi, dai dazi e dalle sanzioni.

La concorrenza è abolita dai GAFAM, ma l’Antitrust non interviene.

L’”ascensore sociale” è messo in forse dalla Società delle Aspettative Decrescenti.

1.Dialogare, ma su cosa?

Molto più “attuali”, dunque, le visioni del mondo dell’ Estremo  Oriente:

il Mito dell’ Eterno Ritorno, che, nella sua versione originale, quella induista, prevede un’infinità di eoni, ciascuno dei quali inizia dall’ era degli Dei e finisce con un’ Età Oscura (Kali Yuga), in cui noi saremmo ora immersi, in attesa del salvatore apocalittico Kalki, che, dopo una deflagrazione universale, ci riporterà nell’ Eone degli Dei;

-il “Datong”, l’utopia conservatrice e patriarcale di Confucio, monarchica e meritocratica, che, non essendoci nel Cinese Classico il futuro, è qualcosa di saltuariamente possibile, ma sempre sfuggente.

La questione  prioritaria non è infatti quello di guidare meglio “il Progresso”, vale a dire l’incremento dei beni materiali e il passaggio dal “Governo degli Uomini” al “Governo delle Regole”, bensì quello di perseguire finalità diverse, quali il perfezionamento dell’ Umanità, attraverso una visione olistica del mondo e il controllo sul mondo della Tecnica. Per fare ciò, non vi è bisogno di un “Paese Guida” (che sia esso l’America o la Cina, un Califfato o una Federazione Europea), bensì di un dibattito serrato fra le grandi culture mondiali, per gestire le Macchine Spirituali attraverso una cultura che sia una sintesi fra l’ascesi orientale e la progettualità occidentale, fra le culture pre-alfabetiche e l’Intelligenza Artificiale.

2.Una  “direzione strategica” contro il  determinismo

A oggi manca, come scrive Segre, “una direzione strategica ben definita”, capace di fermare la IIIa Guerra Mondiale oramai in corso fra Kursk e Donbass, fra Kurdistan e Siria, fra Palestina e Yemen, fra Iran e Israele, fra India e Pakistan, fra Bangladesh e Myanmar.

Ma, giacché la guerra in corso non è una normale controversia territoriale, bensì una guerra di religione fra gli stregoni che preparano la Singularity Tecnologica e i “veri credenti” che rivendicano la Terza Roma, non è possibile formulare proposte pacificatrici se non in base a un’ approfondita riflessione storico-filosofica multiculturale, “a monte” del millenarismo imperante e della propaganda di guerra.

La Singularity Tecnologica, con i suoi corollari del superamento  dell’Uomo da parte delle Macchine, della Megamacchina Universale e della generale omologazione, costituisce l’esito inevitabile di una visione deterministica della Storia, come quelle chiliastiche, quelle hegeliane e marxiste e le varie teorie americane dello sviluppo. Solo il trasferimento del potere alle macchine è infatti in grado di eliminare i conflitti derivanti dalla soggettività umana, e dunque, giacché la gestione tecnocratica è il modo migliore per realizzare il Progresso, l’Umanità la persegue di fatto nella misura stessa in cui persegue il benessere.

A causa di questo automatismo (il cosiddetto “piano inclinato”), opporsi al corso “naturale” del Progresso è l’unica possibilità effettiva di Libero Arbitrio, e, come tale, è altamente conflittuale. La rivendicazione del Libero Arbitrio, vale a dire la continuazione in vita di un Governo degli Uomini, comporta una lotta (ideale, culturale, ideologica, politica, ma talvolta anche rivoluzionaria o militare) contro le “Forze del Progresso”. Essa è costretta ad appoggiarsi ad elementi storici, come le religioni e le culture, come punto di sostegno contro  un “mainstream” governato dalla dialettica della Singularity. Di qui i richiami al racconto dostojevskiano del Grande Inquisitore, alle Hadith islamiche sul Dajjal, a Lord Rama, al Dao…

3.L’”ipocrisia politica”

Segre (come tutti i più intelligenti e onesti osservatori), non crede alle retoriche “mainstream”, e, in particolare, a quelle europee. Per questo, pone al centro della politica della Modernità l’Ipocrisia Politica. Che per altro immiserisce, perché la riduce al ben noto “doublespeak” sul preteso carattere “umanitario” della politica estera americana, reso credibile soltanto dalla forza.

In realtà, l’”ipocrisia politica” si situa su un piano addirittura esistenziale, ben anteriore all’ America. Già Tertulliano aveva affermato l’assurdità quale carattere essenziale dell’esistenza, oltre che della fede religiosa (Credo quia absurdum). A sua volta, Averroè aveva affermato l’esigenza di una “doppia verità” (filosofica e teologica), invitando il “Principe” (al-Amir), ad ascoltare i filosofi, ma a parlare al popolo attraverso i teologi. Infine, Nietzsche aveva fatto, dell’ipocrisia politica, l’elemento discriminante fra aristocrazia e popolo, in quanto il popolo non sarebbe atto, esistenzialmente, a sopportare l’indeterminazione del nostro “Vergleichendes Zeitalter”, sì che l’utilità fondamentale dell’ “élite” sarebbe quella di riuscire a ragionare ed agire in un mondo irrazionale, ma facendo credere al popolo che, al contrario, regnino la logica e l’obiettività.

4.La nostra pretesa impotenza

Ciò detto, non è affatto vero che gli Europei abbiano (meno di altri) gli strumenti per fermare la IIIa Guerra Mondiale. Infatti, come affermano molti, gli USA sono paralizzati dalla lotta per definire l’identità americana; la Russia e la Cina sono appesantiti dalla difficoltà di rimpiazzare l’ideologia marxista con un’adeguata ideologia imperiale tradizionale; l’Islam e l’India dalla pluralità etnica e confessionale.

Di fronte a queste situazioni, gli Europei potrebbero influenzare le scelte degli “altri”  con adeguate proposte culturali e manovrando fra le diverse tendenze dei due campi: GAFAM e MAGA, Russia e Cina, Ungheria e Turchia, India e Iran. Ma, per fare ciò, essi dovrebbero liberarsi dal timore reverenziale verso l’America e dagli automatismi indotti dalla propaganda. Per esempio, che l’Europa, senza l’esercito americano, sia indifesa nei confronti della Russia e dell’Islam. Che gli Europei Orientali vogliano a tutti i costi un conflitto con la Russia. Che “gli altri” abbiano solo due alternative: radicalismo o americanizzazione. Al contrario, l’Europa spende in armamenti più della Russia, e, se non ha peso politico, è perché è costretta a fare le guerre degli altri. Gli Europei Orientali avrebbero tutti i vantaggi da un rapporto migliore con la Russia, perché questo sposterebbe a Est il baricentro dell’ Occidente, e, contrariamente a quanto si dice, il loro spirito non è meno “tartaro” e “cosacco” di quello russo: ricordiamo il popolo Yamnaya, le migrazioni di popoli, il Granducato di Lituania, il Sarmatismo e il Pannonismo, Taras Bul’ba, “i Pagani”di Herczeg, “gli Antenati” di Mickiewicz, il mondo tradizionale di Eliade….Infine, Shevardnadze (ministro degli Esteri di Gorbaciov) aveva promesso che, con la Perestrojka, si sarebbe costruito un sistema migliore del socialismo, del capitalismo e perfino del feudalesimo (che evidentemente aveva ancora, in Georgia, una presa non indifferente).

5.Le debolezze della nuova Commissione

Quindi, occorrerebbe muoversi subito!

Abbiamo però dubbi sul se la nuova Commissione (a parte certe critiche su cui qui non entriamo) abbia le caratteristiche adeguate per quanto sopra. Intanto, fra i commissari proposti dai Governi non c’è nessun intellettuale capace di affrontare i temi da noi proposti. Poi, quale responsabile della Politica Estera e di Difesa è stata indicata l’ ex Primo Ministro estone Kaja Kallas, la quale ha come programma addirittura di ridurre la Russia a un coacervo di piccole repubbliche etniche, moltiplicando così per 100 l’attuale marasma dell’ Europa Orientale.

Programma su cui l’Ungheria e la Slovacchia non sono assolutamente d’accordo.

Capiamo bene che la Kallas, rappresentando un piccolo popolo ugro-finnico che, per una serie di vicende storiche, ha finalmente un proprio Stato, rappresenti bene il timore dei suoi concittadini di essere ridotto allo stesso livello degli Inuit, dei Sami, e, soprattutto, dei popoli ugro-finnici della Russia, come i Careliani, i Vepsi, i Bashkiri,i Nenci, i Komi, i Permiacchi, ecc..E che tenda ad estendere le loro aspirazioni ai popoli della “Grande Finlandia” e agli ai popoli altaici e cartvelici.

Tuttavia, non si può neanche subordinare un disegno globale di sviluppo continentale alle esigenze particolaristiche delle micro-nazionalità, che sono state sempre parte di grandi imperi (unno, avaro, bulgaro, khazaro, turchico, mongolo, russo..), ed hanno sempre coesistito con altri popoli come i Vikinghi, i Tedeschi, i Cavalieri Teutonici, gli Svedesi, i Danesi, i Lituani, i Polacchi, gli Ebrei,  e, solo in ultimo, con i Russi e i  Sovietici.  L’Estonia ne costituisce un esempio lampante, visto che vi si trovano reperti vikinghi anteriori a quelli estoni, che nel Medioevo era organizzata come “Terra Mariana”, condivisa fra i cavalieri Portaspada, città anseatiche e vescovati tedeschi, e, infine, modellò la propria epopea nazionale (il Kalevipoeg), su quella finlandese (il Kalevala).

Non possiamo condannarci ad altri decenni di guerre con la Russia per soddisfare dei particolarismi che troverebbero una più adeguata collocazione all’ interno di un “Territorio Federale” europeo che vada da Baltico fino all’ Egeo, passando per il Mar Nero, e all’ interno del quale potrebbe situarsi anche la capitale federale (per esempio, Kiev).

Solo con proposte rivoluzionarie di questo tipo si potrebbe “rovesciare il tavolo” e convincere alla pace tutte le parti interessate.

« RETOUR À HRADČANY » APRÈS LA GUERRE

RELANCER L’AVENIR DE L’EUROPE

I.UNE APPROCHE INNOVATIVE À LA REPRISE DE L’INTÉGRATION EUROPÉENNE

Dans ce moment, quand la « Guerre Mondiale en Morceaux », en cours actuellement, ne donne aucun signe d’amélioration, et l’espoir originaire de l’ Occident de sortir victorieux à court terme de l’Ukraine s’éloigne de jour en jour, il est indispensable, d’une part, pour conjurer l’apocalypse nucléaire, et, d’autre part, pour garantir à l’Europe une guide sûre dans une phase difficile de son histoire, de repérer des approches nouvelles aux rapports entre, d’une part, l’Europe Occidentale et Centrale et, de l’autre, les espaces au-delà de l’ ancien « Rideau de Fer ». Si cela n’était pas fait, la crédibilité du Mouvement Européen en tant que guide intellectuelle de l’intégration européenne, et, plus en général, de l’Europe, serait compromise, et l’Europe entière pourrait devenir un champs de bataille d’une guerre fratricide, comme l’Ukraine et Gaza.

Pour éviter ces perspectives extrêmes, pourquoi pas ne pas revenir sur des approches essayées dans le passé, mais abandonnées plus tard, pour esquisser un, ou plusieurs, plans alternatifs de stabilisation, en premier lieu celui suggéré par Mitterrand en 1989 et esquissé en 1991 aux Assises de Prague? Et si Mitterrand et Gorbačëv avaient eu raison, et Havel et Kohl avaient eu tort ? Nous aurions évité les guerres civiles yougoslaves et soviétiques, et aujourd’hui nous ne serions pas au milieu d’une interminable guerre entre Européens, qui détruit notre moral, notre économie et notre avenir.

Sans oublier les questions ouvertes dans les autres « Périphéries » de l’Europe : l’Atlantique du Nord, les Balkans, les ACP3 et le Levant, ni le fait que, comme déclaré à plus reprises, et dernièrement lors de la visite à Péking de Vladimir Poutine, l’objectif russe (et chinois) dans la guerre d’Ukraine n’est pas celui d’un agrandissement territorial ou d’un avantage stratégique, mais celui de bloquer dans toutes les directions l’élargissement de la sphère d’influence américaine accéléré par la chute du Mur de Berlin, si que les deux puissances eurasiatiques seraient prêtes à beaucoup de concessions en échange d’une délimitation de l’espace américain – fût-il en faveur d’un nouveau pouvoir européen-.

Ici, nous allons nous concentrer sur une seule hypothèse et sur un seul projet, ce que nous appellerons le « Projet de Hradčany », développé en 1990 et 1991 par Mitterrand, Gorbatchev et Havel lors de leur rencontre au Chateau de Prague -. Ce projet pourrait être aussi la clef pour aborder d’autres thèmes urgents et également ouverts.

Le plan de Mitterrand partait de l’idée que l’Europe, pour devenir vraiment unie et parvenir à la hauteur de ses importantes ambitions, devrait atteindre une taille bien plus grande de celle actuelle (et comparable à celles de l’Inde et de la Chine), et cela pourrait avoir lieu seulement an agrégeant, dans une Confédération Pan-Européenne, d’une part, une fédération de l’Europe Occidentale (héritière de l’UE), et, d’autre part, une ou plus autres entités étatiques européennes, non tenues à respecter l’Acquis Communautaire. Ce dessin rassemble beaucoup à l’idée d’une « Europe à cercle concentriques », mais avec la différence qu’il ne suppose aucune supériorité de l’Europe Occidentale, parce qu’il serait « polyédrique », pour utiliser une expression de Pape François.

Un tel changement de perspective serait déterminant, permettant aussi de dépasser les principaux conflits en cours :

-les différences d’opinion sur la structure future de l’Europe Occidentale (et, donc, la stratégie pour le Futur de l’ Europe, qui devrait être étalée sur un horizon plus large);

-les rapports d’ hostilité entre le « Monde Russe » et « le Collectif Occidental », qui, dans cette nouvelle perspective, sortiraient de l’état de guerre pour revenir sur la voie des négociations entamées en son temps par Mitterrand et Gorbačëv.

De cette manière :

On by-passerait les problème insurmontables d’une réforme de l’Union telle qu’elle est aujourd’hui (laquelle se trouve dans l’impasse de la Conférence sur le Futur de l’Europe), parce que l’ « Europe » se dissoudrait dans différents échelons de la Gouvernance Multi-Niveaux, chacun réglé d’une manière conforme à sa mission;

-On pourrait offrir aux puissances antagonistes de l’Occident une voie de sortie des guerres en cours qui ne soit, ni « une victoire » ni une « débâcle », ni pour l’Ukraine, ni pour la Russie (« win-win »), pouvant revitaliser aussi les « Nouvelles Voies de la Soie », entravées par les hostilités en Ukraine et dans la Mer Rouge, mais dont tout le monde ressent la nostalgie.

Le « Projet de Hradčany » devrait permettre aussi de faire renaitre l’autre grand dessin d’avenir discuté dans les années ‘90 et laissé tomber par l’Occident – une architecture commune de sécurité pour l’Europe, et faciliter aussi une série d’autres objectifs :

-contribuer à donner une fin aux guerres en cours, avec une proposition d’intérêt pour tous les acteurs concernés ;

-soutenir un effort international pour un contrôle structuré de l’Intelligence Artificielle et de la Cyber-guerre dans le cadre de négociations sur les armements sur le modèle des vieux accords pour le contrôle du nucléaire;

-garantir la liberté des peuples d’Europe contre les menaces avancées contre eux par tous le pouvoirs mondiales;

-faire repartir l’économie et la culture, écrasées entre les sanctions et les boycottages.

Objectifs qui nous apparaissent moins utopiques qu’on ne le pense, si on examine l’histoire avec une approche équilibré et non plus sectaire comme aujourd’hui, et qui feront l’objet d’une esquisse synthétique dans les pages qui suivent.

La Confédération de Mitterrand avait été abandonnée parce qu’elle genait les pouvoirs existants, qui préférèrent exaspérer la conflictualité entre

« les démocraties » et les « autocraties » pour garder les privilèges acquis. Toutefois, maintenant que nous avons vu les résultats de ce choix, pourquoi ne pas admettre notre erreur, et y remédier ?6

D’autre part, ce qui oppose l’Europe de l’Est à l’Europe de l’Oust n’est pas tellement la question de la « démocratie », mais, au contraire, celle de la Pasionarnost’. Notion développée par Lev Gumilëv (le fils persecuté d’Anna Akhmatova) sur les traces d’Ibn Khaldûn et de Vernadskij: une synthèse de « romantisme » et de « théorie des nationalités », qui nous pouvons retrouver un peu partout dans les cultures de l’ Europe Orientale :me dans le « Déluge » de Sienkiewicz, dans « Les Payens » de Herczeg comme « Eschile, l’éternel perdant » de Kadaré; dans les sculptures de Meštrovic, dans les films de Tarkovskij comme dans les « Litanies » de Theodorakis.

La Pasionarnost’ suppose que, comme avait écrit Nietzsche, « le bonheur vienne seulement si non voulu », tandis que la « recherche de la félicité » prévue dans la constitution américaine se traduit, par effet de l’hétérogenèse des fins, dans l’aplatissement des désirs et dans l’entropie généralisée, qui préparent le royaume des Machines Intelligentes.

1.Insuffisance du paradigme de l’ « Élargissement »

À partir de la 1ère Guerre Mondiale, les projets d’intégration européenne avaient été axés sur l’objectif, d’un côté, d’éviter une continuation de cette première « Guerre Civile Européenne », et, de l’autre, de mettre l’Europe dans la condition d’intervenir avec une autorité suffisante dans les grandes questions géopolitiques, qui, compte tenu de l’intégration mondiale croissante, étaient de plus en plus dominées par les Grandes Puissances extra-européennes (USA, URSS, Empire Britannique).Cela aboutit sur le projet présenté à la Société des Nations par Aristide Briand, dont la faillite avait été le point de départ de la Déclaration Schuman.

Les Communautés Européennes et l’Union Européenne avaient donné l’impression que ces objectifs étaient en train d’être acquis par la méthode fonctionnaliste proposée par la Déclaration, mais cela n’a pas été le cas. Ce roman contient l’expression plus ouverte des croyance réligieuses et politiques de l’auteur russe

Depuis 45 ans, la dissolution de la Yougoslavie et de l’URSS a entrainé des guerres de succession qui ne se sont encore conclues, et, de l’autre, parce que les principes consolidés en matière d’ »élargissement » européen, qu’on aurait voulu appliquer, n’avaient pas été conçus en vue de ce véritable « dédoublement » de l’ espace européen, tel qu’il s’est manifesté à la fin du XXème Siècle. L’application mécanique de ces principes, imposée par l’Occident, s’est révélée impossible et contreproduisante et que, en tout cas, elle serait inapplicable à cause de la structure e du grand nombre des peuples européens. D’autant plus que, après Brexit, l’importance relative de l’Europe Occidentale par rapport à celle orientale a ne pouvait que décroitre.

Si deux parties paritaires fusionnent entre eux, il s’agit d’un « merger among equals », si qu’une des deux parties ne peut pas prétendre que l’autre accepte toutes ses règles, ni mêe pas sa propre vision du monde. Dans le cas d’espèce, on n’a pas eu d’un «élargissement » vers Est des Communautés Européennes, mais, bien au contraire, une « Fusion à Chaud » entre Est et Ouest, qui est loin d’être accomplie. Les guerres en cours ne sont qu’une suite de la « Guerre Civile Européenne », pour établir une hégémonie sur le Continent, fondée sur un prétendue « supériorité », comparable à celle de la Grande Nation, de l’Orthodoxie ou de la « Race Arienne ». Cette supériorité de l’Occident n’a pas été accepté ni par la Russie, ni par la Turquie, ni par la Biélorussie, ni par la Serbie, mais non plus par la Hongrie et, peut-être, mêeme pas par la Slovaquie et la Pologne.

Pur comprendre l’importance historique de la partie orientale du Continent, au-delà de l’Elbe, des Alpes Orientales et de la Mer Adriatique, il suffit de penser que, parmi les premières réflexions sur l’Identité Européenne nous trouvons celles d’Hippocrate, de Cos, a quelque kilomètres de la côte de l’ Anatolie, celles de Jordanes, un Goth de l’Est qui revendiquait pour Théodoric l’héritage de Rome, de Podiebrad, le roi hussite de Bohème qui proposait le traité pour la fondation d’une Alliance Européenne contre les Ottomans, et d’Alexandre I de Russie, qui lança la Sainte Alliance « russe » conçue comme fondation de la « Nation Chrétienne » européenne.

Coudenhove Kalergi avait des origines Japonaises, byzantines, tchèques et autrichiennes et le siège de sa Pan-europa était à Vienne, et Jean-Paul II était polonais et reprenait textuellement les mots de Viačeslav Ivanov sue les « Deux Poumons » de l’ Europe.

Pour cette raison, il est grave que toutes les institutions principales de l’Union soient restées dans l’espace rhénan (Bruxelles, Strasbourg, Luxembourg, Francfort), tandis que le centre géographique de l’Europe se situe beaucoup plus à Est (en Lituanie, Biélorussie, Ukraine ou, à la limite, Hongrie).

2.La mécanique réelle de la chute du Mur
aux apologètes de « l’esprit du capitalisme » qui aurait triomphé en 1989, au début des révolutions de 1989 il y avait trois éléments : le défi « national » de la Pologne, soutenue par le Pape Jean Paul II, contre un « système soviétique» qui la humiliait ; l’idée révolutionnaire de Michail Gorbatchev d’intégrer pacifiquement l’Union Soviétique dans les Communautés Européennes (ou, mieux, la « Maison Commune Européenne »), comme sera requis plus tard par Yeltsine et Poutine, mais jamais pris au sérieux par l’Occident ; enfin, les pressions des États Unis, surtout à travers les Guerres des Étoiles et l’aide à la guérilla afghane.

Ces trois projets parallèles trouvaient leur bases culturelles:

-dans la conviction de l’Église catholique que l’Europe Occidentale e celle Orientale partagent une seule origine culturelle – la civilisation chrétienne médiévale, qui s’était développée dans deux branches principales, celle de l’Est (l’Orthodoxie), e celle de l’Ouest (le Catholicisme), comme anticipé par Ivanov par sa métaphore des « Deux poumons de l’Europe »- ;

-dans l’espoir de Gorbatchev, de Walesa et de Shevardnadze d’une forme d’hybridation entre le socialisme réel et l’économie sociale de marché de l’Europe communautaire (partant de l’observation de Marx que le capitalisme européen s’était développé de manière différente de l’Américain parce qu’il était né dans un contexte féodal) ;

-enfin, dans la convergence tactique entre le projet globaliste américain et les aspirations hégémoniques des l’intégrismes salafite et shiite présents dans l’espace soviétique (Tchétchénie et Talibans).

Surtout, on avait sous-estimé le poids spécifique de l’exceptionnalisme américain, dont le caractère religieux a fait obstacle à accepter une nouvelle narration concurrente, celle européiste, devenue nécessaire pour la réunification culturelle des « Deux Poumons » du Continent. 80 ans après le débarquement en Normandie, le pouvoir d’interdiction par rapport à n’importe quelle manifestation de créativité européenne (voir Olivetti, Zhu, Mattei, Moro) reste absolu. Il suffit de rappeler la fameuse phrase « Fuck the EU », prononcé par Victoria Nulanden même temps qu’elle dictait à l’ambassadeur américain la position du Département d’État sur la personne à nommer comme Premier Ministre ukrainien après l’ Euro- Maidan, qui avait été dressé contre l’Europe avant que contre la Russie .

Le risque de l’Europe est qu’elle, s’identifiant trop avec la Modernité (l’ »Homme sans Qualité », l’ »Homme à une Dimension »), soit entrainée par cette dernière dans son abîme quand elle ne survivra pas à l’Age des Machines Intelligentes. Le même vaut pour son rapport trop étroit avec l’Amérique lors que cette dernière se retirera de l’Europe de l’Est, comme, dans le passé, du Vietnam et de l’Afghanistan. Nous devons nous préparer à tous développements.

Le « Déclin de l’Occident » doit donc être compris plus comme une maladie culturelle, bien décrite par des auteurs tels que Max Weber, Friedrich Nietzsche, Oswald Spengler, Thomas Mann, la psychanalyse e l’Orientalisme, que comme un phénomène historique et politique. Une maladie qui s’est manifesté dans la forme que Lukács avait défini « la Destruction de la Raison » ; Benda, « la Trahison des Clercs » ;et, Anders, «die Antiquiertheit des Menschen », et s’est élargie avec le refus du principe de causalité (de Finetti), ainsi que du  concept même de « méthode » (Feyerabend).Et qui confine avec la destruction de l’identité européenne sous le poids du « mainstream » américain.Insuffisence des logiques occidentales

Au cours du 20ème Siècle, l’Europe s’était donc tellement désintégrée du point de vue intellectuel et politique (c’est là la racine de la « mort cérébrale » préconisée par Macron pour l’OTAN), que, aujourd’hui elle n’arrive même plus à prendre les décisions fondamentales pour soi-même, telles que celles sur les hautes technologies, la guerre et la paix, la nature, la procréation, la pauvreté. Elle est encore moins à même d’être, comme elle prétendrait encore maintenant, une avant-garde culturelle, étique, culturelle et technique du monde entier (le « Trendsetter of Worldwide Debate »).

Une telle avant-garde avait été, à partir de la Deuxième Guerre Mondiale,l’Amérique, mais elle aussi est entrée maintenant dans une situation d’« over-stretching » à partir de la crise des « sub-primes » et du retrait de l’Afghanistan. Surtout, son identité est divisée entre la défense à tout pris du « noyau dur » WASP et l’adoption d’une « Culture Woke » qui est l’expression de la majorité « non-WASP », entre la défense à tout prix de l’ «Empire Démocratique » et la poursuite des intérêts de la majorité des électeurs. Jusqu’au point qu’on a imaginé la possibilité d’une nouvelle guerre civile.27

Dans cette situation, au «Zeitalter der Vergleichung », toutes les logiques de la culture occidentale (aristotélique, cartésienne, post-euclidée) ne sont plus suffisantes pour expliquer le monde de la complexité, si que nous sommes obligés chaque jour plus, bon gré mal gré, à faire recours, pour décrire nous-mêmes, à des concepts différents, à partir d’une « Intelligence Artificielle » qui nous est fournie par la Silicon Valley globalisée, pour passer à celui d’une « Démocratie Illibérale » étudiée par un Indo- Américain  tel  que  Fareed  Zakaria  faisant  référence  à  d’expériences asiatiques, pour arriver à l’« Epistocratie » mandarine, suggérée par Zhang Weiwei, un ancien interprète de Deng Xiaoping.

Tout cela est applicable encore plus en ce qui concerne l’Europe Orientale, que nous ne pouvons pas comprendre sans rappeler à l’esprit les Peuples des Steppes, la Deuxième et la Troisième Rome, le Bogoumilisme, le mythe du Golem, le Sarmatisme, le Socialisme Réel, le Cosmisme, l’Eurasiatisme et la Pasionarnost’. Mais, si nous ne comprenons pas l’Europe Centrale et Orientale, comment pourrions-nous la juger, et même l’orienter, comme nous prétendons?

Une refondation culturelle s’impose au préalable, dont le Mouvement Européen devrait se faire porteur.

3.Les erreurs de l’ Europe

En effet, les difficultés de toutes sortes rencontrées dans l’ »élargissement » des Communautés Européennes et, après, de l’Union Européenne, découlent de leurs blocages culturels. Notamment:

-l’involution de la Russie, du « Socialisme au Visage Humain » de Gorbatchev au libéralisme autoritaire de Yeltsine, et, après, à l’ »Esprit de Pratica di Mare » du premier Putine, jusqu’au « Russkij Konzervatizm » et, enfin, à l’ »Opération Militaire Spéciale », dépend en grand partie de l’ »arrogance romano-germanique », de la présomption immotivée des Occidentaux que leurs propres processus culturels et politiques, témoignant d’une mission messianique immanente à la Modernité, constituent un parcours obligé pour tout le monde (la « Théorie du Développement »). De telle manière, l’intégration dans les Communautés Européennes aurait du impliquer nécessairement l’adoption rigide, par les pays de l’Est, de l’ »Acquis Communautaire », et même de soi-disant « valeurs européens », quand d’autres parties du monde -même les Etats Unis, ou l’Inde-, ne demandent plus l’adhésion contraignante à des soi-disant valeurs « americains » ou « indiens » (lesquels ? le puritanisme WASP ou le  LGBTQIA+?; le « Néo-conservatisme » ou la « Cancel Culture”;

-Les rhétoriques de l’Europe ont impliqué le refus de toute concession à la Russie en ce qui concerne son désir d’être admise dans la « Maison Commune Européenne » (l’ OTAN et les CEE) sans un processus humiliant d’examens, qui, si acceptés, auraient sanctionné sa prétendue infériorité, si que Poutine a refusé;

-les mêmes concepts valent pour les involutions comparables en Turquie, et même en Hongrie et au Levant;

-l’incapacité de l’Europe Occidentale de se doter d’une industrie de haute technologie et d’une armée, découle de son refus de reconnaitre de manière objective le développement, dans tout le monde, au-delà des différentes idéologies, d’un « keynésianisme militaire » (américain, russe, chinois), qui a fait croitre des barrières insurmontables autour l’Europe, incapable d’être compétitive avec les autres grandes espaces du monde, et notamment avec l’Amérique et la Chine, protégés par l’interventionnisme des gouvernements;

-les chocs continus entre l’officialité européenne et les opinions publiques des pays orientaux (tels, par exemple, que le refus des différentes démarches pour adhésion de la Russie et de la Turquie, ou la surévaluation du « Processus d’Helsinki» , qui a cristallisé l’application, au processus de Nation-building, des anciennes constitutions soviétique et yougoslave encore après leur échéance juridique, ou, enfin, le double standard sur les « règles du droit » s’il d’agit des Pays Baltes ou de la Hongrie), ont nourri une hostilité généralisée envers l’Union, accusée, non sans motif, d’être un « vassal » des États-Unis;

-l’incapacité de concevoir des sujets politiques différents des Etats nationaux qui dominent l’Union d’aujourd’hui, tandis que le modèle plus actuel dans le XXIème siècle, auquel s’inspirer, paraitraient être les »États-

Civilisation », comme la Chine, et, peut-être, même les États Unis et l’Inde, dont les « états » ne sont, en réalité, que des énormes provinces avec des centaines de millions d’habitants.

Toutefois, la première raison de l’ échec de Hradčany fut « le refus américain d’une structure nouvelle pouvant limiter son influence croissante. George H.W. Bush songeait à attribuer un rôle politique à l’Organisation du traité de l’Atlantique Nord et s’interrogeait sur son extension géographique dont le principe n’était pas arrêté et qui n’était pas la priorité du moment. « La « faute » de l’Europe fut de ne pas s’y opposer, parce que paralysée par l’intériorisation forcée du model américain.

4.Revenir à Hradčany

Malgré l’hostilité générée dans ces 35 ans entre Europe et Monde Russe par les faits du Kossovo, de l’Irak, des révolutions colorées, de Géorgie et d’Ukraine, revenir à Hradčany n’est pas impossible. Il suffirait de faire maintenant, sous l’impression des échecs ainsi provoqués (une douzaine de guerres, le refus, par les peuples, de la Constitution Européenne, Brexit), toutes les démarches que nous n’avions eu le courage de faire en 1990/1991, reprenant les mots de passe oubliés de cette saison politique:

ouvrir les portes des États et des systèmes politiques », comme prêchait Jean-Paul II, à travers un dialogue interculturel en bonne foi, qui ne craigne pas d’aborder les différences théologiques ou politiques, essayant de voir, au-delà d’elles, les problèmes et les exigences communes. S’ouvrir à une paix effective comporte de prendre au sérieux les motivations expresses des actions des adversaires, et notamment la requête aux États Unis de renoncer à leur prétentions hégémoniques en faveur d’un système polyédrique (« polycentrique » et « multiculturel ») de droit international sans abolir le principe de légalité, mais l’interprétant de manière équitable- ce qui pourrait se réaliser maintenant grâce à un nouveau probable isolationnisme USA-;

-« une nouvelle Glasnost », à travers une révision critique des Grandes Narrations qui nous cachent aujourd’hui la véritable histoire de l’Identité Européenne;

-une « Confédération de Fédérations » (entre Ouest, Nord-Est e Sud- Est de l’ Europe), comme celle discutée en son temps à Hradčany, qui soit la matérialisation juridique d’une Europe «polyédrique, qui aurait été le contraire de la « Pensée Unique », fusionnant messianisme post-humaniste et exceptionnalisme américain, qui a dominé la politique européenne de cette phase historique;

une nouvelle Perestrojka »: une réorganisation radicale des sociétés européennes pour faire face aux défis géopolitiques de l’Intelligence Artificielle, avec la transformation des ouvriers en des auto-entrepreneurs numériques liés à des réseaux publiques-privés; des employés en des managers autogestionnaires de nouvelles plateformes eurasiatiques ; des professionnels en des actionnaires; des entrepreneurs traditionnels en des dirigeants d’agences public-privé pour la digitalisation; des administrateurs locaux en des réorganisateurs du système industriel…

-“une nouvelle Liberalizacija”: l’élimination définitive des entraves à la libre circulation des biens, des capitaux, des personnes, mais surtout des idées, dans toute l’Europe, abattant à cet effet le nouveau « Mur de Berlin » créé par le « De-coupling », les sanctions, le « Re-Shoring », les « Golden Shares », les droits de douane, les délits d’opinion, le « Friend-shoring »,les discriminations cachées; les restrictions contre les « Fake News » et les « Agents étrangers » ;

-« une nouvelle Demokratizacija » : la fin de la subordination des institutions européennes aux pouvoirs forts et aux diktats idéologiques, pour permettre aux peuples d’exprimer leur désir de paix et d’intégration continentale révélé par les sondages, sans la censure toujours plus stricte, typique de ce temps de guerre dans lesquels nous sommes en train d’entrer.

I.LA CONFÉDÉRATION EUROPÉEENNE DANS UNE GOUVERNANCE MONDIALE MULTI-NIVEAUX

  1. La défense de la liberté face aux « Empires Inconnus »

Le fédéralisme mondial doit être conçu aujourd’hui surtout comme une tentative de réagir à l’exigence de centralisation des décisions requise par la Société des Machines Intelligentes tout en sauvegardant les différences (-ou « différances »-) individuelles, sexuelles, de classe, culturelles, locales, ethniques, nationales et continentales, les traduisant en pouvoirs concrets de proposition, décisionnels, de critique et d’action, structurés selon les différentes identités.

Cette centralisation qui ne cesse de s’accroitre est le résultat de la complexité, de la professionnalisation des connaissances et de la politique, de la lutte entre les visions du monde implicite dans le « Zeitalter des Vergleichens»,du rôle de l’ Intelligence Artificiale, et, enfin, de l’état de guerre permanente. Elle se manifeste, au-delà des différentes constitutions formelles, dans l’accroissement du pouvoir des multinationales, des services secrets, des Exécutifs et de leurs chefs, ainsi que dans la restriction de la « Fenêtre d’Overton » imposée au pluralisme culturel par effet de la Pensée Unique, des différentes « Mémoires Partagées » et de la censure (et auto-censure) de guerre. Si chacun a la tendance à en accuser des forces politiques de son propre pays (Trump, Meloni, Erdoğan, Nethaniahu, Modi, outre, bien-entendu, Poutine e Ji Jinping), cette tendance est présente partout dans le monde, modifiant ainsi les « constitutions matérielles » de tous les pays, et les rendant toujours plus similaires parmi elles: des dictatures technologiques orientés à la guerre (Patriot Act, Echelon, Prism, Fake News, EUvsDesinfo).

La base du Fédéralisme est le réseau des « différances », basées sur les libertés individuelles, la famille, les entreprises, les associations, les villes, les régions, les États et les Continents. C’est pour cela que le Fédéralisme est, à moyen terme, la seule force capable de sauvegarder la liberté, e, plus encore, l’existence même, de l’Humanité contre la Société du Contrôle Total. Un droit fédéral européen devrait avoir pour but de bâtir, autour de ces réalités sociales en évolution, des règles juridiques claires, efficaces et flexibles, à même de régler de manière « polyédrique » la vie des sujets sociaux, et permettant ainsi leurs synergies.

L’ordre juridique international actuel correspond à un stade inaccompli de l’évolution du fédéralisme mondial. Il n’a aucune prétention d’être parfait, ni même complet, mais pourrait se révéler utile pour soutenir les forces de l’Europe dans cette phase de résistance à la Société du Contrôle Total. Comme tel, il mérite d’être préservé et perfectionné à travers la nouvelle architecture européenne que nous proposons.

2.La Confédération Pan-Européenne

Une Confédération Pan-Européenne telle que celle discutée en son temps à Hradčany devrait grouper tous ces territoires qui se reconnaissent dans la continuité de l’Identité Européenne (les Europes Occidentale, Méditerranéenne, Centrale et Boréale, Orientale et Pontique-, ainsi que la

« Magna Europa » -des fragments d’ Europe dans les autres Continents-).

Elle devrait être conçue comme un des maillons de la Gouvernance Mondiale Multi-Niveaux, expression de la conception « polyédrique » du monde.

La Confédération devrait être organisée selon le principe de pluralité des ordres juridiques, typique del l‘ »Ancienne Constitution Européenne » de Tocqueville, et de « L’Europe à différentes vitesses », mais sans une hégémonie, ni de l’Europe Occidentale, ni de l’ Amérique, ni d’aucun autre.

A son intérieur, se situeraient des Fédérations Intra-Européennes, telle qu’une Fédération Européenne (héritière de la UE), une Fédération Pan- Russe (ou « eurasiatique », héritière de la Communauté des Etats Indépendants et/ou de l’Union Eurasiatique), probablement une Fédération du Levant, et plusieurs Territoires Confédéraux, non attribuables à d’autre sujets. Enfin, les liaisons structurées spéciales existant à l’heure actuelle, comme celles avec l’Amérique, les ACP (Afrique, Caraïbes et Pacifique), le Moyen-Orient, la Chine (les « Nouvelles Voies de la Soie « devraient etre maintenues et revitalisées. . Le rôle des Pays Britanniques (Angleterre, Ecosse, Galles, Irlande du Nord et Iles Normandes) serait, après Brexit, à définir, partant des accords négociés et signés avec l’Union Européenne.

Les différentes fédérations devraient être organisées selon des principes leurs propres, au moyen d’une pyramide coordonné de Constitutions (sur le modèle de la « Constitution Italienne et Européenne » de Duccio Galimberti), qui garantisse la certitude du droit. Il est significatif que soit l’Empire Russe, soit les États Unis, se basaient, à leurs débuts, sur la lecture de « L’Esprit des Lois » de Montesquieu. Dans les Federalist Papers,

« Publius » se rattachait à l’idée de ce dernier (ainsi que le faisait Catherine II de Russie dans le « Instructions à la Commission Législative »), selon laquelle les « États de grande taille » pourraient être organisés, soit comme des États absolus, soit comme des fédérations. Les États Unis auraient choisi la voie de la fédération, tandis que Catherine avait choisi celle de l’État absolu. C’est de à qui est née la bifurcation (par trop simpliste) entre

« Démocraties » et « Autocraties » («samoderzhavija»)

Certaines des taches typiques d’un État ne pourraient être accomplies

aujourd’hui que par la Confédération :

-Le Système global Européen de Sécurité;

-Les Hautes technologies ;

-Les Politiques économique et industrielle;

-Les Transports;

L’Environnement;

-Les Migrations.

D’autres seraient du ressort des Fédérations:

-La Culture

-Les Armées;

-La Justice;

-L’ Aménagement du territoire .

Autres encore, des entités euro-régionales, nationales et locales.

Le Système Européen de Sécurité devrait se baser sur des principes parallèles à ceux du contrôle des Armements, à travers une Agence Confédérale de Sécurité, présidant à l’équilibrage des systèmes de défense

, et notamment des systèmes d’Intelligence Artificielle, dans le cadres de futurs, nécessaires, accords globaux, à développer et négocier en parallèle avec la nouvelle architecture européenne de sécurité.

L’Armée de la Fédération Européenne devrait être mise à même d’être un élément d’équilibre avec celles du bloc pan-russes grâce à des traités constitutionnels de l’Union Européenne et de traités sur la dévolution de compétences, de biens et de personnel, avec les USA et la Fédération Russe, tandis que l’Ukraine, en tant que District fédéral, devrait être neutralisée.

3.L’espace central de la Confédération

Le centre de la Fédération se situerait au croisement entre Europe Latine, Europe Germanique et Europe Slave, et, donc, probablement dans des territoires non faisant partie d’aucun de ces grands blocs etno-culturels, tels que la Hongrie ou les Pays Baltes.

Une localisation parfaite pour la capitale confédérale serait Kyiv, qui aime se considérer comme une charnière entre l’ Ouest et l’Est. D’autre part, Tripillya, a coté de Kyiv40, a été la première ville d’Europe, ainsi que Nestor de Kiev écrivait au Moyen Age que « le pays de Rus’ n’a pas des frontières »41 ; l’Ukraine avait accueilli les Huns et les Avars, les Bulgars et les Khazars, les Magyars et les Variagues, les Polovésiens et les Karaïtes, les Gênois et les Vénitiens, les Mongoles et les Tatars, les Nogaï el les Cosaques, les Cherkasses et les Ottomans.

Dans l’Age Moderne, l’Ukraine a été partagée entre les Polonais et les Lithuaniens, les Autrichiens et les Hongrois, les Russes et les Juifs, les Allemands et les Blancs, les Anarchistes et les Bolchéviques…

« Euromaidan » c’est un nom qui est en même temps un programme politique. « Maidan » est Arabe, mais existe aussi en Persan, Turc et Hindi, et signifie simplement « Place » : donc, la « Place de l’Europe ».

Pur pouvoir jouer un rôle en tant que Métropole Confédérale, l’Ukraine devrait se donner un statut fédéral, polyédrique et multilingue, fondé sur des régions largement autonomes, à partir des villes métropolitaines de Kyiv, Kharkiv, Odessa e L’iv, pour passer aux régions du Donbass, de Crimée, de Novorossiya, de Bessarabie, de Budjak, de Boukovine, de Routhénie Cis- carpatique e Trans-carpatique, de Galice, de Polésie, de Volhynie et de Podolie. Ce régime rassemblerait beaucoup au cadre administratif proposé, avant l’Euromaidan, par le parti de Yanukovič.

Le statut d’indépendance et de neutralité de l’Ukraine devrait être garanti par des troupes de ses Régions, de la Confédération, des Fédérations et des Territoires Confédéraux, si nécessaire avec l’aide des Nations Unies.

L’ambition de centralité de tous les peuples de cette zone, que les Polonais appellent « Międzymorze »(« Intermarium ») en serait exaltée, ce qui pourrait compenser leur contrariété pour le fait de devoir convivre avec les Russes.

4.Les Balkans Occidentaux et la Turquie

Les Balkans Occidentaux et la Turquie représentent deux paradoxes, parce que les premiers sont les plus proches à l’Union, et y sont même déjà entrés en partie, et, la deuxième, a présenté sa demande d’accession depuis 1952.

Quant aux premiers, la difficulté de les faire entrer est constitué par leur incapacité à se transformer dans des véritables « états nationaux » comme supposé par le système de l’Union, ayant constitué, dans le temps, un espace de frontière entre l’empire Ottoman et l’ Empire autrichien, la « Vojina Krajina », ou,   en Allemand, « Militärgrenze» .   Y vivaient des Musulmans et des Orthodoxes -des Slaves, des Albanais et des Valacques-…, ainsi que des Catholiques -Croates, Hongrois, Allemands, Italiens, Dalmatiens et Albanais-..es petits États issus de la désintégration de la Yougoslavie défendaient et défendent l’autonomie de leurs exclaves à « l’étranger », mais la nient aux enclaves à leur intérieur. Les principes d’intégrité territoriale et d’auto- détermination des peuples sont défendus à tour de rôle, mais ne sont pas vraiment applicables

La solution plus simple serait celle d’insérer tous ces pays parmi les territoires confédéraux, sans faire même pas l’effort de les rattacher à des états « nationaux ».En tous cas, il faudrait reconnaitre leur enracinement dans la tradition de la loyauté ethnique déterritorialisée, typique des Empires Ottoman e Autrichien.

Quant à la Turquie, le fait de l’avoir faite attendre plus que 60 ans a certainement exaspéré l’opinion publique d’un pays très orgueilleux, d’autant plus que la Turquie n’est plus un pays pauvre qui avait besoin de l’Union Européenne, mais, bien au contraire, est devenue un pays riche, en plein essor, avec la deuxième armée de l’OTAN et une grande force d’attraction culturale en direction des États islamiques avoisinants.

Son importance, son identité et sa différence par rapport aux autres pays européens suggéreraient d’en faire un partenaire « tous azimuts » dans la Confédération, au même niveau que la Fédération « Eurasiatique » -qu’elle s’appelle « Communauté d’États Indépendants ou « Union Économique Eurasiatique », ou autre encore.

5.Les Fédérations

Les états qui pourraient résulter des évolutions de l’Union Européenne, de la Confédération d’ États Indépendants, de la Turquie et du Levant , seraient régis par des principes différents selon les traditions et les cultures de chaque territoire. D’autre part, chaque zone e la Pan-Europe fait maintenant l’objet de processus de transformation (îles britanniques, Péninsule ibérique, Balkans, Ukraine, Caucase, Palestine).

Dans ce contexte, le fait que la Russie aspire, après la guerre, à représenter une voix unitaire de l’espace euro-asiatique ne serait pas nécessairement en contradiction avec le dessein d’une Confédération Pan-Europeéenne. D’autre part, en 1991 les républiques soviétiques n’avaient pas voté pour la séparation de la Russie (à laquelle elle n’étaient pas liées), mais, au

contraire, pour la dissolution de l’URSS e sa transformation dans l’Union d’États Indépendants, qui existe toujours.

Le même pourrait s’appliquer à une potentielle fédération du Levant , telle qu’imaginé tout au début, englobant Israël, la Cisjordanie et Gaza, mais, peut-être, aussi le Golan, la Jordanie et le Liban. Moins claire la situation dans les Balkans, ou, en tout cas, il y a un commencement d’alliance entre la Turquie, la République Bosniaque e le Kossovo, tandis que, à Est, les Kurdes aspirent à une subjectivité séparée, mai qui pourrait même se réaliser avec la Turquie.

6.Les accord structurés existants

De toutes les côtés on entend parler de la revitalisation de rapports avec le reste du monde que l’Union aurait négligé. Le fait est que, au fil des années, l’Europe avait entamé des rapports avec tous les continents, mais, malheureusement, à cause de sa faiblesse vis-à-vis les états membres, et, surtout, vis-à vis des États Unis, la plupart de ces rapports n’ont pas été cultivé d’une manière sérieuse, au point que quelques-uns ont même été négligemment oubliés, comme ça a été le cas des ACP, abandonnés aux islamistes, aux Russes, au Chinois et à la Turquie.

La restructuration de l’Europe sous la forme d’une Confédération superposée a plusieurs Fédérations pourrait constituer l’occasion pour reprendre le discours sur et avec les ACP au-delà des lieux communs.

Dans le cas des États-Unis et du Royaume-Uni, ces rapports se confondent avec ceux dans l’OTAN et le G7, dont la réforme a été beaucoup discuté des deux côtés, sans rien faire de concret. L’éventuelle élection de Trump, toujours plus probable, rend l’étude de cette réforme encore plus urgente, si que le moment semblerait arrivé de faire de la clarté , d’autant plus que cela est ce que demande depuis longtemps le même candidat Trump. Les chancelleries européennes avaient fait savoir qu’elles étaient en train de préparer un « Plan B » pour le cas d’« abandon » de l’Europe de la part des États-Unis sous Trump. Or, l’heure de ce possible abandon se situe à Novembre, c’est-à-dire dans 5 mois. Le moment est venu d’y penser.

Trump a donné seulement l’impression de souhaiter une réduction des rapports Europe-UE. Toutefois, on peut imaginer que, au moment ou

l’Europe voulait vraiment rationnaliser ces rapports, le pressions deviendraient frénétiques pur éviter l’élimination de beaucoup de privilèges américains en Europe, concernant leurs bases militaires, les technologies, l’intelligence et l’antitrust, privilèges sans lesquels les États Unis ne seraient plus une Grande Puissance.

III.APROFONDIR CETTE ÉTUDE

Si cette approche peut trouver une attention de la part de la société civile et du Mouvement Européen, nous sommes à disposition pour approfondir, soit les thèmes illustrés dans ces pages, soit des thèmes ultérieurs, à partir de possibles plans « B C, D.. ».

Objectif : que l’Europe ne soit pas impréparée même en cas d’extension des hostilités hors de l’Ukraine, Palestine et Afrique du Nord, et aussi dans le celui d’évènements traumatiques à l’intérieur des États-Unis, tous évènement qui ne seraient sans conséquences directes pour l’Europe.

En toutes ces hypothèses, la société civile et le Mouvement Européen pourraient, et devraient, donner une contribution importante pour surmonter des situations d’émergence, même dans des situations de défaut des institutions.

IL TRATTATO MONDIALE SULL’ INTELLIGENZA ARTIFICIALE:

una risposta al rischio esistenziale

Mentre diffondiamo un’ulteriore volta il programma della giornata  di domani 9 maggio (Giornata dell’ Europa 2024),una  manifestazione più attuale che mai, vorremmo aggiungere che il tema centrale di tale giornata -il trattato internazionale sull’ Intelligenza Internazionale-, non solo ha costituito il centro dell’ opera degli ultimi anni di vita di Henry Kissinger, ma ha fatto anche oggetto della “Lettera all’ Europa” apparsa su “l’Avvenire” di ieri mattina (All.1).

A nostro avviso, occorrerebbe chiarire ancor di più la centralità dell’ Intelligenza Artificiale nella Guerra Mondiale a Pezzi, oggi in corso, nonché illustrare i meccanismi che vanno dalla macchinizzazione del mondo (Heidegger) alla Società del Controllo Totale (Morozov), dalla Guerra Senza Limiti (generali cinesi) allo Hair Trigger Alert (Schmidt), al “Dead Hand”(in Russo, “Miortvaja Rukà) , tutte tappe di un’escalation praticamente automatica, che potrebbe scattare in qualunque momento, se non è già in qualche modo avviata.

Come indicato nella “Lettera all’ Europa”, è proprio qui che la pretesa (probabilmente irrealistica) dell’ Unione Europea di essere il “Trendsetter of the Worldwide Debate” viene messa alla prova.

Questo è, a nostro avviso, il punto cruciale del dibattito sull’ Europa.

L’ inconcludenza europea che ci ha portati, dopo 80 anni, alla “Guerra senza Limiti”, va superata con un’analisi approfondita e senza pregiudizi dei meccanismi reali (e non immaginari) del mondo post-moderno, e con un’azione energica di rinnovamento  che rifugga tanto dalle “Retoriche dell’ Europa” e, quanto dai riflessi pavloviani delle ideologie sette-ottocentesche.

Vi attendiamo tutti domani e per le attività che svilupperemo verso il Trattato Internazionale sull’ Intelligenza Artificiale, e, in generale, verso una Mult-level Governance mondiale d’impostazione “poliedrica”, che, senza pretendere di cancellare la conflittualità (che è insita nell’ umano), ci permetta almeno un momento di riflessione e dialogo (una moratoria?).

Vi aspettiamo!

In caso di dubbi, telefonare a:

3401602582

3357761536

Come  ogni anno fin dal 2007, anche nel 2024 l’Associazione Diàlexis organizza, intorno al Salone Internazionale del Libro di Torino, una serie di manifestazioni, sotto il titolo, ormai consolidato, di “Cantieri d’ Europa”, con i suoi partners Movimento Europeo, CNA, Studio Ambrosio & Commodo, IPSEG e Rinascimento Europeo.

Il caso vuole che, come già in alcuni degli anni passati, il 9 maggio 2024, Giornata dell’Europa, cada proprio all’interno del calendario del Salone, sicché abbiamo potuto inserire anche questa volta, fra quelli che accompagnano il Salone, il dibattito sullo stato di avanzamento dell’integrazione europea.

Nel corso dei 17 anni dei “Cantieri d’ Europa”, il mondo e l’Europa sono cambiati drammaticamente. L’onnipervasività dell’Intelligenza Artificiale, l’emergenza  del Sud Globale  e le guerre attualmente  in corso in tutti i continenti hanno reso più urgente che mai per l’ Europa focalizzarsi sulle sue priorità storiche, la cui cogenza è oramai conclamata da tutti: identità continentale, geopolitica del digitale e governance multi-livello  e multipolare.

Per questo, abbiamo articolato i Cantieri d’Europa del 9/10 maggio 2024 in tre distinte manifestazioni:

-la tradizionale celebrazione, presso il Centro Studi San Carlo, della Giornata dell’Europa, attraverso un dibattito bipartisan sul libro di Pier Virgilio Dastoli ed Emma Bonino “A che ci serve l’ Europa”;

-la presentazione, nel Salone, del libro “L’Istituto per l’ Intelligenza Artificiale di Torino” dell’ Associazione Diàlexis, con un dibattito fra esperti sull’evoluzione, attualmente in corso,  del concetto di un’ agenzia nazionale per l’IA;

-un convegno, presso il Centro Studi San Carlo, dedicato alla discussione sul contributo italiano alle trattative per una disciplina pattizia internazionale dell’Intelligenza Artificiale;

-la presentazione, sempre al Centro Studi san Carlo, del Libro Verde del Movimento Europeo in Europa, “Scriviamo insieme il futuro dell’ Europa”

A che ci serve l’Europa – Emma Bonino,Pier Virgilio Dastoli,Luca Cambi – copertina

9 maggio,

Ore 10,30

Centro Studi San Carlo, Via Monte di Pietà 1

Dibattito sul libro: A che ci serve l’ Europa,

di Pier Virgilio Dastoli e Emma Bonino, con Luca Cambi.

Partecipano gli Autori,

Con: Brando Benifei,candidato al PE per il PD,  Alessio Stefanoni della CNA, e Ferrante De Benedictis, Consigliere al Comune di Torino

Presenta la manifestazione: Marco Margrita, del Direttivo di Rinascimento Europeo

Introduce i Cantieri d’ Europa 2024: Riccardo Lala

Modera: Marco Zatterin

A 73 anni dalla ormai “Dichiarazione Schuman”, a cui fa riferimento la Giornata dell’Europa del 9 giugno, è più che mai giunto il momento di chiederci se l’evoluzione effettuale delle Comunità Europee, e la trasformazione di queste ultime nell’Unione Europea, non abbia costituito piuttosto un’involuzione dell’originaria intuizione politico/culturale, di Spinelli,  e di tanti altri precursori dell’integrazione europea, da Coudenhove Kalergi a Simone Weil, da Galimberti a Gorbachev, da Mitterrand a Giovanni Paolo II.  Certo, il punto di partenza era stato immaginato  dai più come una qualche forma di unione “leggera” (per ultima la “Confederazione Europea” proposta  da Mitterrand nel 1989), ma  questo non escludeva, ed, anzi, postulava, la costituzione e l’espansione  di un nocciolo duro, espressione di un’unione prima  esistenziale che  giuridica fra gli Europei (”la Patria Comune del Cuore” di Stefan Zweig). La presunta contrapposizione fra un’Europa “federale”, accentratrice e tecnocratica, e un’”Europa dei Popoli”, decentrata e identitaria, invalsa nella polemica politica parlamentare, non coglie, infatti, l’essenza del progetto europeo, che dovrebbe essere al contempo poliedrico all’ interno ed assertivo nel mondo, grazie a un’appropriata distribuzione dei ruoli e delle lealtà fra società civile, imprese, Enti locali, Stati Nazionali e “Europe Puissance”(Giscard, Macron), ciascuno fornito di una sua propria distinta identità, ma tutti convergenti su una finalità comune, secondo il modello di quello che Tocqueville aveva chiamato “l’Antica Costituzione Europea”.

Una risposta a quel dubbio, e lo scioglimento di questa pretesa contraddizione, risultano più che mai necessari alla vigilia di questa tornata di elezioni europee, che sarà determinante per affrontare i temi più drammatici dell’oggi -dalla disciplina internazionale dell’AI alla latente “Nuova Guerra Civile Europea”, nonché, infine,  all’urgenza di un “centro dirigente” autorevole per fare fronte a una situazione internazionale drammatica e imprevedibile (AI, Ucraina, Medio Oriente)-.

Pur essendo tutte fortemente indebolite dalla “Fine delle Grandi Narrazioni”, le famiglie politiche tradizionali, rappresentate dai vari gruppi politici del Parlamento Europeo, stanno ritornando al centro dell’interesse della pubblica opinione avendo recuperato, almeno in parte, la loro originaria vocazione a sfidarsi sulle grandi alternative storiche dell’Europa. Speriamo che la legislatura che prenderà l’avvio da queste elezioni si dimostri all’altezza della drammaticità della situazione e dell’esigenza di un salto di qualità non solo istituzionale, ma anche culturale ed etico.

Il recentissimo e documentato libro di Dastoli e Bonino ci fornisce un ulteriore stimolo per una riflessione su questo tema, con l’intervento di relatori di grande competenza, impegnati in gruppi politici europei diversi e divergenti, che illustreranno le diverse prospettive in discussione e i relativi programmi.

La nuova Strategia Italiana per l’Intelligenza Artificiale 2024-2026  Spiegata Semplice | Intelligenza Artificiale Italia Blog

L’Italia e la regolamentazione internazionale dell’Al”,

Presentazione del libro “L’Istituto italiano dell’Intelligenza Artificiale di Torino”, a cura dell’Associazione Diàlexis, Alpina, Collana Tamieia, e di un libro bianco sull’argomento

Con:Pier Virgilio Dastoli , Fabrizio Lala, Alessio Stefanoni; Modera: Marco Margrita

L’Italia ospita il G7, dedicato, fra l’altro, alla regolamentazione dell’lntelligenza Artificiale. Sarà illustrato un libro bianco dell’Associazione Diàlexis per il Governo ltaliano sulle proposte di legislazione internazionale.

A cura di CNA, Movimento Europeo in Italia, Associazione Dialexis, Rinascimento Europeo e Studio Ambrosio & Commodo

Dopo l’approvazione, da parte del Parlamento Europeo, dell’Artificial Intelligence Act, le nuove frontiere del dibattito sulla governance dell’IA si sono spostate, dal livello europeo, verso i piani nazionale e globale. Passando attraverso le diverse strategie nazionali italiane, purtroppo, il previsto Istituto dell’ Intelligenza Artificiale di Torino ha perso, con il tempo, la sua centralità, essendo emersi altri Enti regolatori. Nel frattempo, si sta tentando, seppure faticosamente, di giungere a una disciplina concordata sul piano globale, di cui si discute in un’altra manifestazione dei Cantieri d’ Europa.

Il libro dell’Associazione Dialexis “L’Istituto Italiano dell’Intelligenza artificiale di Torino” permette di ricostruire la storia dell’idea di un istituto nazionale, e la sua evoluzione fino alla situazione di oggi,  quando è stata anticipata la strategia del Governo 2024-2026, la quale prevede, tra l’altro, l’ istituzione, nell’ambito della Presidenza del Consiglio, di una Fondazione per l’Intelligenza Artificiale e di un Istituto a Torino dedicato all’ automotive e all’ Aerospaziale. Ne discutono esperti interdisciplinari, caratterizzati da profili culturali diversi, per fornire un orientamento circa questa fluida materia.

Con: Brando Benifei, Marcello Croce, Pier Virgilio Dastoli, Ferrante De Benedictis, Fabrizio Lala, Riccardo Lala, Marco Margrita, Alessio Stefanoni

Presenta e modera: Stefano Commodo

UN’AGENZIA MONDIALE PER L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE

(E PER IL CONTRASTO ALLA GUERRA MONDIALE)

La centralità dell’Intelligenza Artificiale in tutte le attività umane è stata confermata, per ultimo, dalla notizia della CNN secondo cui essa verrebbe utilizzata già oggi con l’impiego sul campo di armi autonome -in particolare, nella guerra in Palestina-. Non per nulla, l’ultima, meritoria, fatica di Henry Kissinger prima della sua morte è stata quello di persuadere i vertici americani e cinesi a inserire, nel dialogo faticosamente riavviato a San Francisco, la regolamentazione internazionale dell’ IA, ivi compresa un’agenzia internazionale sul modello dell’ AIEA.  Basti pensare ai vari segmenti della difesa strategica nucleare delle Grandi Potenze: “Hair Trigger Alert”, missili ipersonici, al sistema “Dead Hand”.

L’IA è oggi considerata la risorsa bellica decisiva, com’era un tempo la bomba atomica, sì che un dialogo sulla nuova auspicata regolamentazione potrebbe, e dovrebbe, costituirebbe il primo tassello strategico per una governance mondiale, tanto militare, quanto civile, al passo con i tempi.

L’Associazione Diàlexis propone, con questa manifestazione, alle Associazioni e Istituzioni sue partner, di avviare un dialogo e una mobilitazione, volti a fornire una base conoscitiva permanente all’ Italia (chiamata fin da giugno a  sviluppare questo tema in quanto Paese ospite del G7 2024), attraverso la costituzione di un gruppo di lavoro che ambisca a farsi portavoce della società civile. Punto di partenza di questa mobilitazione, un libro verde, di cui verrà illustrata la bozza riassumente lo stato dell’arte delle trattative, un abbozzo di proposta e un piano di lavoro per approfondire insieme gli svariati percorsi altamente specialistici che occorrerà percorrere per essere veramente i “Trendsetter of the Worldwide Debate”, come ambirebbero le Istituzioni europee.

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lettera dei vescovi: «Cara Europa, ritrova l’anima e la pace»


Matteo Maria Zuppi e Mariano Crociata mercoledì 8 maggio 2024

Ascolta

I presidenti Cei Zuppi e Comece Crociata si rivolgono al Continente in vista delle prossime elezioni: servono ideali comuni e valori coltivati. Diciamo no a divisioni e nazionalismi

Tra il 6 e il 9 giugno le elezioni per il Parlamento Europeo – ANSA

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Cara Unione Europea,

darti del tu è inusuale, ma ci viene naturale perché siamo cresciuti con te. Sei una, sei “l’Europa”, eppure abbracci ben 27 Paesi, con 450 milioni di abitanti, che hanno scelto liberamente di mettersi insieme per formare l’Unione che sei diventata. Che meraviglia! Invece di litigare o ignorarsi, conoscersi e andare d’accordo! Lo sappiamo: non sempre è facile, ma quanto è decisivo, invece di alzare barriere e difese, cancellarle e collaborare. Tu sei la nostra casa, prima casa comune. In questa impariamo a vivere da “Fratelli Tutti”, come ha scritto un tuo figlio i cui genitori andarono fino alla “fine del mondo” per cercare futuro.

Nel cuore un desiderio

Ti scriviamo perché abbiamo nel cuore un desiderio: che si rafforzi ciò che rappresenti e ciò che sei, che tutti impariamo a sentirti vicina, amica e non distante o sconosciuta. Ne hai bisogno perché spesso si parla male di te e tanti si scordano quante cose importanti fai! Durante il Covid lo abbiamo visto: solo insieme possiamo affrontare le pandemie. Purtroppo, lo capiamo solo quando siamo sopraffatti dalle necessità, per poi dimenticarlo facilmente! Così, quando pensiamo che possiamo farcela da soli finiamo tutti contro tutti.


Dagli inizi ad oggi
Non possiamo dimenticare come prima di te, per secoli, abbiamo combattuto guerre senza fine e milioni di persone sono state uccise. Tutti i sogni di pace si sono infranti sugli scogli di guerre, le ultime quelle mondiali, che hanno portato immense distruzioni e morte. Proprio dalla tragedia della Seconda guerra mondiale – che ha toccato il male assoluto con la Shoah e la minaccia alla sopravvivenza dell’umanità intera con la bomba atomica – è nato il germe della comunità di Paesi sovrani che oggi è l’Unione Europea. C’è stato chi ha creduto che le nazioni non fossero destinate a combattersi, che dopo tanto odio si potesse imparare a vivere assieme. Tra quelli che ti hanno pensata e voluta non possiamo dimenticare Robert Schuman, francese, Konrad Adenauer, tedesco, e Alcide De Gasperi, italiano: animati dalla fede cristiana, essi hanno sentito la chiamata a creare qualcosa che rendesse impossibile il ritorno della guerra sul suolo europeo. Hanno pensato con intelligenza, ambizione e coraggio. Non sono mancati momenti difficili, ma la forza che viene dall’unità ha mostrato il valore del cammino intrapreso e la possibilità di correggere, aggiustare, intendersi.
La Comunità Europea venne concepita nel 1951 attorno al carbone e all’acciaio, materie allora indispensabili per fare la guerra, per prevenire ogni velleità di farne uso ancora una volta l’uno contro l’altro. In realtà quei tre grandi uomini, e tanti altri con loro, hanno cercato di più, e cioè la riconciliazione tra i popoli e la cancellazione degli odi e delle vendette.
Trovare qualcosa su cui lavorare insieme, anche solo sul piano economico, come dimostrano i Trattati firmati a Roma nel 1957, è stato l’inizio di un cammino che ha visto poco alla volta nuovi popoli entrare nella Comunità e, dopo la caduta del muro di Berlino, nel 1989, il cambiamento del nome, nel 1992, in Unione Europea, e l’allargamento, nel 2004, ai Paesi dell’allora Patto di Varsavia, ben dieci in una volta. I problemi non sono mancati, ma quanto sono stati importanti la moneta unica e l’abbattimento delle barriere nazionali per la libera circolazione delle persone e delle merci! Ultimo, l’accordo sulla riforma con il Trattato di Lisbona, entrato in vigore nel 2009.

Il senso dello stare insieme
Cara Unione Europea, sei un organismo vivo, perciò forse viene il momento per nuove riforme istituzionali che ti rendano sempre più all’altezza delle sfide di oggi. Ma non puoi essere solo una burocrazia, pur necessaria per far funzionare organizzazioni così complesse come quella che sei diventata. Direttive e regolamenti da soli non fanno crescere la coesione. Serve un’anima! In questi anni abbiamo visto compiere passi avanti significativi, quando per esempio hai accompagnato alcuni Paesi a superare le crisi economiche, ma abbiamo anche dovuto registrare fasi di stallo e difficoltà. E queste crescono quando smarriamo il senso dello stare insieme, la visione del nostro futuro condiviso, o facciamo resistenza a capire che il destino è comune e che bisogna continuare a costruire un’Europa unita.

Il ritorno della guerra
Perciò, qualche volta ci chiediamo: Europa, dove sei? Che direzione vuoi prendere? Sono questi anche gli interrogativi del Papa: «Guardando con accorato affetto all’Europa, nello spirito di dialogo che la caratterizza, verrebbe da chiederle: verso dove navighi, se non offri percorsi di pace, vie creative per porre fine alla guerra in Ucraina e ai tanti conflitti che insanguinano il mondo? E ancora, allargando il campo: quale rotta segui, Occidente?» (Discorso, Lisbona, 2 agosto 2023).
In tutti questi anni siamo molto cambiati e facciamo fatica a capire e a tenere vivo lo spirito degli inizi. Dopo un così lungo periodo di pace abbiamo pensato che una guerra su territorio europeo sarebbe stata ormai impossibile. E invece gli ultimi due anni ci dicono che ciò che sembrava impensabile è tornato. Abbiamo bisogno di riprendere in mano il progetto dei padri fondatori e di costruire nuovi patti di pace se vogliamo che la guerra contro l’Ucraina finisca, e che finisca anche la guerra in corso in Medio Oriente, scoppiata a seguito dell’attacco terroristico del 7 ottobre scorso contro Israele, e con essa l’antisemitismo, mai sconfitto e ora riemergente. Lo dice così bene anche la nostra Costituzione italiana: è necessario combattere la guerra e ripudiarla per davvero!
Se non si ha cura della pace, rischia sempre di tornare la guerra. Lo diceva Robert Schuman nella sua Dichiarazione del 9 maggio 1950, che ha dato avvio al processo di integrazione europea: «L’Europa non è stata fatta: abbiamo avuto la guerra». Egli si riferiva al passato, ma le sue parole valgono anche oggi. L’unità va cercata come un compito sempre nuovo e urgente. Non dobbiamo aspettare l’esplosione di un altro conflitto per capirlo!

Il ruolo internazionale e la tentazione dei nazionalismi
Che ruolo giochi, Europa, nel mondo? Vogliamo che tu incida e porti la tua volontà di pace, gli strumenti della tua diplomazia, i tuoi valori. Risveglia la tua forza così da far sentire la tua voce, così da stabilire nuovi equilibri e relazioni internazionali. Le tue divisioni interne non ti permettono di assumere quel ruolo che dalla tua statura storica e culturale ci si aspetterebbe. Non vedi il rischio che le tue contrapposizioni intestine indeboliscano non solo il tuo peso internazionale ma anche la capacità di far fronte alle attese dei tuoi popoli?
Tanti pensano di potere usufruire dei benefici che tu hai indubbiamente portato, come se fossero scontati e niente possa comprometterli. La pandemia o le periodiche proteste, ultima quella degli agricoltori, ci procurano uno sgradevole risveglio. Capiamo che tanti vantaggi acquisiti potrebbero svanire. Il senso della necessità però non basta a spingere sempre e tutti a superare le divisioni. Alcuni vogliono far credere che isolandosi si starebbe meglio, quando invece qualunque dei tuoi Paesi, anche grande, si ridurrebbe fatalmente al proverbiale vaso di coccio tra vasi di ferro. Per stare insieme abbiamo bisogno di motivazioni condivise, di ideali comuni, di valori apprezzati e coltivati. Non bastano convenienze economiche, poiché alla lunga devono essere percepite le ragioni dello stare insieme, le uniche capaci di far superare tensioni e contrasti che proprio gli interessi economici portano con sé nel loro fisiologico confrontarsi.
Ha detto Papa Francesco: «In questo frangente storico l’Europa è fondamentale. Perché essa, grazie alla sua storia, rappresenta la memoria dell’umanità ed è perciò chiamata a interpretare il ruolo che le corrisponde: quello di unire i distanti, di accogliere al suo interno i popoli e di non lasciare nessuno per sempre nemico. È dunque essenziale ritrovare l’anima europea» (Discorso, Budapest, 28 aprile 2023).
Vorremmo che tutti sentissimo l’orgoglio di appartenerti, Europa. Oggi appare distante, a volte estraneo, tutto ciò che sta oltre i confini del proprio Paese. Eppure, le due appartenenze, quella nazionale e quella europea, si implicano a vicenda. La tua è stata fin dall’inizio l’Unione di Paesi liberi e sovrani che rinunciavano a parte della loro sovranità a favore di una, comune, più forte. Perciò non si tratta di sminuire l’identità e la libertà di alcuno, ma di conservare l’autonomia propria di ciascuno in un rapporto organico e leale con tutti gli altri.

Valori europei e fede cristiana

Le nostre idee e i nostri valori definiscono il tuo volto, cara Europa. Anche in questo la fede cristiana ha svolto un ruolo importante, tanto più che dal suo sentire è uscito il progetto e il disegno originario della tua Unione. Come cristiani continuiamo a sentirne viva responsabilità; e del resto troviamo in te tanta attenzione alla dignità della persona, che il Vangelo di Cristo ha seminato nei cuori e nella tua cultura. Soffriamo non poco, perciò, nel vedere che hai paura della vita, non la sai difendere e accogliere dal suo inizio alla sua fine, e non sempre incoraggi la crescita demografica.
«Penso – dice il Papa – a un’Europa che non sia ostaggio delle parti, diventando preda di populismi autoreferenziali, ma che nemmeno si trasformi in una realtà fluida, se non gassosa, in una sorta di sovranazionalismo astratto, dimentico della vita dei popoli. […] Che bello invece costruire un’Europa centrata sulla persona e sui popoli, dove vi siano politiche effettive per la natalità e la famiglia […], dove nazioni diverse siano una famiglia in cui si custodiscono la crescita e la singolarità di ciascuno» (Discorso, Budapest, 28 aprile 2023).

Il tema dei migranti e le sue implicazioni

Cara Europa, tu non puoi guardare solo al tuo interno. Non si può vivere solo per stare bene, ma stare bene per aiutare il mondo, combattere l’ingiustizia, lottare contro le povertà. Ormai da decenni sei il punto di arrivo, il sogno di tante persone migranti che da diversi continenti cercano entro i tuoi confini una vita migliore. Tanti vogliono raggiungerti perché sono alla ricerca disperata di un futuro. E molti, con il loro lavoro, non ti aiutano forse già a prepararne uno migliore? Non si tratta di accogliere tutti, ma che nessuno perda la vita nei “viaggi della speranza” e tanti possano trovare ospitalità. Chi accoglie, genera vita! L’Italia è spesso lasciata sola, come se fosse un problema solo suo o di alcuni, ma non per questo deve chiudersi. Prima o poi impareremo che le responsabilità, comprese quelle verso i migranti, vanno condivise, per affrontare e risolvere problemi che in realtà sono di tutti.
Tu rappresenti un punto di riferimento per i Paesi mediterranei e africani, un bacino immenso di popoli e di risorse nella prospettiva di un partenariato tra uguali. Compito essenziale perché in realtà un soggetto sovranazionale come l’Unione non può sussistere al di fuori di una reciprocità di relazioni internazionali che ne dicano il riconoscimento e il compito storico, e che promuovano il comune progresso sociale ed economico nel segno dell’amicizia e della fraternità.

Compiti e sfide
Cara Europa, è tempo di un nuovo grande rilancio del tuo cammino di Unione verso una integrazione sempre più piena, che guardi a un fisco europeo che sia il più possibile equo; a una politica estera autorevole; a una difesa comune che ti permetta di esercitare la tua responsabilità internazionale; a un processo di allargamento ai Paesi che ancora non ne fanno parte, garanzia di una forza sempre più proporzionata all’unità che raccogli ed esprimi. Le esigenze di innovazione economica e tecnica (pensiamo all’Intelligenza Artificiale), di sicurezza, di cura dell’ambiente e di custodia della “casa comune”, di salvaguardia del welfare e dei diritti individuali e sociali, sono alcune delle sfide che solo insieme potremo affrontare e superare. Non mancano purtroppo i pericoli, come quelli che vengono dalla disinformazione, che minaccia l’ordinato svolgimento della vita democratica e la stessa possibilità di una memoria e di una storia non falsate.
Insieme alle riforme istituzionali democraticamente adottate, c’è bisogno di far crescere un sentire comune, un apprezzamento condiviso dei valori che stanno alla base della nostra convivenza nell’Unione Europea. Ci vuole un nuovo senso della cittadinanza, un senso civico di respiro europeo, la coscienza dei popoli del continente di essere un unico grande popolo. Ne siamo convinti: è innanzitutto questo senso di comunità di cittadini e di popoli che ci chiedi di fare nostro, cara Europa.

Le prossime elezioni
Le prossime elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo e la nomina della Commissione Europea sono l’occasione propizia e irripetibile, da cogliere senza esitazione. Purtroppo, a farsi valere spesso sono le paure e il senso di insicurezza di fronte alle difficoltà. Anche questo andrebbe raccolto e ascoltato per mostrare come proprio tu sia lo strumento e il luogo per affrontare e vincere paure e minacce.
Facciamo appello, perciò, a tutti, candidati e cittadini, a cominciare dai sedicenni che per la prima volta in alcuni Paesi andranno a votare, perché sentano quanto sia importante compiere questo gesto civico di partecipazione alla vita e alla crescita dell’Unione. Non andare a votare non equivale a restare neutrali, ma assumersi una precisa responsabilità, quella di dare ad altri il potere di agire senza, se non addirittura contro, la nostra libertà. L’assenteismo ha l’effetto di accrescere la sfiducia, la diffidenza degli uni nei confronti degli altri, la perdita della possibilità di dare il proprio contributo alla vita sociale, e quindi la rinuncia ad avere capacità e titolo per rendere migliore lo stare insieme nell’Unione Europea.
L’augurio che ti facciamo, cara Unione Europea, è che questa tornata elettorale diventi davvero un’occasione di rilancio, un risveglio di entusiasmo per un cammino comune che contiene già, in sé e nella visione che proietta, un senso vivo di speranza e di impegno motivato e convinto da parte dei tuoi cittadini.

Un nuovo umanesimo europeo
Sogniamo perciò ancora con Papa Francesco: «Con la mente e con il cuore, con speranza e senza vane nostalgie, come un figlio che ritrova nella madre Europa le sue radici di vita e di fede, sogno un nuovo umanesimo europeo, “un costante cammino di umanizzazione”, cui servono “memoria, coraggio, sana e umana utopia”» (Discorso, Vaticano, 6 maggio 2016).


Matteo Maria Zuppi, cardinale, presidente della Conferenza episcopale italiana
Mariano Crociata, arcivescovo, presidente della Comece

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Verso le elezioni. La lettera dei vescovi: «Cara Europa, ritrova l’anima e la pace»


Matteo Maria Zuppi e Mariano Crociata mercoledì 8 maggio 2024

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I presidenti Cei Zuppi e Comece Crociata si rivolgono al Continente in vista delle prossime elezioni: servono ideali comuni e valori coltivati. Diciamo no a divisioni e nazionalismi

Tra il 6 e il 9 giugno le elezioni per il Parlamento Europeo – ANSA

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Cara Unione Europea,

darti del tu è inusuale, ma ci viene naturale perché siamo cresciuti con te. Sei una, sei “l’Europa”, eppure abbracci ben 27 Paesi, con 450 milioni di abitanti, che hanno scelto liberamente di mettersi insieme per formare l’Unione che sei diventata. Che meraviglia! Invece di litigare o ignorarsi, conoscersi e andare d’accordo! Lo sappiamo: non sempre è facile, ma quanto è decisivo, invece di alzare barriere e difese, cancellarle e collaborare. Tu sei la nostra casa, prima casa comune. In questa impariamo a vivere da “Fratelli Tutti”, come ha scritto un tuo figlio i cui genitori andarono fino alla “fine del mondo” per cercare futuro.

Nel cuore un desiderio

Ti scriviamo perché abbiamo nel cuore un desiderio: che si rafforzi ciò che rappresenti e ciò che sei, che tutti impariamo a sentirti vicina, amica e non distante o sconosciuta. Ne hai bisogno perché spesso si parla male di te e tanti si scordano quante cose importanti fai! Durante il Covid lo abbiamo visto: solo insieme possiamo affrontare le pandemie. Purtroppo, lo capiamo solo quando siamo sopraffatti dalle necessità, per poi dimenticarlo facilmente! Così, quando pensiamo che possiamo farcela da soli finiamo tutti contro tutti.


Dagli inizi ad oggi
Non possiamo dimenticare come prima di te, per secoli, abbiamo combattuto guerre senza fine e milioni di persone sono state uccise. Tutti i sogni di pace si sono infranti sugli scogli di guerre, le ultime quelle mondiali, che hanno portato immense distruzioni e morte. Proprio dalla tragedia della Seconda guerra mondiale – che ha toccato il male assoluto con la Shoah e la minaccia alla sopravvivenza dell’umanità intera con la bomba atomica – è nato il germe della comunità di Paesi sovrani che oggi è l’Unione Europea. C’è stato chi ha creduto che le nazioni non fossero destinate a combattersi, che dopo tanto odio si potesse imparare a vivere assieme. Tra quelli che ti hanno pensata e voluta non possiamo dimenticare Robert Schuman, francese, Konrad Adenauer, tedesco, e Alcide De Gasperi, italiano: animati dalla fede cristiana, essi hanno sentito la chiamata a creare qualcosa che rendesse impossibile il ritorno della guerra sul suolo europeo. Hanno pensato con intelligenza, ambizione e coraggio. Non sono mancati momenti difficili, ma la forza che viene dall’unità ha mostrato il valore del cammino intrapreso e la possibilità di correggere, aggiustare, intendersi.
La Comunità Europea venne concepita nel 1951 attorno al carbone e all’acciaio, materie allora indispensabili per fare la guerra, per prevenire ogni velleità di farne uso ancora una volta l’uno contro l’altro. In realtà quei tre grandi uomini, e tanti altri con loro, hanno cercato di più, e cioè la riconciliazione tra i popoli e la cancellazione degli odi e delle vendette.
Trovare qualcosa su cui lavorare insieme, anche solo sul piano economico, come dimostrano i Trattati firmati a Roma nel 1957, è stato l’inizio di un cammino che ha visto poco alla volta nuovi popoli entrare nella Comunità e, dopo la caduta del muro di Berlino, nel 1989, il cambiamento del nome, nel 1992, in Unione Europea, e l’allargamento, nel 2004, ai Paesi dell’allora Patto di Varsavia, ben dieci in una volta. I problemi non sono mancati, ma quanto sono stati importanti la moneta unica e l’abbattimento delle barriere nazionali per la libera circolazione delle persone e delle merci! Ultimo, l’accordo sulla riforma con il Trattato di Lisbona, entrato in vigore nel 2009.

Il senso dello stare insieme
Cara Unione Europea, sei un organismo vivo, perciò forse viene il momento per nuove riforme istituzionali che ti rendano sempre più all’altezza delle sfide di oggi. Ma non puoi essere solo una burocrazia, pur necessaria per far funzionare organizzazioni così complesse come quella che sei diventata. Direttive e regolamenti da soli non fanno crescere la coesione. Serve un’anima! In questi anni abbiamo visto compiere passi avanti significativi, quando per esempio hai accompagnato alcuni Paesi a superare le crisi economiche, ma abbiamo anche dovuto registrare fasi di stallo e difficoltà. E queste crescono quando smarriamo il senso dello stare insieme, la visione del nostro futuro condiviso, o facciamo resistenza a capire che il destino è comune e che bisogna continuare a costruire un’Europa unita.

Il ritorno della guerra
Perciò, qualche volta ci chiediamo: Europa, dove sei? Che direzione vuoi prendere? Sono questi anche gli interrogativi del Papa: «Guardando con accorato affetto all’Europa, nello spirito di dialogo che la caratterizza, verrebbe da chiederle: verso dove navighi, se non offri percorsi di pace, vie creative per porre fine alla guerra in Ucraina e ai tanti conflitti che insanguinano il mondo? E ancora, allargando il campo: quale rotta segui, Occidente?» (Discorso, Lisbona, 2 agosto 2023).
In tutti questi anni siamo molto cambiati e facciamo fatica a capire e a tenere vivo lo spirito degli inizi. Dopo un così lungo periodo di pace abbiamo pensato che una guerra su territorio europeo sarebbe stata ormai impossibile. E invece gli ultimi due anni ci dicono che ciò che sembrava impensabile è tornato. Abbiamo bisogno di riprendere in mano il progetto dei padri fondatori e di costruire nuovi patti di pace se vogliamo che la guerra contro l’Ucraina finisca, e che finisca anche la guerra in corso in Medio Oriente, scoppiata a seguito dell’attacco terroristico del 7 ottobre scorso contro Israele, e con essa l’antisemitismo, mai sconfitto e ora riemergente. Lo dice così bene anche la nostra Costituzione italiana: è necessario combattere la guerra e ripudiarla per davvero!
Se non si ha cura della pace, rischia sempre di tornare la guerra. Lo diceva Robert Schuman nella sua Dichiarazione del 9 maggio 1950, che ha dato avvio al processo di integrazione europea: «L’Europa non è stata fatta: abbiamo avuto la guerra». Egli si riferiva al passato, ma le sue parole valgono anche oggi. L’unità va cercata come un compito sempre nuovo e urgente. Non dobbiamo aspettare l’esplosione di un altro conflitto per capirlo!

Il ruolo internazionale e la tentazione dei nazionalismi
Che ruolo giochi, Europa, nel mondo? Vogliamo che tu incida e porti la tua volontà di pace, gli strumenti della tua diplomazia, i tuoi valori. Risveglia la tua forza così da far sentire la tua voce, così da stabilire nuovi equilibri e relazioni internazionali. Le tue divisioni interne non ti permettono di assumere quel ruolo che dalla tua statura storica e culturale ci si aspetterebbe. Non vedi il rischio che le tue contrapposizioni intestine indeboliscano non solo il tuo peso internazionale ma anche la capacità di far fronte alle attese dei tuoi popoli?
Tanti pensano di potere usufruire dei benefici che tu hai indubbiamente portato, come se fossero scontati e niente possa comprometterli. La pandemia o le periodiche proteste, ultima quella degli agricoltori, ci procurano uno sgradevole risveglio. Capiamo che tanti vantaggi acquisiti potrebbero svanire. Il senso della necessità però non basta a spingere sempre e tutti a superare le divisioni. Alcuni vogliono far credere che isolandosi si starebbe meglio, quando invece qualunque dei tuoi Paesi, anche grande, si ridurrebbe fatalmente al proverbiale vaso di coccio tra vasi di ferro. Per stare insieme abbiamo bisogno di motivazioni condivise, di ideali comuni, di valori apprezzati e coltivati. Non bastano convenienze economiche, poiché alla lunga devono essere percepite le ragioni dello stare insieme, le uniche capaci di far superare tensioni e contrasti che proprio gli interessi economici portano con sé nel loro fisiologico confrontarsi.
Ha detto Papa Francesco: «In questo frangente storico l’Europa è fondamentale. Perché essa, grazie alla sua storia, rappresenta la memoria dell’umanità ed è perciò chiamata a interpretare il ruolo che le corrisponde: quello di unire i distanti, di accogliere al suo interno i popoli e di non lasciare nessuno per sempre nemico. È dunque essenziale ritrovare l’anima europea» (Discorso, Budapest, 28 aprile 2023).
Vorremmo che tutti sentissimo l’orgoglio di appartenerti, Europa. Oggi appare distante, a volte estraneo, tutto ciò che sta oltre i confini del proprio Paese. Eppure, le due appartenenze, quella nazionale e quella europea, si implicano a vicenda. La tua è stata fin dall’inizio l’Unione di Paesi liberi e sovrani che rinunciavano a parte della loro sovranità a favore di una, comune, più forte. Perciò non si tratta di sminuire l’identità e la libertà di alcuno, ma di conservare l’autonomia propria di ciascuno in un rapporto organico e leale con tutti gli altri.

Valori europei e fede cristiana

Le nostre idee e i nostri valori definiscono il tuo volto, cara Europa. Anche in questo la fede cristiana ha svolto un ruolo importante, tanto più che dal suo sentire è uscito il progetto e il disegno originario della tua Unione. Come cristiani continuiamo a sentirne viva responsabilità; e del resto troviamo in te tanta attenzione alla dignità della persona, che il Vangelo di Cristo ha seminato nei cuori e nella tua cultura. Soffriamo non poco, perciò, nel vedere che hai paura della vita, non la sai difendere e accogliere dal suo inizio alla sua fine, e non sempre incoraggi la crescita demografica.
«Penso – dice il Papa – a un’Europa che non sia ostaggio delle parti, diventando preda di populismi autoreferenziali, ma che nemmeno si trasformi in una realtà fluida, se non gassosa, in una sorta di sovranazionalismo astratto, dimentico della vita dei popoli. […] Che bello invece costruire un’Europa centrata sulla persona e sui popoli, dove vi siano politiche effettive per la natalità e la famiglia […], dove nazioni diverse siano una famiglia in cui si custodiscono la crescita e la singolarità di ciascuno» (Discorso, Budapest, 28 aprile 2023).

Il tema dei migranti e le sue implicazioni

Cara Europa, tu non puoi guardare solo al tuo interno. Non si può vivere solo per stare bene, ma stare bene per aiutare il mondo, combattere l’ingiustizia, lottare contro le povertà. Ormai da decenni sei il punto di arrivo, il sogno di tante persone migranti che da diversi continenti cercano entro i tuoi confini una vita migliore. Tanti vogliono raggiungerti perché sono alla ricerca disperata di un futuro. E molti, con il loro lavoro, non ti aiutano forse già a prepararne uno migliore? Non si tratta di accogliere tutti, ma che nessuno perda la vita nei “viaggi della speranza” e tanti possano trovare ospitalità. Chi accoglie, genera vita! L’Italia è spesso lasciata sola, come se fosse un problema solo suo o di alcuni, ma non per questo deve chiudersi. Prima o poi impareremo che le responsabilità, comprese quelle verso i migranti, vanno condivise, per affrontare e risolvere problemi che in realtà sono di tutti.
Tu rappresenti un punto di riferimento per i Paesi mediterranei e africani, un bacino immenso di popoli e di risorse nella prospettiva di un partenariato tra uguali. Compito essenziale perché in realtà un soggetto sovranazionale come l’Unione non può sussistere al di fuori di una reciprocità di relazioni internazionali che ne dicano il riconoscimento e il compito storico, e che promuovano il comune progresso sociale ed economico nel segno dell’amicizia e della fraternità.

Compiti e sfide
Cara Europa, è tempo di un nuovo grande rilancio del tuo cammino di Unione verso una integrazione sempre più piena, che guardi a un fisco europeo che sia il più possibile equo; a una politica estera autorevole; a una difesa comune che ti permetta di esercitare la tua responsabilità internazionale; a un processo di allargamento ai Paesi che ancora non ne fanno parte, garanzia di una forza sempre più proporzionata all’unità che raccogli ed esprimi. Le esigenze di innovazione economica e tecnica (pensiamo all’Intelligenza Artificiale), di sicurezza, di cura dell’ambiente e di custodia della “casa comune”, di salvaguardia del welfare e dei diritti individuali e sociali, sono alcune delle sfide che solo insieme potremo affrontare e superare. Non mancano purtroppo i pericoli, come quelli che vengono dalla disinformazione, che minaccia l’ordinato svolgimento della vita democratica e la stessa possibilità di una memoria e di una storia non falsate.
Insieme alle riforme istituzionali democraticamente adottate, c’è bisogno di far crescere un sentire comune, un apprezzamento condiviso dei valori che stanno alla base della nostra convivenza nell’Unione Europea. Ci vuole un nuovo senso della cittadinanza, un senso civico di respiro europeo, la coscienza dei popoli del continente di essere un unico grande popolo. Ne siamo convinti: è innanzitutto questo senso di comunità di cittadini e di popoli che ci chiedi di fare nostro, cara Europa.

Le prossime elezioni
Le prossime elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo e la nomina della Commissione Europea sono l’occasione propizia e irripetibile, da cogliere senza esitazione. Purtroppo, a farsi valere spesso sono le paure e il senso di insicurezza di fronte alle difficoltà. Anche questo andrebbe raccolto e ascoltato per mostrare come proprio tu sia lo strumento e il luogo per affrontare e vincere paure e minacce.
Facciamo appello, perciò, a tutti, candidati e cittadini, a cominciare dai sedicenni che per la prima volta in alcuni Paesi andranno a votare, perché sentano quanto sia importante compiere questo gesto civico di partecipazione alla vita e alla crescita dell’Unione. Non andare a votare non equivale a restare neutrali, ma assumersi una precisa responsabilità, quella di dare ad altri il potere di agire senza, se non addirittura contro, la nostra libertà. L’assenteismo ha l’effetto di accrescere la sfiducia, la diffidenza degli uni nei confronti degli altri, la perdita della possibilità di dare il proprio contributo alla vita sociale, e quindi la rinuncia ad avere capacità e titolo per rendere migliore lo stare insieme nell’Unione Europea.
L’augurio che ti facciamo, cara Unione Europea, è che questa tornata elettorale diventi davvero un’occasione di rilancio, un risveglio di entusiasmo per un cammino comune che contiene già, in sé e nella visione che proietta, un senso vivo di speranza e di impegno motivato e convinto da parte dei tuoi cittadini.

Un nuovo umanesimo europeo
Sogniamo perciò ancora con Papa Francesco: «Con la mente e con il cuore, con speranza e senza vane nostalgie, come un figlio che ritrova nella madre Europa le sue radici di vita e di fede, sogno un nuovo umanesimo europeo, “un costante cammino di umanizzazione”, cui servono “memoria, coraggio, sana e umana utopia”» (Discorso, Vaticano, 6 maggio 2016).


Matteo Maria Zuppi, cardinale, presidente della Conferenza episcopale italiana
Mariano Crociata, arcivescovo, presidente della Comece

E’ PASQUA: VOGLIAMO VERAMENTE FARE QUALCOSA PER

FERMARE LA GUERRA?

Osservazioni a margine della  Piattaforma sul Futuro dell’ Europa

Ho partecipato con interesse (in modo virtuale) alla riunione della Piattaforma sul Futuro dell’ Europa che si è tenuta Venerdì  30 marzo presso la sede della CGIL di Roma.

Ho constatato con soddisfazione che, nonostante il caos che regna nelle Istituzioni e, in generale, nel “mainstream”, i Federalisti continuano a seguire con estrema attenzione e con occhio critico e sistematico l’evolversi dell’ integrazione europea, sì che il Movimento Europeo resta uno dei pochi forum in cui il futuro dell’ Europa possa ancora essere discusso. Anzi, non c’è più, neanche qui, quell’ “endorsement” acritico delle posizioni delle Autorità che inficiava tradizionalmente la pretesa di costituire un’ alternativa all’ Europa funzionalistica che si è affermata nel tempo. Al contrario, si osa oramai criticare apertamente l’inconcludenza e l’incoerenza dei vertici europei e nazionali e la vuotezza dei programmi dei partiti.

In particolare, il documento presentato alla riunione dal Movimento sulla difesa europea mette giustamente in evidenza, in polemica con il “mainstream”, che i rapporti fra UE e la Russia “si sono progressivamente interrotti  per la conflittuale volontà degli Stati Uniti  di George Bush, ma anche di Barack Obama di consolidare il vantaggio strategicoi dell’ egemonia americana , ottenuto con la fine della Guerra Fredda  e la decisione di Vladimir Putin, dopo la momentanea presidenza di Dmitri Medvedev, di riprendere il mano il controllo della Russia come attore internazionale e non più regionale”, anche se noi vedremmo qui anche e soprattutto la ovvia delusione della Russia per non essere stata ammessa a fare parte sostanziale e paritetica dell’ Europa (la “Casa Comune Europea”), come si era sperato ai tempi della Conferenza di Praga con Gorbachev e Mitterrand.

Inoltre, il Libro Verde predisposto dal Movimento e presentato alla riunione ribadisce  a più riprese l’urgenza della ricerca di un’Identità Europea attraverso “cultural and educational policies”. Che, precisiamo noi, dovrebbero essere concepite in un senso molto diverso dagli attuali, timidi e ideologici, tentativi, per orientarsi verso lo studio obiettivo e approfondito della linguistica, della filosofia e della storia europee e mondiali, partendo dalla filologia generale e comparata, dall’ uso dell’ Intelligenza Artificiale, dalle lingue classiche europee e orientali, dalla filosofia e dalle religioni comparate, dalla preistoria europea, dalla lettura degli autori classici, dal dibattito senza censure, dai progetti europei dalle Crociate agl’Illuministi ,agli Anni ’20, ’30 e ’40 del Novecento, dalla psicoanalisi, dall’epistemologia e dalla storia delle tecnologie (cfr. il nostro “10.000 anni di identità europea”, Alpina, Torino, 2006).

Da questo studio dovrebbero nascere gli stimoli per una profonda autocritica della “vulgata” sulla storia europea, riconoscendo che il mito del continuo miglioramento dell’Umanità della filosofia ottocentesca è stato smentito dall’ esperienza esistenziale della nostra generazione, la quale, nella “Società delle aspettative decrescenti”,  non può che assentire sul  carattere tragico e imperfetto della realtà espresso in modo costante nei secoli dalla nostra cultura: la tragedia greca, il Neoplatonismo, Tertulliano, Dante, Rousseau, De Maistre, Leopardi, Kierkegaaard, la psicoanalisi, lo spiritualismo, la Dialettica dell’ Illuminismo…

In particolare, il movimento verso l’integrazione dell’ Europa non è, oggi, sospinto dal generale moto del progresso, bensì dall’ urgenza di coalizzare le forze contro il progetto postumanistico, anche quelle fuori dell’ Occidente. In questo senso, il progetto originario di “Casa Comune Europea”  di Gorbaciov, e Giovanni Paolo II  e Mitterrand è ancora totalmente recuperabile.

Infatti, come credevano Leibniz, De Maistre, Dostojevskij e Blok, non vi è nessuna incompatibilità di fondo fra Europa e Eurasia, che hanno attraversato, seppure con traiettorie diverse, la stessa “Età Critica” (Saint -imon), e ora si trovano nella stessa situazione drammatica descritta da Soloviov nella “Leggenda dell’ Anticristo”.

Anche la presunta inconciliabilità fra vari i popoli dell’ Intermarium (l’antica Rzeczpospolita polacco-lituana) e quelli di “tutte le Russie”, di cui parlano le retoriche nazionalistiche baltiche, polacche e ucraine, è smentita dalla loro culturale: Pushkin e Mickiewicz, Gogol e Tolstoj, De Maistre e Ivanov…Basti pensare a tutta la filmografia di Sokurov.

Negli Anni ’80 si darebbe dovuti partire dunque da un movimento culturale paneuropeo centripeto, quale espresso per esempio da Tarkowski, Kieslowski, Kusturica e Zviagintsev, dall’incontro fra i giovani di tutti i Paesi, dallo smussare gli angoli ideologici e giuridici delle società orientale e occidentale, dalla creazione di un’economia integrata (i “campioni paneuropei”!) e da un sistema paneuropeo di sicurezza, per arrivare alla Confederazione Europea, fra l’ Unione Europea e l’Unione Eurasiatica.

Cose tutte che vanno fatte adesso o mai più. Invece, le lamentazioni e gli auspici fatti un po’ da tutti, dal Vaticano al Presidente turco, dai politici italiani  ai giornalisti, sembrano solo un artificio retorico per non fare nulla. Meglio certo di coloro che sobillano l’inasprimento della situazione, che basta un nonnulla per poter degenerare. Basti pensare all’ incrocio sui cieli del Baltico fra i caccia italiani e quelli russi.

1.L’eterogenesi dei fini

Che la visione tragica della storia sia più realistica di quella progressiva, è dimostrato proprio dal fatto che l’Europa che abbiamo di fronte è l’esatto contrario di quella a cui aspiravano le minoranze europeiste dell’immediato dopoguerra, e anche gli uomini del dissenso dell’ Europa Centale e Orientale (pensiamo a Lev Gumilev, figlio di Anna Achmatova, al Cardinale Mindszénthy, a Nàgy e Màleter, a Sol’zhenitsin, a Rudolph Bahro). Come scriveva alcuni anni fa il compianto Giulietto Chiesa,”L’Unione Europea costituisce l’esempio più evidente dell’“Eterogenesi dei Fini”.

In sostanza, non si sarebbe mai dovuto parlare di “Fine della Storia”, se non come di un pericolo da scongiurare. Infatti, la Fine della Storia tanto agognata dalla “vulgata” occidentale è proprio quello che ci attendiamo adesso da un momento all’ altro, cioè l’ Apocalisse.

Nel Manifesto di Ventotene, si parlava di “Pace”, e invece abbiamo avuto la guerra civile greca,  i terrorismi alto-atesino, irlandese, basco, corso, brigatista e islamico, le interminabili (e non terminate)guerre di Corea, Cipro, Palestina, del Golfo, dell’ Afganistan, Siria, Libia, Yemen, ex Jugoslavia, ex URSS, nonché continue invasioni, prima dell’ URSS, poi delle sue ex-Repubbliche (non solo la Russia), nelle Repubbliche Autonome, e oggi leaders come Macron e Tusk parlano apertamente di guerra con la Russia, mentre Putin promette di attaccare gli F-16 della NATO non appena essi decollino per andare in Ucraina.Proprio ieri, aerei italiani hanno intercettato sul Mar Baltico i caccia russi.

I Padri Fondatori avevano descritto l’Europa Unita come la roccaforte della libertà, mentre invece abbiamo avuto le Gladio rosse e nere, i “cadaveri eccellenti”, i reati di opinione, le censure a Horkheimer e Adorno, Pasternak, Dziuba e  Dugin, il Politicamente Corretto, la “Cancel Culture”, la cultura “woke”, Echelon, Prism, i casi Assange, Snowden e Schrems, e ora la censura delle pretese “Fake News”.

Coudenhove-Kalergi e Simone Veil avevano propugnato un’Europa garante della cultura occidentale, e la Dichiarazione di Copenhagen (1973) aveva ufficializzato l’idea di un’ Identità Europea, e invece ci troviamo sommersi da un post-umanesimo omologatore, dalla diseducazione nelle scuole e sui media, dalle cangianti mode pseudo-culturali (“mid-brow” e “low-brow”) che arrivano dall’ America.

L’Europa aveva sostenuto fin dall’ inizio il principio di non-discriminazione, in particolare, fra le popolazioni maggioritarie e minoritarie di ciascuno Stato (una distinzione ripresa dall’Austromarxismo e dalla teoria sovietica delle nazionalità), ribadito dalla Carta di Maribor delle Minoranze, ed attuato in  Finlandia, Italia, Spagna, Belgio, Regno Unito.Invece, le minoranze presenti un po’ dovunque (Paesi Baltici, Ucraina, Georgia, Azerbaidzhan, Moldova,Francia, Germania, Inghilterra), ma anche in Spagna, in Croazia e nel Kossovo,  non godono di tale trattamento, poiché dopo 25 anni i Serbi della Krajna non sono ancora potuti tornare alle loro case, il Governo catalano è stato semplicemente imprigionato e  le minoranze russofone nell’ Unione Europea vengono trattate come apolidi (“nepilsonis”),mentre il Russo, pure essendo la lingua di una decina di milioni di abitanti dell’ Unione, di cui più di 6 milioni risultano come “migranti”, a cui si aggiungono i Russofoni naturalizzati e gli “apolidi” (più degli abitanti della maggioranza -16- degli Stati Membri), non è una  lingua ufficiale della stessa. Non parliamo infine della situazione anomala dell’ Ucraina, Paese inequivocabilmente plurilingue, più dello stesso Belgio e della Spagna.

Giscard d’Estaing  aveva parlato di un’ “Europe-Puissance”, che avrebbe potuto essere alla pari con l’America e la Russia, e, invece, ci vediamo impoveriti ed esclusi dalle trattative sul futuro del mondo.

Galimberti, Spinelli, Delors e Albert descrivevano un’ Europa  “terza via” (il “Modello Renano”), fondata sulla partecipazione a tutti i livelli, sul controllo sociale delle industrie strategiche e sui Campioni Europei, e invece abbiamo una società turbo-capitalistica dove cinque o sei guru dell’ informatica controllano la cultura, l’economia e la politica mondiali, con il plauso e l’attiva cooperazione dei vertici europei.

Infine, il discorso politico odierno ha semplicemente cancellato la memoria delle politiche avviate da decenni dalle Comunità Europee, come gli accordi di Yaoundé, Lomé e Cotonou (cfr. Riccardo Lala, Les procédures de a coopération financière et technique dans le cadre de la II Convention de Lomé, Giappichelli, 1991), che avevano attuato quanto oggi si propaganda come se fosse una politica nuova (per esempio, il “Piano Mattei”): la cooperazione europea con l’ Africa, ivi compreso il diritto di migrazione dagli Stati aderenti.

Anche i partiti europei fanno esattamente il contrario di ciò che sarebbe legittimo aspettarsi da loro. Il “centro” e la “sinistra” hanno gestito l’economia in modo tale da rovinare le nostre imprese e i nostri lavoratori, con le conseguenze che oggi vediamo. La Olivetti Informatica è stata “estirpata” come voleva Visentini; Mattei è stato ucciso; il Concorde è stato chiuso; l’EADS (European Aerospace and Defence), si è ridotta alla sola  Airbus; la FIAT non esiste più, anche grazie alle oscure vicende di cui si sta occupando la mogistratura; la Stellantis sta licenziando  i suoi ingegneri; la Renault  ha venduto per 1 rublo la fabbrica di Togliattigrad; i prestigiosi marchi tedeschi, senza l’interscambio con la Cina, non riescono a sopravvivere.

A loro volta, i “Patrioti” corrono a Washington e a Ramstein per prendere ordini sui tributi da versare alla NATO sotto forma di denaro, di armi o addirittura di soldati.

2.Le radici della guerra

Finalmente, nel dibattito pubblico, tanto in Europa che in America, comincia a farsi strada la consapevolezza che nessuno ha finora neppure progettato una via di uscita dalla guerra. Obiettiamo che Diàlexis aveva già proposto fin dal 2014 una via di uscita, attraverso il  rilancio della Confederazione Europea di Mitterrand e Gorbaciov, per “evitare un’ inutile strage (”No a un’ Inutile Strage”, prima edizione 2014)

Ora, se il Movimento Europeo ha il merito di avere ricostruito in modo obiettivo le premesse immediate della guerra, per arrivare a una soluzione si dovrebbe andare oltre, e analizzare con cura le motivazioni, ufficiali e ufficiose, della guerra, innanzitutto quelle  fornite dalla Russia stessa, attraverso il suo comportamento  fattuale, poi attraverso documenti ufficiali.

Dal momento della dissoluzione dell’ URSS, la Russia non aveva  cessato di sostenere le minoranze russe, russofone e/o russofile. Non avrebbe potuto fare altrimenti, perché lo  fanno tutti gli Stati del mondo, dalla Francia alla Cina, dall’Ungheria all’ Albania, dalla Romania a Israele. In più, il principale dissidente sovietico, lo scrittore Sol’zhenitsin, aveva scritto, subito prima del crollo dell’ Unione Sovietica, un fondamentale libello, “Kak nam obostruit’ Rossiju?”(“Come ristrutturare la nostra Russia”), che ha costituito la base su cui si sono costruiti gli Accordi di Bieloviezha, e, quindi, l’Unione di Stati Indipendenti (SNG), una confederazione sul modello dell’ Unione Europea attuale, che avrebbe dovuto sostituire l’Unione Sovietica, ma comprendendo solo gli Slavi dell’ Est e le Repubbliche eventualmente interessate.

Il referendum con cui si dice che le Repubbliche rifiutarono l’unione con la Russia parlava proprio di trasformazione dell’ URSS nell’ SNG, non di separazione, e vinsero i “Sì”. Il “progetto di ricostituire l’URSS” è in realtà solo il tentativo di trasformare l’SNG nell’ Unione Eurasiatica, con un passaggio simile a quello che  i federalisti perseguono con la sperata trasformazione dell’ Unione Europea “funzionalista” in una Federazione Europea “politica”.

La guerra civile in Ucraina era cominciata nel 2014 con la cacciata manu militari del presidente ucraino Janukovich, e con l’assemblea a Kharkiv degli amministratori locali dell’Ucraina Orientale, in cui si era deciso che i comuni russofoni avrebbero arruolato milizie di autodifesa. Di lì partirono le occupazioni armate delle sedi delle amministrazioni locali, e l’attacco alle città russofone da parte dei battaglioni nazionalisti.

La dichiarazione congiunta con la Cina pubblicata prima dell’ invasione dell’ Ucraina da parte dell’ Armata Russa non parlava di rivendicazioni territoriali verso l’Ucraina, così come non ne parlavano le due bozze di trattato  indirizzate dalla Russia alla NATO e all’ UE. La prima parlava di un Nuovo Ordine Mondiale multipolare; la seconda, dell’ arretramento ad Occidente di tutte le forze americane. Nonostante tanto parlare da tutte le parti, è logico pensare che gli obiettivi della guerra in corso siano rimasti quelli, ed a quelli bisogna rispondere. Essi non riguardano se non marginalmente l’Ucraina, che, in un Nuovo Ordine Mondiale, potrebbe vivere benissimo senza scissioni od occupazioni straniere.

3.Un possibile percorso negoziale verso la Confederazione Europea.

Se si vuole trattare, bisogna che si muovano gli Stati Uniti e probabilmente anche la Cina, che sono i reali interlocutori di questa guerra, coinvolgendo ovviamente Russia e Ucraina, ma anche l’Europa, l’India e l’Islam. Si noti che USA e Cina hanno già iniziato trattative sul problema che per loro è più scottante: l’Intelligenza Artificiale.

In ogni caso, non si può fare finta che il problema posto in quei documenti non esista: l’”Occidente” (che rappresenta solo il 25% della popolazione mondiale) pretende da almeno 80 anni di essere l’unica realtà culturale, politica, militare, economica, tecnologica, che conta nel mondo, non riconoscendo pari dignità a Cina, Russia, India, Islam, e neppure Europa. E’ impensabile che il resto del mondo continui indefinitamente ad accettare questa situazione, senza successivi, sempre più gravi, sconquassi

Qualche concessione dovrà essere fatta, su tutti i piani: ampliando lo studio e la divulgazione delle culture non occidentali; riducendo i privilegi dell’Occidente in campo finanziario, tecnologico e logistico: stipulando nuovi trattati universali per disciplinare i settori oggi non regolamentati, in primo luogo, l’ Intelligenza Artificiale.

Il primo passo dovrebbe essere costituito da una Convenzione-Quadro Universale sull’ Intelligenza Artificiale, che oggi tutto condiziona, e sulla quale si è praticamente fermi.

All’ interno di questa trattativa a livello mondiale, che potrebbe congelare la guerra in corso,  Unione Europea, Ucraina e Unione Eurasiatica potrebbero riprendere le fila della Confederazione Europea di Gorbachev e Mitterrand, all’ interno della quale un’Ucraina federalizzata (“Autonomia Differenziata” sul modello italiano: Kiev/Kyiv, Kharkov/Kharkiv, Donbass, Nuova Russia, Crimea, Bessarabia, Rutenia transcarpatica e ciscarpartica, Galizia, Polessia…), come la stava creando Janukovic (il “Partito delle Regioni”), potrebbe costituire il “territorio federale” (come  negli USA il District of Columbia), e Kiev/Kyiv essere la capitale della Confederazione. In ambedue la parti dell’Eurasia,dovrebbe essere garantito uno stock minimo di diritti, a cominciare da quelli delle minoranze.

Le truppe russe e occidentali dovrebbero essere ritirate dall’ Ucraina, e l’Unione Europea dovrebbe creare un Esercito Europeo comparabile a quello russo (anche mediante apporti di basi e materiali delle attuali truppe russe e americane). L’Europa spende già oggi per la Difesa più della stessa Russia, ma lo spende male. Ambedue gli eserciti dovrebbero garantire lo status quo attraverso appositi trattati di disarmo e sull’ Intelligenza Artificiale.

Le preoccupazioni della Cina e della Russia verrebbe prese in considerazione allontanando truppe e movimenti politici ostili dalla frontiera russa, quelle dell’Ucraina garantendone l’indipendenza e l’integrità, e addirittura promuovendo Kiev/Kyiv a capitale confederale dell’ Eurasia. La Cina e gli USA ne trarrebbero anch’esse un loro tornaconto, spianando la strada a un accordo globale sull’ Intelligenza Artificiale sotto la loro egida, che costituirebbe  la migliore prova della loro egemonia congiunta.

Qualcosa di simile si potrebbe fare anche in Asia (per esempio in Palestina e a Taiwan).

Certo, un siffatto progetto lederebbe gravemente molte attuali rendite di posizione, e, per questo, comporterebbe anch’esso nuovi conflitti molto duri, ma certamente garantirebbe il “Futuro dell’ Europa” meglio di quanto accada oggi.

Chissà se qualche candidato alle Elezioni Europee potesse parlarne? Perché il Movimento Europeo non prende in considerazione un progetto di questo genere ?