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IL MANIFESTO DI VENTOTENE NON BASTA PIU’ (Andrea Malaguti )

Le Retoriche dell’Idea di Europa, già scosse dalla caduta del Muro di Berlino e attaccate frontalmente dai nuovi protagonisti eurasiatici, stanno letteralmente cadendo a pezzi sotto il peso delle politiche americane di Trump e da Musk, che hanno stracciato il velo di ipocrisia sugli obiettivi, la storia e i progetti dell’America (a partire dalle sue radici eretiche e schiavistiche, per proseguire con il suo spirito teocratico e imperiale, e per poi finire con il suo legame strettissimo con il postumanesimo), ma anche sulla storia dell’ Europa.
Tutto ciò che ci è stato raccontato negli ultimi 80 anni su America e Europa si sta rivelando radicalmente falso. Falso che, prima con l’Illuminismo, e, poi, con la IIa Guerra Mondiale, la razionalità abbia vinto sull’irrazionalismo (basti leggere Horkheimer e Adorno, e, oggi, gli autori americani del Dark Enlightenment). Falso che la ragion d’essere dell’integrazione europea sia òla Pace Perpetua, e che questa sia stata teorizzata la prima volta da Kant. Falso (tanto per le motivazioni, quanto per i risultati) che le truppe alleate, a Est come a Ovest, siano venute per “liberare” l’Europa. Falso che le Comunità Europee e, poi, l’Unione Europea, abbiano garantito 80 anni di pace (visto che non hanno mai avuto competenze, né capacità militari – queste essendo attribuite alla NATO-). Falso che l’”Occidente” abbia mai avuto “valori comuni”, mentre Europa ed America si sono in realtà sempre contrapposte nella storia (per esempio, su monarchia e repubblica, sullo schiavismo, sul trattamento delle minoranze, sulla cultura). Falso che l’economia europea sia stata favorita dal Piano Marshall (che non è stato neppure attuato, né dagli Europei, né dagli Americani), e dalla sudditanza a quella americana (che è stata, ed è ancora, pesante anche e soprattutto in campo economico). Falso che l’economia americana sia (o sia stata mai) liberista, ché, anzi, è stata sempre dominata dallo straordinario potere di acquisto del Dipartimento della Difesa, dall’”advocacy” a favore delle proprie multinazionali dal potere esorbitante di queste ultime. Falso che l’Europa abbia “approfittato” della difesa americana, quando questa ha prosperato solo grazie al “contingentamento” (come scriveva Trockij) dell’economia europea; l’Europa ha concesso gratuitamente per ottant’anni l’uso di centinaia di basi e ha acquistato sistematicamente armamenti in America…Se è ora di fare i conti, il risultato sarà probabilmente l’opposto di ciò che tutti si aspettano.
Falso che ciò che esiste oggi di organizzazione europea sia figlio prevalentemente del Manifesto di Ventotene, e non, invece, da un lato, delle tradizioni giuridiche dell’”Ancien Régime” (la “Pace Petpetua”), e, dall’altra, come sosteneva, suo malgrado, Spinelli, dell’ideologia “funzionalista” di Mitrany e Haas (che voleva fare dell’Europa una delle consuete “Organizzazioni Internazionali”, inserite nella “ragnatela” di organizzazioni funzionali all’ egemonia americana -cfr. Ikenberry).
Se, poi, il Manifesto di Ventotene parlava di una “rivoluzione” e di una “dittatura”(come ha detto in Parlamento Giorgia Meloni) era perché prevedeva proprio l’”impasse” in cui l’ Europa si è cacciata ora con il Funzionalismo, e anticipava proprio il trend accentratore che oggi si sta realizzando con il ricorso all’ art.122 del Trattato di Lisbona e con la violazione, da parte del Consiglio, della regola costituzionale dell’ unanimità, per reagire all’ accentramento dei poteri dei nostri concorrenti. Non si trattava, poi, di una “dittatura comunista”, come vuole lasciare intendere Giorgia Meloni, bensì di una dittatura nazional-europeista, necessaria a creare una identità comune, come furono la Rivoluzione Americana e la dittatura di Garibaldi in Sicilia. Spinelli accomunava comunisti e democratici nell’ accusa di non essere capaci di costruire l’ Europa. Se allora si fosse dato retta a Spinelli e non ai funzionalisti, oggi forse avremmo la Politica Estera e di Difesa di cui tutti sentono la mancanza, ma che non si sa da dove cominciare. Per fortuna il trumpismo costringe ciascuno a mettere le carte in tavola sull’ Europa che vogliono, rivalutando così anche il decisionismo di Spinelli!
Tentiamo ora di dimostrare, punto per punto, che il disorientamento generalizzato che traspare dalla cultura, dalla politica e dalla pubblicistica in Europa dopo l’elezione di Trump in America può essere superato solo sostituendo, alle falsità dette prima, una visione più obiettiva della realtà, che permetta finalmente agli Europei di compiere scelte ben informate.


a.Presupposti gnoseologici
Intanto, si tratta di fare chiarezza sulle pretese di “verità” delle diverse fazioni che si contrappongono nell’ attuale guerra culturale. Dalle religioni maggioritarie, che continuano (senza convinzione) le loro schermaglie sulle loro rispettive “verità assolute”, all’ “Establishment”, che bolla come “disinformazione”, e censura e condanna, ogni punto di vista differente dalla “Grande Narrazione” occidentale, ai pretesi fautori del pluralismo delle idee, che per altro negano buona parte dei filoni culturali dell’ Occidente, e praticamente tutti quelli dell’ Oriente.
Dopo Confucio, Buddha, Pirrone, Tertulliano, Averroè, Cartesio, Pascal, Berkeley, Hume, Kant, Schopenhauer, Nietzsche, Wittgenstein, Heisenberg, De Finetti, Heidegger, Feyerabend, Vattimo, chi può ancora parlare di una “verità obiettiva”? Tutti ci dobbiamo accontentare, per dirla con Kant, di “verità trascendentali” o ancor meglio, per dirla con Leopardi, di “Illusioni”. E, in ciò, le culture del resto del mondo sono state, da sempre, più “avanzate” di quella europea, perché le loro stesse lingue, e, in particolare, quelle siniche, sono caratterizzate da uno “Esprit de finesse” ben superiore a quello delle nostre. Esse non hanno mai dubitato del fatto che ciò che l’uomo vede (e/o intravvede) sia un’illusione, il “Velo di Maya”.


b.Relativismo etico

Dalla generale distruzione delle diverse fedi nell’ “obiettività” deriva anche la relatività degl’imperativi etici. Basta una lettura attenta delle opere letterarie, filosofiche, e perfino religiose, di luoghi e tempi diversi, per comprendere questa relatività. A partire dalla ben nota scena dell’Esodo, in cui Mosè, alla vista del Vitello d’Oro, spezza le tavole della legge scritte da Dio e ne scrive delle altre, di sua creazione; poi, incita i Leviti a prendere la spada, per sterminare, in spregio al “non uccidere” appena proclamato, i 3000 Ebrei che avevano adorato il vitello. Oppure gli infiniti brani in cui Dio esige lo sterminio dei popoli nemici, o ancora l’intero “corpus” omerico, tutto fondato su una guerra pretestuosa e genocida, e, poi, sulla sanguinosa vendetta di Ulisse. Per non parlare del Jihad e delle Crociate, del Satee, della schiavitù, praticata ed esaltata dalle società cristiane, della “doppia morale” delle società democratiche, dell’Enola Gay, finalmente demonizzato nelle scuole americane, ma solo perché contiene la parola “Gay”…A è vuota retorica anche “la coscienza morale dentro di me e il cielo stellato sopra di me”.
Se c’è qualcosa che fonda la morale non è, né un precetto divino, anch’esso quanto mai ondivago nel tempo, né la storia, che è sempre muta, né l’utilità (di chi?), bensì la “pietas”, il senso istintivo e irrazionale di legame fra gli uomini.


c.Storicità dei sistemi politici
Così come la morale, anche i sistemi politici variano nel tempo e nello spazio, senza che si possa stabilire una vera superiorità (basti leggere la Politica di Aristotele), sicché occorre guardare a ciò che più è adatto a un determinato popolo in un determinato tempo, senza tabù, preconcetti né etnocentrismi.
Il sistema politico perfetto (la Polis, la Repubblica, la Monarchia, la Democrazia, la Liberal-democrazia, il Liberalismo, il Liberismo, il Socialismo, la Socialdemocrazia, il Fascismo, il Socialismo Nazionale, il Corporativismo?) non esiste. Questi sistemi si succedono, si sovrappongono e si confondono l’uno con l’altro.


d.Difesa dell’umano
Pure di fronte a questa incessante mutevolezza del pensiero, dell’ etica e della politica, vi è qualcosa che resta comune all’ Umanità, o, almeno, all’Umanità che possiamo conoscere (gli ultimi 7.000 anni), a partire dai graffiti, dalle leggende, dalle scritture, dai riti e dai miti, fino alle filosofie, alle leggi, alle arti…
Quest’ uomo conoscibile, che corrisponde a quel breve periodo che ha come culmine l’”Epoca Assiale”, è ciò che accomuna anche oggi tutti i popoli, e permette loro di interagire, soprattutto in quell’ area condivisa che il teologo Hans Kueng ha chiamato “valori sottili”, comuni a tutti: “Homo sum, nihil humani mihi alienum puto”.
Ed è proprio questo Uomo dell’Epoca Assiale ch’è messo in discussione, in modo sempre più penetrante, dalla deriva tecnologica che porta al dominio delle Macchine Intelligenti e alla Singularity Tecnologica, che ora si è materializzata nei GAFAM, e, in primo luogo, nel potere esorbitante di Elon Musk.


e.L’ Alleanza fra le Grandi Civiltà
La difesa dell’Uomo dell’Epoca Assiale contro il dilagare del Postumanesimo potrebbe costituire un punto d’incontro fra popoli anche molto diversi. L’esempio più eclatante è costituito dalla famosa legislazione europea sul digitale (GDPR, Digital Service Act, AI Act), giustamente vantati come un’opera di avanguardia nella regolamentazione della tecnologia, e copiata (e anzi migliorata), senza clamore, dalla legislazione cinese, e finalmente attuata in Cina. Questo esempio dimostra come siano possibili convergenze su questo tema su scala planetaria.
Prima di morire, Henry Kissinger aveva scritto un libro, in cui proponeva di adottare una regolamentazione internazionale sull’ intelligenza artificiale parallela a quella sull’ energia atomica. A nostro avviso, si dovrebbe andare ancor oltre, creando occasioni di studio e di formazione comuni sui valori e le tecniche che servono per rendere le nuove tecnologie compatibili con l’Umano, inteso come sopra.


f.Leggere Ventotene
Nella pubblicistica e nella polemica politica delle ultime settimane, che hanno riportato nell’ attualità i discorsi di 90 anni fa sull’ Europa, è stato anche sollevato il ruolo che, nella costruzione europea, ha avuto il Manifesto di Ventotene, che, come ha giustamente sottolineato Giorgia Meloni, contiene anche idee in netto contrasto con la vulgata dell’ Establishment. Ma anche il direttore della Stampa, Andrea Malaguti, aveva già scritto pochi giorni prima: “Perché il Manifesto di Ventotene non basta più”: “Oggi, dopo essersi detti un po’ enfaticamente, quanto fosse bello il Manifesto di Ventotene, ne occorre uno nuovo, incardinato su ideali condivisi.”
A mio avviso, è necessario fare luce anche su questo punto, e, più in generale, sulle fonti a cui attinge il movimento d’integrazione europea, che sono molteplici perché gli Europei, come gli altri uomini, sono imperfetti, e quindi non è possibile che alcuno riesca ad interpretare, e fissare, al di là della geografia e della storia, tutti gli aspetti della vita culturale e politica di un Paese. Perfino i più monolitici Stati-civiltà, e perfino il loro massimo esempio, la Cina, si fondano su fonti disparate, dai Classici Confuciani, al Buddhismo Hinayana, agli Annali imperiali, al “Socialismo con caratteristiche cinesi”.
Come tentava di dimostrare il nostro “10.000 anni d’Identità Europea”, anche l’ Europa non comincia certo, come vorrebbe il Mainstream, con la IIa Guerra Mondiale, con il Manifesto di Ventotene o con i Trattati di Roma, bensì con l’ingresso nel Continente delle sue meta-etnie, ancor oggi riscontrabili nella genetica europea, quelle dei Cacciatori-Raccoglitori, degli Agricoltori Medio-Orientali, dei Popoli delle Steppe e degli Agricoltori Nord-Africani. Erano già “Europei” i guerrieri descritti da Ippocrate e da Erodoto, i Romani “alti e schietti” degli Annali degli Han Anteriori, i sovrani dei Trattati della Pace Perpetua (Filippo l’Arabo, Giustiniano),la Paneuropa di Coudenhove-Kalergi.
Abbiamo avuto la teorizzazione dell’ identità degli “Europaioi” da parte di Ippocrate, di Strabone, di Dione Cassio e perfino da parte degli Annali degli Han Anteriori; il De Monarchia e il De Vulgari Eloquentia di Dante; i Progetti di Crociata e di Pace Perpetua; la Nazione Cristiana della Santa Alleanza e di Novalis; la Paneuropa di Coudenhove Kalergi, con le sue riflessioni sul federalismo mondiale, sulle élites, su una religione civile comune..; le tesi storico-politiche del Manifesto di Ventotene; la Costituzione Federale Italiana ed Europea di Duccio Galimberti, vera espressione della Resistenza; la progressiva edificazione di un Diritto Europeo…Ciascuno di questi costituisce un elemento dell’ Identità Europea, che, rimontati tutti insieme in funzione delle sfide storiche che andiamo affrontando di volta in volta, costituiscono l’”Identità Europea”, la base culturale per la costruzione dell’ Europa Unita.
Considero il Manifesto di Ventotene perfettamente attuale , anche e soprattutto per i caratteri “nietzscheani” (quelli respinti da Meloni) dello “Spinelli notturno”, che giudicava inadatti a fare l’ Europa, non solo i comunisti, ma anche i democratici, a cui contrapponeva i federalisti europei, e inoltre propugnava (come del resto Galimberti, Olivetti e Giustizia e Libertà), il divieto dei partiti e la nazionalizzazione delle industrie strategiche.
Di converso, la recente ossessione dell’ “Establishment” per il Manifesto di Ventotene e la beatificazione dei suoi autori costituisce una forma blasfema d’idolatria come la rappresentazione dell’Apoteosi di Washington nel Capitol, e la mummia di Lenin sulla Piazza Rossa, oltre che un insulto a coloro (da Ippocrate a Strabone, da Podiebrad a Sully, da Saint-Pierre ad Alessandro I, da Coudenhove-Kalergi a Galimberti, da Jean Monnet a Gorbaciov), che hanno contribuito in modo altrettanto sostanziale all’ edificazione e rinnovamento dell’ Identità Europea.
Infine, la costruzione europea postbellica prescindeva dai partiti di sinistra, che avevano espulso Spinelli (revisionista di destra), perché erano filosovietiche e staliniste. Quando negli anni 50 si votarono le leggi di ratifica dei tre trattati istitutivi, il PCI votò sempre contro, mentre il PSI si astenne. Erano le leggi “pro Europa” volute da quel gigante di De Gasperi e per le quali votò a favore anche l’ MSI… Quindi, gli attuali eredi di quei partiti storici della sinistra, che oggi si riempiono la bocca di europeismo, possono farlo anche grazie al voto favorevole dei missini.


g.Oltre gli Stati Uniti d’Europa
A mio avviso, se il progetto d’ integrazione europea postbellica ha un limite, è quello di aver voluto imitare pedissequamente gli Stati Uniti d’America, una realtà oramai invecchiata, creata in un mondo completamente diverso, con pochi insediamenti di lingua inglese sulla costa Est del Nord-America, retti per lo più in modo feudale e, oligarchico e spesso teocratico, con pochissimi abitanti, la maggior parte dei quali schiavi: il tutto facente parte dell’ Impero Britannico. Nulla a che fare con i 500 milioni di Europei del XXI secolo, con 50 lingue diverse e storie e geografie diversissime, dalle steppe ai ghiacci eterni, dalle coste con storie millenarie al mondo alpino, dalle metropoli tentacolari alle isole incontaminate…
Sotto questo punto di vista, avevano ragione Mitrany e Haas a contestare l’imitazione degli Stati Uniti da parte di Spinelli. I due, peròtemevano, in realtà, che gli Stati Uniti d’Europa potessero competere (la cosiddetta “rivalità mimetica”) con gli Stati Uniti, da essi prediletti e prescelti, così come teme oggi Giorgia Meloni, ai quali è legata anch’essa a filo doppio con gli USA. Io temo invece che, quand’anche gli Stati Uniti d’ Europa si facessero, non potrebbero riuscire a fare un’adeguata concorrenza agli USA, perché la loro ambizione è quella di imitarli, non già di superarli. Per fare questo, ci vorrebbe un’idealità superiore, che, ad oggi, non c’è nell’ “establishment” europeo.
Questa volontà di omologare l’Europa all’ America si spiega benissimo con l’origine del Movimento Europeo postbellico, che partì da un’iniziativa americana (Fulbright, Dulles, Sullivan, Acheson, Allen and Overy), mirante, come scriveva Brzezinski, a costituire un avamposto dell’ America in Eurasia. Il Movimento Federalista Europeo entrò solo in modo trasversale in un Movimento Europeo creato da una lobby americana (l’”American Committee for a United Europe”).Come ha dimostrato per ultimo il brusco avvicendamento fra Biden e Trump, l’eterodirezione dell’ Europa da parte dell’ America è foriera, al di là delle scelte ideologiche di ciascuno, di risultati catastrofici per l’ Europa, sì che s’impone con urgenza un approfondimento sulle nostre caratteristiche peculiari e sui nostri diversi obiettivi. In primis, quello di neutralizzare l’influenza anti-umana di Musk e dei GAFAM, che ha trovato in America una base operativa efficace e temibile, e di cui invece qui non parla nessuno (perché infiniti sono i legami sia con gl’interessi di Musk, sia con l’ideologia transumanista).
Sono invece, secondo me, secondarie e discutibili le critiche di tipo settario, come quella secondo cui l’UE sarebbe troppo militarista, neo-liberista, woke o laicista. Uno Stato-civiltà che, come la Cina o l’India, deve superare i millenni sarà per forza, di volta in volta, militarista e pacifista, neo-liberista o statalista, woke o suprematista, laicista o ortodosso, perché vive non nell’ utopia, bensì nella Storia, e a questa reagisce.
In questo senso si giustifica una lettura critica del Manifesto di Ventotene, che non può certo essere invocato quale fondamento unico dell’ integrazione europea, in primis, perché esso stesso non ha mai preteso di esserlo, essendo limitato a un discorso storico-politico situato storicamente, e non comprendendo nessun aspetto religioso, filosofico, artistico, giuridico o economico, sì ch’esso ha un senso solo se affiancato con le alte fonti da noi citate, ciascuna per la parte di sua competenza, il tutto attualizzato al 2025.
Mentre ci rallegriamo del fatto che finalmente, nel Parlamento italiano, si sia discusso almeno una volta animatamente sul Manifesto di Ventotene, lamentiamo che esso continui impropriamente ad essere citato come fonte unica. Anche perché, come detto in precedenza, esso non è stato minimamente utilizzato dai padri fondatori delle Comunità Europee(i famosi Monnet, De Gasperi e Adenauer ), che si attennero invece di fatto alle indicazioni dei “Funzionalisti” Mitrany e Haas. Peccato che il Funzionalismo sconfinava già allora nel postumanesimo, sostenendo che le “funzioni” umane possono essere trasferite alle macchine. La “Dichiarazione Schuman”, scritta a due mani da Monnet e dall’ Americano Acheson, non fu altro che la formulazione ufficiale delle idee dei Funzionalisti, e i Trattati di Parigi, Roma, Bruxelles, Maastricht, Amsterdam, Nizza, Lisbona, le Comunità Europee e l’Unione Europea, la messa in pratica di quelle idee. Nessuna sorpresa quindi per gli esiti disumani e per la convergenza di fatto con Musk. Giorgia Meloni ha ragione, dal suo punto di vista “nazional-democratico”, a riallacciare il proprio nazionalismo e le proprie idee di “alleanza europea“ e di “Patriottismo transatlantico” alla scuola funzionalistica del “Maistream” europeo. Ma è proprio quella scuola che occorre, a mio avviso, superare per fare fronte efficacemente alla transizione fra Post-Modernità e Post-Umanesimo, rovesciando quest’ultimo con uno scatto volontaristico come quello ipotizzato dal primo Spinelli con la sua “Rivoluzione Europea”.
Invece di difendere o condannare Ventotene, occorrerebbe studiarla per attuarla, attualizzandola.


h.Oltre la Nazione Italiana
Quanto all’ ossessione del nostro Primo Ministro per “la Nazione Italiana”, ricordiamo che già ai tempi di D’Annunzio e di Mussolini essa era considerata superata, tant’è vero che si erano create organizzazioni fiancheggiatrici (come la Lega dei Popoli Oppressi e i Comitati per l’Universalità di Roma di Coselschi), che propugnavano l’unificazione europea, organizzando ottimi congressi su questo tema, come quelli di Montreux, di Roma e di Parigi, con la partecipazione di fior di intellettuali di tutta Europa, che avevano certamente anticipato quelli di fondazione del Movimento Europeo (non a caso, a Montreux). Perfino gli “Anticonformistes des Années Trente” e i “collaborateurs intellectuels” dei Paesi dell’Asse avevano elaborato, durante la IIa Guerra Mondiale, una loro visione dell’ Europa, non coincidente con quella dei loro governi, ed espressa in altri convegni, a Lipsia e a Vienna.
L’attuale ossessione per i piccoli nazionalismi europei (“Kleinstaaterei” di Kaja Kallas) piace invece a Washington perché è comodo giocare sulle rivalità fra le piccole nazioni europee per impedire agli Europei (dell’ Est o dell’ Ovest) di contare nel mondo.
Che poi l’Europa di Bruxelles, per distinguersi dall’ America, stia divenendo “più realista del re”, riprendendo le guerre per procura dei democratici americani, è un altro paio di maniche. Ambedue queste tendenze sono anti-europee e colpevoli di servilismo. Al massimo, andrebbero strumentalizzate, come un’astuzia per riuscire ad ottenere quell’ “autonomia strategica” di cui, fino a poco tempo fa, non si poteva nemmeno parlare.
Noi sosteniamo una linea politica non allineata, né sulla “guerra alle autocrazie” cara ai democratici americani e filo-americani, né sulla proliferazione di sempre nuove micronazioni, come pretenderebbe Kaja Kallas.
L’idea di una Nazione Italiana è un’idea progressista, sulla scia di Herder, subordinata alla missione mondiale dell’America. Essa risale ai tempi dell’occupazione napoleonica dell’Italia, quando la Francia inventava, nei Paesi conquistati, delle “Repubbliche Sorelle”, destinate a forgiare delle nazioni borghesi sul modello americano, che combattessero a fianco della Francia contro le monarchie europee. La bandiera bianco-rosso-verde, che era quella che si credeva erroneamente fosse la bandiera della Rivoluzione Francese, era quella delle truppe ausiliarie italiane, e fu inaugurata a Parma durante l’occupazione dei Ducati da parte delle truppe napoleoniche di Dąbrowski, che lì cantarono per la prima volta l’inno polacco, la Mazurk Dąbrowzkiego: “Marsz, marsz, Dąbrowski do Polski ze ziemi włoski” (“Marcia, Marcia, Dąbrowski, dalle terre d’Italia alla Polonia”). Più tardi, Mazzini scriverà a Lincoln offrendogli semplicemente la leadership dell’Europa purché gli USA si mettessero a capo della lotta dei repubblicani contro le monarchie europee .In effetti , in tutti questi eventi, l’idea era già semplicemente di replicare pedissequamente in ogni nazione, la Nation Building americana, e, poi, francese.


i.La bandiera europea, simbolo di tradizione
Oggi, alla luce della transizione postumanistica in corso, vi è in tutti i Paesi un movimento di insofferenza contro le conseguenze delle Rivoluzioni Atlantiche (Janata Party, Islam politico, Socialismo con Caratteristiche Cinesi, Neo-Ottomanesimo, Eurasiatismo, Dark Enlightenment). Logico che anche in Europa si manifesti un siffatto movimento, che, a dire il vero, qui non è ancora veramente cominciato, ma che sicuramente verrà propiziato anche qui dallo Zeitgeist mondiale, come dimostra la vicenda della bandiera con le 12 stelle.
Quest’ultima, che oramai domina le piazze, è molto più tradizionalista dei vari tricolori delle “nazioni” europee. Essa è nata infatti come un simbolo mariano. A dichiararlo è stato Arsène Heitz, il grafico che partecipò e vinse il bando del Consiglio d’Europa nel 1950. Egli è rimasto poco noto, ma il suo disegno parla di Maria, ispirato dal passo dell’Apocalisse in cui si parla delle dodici stelle: «Nel cielo apparve poi un segno grandioso: una Donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle».
Per disegnare il bozzetto, il giovane designer si ispirò alla medaglietta miracolosa che portava al collo, che riproduce le stelle in circolo, e scelse lo sfondo azzurro mariano. Il bozzetto vinse il concorso presieduto dal responsabile dell’ufficio stampa del Consiglio, Paul M. G. Lévy. Gli Stati europei all’epoca erano solo sei, ma Arsène Heitz, senza rivelare la fonte che lo ispirò, spiegò che il dodici è «un simbolo di pienezza». Rappresentano le dodici tribù di Israele, ma 12 sono anche gli apostoli, insomma nella Bibbia il numero che rappresenta la diversità nell’unità, la differenza tra quanti si riconoscono nell’unico Signore e creatore. È per questo che Arsène Heitz chiese esplicitamente nel progetto che la bandiera non la si dovesse ritoccare se i membri avessero superato quel numero.Ultima “coincidenza” significativa: i Capi di Stato la approvarono in un giorno “particolare”: l’8 dicembre 1955, il giorno dell’Immacolata Concezione.
Il culto della Grande Madre risale al Neolitico e forse addirittura al Paleolitico, se si leggono in questo senso le numerose figure femminili steatopigie (cosiddette veneri paleolitiche) ritrovate in tutta Europa. Figure accostabili alla Grande Madre sono rinvenibili ad esempio in: Ninhursag, nell’area mesopotamica;Iside in Egitto; Durga e Avalokitesvara in India; Guanyin in Cina; Ashtoreth, in Fenicia;Cibele, nell’area anatolica;Asherà e Ester in Israele; Gea e Rea nell’area greca;Mater Matuta nell’area etrusca; Bona Dea o Magna Mater nell’area romana; Freya in Germania.
Anche le 12 stelle hanno un’origine antichissima, perché ricordano i 12 grandi dei del pantheon mediterraneo, che nel Mondo Greco-Romano sono gli abitatori dell’ Olimpo, e oggi sono venerati dalla religione “dodecateica”, riconosciuta recentemente dalla Repubblica Greca.

LA “STORIA” DI MARCELLO CROCE: UN MODELLO ECCELLENTE E UNO STIMOLO ALL’ APPROFONDIMENTO

La “Giovine Europa” di Mazzini

Con il precedente post in questo sito, avevo avuto l’occasione di formulare una serie di commenti sull’articolo di Franco Cardini del 9 maggio sulla questione del perchè serve oggi scrivere di storia.

Ora, avendo avuto l’occasione di rileggere attentamente, durante una breve vacanza, la Storia dell’Italia Unita di Marcello Croce, pubblicata dalla Casa Editrice ITACA, vorrei soffermarmi a considerare in base a un esempio concreto come si possa oggi scrivere appropriatamente di storia. In particolare, trattandosi di una storia d’Italia, mi sembra che possano e debbano applicarsi i criteri tipici della storia particolare e popolare, che ha una sua logica, politica e divulgativa, non già quelli della storia universale ed accademica.

Ricordo che, nel precedente post, affermavo che la storia “popolare” dovrebbe essere, oggi, essenzialmente subcontinentale e volta alla formazione di un’opinione pubblica su base territoriale, attraverso il sistema culturale ed educativo ed attraverso i media. Questi requisiti sono soddisfatti, almeno parzialmente, dalla Storia d’Italia di Croce, la quale, pur nella sua programmatica auto-delimitazione alla storia della Penisola, di fatto inserisce brillantemente quest’ultima nella storia europea, facendo leva su  quella che è proprio la caratteristica specifica della “nazione” italiana: l’essere essa sede della Chiesa di Roma, e, quindi, qualcosa che ha trasceso sempre, da un lato, il fatto territoriale, e, dall’ altro, l’orizzonte temporale delle nazioni “moderne”.

La struttura dell’ Italia

è stata inventata da Augusto

1.Alla storia d’Italia “sta stretta” la Modernità

La nascita, lo sviluppo e la dissoluzione dell’Italia in quanto “nazione moderna” non coincide perciò con la vicenda della realtà “Italia, la quale, per esempio, già per Dante si sarebbe dovuta riferire già all’immigrazione troiana, e che, per i Romani, nasceva comunque con la Guerra Sociale e la concessione della cittadinanza romana a tutta la Penisola, che diventava, così, “il Giardin dell’Impero”, cioè la provincia dominante, come erano state l’Eranshahr per i Persiani e il Zhongguo per i Cinesi.

E, in effetti, durante l’intero arco della storia premoderna, i popoli extraeuropei identificarono Roma, l’Italia, l’Europa, l’Impero e il Cristianesimo (he Basileia ton Rhomaion; Rum; Rum Millet; Hromaig; Da Qin…).

Dunque, l’Italia “nazione moderna” come tentativo sempre esperito e sempre frustrato. Nel ripercorrere le tappe di questa vicenda, l’Autore segue le pieghe anche più segrete del pensiero politico e delle vicende storiche italiane, mettendo a nudo, “sine ira et studio” le molte aree oscure della storiografia ufficiale: dalle radici pre-moderne di tutti i grandi problemi dell’ Italia (rapporto Stato-Chiesa, regioni- Italia, Italia-Europa, sovranità-universalità), alle contiguità fra risorgimento, fascismo e antifascismo, alla costruzione dell’ideologia “occidentale” contemporanea.

L’analisi, originalissima, nonostante la sua meticolosità e le dimensioni notevoli del libro (quattrocento pagine circa), non può ovviamente andare fino in fondo a ciascuno dei temi evidenziati, relativamente ai quali non vi sono state fino a qui adeguate ricerche, come per esempio:

a)i possibili sbocchi e prospettive del progetto neoguelfo di federazione italiana;

b)la contiguità fra le diverse anime del fascismo e i singoli filoni della cultura politica italiana (neoguelfismo, liberalismo, mazzinianesimo, socialismo, azionismo);

c)le modalità concrete dell’esercizio sotterraneo della sovranità sull’Italia (condominio) da parte degli Stati Uniti e, parzialmente, dell’Unione Sovietica.

Boleslaw Piasecki, fra fascismo e  stalinismo

2.Storia d’Italia e storia europea.

Come detto sopra, anche in relazione con il precedente post, a mio avviso, la storia “divulgativa”, per l’insegnamento, anche superiore, e per il pubblico colto, dovrebbe avere un respiro almeno europeo. Questo vale anche per le storie nazionale, regionale, e, perfino, locale.

Il libro di Croce soddisfa egregiamente questa condizione, in quanto mette opportunamente in relazione le vicende italiane con il mondo circostante, in particolare con quelle del mondo atlantico e protestante, con la rivoluzione sovietica, con gli Alleati, durante e dopo la II Guerra Mondiale.

Certo, anche sotto questo punto di vista, non mancano  gli spunti per  ulteriori approfondimenti, come, per esempio:

a)la connessione fra le idee mazziniane e giobertiane della “missione delle nazioni” e i discorsi paralleli svolti da Fichte, Herder e Hegel;

b)il fascismo come fatto prioritariamente italiano, ma anche e soprattutto pan-europeo;

c)la relazione tutt’altro che pacifica fra il federalismo europeo di marca italiana e il funzionalismo francese, tedesco e perfino inglese;

d)la sostanziale connivenza fra URSS e America nella gestione dell’Europa di Yalta;

e)le carenze del sistema economico  della I Repubblica rispetto al contemporaneo “capitalismo renano”.

Saremmo lieti di poter sostenere uno sforzo ulteriore di approfondimenti su questi temi prendendo spunto, appunto, dall’ opera di Croce, a cui va comunque il nostro riconoscimento per lo sforzo compiuto nell’ interesse di tutti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CONFLITTO, ESERCITO, EUROPA

                           Trump e Macron l’11 novembre

I problemi dell’Europa si accrescono a ritmo esponenziale, senza che nessuno vi ponga mano. Intanto, la letteratura specialistica affronta temi sempre più scottanti, che incrinano i pregiudizi consolidati, mentre finalmente, seppur controvoglia, neanche i leader istituzionali possono più esimersi, se non altro agli albori della campagna elettorale per  le Europee del 2019, dal tirar fuori dal cassetto questioni che per molti decenni si sono volute  “nascondere sotto il tappeto”.

 

“Europe en marche” non è un’invenzione

di Macron: è uno slogan di Vichy

1.L’esercito europeo

Intanto, finalmente, i vertici di grandi Stati, come Francia, Germania e Stati Uniti,  hanno preso pubblicamente posizione, nel corso dell’ ultima settimana, circa l’antico e sempre nascosto tema dell’ Esercito Europeo.

Se ne parla nientemeno che da 700 anni, vale a dire da quando, per primo, il consigliere del Re di Francia, Pierre Dubois, aveva scritto il “De Recuperatione Terrae Sanctae”, in cui aveva espresso il punto di vista che, per rimediare alle croniche sconfitte dei Crociati, si darebbe dovuto costituire una federazione fra i sovrani europei, co la missione di  dirigere un esercito comune. La struttura di questa federazione era poi rimasta sempre la stessa nei vari progetti elaborati dalle monarchie europee dl Medioevo e al Cinquecento, da  Podiebrad e da Sully, mentre, invece, nel Settecento in St. Pierre, Rousseau e Kant, la finalità bellica della federazione europea era stata temporaneamente silenziata, a favore della “Pace Perpetua”. Nell’ Ottocento, Fichte, St. Simon, Mazzini e Nietzsche erano sostanzialmente concordi nel dire: pace sì, ma solo fra gli Europei, per condurre più facilmente le guerre coloniali verso il resto del mondo.

La tanto decantata vicenda della Comunità Economica di Difesa va un poco demitizzata. Si trattava di poche divisioni, che, nel 1953, avrebbero dovuto essere messe a disposizione dell’ Europa, ma prive di  marina, aviazione, servizi segreti, e subordinate alla NATO (eravamo ai tempi di Stalin e del maccartismo). Che alla fine il parlamento francese l’avesse bocciata non stupisce. Essa avrebbe sancito il ruolo dei soldati europei come semplici “truppe ausiliarie” dell’ esercito americano, in posizione non dissimile da quello che le  “SS  straniere” erano state per l’esercito tedesco appena otto anni prima. Nello stesso modo, si sarebbe voluta cementare attraverso un esercito comune la compattezza ideologica degli Europei intorno alla nuova potenza egemone.

Da allora,  ogni qualche anno si è ripresentato il discorso sull’esercito europeo, ma, quasi inspiegabilmente, ogni volta, esso è stato subito affossato, nonostante che i promotori si fossero affrettati ogni volta a precisare che esso non sarebbe stato alternativo alla NATO.

Ora Macron, per rendere credibile  la sua idea del “sovranismo europeo”, ha dovuto parlare, proprio alla vigilia della visita di Trump, di  un esercito europeo “per difendere l’ Europa contro la Russia, la Cina e gli Stati Uniti”. La scarsa padronanza della materia  da parte di persone, come Macron, Trump e la Merkel, che non hanno mai fatto neppure il servizio militare, contribuisce a rendere sempre un po’ ridicole siffatte prese di posizione su questo tema.

Nel caso di Macron, però, bisogna ammettere che molti dei suoi obiettivi sono stati centrati, innanzitutto là dove ha posto teatralmente   in evidenza che non può esservi esercito europeo  che non sia autonomo e in competizione con quello americano. In particolare, è stata ben giocata la provocazione nei confronti di  Trump, , in quanto la reazione è stata sostanzialmente quella di affermare che la Francia deve obbedienza agli USA perché è stata liberata dagli Americani, e che gli Europei debbono continuare a pagare l’America affinché questa li difenda. In tal modo, Trump ha smentito 70 anni di ipocrisia puritana, chiarendo finalmente in modo inequivocabile che considera l’Europa come un protettorato dell’ America (tesi già esposta a suo tempo da Brzezinski, ma., ovviamente, di tutt’altro peso se affermata dal Presidente).

E che di ipocrisia si sia trattato lo dimostra che, già nel “testamento politico” dettato da Mitterrand prima di morire, era scritto che, fra Europa America, vi è una guerra occulta, ma non per questo meno mortale.

Giusto anche sollevare il problema dell’esercito europeo in connessione con la questione della cyberguerra, perché è proprio nel campo della cyberguerra che la subordinazione e l’arretratezza degli Europei risulta più schiacciante, come dimostra in modo impressionante il numero 10/2018 di Limes, “La rete a stelle e strisce”. Giusto infine precisare, in un’intervista, che la spesa militare europea non deve finanziare l’industria militare americana, bensì risollevare quella europea. Giusto infine rispolverare, con ciò, tutta la dottrina militare del Generale De Gaulle.

L’unica sbavatura è consistita nell’ approcciare la questione dell’esercito europeo come se fosse mirato contro qualcuno. Non tanto perché ciò è in stridente contrasto con il conclamato pacifismo dei vertici europei e con lo stesso “Forum della pace” inaugurato pochi giorni dopo da Macron. Né perché ha urtato inutilmente la Cina (che non ha neppure partecipato alle celebrazioni di Parigi) e la Russia (che vi ha tenuto giustamente un atteggiamento sprezzante). Ma soprattutto perché gli eserciti di oggi non servono tanto per essere concretamente usati contro qualcuno, bensì innanzitutto per accrescere il peso specifico del Paese che li possiede, certo, come deterrente propriamente militare, ma anche e soprattutto come fulcro di una rete d’influenza, veicolo di educazione popolare, fucina di tecnologie, supporto all’economia, strumento di spionaggio, ecc…

L’esercito americano non  è, propriamente, diretto contro la Russia, la Cina, l’ Iran,e neppure contro l’Europa: semplicemente sorveglia e influenza il mondo intero con la sua stessa esistenza.  VCosì fanno, in piccolo, anche  i suoi omologhi delle altre potenze.

E questo varrebbe soprattutto per un ipotetico esercito europeo che nascesse nelle particolari nuove condizioni  di oggi. A mio avviso,tale esercito dovrebbe, e potrebbe, essere molto meno guerrafondaio di tutti gli attuali eserciti occidentali che, come l’Italia, a parole “ripudiano la guerra”, ma in realtà la conducono ininterrottamente contro i Paesi non-occidentali, occupando indebitamente i loro territori insieme agli Stati Uniti, come in Afghanistan, Irak, Niger, ecc…

L’Esercito Europeo dovrebbe invece restarsene in Europa, e, semmai, di lì, influenzare silrenziosamente il mondo, con le sue scuole militari e la sua intelligence, i suoi riservisti e i suoi missili, i suoi satelliti, il suo web, le sue industrie militari, ecc…, per fare valere i suoi punti di vista sul pluricentrismo, sul governo delle tecnologie, sul controllo degli armamenti, sulle migrazioni, sul clima….Secondo il principio taoista della “non azione” (“wu wei”).

Se la politica è un parallelogramma delle forze, e la pace è la prosecuzione della guerra con altri mezzi, allora  un esercito culturalmente motivato, tecnicamente all’ avanguardia e integrato nella politica estera di uno Stato serve innanzitutto a contribuire ad allargare il parallelogramma di quello Stato, senza bisogno di uccidere nessuno, come ci ha insegnato SunZu.

Forse, questa è la volta buona in cui questo tema verrà esplorato un po’ più seriamente del solito. Ciò richiederebbe però che:

a)si avesse veramente il coraggio di dispiacere fortemente agli Stati Uniti;

b)si sgombrasse il campo dalle solite menzogne sul ripudio della guerra e sul carattere pacifico dell’ Occidente (quando proprio a Parigi Trump ha ribadito che gli USA hanno speso, l’anno scorso, e spenderanno anche quest’anno, per la difesa,  700 milioni di dollari, e gli Europei 300, contro i 200 della Cina e i 60 della Russia). Si noti: questi campioni occidentali della pace e della democrazia spendono in armamenti circa tre volte dei loro avversari, di cui dichiarano di avere tanto timore. Si sono mai chiesti quanto i Cinesi e i Russi debbano avere anch’essi paura dei mirabolanti eserciti occidentali, e quanto dei loro atteggiamenti apparentemente così ostili derivino in realtà da un’urgente necessità di difendersi?Un team di esperti del Governo americano ha appena licenziato alle stampe lo “Assessment and Recommendations of the National Defense Strategy Commission”, in cui, criticando lo stesso Dipartimento della Difesa, si afferma che le Forze Armate Americane stanno minando il presupposto stesso della politica degli Stati Uniti, fondata sulla superiorità militare assoluta sul resto del mondo, in modo da poter dominare gli sviluppi di quest’ultimo, orientandoli in un senso conforme agl’interessi degli Stati Uniti. Invece, dice il rapporto, se gli Stati Uniti combattessero oggi una guerra contemporaneamente con la Russia e la Cina, per esempio per il Baltico e per il Mar della Cina, potrebbero anche perderla. Anch’io lo credo, ma non vedo perché gli Europei dovrebbero sostenere queste guerre, sostenendone probabilmente i maggiori danni senza ricavarne alcun beneficio.

c)si possedesse una propria, autonoma, ideologia, che giustificasse e orientasse l’Esercito Europeo, rendendo così accettabile a tutti la cessione di sovranità in questo settore così delicato.

A mio avviso, tale dottrina militare dell’Europa deve partire dall’idea che, nella cultura europea, vige ancora, contrariamente che in quella americana, la priorità della persona sulla tecnica, una priorità in nome della quale l’Europa dovrà combattere le sue prossime battaglie- le “Guerre delle Intelligenze”, come le ha chiamate Laurent Alexandre-. Del resto, già nell’ Orlando Furioso era contenuta una violenta requisitoria contro le armi da fuoco, responsabili dell’imbarbarimento della guerra, da nobile tenzone quale essa era dall’Iliade ai tornei rinascimentali, ad anonimo e proditorio macello, Si pensi alla colubrina che uccise Giovanni dalle Bande Nere.

Per esempio, Daniel Kahneman, premio Nobel americano, crede che sia giusto che le grandi decisioni vengano prese dai robot, non dagli uomini, perché essi sono più saggi di noi (le nostre convinzioni sono radicate “nella nostra comunità, la nostra storia, i nostri affetti e le persone di cui ci siamo sempre fidati”) .

Quindi, la vera “minaccia” contro cui deve prepararsi l’esercito europeo, non sono, né la Russia, né la Cina, né gli USA, e neppure il terrorismo internazionale, bensì le macchine intelligenti che rischiano di sostituirsi all’ uomo, con tutti i loro alleati: le agenzie spionistiche che ci controllano; le multinazionali che ci condizionano; le imprese informatiche che ci colonizzano; l’accademia che le mitizza;  gli eserciti che le proteggono. E’ una guerra quotidiana e occulta, fatta di corsa alle nuove tecnologie, di spionaggio, di “covert operations”, di battaglie culturali ed economiche..

Sulla stessa lunghezza d’onda, l’insostituibile funzione culturale dell’esercito, quale centrale di pensiero strategico (pensiamo a Giulio Cesare, a MoZi, a Clausewitz), quale cinghia di trasmissione dell’ethos delle classi dirigenti, quale educatore del popolo, dovrà esercitarsi sui tema del rapporto uomo-macchina, della difesa contro lo cyberguerra , dell’  intelligence tecnologica…varrebbe anche e soprattutto per l’ Esercito Europeo, che deve riformare una nuova élite militare, un ambiente informatico autonomo,  un nuovo tipo di soldato digitale…

Un esercito siffatto non sarebbe in concorrenza, né con la NATO, né con gli eserciti nazionali, giacché farebbe tutte cose che quelli non fanno.

 

 

Per Eraclito, “polemos” è all’ origine di tutte le cose

2.Elogio del conflitto

Torna oggi quindi utilissimo poter fare ricorso a quella parte, certo minoritaria, del mondo intellettuale, che non ha mai cessato di deprecare la sconsideratezza dell’espungere, dallo scenario ideale dell’Umanità, la consapevolezza del conflitto Come scrive Benasayag, “Si tratta di imparare a convivere con tutto ciò che abbiamo rimosso e abbandonato  come un’anomalia inammissibile. Si tratta di capire in che modo l’essere umano con il suo fondo di costitutiva oscurità , possa costruire le condizioni di un vivere comune malgrado il conflitto e anzi attraverso il conflitto, mettendo fine al sogno, o all’ incubo, di chi vorrebbe governare tutto ciò che vi è, in lui, d’ingovernabile”.

La repressione del conflitto comporta infatti innanzitutto la repressione della libertà: “Nonostante questi diffusi fantasmi di libertà, mai una società è stata più disciplinata della nostra. Non è più nemmeno necessaria la presenza di commissari politici, a garanzia della nostra obbedienza al diktat della norma dominante. Gl’individui ’liberi di scegliere’ lo sono soltanto nel loro immaginario.”

Non è un caso che tutti gli autori che avevano parlato dell’identità dell’ Europa, l’avessero sempre collegata con l’idea di conflitto: i classici, per i quali gli “Europaioi” erano dei guerrieri “autonomoi” che combattevano contro l’ Impero Persiano; gli autori cristiani, per cui gli “Europenses” erano i Germani che combatterono a Poitiers contro Carlo Martello; quelli medievali e romantici, che vedevano la federazione europea come l’ organo supremo dell’ esercito crociato; Federico Chabod, che sosteneva che non poteva esservi Europa senza “spirito polemico”…Oggi, questo “spirito polemico” deve esercitarsi innanzitutto nei confronti dell’ America e di questo “establishment” che, come ha scritto “Le Monde Diplomatique”, è stato “bibéronné dans les campus américains

 

 Visegrad

3.Il rapporto con i conflitti del passato

Non per nulla un altro aspetto che è venuto alla ribalta durante questo lungo e significativo week-end è stato il rapporto di memoria dell’ Europa con la 1° Guerra Mondiale, che, più ancora che non la seconda, riveste un carattere divisivo per gli Europei, soprattutto in questo anniversario secolare.

Intanto, è significativo della discordia sulla “memoria condivisa” il fatto che ciascuno abbia commemorato questo 11 Settembre a modo suo.

Così, ad esempio, mentre, per la Francia e per il Commonwealth, la data da ricordare è l’11 Novembre, l’Armistizio di Rethondes, per l’Italia è il 4 novembre, giorno della vittoria sull’ Austria-Ungheria.

Macron ha tentato, poi, di monopolizzare l’attenzione con il “suo” 11 novembre a Parigi, coronato dal “Forum della pace”.

Ma, mentre per la Francia, l’11 Novembre dovrebbe significare la riconciliazione con la Germania, per il  l’Inghilterra della Brexit esso  ha rappresentato una commemorazione del Commonwealth, e, per la Polonia, è stato il centenario dell’ Indipendenza Nazionale. Qui, questo 11 novembre 2018  ha dato la stura a un delirio di patriottismo, con tutte le città piene di una folla in estasi, con milioni di bandiere bianco-rosse e con l’ Aquila Bianca dei Piasti, con giovani e vecchi con divise d’epoca e su mezzi militari di tutti i tipi.

Il Presidente Duda ha arringato come El’cin la folla in piedi su un veicolo militare. E, in effetti, la Marsz Niepodloglosci, benché indirizzata sostanzialmente contro la Russia, ha paradossalmente uno stile sempre più russo, con la militarizzazione della folla che canta canzoni patriottiche  e una confusione totale fra Stato e  popolo, esercito e milizie: un caso esemplare di quella che René Girard ha chiamato “rivalità mimetica”.

In Polonia, la distinzione canonica fra “nazionalismo” e “patriottismo”, richiamata da Macron nel suo “Foro della pace”, sfuma e si rivela non calzante, in quanto pregiudizio occidentale. Per Macron, “patriottismo” sarebbe quello che non sfocia, come il nazionalismo, nell’ ostilità verso gli altri popoli. Ma, nel caso della Polonia, l’idea “estremista” di una “Grande Polonia” (“Wielka Polska”nelle frontiere del 1920) è più “cosmopolita” del “patriottismo” etno-nazionale di Dmowski, sottointendendo  essa, come voleva già il maresciallo Pilsudski, una federazione fra Polonia, Lituania, Bielorussia e Ucraina, se non addirittura l’”Intermarium”, una specie di anticipazione dei “4 di Visegrad”. Peccato che, nel contempo, anche in Ucraina si sia parlato dell’”Intermarium”, ma con capitale a Kiev.  D’altra parte, in Polacco, non si parla di “Patrioty” (termine troppo russo), né di “nazionalisti” (termine troppo occidentale), bensì di  “narodowie” (“popolari/nazional-popolari/populisti).

Certo, il rinascere di questo rigoglioso sentimento “narodowy” è in tutta l’ Europa Centrale e Orientale (Russia e Polonia, Ungheria e Turchia…), uno degli aspetti più innovativi, e quello che maggiormente turba l’”establishment”, non già per una  questione di “democrazia” (vale a dire perché minacci il sistema formale delle regole) -ché, anzi, i “narodowie” si richiamano, come i nostri populisti, alla volontà della maggioranza-, bensì per le implicite scelte antropologiche ch’esso sottende: pathos comunitario, autoaffermazione, mito, contro utilitarismo, omologazione e banalità quotidiana. Istintivamente, l’“establishment” europeo occidentale non può sopportare quei giovani esagitati che agitano bandiere cantando antiche canzoni: perciò, li delegittima per escluderli dalla scena pubblica e, così, per sfiancarli. L’”arroganza romano-germanica” denunziata da Trubeckoj, contro il romanticismo slavo.

E, in effetti, come scriveono Havlik e Pinkova nel loro “Populist Political Parties in East-Central Europe”, la maggior parte dei partiti dell’ Europa centro-orientale è, almeno parzialmente, populista. Buona parte di questi partiti si ispirano a movimenti  locali del secolo scorsosolo parziamente populisti, e, per il resto, nazionalisti, religiosi e sociali(“linke Leute von Rechts”), come quelli di Pilsudski, di Horthy, e, più tardi, i Soldati Maledetti, i Fratelli della Foresta, Pax, Solidarnosc, i Partiti Contadini e la stessa Solidarnosc, fino alle correnti nazionalistiche all’ interno dei fronti popolari e dei partiti comunisti.

L’”establishment” potrà peròincolpare solo se stesso se i giovani dell’ Europa Centro-Orientale si allontanano dall’ Unione Europea, e se quest’ultima non riesce più ad avere nessuno “slancio vitale”. La loro Unione Europea è astratta, esangue, nemica della vita: chiaramente, l’avvio e la prefigurazione di una società governata da macchine onnipotenti che si situano altrove e che non lasciano alcuno spazio all’umanità e all’ autenticità.

Come nel caso dell’esercito europeo, costituisce, a mio avviso, comunque  un passo in avanti il fatto che si sia rimesso all’ ordine del giorno il variegato pathos civile che sottostà alle varie identità europee, che hanno contribuito, tra l’altro, in modo decisivo (Polonia, Karabagh, Baltici, Jugoslavia, Russia, Romania, Ungheria, Germania Orientale)   al crollo del Muro di Berlino e alla riunificazione dell’ Europa. Tuttavia, occorre che il pensiero identitario, anch’esso anchilosato dall’ egemonia culturale progressista, riconquisti la sua ricchezza e pluralità: le infinite identità religiose, post-imperiali, quasi-continentali, nazionali, regionali, locali, cittadine, di cui, come volevano i “federalisti Integrali”, è composta la poliedrica identità dell’Europa. Non per nulla, nell’ ennesimo progetto di rilancio dell’integrazione, la “Repubblica Europea” di Menasse e Guérot, rivaluta le “piccole patrie” contrapponendole agli Stati membri quali essi esistono attualmente, e che, nella “Repubblica Europea” praticamente scomparirebbero.