
“L’ultima volta – vecchio mondo t’invito!
Al banchetto della pace e del lavoro,
L’ultima volta al fraterno convito
Ti chiama il barbarico coro!”
Aleksandr Blok,
Gli Sciti
1.L’intervista di Macron al Financial Times.
Le parole di Macron nella famosa intervista della scorsa settimana, in cui ha decretato la “morte cerebrale della NATO”, hannoun peso che va ben oltre il contesto a cui il Presidente ha inteso espressamente riferirsi, in quanto egli è anche l’unico leader europeo il quale (seppure con tanti limiti) abbia tentato in modo efficace di trarre un bilancio da questi trent’anni di “riunificazione dell’ Europa”. Siccome questo bilancio è, oramai, indispensabile, cerchiamo d’interpretare e sviluppare le sue parole:
“Se l’Europa non si ripensa come una potenza politica in questo mondo, potrebbe scomparire.” Con queste parole, il Presidente francese ha, non soltanto rilanciato, come già altre volte, l’aspirazione, ch’era stata già di Coudenhove Kalergi e di Giscard d’Estaing, di fare, dell’Europa, una grande potenza, bensì anche, implicitamente, condannato la mitologia “angelistica” (per dirla con il Papa), secondo cui l’ Europa sarebbe stata il primo esempio storico di una realtà geopolitica che rinunzi unilateralmente ad affermare la propria identità nel mondo (la “Selbstbehauptung Europas” di Joschka Fischer). Mitologia europea che, nei fatti, costituisce l’espressione di un vassallaggio nei confronti del sovrano americano, a cui avremmo “delegato” buona parte delle decisioni che contano, e, dal punto di vista teologico, costituisce la confessione dell’adesione dell’“establishment” all’eresia millenaristica (non solo cristiana, ma anche ebraica e iranica ), secondo la quale sarebbe possibile costruire in terra un paradiso esente da conflitti (la “Fine della Storia”). Per questo mito, l’egemonia americana costituirebbe una “provvida sventura”, come a suo tempo l’Impero Romano, che aveva permesso la diffusione del Cristianesimo (Baget Bozzo)
Fortunatamente, è sempre più largo il numero di quanti prendono atto dell’impossibilità di questa parusìa materialistica attesa da così tanti nostri contemporanei, anche se ancora non ne hanno tratte tutte le conseguenze.
Almeno secondo questa sua recente intervista, Macron non sarebbe dunque, intanto, contrariamente a buona parte dei suoi colleghi, né a libro paga dell’ America, né un credente, sulle orme di Lessing, di Hoelderlin, di Hegel, di Schelling e di Fiodorov, di quella “religione” materialistica della Modernità. Il che è già un grande passo in avanti.
Religione materialistica chiaramente falsificata, non soltanto dalle infinite guerre (non dichiarate) dell’Occidente, alcune delle quali in Europa, ma anche, e soprattutto, dalla distruzione dell’umano operata dalle Big Five del Web, e dall’ atteggiamento da capriccioso padrone che Trump ha assunto nei confronti di tutto il mondo, ma, soprattutto, degli Europei, ch’ egli aborre molto più dei Russi, dei Cinesi e dei Nordcoereani.
L’estraneità di Macron a tutto ciò costituisce già, dicevo, un suo grande merito , perché solo da una simile prospettiva è possibile progettare seriamente il futuro . Esprimendo l’auspicio di “ripensare l’ Europa”, egli ha ammesso anche, implicitamente, la necessità di una rivoluzione culturale dell’ Europa, ripensandola “come una potenza geopolitica in questo mondo”, perchè viviamo in un mondo concreto dominato dalle politiche di potenza, e anche all’ Europa non resta che agire di conseguenza.

La paleontologa Boehme
2.Danuvius Guggenmosi (alias Udo) :il primo uomo è nato in Baviera, e il primo Indo-Europeo, nel Donbass?
Le posizioni di Macron s’inseriscono in una serie di novità culturali che toccano tanto l’etnografia dell’ Europa (par. 2), quanto gli orientamenti dell’ elettorato (par.9).
Non so se le recenti scoperte dell’uomo di 12 milioni di anni fa (in Baviera) e della Cultura di Jamnaja (in Russia), siano casuali, o siano state pubblicizzate per rovesciare una serie di luoghi comuni di significato, più che scientifico, simbolico e politico (il “political correct”). Anche perché quella del primo bipede è di 4 anni fa, e solo ora la stampa la sta pubblicizzando, sottolineando che quel reperto solleva grossi dubbi sulla teoria, ormai “mainstream” dell’“Out of Africa” (vale a dire della provenienza di tutta l’Umanità da un’unica coppia, localizzata in Africa, 8 milioni di anni fa). Secondo la scienziata tedesca Böhme “Questo è un momento luminoso e un cambio di paradigma per la paleoantropologia ….Il fatto che il processo di deambulazione eretta si sia sviluppato in Europa sconvolge le fondamenta stesse della paleontropologia…Stupefacentemente, queste ossa assomigliano più ad ossa umane che a quelle dei pitecantropi.”
Quest’ ominide è stato chiamato così dal suo essere stato scoperto non lontano dal Danubio (Danuvius) e dal nome di Sigulf Guggenmoos, lo scopritore. Quanto al nomignolo “Udo”, esso deriva dal cantante Udo Lindenberg. Danuvius s’inserisce in una serie di altre scoperte recenti della paleontologia europea, che , soprattutto grazie al metodo del carbonio, al sequenziamento dei geni e all’intelligenza artificiale, ci stanno permettendo, nel giro di pochi mesi, di volgere uno sguardo ben più approfondito e attendibile verso la nostra “preistoria” (Reich, Zakaridis, Fu, Anthony, Quiles). Attraverso questo nuovo sguardo, appaiono confermate alcune ipotesi, che avevano avuto notevole successo in passato, ma poi scartate essenzialmente per motivi politici. Innanzitutto, il poligenismo, che pare confermato sia dal ritrovamento del pitecantropo bavarese, sia per la scoperta di ibridazioni fra l’Homo Sapiens e altri tipi di ominidi. In secondo luogo, l’ipotesi di un lignaggio paleo-indo-europeo proveniente da un’area della Russia posta fra gli Urali e i bacini del Don (Donbass) e del Volga: “Gl’Indoeuropei sono stati considerati come un ramo degli Indo-Uralici trasformatosi sotto l’influenza di un substrato caucasico…” (Quiles) Questi paleo-indoeuropei, corrispondenti alla tipologia dei “Maennerbunde” guerrieri, corrispondono sorprendentemente allo stereotipo della “bestia bionda” che, secondo Nietzsche, avrebbe conquistato l’Asia e l’ Europa, assoggettando i popoli pre-esistenti. Un esempio molto evidente di questa nuova società gerarchica è costituito dalla necropoli di Varna, dove si può vedere l’ibridazione fra le capacità artigianali della preesistente civiltà “danubiana” e il carattere articolato della nuova società “kurganica”.
Queste scoperte confermano, a mio avviso, che (come d’altronde evidenziato dalle mappe elaborate da Cavalli-Sforza), l’area centrale europea presenta un’antichissima omogeneità genetica, che corrisponde all’ egemonia delle lingue indoeuropee (uno “Heartland” europeo). Un altro risultato è che è confermata la corrispondenza fra il patrimonio genetico e quello linguistico, conferendo così forza all’idea di un forte substrato etno-culturale dell’ identità europea.

La città neolitica di Tripollye
3.Attacco all’ Europa n.1:Fabbri
La fattibilità della rivoluzione culturale europea auspicata da Macron è condizionata, a mio avviso, a una presa d’atto obiettiva e autocritica che esistono oramai, sul mercato delle idee, delle analisi molto severe delle retoriche dell’ idea di Europa, a cui occorre rispondere in modo pertinente. Ad esempio, quelle apparse sull’ ultimo numero di Limes (“Il muro portante”). Innanzitutto, quella a firma di Dario Fabbri, il quale ripercorre, inaspettatamente, l’intera teoria nazionalsocialista delle identità, per dimostrarci che l’ Europa unita non potrebbe nascere perché “soltanto attraverso la crudeltà , applicata e subita, la presenza sul territorio di uno specifico ceppo si fa emozionale, la coabitazione si trasforma in legame ancestrale, le vessazioni ricevute in una pedagogica sindrome di Stoccolma”:la nascita di qualunque nuovo soggetto politico non potrebbe non essere legata a un fatto cruento di estrema violenza. Se Fabbri avesse ragione, la sua costituirebbe l’unica vera ed efficace apologia del fascismo, perché l’unico modo di creare quell’Europa unita di cui gli uomini (e le donne) più avvertiti (da Nicola 1° a Victor Hugo, da Mazzini a Nietzsche, da Agnelli a Einaudi, da Mussolini, a Coudenhove Kalergi, da Benda a Drieu la Rochelle, da Simone Weil a Galimberti, da Juenger a Spinelli) sentivano l’urgenza sarebbe allora stato proprio quello di ricreare l’antica genuina “razza ariana occidentale”(“die Westarier”), massacrando le “razze” concorrenti in Europa e isolando quella nordica come si fa con quelle canine, in modo da ottenere un unico popolo dominante e con l’adeguato “pedigree”.
Peccato che proprio la scienza genetica, tanto amata da Hitler, dimostri che questa “fusione con il ferro e con il fuoco”(per usare un termine di Bismarck) fosse già stata realizzata dai nostri lontani antenati della “cultura di Jamnaja”, fra il 4000 e il 2000 a.C., attraverso la cruenta conquista, prima dell’ Ucraina e della Romania (culture di Tripollye e Cucuteni), poi dell’ Europa Centrale (culture della ceramica cordata e dei vasi campaniformi), e, infine, dell’ Europa Occidentale, con le culture di Hallstatt e La Tène. Ad abundantiam, i popoli migratori dell’Asia Centrale avevano poi ulteriormente unificato etnicamente l’ Europa attraverso le migrazioni degli Unni, degli Avari, dei Germani, dei Bulgari, dei Magiari, degli Ottomani e dei Mongolo/Tartari, come narrato da Tacito, Jordanes ed Ekkehardus e dal Canto dei Nibelunghi. Questa “fusione con il ferro e con il sangue” degli Europei era stata quindi realizzata nello stesso modo e negli stessi tempi in cui le popolazioni proto-siniche si erano fuse con quelle australonesiane, tocariche e uralo-altaiche (formando il cosiddetto “Popolo Han”), e gli “Arya” si erano fusi con popoli Munda e dravidici, formando l’ Aryavarta nella pianura gangetica, poi ulteriormente estesosi grazie alla “sanscritizzazione” e alle invasioni provenienti dall’ Asia Centrale oggi, Hindi Belt, Hindi Heartland o Hindi Patti).
Infatti, l’Europa non va confrontata con un concetto astratto di “nazione” (cioè con gli Stati-nazione borghesi creati dalle Rivoluzioni Atlantiche),con il loro violento “nation building” recente, bensì con gli “Stati-Civiltà”, quali l’ India e la Cina, eredi di una tradizione imperiale millenaria (in Cina, il “Tian Ming”; in Europa, la “Translatio Imperii”).
Certo, come scriveva Kissinger,in Europa “l’ordine è derivato dall’ equilibrio, e l’identità dalla resistenza europea all’ autorità universale”. E, in effetti, ancor oggi c’è bisogno di questa “resistenza all’ autorità universale”: oggi, quest’ultima è costituita dal Complesso Informatico-Militare americano, e viene sostenuta, per ora, dalle forze identitarie degli altri Stati-Civiltà: Cina, Islam, India, Sudamerica, fra le quali manca l’Europa.
E’ vero, anche all’interno dell’ Europa abbiamo sempre avuto (come dentro gli altri Stati-Civiltà), una dialettica vivacissima: fra Roma e Costantinopoli; fra Vienna e Istanbul; fra Parigi e San Pietroburgo; fra Washington e Mosca. Ma ciò in nulla si distingue dalle dialettiche fra l’Imperatore Giallo e l’Imperatore Rosso; fra gli Han e gli Hiung-Nu, fra i Song del Sud e quelli del Nord, fra i Mancesi e gli Han, fra il PCC e il Kuomingtang. Oppure, fra gli Aria e gli Shishna Devatas, fra i Pandava e i Kaurava, fra Rama e Ravana, fra gl’ Indù e gl’Islamici. Questa dialettica fra vari “poli” etno-culturali è poi quella che ha generato identità “poliedriche” sempre più particolari, ma comunque coerenti e solidali con l’unitaria “identità europea” (la “Europaeische Leitkultur”).
Comunque, a discolpa dei tanti inventori di “retoriche dell’ idea di Europa”, va detto che non è vero che, come asserisce invece Fabbri, essi ignorino il lato “sacrificale” del “nation building”. Infatti, possono rifarsi, consciamente meno, all’ idea juengeriana della Guerra Civile Europea intesa come catarsi (espressa nell’ operetta“La Pace”, secondo la quale questo tipo di violenza e di sacrificio propiziatorio della nuova Europa c’è stato, eccome, ed è questo che ha motivato l’avanzamento del progetto pacifico dell’ Unione).Tutto il lavoro di Aleida Assmann è ora concentrato su questo aspetto della memoria culturale europea.
E, tuttavia, in questo ragionamento mancano ancora due passaggi: il collegamento, evidenziato da René Girard, con l’esaurimento, per effetto della redenzione cristiana, del tema sacrificale, e quello del superamento, grazie alle macchine intelligenti, dello scenario classico della dialettica servo-padrone in Aristotele, Hegel e Nietzsche ( argomenti determinanti per il superamento delle nostalgie premoderne).

Hindi Belt, o Hindi Patti
4.Attacco all’ Europa n. 2: Florio
L’attacco di Fabbri è ripreso nell’ articolo successivo, che contiene una critica, parzialmente fondata,alla costruzione europea, di un certo “John Florio”, il quale va, però, troppo oltre quando afferma che “i veri architetti dell’ Unità dell’ Europa non furono affatto gli europei: furono gli americani”. Noto en passant che John Florio fu in realtà un umanista seicentesco «Italus ore, Anglus pectore».
In base ai documenti a oggi disponibili, gli Americani, pur avendo dibattuto per anni su che cosa fare dell’Europa dopo la guerra (perché il controllo del Continente era comunque il loro generico obiettivo), si trovarono parzialmente spiazzati, e divisi fra coloro i quali volevano ritirarsi dal Continente e coloro che volevano, invece, distruggerlo per non avere a che fare, in futuro, con una potenza ostile (il “Piano Morgenthau”).
A quel punto era intervenuto Coudenhove Kalergi, il grande profeta dell’unità europea, il quale aveva tentato, attraverso il senatore Fulbright, di convincere il Senato americano a farsi banditore della vecchia idea della sua Paneuropa Bewegung. Infatti, in una situazione come quella post-bellica, Coudenhove-Kalergi, che si trovava in America, non aveva evidentemente potuto rivolgersi alle sue tradizionali “constituencies” aristocratiche ed ebraiche. Siccome il Congresso non ha mai saputo cogliere le più genuine opportunità, ci pensò allora, come al solito, la Cia, anche per il tramite di Winston Churchill e di Jean Monnet, a mettere in moto il movimento d’integrazione. Tuttavia, il ruolo di Coudenhove Kalergi e lo scacco di Fulbright dimostrano che l’idea dell’integrazione europea non fu degli Americani, bensì del nobiluomo austro-ungarico che si riallacciava, da un lato, ai progetti medievali di Europa, e, dall’ altro, al mito nietzscheano dei “Gute Europaer”.Solo con un certo sforzo questo messaggio era penetrato nel mondo politico americano.
Un altro capolavoro di “covert operation” della CIA (una vera e propria “quadratura del cerchio”) fu, allora, quello di appropriarsi dei progetti nazisti di Comunità Economica Europea, nello stesso modo in cui gli Americani si erano appropriati, con von Braun, dei progetti nucleari e missilistici tedeschi. Come von Braun era stato portato a viva forza in America e convinto, con le buone o con le cattive, a realizzare i programmi missilistici americani, così Hallstein fu portato in un’isola del Nord Atlantico e convinto a realizzare, con la CECA, quello che la struttura di Speer aveva già cominciato a fare attraverso i Ministeri del Reich, che avevano battezzato il loro progetto “Comunità Ecnomica Europea”. Florio continua anche qui a muoversi all’ interno di un universo concettuale ereditato dal nazismo: “la solidarietà-l’ unica moneta di cui l’Ue ha drammaticamente bisogno – non è infatti un prodotto ma il presupposto di una comunità di destino” (una “Schicksalsgemeinschaft” , che consiste nel fatto che, al suo interno, vige la solidarietà: “Gemeinnutz geht vor Eigennutz”=”l’interesse collettivo prevale su quello individuale”, com’era scritto nel programma politico della NSDAP).
Alla fine, Florio ci invita a “guardare al XIX secolo, quando l’esistenza di un ‘concerto di nazioni’ che avvertivano di condividere fondamentali concetti comuni seppe tradursi nella messa in opera di istituzioni leggere e flessibili…”.Tuttavia, che io sappia, l’unica “istituzione leggera e flessibile” messa in opera nell’ Europa nel XIX secolo era stata la Santa Alleanza sotto l’egida dei ministri russi Czartoryski e Novosiltsev, che Alessandro I, l’ “Imperatore degli Europei”, aveva definito proprio come “Europa, nazione cristiana”, realizzando, così, gli auspici espressi da Novalis con il suo “Christenheit oder Europa”. In effetti,si sta oggi realizzando proprio quanto l’anonimo che si cela sotto lo pseudonimo di “John Florio” auspica , ma non nella direzione ch’ egli probabilmente desidererebbe, perché si tratta, né più né meno,del programma di Unione Eurasiatica di Vladimir Putin, non per nulla denominato (siamo sempre agli pseudonimi) “lo Zar”.
Non è neppure del tutto vero che le idee funzionalistiche su cui si è basata di fatto (nonostante le veementi proteste di Spinelli) l’integrazione europea, siano completamente americane. Il funzionalismo, che è oggi in realtà l’ideologia dominante in psicologia, sociologia e antropologia in quanto erede storico del messianesimo della scienza e della tecnica tipico di St. Simon, Comte, Enfantin e Fiodorov, nasce in Europa ed è fiorito dai due lati dell’Oceano, generando, alla lunga, il post-umanesimo e l’attuale tirannide delle macchine intelligenti. In particolare, il teorico anti-federalista Mitrany era un rumeno di origini ebraiche naturalizzato in Gran Bretagna. Per i funzionalisti, la vita non è altro che una funzione, che, in quanto tale, può essere espressa con un algoritmo e trasferita dall’uomo alla macchina. Nel campo sociale, le funzioni (i trasporti a lunga distanza, i servizi pubblici, la legislazione), possono essere clonate ed espanse, e retroagiscono sui sistemi circostanti (“la funzione crea l’organo”). Per i funzionalisti, il telos del Progresso è l’unificazione dell’Umanità intorno alla scienza e alla tecnica. L’ Europa costituirebbe perciò solo una fase intermedia di questa unificazione, da avviare, prima, intorno al consorzio carbo-siderurgico (la CECA), poi nucleare (l’Euratom), e, successivamente, intorno al Mercato Unico, a una corte di giustizia, a una banca, ecc…

Non si può unificare l’ Europa senza una riflessione approfonfita sulla sua storia e sulla sua cultura.
- Il tradimento dell’89
Macron si è espresso recentemente contro l’adesione all’ Unione Europea di Macedonia e Albania, per rispettare il vecchio principio francese che suona “prima l’approfondimento, poi l’allargamento”. Tuttavia, con questo principio, non si tiene conto del fatto che Il motivo per cui l’Est Europa sta partorendo fenomeni politici assolutamente inattesi (la rinascita delle potenze turca e russa, le “democrazie illiberali”, il sovranismo tedesco-orientale), incomprensibili e inaccettabili per l’intellighenzia “mainstream”, è che i moti che avevano portato alla fusione fra Europa Centrale e Orientale e Europa Occidentale furono traditi, nelle idee prima che nei fatti, dagli Europei occidentali e dalle Istituzioni europee.
Infatti, gli Europei occidentali (a cominciare dai Francesi e dai Tedeschi) si considerano gli unici titolari del “marchio Europa”, dimenticando che i primi Europei venivano dalla Turchia e dalla Russia; che la prima civiltà europea è stata quella greca, e che è stato Sobieski (con il Principe Eugenio) a salvare Vienna, ma non certo la Francia, alleata della Turchia. Nel pantheon degli eroi dell’identità europea, i primi sono Leonida e Socrate(greci), Alessandro Magno, Costantino e Giustiniano (macedoni),e gli ultimi Caterina II, Dostojevskij (russi)e Nietzsche (tedesco orientale)– e non vi sono presumibilmente Bacone, Payne o Condorcet, e comunque certamente non Washington, Jefferson, Emerson e Whitman-. Come può dunque l’Europa esprimere la propria identità e contare nel mondo senza la Russia, la Turchia, la Grecia, la Polonia, l’Ungheria, dove sono nati e hanno operato tanti protagonisti dell’ identità europea?
L’Europa Orientale concepisce se stessa, da sempre, in alternativa a quella occidentale, come la vera erede della “Translatio Imperii” biblica, attraverso l’Ebraismo, il Cristianesimo orientale, gli Herrenvoelker scitici, gli Slavi, gl’Imperi Centrali. Anche durante la Seconda Guerra Mondiale, tutti gli Europei Orientali (Stalin, l’Armia Krajowa, i Sionisti, perfino gli Junker prussiani) si concepivano come i veri combattenti contro il nazismo. Molti avevano continuato a combattere contro l’Armata Rossa, in media per altri 10 anni, senza che nessuno li avesse mai neppure riconosciuti (l’UPA ucraina,i “Soldati Proscritti ”polacchi, i “Fratelli della Foresta” baltici e rumeni, le rivolte di Berlino e di Budapest).
Ancor oggi, nonostante i meriti dei combattenti anticomunisti, le “marce” in Europa Orientale con le divise dei partigiani dell’ Armia Krajowa e simili continuano ad essere etichettate come folklore nazifascista. Nello stesso modo, le opere dei grandi intellettuali est-europei, come Lem, Gumilev, Kalecki, Milosz, Solzhenicin, Kolakowski,Wolf, che avevano difeso efficacemente la cultura europea ai tempi del socialismo reale, non vengono lette, e, se lo sono, non vengono capite. Costoro aspiravano, infatti, non già a prendere partito, in una contesa che non li riguardava, a favore, o dell’ americana “Teoria dello Sviluppo” di Rostow, o di una fondamentalistica ortodossia marxista sulla falsariga di Lukàcs, bensì a costruire (com’ebbero a dichiarare Walesa e Shevarnadze) un mondo, come quello che sta in effetti nascendo ora, posto al di là dei due opposti materialismi dei tempi della Guerra Fredda.
Certo, anche la cultura, e, in particolare, quella dell’ Europa Orientale, ha le sue responsabilità. La Russia ha un solo intellettuale “eurasiatista” convinto, Sokurov, il quale pone al centro della scena l’unità sostanziale delle culture russa ed europea, quale espressa egregiamente in film come l’Arca Russa, Faust e Francofonia. Gli altri “eurasiatisti” sono piuttosto eccentrici rispetto alla definizione stessa del concetto. L’ effettivo eurasiatismo di Tiutchev (poeta ambasciatore presso il Regno di Sardegna) significava in pratica egemonia russa sull’Eurasia;in Trubeckoj, prevaleva l’ orgoglio del rapporto con il mondo turanico;Gumilev si preoccupava di collocare la Russia une suo contesto più vasto, sulla scia delle lezioni di Mackinder, von Richthofen e Murakami, ma vedeva Russia ed Europa come due mondi separati. Perfino Dugin, promotore ufficiale del “Projekt Evrazija”, e considerato a torto il prototipo dell’eurasiatista, è soprattutto un nazionalista russo.
Alla fine dei conti, gli unici veri eurasiatisti sono Putin e Erdogan, i quali, dovendo governare due Paesi che sono a mezza strada fra l’Europa e l’Asia, non possono evidentemente fare a meno di appoggiarsi su un’ identità mista: Cosacchi e Ermitage; Sultanahmet e Ueskuedar

Le culture neolitiche hanno creato un ampio melting pot al centro dell’ Europa
6.Interpretare Macron
Infine, Macron ha richiamato anche il vecchio concetto di “Comunità Europea”, che esprimeva una comune identità più che non l’attuale termine “Unione”, tratto dalle esperienze costituzionali inglese, americana e sovietica. Ambedue i termini hanno molti e sorprendenti precedenti nella politica degli Anni ’30 e ’40.
Oggi,. i termini “comunità” e “Unione” vengono usati “in mancanza di meglio”, per indicare una “patria”, ma di tali enormi dimensioni, non poter essere chiamata “Heimat”, e nemmeno “Vaterland”, o “Mat’Rodina”, bensì meglio qualificabile come uno“Stato-Civiltà”(文明国家 ,Wénmíng guójiā), come la Cina e l’ India. Non per nulla, già gli antichi Cinesi chiamavano l’Europa “Da Qin”, termine che, agli inizi, aveva denotato uno dei loro primi imperi(cfr. il nostro libro DA QIN).
Secondo la Merkel, che ha reagito immediatamente, le affermazioni contenute nell’ intervista di Macron sarebbero “troppo estremistiche”: secondo me , invece, esse sono equilibrate e appropriate, ma fin troppo caute e volutamente criptiche; temo soprattutto ch’ egli non vi dia alcun seguito, date appunto le repliche di stretta osservanza atlantica espresse subito dopo dalla Merkel, da Stoltenberg, da Zingaretti e da Tajani, e data, soprattutto, l’abitudine dei Presidenti francesi di dare poco seguito alle loro roboanti promesse sovraniste.
Il discorso di Macron non è dunque, per me, un punto d’ arrivo, bensì di partenza.
Quell’ Europa grande potenza che Macron giustamente auspica e la Merkel teme non può farsi, per la natura tecnologica della geopolitica dei grandi Stati continentali odierni, se non attraverso un potere centrale fortemente personalizzato, cosa che non può ovviamente essere garantita dal potere collegiale di 27 Stati, ma richiede invece un “quartier generale” ristrettissimo e potentissimo. E qui casca l’asino della banale polemica sul “deficit di democrazia”.Una cosa è infatti gestire l’arredo urbano, gli asili nido o le licenze edilizie, i piani regolatori, i tribunali o le infrastrutture, le leggi finanziarie, i curricula universitari e i finanziamenti agevolati, un’altra i dazi con l’America, l’Intelligenza Artificiale o la Via della Seta. Trump, Putin e Xi Jinping mettono e tolgono dazi, mandano e ritirano truppe (anche le nostre), trasformano le regole del web. Non chiedono il parere della società civile, né del Parlamento o del Partito Comunista, ma non tanto perché, come si dice, siano dei dittatori (anche se i Romani avevano inventato proprio per queste cose la figura del “dictator”), bensì perché, se esponessero simili decisioni in un dibattito pubblico, esse non potrebbero mai essere adottate, e comunque se ne avvantaggerebbero prima di tutto gli avversari dei rispettivi Paesi. Nei rapporti geopolitici, bisogna essere imprevedibili, altrimenti non si può vincere. L’esercito israeliano, l’imbattibile Tsahal, chiama questa tattica “siamo impazziti”. Tant’è vero che, in Israele, visto che il sistema parlamentare è diventato, anche lì, ingestibile, stanno nominando primo ministro l’ex capo di Stato maggiore (Ramatkal).
Quindi, o Macron riesce a diventare il Presidente dell’Europa, e a farsi attribuire poteri comparabili a quelli di Trump, Xi Jinping, di Putin e di Ganz (o almeno quelli di Modi o del Consiglio Federale svizzero), o i suoi progetti saranno irrealizzabili.

Secondo Tiutcev e Sokurov, con l’ Ermitage, Caterina II ha creato un'”arca” che custodisce nei secoli l’eredità culturale dell’ Europa, difesa dal popolo russo.
7.La Russia è europea.
Non mi ha convinto il, seppur lodevole, accenno alla Russia, con la quale Macron auspica, giustamente,rapporti più stretti. Rapporti che costituiscono certamente una leva importante per dare all’ Europa più autonomia (ma che da soli non bastano). Occorre essere più chiari circa la Russia. Non è vero che, come ha detto Macron, Putin abbia “sviluppato un progetto anti-europeo dovuto al suo conservatorismo”: al contrario. Infatti:
a)nel 2017, in occasione dei 50 anni del Trattato di Roma, aveva pubblicato sui giornali di tutta Europa, il più vibrante fra i messaggi europeistici, affermando, tra l’altro, che, in quanto pietroburghese, egli era a tutti gli effetti un Europeo,e che l’Unione Europea costituiva la più grande realizzazione politica del XX Secolo;
b)dinanzi al Bundestag e alla Confindustria tedesca, si era proposto come motore dell’ integrazione europea, paragonando se stesso a Helmut Kohl, conservatore europeista;
c)in occasione dell’ incontro con Romano Prodi, aveva criticato la formula della collaborazione Russia-Europa “tutto tranne le istituzioni” come dettata dalla paura degli Europei per la grandezza della Russia, che non le permette di far parte dell’ Europa se non con un ruolo centrale (i Russi sono 140 milioni, i Tedeschi 90).
E’ stato appunto l’ostracismo alla Russia perchè è il più grande fra gli Stati d’ Europa a generare la russofobia degli Europei (e, ancor di più, degli Americani). Eppure, non si può non prendere atto del fatto che, in un momento in cui si richiedono grandi agglomerati continentali, le uniche due “regioni” dell’ Europa che posseggono una massa critica sufficiente per tener testa all’ America sono, non già quella francofona o quella germanica (né tanto meno quella polacco-baltica), bensì quella degli Slavi dell’Est (aggregata intorno alla Russia), e quella dell’ Euroislam e dei Balcani (aggregata intorno alla Turchia). Dire che non si vogliono in Europa quei due Paesi equivale perciò ad affermare che l’”Europa grande potenza” di cui parla Macron non si farà mai. Il preteso carattere autoritario di quei due Stati (che, tra l’altro, sono i più democratici che si siano visti nella storia dei due Paesi) deriva unicamente dai continui tentativi fatti dall’ Occidente per disgregarli, rimpicciolendoli, in modo da poterli assorbire più facilmente. Di questo tentativo fanno parte le guerre cecene, l’aggressione all’ Ossezia, la guerriglia curda e i vari tentativi di colpo di Stato in Turchia, che hanno obiettivamente reso necessaria una sorta di “stato d’assedio permanente” come in Israele.
In questo contesto, Putin ha svolto e svolge un ruolo di assoluta moderazione. Basti vedere le posizioni sul rapporto con l’Occidente dei partiti russi di opposizione e degli alleati minori di Russia Unita (neo-comunisti, liberal-democratici e neo-eurasiatisti), che considerano Putin “un liberale”. Ha ragione Macron, l’ideologia di Putin è il “Russkij konservatizm”, che costituisce il “mainstram” della cultura russa (Tiutchev, Stolypin,Witte, Solzhenitsin), ma questo non lo porta certo a un programma anti-europeo, bensì a concepire “un’altra Europa”, liberata, grazie alla Russia, dal mito del progresso, e anche al sicuro , sulla scia di Dostojevskij e di Blok, da un’egemonia americana o cinese. Il Russkij Konservatizm è stato giustamente equiparato alla Democrazia Cristiana di Guido Gonella o del Soester Programm, una forza egemone di carattere nazional-religioso, ma ampiamente tollerante delle diversità. Se non ci fossero Putin e Erdogan, ci sarebbero due governi militari.
Le oscure circostanze della morte di Adriano Olivetti e di Mario Chou, oltre che della vendita della divisione elettronica dell’ Olivetti, costituiscono un monito per chi voglia creare una vera industria digitale europea.
8.La “souveraineté numérique européenne”
Infine, e giustamente, Macron ha contestato il limite del 3% all’ indebitamento, sintesi dei cosiddetti “Criteri di Maastricht”, che impedisce all’ Europa di condurre una politica espansiva attraverso nuovi investimenti. E qui pensa sicuramente anche alla “souveraineté numérique”, quell’ “uovo di Colombo” che tanti scoprono qua e là come per caso ma che, poi, mai nessuno tenta seriamente di realizzare. Dato che la Cina è riuscita a realizzare la piena sovranità digitale, che include una propria cultura digitale, una propria intelligence digitale, una propria rete, propri providers e proprie imprese nei settori dell’e.commerce e dell’ intelligenza digitale, non si capisce perchè non possano farlo anche gli altri grandi blocchi continentali, e soprattutto l’ Europa, visto che tanto la Russia quanto l’ India hanno già compiuto dei passi intermedi.
I sostenitori della NATO affermano sostanzialmente (come, nel suo recente libro, Maurizio Molinari), che dobbiamo sempre e comunque stare dalla parte degli Stati Uniti,così come i comunisti e i loro alleati “fedeli alla linea” sostenevano che bisognava sempre e comunque stare dalla parte dell’URSS, perché quella era la “patria del socialismo”. Nello stesso modo, quelle stesse persone affermano ora che bisogna stare oggi con gli Stati Uniti perché sono “la patria della democrazia”. Nessuno ci ha ancora spiegato che cosa sia in sostanza questa “democrazia occidentale”, nata fra il commercio degli schiavi e il genocidio degli Indiani, la sottrazione violenta al Messico di metà del territorio, i bombardamenti di Dresda, Montecassino, Hiroshima e Nagasaki, e un’infinità di guerre di occupazione in tutto il mondo, come ieri quelle di Corea e Vietnam e oggi quelle del Golfo e dell’Afganistan, e che condiziona tutta l’Umanità, come mai prima avvenuto nella storia, attraverso la rete e il “Pensiero Unico”. Non parliamo del fatto che perfino le Nazioni Unite stanno esprimendo la loro preoccupazione contro le limitazioni in Germania dei diritti di opinione, di riunione e di associazione, con particolare riferimento al movimento filopalestinese “Boykott, Disinvest and Sanctions”, ma si potrebbe allargare il discorso al controllo a tappeto ben descritto da Snowden nel suo ultimo libro, come pure al proliferare di leggi censorie.
Quanto poi, all’ ultimo fatto di cronaca, il ferimento di nostri militari nel territorio curdo, dove non avrebbero avuto nessuna ragione giuridica per esserci, ha fatto esplodere la questione dell’uso di nostre truppe al di fuori della Costituzione e dei mandati del Parlamento e delle Nazioni Unite, sotto comando americano e semplicemente dietro richiesta americana rivolta direttamente ai nostri primi ministri (Prodi, d’ Alema o Renzi ch’essi fossero). A questo punto, è ovvio che, sulle questioni che veramente contano, come la guerra e la pace, la vita e la morte, il popolo italiano non solo non può incidere in alcun modo, ma vengono bypassate perfino tutte le istituzioni legali, l’unico soggetto abilitato a decidere essendo il Presidente degli Stati Uniti. In questa situazione, si capisce benissimo perché i cittadini abbiano reazioni così ostili alle classi politiche degli Stati membri e dell’ Unione. Quei politici, come Macron, che pretendono di portare avanti veramente (ma, dopo 70 anni, si può avere qualche dubbio) una Politica Estera e di Difesa Comune, dovrebbero dirci come faranno a risolvere questo problema.

Il Partito Comunista Italiano aveva approvato le stragi dell’ Armata Rossa in Ungheria. Oggi invece la sinistra condanna le operazioni difensive dei Russi e e delle minoranze etniche con essi alleate
9. Non dover più parteggiare per nessuno
Problema che risulta ancor più scottante alla luce della recente indagine demoscopica dello European Council for Foreign Relations, che, riassumendo il pensiero degli elettori europei, afferma “l’Europa non dovrà più essere alla mercè di una potenza straniera. Gli elettori sono più preveggenti dell’élite della Politica Estera e di Difesa Comune, …”.Parecchi pubblicisti, come Molinari o Rampini, hanno sostenuto (riprendendo integralmente le parole dell’ amministrazione americana), che gli Europei dovrebbero decidere “da che parte stare”. Però, su questo punto, gli elettori si sono già espressi in modo inequivocabile. In un conflitto fra gli Stati Uniti e la Russia, o fra gli Stati Uniti e la Cina, ovunque l’enorme maggioranza vorrebbe che l’Europa rimanesse neutrale. In Slovacchia, in Grecia e in Austria, è addirittura superiore il numero di elettori che vorrebbero che l’Europa combattesse accanto alla Russia contro l’America che non viceversa.
In queste condizioni, è veramente sconvolgente che la maggior parte dei vertici istituzionali (a cominciare dalla Merkel e da Mattarella), anziché condividere la posizione di Macron e della maggioranza degli elettori, continuino a difendere incondizionatamente l’Alleanza Atlantica.
La similitudine fra il socialismo reale e l’ortodossia atlantica è agghiacciante:
-la filosofia di base è il determinismo economicistico che ispira una fede messianica nel Progresso;
-l’ideologia politica è la stessa mitizzazione dell’uomo medio, che spinge a emarginare e reprimere ogni eccentricità;
-lo stesso è il linguaggio, basato su slogan pieni di presunzione e di odio: “dittatori, autocrati, despoti”, che tenterebbero di “infiltrare” le loro “false verità” per indebolire il libero Occidente. Poco importa che l’“Occidente” da loro tanto esaltato consista solo nel Nordamerica, l’Europa Occidentale e il Giappone, vale a dire al massimo 800-900 milioni di persone, mentre l’insieme dei BRICS, del Sudamerica, dell’Africa e dell’Islam comprende 6 miliardi di persone, cioè sette volte di più. Possibile che questi 800-900 milioni siano gli unici detentori della verità, mentre tutti gli altri vivono nell’ oppressione e nell’ errore? Non ci si accorge che quei Paesi sono appena usciti, con sforzi sovraumani, dall’asfissiante tutela dell’Occidente, e da allora stanno prosperando, così come prosperavano prima dell’arrivo degli “Occidentali” (vedi imperi Ching e Mughal, che coprivano quasi la metà del mondo )?
-come giustamente ha rilevato la Stampa, sul fondamentalismo atlantico vi è anche un unanimismo bipartisan, come (dico io) nella DDR c’era un unanimismo filosovietico fra il comunista Honecker e il “democristiano” de Maizière (sponsor della Merkel): “Oggi capita che il segretario Pd Nicola Zingaretti e il Vice-Presidente di Forza Italia parlino praticamente la stessa lingua, quando si trovano a discutere del nuovo ordine mondiale e delle sfide che pone all’ Italia e all’ Occidente”.

Il “maggiore Lupaszko”, comandante dei “Soldati Proscritti”, fucilato dai Sovietici.
10.Conclusione
Commemorare la caduta del Muro di Berlino significa innanzitutto rievocare lo spirito eroico di coloro che si sono battuti per l’unità dell’Europa dell’Est e dell’ Ovest, dai difensori, nel 1956, di Budapest, a de Gaulle che creò la Force de Frappe “à tous les azimuts” per un’ Europa dall’ Atlantico agli Urali, a Giovanni Paolo II, che, riprendendola Ivanov, aveva lanciato l’idea dei “due polmoni dell’ Europa”; infine, a Gorbacev, che aveva rilanciato, quella di Enea Silvio Piccolomini, di una “Casa Comune Europea”….
La Brexit non contraddice l’esigenza dell’unificazione di tutta l’ Europa. Ovviamente, chi, come il Regno Unito, vuole andarsene, è libero di farlo, ma l’Europa dovrà ragionare sempre come rappresentante di tutti gli Europei.
L’unico modo per completare l’unificazione dell’Europa è evidentemente associarvi tutti i Paesi Europei che lo vogliano (per esempio, l’Albania e la Macedonia, ma anche la Scozia e l’Irlanda del Nord, la Russia e la Turchia, senza dimenticare l’Islanda e la Groenlandia), dando così all’ Europa stessa gli strumenti per affermare autorevolmente sulla scena mondiale i nostri punti di vista sulle scelte più scottanti per l’Umanità, come sono, oggi, il rapporto uomo-macchina e la difesa delle identità.