Disponibile da gennaio 2018
 
 
 

EUROPA HA GIA’ PERSO, INDIPENDENTEMENTE DAL FATTO CHE ABBIA VINTO TRUMP

Lo diceva la rivista online POLITICO October 31, 2024 :”It doesn’t matter if Trump or Harris win. Europe has already lost.”di  Nicholas Vinocur

Secondo quell’Autore, il momento del massimo splendore dei rapporti transatlantici (“Peak America”), era stato raggiunto il June 6, 1994, con la celebrazione dei 50 anni dello Sbarco in Normandia.

1L’età dell’oro dell’ egemonia americana

A quell’ epoca, l’egemonia “culturale” degli USA era incontrovertibile nello sport, nell’entertainment (“EuroDisney — a sort of American colony”); i giornali americani erano fortemente presenti in Europa. Oggi, invecve, gli USA hanno ridimensionato la loro presenza i Europa, salvo che nel settore digitale (per altro intimidito dalla legislazione europea), e le truppe americane nel nostro Continente sono state ridotte da 450.000 a meno di 100.000.

L’inizio di questo disinteresse americano coincise con la presidenza di Barack Obama e con il  suo “Pivot to Asia”.

Secondo Ben Hodges, ex comandante americano in  Europa,  il costo di mantenere tanti soldati ha generato vantaggi proporzionali:  “It was always mystifying to me that people didn’t see what a huge advantage we have with our leadership inside NATO and our relationship with European countries,”

2. Senza gli Stati Uniti, l’Europa sarà persa, oppure sarà salvata?

 La Commissione si sta preparando a un ridimensionamento dell’ impegno americano, ma è divisa quanto alla configurazione dell’ “autonomia strategica europea” .

L’ex Primo ministro finlandese Niniisto ha presentato un rapporto dettagliato sullo stato di preparazione bellica e per la difesa civile L’ Europa non è preparata ad una guerra mondiale, per cui il primo compito sarebbe quello di spiegare ai cittadini europei come sopravvivere nelle prime 72 ore del conflitto. Qualcosa che la Svezia stava facendo 5o anni fa, con la diffusione capillare degli opuscoli “Om kriget komer” (“se viene la guerra”) e “Inte samarbejde”(“non collaborare”). E’ grottesco che vengano riproposte soluzioni  così invecchiate, senza tener conto del mutato scenario tecnologico e geopolitico. La “military preparedness” (EU Preparedness Law) è divenuto un termine corrente nel linguaggio brussellese.stiamo programmando, con folle ritardo e senza un piano concreto, un’economia di guerra.

3.Autonomia strategica e autonomia culturale

 Nicolas Tenzer ha scritto:“Without the United States, Europe is lost

In realtà, l’Europa che “è già perduta” sono gli “Stati Uniti d’ Europa”, cioè il progetto di fare, dell’ Europa, un clone degli Stati Uniti, a questi ultimi subordinato. Al momento del dunque, quando gli USA stanno considerando di usare veramente il loro inaudito arsenale culturale, sociale, tecnologoco, poliziesco, politico, accumulato, per imporre l’accettazione, da parte di tutto il mondo, del Modello Incompiuto della Modernità, non tutti sembrano accettare a scatola chiusa questa decisione, né di qua, né di là dell’ Atlantico.

Come avevano illustrato alcuni Autori, come Simone Weil, Pierre drieu la Rochelle e Pietro Barcellona, l’Europa rappresenta oggi, dal punto di vista culturale, il Katechon di paolina memoria, quella forza che trattiene il mondo dall’Apocalisse (rappresentata dal chiliasmo americano). Essa ha combattuto da secoli contro l’ansia millenaristica della “Dissidence of Dissent” (Huntington), per esempio con le critiche di Sant’Agostino al manicheismo, con le prediche di Lutero contro gli Anabattisti, con la dissertazione di Rousseau per l’accademia di Digione, con “Les Soirées de Saint Petersbourg” di De Maistre, con “La crise de la modernité” di Guénon e la “Rivolta contro il mondo moderno” di Evola, con le opere di Dostojevskij, Soloviov, Leontijev, Trubeckoj , Gumilev, Solzhenitsin.

L’Europa costituisce così l’unica vera alternativa al Progetto della Modernità, ed è per questo che, da quando gli USA hanno l’egemonia mondiale, si fa di tutto per sminuirla: finanziando gli “opposti estremismi”; liquidando le imprese come l’ Eni e l’ Olivetti, che avrebbero potuto contestarne la primazia; ricoprendola di basi militari e di testate nucleari che la espongono a rappresaglie russe; obbligandola a guerre intestine e a sanzionare mezzo mondo…

Non ostante tutto ciò, non è  affatto detto che, nella Terza Guerra Mondiale, l’Europa starà dalla parte degli USA. Ricordiamoci che l’indipendenza degli USA fu imposta all’ Inghilterra dalla Francia vincitrice, con l’aiuto della Spagna. Similmente, non è improbabile che un’autonomia europea risulti da una nuova e diversa ripartizione delle sfere di influenza mondiali.

E’ a questo che l’Europa dev’essere preparata: ad assumere, attraverso la cultura, il controllo di quell’apparato politico, militare e tecnologico che si sta preparando con ben divere intenzioni.

STATO, NAZIONE, EUROPA,  IMPERO, STATO-CIVILTA’

Di fronte ai conflitti mortali che attanagliano l’Umanità, la disputa su Stato e Nazione ingaggiata in questi giorni con Giorgia Meloni da alcuni giornalisti, come Ezio Mauro, appare addirittura surreale.

1.Stato o nazione, una falsa alternativa

Mentre le critiche contro l’attuale premier ruotano intorno ad un’accusa di criptofascismo, l’idea della nazione che prevale sullo Stato (di cui Mauro accusa la Meloni) è esattamente il contrario della tradizionale critica fascista (mussoliniana e gentiliana) verso il nazionalismo, in quanto, per essi, non era la nazione che creava lo Stato, bensì lo Stato che creava la nazione (“Nation Building”). E, comunque, l’impero aveva oramai superato Stato e nazione, come risulta più che mai evidente oggi, quando assistiamo ad un conflitto generalizzato fra le grandi aree del mondo.

2.Un  mondo dominato dai GAFAM e dalle Macchine Intelligenti

Ambedue quelle teorie sono infatti fuori tempo massimo di fronte alla realtà dei fatti di un mondo macchinico che assedia, tanto gli Stati, quanto le Nazioni, e minaccia perfino l’Europa, l’Impero americano e lo Stato-Civiltà cinese. Quando Elon Musk dialoga alla pari con Trump, Putin e Xi Jinping sulla guerra in Ucraina e sul futuro di Taiwan, rischiando di scatenare in America una nuova guerra civile. Quanto gli “spioni” di tutto il mondo, ma prima di tutto americani, hanno costituito dossiers su tutti noi, e in particolare sui nostri politici, per ricattarli e fare scattare scandali a orologeria quando non rispettino le direttive atlantiche.

Con Musk (e con gli “spioni”)possono dialogare alla pari solo la Cina e, forse, gli Stati Uniti e la Russia.I difensori di uno status quo ammantato di retorica “democratica” (è il caso di Mauro) si preoccupano del “nazionalismo democratico” di Meloni che avrebbe la colpa di tracciare i propri limiti  sulla base di “tradizione”, “pratica religiosa”, “famiglia”, “identità culturale”, non già sul “patriottismo costituzionale”. Invece, non si rendono conto  che, né l’uno, né l’altro, può sopravvivere in un mondo governato centralmente dai GAFAM secondo meccanismi tecnici impersonali.Né lo Stato nazionale italiano, né la “nazione” italiana, hanno neppure le risorse intellettuali per partecipare a questo dibattito. Un dibattito che, senza Ippocrate, Cartesio, Pascal, Lessing, Voltaire, Kant, Hegel, de Maistre, Kierkegaard,Dostojevskij,  Nietzsche, Freud, Coudenhove Kalergi, Saint-Exupéry,Drieu La Rochelle, non può neppure iniziare.

Chi spadroneggia nel mondo è l’”Impero nascosto” americano con i suoi GAFAM, a cui possono opporsi soltanto altri imperi di pari spessore.

Seguendo due opposte, ma convergenti, scuole di pensiero, i politici di sinistra e di destra vivono invece in simbiosi con i GAFAM, ne accettano le lusinghe, delegano loro importantissime funzioni pubbliche e di sicurezza, disattendendo sistematicamente sentenze come quelle Schrems, e teorizzando addirittura questo loro comportamento, come ha fatto il garante europeo della privacy, il polacco Wewiòrowski, in base al fatto che“è meglio condividere le informazioni con chi ha gli stessi nostri valori”. Certo, la nostra privacy è in ottime mani.

Abbiamo l’impressione che gli uni e gli altri facciano deliberatamente a gara nel “parlare di altro” per distrarre l’attenzione dell’ opinione pubblica, delle Autorità e delle Forze Armate, dal vero e urgente pericolo che siamo correndo: quello di una guerra mondiale tecnologica combattuta, sul territorio europeo, dalle Macchine Intelligenti dei due blocchi, senza che l’Europa si possa difendere, ma, anzi, essendo invasa da bombe atomiche e droni assassini altrui, attirati dalle basi NATO e dalle testate nucleari che queste contengono. Peggio che ai tempi della Guerra Fredda, la cui definizione ufficiale era “coesistenza pacifica”, ed era davvero più “pacifica” dell’ attuale “Terza Guerra Mondiale”.

Da questa prospettiva non ci può salvare, né lo Stato nazionale italiano, semplice “clone” dello standard “occidentale”, né la “nazione” moderna, espressione, secondo le idee di Fichte, Herder e Mazzini, del generale moto verso il “Progresso”, che ci hanno invece portati alla “Guerra nell’ Era delle Macchine Intelligenti”. Ci vuole un’ Europa che, come l’India e la Cina, ricostruisca, in modo moderno, gli antichi Imperi in cui si erano incarnate le sue variegate tradizioni, divenendo essa stessa uno “Stato-Civiltà”, e dando così il proprio contributo, originale ma non egemonico, alla definizione del futuro del mondo.

L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE

NELLA TERZA GUERRA MONDIALE

Uno dei recenti libri più preveggenti e premonitori sull’avvenire dell’ Umanità è stato“La guerra al tempo delle macchine intelligenti” di Manuel De Landa, del 1991.

L’Autore, partendo dalla “teoria del Caos”, descrive, in modo assolutamente originale (anche se ispirato, in ultima analisi, da Eraclito), la storia umana come una storia di armi, intesa cioè come l’evoluzione, con una forma di parassitismo, delle macchine dal comportamento umano, e, in particolare, dal comportamento bellico.

Le macchine sono sempre state prioritariamente armi, dall’amigdala, all’ arco, alle armature, alle armi bianche, fino a quelle da sparo, ai veicoli, e, finalmente, alle macchine intelligenti, anch’esse nate come sottoprodotto dei finanziamenti pubblici per la Difesa (il DARPA, fondatore di DARPANET, alias Internet).

In questi ultimi 30 anni, le macchine hanno fatto progressi da gigante, incominciando a sostituirsi agli umani in molti compiti, a cominciare da quelli bellici. Con questa “Guerra Mondiale a Pezzi”, il “Phylum Macchinico” (come lo chiama De Landa) incomincia a orientare il comportamento degli umani, innanzitutto influenzando le elezioni, e, poi, guidando le strategie belliche, commerciali e finanziarie.

E’ significativo che i vertici delle società informatiche (che potrebbero essere visti come degli “ambasciatori del Phylum Macchinico”) svolgano un ruolo sempre più importante nella politica americana, e, di riflesso, riescano ad incidere in modo decisivo anche sui Paesi occidentali  influenzati dalle scelte americane. Ultimi casi, la presunta corruzione dei vertici di Sogei da parte del gruppo Musk, come pure l’acquisizione, da parte di un fondo americano, della principale impresa robotica italiana.

1. l’Intelligenza Artificiale in Ucraina, Palestina e Iran

Nel frattempo, le guerre in Ucraina e nel Medio Oriente proseguono con un ampio utilizzo dell’intelligenza artificiale, e, in primo luogo, dei droni assassini, usati tra l’altro nell’ uccisione mirata di leaders politici o militari avversari (in cui eccelle Israele, ma anche Hamas ci sta tentando).

Come è oramai  abbastanza chiaro a tutti, il rischio che le armi guidate dall’intelligenza artificiale sfuggano di mano è elevatissimo, anche perché esistono compiti di tecnica militare (come la programmazione e la guida di scenario, come la sorveglianza contro attacchi imprevisti, come l’antiaerea – pensiamo all’ “Iron Drome” israeliano-), che sono oggi svolti quasi esclusivamente da macchine intelligenti, il cui funzionamento, specie in condizioni di stress, non sempre è ineccepibile, così come aveva dimostrato plasticamente già  nel 1983 il fallimento del sistema sovietico “OKO”.

Per questo motivo, per quanto importanti possano essere i vari settori di applicazione dell’algoretica, e le diverse discipline giuridiche che sono state escogitate per farvi fronte, nessuno di esse supera per rilevanza il settore Difesa. Anche perché, con l’abbandono della Coesistenza Pacifica e dei Trattati per il Controllo degli Armamenti,  l’entrata in campo di nuovi attori, i missili ipersonici e la proliferazione nucleare, gli scenari bellici divengono sempre più indecifrabili, rendendo quasi impossibile il compito degli strateghi “umani”, come illustrato brillantemente da Eric Schmidt ai vertici dell’aeronautica militare americana.

al Circolo dei Lettori di Questo tema è stato illustrato e discusso Torino il 28 ottobre da Francesca Farruggia, dell’ Università di Roma 1 e da Ettore Greco, vice-Direttore dell’IAI.

Il risultato del dibattito è stato piuttosto sconfortante.

Innanzitutto, gli oratori hanno constatato  che, purtroppo, negli ultimi decenni, la situazione del controllo degli armamenti si è deteriorata per una serie concomitante di sviluppi: il deterioramento dei rapporti fra Ovest, Est e Sud del Mondo; i conflitti armati in corso; la maggior efficienza delle armi di distruzione di massa (in particolare i missili ipersonici e i droni di tutti i tipi). Ciò ha portato all’ uscita, da parte delle grandi potenze, dalla quasi totalità dei trattati per il controllo degli armamenti. Le discussioni in corso presso le Nazioni Unite e il Consiglio d’Europa, a cui si riferisce il nostro libro “La regolamentazione internazionale dell’Intelligenza Artificiale”

2.L’esigenza di nuovi trattati internazionali sull’Intelligenza Artificiale nel settore della Difesa

Il principio basilare del controllo umano, sancito dalle scarse norme esistenti in materia, diviene sempre più evanescente di fronte a guerre nucleari che si potrebbero concludere anche solo in pochi minuti. Questo ha reso l’uso dell’ Intelligenza Artificiale inevitabile. Probabilmente, il controllo va spostato alla fase della programmazione, ma l’esito diventa sempre più aleatorio. Probabilmente, occorrerà tonare a limitazioni delle disponibilità di certi tipi di armi di distruzione di massa.

Nello stesso tempo, nonostante l’intercessione in tal senso da parte di eminenti personaggi super partes – come  il Papa Henry Kissinger(poco prima della sua morte), e, infine, il Segretario generale delle Nazioni Unite, Guterres-, i negoziatori dei nuovi trattati internazionali sono lontanissimi dall’ estendere al settore Difesa (ma perfino a quello delle grandi piattaforme) gli atti normativi sull’ IA in discussione di fronte al legislatore europeo e internazionale.

Addirittura, quello che è in discussione alle Nazioni Unite sarebbe un trattato molto limitativo, limitato all’ uso bellico dei soli droni. Eppure, anche questo trattato è fermo da moltissimi anni.

In questa situazione, vi è, parallelamente alla corsa agli armamenti, anche quella all’ Intelligenza Artificiale. Ciò che è più preoccupante è il fatto che, fra i “vantaggi” dei robot, vi è anche e soprattutto quello di essere in grado di sopravvivere anche in condizioni ambientali che sarebbero esiziali per gli umani, primo fra questi, quello della guerra NBC (la “Guerra Nucleare, Batteriologica e Chimica”), il che rende sempre più realistico lo scenario della sostituzione dell’uomo con le macchine in occasione della guerra in corso, e grazie ad essa.

Infine, desta preoccupazione anche il fatto che molte delle ideologie più in voga (a cominciare dal Postumanesimo, per continuare con la “Fine della Storia”, fino ai diversi integralismi religiosi), abbiano un’origine e una matrice prettamente apocalittiche, dove l’Apocalisse, coerentemente con le sue radici zoroastriana e biblica, non costituisce un evento traumatico e isolato, bensì un processo che avvolge tutta la storia,e che è, per alcuni, positivo, e, per i più, inevitabile. Ciò restringe sempre più il ruolo riconosciuto al Libero Arbitrio, già soffocato dalle teologie protestanti, e, poi, dalle impostazioni scientistiche, secondo cui non esisterebbe la libertà umana, in quanto ogni azione sarebbe preordinata da natura, genetica, storia, economia e medicina.

3.E’un pericolo evitabile?

Certo, neppure le tesi di coloro che credono che l’umanità possa determinare, almeno parzialmente, la propria sorte, sono esenti da contraddizioni. Intanto, normalmente si tratta di scettici, che, in coerenza con le idee di Wittgenstein, Heisenberg, De Finetti e Feierabend, non credono di avere alcuna garanzia che le proprie azioni possano avere un qualsivoglia impatto sulla realtà. In secondo luogo, negando che vi sia alcuna comunicazione fra essere e dover essere, non possono fondare le proprie scelte su nulla. In terzo luogo, quand’anche essi ravvisino la radice dei comportamenti umani a elementi irrazionali, come l’istinto, l’intuito, la fede o il sentimento, non possono chiamare questo “libertà”, perché anche in questi casi gli umani sono più trascinati che non attivi.

Vi è una contradizione fra l’onnipotenza e l’onniscienza di Dio.

Forse, l’unico fondamento credibile in un mondo relativistico è costituito dall’ identità, elemento contestato fin dal suo”scopritore”, Hume, ma sempre risorgente sotto nuove forme, individuali o collettive, quale ragion d’essere misteriosa ma efficiente del comportamento di persone, gruppi e popoli. Ciò che ci spaventa delle Macchine Intelligenti è proprio che esse ci tolgono l’Identità. Se i nostri comportamenti sono sempre più conformati da meccanismi impersonali e comunque non umani, dove vanno a finire la nostra unicità, i nostri legami, le nostre tradizioni? Questa è la grande paura a cui si danno molti e contraddittori nomi: nichilismo, comunismo, relativismo, globalizzazione, capitalismo…

I più cercano di convincerci che la tecnica è “neutra”, nel senso che se ne può fare tanto un uso “buono” (per esempio, alleviare le malattie) quanto un uso “cattivo” (per esempio, bombardare). Non condividiamo questo semplicismo. La tecnica è “antiumana” per il fatto stesso che mira a  sostituirci. Questo è “un bene” per coloro che da tempo predicavano la necessità di  cancellare l’Umanità (i primi buddhisti, Teilhard de Chardin, forse Nietzsche), ma non lo è per coloro che credono che l’istinto di auto-conservazione (“Selbst-behauptung”) sia legittimo, e, forse, provvidenziale.

Così come ci risulta difficile comprendere come possa funzionale la libertà umana, altrettanto difficile sembra immaginare come si possa por fine a questa corsa verso l’autodistruzione. Alcuni affermano, facendo seguito, chi al determinismo marxista , chi alla teoria dello sviluppo di Rostow, che è impossibile frenare lo sviluppo tecnico, e che non resta che adeguarsi (l’”Uomo Antiquato” di Anders; l’”Anarca”di Juenger). Altri, come Heidegger, pensano che solo una Teofania (l’”Evento”) possa salvarci.

Questi dubbi filosofici spiegano forse la difficoltà di convincere l’opinione pubblica e le autorità ad impegnarsi in questa materia, tanto sul piano teorico (cercando di trovare una teoria convincente su quanto ci sta accadendo), e sul piano pratico (cercando di delineare dei percorsi per la fuoriuscita da questo pericolo).Infatti, è facile scoraggiarsi di fronte all’ enormità della sfida e alla vaghezza delle idee in proposito

Nessuno nega la difficoltà  di questo compito, specie per una popolazione deresponsabilizzata da decenni di propaganda, di partitocrazia, di burocrazia, di declino economico. Eppure, se mai vi fu l’esigenza di un impegno pubblico, questo è ora. I pericoli della Bomba, del surriscaldamento atmosferico, delle migrazioni incontrollate, sono nulla in confronto al pericolo di una guerra totale accompagnata dal sopravvento delle Macchine Intelligenti.

4.La nostra campagna

Buona parte delle nostre attività ruotano intorno a questa problematica:

a)la cultura contemporanea offre strumenti per progettare il futuro?

b)Vale ancora il principio che “è meglio che vi sia qualcosa piuttosto che non vi sia nulla?”

c)Quale forza può restituire all’ Umanità ormai insterilita la motivazione a vivere e a svilupparsi?

d)Un adeguato mix di culture mondiali può supplire al nichilismo di quella occidentale?

e)In che modo trarre profitto dall’auto-affermazione del Sud del Mondo per ringiovanire il dibattito filosofico?

f)Quale apporto può fornire l’Europa a questo dibattito?

g)Come può l’Europa portare avanti questo contributo nonostante la sua debolezza geopolitica e militare?

h)Come giocano in tutto questo le lotte politiche all’ interno degli Stati Uniti?

i)I BRICS e le Nazioni Unite possono esercitare un ruolo proattivo davanti allo spadroneggiare dei GAFAM nei Paesi occidentali?

l)Quali contenuti dare ai trattati internazionali in gestazione, per colmare le intollerabili lacune in materia di Intelligenza Artificiale Militare e di predominio incontrastato dei GAFAM?

Per questo abbiamo redatto il documento di lavoro “La regolamentazione internazionale dell’ Intelligenza Artificiale” .

Invitiamo tutti a dare il loro contributo di idee e di azione.

5.”Non copiare”?(cfr.Francesco Giavazzi, Corriere della Sera)

Per quanto  vari aspetti dell’ Intelligenza Artificiale che ad altri sembrano essenziali (come roboetica, transizione verde, arretratezza europea) siano messi in ombra, a nostro avviso, dall’ incombere della Terza Guerra Mondiale, purtuttavia, quest’ultima ha anche un impatto così onnipervasivo, da condizionare tutti i settori della vita umana, e, in primo luogo, la competizione economica mondiale, che anche quest’ultima, all’ alba della Singularity, non può essere descritta se non come una “guerra economica”.

Senza perderci in complesse elucubrazioni teoriche, vorremmo ricordare alcuni esempi nella storia industriale piemontese, in cui si vede che, a dispetto delle consolanti “grandi narrazioni” dell’ “establishment”, l’avanzamento tecnologico nel XX° secolo è stato strettamente legato a fattori bellici. Incominciando dal sostegno della RIV all’esercito russo zarista già nel 1912, allo “spezzatino” della SKF ordinato dall’ antitrust americano, dal ruolo determinante esercitato sullo sviluppo di Torino dal contributo della Fiat allo sforzo bellico, nella guerra italo-turca, nella 1° e nella 2° guerra mondiale, per passare ai ruoli di intelligence dell’ Ing. Olivetti e alle singolari circostanze della morte sua e del Prof.Chu, “padre” dell’ informatica Olivetti, come pure all’ importanza del militare e dell’ aerospaziale per FIAT Avio e Alenia, con collaborazioni tanto con la Russia, quanto con l’Ucraina.

La politica di privilegiare il “copiare” rispetto all’ “inventare” risale proprio alla subordinazione dell’economia italiana ai grandi gruppi internazionali, che sta dietro al delitto Matteotti, come alla cancellazione dell’ Olivetti informatica, agli accordi nel settore aerospaziale, al boicottaggio dei campioni europei, come Concorde, Auditel, Airbus, EADS…

Gli Americani, divenuti dominanti, non potevano accettare di essere secondi a un loro “alleato” in nessun campo, come si vide con l’inspiegabile ordine dato alla General Motors di comprare (per chiuderla), la Olivetti elettronica proprio mentre stava realizzando (clandestinamente, sotto la nuova governance americana), di 44000 personal computers al mercato americano.

Il timore di fare la fine di Olivetti e di Mattei ha spinto gl’imprenditori italiani verso una politica di bassissimo profilo. Ricordo un’indagine all’ interno del  Gruppo FIAT, in cui i 12 Capi-Settore avevano risposto unanimemente che era meglio copiare che non inventare. Ricordo anche il grande stupore di tutti quando avevo intrapreso un’indagine simile all’ interno del Settore Componenti, basata su una raccolta di dati sulle licenze attive e passive, da cui risultava che, contrariamente ai miti correnti, le società del settore ricevano, per brevetti e know-how, più canoni di quanto ne pagassero a terzi. Evidentemente, la paura di ritorsioni aveva spinto tutti, anche coloro che la proprietà intellettuale l’avevano, a nasconderla accuratamente. Ma, come scrive Giavazzi sul Corriere della Sera, “Quando un’economia raggiunge la frontiera della tecnologia, ‘crescere per imitazione’ ,non è più possibile: bisogna innovare, saperlo fare”.

Orbene, non è che gl’Italiani non lo sappiano fare, è che gli si è impedito di farlo, e per un periodo così lungo, che essi vi si sono veramente disabituati.La frontiera della tecnologia la si era raggiunta molto tempo fa, con i primi motori a reazione e i primi computer, che si è manovrato in modo che restassero per sempre appannaggio degli USA, o, qualche volta, degli Anglosassoni in generale, sempre per mantenere l’Europa sottomessa. Pensiamo per esempio ai cacciabombardieri Tornado e Typhoon, o ai motori Safran, co-prodotti con imprese americane e inglesi con formule di “risk and revenue sharing” in cui il “lead partner” è sempre stato un’impresa anglosassone.

Ancor peggiore è la situazione nell’ informatica, in cui,60 anni dopo i primi computer Olivetti, imprese europee di dimensioni apprezzabili non ce ne sono ancora, e i Governi trattano sempre (in modo poco trasparente) con i  soli GAFAM.

La soluzione suggerita da Gavazzi è quella sempre adottata in realtà in questi 80 anni: dare incentivi a imprese (o filiali) localizzate in Europa (ma magari di proprietà americana), per progetti americani (basti pensare a tutto il settore aeronautico). L’incremento della spesa militare  conseguente alla guerra in Ucraina non ha fatto che peggiorare questa situazione, a causa della gran massa di acquisti diretti negli USA (magari con i soldi del PNRR). E questo proprio quando il Parlamento Americano, con l’Inflation Reduction Act, ha fatto proprio l’obiettivo del Senatore Shumer, quello di “mettere fuori mercato il mondo intero”.

Cosa che si sta realizzando puntualmente (ma nei soli paesi occupati dagli USA, come Germania-vedi VW-, Europa e Giappone), mentre il resto del mondo (p.es., Cina, Paesi Arabi, Russia) sta procedendo a gonfie vele.

DALL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE ALL’ UCRAINA: LA GUERRA CIVILE TECNOLOGICA

Uno dei pochi pregi di  questi Anni ’20 del XXI° Secolo è stato quello di aver portato in superficie le contraddizioni dell’età postmoderna, e, questo, soprattutto, nella nostra Europa:

-Prima contraddizione- la neutralità della tecnica, demitizzata dalla politicizzazione dell’ informatica

-Seconda contraddizione- la Fine della Storia, demitizzata dalla “Guerra senza Limiti”

-Terza contraddizione- la Pace Perpetua, demitizzata dalla guerra ormai millenaria in Palestina

Alla fine del secolo precedente ,era stata diffusa l’idea che l’economia sarebbe stata la forza trainante della politica, e ciò avrebbe reso la vita di tutti più semplice e pacifica. Ciò era stato interpretato,  al tempo dell’ “egemonia culturale della sinistra”, come equivalente ad un preteso “carattere irreversibile del socialismo”, in quanto il marxismo avrebbe risolto in senso materialistico l’”Enigma della Storia”; poi, dopo la caduta del Muro, come il convergere di tutto il mondo sul modello consumistico (l’”Uomo a una Dimensione”), e, infine, dopo le Guerre del Golfo, come il sigillo del prevalere definitivo del sistema occidentale: la “Fine della Storia” teorizzata dal primo Fukuyama.

Negli ultimi decenni, si è visto invece che la storia, lungi dall’essere terminata, si è messa a correre più che mai, con  l’Islam politico, la Società del Controllo Totale, il multipolarismo, i GAFAM, le guerre in Irak, Afghanistan, Georgia, Siria, Libia, Yemen, Ucraina, la Via della Seta….In questa storia rinnovata, l’informatica svolge non casualmente un ruolo centrale, con la Transizione Verde, i Droni, i Missili ipersonici, l’Intelligenza Artificiale, Echelon, Prism, Snowden, Assange, l’invasione di campo nella politica da parte di Kurzweil, Zuckerberg, Schmidt, Musk, Jack Ma…

In particolare, il  Ventunesimo si annunzia, non già come la Pace Perpetua, bensì come un secolo di conflitti immani. Avevamo infine subito per tutto questo tempo un indottrinamento martellante circa il fatto che, grazie alla IIa Guerra Mondiale, all’Alleanza Atlantica e all’ Unione Europea, saremmo alfine pervenuti a quell’era fortunata, profetizzata nell’ Apocalisse e laicizzata da Kant e da Hegel, in cui, finiti tutti i conflitti, l’unico fatto rilevante per il divenire umano sarebbe stato lo sviluppo della scienza e della tecnica (la “Posthistoire” di Kojève e di Gehlen). Invece, non solo i conflitti ancestrali, come quelli palestinese-israeliano (che ha radici nella Bibbia), indo-pakistano (dei tempi delle invasioni islamiche) e greco-turco (che risale alla caduta di Costantinopoli), non hanno cessato d’infuriare in sempre nuove forme, ma perfino nel cuore dell’Europa si è riacceso ora più che mai, prima in Transnistria e in Georgia, e,  poi in Ucraina,  uno scontro fra la Russia e l’ Occidente, che rischia, secondo le stesse dichiarazioni dei protagonisti,  di degenerare in una Terza Guerra Mondiale combattuta con armi atomiche.

Si tratta di una trasversale “guerra di religione”, fra i seguaci di un’interpretazione immanentistica e deterministica dell’Apocalisse e i sostenitori di una concezione “aperta” della storia, che si apparenta alla Seconda Lettera di San Paolo ai Tessalonicesi, ma anche alle concezioni cicliche della storia, indica e sinica. Essa può anche essere definita, come avevano scritto dei generali cinesi, come una “Guerra Senza Limiti”, combattuta in tutti i campi della convivenza umana: teologia, cultura, società, scienza, tecnica, politica, economia…ma anche “sul campo di battaglia” (per usare un termine tornato drammaticamente di moda).

Sul  “fronte europeo”  di questa guerra combattono, dunque, da un lato, l’”ideologia californiana”, sintesi fra provvidenzialismo puritano e transumanesimo (incarnatasi nella NATO e nella UE), e, dall’ altro, l’idea paolina del Katèchon, tramandataci da Ottone di Frisinga, Timoteo di Pskov, von Baader, Dostojevskij, Soloviov, Schmitt , Pietro Barcellona,  e, per ultimi, Dugin e il Patriarcato di Mosca. Esso si presenta dunque qui come una Guerra Civile, anzi, la prosecuzione  (in termini più radicali) delle due Guerre Mondiali, già definite appunto, da Ernst Nolte, come “Guerra Civile Europea”. Infatti, sono europei tanto la Russia, quanto l’Ucraina, tanto i filo-americani, quanto i “sovranisti europei”. Anche ideologicamente, vengono mobilitati Cosacchi e Chiese ortodosse, la Terza Roma e l’Europa delle Nazioni, l’ebraismo internazionale e il Parlamento europeo….

Questa paradossale coincidenza fra le due parti in conflitto, che addirittura si confondono e si scambiano i ruoli, rende questa vicenda particolarmente dolorosa. Basti ricordare come le opere letterarie classiche (Nestore di Kiev, il Canto della Schiera del Principe Igor, Mazeppa, la Fontana di Bahcisaray, Taras Bul’ba, l’Armata a Cavallo..) non facciano alcuna distinzione fra i due Paesi in guerra oggi in guerra. Oppure guardare qualche puntata del serial “Sluga Naroda”, che ha costituito la singolare “campagna elettorale” dello Zelenskij attore comico. Nel serial, tutti, a cominciare da Zelenskij stesso, allora esclusivamente russofono e perfino ignaro dell’ Ucraino, parlavano russo, e, quando qualcuno si azzardava anche soltanto a parlare con accento ucraino, veniva sbeffeggiato da tutti nella sala del Consiglio dei Ministri di Kiev.

Quella dolorosa sensazione è ancor più acuita dalla confusione che si è riscontrata all’ Europarlamento sulla votazione circa l’autorizzazione all’ Ucraina all’uso delle armi occidentali contro il territorio russo, che ha dimostrato ancora una volta, qualora ce ne fosse bisogno, che, sulle grandi questioni storiche, l’”establishment” non ha un progetto per l’ Europa, e si lascia guidare, chi dal servilismo verso gli USA, chi da un ben motivato timore per le basi americane in Italia che custodiscono bombe nucleari, chi, infine, da riflessi condizionati del tempo della Guerra Fredda.

1.Fine degli  equivoci europei

Il crollo dei tre miti, quello dell’egemonia dell’economia, quello della Fine della Storia e quello della Pace Perpetua, ha comportato automaticamente  la perdita di credibilità delle Retoriche dell’Europa quali consolidatesi dopo la caduta del Muro di Berlino. Il progetto di integrazione europea quale delineatosi nell’ immediato Dopoguerra conteneva in effetti un elevato grado di ambiguità. Da un lato, la tradizione europeistica “alta” risalente a Ippocrate, Erodoto, Strabone, Eginardo, Dante, Dubois, Podiebrad, Sully, Saint-Pierre e Coudenhove-Kalergi, che vedeva l’ Europa unita come un’esigenza permanente di carattere geopolitico (una “Translatio Imperii” parallela a quelle della Cina e dell’ India, incarnantasi nell’”Ancienne Constitution Européenne” di Tocqueville). Dall’altra, l’ideologia della Fine della Storia, incarnatasi nel messianismo persiano ed ebraico, nel provvidenzialismo imperiale romano, nel gioachimismo, nella “Dissidence of Dissent” protestante  (Anabattismo, Komensky, Puritanesimo),nella filosofia tedesca ( Kant, Hegel, Marx, Nietzsche), nel One-Worldism di Willkie e di  Benda, nella teologia materialistica di Teilhard de Chardin, nel funzionalismo di Mitrany e di Haas, nello storicismo di Kojève e perfino nel federalismo di  Spinelli e, soprattutto, di Albertini.

In una prima fase, che va dalla fondazione di Paneuropa da parte d Coudenhove Kalergi (1923) fino alla Dichiarazione di Copenhaghen del 1973 sull’Identità Europea, caratterizzato dall’ opera di Coudenhove Kalergi, Simone Weil, Duccio Galimberti, Altiero Spinelli, De Gaulle, Schuman.., le due tradizioni si erano equilibrate in un modo che tutto sommato corrispondeva alla “Ragion di Stato europea” delle Comunità Europee, stretta fra ortodossia atlantica e “modello sociale renano”.

Invece a partire dagli Anni Novanta, sotto l’influenza congiunta della “Lunga Marcia attraverso le Istituzioni” del Sessantottismo, teorizzata da Rudy Dutschke, dell’ Ideologia Californiana e del massiccio afflusso di reduci dal Socialismo Reale (come la stessa Merkel), s’impose sempre più la visione della costituenda  nuova Unione Europea quale Fine della Storia, una visione parallela all’ideologia americana della Singularity Tecnologica, ambedue eredi dell’egemonia culturale marxista, che non poteva però più coniugarsi con il blocco del Socialismo Reale.

Il confluire di queste tendenze nichilistiche stava (e sta) portando l’Umanità, e comunque, l’Occidente, verso l’autodistruzione, generata dalla sostituzione dell’uomo con le macchine, passando per il nichilismo, il moralismo, il razionalismo, l’egualitarismo, la burocrazia, il Worldwide Web, Prism, l’ideologia gender, il Manifesto Cyborg, la Società del Controllo Totale, il Pensiero Unico, il Politically Correct, la bioingegneria…Sembrava certo che, come profetizzato  da Kurzweil, l’”Ultimo Uomo” nietzscheano avrebbe passato le consegne alle “Macchine Spirituali”, vero “Uebermensch”, e queste avrebbero “deciso il destino dell’ Universo”, come scriveva, appunto, Kurzweil. Solo alcuni, isolati, autori (come Simone Weil e Pietro Barcellona ), avevano visto invece ”, sulla scia di Dostojevskij, l’ Europa quale punto di partenza per un rovesciamento della prospettiva modernistica (l’”Europa quale Katèchon).Una base, ahimè, troppo ristretta per fondarvi un vero movimento politico o anche culturale. In generale, prevaleva il pessimismo culturale (il “Mito Incapacitante”: Huxley, Asimov, Heidegger, Anders, Guénon, Evola, Zolla), finché, dal “di Fuori”, per dirla con Roberto Esposito, non sono venute le spinte che stanno sconvolgendo i termini della questione.

Il richiamo, fatto da Giorgia Meloni alla consegna del Global Citizen Award, al “Tramonto dell’ Occidente” è  quindi anacronistico. Quel celeberrimo libro di Spengler si riferiva in realtà alla fine dell’ Occidente Europeo,  che coincideva con l’inizio dell’ Occidente Americano, quale celebrato nel curriculum della Columbia University sui “Western Studies”. Il declino di oggi è invece quello dell’Occidente Americano, che, come diremo in conclusione, potrebbe essere una splendida occasione per la rinascita dell’ Occidente Europeo. Non è che gli Europei, contrariamente agli Americani,  “si vergognino delle loro tradizioni”: essi si rendono semplicemente conto che queste (eccellenza, cultura alta, differenza) non sono le stesse dell’America (egualitarismo, “midbrow”, omologazione). Mentre il “patriottismo europeo” è un sentimento costruttivo e necessario (per quanto raro, e, quasi, casuale), il preteso “patriottismo occidentale” di nuovissimo conio è una trappola, che permette agli omologatori e alle Macchine Intelligenti di calpestare le nostre identità. Quello italiano infine, non può “funzionare” nella storia se non è parte di quello europeo.

2.Le metamorfosi del “Sud del Mondo”

Nel periodo che va dalla Conquista dell’ America alla creazione dell’Unione Indiana e della Repubblica Popolare Cinese (nel 1949), i popoli del Sud del Mondo, e, più in generale, quelli “non occidentali”, avevano subito la storia in modo essenzialmente passivo, dalla festa avvelenata ordita da Pizarro contro gl’Incas (cfr. Blas Valera, Exsul Immeritus), alla Tratta Atlantica, alla distruzione delle Reducciones, al Trail of Tears, alle Guerre dell’ Oppio, all’Assedio di Delhi, allo Stato Libero del Congo, alla dissoluzione degl’imperi ottomano e russo, fino alle bombe di Hiroshima e Nagasaki.

Oggi invece essi si pongono quale elemento propulsivo della cultura e dell’economia mondiale.

E’ vero che i “14 Punti” di Wilson, la Conferenza di Baku dell’ Internazionale Comunista e la “Sfera Asiatica di Co-prosperità” del Giappone avevano già affermato il principio della decolonizzazione, ma si trattava sempre e soltanto di spinte “umanitarie” dei nuovi Stati emergenti del Nord del Mondo, per portare dalla loro parte i popoli coloniali, sostituendo, al “colonialismo” classico, il “neo-colonialismo”.

Invece, con la creazione della Unione Indiana, della Repubblica Popolare Cinese e, perché no, anche di Israele, e con il classico “Dialettica dell’ Illuminismo” di Horkheimer e Adorno,  iniziava ad affermarsi il principio della “Teshuvà” (Leo Strauss), del “ritorno” alle civiltà tradizionali. Il Mahatma Gandhi era vestito come un Sadhu dell’ India Meridionale, e usava l’arcolaio (oggi sulla bandiera dell’ India), metafora del “Cakravartin”, l’imperatore universale Hindu. La sua evoluzione ideologica era iniziata dalla lettura del Bhagavad Gita (il “Canto dell’ Illuminato” del Mahabharata); la sua prima opera programmatica, “Hind Swaraj”(“L’Indipendenza dell’ India”) partiva dal rifiuto della civiltà occidentale moderna..Anche l’inno della RPC incomincia con le parole 起来!不愿做奴隶的人= alzatevi voi che non volete essere schiavi!”

Inizia così la fase storica della vera e propria “decolonizzazione”, che avrà, come punti salienti, le rivoluzioni nazionali arabe e africane. Alla Conferenza di Bandoeng, il Sud del Mondo si identifica con i “Paesi non Allineati” e con la Cina. Tuttavia, questo movimento è ancora caratterizzato dall’ essere quei Paesi “in Via di Sviluppo”, per cui vi si destinavano programmi internazionali, appunto, di aiuto allo sviluppo. E’ solo con il crollo dell’Unione Sovietica che la Cina assurge a modello privilegiato per i Paesi non occidentali, e che la Russia intraprende un percorso di trasformazione, che la spinge,  alla fine, a porsi come  vertice ideologico del movimento di opposizione alla modernizzazione, riallacciandosi così alle tesi  di Roma “Terza Roma” e alle profezie di Soloviov sull’ Anticristo. Nello stesso tempo, l’ascesa delle “Tigri Asiatiche”, e, poi, le “Nuove della Via della Seta” promuovono il sorpasso dell’Asia sull’ America quale centro economico e tecnologico del mondo, sospingendola alla ricerca di “Valori Asiatici” comuni quale contrappeso a quelli “Occidentali”.

C’è solo da chiedersi  (come affermava alla TV russa Viaceslav Nikonov) se non sia un po’ paradossale che la Russia, il Paese nordico per eccellenza, si proponga come leader del Sud del Mondo.

La guerra generalizzata in corso in Ucraina, Medio Oriente e Sahel, che rischia in ogni momento di estendersi al Mar della Cina, e, quindi, al mondo intero, costituisce l’occasione in cui i ciascuno dei due contendenti: la NATO e il Sud Globale,  rivelano in modo palese (anche se tutt’altro che esaustivo) le loro rispettive motivazioni, che vengono ricondotte soprattutto alla “lotta per il riconoscimento”. Il “Sud Globale” contesta all’ Occidente (e soprattutto agli Stati Uniti), di pretendere,  pur rappresentando poco più del 10% della popolazione mondiale , di negare, in teoria come in pratica, ogni  legittimità alla gran varietà di culture del mondo( fra cui anche l’ Europa), considerate semplice “preistoria” dell’ America. A sua volta, l’”Occidente”, nelle sua due varianti -imperial-progressista e isolazionista-populista- insiste nel suo “eccezionalismo”(che si traduce nell’ “eccezionalimo americano”). Le “regole” tanto invocate dall’ Occidente, si rivelano essere quelle che tutelano, come ha detto Boris Johnson, l’egemonia occidentale, e vengono perciò regolarmente disattese quando a fruirne  potrebbero essere gli “altri”: pensiamo ad esempio all’ “autodeterminazione” dell’Europa dall’ America, della Catalogna dalla Spagna, del Donbass dalla Russia, della Palestina da Israele, che viene respinta quali lesione dell’ integrità territoriale di Stati sovrani nell’ ambito dell’ intoccabile Ordine Mondiale postbellico, mentre simili concetti non sono valsi per gli Stati Uniti nei confronti dell’ Inghilterra, degli Stati italiani pre-unitari invasi dal Regno di Sardegna, del Kossovo  sottratto alla Serbia, di Timor Leste e del Sudan Meridionale. Del resto, l’intero diritto internazionale si regge sulla consuetudine e, in sostanza, sul diritto del più forte (“ex facto oritur ius”). La maggior parte degli Stati del mondo è di costruzione recente, frutto di compromessi fra le Grandi Potenze e/o di atti fondativi quanto meno equivoci. Dedurne l’esistenza di altrettante “Nazioni” con una loro autonoma missione nella Storia è quindi fuorviante. Si pensi all’ indipendenza degli USA, dovuta in gran parte all’influenza della Francia di Luigi XIV, o a quella della Grecia, concordata fra Russia, Inghilterra e Stati tedeschi, e ambedue fondate su quella “sostituzione etnica” che i pretesi “sovranisti” dicono di voler oggi evitare come il fumo negli occhi.

3.La lotta per l’Intelligenza Artificiale

Della contrapposizione fra “The West and the Rest”, teorizzata già da Huntington in “Clash of Civilisations” non viene posta tuttavia in evidenza la natura più profonda: questa Guerra di Religione fra due ideologie (“democrazie” e “autocrazie”) è in realtà solo l’aspetto exoterico di un conflitto più profondo ed esistenziale, fra, da un lato,  l’Intelligenza Artificiale, e , dall’ altro le culture dell’ epoca assiale (San Jiao, Sanata Karma, cultura classica europea, Religioni del Libro, filosofie dei popoli pre-alfabetici). Infatti, l’Intelligenza Artificiale pretende oramai di costituire l’avvenire stesso del mondo, sostituendo  il mondo umano, e riallacciandosi così alle sette apocalittiche e all’ idea di un Intelletto Attivo/Spirito Assoluto/Superuomo/Punto Omega, secondo cui “L’Uomo è qualcosa che va superato”. Mentre l’”Occidente” (Teilhard de Chardin, Kurzweil) saluta questa sostituzione come il compimento di antiche profezie le varie culture del mondo non intendono affatto  essere “superate”, perché hanno, della storia, una visione ciclica (gli Eoni,il  DaTong), quando proprio non ignorano addirittura (Cinese, Giapponese) il futuro grammaticale, oppure si attengono all’ idea paolina che la Parusìa “verrà come un ladro”, e non va “accelerata”.

Giacché, come affermato da gran tempo da Vladimir Putin, “chi controlla l’intelligenza artificiale controlla il mondo”, è ovvio che questa “guerra di religione” si combatta, in modo sempre più evidente, intorno all’ Intelligenza Artificiale. Già i progetti Echelon e Prism consistevano nel tentativo dell’Intelligence Community americana di avvolgere il mondo intero in una rete digitale capace di controllare ogni singolo movimento dell’ Umanità. Con i Social Networks, questo controllo si era diffuso a livello capillare attraverso le 6 grandi multinazionali americane dell’ informatica (i GAFAM). Come reazione, da un lato la Cina aveva creato le proprie multinazionali (i BAATX, di dimensioni ancor maggiori di quelle americane), e, dall’ altro, l’Unione Europea aveva tentato di mascherare la propria assenza con la pretesa efficacia extraterritoriale del proprio diritto dell’ informatica (il GDPR, l’Artificial Intelligence Act e il Digital Service Act), che però, come hanno dimostrato le sentenze Schrems, non può funzionare    verso i GAFAM per la connivenza delle Autorità europee e nazionali con quelle americane. Del resto, il primo che abbia tentato di applicare in modo extraterritoriale il Digital Services Act una norma (per quanto assurda) del Digital Services Act (il Commissario Breton), si è dovuto dimettere nel giro di pochi giorni  denunziando un preteso complotto contro di lui di Ursula von der Leyen.

I lodevoli principi (difesa della privacy, controllo umano sull’ AI) tradotti così male nella pratica dal legislatore europeo, sono stati invece recepiti in toto dalla legislazione cinese, con la sola differenza che, giacché la legge cinese è applicabile direttamente senza sconti alle multinazionali di quel Paese, ha portato immediatamente ad un’ondata di sanzioni (il “Crackdown sui BAATX”), fino a giungere all’ arresto di Jack Ma, il carismatico guru dell’informatica cinese, ridotto a un “silent partner” dell’impero da lui creato.

A questo punto, la lotta per il controllo dell’ AI si è frazionata in molti rivoli, confondendosi da un lato con la politica interna americana (con Musk che sostiene Trump e la Commissione Europea che pretende di censurare la sua creatura X), e con la guerra in Ucraina (con Musk che prima concede Starlink all’ Ucraina, poi gliela nega), e, dall’ altra, con la politica europea (la campagna, attualmente in corso su pressione delle multinazionali e capeggiata da Mario Draghi, per alleggerire le  ,già inefficaci, norme sull’Intelligenza Artificiale, e l’ennesimo ,ma infruttuoso, rilancio, per esempio, da parte di Roberta Bria, della proposta di creare delle imprese informatiche europee –come se non esistessero già le inefficienti QWANT e GAYA-X, che occorrerebbe intanto far funzionare-).

Oggi, i GAFAM scendono nell’ arena politica  “a gamba tesa”, con Schmidt che dirige ufficialmente la loro lobby al Congresso, Altman in bilico fra gli Arabi e Macron, e Musk che “premia” Giorgia Meloni a Washington, in attesa che Trump gli affidi un incarico di governo. E ne hanno ben d’ondevisto che c’è, una qualche timida mossa da parte dell’antitrust americano che agita per l’ennesima volta lo spuntato spauracchio dello “spezzatino” di Google (cosa che si sarebbe dovuta fare da decenni). Peccato che a nessuno venga in mente di fare un vero “spezzatino” come quello attuato dalla Cina, dove, per ogni servizio reso in Occidente dai GAFAM, c’è un analogo servizio cinese reso da uno o più BAATX, ma con un maggior numero di utenti e con più concorrenza.

La Russia, anche in considerazione delle diverse dimensioni del mercato e della diversità delle lingue, ha percorso un iter intermedio.Già a partire dalla metà degli anni Novanta, essa aveva proposto agli Stati Uniti una bozza di trattato internazionale sulla sicurezza delle informazioni che fu però rifiutata da Washington, in quanto – secondo gli Americani – implicava un controllo statale sui dati nel web (cosa che per altro negli USA è continua, da parte della NSA, come sanno Snowden e Schrems). La Russia propose poi, senza successo, la stessa nozione di sicurezza delle informazioni in seno alle Nazioni Unite (da sempre schierate a fianco dei GAFAM).

Nel 2014, la Russia ha adottato una legge che obbliga tutte le aziende che operano online a mantenere e gestire i dati dei cittadini russi su server locati sul territorio nazionale.. La legge dimostra anche il crescente allineamento politico tra Russia e Cina, dopo la firma di accordi bilaterali che delineano una visione condivisa per il futuro di internet. Uno di questi è l’accordo di cooperazione sulla sicurezza internazionale delle informazioni del 2015: già allora si sottolineò l’importanza di diffondere l’idea di un “internet sovrano”.

Nel 2019,è  entrata in vigore anche una legge che vieta la diffusione online di “fake news” da parte di mezzi di comunicazione di massa e singoli cittadini, simile a quella europea che Breton ha improvvidamente tentato di applicare a Musk e a Trump. Questa stretta legislativa sulla libertà d’espressione può essere spiegata come tentativo per arginare le manifestazioni di dissenso popolare Tuttavia, la guerra in corso dimostra che il controllo su Internet serve, più che ad arginare proteste popolari, ad impedire alle piattaforme ostili di utilizzare i dati degli utenti nazionali, che sono, innanzitutto, una risorsa commerciale determinante, ma, soprattutto, forniscono dati fondamentali sulla preparazione bellica (andamento della popolazione e dell’ economia, consumo di energia e materie prime…, orientamenti dell’ opinione pubblica.. ), che permettono di orientare le azioni belliche nella guerra in corso.

Nonostante questo, la legge russa non prevede ,come quella cinese,  l’isolamento totale dell’ internet nazionale da quello occidentale (e questa può essere la ragione di varie “débacles” nell’ Operazione Militare Speciale, dovute alla cooperazione delle intelligence occidentali), bensì si limita a porre in essere le condizioni per staccarsene in caso di emergenza. Paradossalmente, questa completa frattura non si è ancora verificata, forse perché (anche a causa delle dimensioni del mercato) le piattaforme russe non sono in grado di soddisfare tutte le esigenze degli utenti locali. La collaborazione con la Cina potrebbe colmare questa lacuna.

4.Le Grandi Piattaforme (GAFAM e BAATX) non sono imprese, bensì Stati totalitari

Nei giorni scorsi, il “team” di Facebook ha rimosso un articolo pubblicato sul sito “Nessun dorma” di Franco Cardini e, appunto, condiviso sulla sua pagina social. Franco Cardini ha risposto che “La motivazione iniziale – ‘il post non rispetta gli standard della community’ – risponde al solito refrain di una piattaforma che spesso non si fa scrupoli nel rimuovere contenuti “scomodi” che non rispondono al pensiero unico ma all’opinione individuale, “libera”, espressa altresì in modo civile. Forse nessuno di noi ha ancora veramente capito in cosa consistano ‘gli standard della community’ e quali siano le circumnavigazioni algoritmiche che decidono di rimuovere un contenuto senza troppi complimenti. “

Sul fatto che le piattaforme digitali siano un fenomeno abnorme, che stravolge tutti i concetti sui quali si sono basati fino ad oggi diritto ed economia, sono oramai d’accordo tutti, perfino l’FMI, che suggerisce agli USA di dare più spazio all’ antitrust, imbavagliato da quando, essendo caduto, nel 1989, il Muro di Berlino, i GAFAM hanno potuto esercitare senza limiti (anche e soprattutto a vantaggio della NSA) i loro poteri esorbitanti.

Come ha scritto su Milano Finanza Emilio Cavano, “abbiamo creato mostri. E’ tempo di arginarli.”

Nessuno, per altro, si è curato di descrivere nel dettaglio tutti i settori in cui l’informatica è determinante, e quindi i tipi di diritto con cui dovrebbe venire in contatto, e da cui dovrebbe, ma non viene , essere regolato. Tentiamo qui di farlo noi:

AREE DI ATTIVITA UMANERUOLO ATTUALE DEI GAFAMDIRITTO APPLICABILE
ReligioneLa religione della tecnologia si è sostituita, come previsto da Saint-Simon e Teilhard de Chardin, a quelle tradizionaliDiritto costituzionale. Diritto ecclesiastico
CulturaL’Intelligenza Artificiale si è sostituita a quella umanaDiritto dei mezzi di comunicazione
PoliticaIl web è il principale canale di dibattitoDiritto costituzionale
DifesaL’IT è essenzialmente spionaggioDiritto sul segreto militare Diritto penale militare
EconomiaI GAFAM sono le imprese con il maggior livello di capitalizzazioneLegislazione di banca e borsa Antitrust
FiscalitàI GAFAM sfuggono quasi completamente al fiscoDiritto fiscale internazionale
Liberà di espressioneIl web, divenuto il più importante mezzo di comunicazione, condiziona pesantemente l’opinione pubblicaLegislazione sulla stampa, la censura e le elezioni

E’ impressionante che tutti i politici europei e nazionali intrattengano rapporti strettissimi con i guru dei GAFAM, che palesemente sfruttano il mercato europeo senza dare nulla in cambio, sottraendo all’ Europa  miliardi di dati dei cittadini europei, senza mai neanche porsi la questione che invece si pongono a ragione le autorità cinesi e perfino americane, vale a dire che quei guru contano molto più di loro e hanno assoggettato i loro Stati ad una vera e propria tutela. Una tutela totalitaria, perché essa non ammette concorrenza: si infiltrano nelle nostre menti, le controllano e le censurano, e, comunque, spostano inimmaginabili flussi finanziari fuori dai nostri Paesi.

L’idea che la tecnica sia “neutra” è smentita dai fatti: i guru dell’ informatica sono  dichiaratamente partigiani di una visione del mondo millenaristica, e costituiscono, con le loro idee, le loro alleanze, i loro soldi, le loro lobbies, le loro macchine, dei portatori potentissimi delle ideologie postumanistiche.

5.L’obiettivo dell’ Europa, ma anche delle Nazioni Unite, non può essere la Pace Perpetua

L’esperienza storica dimostra che il conflitto è coessenziale all’Umanità, come affermavano già Eraclito, Bertran de Borns, De Maistre, Nietzsche e Freud. Abolire l’alterità equivale ad abolire l’Umanità, come ben sapeva lo stesso Kant, a torto indicato come il cantore della “Pace Perpetua”. Infatti, come scriveva lo stesso Kant, non si può “raddrizzare il legno storto dell’ Umanità” (Isaiah Berlin). Proprio questo costituisce infatti la Hybris, fonte prima dell’ Eterogenesi dei Fini (Wolff), in forza della quale i comportamenti umani sortiscono normalmente l’effetto opposto a quello perseguito dai loro autori. Ciò che i Greci chiamavano “fthonos ton theon”(“invidia degli Dei”), la stessa che, nella mitologia mesopotamica e nella Bibbia, aveva provocato il Diluvio Universale, e che oggi si manifesta nelle nevrosi, nella disoccupazione tecnologica, nelle Macchine Intelligenti e nella minaccia atomica. Esempio tipico, il tentativo di Serse, descritto da Erodoto nelle sue Storie, di portare la Persia, con la conquista dell’intera Europa, a “confinare con il regno degli Dei”. Una pretesa millenaristica  del mazdeismo ereditata, in Europa, non già dalle culture classiche, bensì dalle eresie delle Religioni del Libro, alle quali si è riallacciata la Modernità.

Per questo motivo, il “Patto per il Futuro” delle Nazioni Unite, appena adottato al Palazzo di Vetro con l’opposizione della Russia e dei suoi alleati e con l’astensione della Cina, suona come l’ennesima kafkiana “grida manzoniana” in un momento in cui centinaia di migliaia di soldati combattono su sempre nuovi fronti e gragnuole di missili, droni e altre armi intelligenti radono al suolo interi Paesi (come la Palestina, il Libano e il Donbass), mentre le potenze nucleari si minacciano reciprocamente l’uso dell’ arma nucleare. Basti, per convincersene, scorrere alcuni paragrafi del documento allegati al presente post.Questo, in palese contrasto con quanto affermato da Giorgia Meloni, che le organizzazioni internazionali non devono costituire un club dove si redigono “documenti inutili”.

Le Organizzazioni Internazionali, e perfino le Chiese, non raggiungeranno nessuno dei loro obiettivi fintantoché seguiranno la retorica di un mondo perfetto, mentre potranno invece essere determinanti se si renderanno conto che, oggi più che mai,  l’obiettivo primario, comune a tutti, è quello di sopravvivere (alla fame, alle bombe, alle macchine intelligenti): obiettivo per altro brillantemente conseguito per molti millenni grazie alle culture tradizionali, e che rischia di andare perduto a causa della frenesia perfettistica imperante, che andrebbe stroncata alla base, con una dottrina totalmente opposta.

6.L’Europa  deve passare dal campo dei fanatici millenaristi a quello della preservazione del Cosmo

Dalla più tenera infanzia, eravamo stati educati a credere a una Grande Narrazione occidentale che partiva dalla centralità del materialismo volgare rivestito di un moralismo ipocrita (la Prima Repubblica, le Comunità Europee); ci spiegava che la Storia è un faticoso percorso dalla scimmia al Superuomo (la “Teoria dello Sviluppo”); che i popoli antichi ed extraeuropei erano arretrati (Fukuyama); che i Moderni e gli Americani sono superiori (Huntington), e che il futuro dell’ Umanità sarebbe stato radioso (Teilhard de Chardin, Kurzweil). Se ci si provava ad obiettare che , mentre noi oggi siamo divenuti incapaci di creare (in tutti i sensi)perché le macchine ci hanno sostituiti,   gli antichi avevano le piramidi e Gilgamesh, il Partenone e Omero, la Bibbia e il Colosseo, l’esercito di Terracotta e il Genji Monogatari, l’Alhambra e la Divina Commedia, l’Ermitage e i Sepolcri, tutti ti “saltavano addosso” in nome del Progresso. Ora, un po’ meno.

Oggi, questa Grande Narrazione si presenta nella sua forma più pura, quella dello “Scontro di Civiltà” teorizzato nel secolo scorso da Samuel Huntigton. Un blocco di parole d’ordine ”auf  nichts gestellt”, per dirla con Goethe,cioè di  assai dubbio significato, messe insieme e ripetute maniacalmente per dare una fittizia illusione di realtà e coerenza: Centralità dell’ Uomo, Libertà, Democrazia, Governo delle Regole, Nazione, Autodeterminazione, Integrità Territoriale, Comunità Internazionale, Multilateralismo.

Ammesso che  avessero originariamente un senso reale, l’hanno perduto con la Guerra Fredda, il crollo dell’ URSS, l’informatica, le Covert Operations…

Oggi, invece, l’”establishment” dovrebbe addirittura esercitare una radicale autocritica, constatando che la scienza moderna ha distrutto la fede nel mondo obiettivo (Wittgenstein, Heisenberg, De Finetti, Feierabend); che lo sviluppo della cultura comporta anche la crescita della violenza (Auschwitz, Hiroshima, Nagasaki); che la tecnologia non sa più come ovviare ai suoi “effetti collaterali” (surriscaldamento atmosferico); che Internet  ci rende stupidi (Nicholas Carr); che l’obiettivo dell’ Intelligenza Artificiale è la distruzione dell’ Umanità (Bill Joy, Martin Rees). Contrariamente a quanto scrive Ezio Mauro su “La Repubblica”, non solo, nel “sistema occidentale”, non siamo mai stati liberi, ma tanto meno lo siamo ora nell’ Era delle Macchine Intelligenti. E’ vero che, come scrive Mauro, l’Intelligenza Artificiale e la guerra stanno anche stravolgendo concetti che parevano consolidati – nel caso specifico, quello di libertà-. Ma questo stravolgimento era in corso da gran tempo nella cultura “mainstream”, per esempio con l’attribuzione di  una connotazione di libertà a delle Rivoluzioni Atlantiche violente e genocidarie (pensiamo al colonnello Lynch, alle stragi di Lione); a movimenti nazionali non condivisi ed invece eterodiretti, per esempio dal Governo inglese, dalla Loggia Ausonia, dai finanziamenti occidentali a Mussolini…

A partire dalla Rivoluzione Americana e fino ad oggi,  veniva considerato ovvio che qualunque impegno civico, a sinistra come a destra, fosse volto verso una “società ideale”, con più etica, più cultura, più scienza, più tecnica, più benessere per tutti (il “mondo migliore” a cui ha fatto riferimento ancor ieri a Washington Giorgia Meloni). Oggi, l’impegno civico presuppone invece una scelta, pro o contro un “nuovismo” privo di logica e di progetto, e comunque deve dare la priorità alla reale preservazione del cosmo, senza retoriche “gride manzoniane” che nascondono soltanto una generale complicità con l’avanzata della Società del Controllo Totale.

Giustamente, Giorgia Meloni ha affermato che occorre invece agire. Combattere per la libertà europea è cetamente, oggi,più necessario che mai, ma ciò non significa certo appiattirsi sugli ordini da Occidente per fare la “guerra contro le autocrazie”, bensì elaborare una strategia con cui l’Europa possa uscire da questa guerra come indipendente da tutte le potenze esterne, divenendo essa stessa un autonomo Stato-Civiltà, capace di dare il proprio contributo, innanzitutto intellettuale, alla lotta mondiale attualmente in corso per il controllo sulle Macchine Intelligenti e, quindi, per la sopravvivenza dell’ Umanità.

ALLEGATO

ESTRATTO DAL “PATTO PER IL FUTURO”DELLE NAZIONI UNITE

“Action 21. We will adapt peace operations to better respond to existing

challenges and new realities.

42. United Nations peace operations, understood as peacekeeping

operations and special political missions, are critical tools to maintain

international peace and security. They face increasingly complex challenges

and urgently need to adapt, taking into account the needs of all Member States

and troop- and police-contributing countries, and the priorities and

responsibilities of host countries. Peace operations can only succeed when

political solutions are actively pursued and they have predictable, adequat e

and sustained financing. We reaffirm the importance of enhanced

collaboration between the United Nations and regional and subregional

organizations, in particular the African Union, including their peace support

operations and peace enforcement authorized by the Security Council to

maintain or restore international peace and security. We decide to:

(a) Call on the Security Council to ensure that peace operations are

anchored in and guided by political strategies, deployed with clear, sequenced

and prioritized mandates that are realistic and achievable, exit strategies and

viable transition plans, and as part of a comprehensive approach to sustaining

peace in full compliance with international law and the Charter;

(b) Request the Secretary-General to undertake a review on the future

of all forms of United Nations peace operations, taking into account lessons

learned from previous and ongoing reform processes, and provide strategic

and action-oriented recommendations for the consideration of Member

States on how the United Nations toolbox can be adapted to meet evolving

needs, to allow for more agile, tailored responses to existing, emerging and

future challenges;

18

(c) Ensure that peace operations engage at the earliest possible stage

in planning transitions with host countries, the United Nations country team

and relevant national stakeholders;

(d) Take concrete steps to ensure the safety and security of the

personnel of peace operations and improve their access to health facilities,

including mental health services;

(e) Ensure that peacekeeping operations and peace support

operations, including peace enforcement, authorized by the Security Council

are accompanied by an inclusive political strategy and other non -military

approaches and address the root causes of conflict;

(f) Encourage the Secretary-General to convene regular high-level

meetings with relevant regional organizations to discuss matters pertaining

to peace operations, peacebuilding and conflicts;

(g) Ensure adequate, predictable and sustainable financing for African

Union-led peace support operations mandated by the Security Council in line

with Security Council resolution 2719 (2023) of 21 December 2023.

Action 22. We will address the serious impact of threats to maritime

security and safety.

43. We recognize the need to address the serious impact of threats to

maritime security and safety. All efforts to address threats to maritime

security and safety must be carried out in accordance with international law,

including particularly as reflected in the principles embodied in the Charter of

the United Nations and the 1982 United Nations Convention on the Law of the

Sea,13 taking into account other relevant instruments that are consistent with

the Convention. We decide to:

(a) Enhance international cooperation and engagement at the global,

regional, subregional and bilateral levels to combat all threats to maritime

security and safety, in accordance with international law;

(b) Promote information-sharing among States and capacity-building

to detect, prevent and suppress such threats in accordance with international

law.

Action 23. We will pursue a future free from terrorism.

44. We strongly condemn terrorism in all its forms and manifestations

committed by whomever, wherever, whenever. We reaffirm that all terrorist

acts are criminal and unjustifiable regardless of their motivation or how their

perpetrators may seek to justify them. We highlight the importance of putting

measures in place to counter the dissemination of terrorist propaganda,

preventing and suppressing the flow of financing and material means for

terrorist activities, as well as recruitment activities of terrori st organizations.

We reaffirm that terrorism and violent extremism conducive to terrorism

cannot and should not be associated with any religion, civilization or ethnic

group. We will redouble our efforts to address the conditions conducive to the

spread of terrorism, prevent and combat terrorism, build States’ capacity to

prevent and combat terrorism and strengthen the role of the United Nations

system. The promotion and protection of international law, including

international humanitarian law and international human rights law, and

respect for human rights for all and the rule of law are the fundamental basis

__________________

13 United Nations, Treaty Series, vol. 1833, No. 31363.

19

of the fight against terrorism and violent extremism conducive to terrorism.

We decide to:

(a) Implement a whole-of-government and whole-of-society approach

to prevent and combat terrorism and violent extremism conducive to

terrorism, including by addressing the drivers of terrorism, in accordance with

international law;

(b) Address the threat posed by the misuse of new and emerging

technologies, including digital technologies and financial instruments, for

terrorist purposes;

(c) Enhance coordination of the United Nations counter -terrorism

efforts and cooperation between the United Nations and relevant regional and

subregional organizations to prevent and combat terrorism in accordance

with international law, while considering revitalizing efforts towards the

conclusion of a comprehensive convention on international terrorism.

Action 24. We will prevent and combat transnational organized crime and

related illicit financial flows.

45. Transnational organized crime and related illicit financial flows can pose

a serious threat to international peace and security, human rights and

sustainable development, including through the possible links that can exist

in some cases between transnational organized crime and terrorist groups.

We decide to:

(a) Scale up efforts in addressing transnational organized crime and

related illicit financial flows through comprehensive strategies, including

prevention, early detection, investigation, protection and law enforcement,

tackling the drivers, and engagement with relevant stakeholders;

(b) Strengthen international cooperation to prevent and combat

transnational organized crime in all its forms, including when committed

through the use of information and communications technology systems, and

we welcome the elaboration of the draft United Nations Convention against

Cybercrime.

Action 25. We will advance the goal of a world free of nuclear weapons.

46. A nuclear war would visit devastation upon all humankind and we must

make every effort to avert the danger of such a war, bearing in mind that “a

nuclear war cannot be won and must never be fought”. We will uphold our

respective obligations and commitments. We reiterate our deep concern over

the state of nuclear disarmament. We reaffirm the inalienable right of all

countries to develop research, production and use of nuclear energy for

peaceful purposes without discrimination, in conformity with their r espective

obligations. We decide to:

(a) Recommit to the goal of the total elimination of nuclear weapons;

(b) Recognize that, while the final objective of the efforts of all States

should continue to be general and complete disarmament under effective

international control, the immediate goal is elimination of the danger of a

nuclear war and implementation of measures to avoid an arms race and clear

the path towards lasting peace;

(c) Honour and respect all existing security assurances undertaken,

including in connection with the treaties and relevant protocols of nuclear –

weapon-free zones and their associated assurances against the use or threat

of use of nuclear weapons;

20

(d) Commit to strengthening the disarmament and non-proliferation

architecture and work to prevent any erosion of existing international norms

and take all possible steps to prevent nuclear war;

(e) Seek to accelerate the full and effective implementation of

respective nuclear disarmament and non-proliferation obligations and

commitments, including by adhering to relevant international legal

instruments and through the pursuit of nuclear-weapon-free zones to enhance

international peace and security and the achievement of a nuclear -weaponfree

world.

Action 26. We will uphold our disarmament obligations and commitments.

47. We express our serious concern at the increasing number of actions that

are contrary to existing international norms and non -compliance with

obligations in the field of disarmament, arms control and non -proliferation.

We will respect international law that applies to weapons, means and methods

of warfare, and support progressive efforts to effectively eradicate the illicit

trade in arms. We recognize the importance of maintaining and strengthening

the role of the United Nations disarmament machinery. An y use of chemical

and biological weapons by anyone, anywhere and under any circumstances is

unacceptable. We call for full compliance with and implementation of relevant

treaties. We reaffirm our shared determination to exclude completely the

possibility of biological agents and toxins being used as weapons and to

strengthen the Convention on the Prohibition of the Development, Production

and Stockpiling of Bacteriological (Biological) and Toxin Weapons and on

Their Destruction.14 We decide to:

(a) Revitalize the role of the United Nations in the field of disarmament,

including by recommending that the General Assembly pursue work that could

support preparation of a fourth special session devoted to disarmament

(SSOD-IV);

(b) Pursue a world free from chemical and biological weapons and

ensure that those responsible for any use of these weapons are identified and

held accountable;

(c) Address emerging and evolving biological risks through improving

processes to anticipate, prevent, coordinate and prepare for such risks,

whether caused by natural, accidental or deliberate release of biological

agents;

(d) Identify, examine and develop effective measures, including

possible legally binding measures, to strengthen and institutionalize

international norms and instruments against the development, production,

acquisition, transfer, stockpiling, retention and use of biological agents and

toxins as weapons;

(e) Strengthen measures to prevent the acquisition of weapons of

mass destruction by non-State actors;

(f) Redouble our efforts to implement our respective obligations under

relevant international instruments to prohibit or restrict conventional weapons

due to their humanitarian impact and take steps to promote all relevant

aspects of mine action;

(g) Strengthen our national and international efforts to combat, prevent

and eradicate the illicit trade in small arms and light weapons in all its aspects;

__________________

14 Ibid., vol. 1015, No. 14860.

21

(h) Address existing gaps in through-life conventional ammunition

management to reduce the dual risks of unplanned conventional ammunition

explosions and the diversion and illicit trafficking of conventional ammunition

to unauthorized recipients, including to criminals, organized criminal groups

and terrorists.

Action 27. We will seize the opportunities associated with new and

emerging technologies and address the potential risks posed by their

misuse.

48. We recognize that rapid technological change presents opportunities

and risks to our collective efforts to maintain international peace and security.

International law, including the Charter, will guide our approach to addressing

these risks. We decide to:

(a) Advance further measures and appropriate international

negotiations to prevent an arms race in outer space in all its aspects, which

engage all relevant stakeholders, consistent with the provisions of the Treaty

on Principles Governing the Activities of States in the Exploration and Use of

Outer Space, including the Moon and Other Celestial Bodies; 15

(b) Advance with urgency discussions on lethal autonomous weapons

systems through the Group of Governmental Experts on Emerging

Technologies in the Area of Lethal Autonomous Weapons Systems with the

aim to develop an instrument, without prejudging its nature, and other possible

measures to address emerging technologies in the area of lethal autonomous

weapons systems, recognizing that international humanitarian law continues

to apply fully to all weapons systems, including the potential development and

use of lethal autonomous weapons systems;

(c) Enhance international cooperation and capacity-building efforts in

order to bridge the digital divides and ensure that all States can safely and

securely seize the benefits of digital technologies;

(d) Continue to assess the existing and potential risks associated with

the military applications of artificial intelligence and the possible

opportunities throughout their life cycle, in consultation with relevant

stakeholders;

(e) Request the Secretary-General to continue to update Member

States on new and emerging technologies through the report of the Secretary-

General on current developments in science and technology and their

potential impact on international security and disarmament efforts.

III. Science, technology and innovation and digital cooperation

49. Science, technology and innovation have the potential to accelerate the

realization of the aspirations of the United Nations across all three pillars of its

work. We will only realize this potential through international cooperation to

harness the benefits and take bold, ambitious and decisive steps to bridge the

growing divide within and between developed and developing countries and

accelerate progress on the 2030 Agenda. Billions of people, especially in

developing countries, do not have meaningful access to critical life-changing

technologies. If we are to make good on our promise to leave no one behind,

sharing science, technology and innovation is essential. Innovations and

scientific breakthrough that can make our planet more sustainable and our

__________________

15 Ibid., vol. 610, No. 8843.

22

countries more prosperous and resilient should be affordable and accessible to

all.

50. At the same time, we must responsibly manage the potential risks posed

by science and technology, in particular the ways in which science, technology

and innovation can perpetuate and deepen divides, in particular the gender

gap and patterns of discrimination and inequality within and between

countries and adversely impact the enjoyment of human rights and progress

on sustainable development. We will deepen our partnerships with relevant

stakeholders, especially the international financial institutions, the private

sector, the technical and academic communities and civil society, and we will

ensure that science, technology and innovation is a catalyst for a more

inclusive, equitable, sustainable and prosperous world for all, in which all

human rights are fully respected.

51. Digital and emerging technologies, including artificial intelligence, play a

significant role as enablers of sustainable development and are dramatically

changing our world. They offer huge potential for progress for the benefit of

people and planet today and in the future. We are determined to realize this

potential and manage the risks through enhanced international cooperation,

engagement with relevant stakeholders, and by promoting an inclusive,

responsible and sustainable digital future. We have an nexed a Global Digital

Compact to this Pact in this regard.

Action 28. We will seize the opportunities presented by science, technology

and innovation for the benefit of people and planet.

52. We will be guided by the principles of equity and solidarity, and promote

the responsible and ethical use of science, technology and innovation. We

decide to:

(a) Foster and promote an open, fair and inclusive environment for

scientific and technological development and cooperation worldwide,

including through actively building trust in science and global collaboration on

innovation;

(b) Increase the use of science, scientific knowledge and scientific

evidence in policymaking and ensure that complex global challenges are

addressed through interdisciplinary collaboration;

(c) Encourage talent mobility and circulation, including through

educational programmes, and support developing countries to retain talent

and prevent a brain drain while providing suitable educational and working

conditions and opportunities for the workforce.”

IL “RAPPORTO DRAGHI” è insufficiente per la salvezza dell’ Europa

Dopo mesi di attesa, è stato finalmente stato pubblicato il “Rapporto Draghi”, commissionato dalla Presidente von der Leyen,  che avrebbe avuto l’ambizione (veramente sproporzionata) di risolvere l’annosa, e sempre più spinosa, questione del declino , economico ma anche civilizzatorio, etico, culturale, politico e militare, dell’ Europa.

Il documento è stato accolto, senza avere neanche il tempo di leggere le sue centinaia di pagine, da un coro di critiche provenienti da tutte le parti, a cominciare dal ministro tedesco Lindner, alla rivista online Politico, su base americana, fino al Movimento Europeo in Italia.Sergio Fabbrini, sulle pagine de “Il Sole 24 Ore”, si azzarda perfino  a dire che il rapporto finirà probabilmente nel cassetto.

Abbiamo giusto avuto la possibilità di scorrere il documento, evidenziandone i passaggi più determinanti. Cercheremo  di illustrare perché  esso appaia anche a noi fortemente inadeguato in un momento in cui, di fronte a sfide inaudite (IIIa Guerra Mondiale, Società del Controllo Totale,declino economico), l’Europa avrebbe però anche davanti a sé, se lo volesse, importanti opportunità di salvezza , in particolare attraverso un’ autentica sovranità europea, in tutti i  campi (culturale, sociale, politica, economica, giuridica, militare),opportunità che il documento sembra deliberatamente non voler cogliere, a nostro avviso per tre sostanziali motivi:

-è limitato all’ economia, senza considerare le fondamentali sfide culturali e politiche sottostanti;

-anche in campo economico, finge di non tener conto della subordinazione agli Stati Uniti dell’ Europa, che  limita enormemente i margini di azione di quest’ultima anche in campo economico (vedi caso Olivetti, industria militare, dazi e sanzioni con Russia e Cina);

-minimizza deliberatamente il ruolo dell’ informatica nella società contemporanea, per non essere costretto a toccare gl’interessi di quella ristrettissima élite che oramai domina il mondo (i “GAFAM”).

Per questo, è necessario premettere, alle considerazioni specifiche sul Rapporto, una panoramica del contesto politico  odierno, in cui esso s’inserisce

1.Le vittorie “sovraniste” alle recenti elezioni

I media dell’ establishment ci stanno sommergendo di allarmismo per l’esito delle elezioni tedesche (ma, prima ancora, slovacche, francesi, ungheresi….),che hanno premiato più che mai i cosiddetti “sovranisti”, senza però affrontare seriamente le ragioni di questi risultati. Secondo molti opinionisti, più che “sovranisti”, questi partiti sarebbero addirittura “neonazisti”, mentre  a noi sembrano qualcosa di molto diverso, visto che, semmai, hanno una visione “kleindeutsch”(Piccolo-tedesca) della Germania (com’era quella di Bismarck, di Rathenau, dei congiurati  del 20 luglio e della DDR, e che Hitler aveva invece contrastato) , non certo una visione “ariana” orientata verso un “Grossdeutsches Reich” imperiale, come quella dei nazisti. Si noti che il partito nazionaldemocratico, ostracizzato nella Repubblica Federale, faceva parte, nella DDR, del “Fronte Popolare” insieme al Partito Socialista Unitario (comunista), al Partito Liberal-Democratico e alla Democrazia Cristiana (Ost-CDU).

Questi e simili riferimenti fantasiosi e propagandistici al passato contribuiscono ulteriormente all’incomprensione dei grandi problemi dell’ Europa, passati e presenti, sì che s’impone una vera e propria “riscrittura della storia”.

Come ha affermato Sahra Wagenknecht, grande vincitrice, in Germania Orientale, con Alice Weidel, delle recenti elezioni amministrative in Turingia e Sassonia, la verità è che gli elettori tedeschi  hanno semplicemente voluto uscire da una conflittualità con la Russia che, oltre a mettere in pericolo Germania (e Italia), con i loro magazzini pieni di testate nucleari americane, e quindi primi bersagli dei missili nucleari russi, ha palesemente portato alla rovina l’economia tedesca -occidentale come orientale-(e, indirettamente, anche quella italiana): basti guardare alla Volkswagen che, dopo la distruzione del North Stream, chiude le fabbriche in Germania, e agli Americani che vogliono riprendersi la Chrysler dalla Stellantis, sì che la Regione Piemonte è costretta a corteggiare i Cinesi per poter riavere una qualche industria automobilistica. Viene celebrato come una vittoria il fatto che, mentre Stellantis chiude Mirafiori, la Dongfeng abbia almeno aperto a Torino una concessionaria e abbia invaso di suoi modelli il Salone dell’ Auto.

Qui c’entra ben poco la presunta “mentalità autoritaria” dei cittadini dell’ Est tedesco e europeo (che io chiamerei piuttosto, con Gumilev, “Passionarnost’’, cioè, allo stesso tempo, impegno emotivo in ciò che si fa, e capacità di “soffrire” per conseguire obiettivi importanti e condivisi), quanto piuttosto una maggiore lucidità propria di chi ha potuto confrontare dal vivo le tre ideologie del Novecento, e quindi constatarne quella sostanziale equivalenza, fra di esse già rilevata da Eric Voegelin. Comunque, ci si chiede perché mai dovrebbero essere dei fans dell’ideologia anglosassone gli eredi degli Slavi Occidentali (Vendi, Sorbi, Lusaziani), di Martin Lutero, della Prussia, di Nietzsche e della DDR, e, in particolare, i cittadini di Karl-Marx-Stadt (ora Chemnitz).

In realtà, oggi è tutto il progetto degli establishment del secondo dopoguerra ad essere finito in crisi, a cominciare dall’economia per arrivare alla cultura. Come affermava Italia Oggi (“ O l’Europa è unita, oppure è niente”), questa è infatti la crisi della democrazia nazionale, vale a dire della democrazia dei singoli Paesi qui in Europa: “Stanno venendo al pettine le contraddizioni tra le dinamiche globali dell’economia e della finanza e il fragile tessuto della nazionalità/statualità della politica e delle politiche” (democratiche)….Le classi dirigenti di Francia, di Germania, di Inghilterra, di Spagna, d’Italia… hanno continuato a filtrare il mondo e a far politica interna e estera sulla base del consenso democratico dei propri elettorati. Potevano fare diversamente? No. Perché non soltanto i loro elettorati hanno continuato a collocarsi mentalmente nel mondo in base a immarcescibili vissuti e categorie, ma anche perché le strutture statuali e giuridiche sono nazionali.” Professionalità della politica, carattere nazionale degli Stati e democrazia rappresentativa hanno fra loro legami strettissimi: come messo in rilievo da vari autori, “simul stabunt, simul cadent”.

Nonostante la loro propaganda, gli Stati nazionali non sono più in grado di svolgere una qualche funzione reale in un mondo solcato da conflitti globali esistenziali, ai quali è impossibile non reagire.

1.Gli Stati-civiltà

Come scriveva Italia Oggi, “La causa ultima non è il collasso dell’ordine mondiale di Yalta. È la globalizzazione dell’economia, la globalizzazione della comunicazione e, si intende, l’ascesa di nuovi soggetti  mondiali: CinaIndiaNigeriaBrasile ecc…”Infatti, “La globalizzazione è politicamente, giuridicamente e istituzionalmente ingovernabile dagli Stati nazionali…..” Eppure, “ Le opinioni pubbliche e i pubblici elettorali non vedono alternative possibili alle minacce della globalizzazione, pur sfruttandone tutte le opportunità, se non una: lo Stato-nazione..”

In realtà, le opinioni pubbliche europee sono pilotate per mille rivoli da una “società dell’1%”, con baricentro nel mondo anglosassone (cfr. Kipling, Mead), che ha manovrato da tre secoli la storia per sostituire gl’imperi europei (e anche quelli Qing e Mogul), con  i manovrabili  “Stati nazionali” (vedi i cosiddetti “Risorgimenti nazionali” ,  la “Guerra Civile Europea”, ma anche la Rivolta dei Sepoys e la Guerra dell’ Oppio), e non ammetterà mai, fino all’ orlo della sua sconfitta finale, che possa nascere un’Europa forte e competitiva con gli USA, ai quali ultimi  i membri dell’ establishment devono le loro carriere, legandovi le proprie fortune. E’ questo, e non le presunte trame dei “sovranisti”, il motivo per cui una “vera” Europa (Coudenhove Kalergi, Galimberti, Spinelli) non si è ancora fatta nel giro di ben 75 anni dai Trattati di Roma.

Non è però neanche esatto che, come afferma Italia Oggi, “PutinTrumpXi Jin-ping Narendra Modi hanno rilanciato la sfida dello Stato-nazione”. Quelli che  costoro dirigono non sono Stati-“nazioni”, bensì Stati-civiltà (ciascuno composto da decine di “nazioni”-Moscovia, Siberia, Cecenia,  Tatarstan, Daghestan, Donbass, Crimea..;East Coast, Far West, Midwest, California, Texas,Dixieland, Porto Rico, Guam,Hawaii; Grandi Pianure, Cina Meridionale, Mongolia, Tibet, Xinjiang,”Greater Gulf Area”, Taiwan; Kashmir, Punjab, Rajasthan, Valle del Gange, Assam, Gujarat, Deccan, Tamil Nadu, Kerala, Karnataka, Orisha, Bengala, Andamane, Nicobare…).

Gli Occidentalisti, che si guardano bene dal condannare l’impero americano, pretenderebbero invece, in ossequio al principio “divide et impera”, che tutti quegli Stati Nazionali che abbiamo enumerato si staccassero dall’ India o dalla Cina, come il Pakistan o Taiwan (ma non dagli Stati Uniti). Qualcosa di nuovo a questo proposito si sta muovendo anche al confine fra India e Bangladesh dopo il colpo di Stato contro Sheikh Hasina.

Gli Stati-civiltà incarnano, ciascuno, una sua specifica visione del mondo e una specifica strategia  per salvare l’ Umanità dalla tecnica dispiegata (“the Final Century” di Martin Reed). Però,”con qualche differenza tra i quattro: quello russo non è uno Stato-nazione, ma uno Stato-nazioni e perciò rivendica territori ex-imperiali, quale l’Ucraina; Trump rinuncia definitivamente a collocare gli Usa come baricentro dell’ordine mondiale, per affidare loro la più modesta missione di difendere la propria egemonia economica e finanziaria, mediante accordi/conflitti bilaterali; Xi-Jin-ping tende a porsi quale fabbrica del mondo, pratica un imperialismo commerciale su scala mondiale, rivendica Taiwan quale parte integrante dell’antico territorio cinese; Narendra Modi è, per ora, più rivolto ad affermare l’egemonia politico-religiosa indù rispetto a oltre 200 milioni di mussulmani indiani.”

Quello che conta è che, “quale che sia il giudizio storico-politico che si dà di queste quattro manifestazioni del nazionalismo, occorre riconoscere che hanno tutte lo stesso physique du rôle: numero di abitanti, potenza economica e/o militare, influenza sul mondo. Il loro discorso ha una sua forza materiale.”

“Physique du rôle” che, né gli Stati membri della UE, né la UE stessa, hanno. Di conseguenza, “quello degli inglesi e dei francesi (che continuano a partecipare per diritto al Consiglio di sicurezza dell’Onu) e quello dei tedeschi e degli italiani ecc… è un nazionalismo straccione. Il nazionalismo non ha più fondamento storico-politico, è diventato un ‘signaculum in vexillo’, da affiggere sugli stendardi nel corso delle campagne elettorali”.

Paradossalmente, i primi ad avere preso atto della fine degli Stati nazionali europei, sostituiti dagl’imperialismi, erano già stati Lenin e Mussolini, e l’unico ad avere tentato di costruire (sotto altro nome) un nuovo impero inglobante tanti Stati nazionali (quelli creati da Lenin) era stato Stalin  (di cui ancora  sopravvive l’inestricabile intrico di Repubbliche, Repubbliche Autonome e Province Autonome). Tutti, per altro, tentativi falliti, per l’ostilità del solo “Impero Nascosto” (quello americano, cfr. Daniel Immerwahr).

Lo stesso si può dire, ad ancor maggior ragione,  anche del “sovranismo europeo” post-gollista (Giscard, Macron), a cui non corrisponde, a oggi, nessuna visione del mondo alternativa a quella americana, sicché non si capisce perché in Europa gli “integrati”  dovrebbero sostenere l’Europa anziché l‘ America, e come i “dissidenti”  potrebbero votare in modo alternativo, se, da Macron a Le Pen, da Weber a Scholz, da Schlein a Meloni, tutti fanno a gara per sostenere le scelte dell’America, catastrofiche per l’ Europa.

In realtà, dovunque nel mondo ci sarebbe bisogno di culture “continentali” capaci di sostituire quelle “nazionali”, e, invece, questo processo è appena agl’inizi in ciascuno Stato-Civiltà (e in Europa non è ancora neppure iniziato; cfr. l’ultimo numero di “Domino”; “L’Europa eravamo noi”.).

In America, vi è l’ovvia polarizzazione, prevista già da Tocqueville, fra “Whites” e “Non-Whites”, una distinzione più forte che mai, anche se, ormai, dispersa per vari rivoli: Woke, MAGA, Tedesco-americani… In Russia, la transizione, dall’originario cosmismo e futurismo di Trotskij e Lunacharskij, a un’interpretazione  “quasi demestriana” del “pensiero russo” (sulla falsariga delle “Soirées de Saint Petersbourg”), è ancora incompiuta. In Cina, la ciclopica sintesi fra il complesso mondo dei San Jiao confuciani e il socialismo con caratteristiche cinesi non ha ancora trovato un teorico adeguato; in India, non è ancora stata scritta una versione attualizzata delle varie sintesi messianiche proposte in passato (fra quelle di Tagore, Aurobindo, Savarkar, Ambedkar e Gandhi, e altre). Non parliamo della confusione ideologica nel mondo islamico, il più grande agglomerato di popoli del mondo, che si dimostra tutto fuorché totalitario, con le sue poliedriche sfaccettature teologiche, etniche, storiche, linguistiche, istituzionali, partitiche e sociologiche).

Su tutto ciò incombe la nascita della “Società del Controllo Totale”, che, come oramai tutti stanno ammettendo, sta oramai permeando senza più infingimenti innanzitutto il mondo del web, livellando di fatto tutte le identità. Sostituire, a questo  questo livellamento, un’umanità variegata e vitale costituisce il grande “compito comune” del XXI Secolo.

Nonostante la grande positività delle culture non-europee, per il loro contributo a scalfire la “grande narrazione” tecnocratica occidentale (per dirla con John Ness ,“From Plato to NATO”), manca ancora un “trait d’union”, capace d’ interconnettere i grandi temi comuni dei vari continenti nell’ottica del XXI Secolo. Tali non sono stati infatti i tentativi di sintesi operati, per esempio, dall’ Imperatore Mughal Akbar (“Din-i -Ilahi”), o le opere occidentali sulla Philosophia Perennis (Leibniz, Guénon, Evola, Zolla, Besant), che mancavano di spessore comparatistico e filologico.

I teorici dell’“occidentalismo” vedono questo “trait d’Union” (per loro negativo) nella cosiddetta “autocrazia”, che, però, è un concetto tutt’altro che univoco ed efficiente. Che cosa c’è di comune fra la repubblica turca, dove l’opposizione ha potuto ancora recentemente sfidare alle elezioni il Presidente; quella iraniana, dove la competizione fra i politici “costituzionali”, cioè islamici sciiti (come da noi sarebbe fra i partiti “democratici e moderati”), si fa nelle urne; la Cina, dove  quest’ultima ha luogo all’ interno del partito comunista, ma questo ha un numero di iscritti proporzionalmente superiore a quello di quanti svolgono politica attiva in qualsivoglia altro Paese; la Russia, dove ci sono decine di partiti, e già solo in Parlamento ce ne sono 7 come nella maggior parte dei Paesi occidentali, e il partito di Putin non ha la maggioranza assoluta, ma è costretto a fare un governo di coalizione con il Partito Liberal-democratico?

D’altronde, la tendenza al centralismo accomuna tutti gli Stati del mondo a causa della natura della Società del Controllo Totale, dove tutto è concentrato in grandi server, che sono controllati, o da una multinazionale, o uno Stato, che ne usano ed abusano per mantenere il loro potere. Il più grande di questi, che conserva dati dei GAFAM e del Governo americano, si troverebbe a Salt Lake City. Basti vedere i casi di Echelon, Prism, Wikileaks, Schrems, Cambridge Analytica, Trump, X…

Anche quando oggi in Europa si parla di “multiculturalismo” si compie, in realtà, una grande mistificazione: anziché valorizzare le culture “altre”, “sfruttando” l’immigrazione per accrescere la cultura dei nostri cittadini e delle nostre Istituzioni, si pretende invece di “integrare” gl’immigrati e i loro figli in una cultura occidentale che neppure è nostra, per farli diventare come noi o per egualizzare tutti su un modello di “uomo senza qualità”, governato dagli algoritmi. In realtà, tutta l’insolubile problematica dell’immigrazione e del “razzismo” è, come buona parte dei dibattiti attuali, una semplice scopiazzatura di fenomeni  degli USA , che serve solo a farci assomigliare sempre più agli Americani, in modo da non potercene più staccare. L’Europa non è un paese di immigrati, bensì un Paese di emigrazione, e, quindi, le sue esigenze sono molto diverse da quelle dell’ America.

Ciò rientra nel generale sforzo per rimodellare una futura società europea rendendola priva delle doti che sono necessarie per riconquistare la nostra indipendenza e creatività: cultura, assertività, patriottismo, salute, forza di volontà… Occorrerebbe perciò fare chiarezza a livello mondiale sulle cause, le modalità e le direttrici del fenomeno migratorio.

Molto più appropriato sarebbe parlare, come fa Panikkar, di “transculturalità”

2.L’Europa nel dibattito mondiale

Ma, soprattutto, stiamo perdendo l’occasione per recuperare una futura cultura originale europea quale nostro contributo aggiuntivo al grande dibattito mondiale, soprattutto sui temi seguenti:

-il relativismo dall’ Ecclesiaste a Eraclito, a  Protagora, a Tertulliano,a  Montaigne, a Pascal, a Kant, a Nietzsche, a Wittgenstein, a Heisenberg, a De Finetti e Feyerabend, da leggersi in relazione ai RgVeda, e quale presupposto per il ritorno alla cultura del tragico;

-l’alleanza ecumenica delle religioni e delle culture mondiali contro l’appiattimento indotto dalla “Religione del Progresso”;

-la concezione cinese dell’armonia universale (DaTong, Héxié), da leggersi, in relazione a quelle di “Kosmos” e di “Karma”, quali  basi culturali per un mondo multipolare;

-il culto degli eroi omerici e dei Patriarchi biblici , modelli della nostra cultura classica, non dissimili da quelli del Mahabharata e del Ramayana, rivissuto dal mito dell’ eroe romantico di Byron, Leopardi e Carlyle;

-il senso delle gerarchie sociali tipico del confucianesimo e dell’induismo, letto alla luce della Patrios Politeia greca e dell’Ancienne Constitution Européenne di Tocqueville;

 -l’”Ecologia dell’anima” dei Giapponesi e dei popoli andini, vista con la lente della lettera pastorale “Laudato sì”;

-la ricerca occidentale dell’ eccellenza, speculare all’epistocrazia del sistema estremo-orientale dei concorsi pubblici e opposto al presente culto dell’ eguaglianza e dell’ indifferenziazione;

-la “Passionarnost” dei popoli nomadi , teorizzata da Ibn Khaldun e da Gumilev- fondamento ideale degl’imperi delle steppe (Yamnaya, unno, turchi, avaro, bulgaro, magiaro, mongolo, tataro, polacco e russo)-.

Su “La Repubblica” è comparsa recentemente una perorazione di Linda Laura Sabbadini sulla necessità del multiculturalismo nel rapporto con le giovani generazioni di migranti, descritto come ”valori del rispetto della persona e della sua libertà, dei diritti e della democrazia”, contrapposta all’ “oscurantismo medioevale, che regna in molti paesi da cui si fugge”. Questo però non è il classico multiculturalismo europeo, come lo intendevano, per esempio, Matteo Ricci, Nietzsche, Guénon o Panikkar, concepito per  permettere anche a noi di difendere le nostre tradizioni culturali contro il livellamento modernistico, bensì il tentativo dell’imposizione ad altri, da parte del nostro establishment,  delle concezioni del mondo occidentale, quale propugnata per esempio da Condorcet, Whitman e Kipling.

Affinché l‘Europa possa divenire uno “Stato-Civiltà” capace di competere con USA, Russia, India e Cina, essa deve darsi  una sua autonoma politica culturale, che comprenda anche un suo specifico punto di vista sui rapporti con il resto del mondo (Stati-civiltà, minoranze interne e immigrazione). A nostro avviso, la comprensione  di questi rapporti dialettici potrebbe e dovrebbe costituire il contributo specifico dell’ Europa alla costruzione di un ordine mondiale interculturale. Per questo è importante studiare attentamente le opere di coloro che si sono sforzati di tematizzare ciò che le culture extraeuropee possono insegnare all’ Occidente. Mi riferisco innanzitutto  a Raimòn Panikkar, teologo gesuita indo-spagnolo, teorico del “disarmo culturale”, termine che oggi fa inorridire molti, ma che è più che mai attuale, come unico rimedio all’ incipiente IIIa Guerra Mondiale.

Come abbiamo scritto in precedenti post,  quest’ultima è una guerra di religione fra due differenti progetti escatologici: quello della fuoriuscita dal mondo umanistico quale conosciamo e abbiamo studiato, verso una società di macchine intelligenti dove non vi sia più Storia (la “Singularity Tecnologica”), e quello, opposto, della prosecuzione in forme diverse della Storia umana ereditata dalle grandi civiltà del passato: il Mondo Multipolare.

3.Una soluzione effettiva per la pace dovrà avere un ben maggiore spessore culturale e storico

Il fatto che tutti si affannino a escogitare e proporre sempre nuove formule per la pace in Ucraina e in Palestina, ma nessuna di queste venga neppur presa in considerazione dalle altre parti in causa, dimostra che la possibile pace non potrà limitarsi a stabilire una nuova sistemazione  per i territori contesi, bensì, tenendo conto delle poste molte più ampie in gioco, dovrà dare un orientamento per la geopolitica del futuro, non solo per la Russia, l’Ucraina, o gli Stati Uniti, ma per gli equilibri del mondo intero. E questo significa  creare un contesto che disinneschi innanzitutto il conflitto sino-americano per l’egemonia mondiale. Ma ciò non potrà avvenire senza la previa individuazione di un nuovo ordine mondiale accettabile da tutti, e, in particolare, da tutti gli Stati-civiltà e dalle loro concezioni del mondo.

Gli sforzi in corso da parte di India, Cina e Germania per suggerire una proposta di pace poggia, invece, su assai deboli fondamenti culturali, da sostituirsi con un rinnovato atteggiamento di interculturalità quale sopra delineato.

Innanzitutto, si dovrà abbandonare la convinzione, ahimé, troppo diffusa, che ci sia bisogno comunque di uno “Stato-Guida” mondiale, che conduca l’Umanità verso il Progresso. Abbiamo avuto la Persia achemenide, Israele, Roma, il Califfato, il Sacro Romano Impero, la Spagna asburgica, la Francia rivoluzionaria, l’Impero inglese, l’URSS e gli Stati Uniti. Ora è entrata in lizza anche la Cina. Se, però, l’obiettivo comune non  dovrebbe più essere quello di accelerare il corso del Progresso, bensì, come dice ormai la maggioranza, quello di frenarlo, l’idea del Paese-Guida perde di attualità. Si tratta ora, più che di “fare”, di “non fare”: non inquinare, non esplodere bombe atomiche, non creare intelligenze artificiali troppo intelligenti, non spiare i cittadini…Queste cose possono essere fatte anche “in parallelo”, in base ad accordi internazionali, senza che nessuno debba necessariamente “guidare”.

In secondo luogo, occorrerà estendere, e di molto, il concetto di “tolleranza”, abolendo concetti come “fake news”, “discorsi di odio”, “arretratezza”, “male assoluto”, “correttezza politica”, e ammettendo, nel linguaggio pubblico internazionale, concetti che sono stati fino ad oggi tabù, come per esempio “tradizioni”, “valori asiatici”, “tribù”, “costituzioni non scritte, e/o comunitarie”, ….Come è stato più volte affermato, l’idea di tolleranza è una forma di arroganza: io ti tollero anche se so che sei inferiore e hai torto, perché io sono migliore, più potente, più saggio e magnanimo. Invece della tolleranza, occorre tornare all’”humanitas” (in cinese, “Ren= ”):homo sum, nihil humanum mihi alienum puto.

In terzo luogo, occorrerà regolamentare l’equilibrio internazionale dei potere, istituendo procedure (sulla falsariga di quelle parzialmente esistenti per il nucleare), che pongano sotto controllo i conflitti totali, in particolare nei settori del digitale e dell’ Intelligenza Artificiale, come affermato tra gli altri, da Kissinger, da Harari e perfino dal Papa. Tema centrale: l’escalation e il “first strike”.

4.Il Rapporto Draghi nella guerra mondiale.

Il “Rapporto Draghi” risulta intanto troppo datato, in quanto molti dei dati citati risalgono a 2/4 anni fa, mentre la situazione dell’ economia e delle società europee si è nel frattempo ulteriormente deteriorata.

In secondo luogo, il “Rapporto” non ha preso atto del fatto che l’attuale situazione di guerra guerreggiata ha messo in evidenza in modo definitivo che l’economia è oggi solo più uno dei vari campi di battaglia nella “guerra senza limiti”, sicché  nulla si muove oggi in base ad un’ottica puramente economica. Gl’investimenti sono sostenuti, o almeno orientati,  dagli Stati, in considerazione di obiettivi strategici: per esempio con il “Made in China 2015”, e la corrispondente legislazione americana, fatta, a detta dei promotori, “per mettere fuori mercato il mondo intero”. Perciò, mentre il Rapporto si preoccupa, giustamente ,della necessità di enormi nuovi investimenti pubblici europei a favore dell’ innovazione (investimenti s cui, tra parentesi, non sono già d’accordo, né la von der Leyen, né il Governo tedesco), e mentre invoca un molto migliore coordinamento delle politiche industriali, tecnologiche e scolastiche, indica poi però, come strumenti operativi ,

istituti che noi già quattro anni fa indicavamo come superati nel nostro libro “European Technology Agency” e nel nostro carteggio con Ursula Von der Leyen e con i membri della Commissione  e del Consiglio, vale a dire, tra gli altri,  lo European Innovation Center,  lo European Innovation Center e il cloud europeo di GAYA-X.

Avevamo suggerito, in quell’ occasione, la creazione di una European Technology Agency capace di coordinare, “hands on”, tutti gli sforzi europei nel settore delle nuove tecnologie.Inoltre, avevamo indicato quale compito prioritario la creazione di un Ecosistema Digitale Europeo, completamente mancante da 50 anni per non urtare gli interessi dei GAFAM americani, ma sempre più indispensabile perché lo sviluppo di qualsivoglia economia si fonda sul controllo assoluto di proprie tecnologie informatiche, quale quello detenuto da USA e Cina.

 .

Di quest’obiettivo non vi è praticamente traccia, ma solo qualche vago accenno, mentre invece Draghi si è dilungato, nella sua intervista con la stampa, ad attaccare l’effetto deterrente della legislazione europea sull’ ICT sull’operatività in Europa  multinazionali del web, che egli considera evidentemente utili ed ineliminabili:  ‘Abbiamo proclamato che l’innovazione era al centro della nostra azione, e poi abbiamo fatto tutto il possibile per mantenerla a un livello basso’.”, ha osservato.“Su questo”, ha continuato, “la posizione normativa dell’Ue nei confronti delle aziende tecnologiche ostacola l’innovazione: l’Ue ha ora circa 100 leggi incentrate sulla tecnologia e oltre 270 regolatori attivi nelle reti digitali in tutti gli Stati membri. Molte leggi dell’UE adottano un approccio precauzionale, dettando specifiche pratiche commerciali ‘ex ante’ per evitare potenziali rischi ‘ex post’. Ad esempio, l’AI Act impone requisiti normativi aggiuntivi sui modelli di Intelligenza artificiale per uso generale che superano una soglia predefinita di potenza di calcolo, una soglia – si puntualizza nel rapporto – che alcuni modelli all’avanguardia superano già’.

‘In terzo luogo” – ha aggiunto l’ex presidente della Bce, citando sempre il proprio rapporto -, “le aziende digitali sono scoraggiate dal fare affari in tutta l’UE tramite filiali, poiché devono affrontare requisiti eterogenei, una proliferazione di agenzie di regolamentazione e la ‘gold plating’ (ovvero un’applicazione che va oltre i requisiti minimi richiesti, ndr) della legislazione Ue da parte delle autorità nazionali. In quarto luogo, le limitazioni all’archiviazione e all’elaborazione dei dati creano elevati costi di conformità’. Secondo Draghi, quindi, ‘la conclusione è che gran parte di questa legislazione si applica alle grandissime aziende, a cinque o sei grandi aziende statunitensi, e in realtà noi stiamo uccidendo le nostre piccole aziende. Non abbiamo grandi aziende come negli Stati Uniti, le nostre sono tutte piccole aziende, quindi con questa legislazione che ci siamo dati siamo in realtà autodistruttivi, stiamo uccidendo le nostre aziende’”.

5.L’industria militare

Secondo l’interpretazione datane dalla stampa, l’elemento qualificante del “Rapporto Draghi” sarebbe il peso particolare dato all’ industria europea della Difesa. Personalmente, credo di saperne qualcosa in quanto, oltre alle tradizioni familiari, ho diretto per una dozzina di anni il Servizio Giuridico del Settore Aviazione della FIAT, coinvolto, fra l’altro, mei progetti dei caccia europei Tornado ed Eurofighter, nei missili dell’ Esercito Italiano e degli Emirati Arabi Uniti, in Eurocopter, nei residui delle attività nucleari italiane, oltre che nelle collaborazioni  per i lanciatori con la Francia e con l’Ucraina.

Pertanto, credo di comprendere la logica che potrebbe presiedere a un rafforzamento dell’ industria europea della Difesa e le logiche seguite da Draghi. Visto che, sotto pressione americana, gli Europei sono sempre più sospinti a spendere di più per il militare, il concetto furbescamente  adottato è che, almeno, si spenda in prodotti europei, e non in quelli americani.

Personalmente, ho avuto da sempre un approccio molto diverso, basato su una visione olistica dell’ “industria della difesa”.Perciò, mi riservo di ritornare sull’ argomento commentando la serie di articoli che compariranno su “Il Sole XIV Ore”.

Premesso che, stante la situazione, sarebbe illogico non pensare a un rafforzamento della nostra industria di difesa, in termini di maggiore coordinamento e di ottimizzazione delle ricadute economiche, noi riteniamo che ci si dovrebbe attenere, anche e soprattutto, ai criteri seguenti:

-dual use, estendendo la programmazione a tutte le industrie connesse,come informatica, Intelligenza Artificiale e aerospazio;

-una cultura europea della difesa intesa quale strumento di unificazione delle élites militari;

-informatizzazione delle forze armate;

-selettività delle spese, privilegiando le tecnologie più avanzate;

-comando unificato sotto un vertice militare forte e coeso;

-consolidamento, grazie all’ investimento pubblico, dell’ industria europea  della Difesa intorno a un gruppo finanziario paneuropeo, quale avrebbe dovuto essere (ma non è stato) l’EADS

IL NUOVO MEMORANDUM ITALIA-CINA

E IL CONGRESSO DI FILOSOFIA DI ROMA

Una volta si chiamava “la politica dei due forni”, quella che il Governo italiano adottava con l’America e con l’Europa. Assecondando l’una o l’altra a seconda dei casi. Oggi, quando la UE, abbandonate le velleità golliste, giscardiane, mitterrandiane e macroniane “prima maniera”, si è allineata completamente con gli USA, il “secondo forno” è costituito sempre più dalla Cina, I rapporti con la quale sono soggetti ai molteplici umori della politica americana, e, di riflesso, europea. Invece, una politica europea di largo respiro verso la Cina non la coltiva nessuno. D’altronde, questo ha radici lontane, dall’ esaurirsi delle missioni in Cina del Patriarca Rabban, di Giovanni di Montecorvino, dei  Gesuiti, che denotano tutte un’incapacità, una carenza, a pensare in grande.

La recente visita di Giorgia Meloni a Pechino, per “ricucire lo strappo con la Cina” si colloca in quella collaudata tradizione italiana (e democristiana). La quale ha fatto scuola in Europa e nel mondo, tanto che si può dire che il “sovranismo” s’identifichi sempre più con questo atteggiamento. Ungheria e Turchia, ma anche Brasile, India, Argentina, Arabia Saudita e Filippine, si distinguono in questo gioco, l’unico che, in un mondo dominato dalle grandi potenze, possa dare un po’ a tutti la possibilità di far valere le proprie ragioni. Ed è questo, per oggi, in pratica, il maggior vantaggio del multipolarismo.

Tuttavia, nel caso dell’ Italia, l’oscillazione in corso, fra il rigetto della Via della Seta e il rinnovato attivismo filo-cinese, è stata veramente repentina e inaspettata.

1.Lo “spirito della Via della Seta”

Lo  “Spirito della Via della Seta”, citato la Li Qiang e Xi Jinping   negl’incontri della settimana scorsa coincide sostanzialmente con il multipolarismo. Su casi concreti, come l’auto elettrica, significa mantenere in piedi  l’apertura dei commerci fra Est e Ovest, quella  che aveva portato alla creazione del WTO e all’ adesione, allo stesso, di Russia e Cina.

Esso non coincide, come invece ha detto qualcuno, con “un progetto di espansione mondiale della Cina”. Infatti, la “Via della Seta” o come veniva chiamata in un lontano passato (“Via Regia” o “Periplum Maris Indici”) non era mai stata un’esclusiva della Cina, bensì coinvolgeva altrettanto le Repubbliche Marinare italiane, gl’ imperi Persiano e  Bizantino, i potentati mussulmani ed indiani, l’Asia Centrale e il Sud-Est Asiatico (tutte le terre visitate da Marco Polo e dai Gesuiti, oltre che da tanti altri viaggiatori cristiani, buddisti, manichei, mussulmani e  cinesi), sì che i suoi punti centrali erano Damasco, Samarcanda, Musiris, Mahabalipuram, Malacca….

Tra parentesi, ai nostri giorni, l’idea di una “Nuova Via della Seta” l’aveva lanciata Hillary Clinton nel 2010.Tuttavia, essa era stata lasciata cadere poco dopo dall’ America, e la Cina se n’era quindi impossessata con gran fragore e grandi investimenti, a partire da un famoso discorso di Xi Jinping nel 2013.

Il concetto centrale delle “Nuove Vie della Seta” è che, dopo lo stallo conseguente all’invasione occidentale, nell’ Ottocento,  di Siberia, India e Cina, l’asse centrale del commercio mondiale  dovrebbe tornare a posizionarsi, nel XXI° secolo,  in Asia, dove viveva (e ancor vivono) i 2/3 della popolazione mondiale. Di questo si erano accorti appunto gli Americani, e per questo avevano abbandonato l’idea della Via della Seta e scoraggiato i loro alleati a parteciparvi, perché uno spostamento dell’asse dei commerci internazionali, da chiunque realizzato,  non potrà non comportare anche un mutamento dei rapporti di forza fra modernità occidentale, nuovo confucianesimo, hindutva e islam. L’allontanarsi dell’Asia dal Marxismo non ha comportato, come sperato in Occidente,  l’accettazione dell’egemonia americana, bensì la rinascita delle rispettive culture pre-rivoluzionarie, cosa che invece l’Europa non ha potuto conseguire perché ingabbiata nell’ Occidente.

 Di qui il primo voltafaccia italiano (l’abbandono del primo Memorandum con la Cina), che oggi viene a sua volta rinnegato.

La giustificazione ufficiosa era stata che, mentre il progetto dell’Occidente, alla caduta del Muro di Berlino, era quello di “assorbire” gradualmente l’ex blocco socialista, paese per paese, fino a inglobare la Cina nel sistema di potere americano-centrico, ci si era presto accorti che l’introduzione, nel sistema cinese, di elementi occidentali, lungi dallo scardinarlo, lo rafforzava. Le trattative fra i vertici degli Stati potevano essere condotte meglio da un Paese a partito unico che da un sistema decentrato come l’Occidente; le enormi imprese cinesi potevano competere molto efficacemente sui mercati mondiali con le multinazionali americane;  gli start-upper cinesi avevano più sostegno da parte del PCC di quanto ne avessero quelli americani dall’ ARPA e dalla finanza di Wall Street; c’erano più intellettuali anglo-americani affascinati dal confucianesimo che intellettuali cinesi filo-americani; infine, la Cina ha un mercato in crescita di un miliardo e mezzo di lavoratori e  consumatori, il cui accesso è diventato un’esigenza vitale per le imprese occidentali.

Questo è ciò che Americani e Europei chiamano “concorrenza sleale”. Ma perché mai, se un Paese ha un sistema più efficiente nel commercio internazionale, dovrebbe modificarlo per rendersi impotente nella competizione mondiale? E perché l’Italia avrebbe dovuto risentirsi di questo tipo di concorrenza, che danneggia semmai l’economia americana, ma non la nostra?

Oggi, si accusa la Cina di una nuova colpa che tale non è: la sovrapproduzione. La Cina produrrebbe di più di quanto essa sia in grado di consumare. Ma ciò è sempre stato, perché essa è, come l’Italia, un Paese esportatore. E c’è di più. La sovracapacità della Cina è semplicemente l’effetto del “signoraggio del dollaro”. Essendo (ancora) il dollaro la valuta internazionale di riserva e di scambio, nulla di più facile per il Governo americano che stampare sempre più dollari per permettere agli Americani di comprare sempre più merci dai Paesi esportatori, e, in primis, dalla Cina, mantenendo, così, a spese degli altri Paesi, un tenore di vita particolarmente dispendioso, e non sostenuto dalla loro economia reale. Inoltre, il deficit commerciale degli USA è un comodo strumento di ricatto verso i Paesi esportatori, perché un’eventuale riduzione di questo deficit significa indebolimento delle economie dei Paesi esportatori. La via di uscita dal deficit commerciale degli Stati Uniti verso la Cina (e il resto del mondo) sta comunque già delineandosi: è la “de-dollarizzazione”, che, togliendo al dollaro il signoraggio, ridurrà gli Usa a un Paese fra gli altri, costringendo il suo Governo a una politica di austerità e gli Americani a una drastica riduzione del loro tenore di vita, con il corrispondente innalzamento di quello dei partner commerciali degli USA, che potranno finalmente permettersi di comprare le sovracapacità dei Paesi esportatori. Di qui la radicalizzazione della politica americana, non avvezza a “tirare una coperta troppo corta”.

2.Dazi e sanzioni non funzionano

Da quando, all’inizio di questo secolo, si era vista quella formidabile espansione dell’economia cinese, era partita una corsa per ideare e imporre soluzioni di vertice atte a frenare la naturale espansione delle idee, delle politiche, dell’economia e delle imprese cinesi, mediante il “decoupling”, il “re-shoring” e il “friend-shoring”. Si era incominciato ipotizzando di  scavalcare il WTO, organizzazione universale delle Nazioni Unite, con due minori associazioni “regionali”, il TFF per l’Occidente e il TIFF per l’Asia-Pacifico, che lasciassero fuori la Cina e la Russia. Quelle due organizzazioni, imposte con trattative segrete, furono bocciate, prima ancora che dai Cinesi, dal mondo imprenditoriale occidentale, che non accettava di vedere la propria libertà di commercio coartata per ambizioni geopolitiche.

Si passò allora ai dazi. Tuttavia, le concomitanti crisi georgiana e ucraina, con le loro sanzioni nei confronti della Russia, offrirono in realtà enormi spazi di mercato alla Cina, per la vendita di beni di consumo, gli investimenti e l’importazione di materie prime, in sostituzione di quelli occidentali.

Adesso, ci si sta rendendo conto che frenare l’ascesa, almeno economica, di un Paese di un miliardo e mezzo di abitanti, non travolto dalle continue crisi che coinvolgono buona parte del mondo, non è materialmente possibile. Ma poi perché la si dovrebbe frenare? Ammesso e non concesso che ne abbiano qualche vantaggio gli Americani, che vantaggio ne avremmo noi Europei, che, da quando siamo prigionieri del nostro cantuccio atlantico, siamo in un’ interminabile fase di sostanziale stagnazione?

Quindi, nuova corsa: questa volta, a riaprire il dialogo.

3.Un nuovo orientamento dell’ Italia?

Così, bene sta facendo il Governo a “ricucire” ciò che aveva esso stesso strappato (cioè il Memorandum sulla Via della Seta). Tanto più che ne è andato di mezzo il nostro sistema industriale, che non ha mai accettato l’esclusione dalla nostra rete delle tecnologie 6G, quasi-monopolio di aziende cinesi, e che si sta sforzando di attirare un investimento cinese nell’automotive per compensare le défaillances di Stellantis. La quale a sua volta ha appena iniziato l’ importazione delle auto elettriche della partner cinese Leapmotors.

Si tratterebbe di uno stabilimento in grado di realizzare 100mila auto in un anno, il primo completamente cinese in Italia (aggirando così i dazi e i divieti europei di incentivi).E, quasi come una beffa, questo produttore sarebbe un (quasi ex) socio di Stellantis, che potrebbe rilevare l’ex stabilimento Maserati di Grugliasco, o insediarsi nella ex Olivetti dell’italo-cinese Professor Chu. Dongfeng è un’azienda a totale capitale pubblico cinese, di Wuhan, ed è fra i partner dell’italiana DR (De Risio), che rimarchia e commercializza auto cinesi in Europa (di recente anche con il marchio Tiger). Ma soprattutto, è socia di Stellantis. Dieci anni fa, difatti, la Dongfeng (una forza produttiva di un paio di milioni di veicoli in patria) fu fra i protagonisti della ricapitalizzazione di PSA Peugeot, arrivando ad averne il 14%. Quota poi ridottasi con Stellantis, ma tutt’ora esistente anche se a poco più dell’1,5%. Per il riacquisto delle sue azioni Stellantis ha già pagato un miliardo e c’era l’intenzione, con l’ultimo buyback in corso, di liberarsi dell’ingombrante partner, soprattutto avendo ormai in corso la Joint Venture con Leapmotor.

In realtà, gli Europei avrebbero tutto l’interesse a non associarsi alla suicida politica americana dei dazi sulle auto elettriche, e a  favorire la propria crescita attraverso imprese congiunte con i Cinesi (che è stata la politica tradizionale dei grandi marchi tedeschi).

Inoltre, restano più vivi che mai tutti i legami storici e culturali, da Marco Polo a Matteo Ricci, ma anche da Leibniz a Voltaire, fra Italia (ed Europa) e Cina,  due antichi imperi aventi tutto l’interesse a ricreare un nuovo multipolarismo di civiltà tradizionali, come ai tempi della Via della Seta. Il termine non piace in Occidente proprio per questo: perché si richiama a un tempo in cui gli Stati Uniti neppure erano concepibili, e invece Cina e India, Islam e Europa, dominavano la scena internazionale.

Sembra che ora, nell’ incertezza dei rapporti con gli USA e con la UE,  il Governo italiano si stia orientando proprio in tal senso, proponendo perfino l’Italia,  sulla scia di Orbàn, quale “ponte” fra la UE e la Cina. Il che, nell’interpretazione dei Cinesi, equivale a una partecipazione informale alla Via della Seta. Ma allora, come lamenta Giuseppe Conte, perché è stato abbandonato il vecchio Memorandum che diceva le stesse cose? Oggi, l’Italia ha portato a casa una serie di accordi bilaterali funzionali al business ma rischiosi per tutti quei settori che da sempre sono considerati più sensibili nel rapporto tra Italia e Stati Uniti, oggetto di attenzioni speciali dell’UE, e più in generale nelle relazioni atlantiche. Il nuovo Memorandum, che sostituisce quello lasciato cadere, parla infatti di cose altrettanto, se non più, concrete, come l’automotive  e l’intelligenza artificiale (i BAATX).Solo attraverso una cooperazione con la Cina potrebbero nascere delle multinazionali a base italiana ed europea nel campo dell’ informatica, che gli USA temono come la peste, come dimostrato dal caso Olivetti, il cui braccio destro, il Professor Chu, era, guarda caso, italo-cinese. Inutilmente la Commissione, per frenare le avances italiane, richiama la competenza europea in materia di commercio con l’estero, quando essa non ha fatto che eseguire i diktat degli Stati Uniti, e nessuno, tanto meno la Francia e la Germania, ha accettato sue ingerenze nei loro rapporti con la Cina.

Purtroppo, sono proprio quei Paesi, grandi investitori in Cina, a dover ora implementare, loro malgrado, le imposizioni europee sui dazi. Il che ne renderà la realizzazione impossibile.

Pe questo, in realtà, i messaggi dall’incontro Xi-Meloni valgono per tutti gli Europei, che non potranno rilanciare la loro economia se non con delle joint ventures paritetiche con le multinazionali cinesi, come da noi a  suo tempo suggerito con “L’Europa corre sulle Vie della Seta”.Proprio per questo, insieme alla premier, sono andati in Cina i leader delle maggiori imprese italiane, ben intenzionate a sfruttare questa finestra di opportunità.

Si sta forse realizzando quanto da noi suggerito con il volume Da Qin?

Come ha detto Xi Jinping, occorrerebbe però, da parte italiana, una maggiore sincerità. Infatti, le cose scritte in questo articolo le sanno tutti, o almeno nel mondo politico e nei ministeri, ma invece si preferisce trincerarsi dietro bugie diplomatiche, quali quelle della “concorrenza sleale” e della “sovracapacità”.

In particolare, le collaborazioni industriali con la Cina dovrebbero partire dal riconoscimento dell’arretratezza tecnologica europea derivante dalle forme attuali di collaborazione all’interno del sistema economico occidentale (e in primis nel settore digitale, e in generale nella alte tecnologie), che potrà essere superato solo con una reale volontà di fare concorrenza alle multinazionali americane.

4.Il Congresso Mondiale di Filosofia a Roma  e la Via della Seta Culturale

Come ha commentato alla televisione l’ambasciatore italiano a Pechino, Ambrosetti,  in occasione della mostra di Pechino su Marco Polo inaugurata dalla premier, se si vuole commerciare, bisogna innanzitutto intendersi. Si impone dunque innanzitutto una Via della Seta Culturale, che è la più difficile da realizzare, perché equivale alla negazione del sistema concettuale dell’ Occidente.

In questo campo, l’arretratezza degli Europei è abissale. Non solo per via dell’ignoranza generalizzata sulla storia, la geografia, le culture e le lingue dell’ Asia, bensì anche per l’arroganza che ha sempre caratterizzato l’”establishment” occidentale, dall’ “Esquisse” di Condorcet, alla Fenomenologia dello Spirito di Hegel,  alle “Leaves of Grass” di Whitman,  fino all’idea del primo Fukuyama di una  “Fine della Storia” con la vittoria finale dell’American Creed – tutte fondate sull’ idea hegeliana che le culture medio-orientali, indiane e cinesi rappresentino delle fasi “superate” della “Storia Universale”-.

Non a caso il Congresso Internazionale di Filosofia, che si è aperto (guarda caso) a Roma ha per titolo”La filosofia attraverso i confini”, partendo dal documento “Convivialità e dialogo fra i popoli. Termine, “Convivialità” , che ricorda da vicino la “Sobornost’”, che è lo slogan del cristianesimo ortodosso russo. ”(cfr. Solomon e Higgins, From Africa to Zen).

Tuttavia, anche gl’intellettuali “mainstream” che inneggiano alla multiculturalità non sono immuni da profondi retaggi dell’”arroganza romano-germanica” (cfr.Trubeckoj, “Europa e Umanità”), quali, ad esempio, la sostanziale riduzione della realtà al mondo empirico, la pretesa di una logica universale, che in realtà è ricalcata su quella, rigidissima, delle lingue occidentali ribattezzate da qualcuno come “nostratiche”, la centralità della politica, che riduce la filosofia ad ideologia, il mito del progresso…Intanto, la “cancel culture” che era partita come  un attacco all’ egemonia WASP nella cultura americana, sta finendo  per colpire anche la cultura europea, e addirittura, a ben guardare, quelle afro-asiatiche, accusate di misticismo, patriarcato, autoritarismo. In tale modo, non si riesce in alcun modo a mettersi nei panni degli altri, bensì si continua ad ergersi sul proprio piedestallo ideologico.

Al contrario, l’insegnamento stesso della filosofia non potrebbe più farsi se non in stretta connessione con la filologia generale e comparata. Infatti, una cosa è il pensiero fondato su sistemi alfabetici, che riproducono i suoni, e altro è una filosofia fondata su una scrittura pittografica, che passa immediatamente dal simbolo al concetto, scavalcando le questioni di grammatica, sintassi e pronunzia, potendo così accomunare le logiche di civiltà così diverse come quelle cinese, coreana, giapponese e vietnamita. Quindi, occorrerebbe invertire le basi stesse dello studio “delle filosofie”, partendo, per esempio, dai “Jiaguwen”, i 230 “radicali” che rappresentano le “idee primordiali” delle civiltà siniche e costituiscono gli elementi costitutivi dei 30.000 caratteri cinesi.

Giustamente Roberto Esposito ha criticato su La Stampa anche l’utilizzo ormai assorbente dell’ Inglese anche nella filosofia comparata (che porta ad un’ulteriore banalizzazione del fatto linguistico).Ma la soluzione non è, a nostro avviso,  un utilizzo indiscriminato della traduzione, che sta diventando per necessità traduzione automatica, bensì nel dovuto accoppiamento fra una cultura linguistica comparata e l’uso intelligente della traduzione automatica resa possibile dall’ Intelligenza Artificiale, che renderà inutile una “lingua veicolare” e rivaluterà tutte le grandi lingue storiche di cultura (Latino, Greco, Ebraico, Arabo, Persiano, Sanscrito, Tamil, Ge’ez, Cinese Classico, Giapponese Classico), nelle quali gl’intellettuali potranno ricominciare a scrivere e a parlare, disponendo di linguaggi più adeguati per i concetti astratti.

Non c’ è dunque una sola “storia della filosofia” (come si insegna nei nostri licei), bensì un “grappolo” di storie della filosofia (quelle “occidentali”: greco-cristiana-moderna, ebraica, islamiche, russo-ortodosse, americane;  quelle “siniche”-le “San Jiao” taoista, confuciana, buddhista-; quelle “indiche”: buddhist e indù; quelle “africane”; quelle pre-colombiane e indigenistiche; quelle pre-alfabetiche).

Quando la cultura europea ha voluto esprimere la sua disperazione per il vuoto creato dagli eccessi del progressismo, essa si è sempre rivolta all’ Oriente (“Il Vero Significato del Signore del Cielo” di Matteo Ricci, i “Novissima Sinica” di Leibniz, il “Rescrit de l’Empereur de la Chine” di Voltaire, il “Westöstlicher Diwan” di Goethe, il “Mondo come Volontà e Rappresentazione” di Schopenhauer, la “ Crisi del Mondo moderno ” di Guénon, la “Waste Land” di Eliot, il “Cammino del Cinabro” di Evola, la “Citadelle” di Saint-Exupéry). I “Conservatori Europei” di oggi, se vogliono costruire credibilmente un’“altra Europa”, non possono certo ignorare questa realtà, che, storicamente, i loro antenati erano stati i primi a individuare. A buon senso, non si può pretendere ch’ essi avallino oltre un certo limite la “cancel culture” della “sinistra bianca” (“Bai Zuo”, cfr:: “La falsa moralità della sinistra bianca occidentale e gli scienziati patriottici”, su “Renren”), che ha trovato espressione, per esempio, nell’ inaugurazione dei Giochi Olimpici di Parigi, mettendosi, con ciò, contro la cultura confuciana dell’ordine, quella indiana delle gerarchie, quella islamica della religione, quella africana e sudamericana della natura.

La riapertura del dialogo con la Cina dovrebbe servire  quindi anche e soprattutto per uscire dall’attuale crisi esistenziale dell’ Umanità (che ha come epicentri convergenti l’egemonia dei GAFAM (messa in evidenza per ultimo dalla sentenza Google e dall’invasione dell’ arena politica da parte di Musk), la “Terza Guerra Mondiale (a Pezzi”?) e la “Cancel Culture”(o “Cultura Woke”), così come raccomandato, prima di morire, da Henry Kissinger, e, più recentemente, dal Papa. In questo, l’Italia potrebbe fungere veramente da “ponte” culturale, al di là dei limiti burocratici dei Trattati Europei, anch’essi da riscriversi per esprimere la vera Identità Europea e i veri interessi dell’ Europa e del mondo (cfr. il libro “Da Qin”, da noi pubblicato nel 2018).

FRA I GAFAM PER TRUMP E IL GATTOPARDISMO EUROPEO

In mezzo alle tragedie, l'”establishment” ostenta soddisfazione.

La scorsa settimana, mentre il Parlamento Europeo ha ratificato il rinnovo dell’incarico a Ursula von Der Leyen, si è svolta a Milwaukee una convention repubblicana che, dopo il fallito attentato a Trump, non ha potuto che consacrarne a gran voce la nomination per il Partito Repubblicano.

Mentre il voto europeo è stato caratterizzato  dall’allagamento ai Verdi dell’alleanza a favore della Presidente uscente, una mossa in sostanza in sostanziale coerenza con il passato, la scelta dei Repubblicani americani sembrerebbe seguire una linea politica, ma soprattutto ideologica, di apparente  rottura con il “mainstream”. In particolare:

-rafforzato messianesimo, sostenuto da un’interpretazione taumaturgica del fallito attentato;

-venature monarchiche (Yarvin);

-teorizzazione della tecnocrazia del web (Srinivasan).

Rottura per altro anche questa a nostro avviso solo apparente perché, come non ci stanchiamo di ripetere da sempre, il vero filo conduttore della storia americana è stato costituito dal messianesimo, prima religioso, poi politico, e, alla fine, tecnologico, che sfocia nel chiliasmo della missione dell’America, sul quale sono d’accordo tutti i partiti.

Dalla presunzione dei primi puritani di costruire in America la biblica “casa sulla collina”, che  tutti avrebbero dovuto imitare, al “White Man’s Burden” che l’America avrebbe ripreso dall’ Inghilterra per portare ovunque la civiltà, per passare poi alla battaglia reaganiana contro l’ “Impero del Male”, al progetto di Kurzweil di realizzare attraverso Google la “Singularity Tecnologica”e l’idea di Eric Schmidt  che Google deve guidare gli USA alla conquista del mondo.

Sulla strada verso la Singularity, Musk ha superato Schmidt e Kurzweil

1.Al di là dei GAFAM

Oggi però si è raggiunto un livello di vicinanza alla Singularity mai fino ad ora nemmeno intravisto, grazie in particolare all’ intervento diretto nella campagna elettorale di “tycoons” informatici come Musk, Thiel e lo stesso Vance, che spostano clamorosamente le loro “donations” da un candidato all’ altro, con l’intento evidente d’imporre le rispettive strategie per il controllo  tecnologico del mondo.

I teorici trumpiani vogliono andare al di là dello stesso  progetto schmittiano di “Googleization of the World”. proclamando apertamente il progetto di Saint Simon: gl’imprenditori quali sacerdoti della Religione della Umanità, attraverso l’attribuzione formale del potere alle multinazionali del web : “Silicon Valley governi il Paese”(Srinivasan).

Si realizza così la previsione di Morozov, che l’informatizzazione costituirà l’arma finale dell’ America-mondo per bloccare a proprio favore la Storia mondiale. Progetto per altro oggi contrastato dalla nascita di un’industria digitale cinese (i BAATX, speculari ai GAFAM, ma soggetti a una disciplina ben più reale: il “crackdown sui BAATX”).

Non per nulla Elon Musk si è qualificato quale il massimo finanziatore di Trump, con 45 milioni di dollari al mese per la campagna elettorale. Come resistere a queste coalizioni di tycoons? E come impedire che l’intero “establishment” europeo, senza nemmeno lo spauracchio di una repressione di tipo “asiatico”, si faccia comprare in blocco sottobanco dagli stessi “donors” che finanziano in modo aperto la politica americana? Ammesso che non l’abbia già fatto, visto come, nonostante le varie finte, si è guardata bene da attaccare seriamente (per esempio sul fisco, sull’antitrust, sulla privacy)i GAFAM, nonostante che questi siano inauditi monopoli che vivono in simbiosi con l’apparato informatico-digitale americano.

Quegli atteggiamenti degl’ideologhi di Trump, che potrebbero sembrare isterici e privi di agganci con la realtà, sono perciò assolutamente comprensibili e razionali in un’America la cui cultura è dominata da sempre dal funesto incrocio fra  messianesimo e plutocrazia, e che si trova anche, oggi, di fronte alla drammatica prospettiva di essere scavalcata in efficienza da Paesi ritenuti “inferiori”, come la Cina e l’India. In questa situazione, è normale che l’establishment ricerchi freneticamente nuovestrategie politiche,se necessario voltando le spalle alle tradizionali retoriche americane dell’ egualitarismo e del liberismo, per abbracciare varie forme di realismo politico, dall’ autoritarismo all’interventismo economico, ritenute più idonee a rallentare l’ascesa dell’ Asia, e, con ciò, la decadenza dell’ Occidente. In questo s’inserisce un ulteriore rafforzamento della figura carismatica di Trump e della sua famiglia, sostenuto, da un lato, dalla sentenza della Corte Suprema del 1° luglio, che sancisce di fatto il principio della superiorità del Presidente sulla legge, caratteristico delle monarchie assolute (“Princeps legibus solutus”).

Uno di questi nuovi percorsi  potrebbe essere costituito dalla scelta di un’ alleanza con la Russia per contrastare la Cina, invertendo così il percorso iniziato a suo tempo da Kissinger negli anni ‘70 del XX secolo. E’ questa la prospettiva più temuta dall’establishment europeo, sbilanciatosi in modo autolesionistico a favore una guerra in Ucraina che, checché esso affermi, costituisce la negazione dei suoi interessi e valori.

Per ciò che riguarda Trump, da un lato,  egli si è immedesimato nello Zeitgeist inaugurato da Putin, Xi Jinping e Modi, basato su una rinascita religiosa, sul nazionalismo economico e su un leader carismatico, una formula divenuta quasi un obbligo per i governi delle grandi potenze in una fase, come questa, caratterizzata da forti rivalità geopolitiche e dall’ imminenza della IIIa Guerra Mondiale, e, dall’ altro, non ha fatto altro che approfondire un trend già avviato sotto Reagan e i due Bush, verso una “presidenza imperiale”.

Anche sotto questo punto di vista, il “motore immobile” verso l’accentramento è costituito dall’ Intelligenza Artificiale, che s’identifica con l’essenza ultima della transizione digitale: un’unica mega-macchina super-intelligente che pensa per tutti, come nei romanzi di Asimov, per il bene di tutti. Il sistema politico occidentale, che sarebbe “basato sulle regole” serve appunto a tenere tutti “legati e imbavagliati” in attesa che i GAFAM completino la costruzione della megamacchina. Le “regole” si riveleranno alla fine essere quegli algoritmi “etici” da tutti auspicati, nei quali la cosiddetta “algoretica” tradurrà il moralismo puritano, nelle sue varie declinazioni de “politicamente corretto” e del “woke”.

Il primo uomo in cui Musk ha fatto inserire una chip cerebrale

2.”Bisogna cambiare tutto perché nulla cambi”

Alla febbrile agitazione della politica americana e dei GAFAM fa da riscontro l’immobilismo europeo, che continua a proporci da decenni lodevoli obiettivi fondati su ideologie tradizionali, ma che sono soffocati sotto un mare di libri “verdi” e “bianchi” e di retoriche buoniste, senza l’ombra di una realizzazione concreta.

A mancare all’ appello non è solo la Federazione Europea, ma anche l’Esercito Europeo, l’Identità Europea,  i Campioni Europei, la Rete Europea, che non possono certo essere surrogati da sempre nuove autorities, da un mare di finanziamenti a pioggia con chiari “biases” ideologici, da generiche politiche per le piccole e medie imprese o   dall’Artificial Intelligence Act. Quello che manca è soprattutto ciò che oggi è più urgente: un piano europeo globale di comprensione, dibattito, controllo e rinnovamento dell’ Intelligenza Artificiale.

Quell’impostazione mistificatrice  risulta evidente da una anche solo rapida lettura del programma presentato dalla von der Leyen, i cui titoli sono bellissimi, ma, quando ci si guarda dentro, tradiscono il vuoto, quando non la falsità:

a)a cominciare dalla pretesa che l’economia sociale di mercato stia dando all’ Europa un vantaggio competitivo, mentre invece l’economia europea sta soffrendo proprio per l’assenza di quella politica, come per esempio la mancanza di programmazione, le carenze della partecipazione dei lavoratori, la mancanza di Campioni Europei, l’assenza dalle grandi piattaforme europee…;

b)per passare al preteso “rispetto delle regole”, quando le multinazionali americane sono in continua violazione delle regole stesse con la connivenza delle Istituzioni europee (vedi sentenze Schrems);

c)continuando con l’informatica, di cui l’ Europa è un consumatore, non un produttore, e di cui si fa solo qualche vago accenno, fra i tanti altri temi molto meno importanti, confessando così, implicitamente, che si vuole la continuazione dell’ attuale situazione di svendita del Continente;

d)e ancora con la Politica di Difesa, che viene vista solo come un finanziamento aggiuntivo alle industrie nazionali, non già come un problema di creazione di un’élite europea, di cultura comune, di patriottismo europeo, di intelligence e di alte tecnologie, e, non ultima, di disponibilità a battersi;

e)Per finire ancora con il discorso sui diritti umani, da imporre agli altri Stati, mentre noi siamo i primi a non rispettare le minoranze etniche (come quelle dei Russi – di milioni di persone sparse in tutto l’UE ma la cui lingua non è riconosciuta-,dei Serbi cacciati irreversibilmente dalla Krajina; dei Catalani, i cui rappresentanti eletti hanno dovuto scontare lunghe pene detentive nelle carceri spagnole); ideologiche (come l’islam politico ,  il cristianesimo integralista-vedi Lefebvre e Viganò-, e perfino quel post-fascismo da cui l’attuale Governo italiano trae in realtà il nocciolo duro dei suoi voti).

Ursula von der Leyen ha espresso efficacemente quest’atteggiamento quando ha affermato, al Vertice Sociale di Porto, citando “il Gattopardo”: bisogna cambiare tutto perché nulla cambi”.

Tra l’altro, una questione di stile: perché il programma della Commissione e il discorso inaugurale sono in Inglese, quando l’ Inghilterra non fa parte della UE? Molto più opportunamente la Maltese Metsola usa spesso l’Italiano.

Occorre riproporre prepotentemente la questione della lingua, ma in modo radicalmente innovativo (uso moderno dell’ lingue classiche, più tradizione digitale -cfr. il nostro libro “Es patrìda gaian”-).

Un’opposizione all’ impostazione dominante ci sarebbe, anche al Parlamento Europeo, oltre che in quelli nazionali,  tanto a destra quanto a sinistra (pensiamo as esempio a Melenchon e Sahra Wagenknecht), ma sembrerebbe proprio che anche i partiti “sovranisti” siano in realtà parte del grande gioco, prestandosi essi a un’opposizione di comodo, ma non attaccando mai gl’interessi strategici dell’ “establishment”. Basti pensare che, sommando i voti di quei vari partiti (assolutamente intercambiabili), quello sovranista risulterebbe essere il primo gruppo politico di questo Parlamento, superiore perfino al PPE, e potrebbe perfino aspirare a proporre il presidente della Commissione.

In realtà, i vari gruppi “sovranisti” si agitano soprattutto  per far credere che esistano davvero, , per mettersi in mostra nei confronti dei loro attuali o potenziali sponsors (Biden, Trump, Putin, GAFAM?) facendo ciò che nella Marina delle Due Sicilie, si chiamava “ammuina”, vale a dire muoversi senza uno scopo sui vascelli.

Per esempio, il Parlamento, così deciso nella scelta pro-ucraina imposta dal Presidente Biden, incomincia già a sfilacciarsi, non solo con Orbàn, ma perfino con Michel, in previsione della vittoria elettorale di Trump in America, a cui tutti finiranno per allinearsi. Il Parlamento Europeo risulta essere, in tal modo, solo la cassa di risonanza delle vicende politiche americane. E’ lì che si adottano le vere scelte politiche, anche per l’ Europa. Del resto, l’idea stessa dell’ integrazione europea postbellica era stata lanciata, nell’ arena politica, da un voto in tal senso del Senato Americano (su proposta del Senatore Fulbright). Come si può pensare che, con una tale premessa, le Istituzioni Europee si esprimano in un senso contrario alla posizione di volta in volta egemonica in America?

Certo, l’attuale situazione kafkiana, con un’America profondamente divisa, il tentativo di Russia e Cina d’influenzare la politica occidentale, la forte consistenza numerica, ma anche la debolezza strutturale, dei sovranisti di destra e di sinistra, aprirebbe parecchi spiragli per una eventuale strategia di critica da parte di minoranze attive desiderose di unificare l’Europa sul serio, e non a parole come si è fatto fino ad ora.

Chi avrà il coraggio d’ incominciare?

IL PAPA AL G7:

l’INTELLIGENZA ARTIFICIALE: “FASCINANS ET TREMENDUM”

Il tanto atteso intervento del Papa al G7 si è mosso, almeno parzialmente, nella giusta direzione, soprattutto là dove ha abbandonato la finta neutralità dell’”establishment”, anche ecclesiale, circa l’ “algoretica”, chiarendo, al contrario,  che l’Intelligenza Artificiale è “Fascinans et tremendum”, carattere che Rudolf Otto aveva attribuito come caratteristica specifica al “Sacro”. Quindi, è emerso, anche se implicitamente, che il Papa considera l’Intelligenza Artificiale una nuova religione. Secondo il “Primo Progetto Sistemico dell’ Idealismo Tedesco (attribuito a Hoelderlin, Hegel e Schelling) la “nuova scienza” costituirebbe addirittura la trama occulta della Modernità – contendendo esso, spesso vittoriosamente, come scriveva Saint-Simon (“la Réligion de l’Humanité”) –, il ruolo ch’era stato, per molti millenni, proprio delle “religioni tradizionali”(e in primis del Cristianesimo), che avevano al loro centro una salvezza “spirituale” e individuale, non già materiale e collettiva.

In ciò consiste la “dignità di ogni singola persona”.

Oggi più che mai, alla “vulgata” del “Pensiero Unico” è sottinteso che le singole religioni (come le altre concezioni del mondo) possono coesistere pacificamente fra di loro e con la dominante “religione civile” del Progresso perché sono dei vuoti simulacri, mentre la “vera” religione della Modernità è l’adorazione della Singularity Tecnologica, il “Dio veniente” costruito dagli uomini (i “Bogostriteli” cari al primo Bolscevismo). Quando invece qualche religione, come per esempio l’Islam, pretende d’ informare di sé l’intero comportamento umano, allora scatta l’interdetto dei guardiani dell’ortodossia tecnocratica, e partono nuove guerre di religione.

Il Pontefice ha parlato del “paradigma tecnocratico” come di un pericolo, alimentato dall’ Intelligenza Artificiale, ma in realtà questo paradigma è già dominante almeno dal II° Dopoguerra, quando il mondo fu diviso fra due “blocchi” animati da due diverse, ma convergenti, ideologie materialistiche orientate allo sviluppo economico, che oggi si sono fuse nell’ ideologia “TINA” (“There is no Alternative”).

Certo, vi è un’implicita contraddizione fra il carattere deterministico delle ideologie marxista e liberista e una “dignità della persona” che presuppone il libero arbitrio della singola persona. Il pensiero cristiano, affermando come irrinunziabile la “dignità della persona”, prende  sostenzialmente posizione contro la soteriologia collettivistica e deterministica dominante , e, come tale, si espone all’interdetto dei “gatekeepers” della cultura “mainstream”.

Il Papa si pone in un certo senso ambiziosamente al centro di questo implicito conflitto,  aspirando ad esprimere alcuni principi comuni, che vadano al di là dei diversi sistemi di valori, che così possano coesistere senza confliggere fra di loro (la distinzione, fatta da Hans Kueng, per il suo Weltethos, fra “valori Spessi” e valori “Sottili”, che però restano distinti fra di loro e non si confondono con l’ossequio al determinismo tecnologico ). Concezione, quella esposta dal Papa,  che, a sua volta, costituisce il risvolto etico di quel “mondo poliedrico”, o multipolare, che paradossalmente è proprio quello contro cui il G7 di Borgo Egnazia è stato organizzato.

Quel sincretismo pontificio, per quanto equilibristico, è forse l’unica via di uscita dalla tenaglia che si è creata fra l’unica religione viva e vegeta, quella del progresso senza limiti, e la conflittualità senza fine indotta dall’assolutismo dei singoli, diversi, sistemi di valori (come accade per esempio fra islamici ed ebrei, indù e islamici e fra sunniti e sciiti).

Una precisazione doverosa ed urgente, che la cornice mondano-kitsch del G7 ha indebolito, perché, per forza di cose, il messaggio del Papa ha dovuto essere abbassato al livello degli interlocutori (non già “Grandi della Terra”, come qualcuno li aveva definiti, bensì, più appropriatamente,  “anatre azzoppate”, per dirla con l’espressione usata da pressoché tutti i commentatori). Vale la pena di ricordare il giudizio ancor più severo, per esempio, di Quirico su “La Stampa” del 15 giugno:“sono questi i Grandi della terra?Sono loro a cui affidiamo il compito di fermare il precipizio più cupo e terribile?Una Santa Alleanza di mediocri sopravvissuti all’ Ancien Régime?”Così li apostrofa, giustamente, Quirico.

L’unico che abbia portato al tavolo un problema serio, l’Intelligenza Artificiale, e lo abbia fatto in modo approfondi, è stato dunque il Papa. Ma, come dicevamo, ha dovuto misurare le parole e moderare i toni, e censurare molti temoi, per non stonare troppo nel contesto del G7.

Di conseguenza, fondamentali considerazioni sul carattere non neutrale della tecnica, nonché sulla natura  non “generativa”, bensì “imbalsamatoria” dell’ Intelligenza Artificiale, e, infine, sull’urgenza del pericolo delle armi autonome, che pure sono presenti nel discorso del Papa, non si sono potute sviluppare appieno, potendo dare agli osservatori superficiali l’impressione che si sia trattato di un’ennesima espressione delle retoriche della cultura “mainstream”, mentre questo non è stato il caso.

Ma andiamo con ordine, commentando uno per uno i punti salienti dell’intervento papale.

  1. Nessuna innovazione è neutrale (Heidegger)

Contrariamente al luogo comune secondo cui l’Intelligenza Artificiale, come ogni altra tecnologia, può essere usata tanto per il bene, quanto per il male, il Papa ha chiarito che per lui, come per Heidegger, “la Tecnica non è qualcosa di tecnico”, bensì “uno strumento sui generis”:

“La tecnologia nasce per uno scopo e, nel suo impatto con la società umana, rappresenta sempre una forma di ordine nelle relazioni sociali e una disposizione di potere, che abilita qualcuno a compiere azioni e impedisce ad altri di compierne altre. Questa costitutiva dimensione di potere della tecnologia include sempre, in una maniera più o meno esplicita, la visione del mondo di chi l’ha realizzata e sviluppata.”

Ne consegue che qualunque cosa diciamo o facciamo (o non facciamo) circa l’ Intelligenza Artificiale è una scelta politica, culturale e storica. Anche l’idea dei GAFAM di posticipare la regolamentazione internazionale, che, di fatto, equivale a permettere loro di porre gli Stati dinanzi a dei fatti compiuti determinanti sul futuro dell’ Umanità, a cominciare dalla creazione di ecosistemi bellici autonomi, di cui il Papa ha parlato espressamente. E, purtroppo, questa scelta è quella che presiede all’ andamento delle trattative sulle armi autonome, che, secondo i documenti del G7, sono state aggiornate fino al 2026.

2)Una rivoluzione ontologica

Contrariamente a quanto permesso dal contesto del G7, il Papa ha definito l’Intelligenza Artificiale come “Uno strumento affascinante e tremendo al tempo stesso ed impone una riflessione all’altezza della situazione” ponendola al centro del dibattito internazionale, e non subordinandola ad altri temi importanti ma meno urgenti, “Infatti, l’intelligenza artificiale sul futuro dell’umanità….influenzerà sempre di più il nostro modo di vivere, le nostre relazioni sociali e nel futuro persino la maniera in cui concepiamo la nostra identità di esseri umani”.

Ciò non significa che in passato l’uomo non fosse influenzato e plasmato dalle tecniche ch’egli andava creando. Secondo il Papa, che riecheggia, in ciò, il pensiero tecno-scettico di Weber, Heidegger, Anders, Gehlen (espressamente citato) e De Landa,“l’essere umano ha da sempre mantenuto una relazione con l’ambiente mediata dagli strumenti che via via produceva. Non è possibile separare la storia dell’uomo e della civilizzazione dalla storia di tali strumenti. Qualcuno ha voluto leggere in tutto ciò una sorta di mancanza, un deficit, dell’essere umano, come se, a causa di tale carenza, fosse costretto a dare vita alla tecnologia (l’uomo, quale “animale imperfetto”, cfr. Nietzsche)

In effetti, fino dalla prima antichità, gli ominidi si sono sempre distinti dai pitecantropi per la loro abilità nel costruirsi delle “protesi”, siano esse fisiche o concettuali, per confrontarsi con il mondo (cfr. Gehlen). Con il passare dei millenni, l’uomo è divenuto così ricco di protesi (utensili armi, abiti, abitazioni, linguaggi, leggi, immagini), dal divenire indistinguibile da essi (la “Gabbia di acciaio” di Weber, l’”Apparato” di Heidegger).

3. La  condizione tecno-umana

Ne consegue che, addirittura,”parlare di tecnologia è parlare di cosa significhi essere umani e quindi di quella nostra unica condizione tra libertà e responsabilità”.

Tuttavia, con l’”Intelligenza Artificiale” si crea un rapporto nuovo fra uomo e tecnica, che rende palese quanto profondamente la tecnica influenzi l’uomo: “mentre l’uso di un utensile semplice (come il coltello) è sotto il controllo dell’essere umano che lo utilizza e solo da quest’ultimo dipende un suo buon uso, l’intelligenza artificiale, invece, può adattarsi autonomamente al compito che le viene assegnato e, se progettata con questa modalità, operare scelte indipendenti dall’essere umano per raggiungere l’obiettivo prefissato.”Ciò significa che, in linea di principio, l’uomo potrebbe perdere il controllo del suo “strumento”.

4.L’Intelligenza Artificiale non è propriamente “generativa”, bensì “rafforzativa” delle situazioni esistenti.

C’è chi nega che l’Intelligenza Artificiale possa divenire veramente “autonoma”.Questa negazione persiste anche nei confronti dell’I.A. cosiddetta “generativa: “Quest’ultima, in verità, cerca nei big data delle informazioni e le confeziona nello stile che le è stato richiesto. Non sviluppa concetti o analisi nuove. Ripete quelle che trova, dando loro una forma accattivante. E più trova ripetuta una nozione o una ipotesi, più la considera legittima e valida. Più che “generativa”, essa è quindi ‘rafforzativa’, nel senso che riordina i contenuti esistenti, contribuendo a consolidarli, spesso senza controllare se contengano errori o preconcetti.”

Ma è proprio per questo ch’ essa implica il pericolo della fine dell’ umanità, perché quest’ultima ,caratterizzata dall’ imperfezione, tende sempre a qualcosa fuori di sé, mentre l’Intelligenza Artificiale tende a ripetere all’ infinito gl’ input iniziali.Il risultato è quello “di irrobustire il vantaggio di una cultura dominante, ma di minare altresì il processo educativo in nuce. L’educazione che dovrebbe fornire agli studenti la possibilità di una riflessione autentica rischia di ridursi a una ripetizione di nozioni, che verranno sempre di più valutate come inoppugnabili, semplicemente in ragione della loro continua riproposizione “.

Del resto, questo è il compito affidato alla cultura nella società post-moderna: quello di educare i cittadini al conformismo del “politically correct” ,dell’ “egemonia culturale”, della “memoria condivisa”. Come stupirci se anche l’Intelligenza Artificiale non fa che rafforzare i “bias”, i pregiudizi che essa trova nei materiali umani su cui viene “addestrata”? Perfino la legislazione che pretenderebbe di contrastare i “bias”, in realtà svolge una funzione censoria nei confronti dei punti di vista anticonformistici, rivelandosi così un potente strumento di omologazione.

Il Pontefice ne è chiaramente consapevole:“Non possiamo, quindi, nascondere il rischio concreto, poiché insito nel suo meccanismo fondamentale, che l’intelligenza artificiale limiti la visione del mondo a realtà esprimibili in numeri e racchiuse in categorie preconfezionate, estromettendo l’apporto di altre forme di verità e imponendo modelli antropologici, socio-economici e culturali uniformi.”In sostanza, l’Intelligenza Artificiale, estrapolando le soluzioni dall’ universo dato, con la sola correzione della censura imposta dagli Stati, finisce per appiattire l’umanità sul modello tecnocratico, che allinea ogni forma di conoscenza secondo categorie astratte e quantificabili, perdendo, in sostanza, l’”esprit de finesse” a vantaggio dell’ “esprit de géométrie” (Pascal).

C’è di più: essa tende anche a frustrare gli sforzi fatti da scienziati e filosofi di tener conto del superamento del materialismo volgare realizzato grazie al Principio d’Indeterminazione (cfr. Wittgenstein, Heisenberg, De Finetti, Feyerabend, Faggin).

5.No al paradigma tecnocratico

“Il paradigma tecnologico incarnato dall’intelligenza artificiale rischia allora di fare spazio a un paradigma ben più pericoloso, che ho già identificato con il nome di ‘paradigma tecnocratico’. Non possiamo permettere a uno strumento così potente e così indispensabile come l’intelligenza artificiale di rinforzare un tale paradigma, ma anzi, dobbiamo fare dell’intelligenza artificiale un baluardo proprio contro la sua espansione.”

Per questo, la disciplina dell’ I:A: costituisce il campo di battaglia di una inedita “guerra culturale”. A questo scopo serve la politica, che deve regolamentare l’ AI:“A ciò si aggiungono le strategie che mirano a indebolirla, a sostituirla con l’economia o a dominarla con qualche ideologia. E tuttavia, può funzionare il mondo senza politica? Può trovare una via efficace verso la fraternità universale e la pace sociale senza una buona politica?».

Il senso di quella regolamentazione è che“Di fronte ai prodigi delle macchine, che sembrano saper scegliere in maniera indipendente, dobbiamo aver ben chiaro che all’essere umano deve sempre rimanere la decisione, anche con i toni drammatici e urgenti con cui a volte questa si presenta nella nostra vita. Condanneremmo l’umanità a un futuro senza speranza, se sottraessimo alle persone la capacità di decidere su loro stesse e sulla loro vita condannandole a dipendere dalle scelte delle macchine. Abbiamo bisogno di garantire e tutelare uno spazio di controllo significativo dell’essere umano sul processo di scelta dei programmi di intelligenza artificiale: ne va della stessa dignità umana.”

Ma fare dell’ Intelligenza Artificiale un “baluardo” contro il “paradigma tecnocratico” significa che la Chiesa si schiera in questa “guerra culturale”, cercando di radunare intorno a se i fautori del libero arbitrio contro quelli del determinismo algoritmico.

6.Individuare  principi condivisi

In pratica, è fondata la preoccupazione, espressa da molti, che, anche grazie all’ Intelligenza Artificiale, cioè alla macchinizzazione del mondo, siamo giunti, come ha scritto Martin Reed, al Secolo Finale dell’ Umanità, perché, come voleva Guenther Anders, l’”Uomo è antiquato”. Il Papa, riallacciandosi, in ciò, alla corrente maggioritaria della tradizione cristiana, crede di doversi opporre a questa sorte (“frenare l’Apocalisse”, secondo la tradizione paolina  del “Katechon”), anche se sa che è difficile trovare un accordo su come evitarla. E, diremmo noi, anche sul se sia opportuno evitarla, come dimostrano le opere di Ray Kurzweil, e, in campo cattolico, di Teilhard de Chardin, che sono invece animate dall’ansia “chiliastica” di giungere al più presto alla Fine.

Il Papa vuole comunque tentare una conciliazione dei principi in questa materia propri alle diverse culture mondiali, partendo proprio dall’ accettazione della molteplicità delle culture (essendo fedele, in ciò, alle sue radici gesuitiche; si pensi a Matteo Ricci):“In un contesto plurale e globale, in cui si mostrano anche sensibilità diverse e gerarchie plurali nelle scale dei valori, sembrerebbe difficile trovare un’unica gerarchia di valori. Ma nell’analisi etica possiamo ricorrere anche ad altri tipi di strumenti”

Paradossalmente, in un momento e in contesto, come quello del G7, dove si continua ad affermare che i valori dominanti nel Nord-atlantico all’ inizio del  XXI siano “validi sempre e in ogni luogo”, affermare  che “possiamo ricorrere anche ad altri tipi di strumenti”è rivoluzionario

“Se facciamo fatica a definire un solo insieme di valori globali, possiamo però trovare dei principi condivisi con cui affrontare e sciogliere eventuali dilemmi o conflitti del vivere” (i “Valori spessi”, comuni a tutte le culture, che invece sono caratterizzate da quelli sottili”, cfr. Kueng).

Orbene, a nostro avviso, questo qualcosa che unisce l’Occidente dalle “radici giudaico-cristiane” con l’Islam in quanto “religione del  Libro”, così pure come con l’Asia sincretista (sciamanesimo, mazdeismo, religioni tradizionali popolari, buddhismo, induismo, taoismo, confucianesimo), e con i “popoli prealfabetici” sono le basi culturali dell’”Epoca Assiale” (Jaspers, Eisenstadt,Assmann): Lingua, scrittura, religione, città, gerarchia, imperi. Tutte le cose che definiscono “la civiltà” (perché quel che c’era prima delle lingue scritte è difficile da definire), e che sono messi in forse dalla post-modernità: culto della tecnologia, linguaggio-macchina, lettura del pensiero,  armi autonome, governo degli algoritmi, Stato mondiale.

E, difatti, fuori dell’ Occidente, si sta ricreando sotto i nostri occhi proprio un facsimile del mondo dell’ Età Assiale: “Tian Xia” in Estremo Oriente, Bharat in Asia Meridionale, Dar al-Islam in Medio Oriente, Unione Africana fra i popoli più antichi, “Patria Grande” fra i discendenti degl’Inca, dei Maya e degli Aztechi. Esse si interfacciano nel riconoscimento reciproco, come ai tempi della “Pax Aeterna” firmata nel 532 tra Giustiniano e l’imperatore persiano Cosroe, uniti, allora, salla vecchia, e, oggi,  dalle nuove vie della seta. Mancano all’ appello solo i discendenti dell’Impero Romano, divisi dalle  pretese di primato delle diverse Terze Rome: Washington, Mosca, Istanbul, forse anche Bruxelles… Il Sommo Pontefice avrebbe gli strumenti per porsi al di sopra  delle diverse versioni della “Translatio Imperii”, che sono alla base dei conflitti attualmente in corso.

Sapranno le Chiese, l’Italia, l’Europa e il mondo, allargarsi a una visione tanto ampia in questo momento di grande difficoltà, così come auspicavano già Pufendorf, Novalis e De Maistre?

6.Gli argomenti non trattati a Borgo Egnazia

Ci sono alcuni aspetti che il Papa non ha trattato o ha appena accennato, ma che sono, invece, centrali per comprendere la questione e delineare possibili soluzioni.

Innanzitutto, gl’impianti neurali, per i quali Elon Musk ha ottenuto di recente l’autorizzazione delle autorità americane, e che potrebbero portare al collegamento diretto del cervello umano con un’Intelligenza Artificiale Generale, dal quale “qualcuno” (per ora Musk, domani la NSA, dopodomani il PCC…),  potrà fare muovere l’intera Umanità come un teatro di burattini, finché questo gioco non sarà assunto definitivamente da un’”Intelligenza Artificiale Generativa” (“la Megamacchina”).

Questa innovazione annullerebbe già di per se tutto quanto è stato detto, pensato e fatto in  materia di umanità, perché, abolendo il libero arbitrio, abolirebbe anche la libertà, non solo di azione, ma perfino di pensiero. In tal modo, abolirebbe anche l’Umanità, trasformata in qualcos’altro.

In secondo luogo, le “Armi Autonome”, alle quali il Papa ha accennato, ma soltanto in modo generico, sottacendo i fatti più importanti, quelli che si sarebbero dovuti affrontare in un “G7”, o meglio in un’assise internazionale veramente rappresentativa.

In effetti, lo stesso giorno in cui si chiudeva il G7, il Governo Ucraino ha annunziato, per primo, la creazione di un esercito di automi, la FUS (“Forza dei sistemi senza umani”), al comando del colonnello Vadym Sukharevskyj.

Il problema numero uno per la regolamentazione internazionale dell’ Intelligenza Artificiale è proprio il fatto che questa viene impiegata innanzitutto a scopi bellici, ma il relativo trattato delle Nazioni Unite viene bloccato dalle Grandi Potenze con il pretesto che “Le armi Automome non esistono”- in sostanza perché, come abbiamo visto, l’Intelligenza Artificiale non è veramente “generativa”, bensì segue in ultima analisi un input umano, quand’anche molto lontano-. E, nel caso bellico, un “inpunt lontano” , come le famigerate “Leggi della Robotica” di Asimoov, equivarrebbe semplicemente a lasciare alle macchine di decidere in autonomia. Che cos’è, infatti, “il bene dell’ umanità”? E, questo, in un contesto bellico in cui, per definizione, occorre “colpire il nemico”? Come distinguere fra “armi letali” e “armi non letali”, “obiettivi legittimi” e “effetti collaterali”?

D’altronde, il massimo sistema d’ arma autonomo attualmente impiegato, il “Perimetr’” russo (in Inglese, “Dead Hand”), consiste semplicemente nell’ automatizzare il comando di distruzione totale nel caso di annientamento del comando russo. Questo sistema, lanciato dopo il fallimento del sistema semi-automatico OKO nel 1983, costituisce paradossalmente anche la maggiore remora allo scatenamento della guerra nucleare, perché garantisce ch’ essa non avrebbe vincitori (o, al massimo,  se gli USA non avessero un sistema simile vincerebbe la Russia).

In queste condizioni, come è possibile affermare che le armi autonome non esistono? Al contrario, il motivo per cui non le si vuole regolamentare è che esse svolgono una funzione essenziale nell’ equilibrio nucleare, e, per questo, paradossalmente, anche nel mantenimento della pace.

Se non si affronta questo problema, l’esistenza dell’umanità resta appesa a un filo. Per questo, Kissinger, prima di morire, aveva raccomandato a Biden e a Xi Jinping da incominciare a trattare su questo punto, perché da esso dipende l’equilibrio politico mondiale, e, di conseguenza, anche l’esito delle guerre in corso, che non finiranno fintantoché i due nuovi blocchi contrapposti che abbiamo visto a Ginevra e a Mosca non si accorderanno suuna nuova ripartizione del potere e della ricchezza a livello mondiale.

Le Nazioni Unite hanno richiesto, come previsto nelle ultime opere di Kissinger, la firma di un trattato internazionale onnicomprensivo sull’ Intelligenza Artificiale e la costituzione di un’apposita Agenzia, sul modello di quella per il disarmo nucleare..

LE IDENTITA’ CONTINENTALI :

SOLO ARGINE CONTRO

LA SINGULARITY TECNOLOGICA

In questi giorni, assistiamo alla riscoperta dell’Identità Europea (e di tutte le identità continentali) quale elemento essenziale per affrontare le sfide più attuali, dalla guerra in Ucraina all’Intelligenza Artificiale. Questa riscoperta non è immotivata, poiché le scelte che ci attendono sono così drammatiche, che potranno essere fatte solo in base ad una consapevolezza profonda delle identità che ci uniscono (e spesso ci dividono). Questo si ripercuote anche positivamente sulla campagna elettorale per le Elezioni Europee, nella quale finalmente fanno finalmente capolino le questioni identitarie.

Intanto, l’incitamento del Segretario Generale della NATO, Stoltenberg, agli Stati membri della NATO affinché autorizzino l’uso, contro il territorio russo, delle armi da essi messe a disposizione  dell’Ucraina,  ha messo in evidenza l’imbarazzo degli Europei circa la guerra in corso che -lo si voglia o no- è una guerra fra Europei, che, per origine e meccanica, potrebbe riprodursi un po’ dovunque nel nostro Continente (in Catalogna, Bosnia, Kossovo, Cipro, Kurdistan, Nagorno-Karabagh, Gagauzia, Moldova, Transnistria, Carpazi, Paesi Baltici..), tenendo conto che quasi tutti gli Stati che si pretendono “nazionali” in realtà comprendono una percentuale non indifferente di “popoli minoritari”. Ma, soprattutto, la guerra in corso è innanzitutto la terza guerra civile europea, e i discorsi fatti da molti sull’Identità Europea, se non riescono a frenarla, sono soltanto chiacchere in malafede.

L’Italia è particolarmente determinata nell’ opporsi a tale iniziativa, mentre l’Ungheria ha minacciato perfino di uscire dalla NATO. E’ chiara anche nei sondaggi l’insoddisfazione della maggior parte degli Europei per l’immotivato incancrenirsi, negli ultimi 30 anni, della frattura fra Europa Occidentale e Comunità di Stati Indipendenti, che potrebbe portare in qualunque momento a una guerra nucleare nel cuore dell’Europa, scatenata per esempio da un malfunzionamento dei sistemi elettronici di contrasto agli attacchi nucleari, quale quello verificatosi nel 1983 con il sistema sovietico “OKO”.

Perciò, il dibattito scatenato da quell’ affermazione di Stoltenberg ha richiamato anche la centralità dell’uso bellico dell’Intelligenza Artificiale. Infatti, il primo caso di uso di armi a lunga distanza denunziato dalla Russia riguarda proprio un impianto di avvistamento radar, che costituisce un elemento essenziale della difesa digitale. Accecare i sistemi di allerta elettronica dell’avversario è la prima possibile  causa di un’eventuale scoppio accidentale della guerra nucleare.  Eppure, gli Stati si ostinano a sostenere addirittura che “le armi autonome non esistono”.

Questa situazione, che, tra altro, può avere effetti immediati sulle Elezioni Europee (come è stato recentemente in Serbia e in Slovacchia) porterà, in caso di guerra generalizzata, ad ancor più drammatiche fratture all’ interno dell’Europa, che accelereranno la presa di controllo, sull’ intera società, delle macchine intelligenti. Infatti, “Le guerrier du futur est un robot.”, cfr. L.Alexandre, La guerre des intelligences à l’ère de ChatGTP”.Che costituisce il massimo dei pericoli, ancor prima di quello di una guerra nucleare.

Per questo motivo, è utile richiamare brevemente le ragioni degli attuali conflitti, e le questioni in base alle quali gli Europei sono chiamati pressantemente a schierarsi.

La Francia vuole ripetere l’avventura napoleonica?

1.La politica dei blocchi quale effetto della seconda globalizzazione

Le Guerre Mondiali erano state tali perchè fin da un secolo si era assistito a una forma di globalizzazione, vale a dire la costituzione d’imperi intercontinentali che si contendevano il primato sul mondo: americano, britannico, francese, russo, tedesco, giapponese, cinese, che avevano partecipato al conflitto coinvolgendo i loro sudditi extraeuropei, morti a decine di milioni per queste guerre fra Europei.

Dopo le Guerre Mondiali, gl’imperi giapponese, tedesco e francese si erano dileguati, mentre gli altri avevano assunto una natura ideologica (democrazia, comunismo, socialismo con caratteristiche cinesi). L’Europa era stata resa impotente dividendola fra Impero americano e Blocco Sovietico, e le culture “mainstream” erano state mobilitate per dare una base culturale credibile a quella realtà contronatura. Infatti, i due “blocchi” avevano le loro radici comuni nelle “Rivoluzioni Atlantiche” e condividevano il Mito del Progresso.

Nel 1989, l’establishment americano aveva preteso che la caduta del Muro di Berlino avesse rappresentato la “Fine della Storia” quale la intendevano Kant, Hegel, Marx e Kojève, sicché si sarebbe instaurato finalmente un solo Stato mondiale fondato sull’ etica puritana e sui GAFAM (Google, Apple, Facebook, Amazon, Microsoft), e, governato da Washington e da New York (lo “One-Worldism” di Wilkie, o l’ “America-Mondo” di Valladao). In questo scenario, proliferarono i teorici del Post-Umanesimo, che miravano, e ancora mirano, all’utopia definita da Ray Kurzweil come “Singularity Tecnologica”, vale a dire la fusione dell’ uomo con la macchina, della macchina con la natura e dell’Universo con il nulla: l’Apocalisse tecnologica, altimo avatar di quelle religiose e rivoluzionarie.

Alla fine del ‘900, le resistenze esercitate dalla Serbia e dall’integralismo islamico contro l’allargamento al Vecchio Continente  dell’ “America-Mondo” avevano però costretto l’establishment a correggere il tiro, proclamando, con George Bush Jr.,  la “Giustizia senza limiti”, vale a dire l’applicazione pratica, con a guerra in Afghanistan,  dello “Scontro di Civiltà”, o dell’“Occidente contro Tutti”, come sintetizzato, nel libro “Scontro di Civiltà”, da Samuel Huntington. Vale a dire che l’allargamento dell’ America-Mondo non sarebbe più avvenuto in forma relativamente pacifica, bensì con uno sforzo coordinato, culturale e militare. A tale fine, il Parlamento Americano ha stanziato negli anni somme enormi (l’”Endowment for Democracy”) per realizzare, fuori della sfera d’influenza occidentale, le cosiddette “Rivoluzioni Colorate”, usando, quale strumento principe, i social networks, secondo un vero e proprio “manuale operativo” scritto da Gene Sharp, “From Dictatorship to Democracy”.

Rivoluzioni che furono effettivamente tentate, ma con scarso successo, in Serbia, Georgia, Siria, Iran, Egitto, Libia, Tibet, Hong Kong e, finalmente, in Ucraina, dove l’”Euromaidan” è sfociato, prima, in una guerra civile, poi, nell’ attuale guerra di attrito. Non per nulla, nel frattempo, i GAFAM espandevano a tutto il mondo la propria influenza con le grandi piattaforme e l’”Ideologia Californiana”, mentre le 16 agenzie di Intelligence avvolgevano il globo con una rete inestricabile di controlli digitali (Echelon e Prism). Le due reti, quella privata dei GAFAM e quella pubblica delle agenzie di intelligence, si sono praticamente fuse, grazie a una consolidata legislazione americana sul segreto epistolare, che è forzabile dall’ intelligence militare con procedure semplici e segrete.

Come sappiamo, questi tentativi di omogeneizzare il mondo con Internet, le Guerre Umanitarie e le Rivoluzioni Colorate si è per ora arenato, non tanto e non soltanto per la resistenza diretta dei Governi interessati, bensì anche e soprattutto perché il caos provocato dalle Rivoluzioni Colorate ha spesso prodotto effetti non voluti, come il nascere di nuovi regimi altrettanto, se non più, anti-americani dei precedenti.

Soprattutto, varie parti del mondo (come la Russia e la Turchia), sentendosi particolarmente esposte a queste pressioni (per esempio il colpo di Stato di Guelen), hanno modificato le loro precedenti politiche di dialogo, per rendere le loro società meno permeabili alle Guerre Umanitarie e alle Rivoluzioni Colorate, appoggiandosi, in ciò, alle loro tradizioni storiche -per lo più antiche tradizioni imperiali che le configurano quali centri egemoni di soggetti politici continentali più vasti (Cina, India, Islam),e in ciò adeguandosi  paradossalmente, con una forma di “rivalità mimetica”, al modello dell’ “Impero Nascosto” americano- .Questo sforzo  sembra avere sempre più successo, con la creazione dei BRICS, dei BAATX cinesi e della Via della Seta, con l’abbandono americano dell’ Afghanistan e con l’esito delle guerre in Cecenia, in Georgia, in Siria, in Libia e in Palestina.

Come ha scritto il 22 maggio Massimo Cacciari sulle pagine de “La Stampa”, “la vera questione: che l’ Occidente, oggi l’Occidente americano, non è più strutturalmente in grado di confrontarsi con gli altri Grandi Spazi sulla base di una propria volontà egemonica. Occorre saper ‘tramontare’ da tale volontà, non per sparire, ma, all’ opposto, per dar vita a un nuovo Nomos della Terra multipolare, policentrico”.

Sotto un altro punto di vista, proprio lo sviluppo tumultuoso dei GAFAM ha reso evidente che la storia sarà decisa da una “Guerra fra Intelligenze” (fra intelligenza naturale e artificiale, fra GAFAM e BAATX cinesi, cfr. Alexandre, La Guerre des Intelligences), che l’umanità potrà frenare solo organizzandosi in una Comunità Internazionale con progetti condivisi. Oggi, i due pilastri di tale comunità sono due grandi blocchi (l’Occidente a guida americana e l’Organizzazione di Shanghai),che “mettono a disposizione” le loro enormi risorse ciascuno a favore di uno dei contendenti della “Guerra fra Intelligenze”(La Singularity Tecnologica o il Socialismo con caratteristiche Cinesi). La “Guerra delle Intelligenze” tende così a sfociare nella Terza Guerra Mondiale, mentre il dialogo fra USA e Cina avviato dalle iniziative di Kissinger costituisce solo un pallido tentativo di pacificazione,  che non frena affatto la Terza Guerra Mondiale.

Quelle due superpotenze digitali non riescono infatti  neppur esse a rappresentare adeguatamente le istanze delle loro parti componenti, e quindi ad esprimere, nello sforzo per controllare l’IA, il meglio delle rispettive tradizioni. Nell’Occidente, si distinguono un’America che è totalmente soggetta alle scelte dei GAFAM, che costituiscono la sua forza nel mondo, e un’Europa Occidentale con tradizioni, interessi e comportamenti molto divaricati, ma che non riesce neanche a concepire un progetto autonomo. Fra i BRICS, si distinguono una Cina all’avanguardia mondiale nei campi economico e digitale, e con la propensione a limitare il peso delle sue multinazionali (il “Crackdown sui BAATX”), una Russia più arretrata tecnologicamente, e culturalmente vicina all’Europa, un’India avanzata digitalmente ma con scarso peso politico, e un mondo islamico estremamente frammentato. In definitiva,“L’extraordinaire diversité des discours sur l’IA e sur les réponses à y apporter est inquiétante :nous ne pouvons pas gérer un tel changement de civilisation sans un consensus minimum».

Massimo Cacciari invita a percorrere vie nuove

2.Il suggerimento di Cacciari: riscoprire culture europee dimenticate

Per questo, il chiarirsi delle strategie digitali di ciascuna parte del mondo, con un dibattito “piramidale” a tutti i livelli e un riaccorpamento generalizzato dei poteri decisionali secondo il Principio di Sussidiarietà, costituisce un necessario presupposto per quel tentativo di risposta unitaria all’ IA – che, purtroppo, verrà forse solo dopo che quest’ennesima guerra mondiale avrà dimostrato l’evidenza e l’urgenza dei pericoli qui da noi denunziati (e perciò troppo tardi)-.

Ne consegue tra l’altro che, al fine di inserirsi anch’essa in modo fattivo in questo processo collettivo di chiarimento a livello mondiale, l’Europa dovrebbe aprirsi a prospettive nuove, nella direzione indicata, sempre da Cacciari, nell’ articolo citato, cioè rifuggendo tanto dalla provinciale tentazione che sembrerebbe emergere dal trend elettorale populista, quanto dall’arroganza della cultura progressista e occidentale.

Può sembrare  sorprendente, ma non per noi,  che Cacciari, conscio dello slittamento culturale in corso nell’ opinione pubblica in vista delle Elezioni Europee, indichi la speranza di una nuova prospettiva per l’Europa nella riscoperta delle tradizioni minoritarie “orientalistiche” del conservatorismo europeo, quello che in altra sede abbiamo chiamato “conservatorismo critico”:”Eppure vi è stato un pensiero conservatore, per quanto assolutamente minoritario in queste destre, che si è mosso in una direzione opposta, di riconoscimento pieno  della grandezza delle altre civiltà, nel senso della comparazione e dell’ approfondimento reciproco. Queste correnti andrebbero meditate, anche da parte di molte ‘sinistre’, che mai hanno fatto sul serio i conti con il pensiero ‘in grande’ di certa destra europea.”

Pensiamo che Cacciari si riferisca ad esempio a Pannwitz, a Fenollosa,  a Spengler, a Eliade, a Guénon, a Trubeckoj, a Saint-Exupéry, a Pound, a Evola, a Gumilev. Tutti autori ben più vicini alle culture indica, medio-orientale, delle steppe e dei deserti, cinese.., che non a quelle occidentali. Autori che le “culture di destra” apprezzavano e studiavano fin dagli Anni ’30 (gli “Anticonformistes des Années Trente”, ma che il “mainstream” ha sempre tenuto ai margini, con una vera e propria “censura”, costata, a taluni di essi, anche vere e proprie persecuzioni.

Secondo Alexandre: “Les choix que nous allons faire d’ici au 2100 nous engagent pour toujours et certains seront irréversibles. La gouvernance et la régulation des technologies qui modifient notre identité – manipulation génétique, sélection embryonnaire, IA, fusion neurone-transistor, colonisation du cosmos -seront fondamentales. »A questo punto si comprende bene perché, nonostante la retorica pacifistica generalizzata, sia impossibile impedire oggi  lo scatenamento guerre molto pesanti e rischiose: semplicemente, le poste in gioco sono troppo elevate per potervi rinunziare, anche se per lo più gli attori in gioco non ne sono completamente consapevoli. Si tratta, “mutatis mutandis”,  delle stesse poste in gioco, ad esempio, nelle Guerre Persiane, nella “fitna” fra Sunniti e Sciiti, nello scontro fra l’Impero Cinese e i Taiping: della sfida fra la “hybris” millenaristica e l’”autonomia” pluralistica (Ippocrate ed Erodoto).  Solo che,  allora, si trattava di dispute teoriche; qui, invece, della loro realizzazione pratica (del loro “inveramento”) grazie alla potenza della tecnica.

Ma, prima ancora della “Singularity Tecnologica” che annullerebbe l’Umanità, se non il cosmo stesso,  già ora siamo sottoposti a un unico totalitario ecosistema digitale governato dagli algoritmi secondo la loro logica intrinseca, da cui ogni vitalità (l’”Elan Vital” di Bergson)viene , in un modo o nell’ altro,  eliminata. Peggio che nel Socialismo Reale. Già ora, un anticipo della tirannide post-umana promossa dai GAFAM, ci viene fornito dalla “Religione Woke”, che, negli Stati Uniti, ha praticamente eliminato, nel mondo intellettuale,  la libertà di pensiero e di espressione, instaurando una censura assoluta di tutto ciò che possa ricordare anche vagamente le tradizioni, il passato e perfino qualche brandello si soggettività autonoma (Braunstein, “La Réligion Woke”):tutto ridotto a “orrori” che non bisogna più ripetere. Qualcosa di molto simile alle frenesie sessantottine e all’”Eros e Civiltà” marcusiano, poi sfociati nelle Brigate Rosse e nella Rote Armee Fraktion.

Non per nulla, il “Woke” è sospinto energicamente avanti dai GAFAM, che vedono, nell’appiattimento universale, il necessario presupposto per il proprio controllo totalitario su tutte le società umane.

Per questo vari soggetti politici (Chiese, Cina, Russia, Islam, India) accomunati dall’ istinto di autoconservazione, hanno tentato in vario modo di ostacolare l’omologazione mondiale, e questo ha dato luogo a vari tipi di scontro (dalle guerre dell’ex Unione Sovietica, della ex Jugoslavia, e del Medio Oriente, fino ai disordini generalizzati in Africa e agli attuali movimenti sociali e studenteschi in Europa).

La posizione sull’ AI dei grandi blocchi geopolitici si può sintetizzare come segue:

-l’America ha inventato l’IA con le Conferenza Macy, con ARPANET, Internet e i GAFAM, e il Governo Americano, pur riconoscendo in principio la necessità di una regolamentazione, di fatto lascia ai GAFAM la massima  libertà di azione, perché essi costituiscono di fatto il più potente strumento della sua espansione mondiale (l’”Impero Sconosciuto” di cui parla il Pontefice), e preme per rallentare la regolamentazione internazionale, sperando di rendere irreversibile il controllo dei GAFAM almeno sull’Occidente, come prevedeva già qualche anno fa Evgeny Morozov. D’altronde, come ben messo in evidenza da Braunstein, la “Religione Woke” si pone in continuità con i vari “Awakenings” protestanti americani, che sono all’ origine, tanto della Rivoluzione Americana, quanto della “Giustizia senza Limiti” di Bush;

-La Cina è stata da sempre consapevole dei pericoli costituiti da un internet a guida americana, ed è riuscita, con un lavoro pluridecennale a più strati, a creare un proprio ecosistema digitale, con le proprie piattaforme e con i propri controlli, a tutela dei cittadini (copiato dalle leggi europee), ma anche e soprattutto dello Stato e dell’ Esercito (con interventi pesanti sui guru dell’ informatica che non vi si adeguino: il “Crackdown sui BAATX”). Essa ha accettato di buon grado l’appello di Henry Kissinger per una regolamentazione internazionale che parta dagli usi militari, e ne ha parlato con il vertice americano;

-L’Europa ha scelto deliberatamente, per non entrare in rotta di collisione con gli USA, di non avere una propria industria digitale, restando tributaria degli USA per tutta una serie di attività vitali (intelligence, internet, difesa, nuove tecnologie). In cambio, essa si vanta di essere all’ avanguardia della regolamentazione dell’ICT, tanto per la privacy quanto per l’IA. Peccato che le sue regolamentazioni non abbiano alcun effetto pratico, perché i GAFAM e l’Intelligence Community americani controllano l’intero ecosistema digitale e perfino la politica, e quindi sfuggono a qualsiasi controllo dell’Unione;

-gli Organismi Internazionali hanno tentato, come doveroso dal punto di vista istituzionale, di fare qualcosa, per esempio con la “Bozza di Convenzione-Quadro” elaborata da una commissione del Consigli d’Europa, o come la Dichiarazione delle Nazioni Unite, ma  sono state bloccate dalle Grandi Potenze, che desiderano che queste decisioni siano in mano a un club ristretto, che poi presenterà il fatto compiuto come un verdetto inesorabile della Storia, a cui nessuno penserà neppure lontanamente di opporsi.

3.L’Europa, anello indispensabile della governance mondiale dell’ IA.

In tutto ciò, la posizione dell’Europa è particolarmente ondivaga.

Dopo avere approvato, e abbondantemente propagandato, due importanti pacchetti legislativi, il DGPR e l‘AI Act, l’Europa è sostanzialmente assente dal dibattito internazionale sull’ IA, nonostante che il Papa e le Nazioni Unite abbiano chiaramente indicato quale dovrebbe essere il prossimo percorso:

-un pacchetto negoziale basato su un trattato generale applicabile al civile e al militare, al pubblico e al privato, da elaborare fin da subito;

-creazione di un’Agenzia Internazionale delle Nazioni Unite sul modello dell’ AIEA.

La realtà è che gli Stati Uniti e i GAFAM non cessano di fare pressione sugli Stati membri e sulla Commissione perché si segua invece un percorso diverso:

-postposizione del trattato;

-esclusione delle imprese private e del militare;

-firma solo da parte dei Paesi occidentali.

Un trattato  così depotenziato non servirebbe a nulla in quanto:

-il pericolo più grave è costituito dall’ uso militare dell’ IA, su cui si deve trovare un accordo anche con la Cina e con la Russia;

-il secondo è costituito dal controllo dei GAFAM su tutte le società umane, che non viene contrastato con vaghe enunciazioni di principio;

-manca del tutto un risvolto culturale, educativo e formativo fuori dal conformismo tecnocratico e moraleggiante imperante.

Se vi è oggi una “missione culturale dell’ Europa”, essa è quella di svelare che l’attuale “mainstream” occidentale, che trae le sue “radici” dal Vecchio Mondo, non è -che si tratti del “wokismo” o del tradizionale atteggiamento WASP-, un fenomeno universale, bensì un qualcosa di tipicamente americano (“the Dissidence of Dissent”, per dirla con Huntington), che ha estremizzato a tal punto vecchie idee europee del messianesimo, del relativismo e della democrazia, dal renderle insostenibili e irriconoscibili.

In questa luce, occorre, come proponevano gli autori sopra citati e come propone oggi  Cacciari, studiare e  rivalutare le culture asiatiche, anche se la soluzione indicata nell’ articolo di cui sopra ci sembra troppo semplicistica:”L’Autorità non sta nelle mani di un Capo, né in un Paese né sulla faccia della terra, ma è la Relazione stessa, sono le norme e le leggi che la stabiliscono e regolano e che tutti riconoscono perché vedono in esse le garanzie della loro stessa pace.”Questa è infatti semplicemente la definizione del “Dao” contenuta nel Dao De Ching di Lao Tse e nei Classici Confuciani.

E, secondo Cacciari, questa costituirebbe addirittura la fine del dissidio fra Destra e Sinistra (se non della pace mondiale) Ma qui cadiamo di nuovo in una prospettiva utopica. Infatti, il Dao è il risultato della dialettica fra Yin e Yang (maschile e femminile) proprio quella che la cultura woke vuole eliminare. E, infatti, Mao pensava che la dialettica destra-sinistra sia ineliminabile. Cacciari è ancora nostalgico della Fine della Storia, solo che, invece di concepirla secondo il “mainstream” occidentale, la concepisce secondo il filone cinese della “Grande Armonia” (“Datong”).

Comunque, il mondo multipolare non può, per definizione, essere dominato da una sola cultura, fosse pure la millenaria cultura cinese, che sembra avere comunque la meglio in una prospettiva di lungo termine. Questo perché il compito che attende la nuova generazione è assolutamente inedito, e richiede un contributo intellettuale di tutti, al di fuori della portata di ogni singola cultura. Del resto, più saggio appare l’approccio islamico, secondo cui “se Dio avesse voluto, avrebbe fatto di noi un’unica setta”.

Ciò che l’Europa può fare è essere il catalizzatore, il “Trendsetter”, di questo dibattito mondiale (come voleva l’attuale Commissione, che però non sapeva neppure da dove cominciare, perché manca dei necessari presupposti culturali e della necessaria indipendenza politica).

Per fare ciò, l’Europa deve avere una propria identità, che non può essere, né quella americana, né quella cinese, né quella islamica. Essa deve riscoprire senza paraocchi l’integralità la propria cultura, che non è solo una sommatoria di razionalismo greco, di legalismo romano e di monoteismo giudaico-cristiano, ma anche lo spirito dionisiaco dei nomadi delle steppe, il misticismo euro-islamico, la pasionarnost’ slava, lo spirito critico degl’intellettuali indipendenti, classificati abusivamente come “illuministi”…Basta con le censure a Omero, Ippocrate, Erodoto, Eraclito, Socrate, Tacito, Jordanes, i Provenzali, Machiavelli, i Gesuiti, Nietzsche, Soloviov, Dostojevskij, Simone Weil, Burgess…

Solo sulla base di un’antropologia personalistica assertiva e critica (opposta alle cosiddette “Educazioni anti-autoritarie”, e soprattutto alla “cultura woke”), il singolo cittadino potrà avere la forza intellettuale e di volontà necessaria per opporsi al determinismo della tecnocrazia e alle coercizioni quotidiane della rete e del “politicamente corretto”.

L’Europa nel suo complesso dev’essere libera di confrontarsi alla pari, senza complessi d’inferiorità, con gli altri continenti (“orgogliosamente volta al mondo” come scriveva Vörösmarty)  : con l’ America, certo, ma soprattutto con la Russia, con la Turchia, con Israele, con l’Islam (con i quali essa è intrinsecamente connessa), con la Cina, l’India, il Sud-America…, prendendo spunto, ove sia necessario, da tutte le alte culture.

Innanzitutto, deve uscire al più presto da questa guerra fratricida, motivata da un falso confronto fra l’Europa ortodossa e quella romano-germanica inventato a tavolino dai think tanks americani (Huntington), e deve fare anche di tutto per fare terminare quello fra Israele e il mondo mussulmano, che è alle soglie della sua casa.

Essa deve formulare su queste basi una sua proposta di pace, che veda l’Europa e la sua missione al centro del nuovo sistema multipolare, in quanto punto di equilibrio del “Parallelogramma delle Forze” mondiale. Per fare ciò, non può e non deve identificarsi unilateralmente con nessuno dei blocchi oggi in conflitto, come giustamente incominciano a suggerire alcuni intellettuali e politici.

Così, quando tutto ciò sarà finito, potremmo dedicarci alla vera battaglia del nostro tempo: quella per il controllo dell’Intelligenza Artificiale, intorno alla quale dovremmo coalizzare il mondo intero.

IL TRATTATO MONDIALE SULL’ INTELLIGENZA ARTIFICIALE:

una risposta al rischio esistenziale

Mentre diffondiamo un’ulteriore volta il programma della giornata  di domani 9 maggio (Giornata dell’ Europa 2024),una  manifestazione più attuale che mai, vorremmo aggiungere che il tema centrale di tale giornata -il trattato internazionale sull’ Intelligenza Internazionale-, non solo ha costituito il centro dell’ opera degli ultimi anni di vita di Henry Kissinger, ma ha fatto anche oggetto della “Lettera all’ Europa” apparsa su “l’Avvenire” di ieri mattina (All.1).

A nostro avviso, occorrerebbe chiarire ancor di più la centralità dell’ Intelligenza Artificiale nella Guerra Mondiale a Pezzi, oggi in corso, nonché illustrare i meccanismi che vanno dalla macchinizzazione del mondo (Heidegger) alla Società del Controllo Totale (Morozov), dalla Guerra Senza Limiti (generali cinesi) allo Hair Trigger Alert (Schmidt), al “Dead Hand”(in Russo, “Miortvaja Rukà) , tutte tappe di un’escalation praticamente automatica, che potrebbe scattare in qualunque momento, se non è già in qualche modo avviata.

Come indicato nella “Lettera all’ Europa”, è proprio qui che la pretesa (probabilmente irrealistica) dell’ Unione Europea di essere il “Trendsetter of the Worldwide Debate” viene messa alla prova.

Questo è, a nostro avviso, il punto cruciale del dibattito sull’ Europa.

L’ inconcludenza europea che ci ha portati, dopo 80 anni, alla “Guerra senza Limiti”, va superata con un’analisi approfondita e senza pregiudizi dei meccanismi reali (e non immaginari) del mondo post-moderno, e con un’azione energica di rinnovamento  che rifugga tanto dalle “Retoriche dell’ Europa” e, quanto dai riflessi pavloviani delle ideologie sette-ottocentesche.

Vi attendiamo tutti domani e per le attività che svilupperemo verso il Trattato Internazionale sull’ Intelligenza Artificiale, e, in generale, verso una Mult-level Governance mondiale d’impostazione “poliedrica”, che, senza pretendere di cancellare la conflittualità (che è insita nell’ umano), ci permetta almeno un momento di riflessione e dialogo (una moratoria?).

Vi aspettiamo!

In caso di dubbi, telefonare a:

3401602582

3357761536

Come  ogni anno fin dal 2007, anche nel 2024 l’Associazione Diàlexis organizza, intorno al Salone Internazionale del Libro di Torino, una serie di manifestazioni, sotto il titolo, ormai consolidato, di “Cantieri d’ Europa”, con i suoi partners Movimento Europeo, CNA, Studio Ambrosio & Commodo, IPSEG e Rinascimento Europeo.

Il caso vuole che, come già in alcuni degli anni passati, il 9 maggio 2024, Giornata dell’Europa, cada proprio all’interno del calendario del Salone, sicché abbiamo potuto inserire anche questa volta, fra quelli che accompagnano il Salone, il dibattito sullo stato di avanzamento dell’integrazione europea.

Nel corso dei 17 anni dei “Cantieri d’ Europa”, il mondo e l’Europa sono cambiati drammaticamente. L’onnipervasività dell’Intelligenza Artificiale, l’emergenza  del Sud Globale  e le guerre attualmente  in corso in tutti i continenti hanno reso più urgente che mai per l’ Europa focalizzarsi sulle sue priorità storiche, la cui cogenza è oramai conclamata da tutti: identità continentale, geopolitica del digitale e governance multi-livello  e multipolare.

Per questo, abbiamo articolato i Cantieri d’Europa del 9/10 maggio 2024 in tre distinte manifestazioni:

-la tradizionale celebrazione, presso il Centro Studi San Carlo, della Giornata dell’Europa, attraverso un dibattito bipartisan sul libro di Pier Virgilio Dastoli ed Emma Bonino “A che ci serve l’ Europa”;

-la presentazione, nel Salone, del libro “L’Istituto per l’ Intelligenza Artificiale di Torino” dell’ Associazione Diàlexis, con un dibattito fra esperti sull’evoluzione, attualmente in corso,  del concetto di un’ agenzia nazionale per l’IA;

-un convegno, presso il Centro Studi San Carlo, dedicato alla discussione sul contributo italiano alle trattative per una disciplina pattizia internazionale dell’Intelligenza Artificiale;

-la presentazione, sempre al Centro Studi san Carlo, del Libro Verde del Movimento Europeo in Europa, “Scriviamo insieme il futuro dell’ Europa”

A che ci serve l’Europa – Emma Bonino,Pier Virgilio Dastoli,Luca Cambi – copertina

9 maggio,

Ore 10,30

Centro Studi San Carlo, Via Monte di Pietà 1

Dibattito sul libro: A che ci serve l’ Europa,

di Pier Virgilio Dastoli e Emma Bonino, con Luca Cambi.

Partecipano gli Autori,

Con: Brando Benifei,candidato al PE per il PD,  Alessio Stefanoni della CNA, e Ferrante De Benedictis, Consigliere al Comune di Torino

Presenta la manifestazione: Marco Margrita, del Direttivo di Rinascimento Europeo

Introduce i Cantieri d’ Europa 2024: Riccardo Lala

Modera: Marco Zatterin

A 73 anni dalla ormai “Dichiarazione Schuman”, a cui fa riferimento la Giornata dell’Europa del 9 giugno, è più che mai giunto il momento di chiederci se l’evoluzione effettuale delle Comunità Europee, e la trasformazione di queste ultime nell’Unione Europea, non abbia costituito piuttosto un’involuzione dell’originaria intuizione politico/culturale, di Spinelli,  e di tanti altri precursori dell’integrazione europea, da Coudenhove Kalergi a Simone Weil, da Galimberti a Gorbachev, da Mitterrand a Giovanni Paolo II.  Certo, il punto di partenza era stato immaginato  dai più come una qualche forma di unione “leggera” (per ultima la “Confederazione Europea” proposta  da Mitterrand nel 1989), ma  questo non escludeva, ed, anzi, postulava, la costituzione e l’espansione  di un nocciolo duro, espressione di un’unione prima  esistenziale che  giuridica fra gli Europei (”la Patria Comune del Cuore” di Stefan Zweig). La presunta contrapposizione fra un’Europa “federale”, accentratrice e tecnocratica, e un’”Europa dei Popoli”, decentrata e identitaria, invalsa nella polemica politica parlamentare, non coglie, infatti, l’essenza del progetto europeo, che dovrebbe essere al contempo poliedrico all’ interno ed assertivo nel mondo, grazie a un’appropriata distribuzione dei ruoli e delle lealtà fra società civile, imprese, Enti locali, Stati Nazionali e “Europe Puissance”(Giscard, Macron), ciascuno fornito di una sua propria distinta identità, ma tutti convergenti su una finalità comune, secondo il modello di quello che Tocqueville aveva chiamato “l’Antica Costituzione Europea”.

Una risposta a quel dubbio, e lo scioglimento di questa pretesa contraddizione, risultano più che mai necessari alla vigilia di questa tornata di elezioni europee, che sarà determinante per affrontare i temi più drammatici dell’oggi -dalla disciplina internazionale dell’AI alla latente “Nuova Guerra Civile Europea”, nonché, infine,  all’urgenza di un “centro dirigente” autorevole per fare fronte a una situazione internazionale drammatica e imprevedibile (AI, Ucraina, Medio Oriente)-.

Pur essendo tutte fortemente indebolite dalla “Fine delle Grandi Narrazioni”, le famiglie politiche tradizionali, rappresentate dai vari gruppi politici del Parlamento Europeo, stanno ritornando al centro dell’interesse della pubblica opinione avendo recuperato, almeno in parte, la loro originaria vocazione a sfidarsi sulle grandi alternative storiche dell’Europa. Speriamo che la legislatura che prenderà l’avvio da queste elezioni si dimostri all’altezza della drammaticità della situazione e dell’esigenza di un salto di qualità non solo istituzionale, ma anche culturale ed etico.

Il recentissimo e documentato libro di Dastoli e Bonino ci fornisce un ulteriore stimolo per una riflessione su questo tema, con l’intervento di relatori di grande competenza, impegnati in gruppi politici europei diversi e divergenti, che illustreranno le diverse prospettive in discussione e i relativi programmi.

La nuova Strategia Italiana per l’Intelligenza Artificiale 2024-2026  Spiegata Semplice | Intelligenza Artificiale Italia Blog

L’Italia e la regolamentazione internazionale dell’Al”,

Presentazione del libro “L’Istituto italiano dell’Intelligenza Artificiale di Torino”, a cura dell’Associazione Diàlexis, Alpina, Collana Tamieia, e di un libro bianco sull’argomento

Con:Pier Virgilio Dastoli , Fabrizio Lala, Alessio Stefanoni; Modera: Marco Margrita

L’Italia ospita il G7, dedicato, fra l’altro, alla regolamentazione dell’lntelligenza Artificiale. Sarà illustrato un libro bianco dell’Associazione Diàlexis per il Governo ltaliano sulle proposte di legislazione internazionale.

A cura di CNA, Movimento Europeo in Italia, Associazione Dialexis, Rinascimento Europeo e Studio Ambrosio & Commodo

Dopo l’approvazione, da parte del Parlamento Europeo, dell’Artificial Intelligence Act, le nuove frontiere del dibattito sulla governance dell’IA si sono spostate, dal livello europeo, verso i piani nazionale e globale. Passando attraverso le diverse strategie nazionali italiane, purtroppo, il previsto Istituto dell’ Intelligenza Artificiale di Torino ha perso, con il tempo, la sua centralità, essendo emersi altri Enti regolatori. Nel frattempo, si sta tentando, seppure faticosamente, di giungere a una disciplina concordata sul piano globale, di cui si discute in un’altra manifestazione dei Cantieri d’ Europa.

Il libro dell’Associazione Dialexis “L’Istituto Italiano dell’Intelligenza artificiale di Torino” permette di ricostruire la storia dell’idea di un istituto nazionale, e la sua evoluzione fino alla situazione di oggi,  quando è stata anticipata la strategia del Governo 2024-2026, la quale prevede, tra l’altro, l’ istituzione, nell’ambito della Presidenza del Consiglio, di una Fondazione per l’Intelligenza Artificiale e di un Istituto a Torino dedicato all’ automotive e all’ Aerospaziale. Ne discutono esperti interdisciplinari, caratterizzati da profili culturali diversi, per fornire un orientamento circa questa fluida materia.

Con: Brando Benifei, Marcello Croce, Pier Virgilio Dastoli, Ferrante De Benedictis, Fabrizio Lala, Riccardo Lala, Marco Margrita, Alessio Stefanoni

Presenta e modera: Stefano Commodo

UN’AGENZIA MONDIALE PER L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE

(E PER IL CONTRASTO ALLA GUERRA MONDIALE)

La centralità dell’Intelligenza Artificiale in tutte le attività umane è stata confermata, per ultimo, dalla notizia della CNN secondo cui essa verrebbe utilizzata già oggi con l’impiego sul campo di armi autonome -in particolare, nella guerra in Palestina-. Non per nulla, l’ultima, meritoria, fatica di Henry Kissinger prima della sua morte è stata quello di persuadere i vertici americani e cinesi a inserire, nel dialogo faticosamente riavviato a San Francisco, la regolamentazione internazionale dell’ IA, ivi compresa un’agenzia internazionale sul modello dell’ AIEA.  Basti pensare ai vari segmenti della difesa strategica nucleare delle Grandi Potenze: “Hair Trigger Alert”, missili ipersonici, al sistema “Dead Hand”.

L’IA è oggi considerata la risorsa bellica decisiva, com’era un tempo la bomba atomica, sì che un dialogo sulla nuova auspicata regolamentazione potrebbe, e dovrebbe, costituirebbe il primo tassello strategico per una governance mondiale, tanto militare, quanto civile, al passo con i tempi.

L’Associazione Diàlexis propone, con questa manifestazione, alle Associazioni e Istituzioni sue partner, di avviare un dialogo e una mobilitazione, volti a fornire una base conoscitiva permanente all’ Italia (chiamata fin da giugno a  sviluppare questo tema in quanto Paese ospite del G7 2024), attraverso la costituzione di un gruppo di lavoro che ambisca a farsi portavoce della società civile. Punto di partenza di questa mobilitazione, un libro verde, di cui verrà illustrata la bozza riassumente lo stato dell’arte delle trattative, un abbozzo di proposta e un piano di lavoro per approfondire insieme gli svariati percorsi altamente specialistici che occorrerà percorrere per essere veramente i “Trendsetter of the Worldwide Debate”, come ambirebbero le Istituzioni europee.

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lettera dei vescovi: «Cara Europa, ritrova l’anima e la pace»


Matteo Maria Zuppi e Mariano Crociata mercoledì 8 maggio 2024

Ascolta

I presidenti Cei Zuppi e Comece Crociata si rivolgono al Continente in vista delle prossime elezioni: servono ideali comuni e valori coltivati. Diciamo no a divisioni e nazionalismi

Tra il 6 e il 9 giugno le elezioni per il Parlamento Europeo – ANSA

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Cara Unione Europea,

darti del tu è inusuale, ma ci viene naturale perché siamo cresciuti con te. Sei una, sei “l’Europa”, eppure abbracci ben 27 Paesi, con 450 milioni di abitanti, che hanno scelto liberamente di mettersi insieme per formare l’Unione che sei diventata. Che meraviglia! Invece di litigare o ignorarsi, conoscersi e andare d’accordo! Lo sappiamo: non sempre è facile, ma quanto è decisivo, invece di alzare barriere e difese, cancellarle e collaborare. Tu sei la nostra casa, prima casa comune. In questa impariamo a vivere da “Fratelli Tutti”, come ha scritto un tuo figlio i cui genitori andarono fino alla “fine del mondo” per cercare futuro.

Nel cuore un desiderio

Ti scriviamo perché abbiamo nel cuore un desiderio: che si rafforzi ciò che rappresenti e ciò che sei, che tutti impariamo a sentirti vicina, amica e non distante o sconosciuta. Ne hai bisogno perché spesso si parla male di te e tanti si scordano quante cose importanti fai! Durante il Covid lo abbiamo visto: solo insieme possiamo affrontare le pandemie. Purtroppo, lo capiamo solo quando siamo sopraffatti dalle necessità, per poi dimenticarlo facilmente! Così, quando pensiamo che possiamo farcela da soli finiamo tutti contro tutti.


Dagli inizi ad oggi
Non possiamo dimenticare come prima di te, per secoli, abbiamo combattuto guerre senza fine e milioni di persone sono state uccise. Tutti i sogni di pace si sono infranti sugli scogli di guerre, le ultime quelle mondiali, che hanno portato immense distruzioni e morte. Proprio dalla tragedia della Seconda guerra mondiale – che ha toccato il male assoluto con la Shoah e la minaccia alla sopravvivenza dell’umanità intera con la bomba atomica – è nato il germe della comunità di Paesi sovrani che oggi è l’Unione Europea. C’è stato chi ha creduto che le nazioni non fossero destinate a combattersi, che dopo tanto odio si potesse imparare a vivere assieme. Tra quelli che ti hanno pensata e voluta non possiamo dimenticare Robert Schuman, francese, Konrad Adenauer, tedesco, e Alcide De Gasperi, italiano: animati dalla fede cristiana, essi hanno sentito la chiamata a creare qualcosa che rendesse impossibile il ritorno della guerra sul suolo europeo. Hanno pensato con intelligenza, ambizione e coraggio. Non sono mancati momenti difficili, ma la forza che viene dall’unità ha mostrato il valore del cammino intrapreso e la possibilità di correggere, aggiustare, intendersi.
La Comunità Europea venne concepita nel 1951 attorno al carbone e all’acciaio, materie allora indispensabili per fare la guerra, per prevenire ogni velleità di farne uso ancora una volta l’uno contro l’altro. In realtà quei tre grandi uomini, e tanti altri con loro, hanno cercato di più, e cioè la riconciliazione tra i popoli e la cancellazione degli odi e delle vendette.
Trovare qualcosa su cui lavorare insieme, anche solo sul piano economico, come dimostrano i Trattati firmati a Roma nel 1957, è stato l’inizio di un cammino che ha visto poco alla volta nuovi popoli entrare nella Comunità e, dopo la caduta del muro di Berlino, nel 1989, il cambiamento del nome, nel 1992, in Unione Europea, e l’allargamento, nel 2004, ai Paesi dell’allora Patto di Varsavia, ben dieci in una volta. I problemi non sono mancati, ma quanto sono stati importanti la moneta unica e l’abbattimento delle barriere nazionali per la libera circolazione delle persone e delle merci! Ultimo, l’accordo sulla riforma con il Trattato di Lisbona, entrato in vigore nel 2009.

Il senso dello stare insieme
Cara Unione Europea, sei un organismo vivo, perciò forse viene il momento per nuove riforme istituzionali che ti rendano sempre più all’altezza delle sfide di oggi. Ma non puoi essere solo una burocrazia, pur necessaria per far funzionare organizzazioni così complesse come quella che sei diventata. Direttive e regolamenti da soli non fanno crescere la coesione. Serve un’anima! In questi anni abbiamo visto compiere passi avanti significativi, quando per esempio hai accompagnato alcuni Paesi a superare le crisi economiche, ma abbiamo anche dovuto registrare fasi di stallo e difficoltà. E queste crescono quando smarriamo il senso dello stare insieme, la visione del nostro futuro condiviso, o facciamo resistenza a capire che il destino è comune e che bisogna continuare a costruire un’Europa unita.

Il ritorno della guerra
Perciò, qualche volta ci chiediamo: Europa, dove sei? Che direzione vuoi prendere? Sono questi anche gli interrogativi del Papa: «Guardando con accorato affetto all’Europa, nello spirito di dialogo che la caratterizza, verrebbe da chiederle: verso dove navighi, se non offri percorsi di pace, vie creative per porre fine alla guerra in Ucraina e ai tanti conflitti che insanguinano il mondo? E ancora, allargando il campo: quale rotta segui, Occidente?» (Discorso, Lisbona, 2 agosto 2023).
In tutti questi anni siamo molto cambiati e facciamo fatica a capire e a tenere vivo lo spirito degli inizi. Dopo un così lungo periodo di pace abbiamo pensato che una guerra su territorio europeo sarebbe stata ormai impossibile. E invece gli ultimi due anni ci dicono che ciò che sembrava impensabile è tornato. Abbiamo bisogno di riprendere in mano il progetto dei padri fondatori e di costruire nuovi patti di pace se vogliamo che la guerra contro l’Ucraina finisca, e che finisca anche la guerra in corso in Medio Oriente, scoppiata a seguito dell’attacco terroristico del 7 ottobre scorso contro Israele, e con essa l’antisemitismo, mai sconfitto e ora riemergente. Lo dice così bene anche la nostra Costituzione italiana: è necessario combattere la guerra e ripudiarla per davvero!
Se non si ha cura della pace, rischia sempre di tornare la guerra. Lo diceva Robert Schuman nella sua Dichiarazione del 9 maggio 1950, che ha dato avvio al processo di integrazione europea: «L’Europa non è stata fatta: abbiamo avuto la guerra». Egli si riferiva al passato, ma le sue parole valgono anche oggi. L’unità va cercata come un compito sempre nuovo e urgente. Non dobbiamo aspettare l’esplosione di un altro conflitto per capirlo!

Il ruolo internazionale e la tentazione dei nazionalismi
Che ruolo giochi, Europa, nel mondo? Vogliamo che tu incida e porti la tua volontà di pace, gli strumenti della tua diplomazia, i tuoi valori. Risveglia la tua forza così da far sentire la tua voce, così da stabilire nuovi equilibri e relazioni internazionali. Le tue divisioni interne non ti permettono di assumere quel ruolo che dalla tua statura storica e culturale ci si aspetterebbe. Non vedi il rischio che le tue contrapposizioni intestine indeboliscano non solo il tuo peso internazionale ma anche la capacità di far fronte alle attese dei tuoi popoli?
Tanti pensano di potere usufruire dei benefici che tu hai indubbiamente portato, come se fossero scontati e niente possa comprometterli. La pandemia o le periodiche proteste, ultima quella degli agricoltori, ci procurano uno sgradevole risveglio. Capiamo che tanti vantaggi acquisiti potrebbero svanire. Il senso della necessità però non basta a spingere sempre e tutti a superare le divisioni. Alcuni vogliono far credere che isolandosi si starebbe meglio, quando invece qualunque dei tuoi Paesi, anche grande, si ridurrebbe fatalmente al proverbiale vaso di coccio tra vasi di ferro. Per stare insieme abbiamo bisogno di motivazioni condivise, di ideali comuni, di valori apprezzati e coltivati. Non bastano convenienze economiche, poiché alla lunga devono essere percepite le ragioni dello stare insieme, le uniche capaci di far superare tensioni e contrasti che proprio gli interessi economici portano con sé nel loro fisiologico confrontarsi.
Ha detto Papa Francesco: «In questo frangente storico l’Europa è fondamentale. Perché essa, grazie alla sua storia, rappresenta la memoria dell’umanità ed è perciò chiamata a interpretare il ruolo che le corrisponde: quello di unire i distanti, di accogliere al suo interno i popoli e di non lasciare nessuno per sempre nemico. È dunque essenziale ritrovare l’anima europea» (Discorso, Budapest, 28 aprile 2023).
Vorremmo che tutti sentissimo l’orgoglio di appartenerti, Europa. Oggi appare distante, a volte estraneo, tutto ciò che sta oltre i confini del proprio Paese. Eppure, le due appartenenze, quella nazionale e quella europea, si implicano a vicenda. La tua è stata fin dall’inizio l’Unione di Paesi liberi e sovrani che rinunciavano a parte della loro sovranità a favore di una, comune, più forte. Perciò non si tratta di sminuire l’identità e la libertà di alcuno, ma di conservare l’autonomia propria di ciascuno in un rapporto organico e leale con tutti gli altri.

Valori europei e fede cristiana

Le nostre idee e i nostri valori definiscono il tuo volto, cara Europa. Anche in questo la fede cristiana ha svolto un ruolo importante, tanto più che dal suo sentire è uscito il progetto e il disegno originario della tua Unione. Come cristiani continuiamo a sentirne viva responsabilità; e del resto troviamo in te tanta attenzione alla dignità della persona, che il Vangelo di Cristo ha seminato nei cuori e nella tua cultura. Soffriamo non poco, perciò, nel vedere che hai paura della vita, non la sai difendere e accogliere dal suo inizio alla sua fine, e non sempre incoraggi la crescita demografica.
«Penso – dice il Papa – a un’Europa che non sia ostaggio delle parti, diventando preda di populismi autoreferenziali, ma che nemmeno si trasformi in una realtà fluida, se non gassosa, in una sorta di sovranazionalismo astratto, dimentico della vita dei popoli. […] Che bello invece costruire un’Europa centrata sulla persona e sui popoli, dove vi siano politiche effettive per la natalità e la famiglia […], dove nazioni diverse siano una famiglia in cui si custodiscono la crescita e la singolarità di ciascuno» (Discorso, Budapest, 28 aprile 2023).

Il tema dei migranti e le sue implicazioni

Cara Europa, tu non puoi guardare solo al tuo interno. Non si può vivere solo per stare bene, ma stare bene per aiutare il mondo, combattere l’ingiustizia, lottare contro le povertà. Ormai da decenni sei il punto di arrivo, il sogno di tante persone migranti che da diversi continenti cercano entro i tuoi confini una vita migliore. Tanti vogliono raggiungerti perché sono alla ricerca disperata di un futuro. E molti, con il loro lavoro, non ti aiutano forse già a prepararne uno migliore? Non si tratta di accogliere tutti, ma che nessuno perda la vita nei “viaggi della speranza” e tanti possano trovare ospitalità. Chi accoglie, genera vita! L’Italia è spesso lasciata sola, come se fosse un problema solo suo o di alcuni, ma non per questo deve chiudersi. Prima o poi impareremo che le responsabilità, comprese quelle verso i migranti, vanno condivise, per affrontare e risolvere problemi che in realtà sono di tutti.
Tu rappresenti un punto di riferimento per i Paesi mediterranei e africani, un bacino immenso di popoli e di risorse nella prospettiva di un partenariato tra uguali. Compito essenziale perché in realtà un soggetto sovranazionale come l’Unione non può sussistere al di fuori di una reciprocità di relazioni internazionali che ne dicano il riconoscimento e il compito storico, e che promuovano il comune progresso sociale ed economico nel segno dell’amicizia e della fraternità.

Compiti e sfide
Cara Europa, è tempo di un nuovo grande rilancio del tuo cammino di Unione verso una integrazione sempre più piena, che guardi a un fisco europeo che sia il più possibile equo; a una politica estera autorevole; a una difesa comune che ti permetta di esercitare la tua responsabilità internazionale; a un processo di allargamento ai Paesi che ancora non ne fanno parte, garanzia di una forza sempre più proporzionata all’unità che raccogli ed esprimi. Le esigenze di innovazione economica e tecnica (pensiamo all’Intelligenza Artificiale), di sicurezza, di cura dell’ambiente e di custodia della “casa comune”, di salvaguardia del welfare e dei diritti individuali e sociali, sono alcune delle sfide che solo insieme potremo affrontare e superare. Non mancano purtroppo i pericoli, come quelli che vengono dalla disinformazione, che minaccia l’ordinato svolgimento della vita democratica e la stessa possibilità di una memoria e di una storia non falsate.
Insieme alle riforme istituzionali democraticamente adottate, c’è bisogno di far crescere un sentire comune, un apprezzamento condiviso dei valori che stanno alla base della nostra convivenza nell’Unione Europea. Ci vuole un nuovo senso della cittadinanza, un senso civico di respiro europeo, la coscienza dei popoli del continente di essere un unico grande popolo. Ne siamo convinti: è innanzitutto questo senso di comunità di cittadini e di popoli che ci chiedi di fare nostro, cara Europa.

Le prossime elezioni
Le prossime elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo e la nomina della Commissione Europea sono l’occasione propizia e irripetibile, da cogliere senza esitazione. Purtroppo, a farsi valere spesso sono le paure e il senso di insicurezza di fronte alle difficoltà. Anche questo andrebbe raccolto e ascoltato per mostrare come proprio tu sia lo strumento e il luogo per affrontare e vincere paure e minacce.
Facciamo appello, perciò, a tutti, candidati e cittadini, a cominciare dai sedicenni che per la prima volta in alcuni Paesi andranno a votare, perché sentano quanto sia importante compiere questo gesto civico di partecipazione alla vita e alla crescita dell’Unione. Non andare a votare non equivale a restare neutrali, ma assumersi una precisa responsabilità, quella di dare ad altri il potere di agire senza, se non addirittura contro, la nostra libertà. L’assenteismo ha l’effetto di accrescere la sfiducia, la diffidenza degli uni nei confronti degli altri, la perdita della possibilità di dare il proprio contributo alla vita sociale, e quindi la rinuncia ad avere capacità e titolo per rendere migliore lo stare insieme nell’Unione Europea.
L’augurio che ti facciamo, cara Unione Europea, è che questa tornata elettorale diventi davvero un’occasione di rilancio, un risveglio di entusiasmo per un cammino comune che contiene già, in sé e nella visione che proietta, un senso vivo di speranza e di impegno motivato e convinto da parte dei tuoi cittadini.

Un nuovo umanesimo europeo
Sogniamo perciò ancora con Papa Francesco: «Con la mente e con il cuore, con speranza e senza vane nostalgie, come un figlio che ritrova nella madre Europa le sue radici di vita e di fede, sogno un nuovo umanesimo europeo, “un costante cammino di umanizzazione”, cui servono “memoria, coraggio, sana e umana utopia”» (Discorso, Vaticano, 6 maggio 2016).


Matteo Maria Zuppi, cardinale, presidente della Conferenza episcopale italiana
Mariano Crociata, arcivescovo, presidente della Comece

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Verso le elezioni. La lettera dei vescovi: «Cara Europa, ritrova l’anima e la pace»


Matteo Maria Zuppi e Mariano Crociata mercoledì 8 maggio 2024

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I presidenti Cei Zuppi e Comece Crociata si rivolgono al Continente in vista delle prossime elezioni: servono ideali comuni e valori coltivati. Diciamo no a divisioni e nazionalismi

Tra il 6 e il 9 giugno le elezioni per il Parlamento Europeo – ANSA

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Cara Unione Europea,

darti del tu è inusuale, ma ci viene naturale perché siamo cresciuti con te. Sei una, sei “l’Europa”, eppure abbracci ben 27 Paesi, con 450 milioni di abitanti, che hanno scelto liberamente di mettersi insieme per formare l’Unione che sei diventata. Che meraviglia! Invece di litigare o ignorarsi, conoscersi e andare d’accordo! Lo sappiamo: non sempre è facile, ma quanto è decisivo, invece di alzare barriere e difese, cancellarle e collaborare. Tu sei la nostra casa, prima casa comune. In questa impariamo a vivere da “Fratelli Tutti”, come ha scritto un tuo figlio i cui genitori andarono fino alla “fine del mondo” per cercare futuro.

Nel cuore un desiderio

Ti scriviamo perché abbiamo nel cuore un desiderio: che si rafforzi ciò che rappresenti e ciò che sei, che tutti impariamo a sentirti vicina, amica e non distante o sconosciuta. Ne hai bisogno perché spesso si parla male di te e tanti si scordano quante cose importanti fai! Durante il Covid lo abbiamo visto: solo insieme possiamo affrontare le pandemie. Purtroppo, lo capiamo solo quando siamo sopraffatti dalle necessità, per poi dimenticarlo facilmente! Così, quando pensiamo che possiamo farcela da soli finiamo tutti contro tutti.


Dagli inizi ad oggi
Non possiamo dimenticare come prima di te, per secoli, abbiamo combattuto guerre senza fine e milioni di persone sono state uccise. Tutti i sogni di pace si sono infranti sugli scogli di guerre, le ultime quelle mondiali, che hanno portato immense distruzioni e morte. Proprio dalla tragedia della Seconda guerra mondiale – che ha toccato il male assoluto con la Shoah e la minaccia alla sopravvivenza dell’umanità intera con la bomba atomica – è nato il germe della comunità di Paesi sovrani che oggi è l’Unione Europea. C’è stato chi ha creduto che le nazioni non fossero destinate a combattersi, che dopo tanto odio si potesse imparare a vivere assieme. Tra quelli che ti hanno pensata e voluta non possiamo dimenticare Robert Schuman, francese, Konrad Adenauer, tedesco, e Alcide De Gasperi, italiano: animati dalla fede cristiana, essi hanno sentito la chiamata a creare qualcosa che rendesse impossibile il ritorno della guerra sul suolo europeo. Hanno pensato con intelligenza, ambizione e coraggio. Non sono mancati momenti difficili, ma la forza che viene dall’unità ha mostrato il valore del cammino intrapreso e la possibilità di correggere, aggiustare, intendersi.
La Comunità Europea venne concepita nel 1951 attorno al carbone e all’acciaio, materie allora indispensabili per fare la guerra, per prevenire ogni velleità di farne uso ancora una volta l’uno contro l’altro. In realtà quei tre grandi uomini, e tanti altri con loro, hanno cercato di più, e cioè la riconciliazione tra i popoli e la cancellazione degli odi e delle vendette.
Trovare qualcosa su cui lavorare insieme, anche solo sul piano economico, come dimostrano i Trattati firmati a Roma nel 1957, è stato l’inizio di un cammino che ha visto poco alla volta nuovi popoli entrare nella Comunità e, dopo la caduta del muro di Berlino, nel 1989, il cambiamento del nome, nel 1992, in Unione Europea, e l’allargamento, nel 2004, ai Paesi dell’allora Patto di Varsavia, ben dieci in una volta. I problemi non sono mancati, ma quanto sono stati importanti la moneta unica e l’abbattimento delle barriere nazionali per la libera circolazione delle persone e delle merci! Ultimo, l’accordo sulla riforma con il Trattato di Lisbona, entrato in vigore nel 2009.

Il senso dello stare insieme
Cara Unione Europea, sei un organismo vivo, perciò forse viene il momento per nuove riforme istituzionali che ti rendano sempre più all’altezza delle sfide di oggi. Ma non puoi essere solo una burocrazia, pur necessaria per far funzionare organizzazioni così complesse come quella che sei diventata. Direttive e regolamenti da soli non fanno crescere la coesione. Serve un’anima! In questi anni abbiamo visto compiere passi avanti significativi, quando per esempio hai accompagnato alcuni Paesi a superare le crisi economiche, ma abbiamo anche dovuto registrare fasi di stallo e difficoltà. E queste crescono quando smarriamo il senso dello stare insieme, la visione del nostro futuro condiviso, o facciamo resistenza a capire che il destino è comune e che bisogna continuare a costruire un’Europa unita.

Il ritorno della guerra
Perciò, qualche volta ci chiediamo: Europa, dove sei? Che direzione vuoi prendere? Sono questi anche gli interrogativi del Papa: «Guardando con accorato affetto all’Europa, nello spirito di dialogo che la caratterizza, verrebbe da chiederle: verso dove navighi, se non offri percorsi di pace, vie creative per porre fine alla guerra in Ucraina e ai tanti conflitti che insanguinano il mondo? E ancora, allargando il campo: quale rotta segui, Occidente?» (Discorso, Lisbona, 2 agosto 2023).
In tutti questi anni siamo molto cambiati e facciamo fatica a capire e a tenere vivo lo spirito degli inizi. Dopo un così lungo periodo di pace abbiamo pensato che una guerra su territorio europeo sarebbe stata ormai impossibile. E invece gli ultimi due anni ci dicono che ciò che sembrava impensabile è tornato. Abbiamo bisogno di riprendere in mano il progetto dei padri fondatori e di costruire nuovi patti di pace se vogliamo che la guerra contro l’Ucraina finisca, e che finisca anche la guerra in corso in Medio Oriente, scoppiata a seguito dell’attacco terroristico del 7 ottobre scorso contro Israele, e con essa l’antisemitismo, mai sconfitto e ora riemergente. Lo dice così bene anche la nostra Costituzione italiana: è necessario combattere la guerra e ripudiarla per davvero!
Se non si ha cura della pace, rischia sempre di tornare la guerra. Lo diceva Robert Schuman nella sua Dichiarazione del 9 maggio 1950, che ha dato avvio al processo di integrazione europea: «L’Europa non è stata fatta: abbiamo avuto la guerra». Egli si riferiva al passato, ma le sue parole valgono anche oggi. L’unità va cercata come un compito sempre nuovo e urgente. Non dobbiamo aspettare l’esplosione di un altro conflitto per capirlo!

Il ruolo internazionale e la tentazione dei nazionalismi
Che ruolo giochi, Europa, nel mondo? Vogliamo che tu incida e porti la tua volontà di pace, gli strumenti della tua diplomazia, i tuoi valori. Risveglia la tua forza così da far sentire la tua voce, così da stabilire nuovi equilibri e relazioni internazionali. Le tue divisioni interne non ti permettono di assumere quel ruolo che dalla tua statura storica e culturale ci si aspetterebbe. Non vedi il rischio che le tue contrapposizioni intestine indeboliscano non solo il tuo peso internazionale ma anche la capacità di far fronte alle attese dei tuoi popoli?
Tanti pensano di potere usufruire dei benefici che tu hai indubbiamente portato, come se fossero scontati e niente possa comprometterli. La pandemia o le periodiche proteste, ultima quella degli agricoltori, ci procurano uno sgradevole risveglio. Capiamo che tanti vantaggi acquisiti potrebbero svanire. Il senso della necessità però non basta a spingere sempre e tutti a superare le divisioni. Alcuni vogliono far credere che isolandosi si starebbe meglio, quando invece qualunque dei tuoi Paesi, anche grande, si ridurrebbe fatalmente al proverbiale vaso di coccio tra vasi di ferro. Per stare insieme abbiamo bisogno di motivazioni condivise, di ideali comuni, di valori apprezzati e coltivati. Non bastano convenienze economiche, poiché alla lunga devono essere percepite le ragioni dello stare insieme, le uniche capaci di far superare tensioni e contrasti che proprio gli interessi economici portano con sé nel loro fisiologico confrontarsi.
Ha detto Papa Francesco: «In questo frangente storico l’Europa è fondamentale. Perché essa, grazie alla sua storia, rappresenta la memoria dell’umanità ed è perciò chiamata a interpretare il ruolo che le corrisponde: quello di unire i distanti, di accogliere al suo interno i popoli e di non lasciare nessuno per sempre nemico. È dunque essenziale ritrovare l’anima europea» (Discorso, Budapest, 28 aprile 2023).
Vorremmo che tutti sentissimo l’orgoglio di appartenerti, Europa. Oggi appare distante, a volte estraneo, tutto ciò che sta oltre i confini del proprio Paese. Eppure, le due appartenenze, quella nazionale e quella europea, si implicano a vicenda. La tua è stata fin dall’inizio l’Unione di Paesi liberi e sovrani che rinunciavano a parte della loro sovranità a favore di una, comune, più forte. Perciò non si tratta di sminuire l’identità e la libertà di alcuno, ma di conservare l’autonomia propria di ciascuno in un rapporto organico e leale con tutti gli altri.

Valori europei e fede cristiana

Le nostre idee e i nostri valori definiscono il tuo volto, cara Europa. Anche in questo la fede cristiana ha svolto un ruolo importante, tanto più che dal suo sentire è uscito il progetto e il disegno originario della tua Unione. Come cristiani continuiamo a sentirne viva responsabilità; e del resto troviamo in te tanta attenzione alla dignità della persona, che il Vangelo di Cristo ha seminato nei cuori e nella tua cultura. Soffriamo non poco, perciò, nel vedere che hai paura della vita, non la sai difendere e accogliere dal suo inizio alla sua fine, e non sempre incoraggi la crescita demografica.
«Penso – dice il Papa – a un’Europa che non sia ostaggio delle parti, diventando preda di populismi autoreferenziali, ma che nemmeno si trasformi in una realtà fluida, se non gassosa, in una sorta di sovranazionalismo astratto, dimentico della vita dei popoli. […] Che bello invece costruire un’Europa centrata sulla persona e sui popoli, dove vi siano politiche effettive per la natalità e la famiglia […], dove nazioni diverse siano una famiglia in cui si custodiscono la crescita e la singolarità di ciascuno» (Discorso, Budapest, 28 aprile 2023).

Il tema dei migranti e le sue implicazioni

Cara Europa, tu non puoi guardare solo al tuo interno. Non si può vivere solo per stare bene, ma stare bene per aiutare il mondo, combattere l’ingiustizia, lottare contro le povertà. Ormai da decenni sei il punto di arrivo, il sogno di tante persone migranti che da diversi continenti cercano entro i tuoi confini una vita migliore. Tanti vogliono raggiungerti perché sono alla ricerca disperata di un futuro. E molti, con il loro lavoro, non ti aiutano forse già a prepararne uno migliore? Non si tratta di accogliere tutti, ma che nessuno perda la vita nei “viaggi della speranza” e tanti possano trovare ospitalità. Chi accoglie, genera vita! L’Italia è spesso lasciata sola, come se fosse un problema solo suo o di alcuni, ma non per questo deve chiudersi. Prima o poi impareremo che le responsabilità, comprese quelle verso i migranti, vanno condivise, per affrontare e risolvere problemi che in realtà sono di tutti.
Tu rappresenti un punto di riferimento per i Paesi mediterranei e africani, un bacino immenso di popoli e di risorse nella prospettiva di un partenariato tra uguali. Compito essenziale perché in realtà un soggetto sovranazionale come l’Unione non può sussistere al di fuori di una reciprocità di relazioni internazionali che ne dicano il riconoscimento e il compito storico, e che promuovano il comune progresso sociale ed economico nel segno dell’amicizia e della fraternità.

Compiti e sfide
Cara Europa, è tempo di un nuovo grande rilancio del tuo cammino di Unione verso una integrazione sempre più piena, che guardi a un fisco europeo che sia il più possibile equo; a una politica estera autorevole; a una difesa comune che ti permetta di esercitare la tua responsabilità internazionale; a un processo di allargamento ai Paesi che ancora non ne fanno parte, garanzia di una forza sempre più proporzionata all’unità che raccogli ed esprimi. Le esigenze di innovazione economica e tecnica (pensiamo all’Intelligenza Artificiale), di sicurezza, di cura dell’ambiente e di custodia della “casa comune”, di salvaguardia del welfare e dei diritti individuali e sociali, sono alcune delle sfide che solo insieme potremo affrontare e superare. Non mancano purtroppo i pericoli, come quelli che vengono dalla disinformazione, che minaccia l’ordinato svolgimento della vita democratica e la stessa possibilità di una memoria e di una storia non falsate.
Insieme alle riforme istituzionali democraticamente adottate, c’è bisogno di far crescere un sentire comune, un apprezzamento condiviso dei valori che stanno alla base della nostra convivenza nell’Unione Europea. Ci vuole un nuovo senso della cittadinanza, un senso civico di respiro europeo, la coscienza dei popoli del continente di essere un unico grande popolo. Ne siamo convinti: è innanzitutto questo senso di comunità di cittadini e di popoli che ci chiedi di fare nostro, cara Europa.

Le prossime elezioni
Le prossime elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo e la nomina della Commissione Europea sono l’occasione propizia e irripetibile, da cogliere senza esitazione. Purtroppo, a farsi valere spesso sono le paure e il senso di insicurezza di fronte alle difficoltà. Anche questo andrebbe raccolto e ascoltato per mostrare come proprio tu sia lo strumento e il luogo per affrontare e vincere paure e minacce.
Facciamo appello, perciò, a tutti, candidati e cittadini, a cominciare dai sedicenni che per la prima volta in alcuni Paesi andranno a votare, perché sentano quanto sia importante compiere questo gesto civico di partecipazione alla vita e alla crescita dell’Unione. Non andare a votare non equivale a restare neutrali, ma assumersi una precisa responsabilità, quella di dare ad altri il potere di agire senza, se non addirittura contro, la nostra libertà. L’assenteismo ha l’effetto di accrescere la sfiducia, la diffidenza degli uni nei confronti degli altri, la perdita della possibilità di dare il proprio contributo alla vita sociale, e quindi la rinuncia ad avere capacità e titolo per rendere migliore lo stare insieme nell’Unione Europea.
L’augurio che ti facciamo, cara Unione Europea, è che questa tornata elettorale diventi davvero un’occasione di rilancio, un risveglio di entusiasmo per un cammino comune che contiene già, in sé e nella visione che proietta, un senso vivo di speranza e di impegno motivato e convinto da parte dei tuoi cittadini.

Un nuovo umanesimo europeo
Sogniamo perciò ancora con Papa Francesco: «Con la mente e con il cuore, con speranza e senza vane nostalgie, come un figlio che ritrova nella madre Europa le sue radici di vita e di fede, sogno un nuovo umanesimo europeo, “un costante cammino di umanizzazione”, cui servono “memoria, coraggio, sana e umana utopia”» (Discorso, Vaticano, 6 maggio 2016).


Matteo Maria Zuppi, cardinale, presidente della Conferenza episcopale italiana
Mariano Crociata, arcivescovo, presidente della Comece