I GIORNI DELLE SCELTE.Si riapre la Piattaforma sul Futuro d’ Europa

La prima settimana dall’ “Inauguration” di Trump è stata caratterizzata da una serie di sfide, che hanno posto soprattutto l’ Europa di fronte a un insieme di dure realtà che si era cercato, fino ad ora, di nascondere:
1)la pretesa di annettere agli Stati Uniti la Groenlandia, con la singolare motivazione che “gli USA ne hanno bisogno per la sicurezza nazionale”, visto che gli Europei non pensano alla “difesa del mondo libero”;
2)l’intervento massiccio di Elon Musk nella politica interna degli Stati Europei, cercando di creare un intero movimento “di estrema destra” da lui diretto, capace di condizionare il futuro dell’ Europa, e fondendo anche i due ufficiali saluti nazionalisti alla bandiera americana (il “Bellamy Salute”-saluto romano o Hitlergruss-, e il “Balch Salute”, con la mano sul cuore, come nel saluto massonico) ;
3)l’intervento “a piè pari” dei GAFAM per richiedere l’intervento di Trump contro la legislazione europea sull’ Intelligenza Artificiale;
4)la precisa richiesta alle imprese europee di spostare le loro produzioni negli Stati Uniti, se vogliono evitare dazi sempre crescenti.
L’insieme di queste richieste, se soddisfatte, declasserebbe l’Europa a Paese del terzo mondo:
a) ridicolizzerebbero proprio il mitico art. 5 del Trattato Nato, costringendo gli Europei a schierare truppe contro le Forze Armate Americane, ponendo nel nulla la garanzia NATO, e fornendo un argomento imbattibile contro le pretese di Russi e Cina su Ucraina e Taiwan;
b)Cancellerebbero ottant’anni di politica culturale dell’ Occidente, basata sulla Colpa Collettiva degli Europei, così riaprendo la strada a un dibattito a tutto tondo sul futuro dell’ Europa;
c)Svuoterebbero definitivamente tutta la politica europea del digitale (già abbondantemente criticata da tutte le parti), fondata sull’ idea di poter regolamentare i GAFAM da Bruxelles;
d)aggraverebbe irrimediabilmente la crisi sociale in corso, con la Germania in permanente recessione e l’ Italia in stagnazione.
Per questo motivo, alcuni, come per esempio Nathalie Tocci sul “Guardian”, hanno sostenuto che questo sarebbe il momento, per l’ Europa, di rispondere con decisione, perché su questi temi sarebbe possibile provocare quello “scossone” necessario per dare nuova vita a un’ Unione Europea praticamente morta. Però, nota la Tocci, proprio sul punto più scottante, la Groenlandia, la risposta europea è venuta per ora a mancare, sostituita forse da un tentativo di reazione sotterranea.
Certo, per reagire contemporaneamente su tutti questi fronti, l’Europa dovrebbe essere unita, non già in astratto, su vaghi principi, bensì su un progetto che dia risposte chiare sui confini, sulle identità, sull’ Esercito Europeo, sui partiti europei, sul digitale, sull’economia.
Per questo motivo, ben venga l’idea di riaprire una Piattaforma sul Futuro dell’Europa che, per altro, nella prima fase della sua attività, non è pervenuta a nessun risultato concreto. Occorre per altro evitare che il fiasco della “prima puntata” si ripeta. Per questo, intendiamo richiedere, fin dalla prima riunione, che il “format” venga radicalmente cambiato (cfr. allegato 1), suggerendo anche di creare, fuori dei canali istituzionali, un “Comitato di Resistenza e Resilienza”, capace di fornire una guida agli Europei in questa fase sempre più dura della storia europea, con il dominio incontenibile del Complesso Informatico-Militare, la pauperizzazione generalizzata degli Europei, la militarizzazione della società e dell’ informazione e l’Europa quale terreno di scontro militare fra potenze extraeuropee.
Chiunque voglia associarsi a noi in queste attività, o abbia comunque idee o suggerimenti in proposito, si faccia avanti!

PROPOSTE PER LA PIATTAFORMA SUL FUTURO DELL’ EUROPA
I.IL FALLIMENTO, CERTIFICATO DA TRUMP E DA MUSK, DELL’ APPROCCIO FUNZIONALISTICO EUROPEO
Nel 2005, l’iter per la nuova Costituzione Europea si era concluso con la bocciatura da parte degli elettori. Nel 2022, Il Presidente Mattarella aveva osservato, al termine dei lavori della prima Conferenza, ch’ essa si era conclusa in maniera “grigia”. Con il tempo, la situazione è ancora peggiorata, sicché è inevitabile ripartire da basi nuove, oppure diventerà improponibile parlare di Europa ai nostri concittadini.
La Piattaforma sul Futuro dell’ Europa dovrebbe pertanto essere sostanzialmente modificata, per farla divenire, da macchina digitale per simulare il consenso, un reale Forum di dibattito del movimento europeo in senso lato. A tale scopo, dovrebbe essere creato un Comitato paneuropeo di Resistenza e Resilienza (cfr. https://www.alpinadialexis.com/un-comitato-paneuropeo-di-resistenza-e-resilienza/), capace di dialogare direttamente con i cittadini in questa fase tempestosa. Questi Appunti mirano a promuovere una siffatta transizione.
1.Le debolezze progettuali
Il progetto europeo è stato da sempre esposto in modo frammentario, a causa dell’approccio “funzionalistico”. Ciò ha permesso di nascondere le debolezze di fondo nella sua concezione generale, fino all’ attuale caos, reso palese dalla presidenza Trump. La Conferenza sul Futuro dell’ Europa ha confermato questa frammentarietà.
Dal 2022, la guerra in Ucraina e, ora, la vittoria elettorale di Trump, sostenuta e dominata da Musk, hanno peggiorato ulteriormente quelle debolezze:
a)Ignoranza (voluta) del fatto che l’attuale ideologia occidentale, lo scontro con la Cina e gli equilibri nel blocco presidenziale americano sono tutti basati sul controllo dell’ecosistema digitale mondiale, da cui l’ Europa è però esclusa;
b)Conseguente dipendenza dell’Unione (concettuale, culturale, sociale, politica, militare e finanziaria) dai Poteri Forti americani (Deep State, Intelligence Community, Wall Street, Complesso Informatico-Militare, NATO), che, con Trump, hanno assunto un atteggiamento assolutistico, con cui le esigenze dell’Europa non solo vengono trascurate, bensì vengono apertamente condannate e irrise;
c)Rinunzia a qualsivoglia sforzo per la creazione di una classe dirigente europea (comparabile al Deep State o il PCC), dotata di una sua visione culturale originale distinta e delle competenze sociali e tecniche necessarie per realizzarla in pratica; conseguente attribuzione di ruoli apicali europei a soggetti che rappresentano punti di vista anti-europei (p.es., Rutte, Kallas);
d)Abbandono, fino dalla morte, 60 anni fa, di Olivetti e di Chu, di ogni velleità di muoversi verso un ecosistema digitale europeo (concettuale, tecnologico, industriale, finanziario e militare), e conseguente gap tecnologico di 60 anni;
e)Assurda pretesa di normare una materia che: (i) non si padroneggia, essendo sviluppata solo in America e in Cina; (ii) non si conosce neppure, giacché non esistono guru digitali europei;
f)Arrendevolezza di fronte alle inaccettabili campagne dei GAFAM (Zuckerberg)contro l’Unione, volte a eliminare, con la pressione di Trump, le pur modestissime sanzioni contro di essi adottate;
f)Conseguente fallimento di tutte le grandi politiche preannunziate con gran pompa da decenni (sociale, tecnologica, industriale estera e di difesa, ecologica),che oggi richiedono tutte un uso massiccio dell’ Intelligenza Artificiale. Fallimento certificato dal discorso di “Inauguration” di Trump e dagli Executive Orders appena firmati.


II.DIFFICOLTÀ DELLE AGGREGAZIONI CONTINENTALI
L’esigenza di creare un’agglomerazione politico-culturale specificatamente europea, accanto a quelle americane, islamica, indiana e sinica, era emersa fin dall’ inizio del XX° Secolo per effetto della disgregazione dei grandi Imperi europei,e con il contemporaneo imporsi di temi d’interesse universale (trasporti e telecomunicazioni, decolonizzazione, finanza, controllo degli armamenti..), ma in un secolo ha fatto solamente passi avanti infinitesimali.

  1. I rischi del processo d’integrazione
    Il processo di creazione delle altre aggregazioni (Cina, Persia, India, Stati Uniti, Russia) è stato (o è) lungo e faticoso (guerre civili, guerre di liberazione, rivoluzioni, ecc..).Anche la storia dell’ integrazione europea non è stata esente da ostacoli (guerre napoleoniche, Guerra Civile Europea, guerra in Ucraina)e può ancora deragliare prima di aver raggiunto i suoi obiettivi. E’ ciò che stanno minacciando voci dai settori tanto americani quanto russi, che hanno incominciato a pensare che sia possibile, o perfino auspicabile, eliminare l’Unione Europea quale possibile centro di aggregazione alternativo. Il relativo territorio potrebbe essere diviso fra Russia e America, sul modello della Guerra Fredda, in occasione delle discussioni fra Trump e Putin (p.es., Groenlandia vs.Donbass).
    2.Assenza di un progetto veramente alternativo agli USA
    A oggi, nessuno è in grado di chiarire in cosa si distingua il progetto europeo da quello “Occidentale”. Infatti, la vulgata “classica” sosteneva che la specificità dell’Europa consisteva nel Modello Sociale Renano, un misto di consociativismo conservatore e di socialdemocrazia, opposto comunque al “modello anglosassone”, basato sul mercato senza limiti. Con l’avvento della società digitale, questi modelli teorici si sono molto sfumati, con l’Europa che ha smantellato la sua economia mista e il suo diritto del lavoro, e l’America che sta esercitando un interventismo sfrenato (deliberatamente clonato su quello cinese), diametralmente opposto al conclamato liberismo. Resta il conflitto di interessi fra un’America che “contingenta” (come prevedeva Trockij) il capitalismo europeo (nell’informatica,nell’ energia, nell’automotive, nel commercio internazionale), e un’ Europa che subisce passivamente la prospettiva di ridursi a un Paese del Terzo Mondo.
    Probabilmente, una vera e propria “annessione” dell’ Europa agli USA (come minacciata al Canada e alla Groenlandia) darebbe perfino più forza all’ Europa, divenuta in tal caso una lobby interna americana, di quanta ne abbia l’ attuale Unione Europea.
    3.Una cultura allineata con quella americana
    L’Europa attuale non riesce infatti neanche ad esprimere una propria cultura autonoma, come aveva fatto sino agli Anni ‘60, con personaggi come Nietzsche, Freud, Jung, Heidegger, Simone Weil, ma, invece, scimmiotta le diverse, successive, culture americane (Modernismo, Pop, Post-Colonial Studies, Fantasy, Cancel Culture, Alt Right, Woke..)…
    III.POSSIBILI STRATEGIE DI RILANCIO DELL’ EUROPA
    1.Comunità, Unione, Federazione
    L’attuale denominazione dell’organizzazione europea (Unione Europea) è recente. Essa si ispira alla vecchia dicitura ufficiale dell’ Unione Sovietica (Sovietskij Sojuz), prima che si trasformasse, nel 1991, con l’accordo di Belavezha e con il referendum pansovietico, in “Comunità di Stati Indipendenti”(Soobščestvo Nezavisimih Gosudarstv). Si voleva probabilmente dimostrare una reciproca imitazione in vista della Casa Comune Europea, dove l’Unione Sovietica diventava più elastica e le Comunità Europee divenivano più rigide (grazie alla prevista Costituzione).
    Nessuna delle due trasformazioni è andata per il verso giusto.
    Occorre perciò un nuovo disegno complessivo, che potrebbe incominciare con un nuovo cambio di denominazione. Per esempio, usando il termine “Federazione Europea” del Manifesto di Ventotene, “Repubblica Europea” (“Res Publica Europaea”), suggerita da Ulrike Guerot (cfr. U.Guerot,La nuova guerra civile, Alpina,2009).Con maggiore precisione, Sergio Fabbrini (in “A Federal Alternative for European Governance”, Cambridge University Press), propone di suddividere l’Unione in tre livelli: Confederazione, Unione e Federazione (i “tre Cerchi Concentrici”), soluzione già ampiamente dibattuta e analizzata in vari libri di Alpina Dialexis (in particolare, “100 Idee per l’ Europa” e “Da Qin”).
    2.Fuoriuscire dal “cripto-trockismo”
    L’Europa non si è mai voluta dare una politica culturale strutturata e discussa pubblicamente, mentre invece ha assorbito da dietro le quinte un’ egemonia culturale (i cosiddetti vaghi “valori europei”), che in realtà confliggono, tanto con le “radici”classiche europee (filosofia greca e medievale, poesie epica e tragica, Bibbia), quanto con le forme canoniche della Modernità europea(cristianesimo sociale, liberalismo, democrazia rappresentativa, socialismo, federalismo), costituendo invece essi una forma mascherata di teo-tecnocrazia mutuata, attraverso il gauchismo, dal trockismo, nelle sue due ramificazioni, del cosmismo russo (Bogdanov) e della rivoluzione manageriale americana(Burnham), che hanno trovato ora la loro sintesi plastica nella mitologia e simbologia predilette da Elon Musk. Quindi, la polemica condotta dall’ establishment europeo contro Musk resterà illogica e senza sbocco se le Istituzioni non eserciteranno un’ onesta autocritica delle basi millenaristiche del proprio stesso discorso politico, premesse logiche del superomismo muskiano.
    3.Una politica culturale europea
    Contrariamente a quell’ egemonia imposta agli Europei, la politica culturale europea deve innanzitutto dare conto dell’ ampia diversità (culturale, territoriale, religiosa, storica, sociale ed etnica) degli Europei, che è il motivo della loro specificità e la ragion d’essere di un soggetto politico europeo geopoliticamente autonomo.
    Di conseguenza, rendere conto delle diverse “memorie dissonanti” degli Europei (tribale, nomade, medio-orientale, classica, nordica, cristiana, ebraica, islamica, modernistica, cetuale, romantica, occidentale..).
    IV. DOPO BEN 70 ANNI:
    UNA VERA POLITICA ESTERA E DI DIFESA EUROPEA?
    Oggi, la dottrina militare di ogni Paese non può prescindere dalla presenza di una Guerra Senza Limiti fra gli Stati Uniti e la Cina (Qiao Liang e Wang Xiangsui), che si combatte sui piani culturale, tecnologico, ideologico, sociale, militare ed economico.Per questo si insiste da tutte le parti sulla Politica Estera e di Difesa dell’ Europa.
    1.Cambiare la percezione delle minacce
    Purtroppo, l’Europa non può darsi una propria autonoma Politica Estera e di Difesa finché non dispone di una propria classe dirigente influente e competente in grado di elaborare e perseguire una dottrina militare adeguata alle sue esigenze. Infatti, tutte le attività militari dell’ Europa sono state concepite esclusivamente come supporto delle Forze Armate americane, sicché non si è neppure presa in considerazione, né l’ipotesi che la presenza americana venga meno (come minacciato adesso da Trump), né che delle minacce possano venire dagli stessi Stati Uniti. Questo però è già successo con la distruzione del North Stream, e, ora, con le minacce alla Danimarca per la Groenlandia. Evidentemente, questo tipo di minacce va inserito fra quelle a cui la Politica Estera e di Difesa deve potenzialmente fare fronte.
    La minaccia di ritirare le truppe dall’ Europa viene vista dal nostro “establishment” come un disastro (perché toglierebbe ad esso il suo “back-up” poliziesco, indispensabile alla sua sopravvivenza), ma in realtà, come scrive, su “Il Fatto Quotidiano”, Barbara Spinelli, “sarebbe una manna per l’ Europa” perché le permetterebbe di realizzare, con il 5% del PIL, non solo una vera politica estera e di difesa, bensì anche una vera politica tecnologica, industriale e commerciale.
    2.Programmare per il lungo termine.
    Una dottrina militare, e, soprattutto, una cultura militare, non si possono improvvisare. Esse presuppongono lunghe fasi di riflessione, studio, ricerche, formazione, addestramento, intelligence, progettazione, produzione, immagazzinamento, che vanno oltre una generazione, e non possono essere limitate da una contingente situazione geopolitica, perché debbono produrre innanzitutto degli uomini: degli ufficiali efficienti e fedeli al Paese. Una dottrina militare europea deve poter valere anche fra due generazioni.
  2. Un corpo di ufficiali europeisti
    Il fatto che Rutte (NATO) e Kallas (Politica Estera e di Difesa) stiano semplicemente facendosi portavoce delle richieste di Trump (aumento della spesa militare al 5%, allargamento all’ America delle commesse europee, cessione della Groenlandia) dimostra che non abbiamo oggi leaders in grado di gestire un’autonoma Politica Estera e di Difesa Comune, la quale potrà nascere solo quando li avremo selezionati e preparati.
    4)Un esercito europeo
    Anche di questo si parla da oramai 60 anni (vedi CED), ma senz’alcun risultato, perché si cadde sempre nella falsa alternativa fra un esercito subordinato alla NATO (come quello ipotizzato per la CED e dal recente documento del Movimento Europeo), o un esercito ostaggio di uno Stato Membro (come la Force de Frappe francese). Esiste una terza alternativa, un “Praetor Peregrinus” che sia espressione della professione militare e che sia uscito dall’ Accademia militare paneuropea, capace quindi di incarnare in campo militare la missione dell’ Europa.
    5)Un esercito tecnologico
    Un nuovo esercito che nasce oggi non può costituire semplicemente una proiezione ingigantita degli eserciti attuali. Se mai dovrà combattere, saranno guerre fra macchine intelligenti, o contro macchine intelligenti (Manuel De Landa, La guerra al tempo delle macchine intelligenti).
    Quindi, occorrerà sviluppare, in sequenza: lo stato maggiore, l’intelligence, la base tecnologica, la produzione militare, le competenze nucleari, missilistiche e nucleari, la guerra informativa, la guerra economica. Lo sviluppo dell’Esercito Europeo dovrà andare in parallelo con lo sviluppo culturale, politico, tecnologico, industriale ed economico del popolo europeo, da realizzarsi secondo piani a medio termine come lo NSCAI americano e Made in China 2025.
    V. UN’INDUSTRIA DIGITALE EUROPEA
    La capacità di gestire un ecosistema digitale complesso, e, anzi, di promuovere una rivoluzione digitale, è molto di più di una competenza tecnica, o dell’ elaborazione di principi etici e politici: è un vero e proprio orientamento di vita, che oggi non esiste, perché, con la decisione di “estirpare il neo” della Divisione Informatica dell’ Olivetti, enunziata da Visentini, si era cancellata a Ivrea ogni traccia di un “distretto culturale, politico e industriale digitale” europeo, anticipatore della Silicon Valley (Società industriale, Centro Culturale, Rappresentanza Politica, Centri di Progettazione e produzione per hardware e software, per i mainframe e i personal computer, e una propaggine negli Stati Uniti, a Cupertino).
    Se l’Europa vuole poter tornare a contare in campo digitale, in modo che le sue normative non restino, come oggi, delle Grida Manzoniane, deve riprendere urgentemente quell’ esperienza usando, per finanziarla, il 5% della politica estera e di difesa, senza sprecarlo in burocrazia, produzione di armi obsolete e tributi all’ America.
    Occorrerebbe chiedere all’America, come contropartita della “riduzione del disavanzo commerciale”, la cooperazione alla creazione di un’autonoma industria digitale europea.
    1.Una classe dirigente digitale
    Come prima cosa, Adriano Olivetti si fece suggerire da Enrico Fermi il nome di un teorico brillante, individuato nel giovanissimo italo-Cinese Mario Chu, professore alla Columbia University, affidandogli un piccolo team di ricercatori scelti dallo stesso nel centro di ricerche di Pisa in collaborazione con la Scuola Normale Superiore.
    Come seconda cosa, creò, intorno ai nuovissimi computer, una cultura aziendale umanistica e un’”aura” estetica per un marketing intelligente di altissimo livello.
    Tutto ciò ha generato un’eredità di cultura aziendale (e non solo) che sarebbe stata determinante, se solo lo si fosse voluto, in questi 60 anni.
    Anche oggi occorre individuare una ristretta élite di ingegneri motivati culturalmente e con un forte impegno europeistico, a cui affidare questo compito immane.
    2.Il controllo umano sul digitale
    L’Unione Europea si è concentrata nell’ ultimo decennio sulla disciplina delle attività digitali, relativamente alle quali ha sviluppato un importante corpus di norme, a cui si sono ispirati altri Paesi (il cosiddetto “Effetto Bruxelles”). Purtroppo, essendo tutta l’industria digitale concentrata negli Stati Uniti e in Cina, l’Unione Europea riesce solo in minima parte ad applicare le sue normative. Soprattutto, la filosofia adottata non coglie la natura dell’attività informatica attuale, che modifica l’essenza stessa dell’ umano, manipola i processi democratici, impone monopoli, crea disoccupazione. Anche se le attuali normative europee fossero veramente applicate, inciderebbero poco sulla realtà.
    Il controllo umano sull’informatica richiederebbe ben altri interventi, di educazione, formazione del carattere, addestramento tecnico, lotta ai monopoli. Parallelamente al ceto degli ufficiali europei, occorrerebbe formare un nuovo ceto di tecnici informatici ispirato ai principi della responsabilità sociale e nazionale e della centralità dell’Umano.
    3.Imprese digitali europee
    Chiuderebbe il quadro la creazione, da tutti promessa, ma mai realizzata, di imprese digitali europee comparabili a Google,Meta, X.Baidu, Alibaba, Huawei.
    La loro inesistenza a oggi si spiega con un boicottaggio concertato fra Unione, Stati, America e poteri diffusi (banche?), sul “Modello Visentini”, ma anche con la scarsa cura con cui sono state sviluppate, con soldi pubblici europei, iniziative come Qwant e GAIA.x.
    Fino ad ora, la giustificazione di tutto ciò era che l’innovazione dev’essere perseguita dai privati, senza asfissianti interventi pubblici. Peccato che da tempo, ormai, si stia svolgendo fra USA e Cina una corsa agli aiuti pubblici, mirante “a mettere fuori mercato il mondo intero”(Schumer).Ora, nuovi aiuti pubblici dovranno permettere all’ Europa di non essere messa fuori mercato.
    4.Industria aerospaziale europea
    Nel corso del XX Secolo, l’industria aerospaziale era stata percepita anche in Europa come strategica anche e soprattutto per i suoi usi “duali”, e pertanto favorita dai Governi (Tornado, Eurofighter, Mirage, Gripen, Airbus, EADS, Ariane, Vega). Ultimamente, il settore pubblico ha rallentato il suo vero impegno, rendendo impossibile per gli Europei mantenere le loro posizioni di mercato. Ciò ha reso fattibile lo spettacolare sviluppo di Starlink.
    L’industria aerospaziale europea ha grandi tradizioni. Riuscirà a sopravvivere e a prosperare se verrà sostenuta pesantemente dal settore pubblico, come accade negli USA e in Cina.
    VI . LAVORARE PER LA PACE
    1.Una cultura europea aperta al resto del mondo
    L’Europa non ha mai condiviso la frenesia messianica dell’ America (la “Casa sulla Collina”,l’”Esportazione della Democrazia”), essendosi anzi impegnata (in modo perfino irrealistico), sulla sua ancestrale idea (Eraclio e Concilio di Worms), della Pace Perpetua. Essa ha avuto molti ed approfonditi contatti con le altre grandi sfere di civiltà (come al-Andalus, la Cina e il Sudamerica), attraverso i Gesuiti; l’India, attraverso la Compagnia delle Indie, e, più recentemente, l’Islam attraverso Guénon, e i popoli delle steppe tramite la Russia.
    E’ contrario all’habitus mentale europeo, e anche ai sui interessi, impegnarsi in guerre per procura, materiali o culturali, contro la Cina, il Medio Oriente o la Russia, che sono i suoi interlocutori ideali e i maggiori mercati mondiali. La rinnovata aggressività di Trump e di Musk contro l’Europa, accoppiata a una disponibilità verso la Russia evidenzia l’urgenza d’interrompere il circolo infernale di conflitti fra “the West and the Rest”, ritornando ai motivi di unità culturale: dalle Religioni del Libro alle Vie della Seta, alla cultura alta dell’ Ottocento e del Novecento, utilizzando anche i canali posti a disposizione dalle Chiese che hanno il loro centro in Europa.
  3. Europa dall’ Atlantico a Vladivostok
    In particolare, il Paese di Cechov, Gogol, Dostojevskij, Tol’stoj, Ciajkovskij e Sol’zhenitcyn non può essere escluso , nonostante gli sforzi dei leader russi (Gorbaciov, Eltsin e Putin, ma perfino Khrusciov), dall’ Europa, come si sta facendo invece da almeno 30 anni.
    Al contrario, una Russia “sdoganata” nel prossimo processo di pace può e deve essere, come proponeva Leibniz, un ponte con la Cina , alla quale la uniscono popoli e tradizioni comuni, da quelli siberiani ( Tungusi e Mancesi), a quelli turcici (Tatari e Uighuri), a quelli iranici (Hui e Osseti).Le Vie della Seta costituiscono uno degli strumenti fondamentali per l’Europa per compensare, con nuovi traguardi a Est, le perdite e i dazi della nuova politica protezionistica americana.Come ha dichiarato ad Affari e Finanza Mario Moretti Polegato, “Dobbiamo tornare a comprare il gas russo”.
    3.Un’Ucraina al centro dell’ Europa
    Una volta chiarito che l’Europa non è nemica della Russia e della Cina, anche la questione della Ucraina potrebbe risolversi in modo soddisfacente.
    Le polemiche che si sono sviluppate circa il carattere alternativo dell’Ucraina rispetto alla Russia hanno lo stesso modesto spessore di quelle circa la Hispanidad dei Catalani o quella della Britishness degli Scozzesi. Vale a dire, non tengono conto che continuano a sussistere “identità multiple”: quelle “continentali”, “nazionali” e “locali”. La collocazione su uno di questi livelli non dovrebbe avere conseguenze drammatiche perché oggi siamo tutti parti di un’”Identità Europea”.
    Il fatto che “Ucraina” significhi “alla frontiera” mette in evidenza la sua affinità con la “Krajina” che esiste più a Occidente, fra Dalmazia, Bosnia, Croazia, Vojvodina, Banato e Transilvania, cioè il “Confine Militare” fra Regno di Ungheria e Impero Ottomano, abitato da milizie multinazionali e con un regime autonomo. Non diversamente, in Ucraina c’erano la “Zaporizska Sich” e la “Svoboda Ukraina”, abitate dai Cosacchi, e i “Dikie Pole” (“Campi Selvaggi”), abitati dai Tatari, i Nogai e i Circassi. Si tratta quindi di “territori federali” europei “ante litteram”.
    Il fatto che storicamente Kiev sia stata così contesa ne fa un luogo ideale per essere la capitale di un’entità sovranazionale come la Confederazione Europea. E, di fatto, Mitterrand aveva organizzato nel 1989 a Praga una conferenza per fondare una siffatta Confederazione fra UE e Russia (la “Casa Comune Europea”).
    Nel caso in cui, dopo la guerra che tutti vogliono fare finire, si possa riprendere il discorso sulla Confederazione, si potrebbe creare un sistema di sicurezza integrato, comprensivo delle questioni, apparentemente insolubili, dei missili e delle basi (che per altro sono già oggi sul tavolo fra USA e Russia) ponendo fondamenta solide per la pace nel Continente, la quale , secondo il progetto di Saint-Pierre e di Kant e il Manifesto di Ventotene, oggi di fatto calpestati dall’ “establishment” europeo, avrebbe dovuto essere la stessa ragion d’essere dell’ integrazione europea (“La Paix Perpétuelle”).

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