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SIAMO VERAMENTE IMPOTENTI?

L’Europa  contro la IIIa Guerra Mondiale

Su “La Stampa” del 23 agosto, Gabriele Segre scrive giustamente che “mentre gli altri (alleati o avversari) non potevano avanzare alcun ordine ideale alternativo, gli Stati Uniti raggiungevano il massimo grado del proprio dominio a seguito del trionfo nella prima guerra del Golfo” Era il momento  della “Fine della Storia” di Fukuyama.

Infatti, aggiungiamo noi,  non potevano avanzare progetti alternativi perché bloccati deliberatamente dall’onnicomprensivo potere americano: l’Europa, dal “Passato che non Passa”; l’Unione di Stati Indipendenti, dall’eredità della politica leninista e stalinista delle nazionalità; la Cina, da Piazza Tien An Men; l’Islam, dal convergere con gli USA delle monarchie del Golfo.

Oggi, dopo la fuga dall’ Afghanistan, l’America ha perso la sua credibilità quale “unica superpotenza”, e, perciò,  ”in Occidente non si scorgono al momento alternative”. Tuttavia, è possibile che proprio questo renda possibile, contrariamente a quanto opina Segre, una maggiore autonomia dell’ Europa. Ed è proprio per questo che l’establishment si ostina a sostenere ch’essa è impossibile.

Pero, a questo punto, occorre anche chiederci: ma perché mai ci dovrebbe essere un “Paese Guida” a livello mondiale? Per indirizzare in una qualche direzione “il Progresso”? Ma non è proprio della Post-Modernità l’aver messo  sotto le lenti della critica il Mito del Progresso, travolto dall’ “Eterogenesi dei Fini” (cfr. Horkheimer e Adorno, Latouche, Grey)?Con questo, è venuta anche meno l’esigenza di un “Paese-Guida”.

La tecnologia non è più vista come una salvifica teofania, bensì come la punta emergente del Secolo Finale, guidato dall’ Intelligenza Artificiale e dalle minacce atomiche oramai quotidiane (Martin Reed).

La libertà di pensiero, di parola e di culto è sempre più limitata dai delitti di opinione, dall’impegno politico dei miliardari dell’ informatica e dalle censure sul mondo dell’ informazione (accademia, editoria, media, web).

La Pace Perpetua propiziata dalla “benigna” egemonia americana è resa sempre meno credibile dal riproporsi all’ infinito (ingigantiti dalla tecnologia) di conflitti millenari e genocidari (i Filistei, l’Egitto, Gaza, Israele;  Iranici e Semiti; Zaristi e Cosacchi…).

La libera circolazione del lavoro, dei capitali e delle merci, articolo di fede dell’ Unione Europea,  è negata violentemente dai muri anti-immigrati, dal sequestro dei beni russi, dai dazi e dalle sanzioni.

La concorrenza è abolita dai GAFAM, ma l’Antitrust non interviene.

L’”ascensore sociale” è messo in forse dalla Società delle Aspettative Decrescenti.

1.Dialogare, ma su cosa?

Molto più “attuali”, dunque, le visioni del mondo dell’ Estremo  Oriente:

il Mito dell’ Eterno Ritorno, che, nella sua versione originale, quella induista, prevede un’infinità di eoni, ciascuno dei quali inizia dall’ era degli Dei e finisce con un’ Età Oscura (Kali Yuga), in cui noi saremmo ora immersi, in attesa del salvatore apocalittico Kalki, che, dopo una deflagrazione universale, ci riporterà nell’ Eone degli Dei;

-il “Datong”, l’utopia conservatrice e patriarcale di Confucio, monarchica e meritocratica, che, non essendoci nel Cinese Classico il futuro, è qualcosa di saltuariamente possibile, ma sempre sfuggente.

La questione  prioritaria non è infatti quello di guidare meglio “il Progresso”, vale a dire l’incremento dei beni materiali e il passaggio dal “Governo degli Uomini” al “Governo delle Regole”, bensì quello di perseguire finalità diverse, quali il perfezionamento dell’ Umanità, attraverso una visione olistica del mondo e il controllo sul mondo della Tecnica. Per fare ciò, non vi è bisogno di un “Paese Guida” (che sia esso l’America o la Cina, un Califfato o una Federazione Europea), bensì di un dibattito serrato fra le grandi culture mondiali, per gestire le Macchine Spirituali attraverso una cultura che sia una sintesi fra l’ascesi orientale e la progettualità occidentale, fra le culture pre-alfabetiche e l’Intelligenza Artificiale.

2.Una  “direzione strategica” contro il  determinismo

A oggi manca, come scrive Segre, “una direzione strategica ben definita”, capace di fermare la IIIa Guerra Mondiale oramai in corso fra Kursk e Donbass, fra Kurdistan e Siria, fra Palestina e Yemen, fra Iran e Israele, fra India e Pakistan, fra Bangladesh e Myanmar.

Ma, giacché la guerra in corso non è una normale controversia territoriale, bensì una guerra di religione fra gli stregoni che preparano la Singularity Tecnologica e i “veri credenti” che rivendicano la Terza Roma, non è possibile formulare proposte pacificatrici se non in base a un’ approfondita riflessione storico-filosofica multiculturale, “a monte” del millenarismo imperante e della propaganda di guerra.

La Singularity Tecnologica, con i suoi corollari del superamento  dell’Uomo da parte delle Macchine, della Megamacchina Universale e della generale omologazione, costituisce l’esito inevitabile di una visione deterministica della Storia, come quelle chiliastiche, quelle hegeliane e marxiste e le varie teorie americane dello sviluppo. Solo il trasferimento del potere alle macchine è infatti in grado di eliminare i conflitti derivanti dalla soggettività umana, e dunque, giacché la gestione tecnocratica è il modo migliore per realizzare il Progresso, l’Umanità la persegue di fatto nella misura stessa in cui persegue il benessere.

A causa di questo automatismo (il cosiddetto “piano inclinato”), opporsi al corso “naturale” del Progresso è l’unica possibilità effettiva di Libero Arbitrio, e, come tale, è altamente conflittuale. La rivendicazione del Libero Arbitrio, vale a dire la continuazione in vita di un Governo degli Uomini, comporta una lotta (ideale, culturale, ideologica, politica, ma talvolta anche rivoluzionaria o militare) contro le “Forze del Progresso”. Essa è costretta ad appoggiarsi ad elementi storici, come le religioni e le culture, come punto di sostegno contro  un “mainstream” governato dalla dialettica della Singularity. Di qui i richiami al racconto dostojevskiano del Grande Inquisitore, alle Hadith islamiche sul Dajjal, a Lord Rama, al Dao…

3.L’”ipocrisia politica”

Segre (come tutti i più intelligenti e onesti osservatori), non crede alle retoriche “mainstream”, e, in particolare, a quelle europee. Per questo, pone al centro della politica della Modernità l’Ipocrisia Politica. Che per altro immiserisce, perché la riduce al ben noto “doublespeak” sul preteso carattere “umanitario” della politica estera americana, reso credibile soltanto dalla forza.

In realtà, l’”ipocrisia politica” si situa su un piano addirittura esistenziale, ben anteriore all’ America. Già Tertulliano aveva affermato l’assurdità quale carattere essenziale dell’esistenza, oltre che della fede religiosa (Credo quia absurdum). A sua volta, Averroè aveva affermato l’esigenza di una “doppia verità” (filosofica e teologica), invitando il “Principe” (al-Amir), ad ascoltare i filosofi, ma a parlare al popolo attraverso i teologi. Infine, Nietzsche aveva fatto, dell’ipocrisia politica, l’elemento discriminante fra aristocrazia e popolo, in quanto il popolo non sarebbe atto, esistenzialmente, a sopportare l’indeterminazione del nostro “Vergleichendes Zeitalter”, sì che l’utilità fondamentale dell’ “élite” sarebbe quella di riuscire a ragionare ed agire in un mondo irrazionale, ma facendo credere al popolo che, al contrario, regnino la logica e l’obiettività.

4.La nostra pretesa impotenza

Ciò detto, non è affatto vero che gli Europei abbiano (meno di altri) gli strumenti per fermare la IIIa Guerra Mondiale. Infatti, come affermano molti, gli USA sono paralizzati dalla lotta per definire l’identità americana; la Russia e la Cina sono appesantiti dalla difficoltà di rimpiazzare l’ideologia marxista con un’adeguata ideologia imperiale tradizionale; l’Islam e l’India dalla pluralità etnica e confessionale.

Di fronte a queste situazioni, gli Europei potrebbero influenzare le scelte degli “altri”  con adeguate proposte culturali e manovrando fra le diverse tendenze dei due campi: GAFAM e MAGA, Russia e Cina, Ungheria e Turchia, India e Iran. Ma, per fare ciò, essi dovrebbero liberarsi dal timore reverenziale verso l’America e dagli automatismi indotti dalla propaganda. Per esempio, che l’Europa, senza l’esercito americano, sia indifesa nei confronti della Russia e dell’Islam. Che gli Europei Orientali vogliano a tutti i costi un conflitto con la Russia. Che “gli altri” abbiano solo due alternative: radicalismo o americanizzazione. Al contrario, l’Europa spende in armamenti più della Russia, e, se non ha peso politico, è perché è costretta a fare le guerre degli altri. Gli Europei Orientali avrebbero tutti i vantaggi da un rapporto migliore con la Russia, perché questo sposterebbe a Est il baricentro dell’ Occidente, e, contrariamente a quanto si dice, il loro spirito non è meno “tartaro” e “cosacco” di quello russo: ricordiamo il popolo Yamnaya, le migrazioni di popoli, il Granducato di Lituania, il Sarmatismo e il Pannonismo, Taras Bul’ba, “i Pagani”di Herczeg, “gli Antenati” di Mickiewicz, il mondo tradizionale di Eliade….Infine, Shevardnadze (ministro degli Esteri di Gorbaciov) aveva promesso che, con la Perestrojka, si sarebbe costruito un sistema migliore del socialismo, del capitalismo e perfino del feudalesimo (che evidentemente aveva ancora, in Georgia, una presa non indifferente).

5.Le debolezze della nuova Commissione

Quindi, occorrerebbe muoversi subito!

Abbiamo però dubbi sul se la nuova Commissione (a parte certe critiche su cui qui non entriamo) abbia le caratteristiche adeguate per quanto sopra. Intanto, fra i commissari proposti dai Governi non c’è nessun intellettuale capace di affrontare i temi da noi proposti. Poi, quale responsabile della Politica Estera e di Difesa è stata indicata l’ ex Primo Ministro estone Kaja Kallas, la quale ha come programma addirittura di ridurre la Russia a un coacervo di piccole repubbliche etniche, moltiplicando così per 100 l’attuale marasma dell’ Europa Orientale.

Programma su cui l’Ungheria e la Slovacchia non sono assolutamente d’accordo.

Capiamo bene che la Kallas, rappresentando un piccolo popolo ugro-finnico che, per una serie di vicende storiche, ha finalmente un proprio Stato, rappresenti bene il timore dei suoi concittadini di essere ridotto allo stesso livello degli Inuit, dei Sami, e, soprattutto, dei popoli ugro-finnici della Russia, come i Careliani, i Vepsi, i Bashkiri,i Nenci, i Komi, i Permiacchi, ecc..E che tenda ad estendere le loro aspirazioni ai popoli della “Grande Finlandia” e agli ai popoli altaici e cartvelici.

Tuttavia, non si può neanche subordinare un disegno globale di sviluppo continentale alle esigenze particolaristiche delle micro-nazionalità, che sono state sempre parte di grandi imperi (unno, avaro, bulgaro, khazaro, turchico, mongolo, russo..), ed hanno sempre coesistito con altri popoli come i Vikinghi, i Tedeschi, i Cavalieri Teutonici, gli Svedesi, i Danesi, i Lituani, i Polacchi, gli Ebrei,  e, solo in ultimo, con i Russi e i  Sovietici.  L’Estonia ne costituisce un esempio lampante, visto che vi si trovano reperti vikinghi anteriori a quelli estoni, che nel Medioevo era organizzata come “Terra Mariana”, condivisa fra i cavalieri Portaspada, città anseatiche e vescovati tedeschi, e, infine, modellò la propria epopea nazionale (il Kalevipoeg), su quella finlandese (il Kalevala).

Non possiamo condannarci ad altri decenni di guerre con la Russia per soddisfare dei particolarismi che troverebbero una più adeguata collocazione all’ interno di un “Territorio Federale” europeo che vada da Baltico fino all’ Egeo, passando per il Mar Nero, e all’ interno del quale potrebbe situarsi anche la capitale federale (per esempio, Kiev).

Solo con proposte rivoluzionarie di questo tipo si potrebbe “rovesciare il tavolo” e convincere alla pace tutte le parti interessate.