“MAKE ITALY GREAT AGAIN”!A margine delle direttive del Ministro Valditara sul primo ciclo scolastico

Le nuove direttive del Ministro , oggetto fin da subito di una polemica accanita prima ancora di essere pubblicate per intero, non sono comunque particolarmente innovative, in quanto ricalcano situazioni già presenti in passato (Latino, Bibbia, Storia distinta dalla geografia, priorità alla storia italiana ed europea, apprendimento a memoria delle poesie e poemi epici) e poi abbandonate anni fa per effetto dell’attualmente deprecata ”egemonia culturale della sinistra” .
Inoltre, il Ministero non ha ancora predisposto le corrispondenti direttive che dovrebbero valere per le scuole superiori, né ha neppure rivelato l’intera architettura delle direttive per il primo ciclo (elementari e medie), sicché non si può capire bene se saranno mantenute certe caratteristiche proprie delle precedenti Direttive (per esempio per ciò che riguarda l’Inglese e l’Informatica, care a Berlusconi).
Soprattutto, manca, qui come ovunque, una visione del futuro dell’Italia e dell’ Europa, in funzione della quale valga la pena di garantire la formazione dei nostri giovani e di immaginare nuove iniziative.L’imperativo è “galleggiare”.

Il tragico attentato a Mattei, che getta una luce sinistra sul cosiddetto “Miracolo Economico”


1.Nostalgia per gli Anni ‘50?
E’ stato detto che questo modo di procedere non permette a oggi una valutazione d’insieme, ma, a nostro avviso, se una impostazione veramente innovativa ci fosse, sarebbe già emersa. Invece, queste direttive sono certamente un omaggio (per altro positivo) alla nostalgia degli Anni ’50, quando noi andavamo a scuola. Però, una cosa è plaudire al ritorno di una maggiore serietà, sfrondando le bardature sessantottine; un’altra è adeguare la scuola a un mondo che, in 65 anni, è molto cambiato, e non nel senso voluto dai Sessantottini (ma neanche in quello voluto dai pretesi conservatori). Quindi, anche per la scuola, continuiamo a “galleggiare” come, secondi il Censis, per l’economia. Inoltre, i bambini che frequentano ora le elementari e le medie dovranno entrare nel mondo del lavoro in un periodo variabile fra i 3 e i 25 anni, e continuare a lavorare fino ai 70 anni, quando il mondo sarà di nuovo molto cambiato (non necessariamente in meglio).
Oggi, comunque, c’è la Singularity tecnologica, che, attraverso Musk, Zuckerberg, Bezos, ecc…, ci sta trasformando deliberatamente tutti in robot; c’è una competizione mondiale che viene innanzitutto dall’ Asia, dove gli studi sono ben più seri dei nostri; c’è l’Unione Europea, in cui siamo bene o male immersi, e in cui, per contare, dobbiamo essere prima di tutto preparati; c’è una situazione bellica in cui i giovani debbono essere pronti anche per la guerra, come hanno dichiarato i vertici della NATO e delle Forze Armate italiane.
Tutto ciò significa che dovremo tutti studiare di più e più a lungo, per produrre di più, organizzarci meglio e competere al meglio con altri sistemi-paese ultra-preparati. Dovremo anche forgiare il carattere dei nostri cittadini, affinché siano capaci di non soccombere neppure dinanzi alle difficoltà veramente grandi che si prospettano. Per cui va anche bene che i giovani vadano a lavorare all’ estero, ma per divenire imprenditori, o creativi, o professori, o generali, ma non per andare a lavare i piatti (come stanno facendo adesso). E infine smettiamola di considerare come “estero” la Francia o la Germania!

Il malinconico edificio del Lingotto costituisce un eloquente simbolo del nostro mediocre futuro


2.Un futuro troppo poco ambizioso
Di tutto ciò non c’è traccia, né nelle nuove direttive, né nelle critiche sviluppate dell’opposizione. Segno che la prospettiva che tutti i politici hanno in mente per i nostri giovani è la continuazione del presente limbo (culturale, geopolitico, economico e sociale), di un Paese, nonostante le retoriche, sempre più marginale, che essi non solo accettano, bensì cooperano anche attivamente nel difendere e preparare.
Ma, a monte di tutto ciò, non c’è lo sforzo per formare, al di là della datatissima pedagogia anti-autoritaria che ha creato l’”era delle passioni tristi”, una nuova classe dirigente europea, cosciente di se stessa e delle proprie tradizioni, capace di affrontare con determinazione gli altri complessi geo-politici per decidere il futuro del mondo. In concreto, servirebbero, tra l’altro, molta più cibernetica, molta più linguistica generale e comparata, molte più informazioni dal resto del mondo.
Va anche bene l’allargamento dell’ambito della letteratura all’ epica nordica, seguendo i gusti del principale partito di governo (Atreju, Tolkien), ma senza il solito servilismo verso l’America e il suo showbusiness, secondo cui “epica nordica” sarebbero i cartoni animati sui supereroi e addirittura sugli “American Gods”. I nostri serials, con i nostri supereroi, facciamoceli noi, utilizzando i materiali qui da noi disponibili. Per esempio, lo sapevate che il primo poema epico “tedesco” (lo Hildebrandslied) era stato composto in Italia, in lingua longobarda, ed era dedicato alla guerra fra i Goti e gli Eruli (Odoacre) per il controllo dell’ Italia?

Le epopee medievali sono anche una triste riflessione sulla guerra e i guerrieri
  1. L’ Hildebrandslied ricostruito in lingua longobarda

Ik gihorta dat seggen,
ðat sih urhettun ænon muotin,
Hiltibrant enti Haðubrant untar heriun tuem.
sunufatarungo iro saro rihtun,
5
garutun sê iro guðhamun, gurtun sih iro suert ana,
helidos, ubar hringa do sie to dero hiltiu ritun.
Hiltibrant gimahalta, Heribrantes sunu, – her uuas heroro man,
ferahes frotoro – her fragen gistuont
fohem uuortum, hwer sin fater wari
10
fireo in folche, . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . «eddo hwelihhes cnuosles du sis.ibu du mi ęnan sages, ik mi de odre uuet,
chind in chunincriche. chud ist mi al irmindeot.»
Hadubrant gimahalta, Hiltibrantes sunu: «dat sagetun mi usere liuti,
alte anti frote, dea érhina warun,
dat Hiltibrant hætti min fater: ih heittu Hadubrant.

forn her ostar giweit, floh her Otachres nid,
hina miti Theotrihhe enti sinero degano filu.
20her furlaet in lante luttila sitten,
prut in bure barn unwahsan,
arbeo laosa. her raet ostar hina.
des sid Detrihhe darba gistuontun
fateres mines: dat uuas so friuntlaos man.
25
her was Otachre ummet tirri,
degano dechisto miti Deotrichhe.
her was eo folches at ente: imo was eo fehta ti leop.
chud was her chonnem mannum.
ni waniu ih iu lib habbe.» –
30
«wettu irmingot», quad Hiltibrant obana ab heuane,
dat du neo dana halt mit sus sippan man
dinc ni gileitos!»
want her do ar arme wuntane bauga,
cheisuringu gitan, so imo se der chuning gap,
35huneo truhtin: «dat ih dir it nu bi huldi gibu.»
Hadubrant gimahalta, Hiltibrantes sunu:
«mit geru scal man geba infahan,
ort widar orte.
du bist dir, alter Hun, ummet spaher;
40
spenis mih mit dinem wortun, wili mih dinu speru werpan.
pist also gialtet man, so du ewin inwit fortos.
dat sagetun mi sęolidante
westar ubar wentilsęo, dat inan wic furnam:
tot ist Hiltibrant, Heribrantes suno.»
45
Hiltibrant gimahalta, Heribrantes suno:
«wela gisihu ih in dinem hrustim,
dat du habes heme herron goten,
dat du noh bi desemo riche reccheo ni wurti. –
welaga nu, waltant got», quad Hiltibrant, «wewurt skihit!
50
ih wallota sumaro enti wintro sehstic ur lante,
dar man mih eo scerita in folc sceotantero.
so man mir at burc ęnigeru banun ni gifasta.
nu scal mih suasat chind suertu hauwan,
breton mit sinu billiu, – eddo ih imo ti banin werdan.
55
doh maht du nu aodlihho, ibu dir din ellen taoc,
in sus heremo man hrusti giwinnan,
rauba birahanen, ibu du dar enic reht habes.» –
«der si doh nu argosto», quad Hiltibrant, «ostarliuto,
der dir nu wiges warne, nu dih es so wel lustit,
60
gudea gimeinun: niuse de motti
hwerdar sih hiutu dero hregilo rumen muotti,
erdo desero brunnono bedero uualtan!»
do lęttun se ærist asckim scritan,
scarpen scurim, dat in dem sciltim stont.
65
do stoptun to samane staimbort chludun,
heuwun harmlicco huittę scilti,
unti im iro lintun luttila wurtun,
giwigan miti wabnum . . . . . . . . . . .

Questo ho udito raccontare, 

che si scontrarono in singolar tenzone
Ildebrando e Adubrando fra gli eserciti.
Il figlio e il padre

le loro armature aggiustarono, prepararono le loro vesti di guerra,
si cinsero le spade, gli eroi, sopra gli anelli, e quindi alla battaglia cavalcarono. Ildebrando parlò, figlio di Eribrando, – egli era uomo più anziano, della vita più esperto-; egli a domandare cominciò
con poche parole, chi suo padre fosse degli uomini nella schiera, […] «oppure di quale stirpe tu sia.

Se tu uno me ne dici, io (da me) gli altri conoscerò, figliolo,
Nel regno del re, nota mi è tutta la schiera armata.»

Adubrando parlò, figlio di Ildebrando: «Questo mi dissero le nostre genti, antiche e sagge, che prima vivevano,
che Ildebrando si sarebbe chiamato mio padre; io mi chiamo Adubrando.

Un tempo egli verso oriente partì – fuggiva l’odio di Odoacre, – insieme a Teodorico e a molti suoi seguaci. Egli lasciò in patria indifesa risiedere la moglie nelle sue stanze, il figlio non ancora cresciuto, di eredità privo. Egli cavalcò in direzione dell’oriente, allorché Teodorico bisogno ebbe di mio padre; era un uomo così privo di amici!

Egli era con Odoacre senza misura adirato, il più amato dei seguaci (che erano) con Teodorico.
Egli era sempre alla testa dell’esercito: a lui fu sempre la lotta molto cara.
Noto era egli … agli arditi guerrieri;
io non credo che ormai vita abbia.» «

Prendo a testimone il potente dio» [disse Ildebrando] «dall’alto del cielo,
che tu finora giammai con un così stretto parente hai ingaggiato un duello.»
Svolse egli allora dal braccio i ritorti anelli fatti d’oro, che a lui il re aveva dato,. . . . . . . . il signore degli Unni:
«Ecco, a te questo ora dono in segno di benevolenza.» Adubrando parlò, figlio di Ildebrando:
«Con la lancia si devono ricevere i doni, punta contro punta.
Tu sei, vecchio unno, senza misura scaltro,

mi alletti con le tue parole, vuoi con la tua lancia colpirmi.
Così sei invecchiato, perpetrando continui inganni. Questo mi dissero coloro che viaggiano per mare
verso occidente sul Mare dei Vandali (i.e. Mediterraneo), che lui la lotta rapì: morto è Ildebrando, figlio di Eribrando.»
Ildebrando parlò, figlio di Eribrando:
«Bene io vedo dalla tua corazza
che tu hai in patria un buon signore,
che tu da questo regno ancora non fosti bandito.»

«Ahimé ora, potente dio», [disse Ildebrando,] «il doloroso destino si compie.

Io errai per sessanta estati ed inverni fuori dalla patria,

là sempre mi si designò nella schiera degli arcieri (i.e. guerrieri scelti): ma nessuno presso alcuna città mi arrecò morte. Ora il mio proprio figlio con la spada mi colpirà, abbatterà con il suo brando, oppure io a lui diverrò causa di morte.

Quindi puoi tu facilmente, se ti basta il coraggio,

a un così antico guerriero conquistare l’armatura, derubare le spoglie, se tu ne hai qualche diritto.»

«Colui sarebbe invero ora il più vile», disse Ildebrando, «delle genti d’Oriente,
che a te ora negasse la lotta, ora che ciò così tanto brami,

il mutuo combattimento: tenti colui che può, quello dei due che oggi possa gloriarsi di (op. abbandonare) queste armature, finché entrambe queste corazze possegga». Allora lasciarono dapprima volare le lance, con violenti rovesci che sugli scudi si abbattevano.

Allora s’avvicinarono l’un l’altro, gli scudi della battaglia ruppero (?), colpirono rabbiosamente gli splendenti scudi, finché i loro scudi di tiglio piccoli divennero, distrutti dalle spade …………….

Nietzsche a Torino : il simbolo dell’interpenetrazione fra la cultura italiana
e quelle europee

4.Le competenze letterarie comparate


L’Hildebrandslied fu poi rifuso, nel Monastero di Fulda, in una lingua artificiale, comprendente Antico Alto Tedesco, Antico Basso Tedesco e Anglosassone, che ne assicurò la diffusione in tutta l’area germanica.
Come testimoniano anche il Beowulf, il Canto della Schiera di Igor e il Parzival, nelle “ere barbariche”, le competenze linguistiche erano più diffuse che oggi, nell’ era della pretesa “globalizzazione”.


4.Le letterature comparate
Comunque, come si vede, è impossibile fornire oggi ai giovani basi culturali che siano limitate a questo o quello degli attuali “Stati nazionali”, perché già anticamente queste distinzioni non c’erano. Perciò, abbiamo tanti antichi testi italiani in lingue diverse dall’ Italiano e dal Latino, come ad esempio il Francese (Langue d’Oil e Langue d’Oc, con Marco Polo e Brunetto Latini ),Tedesco (Walther von der Vogelweide), arabo (Ibn Hamdis).Ma anche in tempi più recenti, quante opere classiche di altre lingue sono legate al nostro Paese: dai Viaggi in Italia di Goethe e Stendahl (che si professava “milanese), alle opere viennesi di Mozart scritte in Italiano, dal Du Pope di De Maistre al Wilhelm Meister, dall’Ecce Homo di Nietzsche alle Elegie Duinesi, dalla Madre di Gorkij ai Rimskie Sonety di Ivanov…
Lo stesso vale per il Cinese, in cui Matteo Ricci ha scritto opere importanti, come “Il vero significato del Signore del Cielo”.
Perciò, chiudere il primo ciclo scolastico alle lingue e letterature straniere è impossibile. Certo, una cura particolare dovrà essere dedicata alla conoscenza della storia, delle lingue e delle culture europee (che formano la nostra identità), ma anche le grandi civiltà extraeuropee vanno conosciute, perché condizionano pesantemente il futuro dell’Umanità, e inoltre costituiscono un importante sussidio per superare i limiti della nostra cultura.
E’ chiaro che la dicitura “Culture dell’ Occidente” è una pericolosa forzatura. Si vuole continuare ad escludere la conoscenza, da parte degl’Italiani, del 90% del mondo, in un momento in cui l’industria cinese, la religione islamica, l’informatica indiana, sono al centro della storia mondiale?
Poi ci si stupisce se la nostra cultura, economia e società, anziché progredire, regrediscono in tutti i campi oramai da decenni?
Addirittura, si vorrebbe impedire, nell’attuale clima di guerra generalizzata, che i giovami, studiando storia, letteratura e filosofia, possano provare simpatia per l’Islam (come già Dante), oppure per l’ India (come Schopenhauer, Guénon, Eliade), o, infine, per la Cina (come Marco Polo, Ricci, Leibniz, Voltaire e Pound).
Noi, ai nostri tempi, non ostante che a quell’ epoca non facessero parte dei programmi, leggevamo il Bhagavad Gita, Gandhi, Mishima e Mao Tse Dong. Vogliamo che le nuove generazioni tornino indietro di 50 anni quanto a conoscenza del mondo? Altro che educazione all’indipendenza nelle scelte!

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