Le Retoriche dell’Idea di Europa, già scosse dalla caduta del Muro di Berlino e attaccate frontalmente dai nuovi protagonisti eurasiatici, stanno letteralmente cadendo a pezzi sotto il peso delle politiche americane di Trump e da Musk, che hanno stracciato il velo di ipocrisia sugli obiettivi, la storia e i progetti dell’America (a partire dalle sue radici eretiche e schiavistiche, per proseguire con il suo spirito teocratico e imperiale, e per poi finire con il suo legame strettissimo con il postumanesimo), ma anche sulla storia dell’ Europa. Tutto ciò che ci è stato raccontato negli ultimi 80 anni su America e Europa si sta rivelando radicalmente falso. Falso che, prima con l’Illuminismo, e, poi, con la IIa Guerra Mondiale, la razionalità abbia vinto sull’irrazionalismo (basti leggere Horkheimer e Adorno, e, oggi, gli autori americani del Dark Enlightenment). Falso che la ragion d’essere dell’integrazione europea sia òla Pace Perpetua, e che questa sia stata teorizzata la prima volta da Kant. Falso (tanto per le motivazioni, quanto per i risultati) che le truppe alleate, a Est come a Ovest, siano venute per “liberare” l’Europa. Falso che le Comunità Europee e, poi, l’Unione Europea, abbiano garantito 80 anni di pace (visto che non hanno mai avuto competenze, né capacità militari – queste essendo attribuite alla NATO-). Falso che l’”Occidente” abbia mai avuto “valori comuni”, mentre Europa ed America si sono in realtà sempre contrapposte nella storia (per esempio, su monarchia e repubblica, sullo schiavismo, sul trattamento delle minoranze, sulla cultura). Falso che l’economia europea sia stata favorita dal Piano Marshall (che non è stato neppure attuato, né dagli Europei, né dagli Americani), e dalla sudditanza a quella americana (che è stata, ed è ancora, pesante anche e soprattutto in campo economico). Falso che l’economia americana sia (o sia stata mai) liberista, ché, anzi, è stata sempre dominata dallo straordinario potere di acquisto del Dipartimento della Difesa, dall’”advocacy” a favore delle proprie multinazionali dal potere esorbitante di queste ultime. Falso che l’Europa abbia “approfittato” della difesa americana, quando questa ha prosperato solo grazie al “contingentamento” (come scriveva Trockij) dell’economia europea; l’Europa ha concesso gratuitamente per ottant’anni l’uso di centinaia di basi e ha acquistato sistematicamente armamenti in America…Se è ora di fare i conti, il risultato sarà probabilmente l’opposto di ciò che tutti si aspettano. Falso che ciò che esiste oggi di organizzazione europea sia figlio prevalentemente del Manifesto di Ventotene, e non, invece, da un lato, delle tradizioni giuridiche dell’”Ancien Régime” (la “Pace Petpetua”), e, dall’altra, come sosteneva, suo malgrado, Spinelli, dell’ideologia “funzionalista” di Mitrany e Haas (che voleva fare dell’Europa una delle consuete “Organizzazioni Internazionali”, inserite nella “ragnatela” di organizzazioni funzionali all’ egemonia americana -cfr. Ikenberry). Se, poi, il Manifesto di Ventotene parlava di una “rivoluzione” e di una “dittatura”(come ha detto in Parlamento Giorgia Meloni) era perché prevedeva proprio l’”impasse” in cui l’ Europa si è cacciata ora con il Funzionalismo, e anticipava proprio il trend accentratore che oggi si sta realizzando con il ricorso all’ art.122 del Trattato di Lisbona e con la violazione, da parte del Consiglio, della regola costituzionale dell’ unanimità, per reagire all’ accentramento dei poteri dei nostri concorrenti. Non si trattava, poi, di una “dittatura comunista”, come vuole lasciare intendere Giorgia Meloni, bensì di una dittatura nazional-europeista, necessaria a creare una identità comune, come furono la Rivoluzione Americana e la dittatura di Garibaldi in Sicilia. Spinelli accomunava comunisti e democratici nell’ accusa di non essere capaci di costruire l’ Europa. Se allora si fosse dato retta a Spinelli e non ai funzionalisti, oggi forse avremmo la Politica Estera e di Difesa di cui tutti sentono la mancanza, ma che non si sa da dove cominciare. Per fortuna il trumpismo costringe ciascuno a mettere le carte in tavola sull’ Europa che vogliono, rivalutando così anche il decisionismo di Spinelli! Tentiamo ora di dimostrare, punto per punto, che il disorientamento generalizzato che traspare dalla cultura, dalla politica e dalla pubblicistica in Europa dopo l’elezione di Trump in America può essere superato solo sostituendo, alle falsità dette prima, una visione più obiettiva della realtà, che permetta finalmente agli Europei di compiere scelte ben informate.
a.Presupposti gnoseologici Intanto, si tratta di fare chiarezza sulle pretese di “verità” delle diverse fazioni che si contrappongono nell’ attuale guerra culturale. Dalle religioni maggioritarie, che continuano (senza convinzione) le loro schermaglie sulle loro rispettive “verità assolute”, all’ “Establishment”, che bolla come “disinformazione”, e censura e condanna, ogni punto di vista differente dalla “Grande Narrazione” occidentale, ai pretesi fautori del pluralismo delle idee, che per altro negano buona parte dei filoni culturali dell’ Occidente, e praticamente tutti quelli dell’ Oriente. Dopo Confucio, Buddha, Pirrone, Tertulliano, Averroè, Cartesio, Pascal, Berkeley, Hume, Kant, Schopenhauer, Nietzsche, Wittgenstein, Heisenberg, De Finetti, Heidegger, Feyerabend, Vattimo, chi può ancora parlare di una “verità obiettiva”? Tutti ci dobbiamo accontentare, per dirla con Kant, di “verità trascendentali” o ancor meglio, per dirla con Leopardi, di “Illusioni”. E, in ciò, le culture del resto del mondo sono state, da sempre, più “avanzate” di quella europea, perché le loro stesse lingue, e, in particolare, quelle siniche, sono caratterizzate da uno “Esprit de finesse” ben superiore a quello delle nostre. Esse non hanno mai dubitato del fatto che ciò che l’uomo vede (e/o intravvede) sia un’illusione, il “Velo di Maya”.
b.Relativismo etico Dalla generale distruzione delle diverse fedi nell’ “obiettività” deriva anche la relatività degl’imperativi etici. Basta una lettura attenta delle opere letterarie, filosofiche, e perfino religiose, di luoghi e tempi diversi, per comprendere questa relatività. A partire dalla ben nota scena dell’Esodo, in cui Mosè, alla vista del Vitello d’Oro, spezza le tavole della legge scritte da Dio e ne scrive delle altre, di sua creazione; poi, incita i Leviti a prendere la spada, per sterminare, in spregio al “non uccidere” appena proclamato, i 3000 Ebrei che avevano adorato il vitello. Oppure gli infiniti brani in cui Dio esige lo sterminio dei popoli nemici, o ancora l’intero “corpus” omerico, tutto fondato su una guerra pretestuosa e genocida, e, poi, sulla sanguinosa vendetta di Ulisse. Per non parlare del Jihad e delle Crociate, del Satee, della schiavitù, praticata ed esaltata dalle società cristiane, della “doppia morale” delle società democratiche, dell’Enola Gay, finalmente demonizzato nelle scuole americane, ma solo perché contiene la parola “Gay”…A è vuota retorica anche “la coscienza morale dentro di me e il cielo stellato sopra di me”. Se c’è qualcosa che fonda la morale non è, né un precetto divino, anch’esso quanto mai ondivago nel tempo, né la storia, che è sempre muta, né l’utilità (di chi?), bensì la “pietas”, il senso istintivo e irrazionale di legame fra gli uomini.
c.Storicità dei sistemi politici Così come la morale, anche i sistemi politici variano nel tempo e nello spazio, senza che si possa stabilire una vera superiorità (basti leggere la Politica di Aristotele), sicché occorre guardare a ciò che più è adatto a un determinato popolo in un determinato tempo, senza tabù, preconcetti né etnocentrismi. Il sistema politico perfetto (la Polis, la Repubblica, la Monarchia, la Democrazia, la Liberal-democrazia, il Liberalismo, il Liberismo, il Socialismo, la Socialdemocrazia, il Fascismo, il Socialismo Nazionale, il Corporativismo?) non esiste. Questi sistemi si succedono, si sovrappongono e si confondono l’uno con l’altro.
d.Difesa dell’umano Pure di fronte a questa incessante mutevolezza del pensiero, dell’ etica e della politica, vi è qualcosa che resta comune all’ Umanità, o, almeno, all’Umanità che possiamo conoscere (gli ultimi 7.000 anni), a partire dai graffiti, dalle leggende, dalle scritture, dai riti e dai miti, fino alle filosofie, alle leggi, alle arti… Quest’ uomo conoscibile, che corrisponde a quel breve periodo che ha come culmine l’”Epoca Assiale”, è ciò che accomuna anche oggi tutti i popoli, e permette loro di interagire, soprattutto in quell’ area condivisa che il teologo Hans Kueng ha chiamato “valori sottili”, comuni a tutti: “Homo sum, nihil humani mihi alienum puto”. Ed è proprio questo Uomo dell’Epoca Assiale ch’è messo in discussione, in modo sempre più penetrante, dalla deriva tecnologica che porta al dominio delle Macchine Intelligenti e alla Singularity Tecnologica, che ora si è materializzata nei GAFAM, e, in primo luogo, nel potere esorbitante di Elon Musk.
e.L’ Alleanza fra le Grandi Civiltà La difesa dell’Uomo dell’Epoca Assiale contro il dilagare del Postumanesimo potrebbe costituire un punto d’incontro fra popoli anche molto diversi. L’esempio più eclatante è costituito dalla famosa legislazione europea sul digitale (GDPR, Digital Service Act, AI Act), giustamente vantati come un’opera di avanguardia nella regolamentazione della tecnologia, e copiata (e anzi migliorata), senza clamore, dalla legislazione cinese, e finalmente attuata in Cina. Questo esempio dimostra come siano possibili convergenze su questo tema su scala planetaria. Prima di morire, Henry Kissinger aveva scritto un libro, in cui proponeva di adottare una regolamentazione internazionale sull’ intelligenza artificiale parallela a quella sull’ energia atomica. A nostro avviso, si dovrebbe andare ancor oltre, creando occasioni di studio e di formazione comuni sui valori e le tecniche che servono per rendere le nuove tecnologie compatibili con l’Umano, inteso come sopra.
f.Leggere Ventotene Nella pubblicistica e nella polemica politica delle ultime settimane, che hanno riportato nell’ attualità i discorsi di 90 anni fa sull’ Europa, è stato anche sollevato il ruolo che, nella costruzione europea, ha avuto il Manifesto di Ventotene, che, come ha giustamente sottolineato Giorgia Meloni, contiene anche idee in netto contrasto con la vulgata dell’ Establishment. Ma anche il direttore della Stampa, Andrea Malaguti, aveva già scritto pochi giorni prima: “Perché il Manifesto di Ventotene non basta più”: “Oggi, dopo essersi detti un po’ enfaticamente, quanto fosse bello il Manifesto di Ventotene, ne occorre uno nuovo, incardinato su ideali condivisi.” A mio avviso, è necessario fare luce anche su questo punto, e, più in generale, sulle fonti a cui attinge il movimento d’integrazione europea, che sono molteplici perché gli Europei, come gli altri uomini, sono imperfetti, e quindi non è possibile che alcuno riesca ad interpretare, e fissare, al di là della geografia e della storia, tutti gli aspetti della vita culturale e politica di un Paese. Perfino i più monolitici Stati-civiltà, e perfino il loro massimo esempio, la Cina, si fondano su fonti disparate, dai Classici Confuciani, al Buddhismo Hinayana, agli Annali imperiali, al “Socialismo con caratteristiche cinesi”. Come tentava di dimostrare il nostro “10.000 anni d’Identità Europea”, anche l’ Europa non comincia certo, come vorrebbe il Mainstream, con la IIa Guerra Mondiale, con il Manifesto di Ventotene o con i Trattati di Roma, bensì con l’ingresso nel Continente delle sue meta-etnie, ancor oggi riscontrabili nella genetica europea, quelle dei Cacciatori-Raccoglitori, degli Agricoltori Medio-Orientali, dei Popoli delle Steppe e degli Agricoltori Nord-Africani. Erano già “Europei” i guerrieri descritti da Ippocrate e da Erodoto, i Romani “alti e schietti” degli Annali degli Han Anteriori, i sovrani dei Trattati della Pace Perpetua (Filippo l’Arabo, Giustiniano),la Paneuropa di Coudenhove-Kalergi. Abbiamo avuto la teorizzazione dell’ identità degli “Europaioi” da parte di Ippocrate, di Strabone, di Dione Cassio e perfino da parte degli Annali degli Han Anteriori; il De Monarchia e il De Vulgari Eloquentia di Dante; i Progetti di Crociata e di Pace Perpetua; la Nazione Cristiana della Santa Alleanza e di Novalis; la Paneuropa di Coudenhove Kalergi, con le sue riflessioni sul federalismo mondiale, sulle élites, su una religione civile comune..; le tesi storico-politiche del Manifesto di Ventotene; la Costituzione Federale Italiana ed Europea di Duccio Galimberti, vera espressione della Resistenza; la progressiva edificazione di un Diritto Europeo…Ciascuno di questi costituisce un elemento dell’ Identità Europea, che, rimontati tutti insieme in funzione delle sfide storiche che andiamo affrontando di volta in volta, costituiscono l’”Identità Europea”, la base culturale per la costruzione dell’ Europa Unita. Considero il Manifesto di Ventotene perfettamente attuale , anche e soprattutto per i caratteri “nietzscheani” (quelli respinti da Meloni) dello “Spinelli notturno”, che giudicava inadatti a fare l’ Europa, non solo i comunisti, ma anche i democratici, a cui contrapponeva i federalisti europei, e inoltre propugnava (come del resto Galimberti, Olivetti e Giustizia e Libertà), il divieto dei partiti e la nazionalizzazione delle industrie strategiche. Di converso, la recente ossessione dell’ “Establishment” per il Manifesto di Ventotene e la beatificazione dei suoi autori costituisce una forma blasfema d’idolatria come la rappresentazione dell’Apoteosi di Washington nel Capitol, e la mummia di Lenin sulla Piazza Rossa, oltre che un insulto a coloro (da Ippocrate a Strabone, da Podiebrad a Sully, da Saint-Pierre ad Alessandro I, da Coudenhove-Kalergi a Galimberti, da Jean Monnet a Gorbaciov), che hanno contribuito in modo altrettanto sostanziale all’ edificazione e rinnovamento dell’ Identità Europea. Infine, la costruzione europea postbellica prescindeva dai partiti di sinistra, che avevano espulso Spinelli (revisionista di destra), perché erano filosovietiche e staliniste. Quando negli anni 50 si votarono le leggi di ratifica dei tre trattati istitutivi, il PCI votò sempre contro, mentre il PSI si astenne. Erano le leggi “pro Europa” volute da quel gigante di De Gasperi e per le quali votò a favore anche l’ MSI… Quindi, gli attuali eredi di quei partiti storici della sinistra, che oggi si riempiono la bocca di europeismo, possono farlo anche grazie al voto favorevole dei missini.
g.Oltre gli Stati Uniti d’Europa A mio avviso, se il progetto d’ integrazione europea postbellica ha un limite, è quello di aver voluto imitare pedissequamente gli Stati Uniti d’America, una realtà oramai invecchiata, creata in un mondo completamente diverso, con pochi insediamenti di lingua inglese sulla costa Est del Nord-America, retti per lo più in modo feudale e, oligarchico e spesso teocratico, con pochissimi abitanti, la maggior parte dei quali schiavi: il tutto facente parte dell’ Impero Britannico. Nulla a che fare con i 500 milioni di Europei del XXI secolo, con 50 lingue diverse e storie e geografie diversissime, dalle steppe ai ghiacci eterni, dalle coste con storie millenarie al mondo alpino, dalle metropoli tentacolari alle isole incontaminate… Sotto questo punto di vista, avevano ragione Mitrany e Haas a contestare l’imitazione degli Stati Uniti da parte di Spinelli. I due, peròtemevano, in realtà, che gli Stati Uniti d’Europa potessero competere (la cosiddetta “rivalità mimetica”) con gli Stati Uniti, da essi prediletti e prescelti, così come teme oggi Giorgia Meloni, ai quali è legata anch’essa a filo doppio con gli USA. Io temo invece che, quand’anche gli Stati Uniti d’ Europa si facessero, non potrebbero riuscire a fare un’adeguata concorrenza agli USA, perché la loro ambizione è quella di imitarli, non già di superarli. Per fare questo, ci vorrebbe un’idealità superiore, che, ad oggi, non c’è nell’ “establishment” europeo. Questa volontà di omologare l’Europa all’ America si spiega benissimo con l’origine del Movimento Europeo postbellico, che partì da un’iniziativa americana (Fulbright, Dulles, Sullivan, Acheson, Allen and Overy), mirante, come scriveva Brzezinski, a costituire un avamposto dell’ America in Eurasia. Il Movimento Federalista Europeo entrò solo in modo trasversale in un Movimento Europeo creato da una lobby americana (l’”American Committee for a United Europe”).Come ha dimostrato per ultimo il brusco avvicendamento fra Biden e Trump, l’eterodirezione dell’ Europa da parte dell’ America è foriera, al di là delle scelte ideologiche di ciascuno, di risultati catastrofici per l’ Europa, sì che s’impone con urgenza un approfondimento sulle nostre caratteristiche peculiari e sui nostri diversi obiettivi. In primis, quello di neutralizzare l’influenza anti-umana di Musk e dei GAFAM, che ha trovato in America una base operativa efficace e temibile, e di cui invece qui non parla nessuno (perché infiniti sono i legami sia con gl’interessi di Musk, sia con l’ideologia transumanista). Sono invece, secondo me, secondarie e discutibili le critiche di tipo settario, come quella secondo cui l’UE sarebbe troppo militarista, neo-liberista, woke o laicista. Uno Stato-civiltà che, come la Cina o l’India, deve superare i millenni sarà per forza, di volta in volta, militarista e pacifista, neo-liberista o statalista, woke o suprematista, laicista o ortodosso, perché vive non nell’ utopia, bensì nella Storia, e a questa reagisce. In questo senso si giustifica una lettura critica del Manifesto di Ventotene, che non può certo essere invocato quale fondamento unico dell’ integrazione europea, in primis, perché esso stesso non ha mai preteso di esserlo, essendo limitato a un discorso storico-politico situato storicamente, e non comprendendo nessun aspetto religioso, filosofico, artistico, giuridico o economico, sì ch’esso ha un senso solo se affiancato con le alte fonti da noi citate, ciascuna per la parte di sua competenza, il tutto attualizzato al 2025. Mentre ci rallegriamo del fatto che finalmente, nel Parlamento italiano, si sia discusso almeno una volta animatamente sul Manifesto di Ventotene, lamentiamo che esso continui impropriamente ad essere citato come fonte unica. Anche perché, come detto in precedenza, esso non è stato minimamente utilizzato dai padri fondatori delle Comunità Europee(i famosi Monnet, De Gasperi e Adenauer ), che si attennero invece di fatto alle indicazioni dei “Funzionalisti” Mitrany e Haas. Peccato che il Funzionalismo sconfinava già allora nel postumanesimo, sostenendo che le “funzioni” umane possono essere trasferite alle macchine. La “Dichiarazione Schuman”, scritta a due mani da Monnet e dall’ Americano Acheson, non fu altro che la formulazione ufficiale delle idee dei Funzionalisti, e i Trattati di Parigi, Roma, Bruxelles, Maastricht, Amsterdam, Nizza, Lisbona, le Comunità Europee e l’Unione Europea, la messa in pratica di quelle idee. Nessuna sorpresa quindi per gli esiti disumani e per la convergenza di fatto con Musk. Giorgia Meloni ha ragione, dal suo punto di vista “nazional-democratico”, a riallacciare il proprio nazionalismo e le proprie idee di “alleanza europea“ e di “Patriottismo transatlantico” alla scuola funzionalistica del “Maistream” europeo. Ma è proprio quella scuola che occorre, a mio avviso, superare per fare fronte efficacemente alla transizione fra Post-Modernità e Post-Umanesimo, rovesciando quest’ultimo con uno scatto volontaristico come quello ipotizzato dal primo Spinelli con la sua “Rivoluzione Europea”. Invece di difendere o condannare Ventotene, occorrerebbe studiarla per attuarla, attualizzandola.
h.Oltre la Nazione Italiana Quanto all’ ossessione del nostro Primo Ministro per “la Nazione Italiana”, ricordiamo che già ai tempi di D’Annunzio e di Mussolini essa era considerata superata, tant’è vero che si erano create organizzazioni fiancheggiatrici (come la Lega dei Popoli Oppressi e i Comitati per l’Universalità di Roma di Coselschi), che propugnavano l’unificazione europea, organizzando ottimi congressi su questo tema, come quelli di Montreux, di Roma e di Parigi, con la partecipazione di fior di intellettuali di tutta Europa, che avevano certamente anticipato quelli di fondazione del Movimento Europeo (non a caso, a Montreux). Perfino gli “Anticonformistes des Années Trente” e i “collaborateurs intellectuels” dei Paesi dell’Asse avevano elaborato, durante la IIa Guerra Mondiale, una loro visione dell’ Europa, non coincidente con quella dei loro governi, ed espressa in altri convegni, a Lipsia e a Vienna. L’attuale ossessione per i piccoli nazionalismi europei (“Kleinstaaterei” di Kaja Kallas) piace invece a Washington perché è comodo giocare sulle rivalità fra le piccole nazioni europee per impedire agli Europei (dell’ Est o dell’ Ovest) di contare nel mondo. Che poi l’Europa di Bruxelles, per distinguersi dall’ America, stia divenendo “più realista del re”, riprendendo le guerre per procura dei democratici americani, è un altro paio di maniche. Ambedue queste tendenze sono anti-europee e colpevoli di servilismo. Al massimo, andrebbero strumentalizzate, come un’astuzia per riuscire ad ottenere quell’ “autonomia strategica” di cui, fino a poco tempo fa, non si poteva nemmeno parlare. Noi sosteniamo una linea politica non allineata, né sulla “guerra alle autocrazie” cara ai democratici americani e filo-americani, né sulla proliferazione di sempre nuove micronazioni, come pretenderebbe Kaja Kallas. L’idea di una Nazione Italiana è un’idea progressista, sulla scia di Herder, subordinata alla missione mondiale dell’America. Essa risale ai tempi dell’occupazione napoleonica dell’Italia, quando la Francia inventava, nei Paesi conquistati, delle “Repubbliche Sorelle”, destinate a forgiare delle nazioni borghesi sul modello americano, che combattessero a fianco della Francia contro le monarchie europee. La bandiera bianco-rosso-verde, che era quella che si credeva erroneamente fosse la bandiera della Rivoluzione Francese, era quella delle truppe ausiliarie italiane, e fu inaugurata a Parma durante l’occupazione dei Ducati da parte delle truppe napoleoniche di Dąbrowski, che lì cantarono per la prima volta l’inno polacco, la Mazurk Dąbrowzkiego: “Marsz, marsz, Dąbrowski do Polski ze ziemi włoski” (“Marcia, Marcia, Dąbrowski, dalle terre d’Italia alla Polonia”). Più tardi, Mazzini scriverà a Lincoln offrendogli semplicemente la leadership dell’Europa purché gli USA si mettessero a capo della lotta dei repubblicani contro le monarchie europee .In effetti , in tutti questi eventi, l’idea era già semplicemente di replicare pedissequamente in ogni nazione, la Nation Building americana, e, poi, francese.
i.La bandiera europea, simbolo di tradizione Oggi, alla luce della transizione postumanistica in corso, vi è in tutti i Paesi un movimento di insofferenza contro le conseguenze delle Rivoluzioni Atlantiche (Janata Party, Islam politico, Socialismo con Caratteristiche Cinesi, Neo-Ottomanesimo, Eurasiatismo, Dark Enlightenment). Logico che anche in Europa si manifesti un siffatto movimento, che, a dire il vero, qui non è ancora veramente cominciato, ma che sicuramente verrà propiziato anche qui dallo Zeitgeist mondiale, come dimostra la vicenda della bandiera con le 12 stelle. Quest’ultima, che oramai domina le piazze, è molto più tradizionalista dei vari tricolori delle “nazioni” europee. Essa è nata infatti come un simbolo mariano. A dichiararlo è stato Arsène Heitz, il grafico che partecipò e vinse il bando del Consiglio d’Europa nel 1950. Egli è rimasto poco noto, ma il suo disegno parla di Maria, ispirato dal passo dell’Apocalisse in cui si parla delle dodici stelle: «Nel cielo apparve poi un segno grandioso: una Donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle». Per disegnare il bozzetto, il giovane designer si ispirò alla medaglietta miracolosa che portava al collo, che riproduce le stelle in circolo, e scelse lo sfondo azzurro mariano. Il bozzetto vinse il concorso presieduto dal responsabile dell’ufficio stampa del Consiglio, Paul M. G. Lévy. Gli Stati europei all’epoca erano solo sei, ma Arsène Heitz, senza rivelare la fonte che lo ispirò, spiegò che il dodici è «un simbolo di pienezza». Rappresentano le dodici tribù di Israele, ma 12 sono anche gli apostoli, insomma nella Bibbia il numero che rappresenta la diversità nell’unità, la differenza tra quanti si riconoscono nell’unico Signore e creatore. È per questo che Arsène Heitz chiese esplicitamente nel progetto che la bandiera non la si dovesse ritoccare se i membri avessero superato quel numero.Ultima “coincidenza” significativa: i Capi di Stato la approvarono in un giorno “particolare”: l’8 dicembre 1955, il giorno dell’Immacolata Concezione. Il culto della Grande Madre risale al Neolitico e forse addirittura al Paleolitico, se si leggono in questo senso le numerose figure femminili steatopigie (cosiddette veneri paleolitiche) ritrovate in tutta Europa. Figure accostabili alla Grande Madre sono rinvenibili ad esempio in: Ninhursag, nell’area mesopotamica;Iside in Egitto; Durga e Avalokitesvara in India; Guanyin in Cina; Ashtoreth, in Fenicia;Cibele, nell’area anatolica;Asherà e Ester in Israele; Gea e Rea nell’area greca;Mater Matuta nell’area etrusca; Bona Dea o Magna Mater nell’area romana; Freya in Germania. Anche le 12 stelle hanno un’origine antichissima, perché ricordano i 12 grandi dei del pantheon mediterraneo, che nel Mondo Greco-Romano sono gli abitatori dell’ Olimpo, e oggi sono venerati dalla religione “dodecateica”, riconosciuta recentemente dalla Repubblica Greca.
La Savoia era già un’Europa in miniatura. Il suo territorio era stato attribuito dai Romani ai Burgundi, popolo germanico originario dell’ isola baltica di Bornholm (Burgundaholmr), come “premio” per aver combattuto a fianco dei Romani e contro gli Unni sui Campi Catalaunici. I Burgundi (Worms, Gunther, Hagen, Crimilde) sono perciò al centro del Canto dei Nibelunghi e del Waltharius, ma i Romani avevano loro destinato la Sapaudia (Savoia), così chiamata per i suoi abeti (“sapins”).
La Savoia era dunque una contea del regno dei Burgundi, poi “di Arles”. I suoi signori, originariamente franchi, si espansero dai due lati delle Alpi, divenendo vicari imperialoi tanto in Italia quanto in Provenza, eunendo popoli di Langue d’Oil, Langue d’Oc, Franco-Provenzali, Schwytzerduetch, Walser, Piemontesi,Valdesi, Italiani.
Attraverso la Savoia arrivò in Italia il Gotico Internazionale. Emanuele Filiberto e Eugenio di Savoia erano stati i grandi condottieri del Sacro Romano Impero, mentre il Piemonte era stato poi annesso integralmente da Napoleone alla Francia. Lo Statuto Albertino era stato scritto in Francese, e Torino era la città preferita del filosofo tedesco Nietzsche.
Non stupisce dunque che anche in epoca recente gli abitanti dell’antico Ducato avessero mantenuto una tempra al contempo altrettanto internazionale ed altrettanto combattiva (Gramegna). Abbiamo avuto infatti, in Piemonte e in Valle d’Aosta, due dei più dignificativi comandanti partigiani, e, al contempo, teorici dell’ Europa: Duccio Galimberti e Federico Chabod, di cui, deplorevolmente e misteriosamente, nessuno si ricorda.
Emanuele Filiberto, vincitore a San Quintino
2.Duccio Galimberti
Galimberti, avvocato e poi comandante del CLM piemontese per Giustizia e Libertà, ucciso misteriosamente durante una finta liberazione, fu l’unico giurista nel corso della storia ad avere scritto una costituzione coordinata italiana ed europea. Un uovo di colombo: come evitare i continui conflitti di competenze che paralizzano la vita dell’ Unione Europea (Germania, Lituania, Polonia, Ungheria)? Basta scriverle contemporaneamente, come due “gradini” di una stessa costruzione istituzionale.
Oltre a questa geniale idea, la costituzione di Galimberti precede di trent’anni le pur timide prime bozze del Parlamento Europeo, che per altro non furono mai nemmeno discusse.
Infine, si tratta di una costituzione mista, con elementi di democrazia rappresentativa, di socialismo e di corporativismo, che bene incarnava lo spirito dei tempi (per esempio la legislazione tedesca sulla partecipazione, l’Organische Gedanke olandese o il pensiero politico di Simone Weil). Oltre tutto, Galimberti scrisse la sua Costituzione a cavallo dell’8 Settembre, lanciò il suo progetto partigiano direttamente dal balcone del suo studio legale al centro di Cuneo, dopo di che, fatta incetta di armi, si diresse decisamente verso le Alpi per iniziare la lotta armata.
La Sacra di San Michele,simbolo del Piemonte
3.Federico Chabod
Quanto a Chabod, storico valdostano e alpinista, titolare di cattedra a Milano, stava insegnando in questi anni sul tema Europa e Nazione (Storia dell’Idea di Europa, L’idea di nazione). Sopravvenuto l’8 settembre, si dedicò alla lotta partigiana e fu fra i principali coautori della Dichiarazione di Chivasso, un documento in cui le popolazioni alpine delle Alpi Occidentali rivendicarono, per il periodo postbellico, un’ampia autonomia. Infine, fu incaricato di redigere lo statuto della Regione Autonoma Valle d’ Aosta (secondo la falsariga delle idee della Dichiarazione di Chivasso), che fu adottato prima ancora della Costituzione italiana, e fu perciò di modello per le altre Regioni Autonome, nonché per le Comunidades Autònomas spagnole.
In un momento in cui, dopo decine di Trattati, una Convenzione e una Conferenza, l’Europa stenta più che mai a darsi una Costituzione, non sarebbe proprio superfluo se i giuristi, i politici e i movimenti sociali riprendessero umilmente in mano le opere di chi aveva tempestivamente posto il tema della costituzionalizzazione dell’Europa.
Il penitenziario di Ventotene
3.Il Manifesto di Ventotene
Tutto ciò non esclude certo l’importanza del contributo al movimento per l’integrazione europea da parte del Manifesto di Ventotene, altro illustre sconosciuto, anzi, tradito, dalla politica “mainstream”. Il Manifesto si pone, rispetto alla costituzione europea, alla Dichiarazione di Chivasso e alle opere di Chabod, su un piano diverso: quello della riflessione politica (o geopolitica), mentre gli altri si pongono su quelli della costruzione istituzionale, della storia culturale e della “multi-level governance”. Tuttavia, la mancata integrazione di tutti questi livelli in un unico corpus progettuale è stata una delle debolezze del federalismo “politico” à la Spinelli nella sua competizione con il metodo funzionalistico prescelto dai Governi, e, soprattutto, dagli Stati Uniti.
In un momento in cui la chiusura in sordina della Conferenza sul Futuro dell’Europa e l’entusiasmo costruttivistico di Macron richiedono nuove idee, ci sembra necessario aprire un dibattito a tutto tondo e a tutti i livelli con tutte le tradizioni della storia dell’integrazione europea, per elaborare un percorso veramente innovativo ed efficace contro tutti gli ostacoli che ci circondano.
Vi aspettiamo numerosi per avviare questo dibattito
Seguito dell’intervento di Riccardo Lala alla riunione della Piattaforma della Conferenza sull’ Europa del 21 Ottobre presso il “Parlamentino” del CNEL (Comitato Economico e Sociale).
Tomba dei Re macedoni a Vergina
La recente disputa circa la sentenza della Corte Costituzionale polacca del 7 Ottobre sul conflitto di norme fra Trattati di Lisbona e Costituzione Polacca ha riportato alla ribalta la questione, che sembrava essere stata risolta da tempo in modo pacifico, circa lo stato di evoluzione del diritto in Europa, sul quale abbiamo opinioni che si distinguono da quelle “mainstream”, e che riteniamo perciò necessario esternare, perché questa controversia è un sintomo eloquente dell’inagibilità degli attuali meccanismi e dell’improrogabilità del cambiamento.
La radice dell’ attuale “empasse” è che, in contrasto con le tesi originarie di Spinelli, l’integrazione europea fu portata avanti dagli Stati Membri, con il metodo “funzionalistico” ideato da Mitrany, attuato da Monnet e teorizzato nella Dichiarazione Schuman, anziché con un metodo “politico” e “partecipato”come avrebbe voluto Spinelli. Sergio Fabbrini ha scritto su “Il Sole 24 Ore” di domenica 24 Ottobre che tale metodo (che, a nostro avviso, vede l’integrazione europea come una semplice sottospecie della globalizzazione tecnocratica), ha ora raggiunto i propri limiti concettuali. Pertanto, indipendentemente dalle valutazioni politiche per cui esso era stato prescelto, deve oggi comunque venire abbandonato.
In particolare, il sistema internazionale costruito intorno ai Trattati di Lisbona, consolidatosi nel 2007, dopo il fallimento della cosiddetta “Costituzione Europea”, essendo esso solo un palliativo di compromesso per ovviare a quel fallimento, non costituiva neppure allora una risposta convincente ai problemi che già allora si profilavano all’orizzonte (dittatura digitale mondiale, carente integrazione dell’Europa Orientale, crescita della Cina), che, dal punto di vista dei Federalisti Europei, avrebbero richiesto fin da allora, , il riavvio immediato dei lavori per la redazione e approvazione di una “vera” costituzione europea (ovviamente su basi completamente diverse da quelle “funzionalistiche” su cui aveva operato la Convenzione). D’altronde, quel coacervo di centinaia di articoli e protocolli non era altro che una riverniciatura della “Costituzione” bocciata dagli elettori, che altro non era, a sua volta, se non un testo consolidato dei precedenti trattati. Ma una costituzione deve avere una struttura e natura da costituzione; non può essere un freddo documento burocratico.
La sconfitta di allora era stata così cocente, che fino ad ora nessuno ha osato riproporre l’idea di una Costituzione.
In particolare, come ha sintetizzato brillantemente Fabbrini, “la logica integrativa” non ha rispettato il ‘principio di sussidiarietà’. “In assenza di guidelines costituzionali, l’ Ue ha accentrato ciò che non era necessario accentrare (le low policies), mentre non ha accentrato ciò che sarebbe stato necessario accentrare (le high policies).”Secondo noi, la ragione per cui non ci sono state le “guidelines costituzionali”, cioè una linea politica coerente, e quindi non si sono accentrate le “high policies” è che queste (politica culturale, ideologia, nuove tecnologie, difesa) sono sì accentrate, ma negli Stati Uniti e nella NATO, che non le lasciano esercitare, né dagli Stati membri, né dall’Unione (come dimostrato dal fatto che anche Fabbrini si vede costretto a scrivere in un gergo anglo-americano). Fabbrini scrive poi molto opportunamente che“non avere un’idea comune sul ruolo dell’ Europa nel mondo è un enorme problema sia a livello collettivo, sia a livello nazionale dove le contrapposizioni interne sono definite anche da interessi e influenze di altre potenze che sviliscono le democrazie europee.” Peccato che questo riconoscimento venga solo ora che Russia, Cina, Russia, Turchia e Paesi Arabi fanno di tanto in tanto qualche timido tentativo per fare conoscere agli Europei i loro punti di vista, quando sono più di 200 anni che gli Stati Uniti stanno forgiando l’Europa attuale con tutti i mezzi disponibili, riuscendo a muovere l’uno contro l’altro Paesi, ideologie, gruppi sociali.
Se si vuole dare una vera ”Costituzione” all’ Europa, occorre che quest’ultima venga concepita, non importa se come federazione, confederazione o alleanza, come totalmente indipendente dagli Stati Uniti. Semmai, le influenze di altri Paesi possono essere strumentali al conseguimento, da parte dell’Europa, di questa indipendenza (vedi il nostro libro DA QIN), ed è perciò normale che gli USA le aborrano mortalmente.
Dopo 14 anni, questi problemi non risolti dai Trattati di Lisbona si sono aggravati in modo impressionante (come testimoniato, tra l’altro, dal programma Prism, dal conflitto nel Donbass, dalla Nuova Via della Seta, dalle controversie sullo Stato di Diritto, dalla richiesta che la UE sostenga la costruzione di un nuovo Muro di Berlino), fino al punto che, oggi, non è più possibile alcuna riunione del Consiglio o del Parlamento senza che emergano conflitti insanabili su tutti gli aspetti della vita in Europa (rapporti con la NATO, la Cina e la Russia, fra diritto europeo e diritti nazionali, bilancio europeo, migrazioni…). Ultimo fra i quali, lo scontro al Parlamento europeo fra Ursula von der Leyen e il premier polacco Morawiecki e il muro fra Europa Centrale ed Europa Orientale.
Spinelli prevedeva che, se non si fosse dato un taglio netto agli Stati europei, questi avrebbero preteso in eterno di dominare l’integrazione, rallentandola all’inverosimile. E, di fatto,mentre i grandi Stati-Civiltà, gli Stati Uniti e la Cina, stanno risolvendo (a modo loro) i grandi problemi del XXI Secolo, noi siamo ancora impantanati (come prevedeva Spinelli) nelle discussioni, avviate 70 anni fa e mai concluse, sul tipo di Europa in cui vogliamo vivere. In particolare, mentre gli USA e la Cina, sulla base di ben precisi, recentissimi, atti normativi, USA E Cina si stanno organizzando per essere leaders mondiali (tecnologici ma anche culturali) nella corsa verso le nuove tecnologie, l’ Europa sta dedicando, alle stesse, un’attenzione minima e, soprattutto, non dà esecuzione alle normative che pure essa ha approvato, fondamentalmente per compiacere i giganti del Web.
Per Carlo Bastasin (La Repubblica, AF, 25 ottobre) , “per l’ Europa, che vorrebbe influenzare i rapporti globali attraverso la definizione di regole comuni rispettose della democrazia e dei diritti umani, l’assenza di dialogo significa la propria irrilevanza.”
Palazzo di Diocleziano (oggi città di Spalato)
1.L’ipocrisia del funzionalismo
A nostro avviso, il funzionalismo maschera il proprio carattere tecnocratico sotto una retorica umanitaria fondata sul mito del progresso, sulla pretesa conciliabilità fra libertà, eguaglianza e solidarietà, e soprattutto sul culto mistico di uno “Stato di Diritto” che non corrisponde affatto alla realtà dell’Occidente.Pochi sanno che esiste un “funzionalismo” anche in campo filosofico e sociologico: esso sconfina nel post-umanesimo.
Certo, vorremmo vivere in un autentico Stato di diritto, ma -non raccontiamoci frottole- questo in cui viviamo non lo è, perché, come tutti possono constatare, le forze decisive nel determinare la nostra vita non sono giuridiche; non sono i trattati internazionali, le costituzioni, le leggi, le Istituzioni, bensì le lobby, i servizi segreti, i grandi capitali, le multinazionali dell’ informatica, le grandi potenze, addirittura le mafie, che s’incuneano negl’infiniti conflitti di competenze fra Enti locali e Stato, magistratura e politica, Unione e Stati Membri, UE e NATO, provocando situazioni come l’alienazione degli Europei Orientali, le guerre Jugoslave, Echelon, l’Afghanistan, Prism, l’”AUKUS”….
Le violazioni dello Stato di Diritto da parte degli Stati dell’Europa Centrale e Orientale (siano essi, o meno, membri della UE), ingigantite a dismisura dalla stampa occidentalistica, non sono infatti nulla rispetto a quelle che noi sperimentiamo ogni giorno sulla nostra pelle in Occidente, e che gravano pesantemente, tra l’altro, sul funzionamento della UE. Per questo, nonostante la nostra decisa posizione a favore della preminenza del diritto europeo (dell’identità europea e delle politiche europee) su quelli “nazionali”, vogliamo preliminarmente spezzare una lancia a favore dei cittadini e dei dirigenti dell’Europa Centrale e Orientale, a cui siamo riconoscenti per Berlino, Budapest, Poznan, Praga, Danzica, Solidarnosc, Giovanni Paolo II, Gorbacëv e la Perestrojka, e che volevano sicuramente un’Europa diversa da quella che hanno trovato (la “Casa Comune Europea”, a cui abbiamo cercato anche noi di contribuire quale consulenti dell’ industria europea nelle collaborazioni est-ovest durante la Perestrojka).
Anch’essi sono però parte del problema, con le guerre locali con le Repubbliche scissioniste, con la repressione delle minoranze russofone, con i muri alle frontiere, con la loro ostilità ad un’ Europa Federale. Ma sono problemi identitari e geopolitici, non di Stato di Diritto.
Il palazzo imperiale bizantino (oggi il centro di Istambul)
2.La “rettifica dei nomi”
Alla luce di quanto precede, è più che mai necessaria una riforma globale del sistema europeo, che, sola, potrà risolvere questo intrico di problemi, permettendo non solo un efficace funzionamento dell’attuale Unione, ma anche la prosecuzione dell’allargamento, necessaria a nostro avviso per dare, alla Casa Comune Europea, il peso mondiale che le spetta quale “Stao-Civiltà”.
Questa riforma ha il suo compito più immediato nella riattribuzione delle competenze (non solo fra Unione e Stati membri o fra Parlamento e Consiglio), ma anche e soprattutto fra America ed Europa, fra NATO e Unione, fra Stati Membri ed Euroregioni, fra Stato, partiti, imprese e cittadini. Solo così si risolveranno i conflitti che oggi paiono insolubili. Infatti, come scrive Bastasin, non solo l’unione Europea, ma “più in generale le istituzioni internazionali si stanno disintegrando”.
La Conferenza sul Futuro dell’Europa costituisce un’occasione unica per lanciare questa riforma, e stupisce che i diversi “cantori” di un rilancio dell’ Europa non ne sottolineino mai l’importanza.
Per parte nostra proseguiremo il percorso, avviato con i Cantieri d’ Europa, di elaborazione di una proposta per la Conferenza sul Futuro dell’ Europa veramente innovativa, seguendo il percorso logico descritto qui di seguito (“SALVARE L’EUROPA PER SALVARE IL MONDO”), come meglio illustrato al termine di questo intervento.
Questa proposta non può che partire dalla decostruzione della “langue de bois” del discorso pubblico, tanto di quello “mainstream” quanto di quello “sovranista”-quella che Confucio chiamava “rettifica dei nomi”-.
Cominciamo dunque dalla controversia sullo “Stato di Diritto”: concetto che sembrerebbe apparentemente chiaro, ma che, invece, come tutto ciò che riguarda le basi culturali stesse dell’attuale Occidente, rivela sempre più la sua fumosità, ambiguità, quando non ipocrisia, derivante dalle sue radici culturali puritane e dalla sua origine storica ormai molto risalente. E’ infatti in corso quella che Onfray chiama “distruzione della lingua”, che consiste nell’ inflazione di parole vaghe ed onnicomprensive, come “valori”, “laico”, “fondamentalista”, “avanzato”, “arretrato”, “patriarcale”, “LGBTI+”, “queer”, “gender”, ”fascista”, ”democratico”, ”liberal-democratico”, “resilienza”, “sostenibilità”, “inclusivo”, “autocrazie”, … Si gioca quindi con concetti astratti e indefinibili, che permettono di costruire interi libri senza mai dire nulla (la “neolingua” orwelliana). Basti vedere le confuse formulazioni del Trattato dell’ Unione Europea circa l’”identità comune” e quelle “nazionali” e sui rapporti fra i due ordinamenti.
Intanto, il sito dell’“Ente della Repubblica Federale per la Formazione Politica afferma che lo “Stato di Diritto” sarebbe nato nell’ antica Grecia. Tuttavia, i riferimenti alle “Leggi” nei classici greci si riferiscono (come del resto nella tradizione dei Legisti cinesi), non già alla tutela di diritti dei cittadini, quanto piuttosto a pesanti doveri degli stessi, come quando Leonida afferma, a sostegno della sua decisione suicida, che questa deriva dalle “leggi” di Sparta ( che, in sostanza, dettano che un comandante non ha il diritto di arrendersi, come Hitler pretendeva fosse l’obbligo anche di von Paulus).In realtà, lo “Stato di diritto” come tutela dei cittadini nascerà ben più tardi, nel ‘600, con lo Habeas Corpus, per tutelare i ceti privilegiati dell’ Ancien Régime contro l’arbitrio dei sovrani assoluti, attraverso l’applicazione di precise norme procedurali.
Questa tempificazione storica è confermata indirettamente dallo studio del Bundestag „Rechtsstaat und Unrechtsstaat: Begriffsdefinition, Begriffsgenese, aktuelle politische Debatten und Umfrage“ „Im deutschen Sprachraum entstand der Begriff des Rechtsstaates Ende des 18. Jahrhunderts. Er wurde zunächst als Gegenbegriff zum absolutistischen Polizei- und Obrigkeitsstaat begriffen. Dementsprechend stand der deutsche Rechtsstaatbegriff ursprünglich für eine Zurückdrängung und rationale Reformierung polizeistaatlich-patriarchalischer Herrschaftsstrukturen“.
Si noti che, negli Stati Uniti, l’idea di una „Rule of Law“ fu „importata“, poco dopo, dalla Germania, in polemica con l’arbitrarietà della tanto decantata „Common law“ di origine inglese, che, in quanto diritto giurisprudenziale, non garantisce la certezza del diritto. Infatti, la Magna Charta e l’Habeas Corpus avevano deliberatamente (come ancora oggi in Inghilterra) carattere residuale, la fonte primaria essendo i precedenti giudiziari.
Ricordiamo che, per noi, lo Stato di Diritto è prima di tutto uno Stato in cui, una volta adottata una legge, poi la si rispetta finché essa è in vigore, e, nel caso in cui ciò non avvenga, i giudici impongono il rispetto anche con la forza, ed irrogano sanzioni a chi non l’ha rispettata. Con la fumosità dei Trattati di Lisbona, si è ritornati al primato del potere giudiziario, con la conseguente perdita della certezza del diritto.
Proprio per garantire questa certezza Montesquieu (che era un magistrato dell’ Ancien Régime, e quindi giudice per diritto di sangue),aveva teorizzato la separazione dei tre poteri dello Stato e l’autonomia della magistratura.
Nel sito del Governo tedesco si dice anche che, purtroppo, lo “Stato di Diritto Formale” non basterebbe a tutelare il cittadino, sicché ci vorrebbe anche uno “Stato di Diritto Sostanziale”; in realtà, il cosiddetto “Stato di Diritto Sostanziale”, riconducibile alla sfera dell’”eguaglianza”, è proprio il varco attraverso il quale si affermano le violazioni più sfrenate delle libertà del cittadino e del “due process of law”, in nome di un esorbitante “principio di eguaglianza” che, ignorando (ed anzi condannando come inique), le particolarità dei casi di specie (le differenze di genere, di classe, di nazionalità), giustifica qualunque arbitrio al fine di eliminare queste particolarità. E’ questa la contraddizione intrinseca fra “liberalismo” e “democrazia”, che ci ha portati inevitabilmente ai tanto deprecati “Democrazia Illiberale” e “Populismo”. Se deve vincere per forza la maggioranza, per definizione incolta (Socrate), questa non potrà che pretendere di affermare i propri pregiudizi travolgendo le barriere intellettuali “artificiose” poste in essere, per frenare il caos, dalla minoranza illuminata. E’ così che era andato al potere “democraticamente” Hitler, che aveva stravinto ben due elezioni di seguito, mentre, invece, nell’ Impero autoritario di Austria-Ungheria, Francesco Giuseppe aveva invalidato per ben due volte l’elezione del razzista Lueger. Oggi, il potere delle masse incolte si esercita non già attraverso la piazza (tutti sono troppo pigri per andarvi), bensì (come noto)attraverso i media e il Web.
Si dice da parte di molti che il principio di eguaglianza costituirebbe “un’ulteriore conquista”, perché sarebbe insita nel processo storico una tendenza all’”emancipazione” della maggioranza dalla subordinazione alle classi dirigenti. Questa tendenza, che sembrava evidente nel XX Secolo, non appare più tale alla luce degli esiti reali della completa affermazione delle masse (divenute il “ceto medio”) sulla scena politica, un fenomeno che ha portato in questo secolo, paradossalmente, all’ accrescersi esponenziale delle disuguaglianze (l’”Indice GINI”), perché il “ceto medio”, completamente succube dei media e del web, non è neppure in grado di riconoscere i propri interessi immediati.
Si trattava in realtà di un “trend” storico contingente, legato all’era industriale e al conseguente peso delle classi operaia e impiegatizia (peso che oramai, in termini statistici, è semplicemente irrilevante).
Oggi invece, nell’ era delle macchine intelligenti, l’intera società, ha quale sua chiave di volta, il Controllo Totale, nella sua forma estrema della “Mutua Distruzione Assicurata” fra le Grandi Potenze, che postula il controllo digitale permanente dell’intera popolazione. In queste condizioni, lo Stato di Diritto liberale non può che venire continuamente eroso, e la necessaria tutela, giuridica e politica, dei cittadini, può ri-materializzarsi soltanto in una battaglia intorno al digitale, quali quelle delle commissioni su Echelon e Prism, quella sull’approvazione ed applicazione del DGPR e intorno alle Sentenze Schrems, all’”unbundling” dei GAFAM e alla web tax. Ed, essendo l’informatica nettamente geolocalizzata in alcuni Paesi, questa lotta è prima di tutto una lotta dell’ Europa per la Sovranità Digitale. Questa lotta è il nuovo Stato di Diritto, che torna ad essere concepito come difesa dei diritti formali, di libertà, di pensiero, di opinione, di associazione, di coscienza, di corrispondenza, nazionale…contro i servizi segreti, i GAFAM, i media, il politicamente corretto, la Cancel Culture….
Per altro, è ipocrita, fuori del mondo e della storia, anche la posizione dei “sovranisti”, che accusano la UE di voler togliere la sovranità agli Stati nazionali e soprattutto alla Polonia, quando è evidente che questa ha ceduto di corsa la propria sovranità, appena riconquistata, soprattutto alla NATO e agli Stati Uniti, a cui continua ad offrire una serie di basi militari, non già all’Unione Europea.
Italia, Germania, Gallia e Sclavinia province dell’ Impero
3. La “Teoria della Dittatura”
Come sostiene brillantemente Michel Onfray nella sua recente “Teoria della dittatura”, i Paesi dell’Occidente, dopo una parentesi di un secolo circa ( dalle Costituzioni Octroyées al Maccartismo), non possono più essere considerati degli Stati di Diritto, almeno in senso formale, in quanto, di secolo in secolo, diviene più stridente l’ambiguità che è alla base dell’idea stessa di “progresso” (cfr. Rousseau, Huxley, Anders, Horkheimer e Adorno, Voegelin, Burgess, Berlin, Jonas), che implica necessariamente una discrasia fra il reale e il dichiarato. Ponendo come obiettivo indiscutibile e facilmente raggiungibile il superamento dei limiti fisici o spirituali dell’umano (cioè del “Legno Storto dell’ Umanità” di Kant e di Isaiah Berlin), i “progressisti” sono condannati a criticare tutte le forme realmente esistenti di società (per esempio, ieri, il “real existierende Sozialismus”, oggi, la “società patriarcale”), per postulare soluzioni perfette, che per questo stesso fatto non possono essere realizzate, salvo che con l’abolizione dell’ Umanità e la “trasfusione” della stessa in un universo macchinico (la “Second Life”, il “Twining”). Ogni intellettuale e ogni politico che operi nel contesto di culture, politiche, istituzioni, realmente esistenti, diventa così un proscritto (“cancel culture”), perché ostacola il conseguimento di questo “mondo perfetto” che si postula come necessario e raggiungibile, e, alla fine della vita, è costretto, normalmente, all’ opposizione (basti constatare la metamorfosi di Kojève, Fukuyama, Joy, Barcellona; oggi, Barbero).
L’”Eguaglianza Sostanziale” che, come dice Papa Francesco, trova espressione nella figura geometrica della “sfera”, essendo irraggiungibile in un mondo caduco, e quindi imperfetto, come il nostro, provoca frustrazione e voglia di rivalsa, che si traduce in falsità, censura, repressione, mediocrità e conformismo.
Nella realtà effettuale, di quale “eguaglianza” godono infatti i milioni di “non cittadini”(i “nepilsonis” russofoni) dei Paesi Baltici? Che “sovranità” internazionale hanno mai avuto gli Europei dopo la loro “liberazione” –quegli Europei che ospitano da 80 anni, grazie ad accordi segreti, decine di migliaia di soldati americani, a cui pagano anche le spese di soggiorno, senza mai essere stati consultati in materia?-
In realtà, il principio stesso “Stato di Diritto” non trova mai applicazione quando sono in gioco gl’interessi dell’ Impero nascosto (o Sconosciuto, come lo chiama il Papa), tanto che qualcuno si è domandato, in occasione dell’indagine “Prism” del Parlamento Europeo, “gilt in Deutschland Deutsches Recht?”.
Per esempio:
a)tutti i crimini di cui sono sospettati o indagati funzionari americani (casi Olivetti, Cermis, Calipari, Abu Omar) non vengono mai indagati, o i colpevoli vengono poi graziati;
b)dopo decenni di sedicenti indagini delle autorità antitrust, fiscali e di tutela della privacy, e dopo fior di sentenze della Corte di Giustizia i GAFAM continuano a godere di un monopolio assoluto e non sono tassati, i dati continuano ad essere esportati e le Istituzioni europee continuano a fare gestire senz’alcuna tutela i propri sistemi informatici dalla Microsoft.
c) l’Unione avrebbe recentissimamente rinunziato alla web tax in cambio della tassa minima del 15% sulle multinazionali. Ma che cosa c’entra? Questa non è una questione di aliquote, bensì di principio. Se Amazon o Google realizzano un guadagno per una vendita o un servizio in Italia, dovranno ben pagare l’IVA e l’IRAP come le imprese italiane, che pagano circa il 50% sugli utili. Altrimenti, nessuno creerà mai imprese del web in Italia o in Europa. Invece, con il nuovo sistema, pagheranno, se va male, il 15%, e, pertanto, continueranno ad avere un’invalicabile rendita di posizione.
Con queste premesse, l’Unione Europea risulta poco credibile quando attacca certi suoi Stati Membri, ma perfino degli Stati terzi, perché essi non sarebbero conformi a questo mitico “Stato di Diritto Sostanziale” che non si sa che cosa sia, e che essa è la prima a non rispettare.
Cirillo e Metodio.Hanno unificato culturalmente l’ Europa Centrale e Orientale
4.La sentenza della Corte Costituzionale polacca.
E’ in questo contesto che va letta la disputa fra Stati Membri e Istituzioni circa la sentenza della Corte Costituzionale polacca e le altre controversie giudiziarie relative al ruolo reciproco del diritto europeo e di quelli degli Stati membri (prima fra le quali quella tedesca).
Anche se non condivido le posizioni di nessuno dei contendenti, credo di potere e dovere esprimere un parere, per quanto a-tecnico, su questa controversa materia, perché dispongo di conoscenze specifiche in materia e perché la ritengo emblematica della crisi del diritto europeo a cui siamo chiamati a porre rimedio con la Conferenza sul Futuro dell’Europa.
I temi al centro della sentenza, strettamente intrecciati, sono due:
-superiorità del diritto europeo o del diritto nazionale?
-competenza del giudice europeo o nazionale in materia di nomina (e disciplina) dell’ordine giudiziario?
Sul primo punto, si sono pronunziate, anche recentemente, a favore di una parziale supremazia del diritto nazionale, in base alla “clausola solange”, non solo la corte polacca, ma anche quelle tedesca, irlandese, lituana ed altre. Questo perché è lo stesso Trattato di Lisbona ad affermare, all’art.4, che “L’Unione rispetta l’uguaglianza degli Stati membri davanti ai trattati e la loro identità nazionale insita nella loro struttura fondamentale, politica e costituzionale, compreso il sistema delle autonomie locali e regionali”. Su questa base si è costruita, soprattutto in Germania, la cosiddetta dottrina della “identità costituzionale”, che equivale ad affermare la necessaria diversità fra i principi costituzionali degli Stati Membri, in connessione con le diverse identità storico-culturali. Il che è del tutto consono, in astratto, al principio di sussidiarietà, e va esteso anzi , a mio parere, anche alle Regioni e alle Macroregioni europee (cfr. il caso della Catalogna).
Ditò di più. L’omogeneità culturale, ideologica, giuridica e sociale del mondo era stata additata come una mostruosità da tutti i grandi Europei, e in primis, proprio nel teorizzare la “pace Perpetua”, da Rousseau e da Kant.
E’ ovviamente logico che la Polonia (per esempio l’Eurodeputata Szidlo) abbia richiamato tale rifiuto proprio in relazione al diritto di famiglia, perché come si potrebbe pensare che la Repubblica Polacca rifondata da Papa Wojtyla e da Lech Walesa si lasci imporre di rinunziare ad un’identità costituzionale cattolica?
In realtà, i Trattati di Lisbona sono lacunosissimi sulle questioni delle identità, della sussidiarietà, e, pertanto, della gerarchia delle fonti, cosa gravissima in una governance multi-livello (“Verbund”) come quella europea, sicché è lasciato ai giudici e ai Governi un eccessivo margine d’interpretazione, che blocca, come si vede, il funzionamento dei processi decisionali. Il premier Morawiecki ha dichiarato a Strasburgo che l’Unione Europea “non è un superstato”, bensì un’organizzazione internazionale, “un’alleanza economica, politica e sociale”. Francamente, non vediamo la differenza. Ogni costruzione politica è un “quid novi”, incomparabile a quelle che l’hanno preceduta, ma che spesso ad esse assomiglia. Per esempio, la “Rzeczpospolita polacco-lituano-rutena” , tanto cara ai Polacchi, era un impero, un regno, una repubblica, una federazione, una confederazione o una nazione?”Sermone Polonus, natione Ruthenus” : quanti letterati furono così definiti? Per questo, qualcuno, come Ulrike Guérot e Robert Menesse, ha proposto una “Repubblica Europea”.
Circa il secondo punto, il principio dell’indipendenza assoluta della magistratura dagli altri due poteri dello Stato, che, secondo il “Mainstream”, sarebbe proprio dello “Stato di Diritto”, in realtà esso è quasi impossibile da conseguirsi in democrazia, perché richiederebbe che i giudici fossero una casta chiusa (come i “Sénats” dell’Ancien Régime a cui si ispirava Montesquieu), senz’alcuna legittimazione democratica. In realtà, tanto in Italia, quanto in buona parte dei Paesi europei:
a)i giudici della Corte Costituzionale e del Consiglio Superiore della Magistratura sono nominati o dal Presidente della Repubblica, o da altre cariche dello Stato, e comunque dai partiti e dai sindacati (come ci ricorda la recente vicenda Palamara);
b)soprattutto, e questo mi sembra il punto decisivo, proprio i Giudici della Corte di Giustizia Europea, e perfino gli Avvocati Generali, sono nominati dai Governi, con la più totale negazione dell’indipendenza della magistratura che invece essa vorrebbe imporre rigorosamente agli Stati Membri.
Personalmente, credo fermamente nella superiorità dell’ ordinamento europeo su quelli nazionali e nell’ indipendenza della magistratura, ma ammetto che l’attuale confusione di giudici e Governi sia giustificata dalla redazione approssimativa dei Trattati di Lisbona (che pure hanno centinaia di articoli e di protocolli, per lo più inutili).
In ogni caso, i Trattati hanno segnato un arretramento nella direzione dell’affermazione del primato del diritto europeo sancito dalla giurisprudenza della Corte (l’”Europa dei Giudici”). Questa tendenza va rovesciata, ma potrà esserlo solo se il diritto europeo non si presenterà più come la longa manus di una globalizzazione tecnocratica che vuole sopprimere le identità (Brzezinski), bensì a sua volta come la roccaforte delle poliedriche identità europee contro la Società del Controllo Totale. Questa sarebbe una sintesi più alta, che dovrebbe soddisfare anche i Paesi dell’Europa Centrale e Orientale ed essere recepita nella nuova versione dei Trattati.
Lo studio che conduciamo da 30 della Storia dell’ Identità Europea mira proprio a riscoprire questa sintesi culturale più alta, che dia compattezza all’ Europa verso l’esterno (la globalizzazione), salvaguardando e promuovendo, all’ interno, le diverse identità: l’”Identità Europea”.
In ogni caso, un maggiore rispetto per il diritto europeo, per la Corte di Giustizia e per l’ordine giudiziario in generale potrebbe ottenersi solo se l’Unione stessa si comportasse veramente come uno Stato di Diritto, dando tali poteri alla Corte di Giustizia che questa potesse, per così dire, inviare l’Europol a arrestare, per “contempt of Court”, coloro che violano le sue sentenze, cosa che, come abbiamo detto, oggi è lungi da accadere, ché oggi, anzi, i massimi dirigenti dei GAFAM si aggirano da padroni per i palazzi di Bruxelles insieme ai Commissari, il Parlamento Europeo toglie l’immunità parlamentare a Puigdemont e la NATO invia truppe nei Paesi Baltici per impedire un’eventuale rivolta dei “non cittadini”.
Veliko Tarnovo, la Terza Roma
5.La questione dello Stato di Diritto come pretesto per un nuovo “Kulturkampf”
In realtà, visto che la Polonia non è l’unica ad avere adottato questo atteggiamento contrario alla superiorità del diritto europeo (che, in effetti, più che una base legale, aveva, almeno prima di Lisbona, una, seppur validissima, base giurisprudenziale), e che la prima colpevole di questo trend, a cui tutti si sono ispirati, è la Germania, contro la quale pende, giustamente, un procedimento per violazione dei Trattati, l’attuale accanimento contro la Polonia, da parte della pubblicistica mainstream e di certe Istituzioni, appare “prima facie” espressione, più di una preconcetta avversione ideologica ed addirittura etnica, che non di fondati argomenti giuridici. Si accusa la Polonia di violazioni della forma, ma in realtà si vuole attaccare, come hanno detto la Szidlo e Orbàn, la sostanza delle politiche dell’ Europa Orientale.
In concreto, ciò che si addebita alla Polonia è il fatto di capeggiare il cosiddetto “Gruppo di Visegràd”, un gruppo di pressione dell’Europa Centrale speculare all’intesa franco-tedesca, oltre che di far parte del gruppo “16+1” per la cooperazione con la Cina, e, infine, di condurre una politica fortemente conservatrice in materia di diritto di famiglia e di immigrazione. Ma, soprattutto, si vuole colpire nella Polonia la “domanda di riconoscimento” da parte dei Paesi dell’Europa Centrale e Orientale, vittime da secoli dell’”arroganza romano-germanica”, come la chiamava Trubeckoj, e, per reazione, fin troppo assertive (vedi il progetto “Intermarium” ereditato dal Maresciallo Pilsudski).
Si ha cioè l’impressione che ci sia, nel “mainstream”, un’avversione preconcetta verso tutta l’ Europa Centrale e Orientale, che si può sintetizzare nell’ affermazione secondo cui “l’Europa Centrale e Orientale non sarebbe matura per l’ Unione Europea”. Si noti bene che, fra la caduta del Muro di Berlino e l’accessione alla UE della maggior parte dei Paesi dell’ Est erano trascorsi ben 15 anni, in cui essi avevano trasformato radicalmente le loro legislazioni socialiste per ricalcare pedissequamente quelle dell’ Europa Occidentale. Ma, in ultima analisi, perchè mai i Paesi dell’Europa Centrale e Orientale dovrebbero chiedere “un permesso” per essere “ammessi in Europa”? Come affermato giustamente da Walesa e da Elcin nelle loro visite alle Istituzioni, Polonia e Russia non debbono chiedere di entrare in Europa, perché ci sono già state da sempre.
Certo, l’ Europa Orientale è percorsa, dalla caduta del muro, da una tendenza lenta, ma percettibile, verso una maggiore centralizzazione del potere in sede nazionale. Ma, a parte che questa è una tendenza mondiale, come potrebbe non essere così quando le due Guerre Mondiali e l’abolizione del Blocco Socialista hanno prodotto decine di minuscole Repubbliche dove c’erano solo tre Imperi? E’ chiaro che, se il potere, per esempio in Ungheria, venisse ulteriormente spezzettato, questo Paese non conterebbe proprio più nulla, e sarebbe la prima vittima dei poteri forti mondiali. A ciò ha contribuito in questi anni l’Unione Europea, che non ha operato come una difesa collettiva dei piccoli Paesi contro la dittatura mondiale denunziata da Onfray, esasperando con ciò l’esigenza di misure difensive da parte dei Paesi est-europei. E non si tratta del muro che oggi chiedono all’ Unione contro i migranti, bensì della difesa contro la Società del Controllo totale.
Certo, anche l’Europa Centrale e Orientale è divisa al suo interno da tradizionali inimicizie (Baltici e Russi, Armeni e Aseri, Croati, Albanesi e Serbi, Serbi e Bosgniacchi, Greci e Macedoni), che il crollo degl’imperi ha esasperato, e che essa dovrà superare radicalmente se vorrà contare di più in Europa e nel mondo (vedi le difficoltà dei piani per i Balcani Occidentali appena accennati dal Presidente Jansa).
Il muro richiesto alla Commissione dai Paesi dell’Europa Centrale non sarebbe infatti rivolto tanto contro gl’immigrati extraeuropei, quanto contro l’Europa Orientale, giacché correrebbe significativamente lungo le frontiere della Russia, della Bielorussia e della Turchia, spostando semplicemente la Cortina di Ferro di 500-1000 chilometri più a Est.
Per evitare tutto questo, l’ Europa dovrà fornire ai cittadini di tutti gli Stati europei gli elementi culturali comuni per la resistenza contro il potere delle Macchine Intelligenti (quello che noi chiamiamo “10.000 anni di identità europea”).
Gli “ussari alati” polacchi di Jan Sobieski, vinciotori della battaglia di Vienna
6.Sulla storia delle due (x?) Europe
L’Europa nasce dall’ incontro di quattro correnti di civiltà preistoriche:
-I cacciatori-raccoglitori preistorici, i cui discendenti troviamo ancora per esempio nel Caucaso e nei Paesi Baschi;
-La civiltà megalitica di Malta, dei Nuraghes, di Stonehenge e Skara Brae (i Tùatha de Danann delle leggende irlandesi);
-i coltivatori medio-orientali di Goebekli Tepe, Catal Hueyuek, Lepenski Vir, e i cui più puri discendenti si trovano ancora in Sardegna;
-i popoli dei Kurgan, discendenti dalla civiltà delle tombe “Yamnaya”, provenienti dai bacini del Volga e del Don, e i cui discendenti sono oggi la maggior parte dei popoli europei.
Tutti i popoli d’ Europa provenivano o dall’ Africa, o dall’ Oriente. L’agricultura giunse in Europa dall’ Anatolia (Goebekli Tepe, Catal Huyuek, Lepenski Vir); una coscienza europea era formata in Grecia e in Ionia (Troia, Cos, Tebe, Alicarnasso, Atene) ; l’apogeo dell’ Impero Romano si ebbe sotto gl’Imperatori Illirici aventi il loro centro nel palazzo di Diocleziano, su cui è sorta la Città di Spalato; tutte le religioni europee vengono da Est (politeismo, ebraismo, cristianesimo, islam).Cirillo e Metodio svolsero un’incredibile opera di unificazione culturale fra Grecia e Moravia, Macedonia e Russia; per circa 1000 anni l’ Impero Romano fu quello d’Oriente; la “Terza Roma” furono prima Veliko Tarnovo, poi Mosca; il maggior Stato d’ Europa fu, nel ‘500, l’ Impero Ottomano; nel ‘600, la Polonia; nel ‘700, la Russia.
Dopo la vittoria su Napoleone, Alessandro I di Russia si era proclamato “Imperatore degli Europei”, e la cultura europea si sviluppò nell’ 800-900 soprattutto fra la Germania centrale (Weimar, Jena, Berlino), la Moscovia (San Pietroburgo e Mosca) e l’Austrio-Ungheria (Vienna, Praga);il primo (e insuperato) progetto di federazione europea fu elaborato alla Hofburg di Vienna dal conte boemo Richard Coudenhove-Kalergi; la IIa Guerra Mondiale fu combattuta essenzialmente fra Unione Sovietica e Germania per il controllo sulle Repubbliche secessioniste (Baltico, Bielorussia, Ucraina, Caucaso); il rilancio dell’ Europa Politica si ebbe solo dopo la caduta del Muro di Berlino ad opera di Giovanni Paolo II, di Gorbačëv e di Walesa.
Come si vede, contrariamente alla “grande narrazione” occidentale, l’Europa Centrale e Orientale è stata coinvolta in tutte le fasi della storia dell’ Europa, quando non ne è stata l’ iniziatrice. Come si può dunque affermare che gli Europei del Centro e dell’Est (più numerosi di quelli occidentali, circa 450 milioni contro 350) siano “meno europei” di quelli dell’Ovest? Che cosa conferisce agli Europei dell’Ovest il diritto innato di giudicare quelli dell’Est e di decidere per loro?
L’Ermitage, l'”Arca Russa” della cultura europea
7.Un caso di ”arroganza romano-germanica”?
Negli anni ’20, il Principe Trubeckoj, cacciato come molti altri aristocratici russi e rifugiatosi prima in Manciuria, poi a Sofia e a Praga, nella sua opera “Europa e Umanità” aveva stigmatizzato quest’arroganza, che faceva sì che gli Europei Occidentali e gli Americani concepissero, non solo i popoli extra-europei, ma anche quelli dell’ Europa Centrale e Orientale, come “inferiori” (sulla scia di autori come Possevino, Heberstadt e de Coustine). Teoria che sarà poi alla base del Mein Kampf, dove Hitler descrive come centrale nel suo programma il progetto di annettere le Repubbliche sovietiche, la cui popolazione avrebbe dovuto essere ridotta in schiavitù (anche in base alla tradizionale forte presenza ebraica nel Caucaso, in Polonia e nella Zona di Insediamento zarista), mentre la Moscovia avrebbe dovuto essere decimata per fame. Il “Kommissarbefehl” (e l’Olocausto) miravano appunto a decapitare le classi dirigenti dell’Est, in modo da agevolarne la sostituzione etnica a vantaggio dei Tedeschi e degli Slavi “arianizzati”(il “Drang nach Osten”).
In un momento in cui i popoli ex-coloniali attaccano violentemente la visione storica e geo-politica dell’ “Occidente”, ci mancherebbe ancora che l’ Unione Europea si facesse portatrice di una forma tristemente nota di razzismo intra-europeo, a cui Morawiecki ha fatto un accenno ricordando la lotta della Polonia contro il Terzo Reich. E, in un momento in cui l’Unione Europea, alla Conferenza di Lubiana, ha dimostrato un rinnovato interesse per l’allargamento dell’ Unione nei Balcani Occidentali, una simile arroganza nei confronti dell’ Est sarebbe fatale, perché non soltanto minerebbe la possibilità di un allargamento, ma potrebbe addirittura provocare, dopo la Brexit, un ulteriore effetto domino (Polexit?), riducendo a “0” la rappresentatività dell’ Unione nell’insieme del nostro Continente, già gravemente diminuita dopo Brexit, a 450 milioni, mentre la popolazione totale dell’ Europa è di circa 800 milioni. Con la Polexit, il numero di abitanti dell’ Unione scenderebbe a meno della metà dell’Europa, e vi sarebbe anche il rischio che la Polonia venisse seguita da altri Paesi, diminuendo ancora il numero dei cittadini europei.
Secondo Fabbrini e Bastasin (come per tanti altri) questo sarebbe un fatto positivo, perché, come si diceva una volta, “bisognerebbe privilegiare l’approfondimento piuttosto che l’allargamento”. Molti hanno temuto da sempre che l’allargamento “diluisse” il peso dell’Europa Occidentale, trasformando l’ Unione Europea in qualcosa di diverso. Ma siamo sicuri che questo sarebbe un male? L’Europa attuale è, come diceva Brzezinski, un protettorato americano, come il Tibet, il Xinkiang, la Mongolia, il Ninxia, Hong Kong e Macao per la Cina.L’Europa serve solo per fare massa, per poter presentare gli Stati Uniti come uno “Stato Civiltà”: l’Occidente. Nell’ attuale configurazione, essa è un peso morto: non ha una sua sostanza ideale autonoma; non ha una voce in capitolo nelle grandi decisioni di guerra e pace; non ha proprie tecnologie…Uno spostamento ad Oriente del baricentro europeo avrebbe invece l’effetto di ri-vitalizzare questo corpo morto con l’iniezione di nuova linfa, come ipotizzavano già i Gesuiti, Nietzsche, Dostojevskij, Pannwitz, Blok, Saint-Exupéry, Simone Weil, Gumilëv, Béjart, Garaudy…
I popoli dell’Europa Centrale e Orientale, protagonisti delle insurrezioni di Berlino, di Poznan’ e di Budapest, della Primavera di Praga e della Perestrojka, si considerano gl’iniziatori della riunificazione del Continente, e non accettano di essere considerati “Europei di Serie B”. Che la loro presenza sia motivata solo dall’attrazione dei fondi europei è discutibile, visto che, dal punto di vista economico, sarebbe per loro perfino più rimunerativo fare affidamento sugl’ investimenti cinesi e medio-orientali (che già ci sono e vengono usati per le infrastrutture, come il Ponte di Peljeśac, appena terminato). Nel suo intervento al Parlamento Europeo, Morawiecki ha rivendicato l’eredità storica di Solidarność.
Che ci fosse, in quei Paesi, una biodiversità culturale e politica ben superiore a quella dell’Europa Occidentale (che va da Radio Maria all’AKP, dal Partito Comunista russo alla destra ucraina, dall’ UÇK a Russia Unita) era noto fin dall’ inizio – anzi, era la molla principale della resistenza al sistema sovietico, e il “marchio di fabbrica” di Solidarnosc-. Non possiamo ora, a posteriori, mettere praticamente fuori legge le correnti centrali dei movimenti di resistenza antisovietica, quelle che hanno creato l’Europa di oggi, perché, come ha detto Morawiecki, la forza dell’ Europa è consistita sempre nel suo pluralismo. D’altro canto, un certo grado di centralismo, per quanto non tradizionale in Europa, è inevitabile nel mondo del controllo totale e della guerra totale automatizzata, che non possono essere tenute a bada da Governi decentrati, e non ha nulla a che fare con gl’”Imperi Orientali” , citati da Morawiecki, ché anzi, quegl’imperi erano ancor più decentrati di quelli europei (pensiamo a quello persiano, al Califfato o all’ Impero Mughal).
Comunque sia, nell’ambito della radicale “Perestrojka” che si richiede ora nell’Unione Europea, crediamo ci voglia un ulteriore passo in avanti, riconoscendo che l’”Identità Europea” non comprende solo le poleis greche, il Cristianesimo Occidentale, il messianesimo puritano e le rivoluzioni atlantiche, come vorrebbe l’attuale versione del Trattato di Lisbona, ma anche le tradizioni neolitiche e calcolitiche, quelle imperiali -romana, ortodossa e ottomana-, quelle di tutte le religioni occidentali, il costituzionalismo della Rzeczpospolita polacco-lituano-rutena e il romanticismo slavo, sarmatista ed eurasiatico.
Soprattutto, la “grande Narrazione che va da Roma, Atene e Gerusalemme all’ Impero Occidentale, all’Umanesimo, alla Riforma, alle Rivoluzioni Atlantiche alla leadership americana (from Plato to NATO) va sostituita da una visione altamente dialettica fra pluralismo e messianesimo, Est e Ovest, Cristianesimo e Islam, realismo e integralismo…:la “Dialettica dell’ Illuminismo”.
La statua della Vittoria sul Mamayev Kurgan a Volgograd, sul luogo della Battaglia di Stalingrado e non lontano dalle tombe dei primi Indoeuropei
8. Le nostre idee sulla riforma dei Trattati
Quanto accennato di passaggio nei paragrafi precedenti dimostra quanto sia urgente riformare i trattati europei in un’ottica comparatistica, che tenga presente quanto il federalismo sia di fatto ormai radicato negli svariati rapporti istituzionali di cui l’Europa è parte. Che altro sono infatti le Nazioni Unite, le loro Agenzie Specializzate, la NATO, le Macro- ed Euroregioni, i Laender e le città metropolitane, se non i soggetti di un federalismo mondiale, europeo e interno? Si tratta solo di riconfigurare questo federalismo per rendere l’Europa più forte e più “resiliente”, all’interno, alle grandi sfide della Post-Modernità.
Riassumendo, questo complessissimo sistema, concepito dopo la fine della IIa Guerra Mondiale, non funziona più perchè:
-la leadership dell’ Anglosfera (compreso il nome “Nazioni Unite” tratto da Byron, e la sede a New York), su cui la UE ha fatto e fa un assurdo affidamento, è superata dal “Pivot to Asia” del centro del mondo, certificato dalla stessa America;
-l’Alleanza Atlantica nega platealmente il proprio carattere difensivo quando mira a sospingere anche gli Europei verso avventure asiatiche;
-la pretesa dell’Unione di essere il “Trendsetter del Dibattito Mondiale” in campo tecnologico è smentita, in questo momento, nei confronti degli USA, dal Transatlantic Technology Council dall’Endless Frontier Act e dagli altri provvedimenti che rifondano giuridicamente la guida tecnologica dell’ America sull’ Europa, e, nei confronti della Cina, dalla campagna di Ji Xinping per “uno Stato di Diritto con Caratteristiche Cinesi”, comprensivo di una legislazione digitale che incorpora e supera i progetti, mai approvati né implementati, dell’Unione Europea, sull’infosfera.
Premesso che la proposta di Diàlexis circa la riforma dei Trattati alla luce di tutte queste evoluzioni dovrà scaturire da uno sforzo collettivo già avviato da tempo con i “Cantieri d’Europa”, e da proseguirsi con “SALVARE L’EUROPA PER SALVARE IL MONDO”, crediamo di poter anticipare nell’ Allegato I, seppure con molte riserve, alcuni temi sulla falsariga delle considerazioni sviluppate in precedenza.
Proporremo subito dopo, anche in base alle Vostre reazioni, un programma di lavori con l’obiettivo di essere pronti per il prossimo Salone del Libro di Torino (Maggio 2022).
Spero che dall’ Allegato I risulti evidente almeno l’ampiezza delle riforme a nostro avviso necessarie.
Leipzig, um den 17. Juni 1953
ALLEGATO I
SCHEMA DELLE RIFORME DEI TRATTATI EUROPEI DA DISCUTERSI NEL PROGETTO “SALVARE L’EUROPA PER SALVARE IL MONDO”
L’Unità attacca la Rivoluzione Ungherese
a.PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETA’
Ciascun’ attività legislativa, amministrativa o giudiziaria, dev’essere svolta al livello a cui essa può essere svolta meglio (e non spostata necessariamente verso il basso). Onde evitare conflitti, le competenze devono essere quanto più possibile esclusive (I conflitti attuali vertono essenzialmente su competenze concorrenti). Nell’ambito delle proprie competenze, ogni livello gerarchico obbedisce ai propri principi costituzionali e all’identità dei popoli che rappresenta e governa. Gli articoli in materia dei Trattati di Lisbona vanno ripresi e chiariti per evitare conflitti esplosivi.
La Primavera di Praga
b.FEDERALISMO MULTI-LIVELLO
L’ Europa deve ripensare all’ insieme delle attribuzioni di competenza: “verso l’alto”, con la riforma delle Nazioni Unite e nuovi accordi internazionali sul web; “lateralmente”, verso la NATO, dove non è più ammissibile la subordinazione agli Stati Uniti, e dove l’alleanza va allargata a Est se si vogliono veramente eliminare i conflitti nel Continente; “verso il basso”, realizzando finalmente le “strategie macroregionali”, e distribuendo le competenze “nazionali” fra Macro-Regioni, Stati, Regioni e Città.
Tutto ciò dovrà tradursi in una ragnatela di nuovi patti fondativi, con al centro la (con-)federazione, dotata di un suo patto fondativo che sia più di un semplice trattato, e con un potere decisionale, nelle materie strategiche (difesa, economia, tecnologie), molto forte, eventualmente fondendo delle cariche oggi separate, istituzionalizzando e rendendo permanente il Consiglio dei Presidenti, e prevedendo elezioni dirette.
Papa Wojtyla a Budapest
c.IDENTITA’
L’Identità Europea si è sviluppata nel corso dei millenni dall’ incontro fra i popoli neolitici e calcolitici, le civiltà mediterranee, le religioni occidentali, le tradizioni imperiali, le storie nazionali e locali, le filosofie, le letterature e le arti occidentali, le scienze e le tecnologie, le rappresentanze dei ceti sociali.
Essa si differenzia tanto da quelle del Sud e dell’Oriente del mondo, quanto da quella americana, che si è volontariamente distaccata dall’ identità europea con la Guerra d’Indipendenza e con la Dichiarazione d’Indipendenza.
L’Europa tutela tutte le sue identità all’adeguato livello culturale e giuridico, senza imporne nessuna, e promuove il dialogo culturale con le grandi tradizioni culturali mondiali.
d.SOVRANITA’
La (con-)federazione europea è un soggetto di diritto internazionale di livello continentale, indipendente e sovrano. La sovranità della (con-)federazione Europea si articola in sovranità culturale, politica, tecnologica, economica e militare. All’ interno della sovranità europea si situano le autonomie delle Macro- ed Euroregioni, delle Nazioni Europee, delle Regioni e delle Città. L’Unione può partecipare ad alleanze internazionali non aggressive solo su una base di parità.
Lech Walesa arringa gli operai dei Cantieri di Danzica
e.STATO DI DIRITTO
Principio-base della (con-)federazione sono la certezza del diritto e la competenza dei legislatori. Il Parlamento Europeo adotta le leggi sentiti gli esperti del ramo interessato. I Governi europeo, macro-regionali, nazionali, regionali e locali garantiscono l’attuazione delle leggi, e i tribunali ne sanzionano l’inesatta applicazione e irrogano le eventuali sanzioni. La Corte di Giustizia controlla il rispetto del diritto europeo e dell’attribuzione di competenze ai vari livelli.
I Comitati Economico-Sociali dovrebbero essere il luogo della democrazia partecipativa
f.DEMOCRAZIA PARTECIPATIVA
Le debolezze della democrazia rappresentativa possono essere curate con il rafforzamento della (già esistente) democrazia partecipativa, rappresentata dalla rete dei Comitati Economici e Sociali.
Questi debbono essere attualizzati, tenendo conto, in particolare:
-della crisi delle rappresentanze imprenditoriali, operaie e impiegatizi, derivante dalla crescita dei servizi;
-dalla necessità di promuovere la partecipazione dei lavoratori, l’auto-imprenditoria e la cultura indipendente.
Profughi afghani ammassati in un aereo militare
g.POLITICA ESTERA
La Politica Estera dell’Europa è volta alla difesa della sua indipendenza e sovranità e alla lotta contro il potere digitale mondiale. Essa non pretende d’imporre alcun modello fuori dell’ Europa.Essa comprende la diplomazia e la diplomazia culturale.
L’esercito europeo dovrà essere innanzitutto un esercito digitale
h.ESERCITO EUROPEO
L’Esercito Europeo è gestito in base al principio di sussidiarietà, con una compresenza di forze dell’Unione, euro-regionali, nazionali, regionali e cittadine, ciascuna con compiti specifici. Il coordinamento delle forze armate dell’Unione è compito del Alto Rappresentante, e in tempo di guerra dal Presidente Europeo, coadiuvato dal Consiglio dei Presidenti.
La partecipazione degli Europei ad alleanze militari può avere luogo solo in base al principio di parità fra gli alleati.
L’Esercito Europeo, insieme alle forze armate delle Macro-regioni, degli Stati Nazionali, delle Regioni e delle Città, costituisce una forza armata unitaria.
Essa ha esclusivamente carattere difensivo, ed è fondata su una gamma flessibile di missioni, che vanno dall’equilibrio nucleare all’ intelligence, al mantenimento dell’ordine, alla cyberguerra, agli interventi umanitari, alla guerra tecnologica, alla difesa territoriale, alla guerra di popolo.
L’Esercito Europeo garantisce la continua preparazione bellica, per ciò che concerne la cultura strategica, l’addestramento della popolazione, la ricerca tecnologica e organizzativa, i servizi segreti, le armi tecnologiche, i reparti di pronto intervento, i corpi specializzati, la riserva, la milizia popolare, le forze di polizia, la protezione civile, con il minimo dispendio di risorse e in base al principio della modularità.
In considerazione del carattere di lungo periodo della preparazione bellica, e dell’alto livello di esposizione dell’Europa alle tensioni geopolitiche, l’Esercito Europeo deve avere una strategia “a tous les azimuts”, senza limitare la valutazione delle minacce a ipotesi prestabilite.
La Force de Frappe francese va posta sotto controllo europeo, grazie alle forme automatizzate di gestione bellica. I costi dell’arsenale nucleare francese (compresi gli ammortamenti) vanno ripartiti, riducendo proporzionalmente le spese per la NATO e per le basi americane.
IL VEGA, lanciatore italiano dell’ Arianespace europea
i.POLITICA ECONOMICA
La politica economica dell’Unione Europea è fondata sul Principio di Sussidiarietà:
(i)L’Unione legifera in materia di scelte di sistema, di programmazione economica, di campioni europei, di antitrust, di fiscalità internazionale, di selezione e formazione del top management e di finanziamento delle attività economiche;
(ii)Le Macro-regioni legiferano in materia di legislazione economica, di gruppi d’imprese, d’ imprese pubbliche, di budget, di fiscalità, di alta cultura;
(iii)Gli Stati Nazionali legiferano in materia di piani industriali, di società partecipate, di agevolazioni fiscali, di normative di settore, di programmazione territoriale, di pubblica istruzione, di formazione permanente;
(iv)Le Regioni legiferano in materia d’ imprese, di urbanistica, di trasporti e di servizi alla famiglia;
(v)Le Città legiferano in materia di zone industriali, imprese di servizi, edilizia;
(vi)E’ istituita presso la Presidenza Europea un’Agenzia Europea per la Politica Economica, con il compito di fissare parametri a lungo termine per lo sviluppo dell’economia europea, che vengono specificati e controllati dai ministeri Economici europei, Macro-Regionali, Nazionali, Regionali e locali.
(vii)Nelle aree in cui il mercato non è presente o è troppo debole, l’Agenzia crea Campioni Europei, con capitali della (con-)federazione, delle Macro-Regioni, degli Stati Nazionali, delle Regioni e delle Città. Ferma restando la responsabilità dei Campioni Europei per la realizzazione della politica economica della (con-)federazione , si farà in modo da garantire la partecipazione ai Campioni Europei dei capitali privati europei.
GAIA-X, il cloud europeo
g.NUOVE TECNOLOGIE
Il cuore delle politiche europee è costituito dalla realizzazione di una transizione umanistica digitale e ambientale.
Per questo, la promozione delle nuove tecnologie, con particolare riferimento ai prossimi 15 anni, è considerata il compito prioritario dell’Europa da attuarsi con una legislazione speciale sulla falsariga della proposta di legge, attualmente in discussione dinanzi al Parlamento USA, chiamata “Endless Fronteer Act”, destinata a gestire in modo unitario le attività di Enti pubblici, centri di ricerca e imprese, nella ricerca scientifica, tecnologica e produttiva del Paese per rispondere alla sfida cinese.
Nel caso dell’Europa, si tratta di superare l’arretratezza tecnologica (e, in particolare, digitale) europea, attraverso uno sforzo coordinato sotto l’egida di un’Agenzia Tecnologica Europea, simile alla Direzione per la Tecnologia e l’ Innovazione della Fondazione Scientifica Americana, la cui creazione e il cui funzionamento sono previsti nel succitato progetto di legge (confronta il nostro libro “European Technology Agency”).
Le etnie europee
h.TERRITORI FEDERALI
Nonostante tutti gli sforzi fatti soprattutto dalla fine del Settecento per creare nazioni borghesi “etnicamente” compatte (Francia, Grecia, Italia, Germania, Ungheria, Polonia, Romania, Bulgaria, Albania, Jugoslavia…), l’Europa è talmente differenziata al suo interno che una gran parte dei territori (p.es.nord-ovest della Spagna, Aragona, Francia Nord Orientale, Benelux, Bosnia, Macedonia, Paesi Baltici, Caucaso…) è irrimediabilmente plurietnica. Invece di discuterev eternamente di contuinui aggiustamenti per ripartire i ruoli delle varie comunità, non sarebbe più semplice introdurre dei “territori federali europei” come a suo tempo Alsazia-Lorena e Bosnia Erzegovina, e oggi District of Columbia, Puerto Rico, Guam, Northwestern Territories…?
Le parole chiare sprofondale nel buio delle enciclopedie.
Non giudicare nessuna parola prima che i funzionari
Controllino nello schedario da chi sono state dette”.
(Czeslaw Milosc, Figlio d’ Europa)
Come promesso, il punto di vista adottato in questi interventi come moderatore dell’ evento sarà alieno da ogni retorica o partito preso, cercando di concentrarmi sugli aspetti concettuali più rilevanti. Proprio per questo, esso sarà particolarmente critico, perché non potrà esimersi dal mostrare quali enormi, implicite, contraddizioni sottostiano alla costruzione europea così com’essa s’è evoluta, e come esse stiano rendendo sempre più difficili le vite degli Europei.
Alla fine della guerra, l’Olanda voleva raddoppiare a spese della Germania
1.Il vero contesto della Dichiarazione Schuman: un freno all’ espansionismo francese
Comunque si interpretino i fatti, il Piano Schuman fu certo qualcosa di determinante, molto più di quanto ci dicano gli attuali discorsi ufficiali, ma anche molto diverso da questi ultimi.
Intanto Schuman presentava la Dichiarazione come un gesto disinteressato della Francia a favore dell’Europa, ma in realtà era stato una sorta di resa della Francia stessa alle pressioni occidentali (soprattutto americane),in seguito alla nascita del Comecon, che la costrinsero ad abbandonare il suo piano di smembramento della Germania non meno aggressivo di quello dei Sovietici e dei Polacchi.
Essa costituiva così una soluzione di compromesso fra la Francia, che mirava a annettere la Renania occupata e la Ruhr (come de resto anche il Piemonte e la Valle d’ Aosta) e a smantellare l’industria tedesca, e gli Anglosassoni. Le precedenti proposte francesi prevedevano la trasformazione della Renania in un nuovo stato, dotato di una propria valuta e politica e posto sotto il controllo di un’autorità internazionale che avrebbe incluso gli Stati Uniti e la Francia. Si noti che anche il Belgio e il Lussemburgo, ma soprattutto l’Olanda, avevano piani annessionistici verso la Germania in proporzione ancora più aggressivi.
Intanto, nel 1947, la Francia aveva già separato dalla Germania la regione della Saar, ricca di carbone, e creato unilateralmente un protettorato sotto il controllo francese. La zona sarebbe ritornata sotto l’amministrazione della Germania solo il 1 gennaio 1957, ma la Francia avrà il diritto di sfruttare le sue miniere di carbone fino al 1981. Adenauer aveva affermato: «Il nome ‘protettorato’ potrebbe non essere quello più adatto. Piuttosto, sarebbe meglio parlare di ‘colonia’, ma non lo farò.»
Lo smantellamento industriale della Ruhr era continuato nel 1949, con i lavoratori tedeschi che si barricavano nelle fabbriche per non smantellarle. Negli anni successivi, la Germania avrebbe socializzato gl’impianti carbosiderurgici (inventando la cogestione) per non cederne la proprietà a USA e Inghilterra.
La sede del COMECON a Mosca. Aveva anicipato la CECA di un paio d’anni
2.Dirigismo e liberalizzazione
La “Dichiarazione Schuman”(“Piano Schuman”), era il progetto industriale di una sorta di cartello di guerra franco-tedesco, successore della “Rohstahlgemeinschaft” esistente nell’ anteguerra fra le grandi imprese francesi tedesche e lussemburghesi e sotto la guida dell’ ARBED, e di quello creato da Speer sotto il III° Reich, e simile a molto simile alle joint-ventures internazionali del Comecon. Aveva veramente poco a che fare con la “federazione europea” a cui probabilmente Monnet pensava, ma (come dimostrano le 9 bozze successive della dichiarazione), gli era “rimasta nella penna”.
Rileggendo il testo del Piano, ci ho ritrovato tra l’altro un’interessante anticipazione del mio progetto per un’Agenzia Europea della Tecnologia. In effetti, si trattava non già di creare un soggetto politico, bensì di porre l’”industria di punta” di quel tempo sotto il controllo di un Ente pubblico, che non lo gestiva, ma lo governava, così come poi anche Arianespace è oggi sostanziamente dipendente dalle politiche dell’ ESA e come, nella mia visione, i futuri “Campioni europei” dovrebbero essere posti sotto il controllo dell’ Agenzia Europea della Tecnologia.
Solo che oggi lo scenario generale è cambiato, il che richiederebbe un livello molto più elevato di controllo politico paneuropeo (almeno su tutti i campioni europei, cosa che paradossalmente allora avrebbero voluto i dirigenti americani del Piano Marshall).
Il guaio è che, dopo l’industria carbosiderurgica e, parzialmente, quella aerospaziale, non si è poi fatto null’ altro.
Spinelli avrebbe voluto creare una frderazione europea mediante il Congresso del Popolo Europeo
3.Democrazia o verticismo? Autonomia o protettorato?
Nel celebrare i 70 anni della Dichiarazione Schuman, non possiamo certo dimenticare che la Dichiarazione fu, come tantissimi ormai hanno scritto (buon ultimo,l’ex ministro Philippe De Villiers), la massima espressione possibile del verticismo, un vero e proprio “complotto” fra Monnet (dalla sua villa di campagna) e il segretario di Stato americano Dean Acheson, piombato inaspettatamente a Parigi l’8 maggio, e subito associato alle discussioni con Schuman, con un coinvolgimento “0” dell’opinione pubblica e della politica, infinitesimo del Quai d’Orsay presieduto da Schuman (che fu informato anch’egli da Monnet solo il 6, alla stazione mentre andava a Metz, e di Adenauer, e bassissimo comunque dello stesso Schuman, che non scrisse lui la dichiarazione, e, anzi, lasciò in sala il solo Monnet (che non era ministro, bensì “Commisssaire au Plan”,titolo pienamente sovietico), a rispondere ai giornalisti. Il Governo francese fu informato freettolosamente e dette un O.K. formale.
Il che, a me, non disturba, perché l’ “Italian Thought” (Mosca, Michels, Pareto) ci ha insegnato da più di un secolo che qualunque organizzazione politica, anche quella che si pretende più democratica, è intrinsecamente verticistica, ma disturba, e danneggia, l’ideologia “mainstream”, secondo cui l’integrazione europea rappresenterebbe l’estremo traguardo della democrazia. Non ha semplicemente senso che tutti (euroentusiasti ed euroscettici) si straccino quotidianamente le vesti per il “deficit di democrazia” della UE, quando la decisione di creare l’Unione Europea fu adottato da una decina di persone, di cui praticamente nessuna eletta, e tutte, tranne Schuman,dei semplici funzionari. Senza parlare che neppure la concessione delle basi alla NATO fece oggetto di discussione nei Parlamenti, al punto che De Gasperi la fece firmare da un sottosegretario.
Si noti che, quando c’è stata la possibilità per i popoli di esprimere il loro parere, essi hanno sempre bocciato le decisioni verticistiche di questi “fanatici della democrazia”. Bastino per ultimi i sondaggi secondo cui la maggior parte dei cittadini vorrebbero un’alleanza con Russia e Cina, o, al massimo, la neutralità, ma non certo l’attuale alleanza con l’America.
La “politica dei due forni”, unica via d’uscita nell’incertezza dell’ Europa
3.Una soluzione “meno peggio”
Certo, la costruzione europea “funzionalista” prevista da Monnet era congegnata appositamente per muoversi con una lentezza esasperante, per dare tutto l’agio ad America e Unione Sovietica di rimodellare l’Europa a loro immagine e somiglianza, e togliendo alla futura creatura ogni capacità di muoversi autonomamente (come ha dichiarato, fra la costernazione generale, il politologo Alexander Rahr: “gli Americani ci hanno asportato il cervello”).Inoltre, la Dichiarazione ignorava in modo incredibilmente arrogante tutto ciò che, di male come di bene, era accaduto e stava accadendo all’ Est (la rinascita dell’ Asia, la creazione del Comecon, le lotte della guerriglia anticomunista nel Baltico, nei Carpazi e in Ucraina), dimostrando indifferenza per la gran parte d’Europa (e del mondo), e ponendo le premesse per l’attuale nuova rottura con il nostro Est (interno ed esterno all’ Unione), che si è sempre sentito ignorato e disprezzato dalle lobby moderniste dell’ Occidente (l’”arroganza romano-germanica”).
Tutto ciò detto, dopo gli errori, gli orrori, i fallimenti e le catastrofi della Società delle Nazioni, del Piano Briand, della “Festung Europa”, delle Gladio rosse e nere e dei “Fratelli della Foresta”, questo era, un, seppur modesto, punto di ripartenza, che aveva almeno il vantaggio di non implicare una nuova guerra totale. Qualunque altra soluzione sarebbe stata probabilmente più aleatoria e più dolorosa. Oggi, però, i difetti d’ impostazione allora accettati, dovuti alla debolezza delle classi politiche e delle élites europeiste, agli strascichi della guerra e alla divisione dell’Europa, si sono incancreniti e sono emersi in tutta la loro gravità, al punto da non essere più tollerabili.
Ma, almeno, ai tempi delle Comunità Europea (cioè fino al 1989), molti era consapevoli della dolorosità di quello “Stato di Necessità” (visto che già allora la maggioranza, per i più svariati motivi, non amava l’ America), e tentavano almeno di ovviarvi in attesa di tempi migliori; da allora, invece, nell’ “establishment” regna un trionfalismo ipocrita e sempre più surreale.
Il Comandante Lupaczko, leader della resistenza antisovietica polacca
4.Mancanza di un “pathos” europeo
Ricordo che, quando ero bambino, la Gioventù Europea andava nelle piazze a proiettare filmine sulla CEE, creando nella nuova generazione così una forma di “patriottismo europeo”. Senza di questo, nessuna unione può funzionare. Oggi, invece, questo “pathos” è andato perduto, sostituito dal generico e ipocrita “umanitarismo” delle “fondazioni” espresse dalle multinazionali, dalle ONG sostenute dal Governo americano, dai finanzieri e dalle grandi famiglie. Tutte quelle persone che sono state invitate il 9 maggio al Parlamento Europeo invece di storici, filosofi, costituzionalisti, strateghi ed economisti che si occupino del “Futuro d’ Europa”.
Ad esempio, se c’è un argomento su cui, in una Nazione, ma anche in una Confederazione o in una semplice alleanza, non si può transigere, è che, quando un partner è in difficoltà mortale, lo si deve aiutare “whatever it takes”. Quando ci sono catastrofi naturali, non si fanno prestiti alle vittime: le si aiuta e basta, come quando si “dava oro alla Patria”. Orbene, l’Europa latina (Italia, Spagna, Francia e Belgio) è in difficoltà mortale visto che, con 170 milioni di abitanti, ha avuto altrettante vittime quanto gli Stati Uniti. L’hanno aiutata tutti, chi più chi meno, dalla Russia alla Turchia, da Cuba all’Albania, dalla Repubblica Ceca alla Polonia (tranne che i suoi più stretti partners, che continuano a volerci speculare sopra).
Il risultato è che tutti i recenti sondaggi rivelano che la per maggioranza degli italiani, Cina e Russia sono più popolari dei Paesi occidentali. E alla domanda “in futuro con chi si deve alleare l’Italia”, il 36 per cento risponde ha risposto “la Cina” e soltanto il 30 per cento ha indicato gli Usa. Cosa che Alessandro Dibattista ha proposto di fare senza indugio.
Oggi, a queste evidenti falle dell’establishment occidentale si tenta di porre rimedio con misure sfacciatamente dittatoriali, richieste personalmente, per esempio, al Ministro della Difesa Guerini, dal segretario di Stato americano Esper: cacciare i medici russi che stanno curando i malati su richiesta del Governatore lombardo, reprimendo la giornalista Botteri, rea di “avere fatto l’apologia della Cina” , creando un’unità di guerra psicologica dell’Unione Europea (euvsdisinfo.eu).
Infine, ancor oggi, calcolando la “bottom line” degli aiuti (tramite i vari strumenti) dopo il Coronavirus, risulta che tali aiuti vanno per il 50% alla Germania, e solo in minima parte all’ Italia, ch’è la più danneggiata. Inoltre, la Commissaria Vestager ha precisato che gli aiuti di Stato potranno essere dati solo ad imprese che non fossero in difficoltà prima del Coronavirus. Orbene, le domande di cassa integrazione in Germania erano raddoppiate proprio alla fine di febbraio, perché lì il Coronavirus era incominciato qualche settimana dopo l’Italia. Mentre, in passato, era totalmente falso che i meccanismi UE favorissero deliberatamente la Germania (perché si limitavano giustamente a premiare i Paesi più virtuosi), adesso il trucco filo-tedesco è scoperto, e senz’ alcuna logica giustificazione (perché il crollo dell’economia tedesca a cavallo di Capodanno è colpa proprio delle irrazionali fissazioni liberistiche e monetaristiche della politica tedesca, che, sotto questo punto di vista, non è virtuosa, bensì puramente incapace). Si tratta del peggiore gioco delle tre carte, di cui la burocrazia brussellese diviene schermo e pretesto. Quello che Toni Negri aveva chiamato “l’imbroglio”.
Come se ciò tutto ciò non bastasse, la Corte Costituzionale tedesca boicotta apertamente l’unico provvedimento serio dell’Europa, il “Quantitative Easing”, perché non garantirebbe a lei l’ultima parola, e, alla Germania, un “giusto ritorno” per l’avallo che dà alla BCE. Anche per la Corte Costituzionale tedesca, il richiamo fanatico alla necessità di un “controllo democratico” degli Stati Membri sulla BCE è fuori luogo da parte di un organo imposto dalle truppe di occupazione americane e creato con procedure segrete dal comitato di burocrati di Herrenchimsee.
La cosa è tanto scoperta che perfino Ursula von der Leyen, tedesca e vicinissima alla Cancelliera, sta meditando un ricorso contro la Germania per violazione dei Trattati.
E’ chiaro che, in questa situazione, è ben difficile difendere l’Unione Europea, perché la maggiore resistenza agli aiuti veramente necessari ai Paesi più colpiti proviene proprio da coloro i quali, senz’alcuna seria giustificazione, pretendono poi anche di monopolizzare il concetto di “Europa”.
L’Europa, un continente vecchio, è la maggiore vittima del Coronavirus
6. Figli d’ Europa, “vivete senza menzogna” (Sol’zhenicyn)
Per salvare l’Europa, occorre dunque dire la verità su tutto questo, al di là della diplomazia, dei tecnicismi e dei tatticismi, e non fare come i ”funzionari politici” e gl’”intellettuali organici” che si comportano come i burocrati comunisti polacchi della poesia di Milosc, censurando idee e parole in base a quale sia la “parrocchia” dove sono state “inventate”.
Innanzitutto, occorre riconoscere che questa situazione insostenibile conferma che il grado di decisionalità richiesto dal mondo contemporaneo, molto più elevato che non ai tempi del Dopoguerra, richiede un corrispondente livello di lealtà di tutti i cittadini verso la cosa pubblica, poi, che ci vuole, tra l’altro, anche una struttura istituzionale diversa, che incarni “ das Politische” dell’ Europa in un modo reattivo alle realtà del XXI secolo (dominate dalla “Singularity” americana, dalla “Via della Seta” cinese, dalla “Russia sovrana”, dal “governo della Torah”, dalla “Hindutva”, ecc…). Altro che lamentarsi con il Governo Conte per i decreti d’urgenza. Se i decreti d’urgenza non si adottano ora, quando mai? Basti vedere i numeri della pandemia, i quali, indipendentemente dalla “questione della colpa”, si chiudono con un bilancio schiacciante a sfavore dell’Occidente lacerato da polemiche strumentali, mentre non solo la Cina, ma tutti i “paesi in via di sviluppo” se la sono cavata egregiamente nonostante tutti i loro problemi.
Nessuno vuole spiegarci perché il virus colpisce soprattutto gli Stati Uniti e l’Europa Occidentale, e non l’Africa, l’America Latina o l’ India? (senza parlare dell’eccellente prova della Cina, che ha avuto meno vittime del Piemonte). Il Covid-19 è forse un “malanno della civiltà”?
La Cina ha impiegato troppe settimane a prendere provvedimenti contro il virus? Ma quante ne stanno impiegando i Paesi occidentali? Una volta, quando capiterà, racconterò con quale solerzia, quando viaggiavo ininterrottamente per i Paesi in Via di Sviluppo, mi avevano visitato, febbricitante, all’Amedeo di Savoia di Torino. Nel frattempo, avrei potuto tranquillamente infettare tutta l’Europa.
Ma, per potersi dare una strategia adeguata a una situazione siffatta, gli Europei debbono innanzitutto liberarsi dall’universo di falsità filosofiche, storiche, economiche e politiche in cui sono stati avviluppati da cent’anni dai “poteri forti”: così come scriveva Milosc in “Dece Europy” .Infatti, vigevano, e ancora sopravvivono, da noi, ideologie apparentemente contrapposte ma egualmente inaffidabili: la negazione delle costanti della nostra storia; la repressione degli autori autentici, i ponti d’oro per i conformisti; la propaganda martellante su qualunque seppur minimo evento, sulla base dell’idea che è lecito, anzi normale, mentire spudoratamente per sostenere le ragioni di chi finanzia il nostro giornale, la nostra casa editrice o la nostra televisione.
Basti dire che lo stesso pontefice emerito Joseph Ratzinger , come già, a suo tempo, Aleksandr’ Sol’zhenitsin, accusa oramai apertamente una forma di dittatura culturale di voler zittire perfino lui.
A quando il sovranismo europeo?
4.America First o Europe First?
Questa situazione abnorme non è senza rapporto con la sudditanza dell’Europa nei confronti dell’ America.
Infatti, l’Unione Europea, in quanto fenomeno della modernità, non può (per sua sfortuna) concettualmente sottrarsi alla competizione ideologica con gli altri modernismi (con “il comunismo”, con la “democrazia illiberale”, ma anche con l’ “American Creed”). Infatti, tutte le ideologie moderniste, per sopravvivere, debbono pretendere di costituire il traguardo ultimo del progresso (la “Fine della Storia”), sostitutivo della salvezza in senso religioso. Tuttavia, purtroppo per i modernisti europei, questa pretesa dell’Europa è smentita ogni giorno (già prima di Trump) dai diktat americani, che ricordano continuamente a tutti che, per l’Europa cosiddetta “alleata”, qualunque cosa che le permettesse di recuperare il primo posto davanti agli Stati Uniti in qualunque campo (cultura, tecnologia, politica, economia, difesa),costituirebbe una “slealtà”, perché l’ America dev’essere sempre la prima (“America First”). Si tratta, come a detto giustamente Putin, della lealtà del vassallo nei confronti del suo “Sovrano” (altro che “sovranismo!”)
E’ un fenomeno unico nella storia che le autorità americane possano ingerirsi ancora senza pudore, dopo 75 anni, nella vita politica europea e nelle scelte dell’Europa sul proprio futuro, in modo schiacciantemente parallelo alla vecchia “dottrina Brezhnev”. Basti pensare ai diktat che Pompeo ed Esper stanno scagliando sul governo italiano, reo di avere accettato aiuti di emergenza da una serie di Paesi ostili agli Stati Uniti (e adesso la mediazione di Erdogan per la liberazione della Marino). Avremmo dovuto rispedire indietro mascherine e ventilatori o fare uccidere la nostra cooperante per non far fare brutta figura ai nostri inumani partners?
Adesso sono riusciti perfino a farci cacciare i medici russi che stavano innocuamente ma provvidenzialmente disinfettando le RSA (e quanto ce n’è ancora bisogno”!).
Su questo atteggiamento di obbedienza, “pronta, ilare e assoluta”, come quella dei Gesuiti, lascio la parola a Franco Cardini:“ E su ciò i nostri governi europei sono peggio che ambigui: tacciono. Ostinatamente e spudoratamente. E magari, sotto sotto, danno una manina e tanti soldini a bravi e seri opinion makers i quali definiscono fake news tutte le notizie che non fanno loro comodo e definiscono ‘complottisti’ e magari ‘sovversivi’ (gran bella parole che ci arriva fresca fresca dal lessico politico di cent’anni fa ma che da secolare squallore è stata a vita nuova restituita) chi le propone……”.
Per l’Unione Europea, ultimo, esile, baluardo della libertà degli Europei, questa contraddizione di fondo costituisce dunque un ostacolo insormontabile per la realizzazione di ognuno dei suoi obiettivi (a cominciare da quello di suscitare l’ammirazione degli Europeisti) e le fa perdere sempre più credibilità, perfino di fronte a quei pochi che ancora non hanno capito il meccanismo dell’ imbroglio, ma semplicemente lo intuiscono:
-l’Unione pretendeva, con la “Strategia di Lisbona” di divenire nel 2010 l’”area più competitiva del pianeta”, e, invece, non solo è rimasta al di sotto degli Stati Uniti, ma adesso è sotto anche alla Cina;
-l’Unione pretende di difendere “the European Way of Life” (che io identificherei nella Classicità, nell’ Umanesimo, nella ricerca dell’eccellenza), ma invece, dei raffinati aristocratici come von der Leyen o Gentiloni sono costretti a prendere ordini da personaggi come Trump, mentre da noi imperversano demagoghi finanziati da Bannon e Soros che si fanno un vanto della loro rozzezza, e grazie a questo volano nei sondaggi : questa è l’ “American Way of Life!”;
-l’Unione pretende, oggi, di essere “il trendsetter” del dibattito sul digitale, ma, invece, tutto, del digitale europeo, a cominciare dai nostri dati, è in mano agli OTTs americani (Google, Facebook, Amazon, Apple, Microsoft), né nessuno sta facendo nulla per modificare la situazione (come potremmo benissimo riuscire a fare, vale a dire integrando le nostre, modestissime, capacità digitali attraverso licenze e joint ventures con Cina, Russia, India, Corea, Israele, per autonomizzarci finalmente dagli OTTs come ha fatto la Cina).
Come si può pretendere che, in una siffatta situazione, qualsivoglia organismo, sia esso europeo o nazionale, possa fare una politica, non dico nell’ interesse degli Europei, ma, almeno, coerente e sensata?
Del resto, già nel 1947, il fior fiore della politica e dell’intelligentija italiana si era schierato in Parlamento, contro il trattato di pace. Bastino per tutti le parole di Vittorio Emanuele Orlando. Approvarlo sarebbe stato una “abiezione fatta per cupidigia di servilità”. Eppure, quella era stata solo l’ultima fiammata di orgoglio, prima di un servilismo generalizzato e oramai pluridecennale. Chi si era azzardato a qualche guizzo d’indipendenza, come Olivetti, Mattei, De Gaulle, Craxi, Di Maio, Di Battista o la Botteri, viene subito punito.
Come dicevo, nel 1950 non si sarebbe potuto fare diversamente da quanto fecero in effetti i cosiddetti “Padri Fondatori” (e da quanto, nel 1949, avevano dovuto fare i loro colleghi fondatori del Comecon, organizzazione -si ricordi- ben più vasta e precedente nel tempo), ma oggi, se qualche raro individuo fornito delle necessarie qualità fosse disponibile a proporsi contro questa situazione, sarebbe almeno possibile cominciare ragionare più pacatamente e motivatamente sugli obiettivi a breve, medio e lungo termine dell’Europa (che non possono essere fissati a priori come un dogma indiscutibile, ma che bisognerà comunque prima o poi definire in modo più credibile di quanto non si faccia oggi).
A cominciare dall’ abbandono della pretesa messianica di essere il “traguardo più avanzato della civiltà”, che ci mette automaticamente in conflitto con tutti, e, dato il nostro status effettivo di “protettorato”, ci ridicolizza perfino. Nel XXI come hanno dimostrato, nel tempo Horkheimer e Adorno, Martin Rees, la “Laudato sì”, Greta e “Querida Amazonia”, l’eccellenza non è essere l”avanguardia (‘trendsetter’, per usare un termine della Commissione) del progresso”, bensì, come aveva scritto Pietro Barcellona, essere capaci di padroneggiarlo (al limite, di frenarlo: “il Katèchon”).
Dal punto di vista politico, tutto ciò si traduce nel vecchio “consilium coercendi intra terminos imperii” che, secondo Tacito, Augusto aveva dato a Tiberio. Questo è ciò che aveva permesso una coesistenza rispettosa fra Roma, Persia, India e Cina, e aveva favorito il seppure effimero trattato della “Pax Aeterna”fra Eraclio e Cosroe, da cui derivano in ultima analisi il multipolarismo le organizzazioni internazionali, attraverso l’”’Aqd” islamico, la “trewa Dei” germanica , l’ “Ewiger Landfrid” imperiale,e, alla fine, lo slogan della “Pace perpetua” di St.Pierre, Rousseau e Kant.
Questo è il messaggio che l’Europa dovrebbe lanciare nuovamente agli altri Stati continentali che si contendono la primazia nel mondo. Solo Stati-civiltà che, come quelli antichi, siano consapevoli che non si può “restaurare l’età dell’oro”, e, quindi un unico impero universale, possono accettarsi a vicenda su un piede di parità (il Multipolarismo fondato sul Multiculturalismo, o, nei termini del pensiero politico Han, Qin, Da Qin, Juandu e Anxi).
E’ con questi intenti che, approfittando di questa fase di “krisis” (crisi, ma anche decisione), abbiamo lanciato questo dibattito politico-culturale a tutto tondo, innanzitutto sul significato delle scelte di 70 anni fa che ci condizionano ancor oggi.
Spinelli con Einaudi:quando si tratta di dire come sarà l’ Europa unita, “le lingue balbettano”
5.Una conclusione federalista.
In termini federalistici, tutto ciò ci riporta alla contrapposizione programmatica fra Spinelli e Schuman.
Come aveva ben intuito Spinelli, il funzionalismo mirava ad adattare, a un’Europa passiva e depoliticizzata, le prassi tecnocratiche inaugurate dalle agenzie specializzate delle Nazioni Unite, solo apparentemente indipendenti, ma sempre sotto ricatto da parte dell’ America (come si vede ora con l’Organizzazione Mondiale della Sanità). D’altronde, David Mitrany, la figura-chiave del funzionalismo nella scienza dell’integrazione internazionale, pur essendo di origine rumena e cittadino inglese, visse ed operò negli Stati Uniti, criticando, da lì, tanto Coudenhove Kalergi quanto Spinelli, e, in particolare, accusandoli di non avere capito che cosa fosse veramente il federalismo (che per lui, ovviamente, sarebbe stato solo quello americano).
Invece, secondo il federalismo europeo delle origini (quello del Manifesto di Ventotene), se non si fosse costituito un vero potere europeo come contraltare agli Stati Membri, delle Istituzioni senza nerbo sarebbero state in balia delle lobby solo apparentemente “internazionaliste” che li circondano. E, in un mondo moderno livellato ed economicistico, il potere (economico o dello Stato), è perfettamente in grado (come scrive Cardini) d’influenzare gli “opinion makers”.
Oltre tutto, il tipo di funzionalismo ch’ è stato di fatto adottato dall’Unione a partire dal 1989 è stato uno pseudo-funzionalismo distruttivo, che, con il pretesto del liberismo, impedisce proprio di realizzare i migliori progetti funzionali, i quali, pur non essendo il toccasana di tutti i mali, sono comunque meglio di niente. Basti pensare a quanto realizzato invece al tempo delle Comunità Europee: all’ ESA, all’ Arianespace, a Airbus, a Galileo…e basta. Questi progetti non sono, né liberisti, né keynesiani, bensì una forma d’interventismo pluralistico e internazionale, che sarebbe il momento di moltiplicare all’ infinito.
Come scriveva Spinelli, il suo messaggio era« estraneo alla cultura politica, alle consuetudini, al linguaggio politico corrente di tutti gli statisti, di tutti i parlamentari, di tutti i giornalisti d’Europa. È assai facile dire che si è per gli Stati Uniti d’Europa, per un governo europeo, ma non appena da queste formule astratte si deve scendere a precisare una qualche azione politica diretta a realizzare quell’obiettivo, le lingue balbettano, le menti si offuscano, la volontà vacilla, perché si tratta di cosa troppo radicalmente nuova e perciò non solo seducente ma anche inquietante».
Non essendo oggi neppure in grado di realizzare i già banali progetti funzionalistici delle Comunità Europee, l’Unione Europea è rimasta priva di un esercito, di un’industria culturale, di un’ industria digitale, perfino di un coordinamento contro le catastrofi. Ed è chiaro quanto questo ci costi in termini di spese per mantenere la NATO (spendiamo più di Russia e Cina messe insieme); d’inadeguatezza della classe dirigente (assenza di un’identità europea); di sottrazione al nostro Continente, da parte degli OTTs, di tutti i generi di risorse e competenze; d’impossibilità di perseguire obiettivi di valore etico o culturale “alto” al di sopra della banale quotidianità. La crisi dell’Europa è tutta qui.
6. Per “salvare l’Europa”, come tutti chiedono, occorre semplicemente fare l’Europa sul serio (e non per finta, come vuole l’ America), con tutta la franchezza, la durezza e i sacrifici che ne conseguono.
Oggi, le conseguenze pratiche del funzionalismo pseudo-liberistico e inefficace “alla Mitrany” sono di fronte a tutti:
-la decadenza dell’Europa;
-l’insoddisfazione della popolazione;
-la perdita di credibilità delle classi dirigenti;
-la discordia generalizzata fra i popoli d’Europa;
-la possibile fine dell’integrazione europea.
Ora che i termini del problema sono evidenti, è il momento di affrontarli alla radice. E’ vero che alcuni demagoghi, difensori dello status quo, per non riconoscere la verità dell’ analisi sviluppata qui sopra, si ostinano a spiegare questi fenomeni in base a ideologie obsolete, ma l’insostenibilità dei loro miti internazionalistici (l’America egemone benigno e disinteressato, il neo-liberismo quale rimedio a tutti i mali, la superiorità del sistema occidentale su tutti gli altri sistemi del mondo, il continuo progresso, la stabilità e la sicurezza di quest’ordine internazionale), è oramai palese, così come lo era diventata trent’anni fa l’obsolescenza della visione dei fatti e della storia fondata sulla lotta di classe fra gli operai (che non esistono praticamente più) e gl’imprenditori (che sono sull’ orlo del fallimento).
Commemorare la Dichiarazione Schuman vuol dire dunque ricavarne tutti gl’ insegnamenti positivi, rifiutandone nel contempo i molti lati oscuri, indirizzandoci, come scriveva Spinelli a «tutti coloro, infine, che, per un senso innato di dignità, non sanno piegar la spina dorsale nella umiliazione della servitù. A tutte queste forze è oggi affidata la salvezza della nostra civiltà».
Quindi:
sì:
-all’ “acquis communautaire » ;
– al gradualismo;
– alla concretezza;
– ai progetti europei;
no:
-al funzionalismo;
-alla “Singularity”;
-alle ingerenze americane;
-alla repressione dell’identità culturale europea (che implica anche quella delle etnie, delle religioni, dei popoli, delle Nazioni, degli Stati, dei ceti, delle lingue, delle culture, delle regioni, delle città, delle famiglie, delle personalità degli Europei).
Come ha scritto Giulio Saputo in Eurobull, “Spinelli si mette in moto; quando non lo offre, ritorna alla riflessione e aspetta che si crei una situazione che permetta di agire. (…) non pensa che fare l’Europa dipenda solo dalla propria azione, ma ritiene piuttosto che il suo ruolo stia nel tentare di cogliere le opportunità che il processo storico, attraverso il mutare delle situazioni di potere, offre».Oggi, la situazione di potere caratterizzata (per riconoscimento unanime) dall’ incrinarsi della leadership americana del movimento globalizzatore ha aperto la strada alla riscoperta della “European Way of Life” quale alternativa all’ ipermodernità occidentale, e, quindi, ha aperto canali di dialogo fra gli Europei e il resto del mondo. Attraverso questo dialogo, si stanno allentando le catene di comando (culturali, personali, lobbistiche, ideologiche, tecnologiche, istituzionali, militari, sociali) attraverso le quali il sistema informatico-militare ha paralizzato la dinamica storica dell’Europa per aprire la strada alla Singularity.
Attraverso questo allentamento del politicamente corretto, possono formarsi momenti di riflessione obiettiva sulla condizione postmoderna, che possono influenzare alcune strutture di potere in Europa e nel resto del mondo, al fine d’intensificare la de-costruzione di un’architettura internazionale fondata sulla divisione e subordinazione dell’Europa.
Dalla rinata consapevolezza della unitarietà della tradizione europea e della potenziale forza di un movimento europeo assertivo potrebbe nascere una corrente trasversale più vasta, in tutte le aree geografiche e in tutti i segmenti della società europea, che miri alla costruzione di una vera Europa, con una sua cultura, una sua società, una sua economia, un suo esercito, distinti da quelli dell’Occidente e a questo non subordinati. Solo allora acquisterà il suo pieno significato la Conferenza sul Futuro dell’ Europa.
Il libro “La nuova guerra civile” dell’ anno scorso, tratta della distruzione dell’ Europa conseguente ai suoi dissidi interni
Come sempre, accolgo con interesse le iniziative del Professor Cardini, ultima fra le quali, quella di concentrare, tramite il suo blog, sul rapporto con la NATO l’attenzione del pubblico, sollecitando i commenti dei lettori. Mi sembra infatti che il Presidente Macron, al di là delle sue contingenti prese di posizione, stia avviando proprio in questi giorni, con le sue esternazioni, una vera e propria rivoluzione ideale sulla geopolitica dell’ Europa, in termini che vale la pena di commentare testualmente: « J’essaie de comprendre le monde tel qu’il est, je ne fais la morale à personne. J’ai peut-être tort. »
A mio avviso Macron ha però torto almeno quando afferma che non si può rimproverare a qualcuno di non aver visto in passato ciò che si stava avvicinando ( « Peut-on reprocher à quiconque de ne pas l’avoir vu il y a cinq ou dix ans?)” .In effetti, le verità sulla NATO, sulla guerra informatica e commerciale e sulla società del controllo totale si potevano prevedere da almeno 20 anni, se non da 70, quando noi ne avevamo appunto scritto. Cito solo alcune tappe fondamentali della rivoluzione esistenziale in corso:
-1941-1960: conferenze Macy sull’informatica;
-1968: “2001 , Space Odyssey” di Kubrick , realizzato insieme alla NASA;
-1993: conferenza alla NASA di Vernor Vinge sulla Singularity;
-2000: “The future does not need us”, di Bill Joy;
-2005, “The Singularity is near”, di Ray Kurzweil;
-2007: Prism;
-2011: “The Net Delusion”, di Evgeny Morozov;
-2013: fuga di Snowden.
Coloro che non hanno visto (o non hanno voluto vedere) queste realtà sono i leaders dei Paesi europei, che in teoria sarebbero pagati profumatamente per guidare il nostro Continente studiando il futuro, ma che invece hanno ben altre priorità.
Quanto ai cittadini europei, come scrive Cardini,”se la NATO bombarda da qualche parte tra Europa, Asia e Africa, ne siamo tutti responsabili. I nostri politici e i nostri media accettano la cosa come se fosse del tutto normale e ne parlano il meno possibile. Vorremmo impegnarci a modificare questa situazione: ad essere più coscienti, più attivi, più presenti. Magari a rimettere in causa anche le ragioni per le quali, in passato, tanti europei hanno riposto tanta fiducia e tanta speranza in quell’organismo. Lo meritava davvero, oltre settant’anni fa? Lo merita ancora, oggi? Chi decide al suo interno? Quanto ci costa? Quanto incide sulla nostra sovranità politica e territoriale? Tutti ne siamo corresponsabili, nessuno può tirarsi fuori: abbiamo coscienza di tutto ciò? O preferiamo seguire l’esempio di quanti, a proposito della Shoah, hanno detto ‘io non so, io non c’ero, io non ne sapevo nulla?’ ”
Perciò, raccogliendo l’invito di Cardini, dedichiamo anche noi questo post alla NATO e al Vertice di Londra di questa settimana.
La “Repubblica dei due Popoli”, vale a dire la Grande Polonia dei Secoli XVII e XVIII
1.L’”aurea libertà” dell’aristocrazia polacca e la distruzione dell’ Europa
Credo che la situazione attuale dell’Europa possa essere illustrata bene con l’esempio storico del declassamento e del crollo, nel XVIII Secolo, della “Repubblica Polacco-Lituana”, multinazionale e multiculturale, per due secoli il più grande Stato d’Europa, distrutto in duecento anni dalla fondazione per colpa della sua inadeguatezza istituzionale. Il Regno polacco, trasformatosi nel 1659 nella “Repubblica dei due Popoli” (comprendente anche Prussia, Paesi Baltici, Bielorussia, Ucraina, Moldova e un “Parlamento dei Quattro Paesi” ebraico), alla fine del XVII Secolo era retto dal principio del “Liberum Veto”, che prevedeva, per qualunque decisione, il consenso di tutti i membri della Dieta federale. Questo sistema, che assomigliava molto al sistema consensuale delle attuali Istituzioni europee, veniva definito apologeticamente come “Aurea Libertà”, perché garantiva un potere enorme ai ceti privilegiati; in realtà, esso condusse la “Repubblica”, nel giro di un secolo, alla sparizione e i suoi popoli all’ asservimento. Si diffuse in proposito un gioco di parole. Mentre i sostenitori dell’ Aurea Libertà avevano coniato il motto “Nie rządem Polska stoi, ale swobodami obywateli” (La Polonia prospera non per il suo governo, ma per le libertà cittadine), i critici ne leggevano l’incipit come “nierządem”, cioè ”disordine”: dunque, “La Polonia si regge sul disordine”. La stessa ambiguità vale per l’Unione Europea, dove viene oggi esaltato ogni genere di libertà, ma, in realtà, su qualunque argomento siamo condannati ad attuare semplicemente il volere di poteri esterni, che mirano al nostro asservimento e alla distruzione del nostro Continente, mentre chi ne trae profitto è soltanto una casta “bibéronnée dans les campus américains”(come scrive Le Monde Diplomatique), i cui lussi e i cui capricci vengono contrabbandati come “diritti umani” dall’ideologia del “liberalismo progressista”. Secondo Mearsheimer, infatti, lungi dal costituire una meritoria e disinteressata forma di impegno civile, “l’egemonia liberale è una strategia di pieno impiego per l’establishment della politica estera”.
Un importante corollario del Liberum Veto era il divieto di riforme legislative senza l’unanimità dei notabili: “Nic nowego brzez nas” (“nulla di nuovo senza di noi” (anche questo un possibile motto dell’Unione, dove gli stessi temi, e, in primis, la Politica Estera e di Difesa Comune, sono in discussione da ben 70 anni senza mai essere approdati a una qualche conclusione). Come si vede, la Polonia, lungi dal costituire un elemento estraneo nell’ Unione Europea, ne è stata una sorta di anticipazione.
Il Liberum Veto spalancò ovviamente le porte alle potenze straniere, che corrompevano i nobili affinché esercitassero il loro voto contro le decisioni ad esse sgradite. In tal modo, la “Rzeczpospolita” divenne uno Stato a sovranità limitata, dove il re (in genere straniero) veniva scelto dall’ esterno, e, il più sovente, dallo zar di Russia. Quando però la Russia inviò proprie truppe in Polonia, il Re di Prussia reagì con un’avveniristica “covert operation”, immettendo sul mercato una gran quantità di monete polacche contraffatte, così provocando la crisi economica che portò al crollo della “Rzeczpospolita”.Alla fine, Russia, Prussia e Austria invasero definitivamente la Polonia decidendo di cancellare completamente il Regno, e di dividersene i territori.
L’Unione Europea, sottoposta contemporaneamente al protettorato americano e all’influenza crescente di Russia e Cina, si trova oggi in una situazione molto simile a quella della Polonia del sei-settecento, in cui nessuno ha il diritto di agire tempestivamente in difesa della “ragion di Stato europea”. Ogni decisione viene bloccata dalla casta in nome di una pretesa “aurea libertà”, sicché è ovvio che le tre maggiori potenze mondiali, a cominciare dagli USA, per poi allargarsi ad altre, siano portate a ingerirsi nella vita politica interna dell’Europa attraverso influenze culturali e sociali e con la corruzione, che siano già passate dall’occupazione militare, e si accingano ad arrivare ben presto alla spartizione (le cui linee iniziano ora a delinearsi). Ancor ora, questa situazione deteriorata viene esaltata come se fosse un’”aurea libertà”, ma non passerà molto tempo che se ne vedranno le incredibili conseguenze. Basti vedere che cosa è diventato il Medio Oriente grazie a un secolo di debolezza interna e di continue ingerenze esterne, senza nessuna potenza egemone interna che tenga fuori i guastafeste.
Rispetto alle due situazioni citate, quella dell’Europa di oggi si distingue però, come già detto, per il ruolo centrale dell’informatica (cfr par. 2, infra).
Jan Sobieski a Vienna, il sovrano che aveva portato la Grande Polonia al centro della politica europea
2.Finalmente parliamo di politiche estere “à tous les azimuts”
L’essenziale della riflessione di Macron è un brusco richiamo degli Europei al realismo sulla reale situazione geopolitica dell’ Europa :
« l’Europe était guidée par une logique dont la primauté était économique, avec la conviction sous-jacente que l’économie de marché convient à tout le monde. Et ce n’est pas vrai ou plus. Nous devons tirer des conclusions: c’est le retour d’un agenda stratégique de la souveraineté. »
Un richiamo al realismo che trova un riscontro anche nella più recente politologia americana (per esempio, in John Mearsheimer).
Che bisogni tornare alla sovranità, è dimostrato innanzitutto dall’aggressione all’ Europa delle multinazionali del web: “Si nous n’agissons pas, dans cinq ans, je ne pourrai plus dire à mes concitoyens: ‘Vos données sont protégées’ »…Detto fatto, la Francia e l’Italia hanno finalmente introdotto una modesta web tax sui profitti delle multinazionali informatiche. Questo è bastato, a sua volta, a Trump per inasprire ulteriormente le sanzioni contro gli Europei, in primo luogo contro la Francia, ma il monito riguarda anche l’Italia, che, nella legge di Bilancio 2020, ha previsto un’aliquota del 3% per i colossi del web. Tuttavia, le ragioni vere del conflitto sono altre. Come hanno chiarito Evgeny Morozov, Shoshana Zuboff e Limes online, attraverso le “GAFA” l’America controlla globalmente le nostre società e le nostre economie. Una tassa del 3% non compensa affatto quest’ enorme drenaggio di cassa, e, soprattutto, di potere, che si potrebbe arginare solo “nazionalizzando i dati” degli Europei (cioè immagazzinandoli in Europa). Perciò, questa tassa, pur così osteggiata da Trump, è in realtà soltanto come il famoso “piatto di lenticchie” per il quale Esaù aveva rinunziato alla primogenitura.
Come si è potuti arrivare a questo punto? Per Macron, si sarebbe trattato di un colossale abbaglio ideologico, che aveva ingenerato una strana reticenza (io direi di censura) per tutta la problematica internazionale dell’ ITC, una reticenza che, sempre secondo Macron, è stata perfino “imposta”, da qualcuno (che Macron non nomina): « Je pense que l’agenda européen lui a été imposé pendant des années et des années. Nous étions trop lents sur de nombreuses questions. Nous avons discuté de ces questions. Mais ce n’était pas vraiment une question que nous voulions nous poser, car nous vivions dans un monde où les alliances étaient sécurisées et qui maximisait les échanges commerciaux ».
Si trattava in sostanza del mito della Fine della Storia, un’antichissima ideologia a cui si faceva finta di credere per compiacere l’America : » L’idéologie dominante avait une idée de la fin de l’histoire. Donc, il n’y aura plus de grandes guerres, la tragédie a quitté la scène, tout est merveilleux. L’agenda primordial est économique, non plus stratégique ni politique. En bref, l’idée sous-jacente est que si nous sommes tous liés par des entreprises, tout ira bien, nous ne nous ferons pas du mal. D’une certaine manière, l’ouverture indéfinie du commerce mondial est un élément de la paix.« Quello che il Papa ha chiamato “angelismo”: un’idea, quella del « doux commerce », nata per altro in Francia con Benjamin Constant e che ha avuto un lunga storia nel mondo anglosassone (l’ “internazionalismo liberale”).
Tuttavia, per dirla con Toni Negri, si trattava di un imbroglio, ben presto scoperto : »Sauf que, dans quelques années, il est devenu évident que le monde était en train de se séparer, que la tragédie était revenue sur scène, que les alliances que nous pensions être indestructibles pouvaient être renversées, que les gens pouvaient décider de tourner le dos, que pourrait avoir des intérêts divergents. Et qu’à l’heure de la mondialisation, le garant ultime du commerce mondial pourrait devenir protectionniste. Les principaux acteurs du commerce mondial pourraient avoir un programme qui soit davantage un programme de souveraineté politique…. «
Ingannati da quell’imbroglio, gli Europei avevano dimenticato il ruolo direttivo della politica (tanto caro, per esempio, al Presidente De Gaulle):« D’une certaine manière, nous avons complètement abandonné ce qui était autrefois la ‘grammaire’ de la souveraineté, des questions d’intérêt général qui ne peuvent pas être gérées par les entreprises. » Quindi, Macron critica anche l’idea del « deperimento dello Stato », che, secondo l’ideologia mondialistica di fine ‘900, sarebbe stato sostituito dalle multinazionali : » Les entreprises peuvent être votre partenaire, mais c’est le rôle de l’État de gérer ces choses. »
Dunque, come per De Gaulle, «La politique d’abord, l’intendance suivra » . Sul piano delle politiche europee, quanto precede ha, come conseguenza, che si deve perseguire un sovranismo europeo, che sia comparabile a quelli americano e cinese. Infatti, meritano rispetto solo gli Stati che siano sovrani come l’ America e la Cina:« J’ai toujours dit à nos partenaires, qu’ils soient américains ou chinois: ‘Je vous respecte parce que vous êtes souverains’.Je pense donc que l’Europe ne sera respectée que si elle reconsidère sa propre souveraineté. »Dunque, con buona pace dei nostri « sovranisti », non può essere sovrano uno Stato che non abbia dimensioni comparabili a quelle di America e Cina, anche se la nostra classe dirigente, priva di un proprio orientamento culturale, non si muoverà in tal senso se non quando vi sarà portata da qualcun altro.
E, in effetti, la causa prima della debolezza, nel ‘700, della Polonia, e, ora, dell’Europa, è quella di non possedere al suo interno, come i suoi vicini, un soggetto politico forte (ieri, come le imperatrici di Austria e di Russia e il Re di Prussia, oggi, come i presidenti americano e cinese), in grado di coniugare diplomazia, lobby e forza militare, senza essere intralciato nelle sue politiche estera e di difesa.
La corsa verso l’informatica proprio deriva dal fatto che l’America s’illude di poter realizzare artificialmente una “fine della Storia” a proprio favore attraverso il monopolio dell’ ICT(come dimostra l’isteria contro l’uso di tecnologie Huawei), attraversando così indenni questo momento sfavorevole (Caracciolo, Mearsheimer).
Infatti, la situazione è complicata dal fatto che la politica estera e di difesa è ormai essenzialmente una questione cibernetica, e l’Europa, che non ha un potere digitale unitario, ma, anzi, è completamente immersa nel sistema digitale americano, non ha alcun margine di manovra, in nessun senso. Infatti, i dati dei nostri cittadini, delle nostre imprese e dei nostri eserciti, sono tutti immagazzinati nei server di Salt Lake City, che, come è stato confermato dalla sentenza Schrems, sono completamente disponibili alle 16 agenzie americane di intelligence, per effetto di leggi ormai secolari, che -Obama ha dichiarato- l’America non abrogherà mai. In una notte in cui, come nel 1983, qualcuno dovesse decidere, come il tenente colonnello Petrov, se schiacciare o no il pulsante della 3° Guerra Mondiale, quel qualcuno non saremo sicuramente noi, e la nostra posizione non sarà certamente considerata da nessuno, se non nel ruolo di bersagli (vedi testate nucleari americane permanentemente montate sui nostri bombardieri, come ricorda molto opportunamente Manlio Dinucci sul blog di Cardini).
Da questo problema fondamentale derivano tutti gli altri, per altro neppur essi irrilevanti. In una società completamente informatizzata, se non abbiamo la possibilità, ma neppure il diritto, di avere un’autonoma gestione dei nostri dati, non possiamo, né proteggere la nostra economia, basata sulla proprietà intellettuale, né avere una vita politica autentica, perché questa sarà sempre manovrata dai dossier segreti raccolti su di noi. E, se non possiamo avere, né un’economia autonoma, né una politica autentica, continuerà in eterno la nostra decadenza culturale, economica, politica e militare, fino al completo esaurimento di ogni nostra risorsa. E’ per questo che non siamo in grado di formulare i nostri progetti, né a breve, né a medio, né a lungo termine -perché intuiamo che, a meno di un miracolo, le cose non potranno se non peggiorare, e, comunque, la realizzazione dei nostri progetti non dipenderà da noi-. I nostri governanti possono solo fingere di governare.
In definitiva, per Macron la sovranità tecnologica europea dev’essere equidistante fra Cina e Stati Uniti: « En ce qui concerne la 5G, nous nous référons principalement aux relations avec les fabricants chinois; en matière de données, nous parlons principalement de relations avec les plateformes américaines. »
Certo, quest’ obiettiva esigenza (intravvista, anche se a malincuore, da tutti gli osservatori) è difficile da digerire per una classe dirigente nichilistica, che, formatasi nel XX secolo al marxismo e al sessantottismo, era riuscita con grande sforzo, per sopravvivere, a riconvertirsi al neo-liberismo occidentale, e ora si vede condannata allo sforzo di una nuova migrazione intellettuale, per giunta verso siti che nemmeno conosce.
La politica mondiale è dominata da imperi assertivi, con cui l’ Europa non riesce a confrontarsi
3.L’Italia: scenario per eccellenza dell’ imbroglio “angelista”
Ciò che più assomiglia all’antica “Aurea Libertas” polacca è l’atteggiamento di sudditanza, al limite dell’alto tradimento (per usare un termine di Salvini), che i leader europei dimostrano verso quelli extraeuropei. Quando le varie fazioni americane vengono in Italia per farsi dare le prove pro o contro il Russiagate, Salvini preferisce dimettersi per non urtarsi con nessuno, soprattutto perché Trump ha appena officiato “Giuseppi”; e, tuttavia, per l’America Salvini non è ancora abbastanza allineato, sicché si fanno gli occhi dolci alla Meloni. Di Maio firma il memorandum sulla Via della Seta, ma, su richiesta degli USA, ne “sfronda” tutti i business più succosi, fino a far crollare le nostre esportazioni in Cina; poi, l’Ambasciatore cinese convoca a rapporto Beppe Grillo per una ramanzina, e l’Italia si astiene da commenti su Hong Kong, ma subito dopo permette a un oppositore anti-cinese di collegarsi via Skype con il nostro Parlamento. A questo punto, il Ministro degli Esteri cinese e l’ambasciata in Italia emettono una dura reprimenda. Siamo arrivati ad Arlecchino servo di due padroni. Non si era detto concordemente che tutti si devono astenere dalle ingerenze nella politica interna degli altri Stati, e che il commercio internazionale dev’essere libero? Giustamente, si afferma anche che quest’ultimo dovrebbe essere una competenza dell’Unione Europea. E, in effetti, ci sarebbero anche i “poteri impliciti” di quest’ultima Ma, quando pure ne avesse i poteri, essa sarebbe in grado di comportarsi in modo diverso dai leader italiani? La debolezza è degli Europei in generale, non solo dell’Italia o dell’Unione. Abbiamo una visione di quello che vogliamo essere fra 1, 5, 10, 20, 50, 100 anni, e di quali passi dobbiamo percorrere per arrivarci? Secondo Angelo Bolaffi, “ad oggi non c’è ancora un’idea precisa di quale possa essere questa ‘terza via’ e l’ Europa rischia per questo di essere schiacciata in una ‘global tech war’, nella guerra per il dominio globale della tecnologia”. Francamente, a me sembra di averla, questa idea, e di esprimerla. Tuttavia, sono i meccanismi viziati della comunicazione e del consenso che hanno, fino ad ora, reso impossibile la comunicazione dei contenuti genuinamente europei.
Arianespace, un’eredità gaullista
4.La Conferenza fra funzionalismo e federalismo
Francia e Germania hanno proposto, forse tempestivamente, o forse già oltre il tempo massimo, di organizzare per il 2020 una “Conferenza sul futuro dell’ Europa”, in cui ci si ripromette di affrontare tutti i temi in sospeso. In particolare, Macron sembra intenzionato a porre la questione della difesa comune. Una volta tanto, concordo con il trafiletto di Sergio Fabbrini su “Il Sole 24 Ore”della scorsa domenica: “Viste le divisioni tra gli Stati membri, la Conferenza potrebbe finire per fare propria una visione continuista del futuro dell’ UE. Si tratta di un rischio perché non si esce dallo stallo in cui ci troviamo riscaldando la stessa minestra. Occorrerebbe invece cambiare il paradigma di riferimento dell’integrazione, riconoscendo con realismo l’insufficienza di quello fino ad ora predominante, il metodo funzionalista (basato sull’idea di un’integrazione continua) dovrebbe essere sostituito da un metodo federalista (basato invece sulla definizione costituzionale delle istituzioni e delle competenze dell’ UE)”.
Il problema è che nessuno si sofferma mai bene a vedere che cosa sono gli approcci, rispettivamente, “funzionalista” e “federalista”, di cui tanto si è parlato nell’ ambiente europeista. Il funzionalismo è quella tendenza culturale, assolutamente attuale, che ritiene che tutte le realtà umane si possano ridurre a funzioni, traducibili in algoritmi, e trasferibili su altri “vettori”. Esso deriva dalla “religione della scienza” dei sansimoniani e prelude al transumanesimo. In politica, Mitrany lo usò per contraddire Spinelli, sostenendo invece la “Dichiarazione Schuman”, con l’idea che le collaborazioni su aspetti tecnici avrebbero sviluppato una “solidarietà di fatto” fra gli Europei. Questo significava pensare che gli uomini fossero uniti solo dall’economia, e non da motivazioni psicologiche, politiche o spirituali. Al contrario, il “federalismo” come lo concepiva originariamente Spinelli era un approccio rivoluzionario, con cui egli sperava di fare accettare, nella confusione postbellica, una federazione europea molto lontana dalle realtà di fatto dell’epoca. Spinelli si sbagliava, evidentemente perché, nel 1941 (al tempo del Patto Molotov-Ribbentrop), non si poteva ovviamente immaginare come sarebbe finita la IIa Guerra Mondiale, e, in particolare, che i pochissimi federalisti, come del resto buona parte dei leader antifascisti, non avrebbero avuto alcuna reale presa sugli aspetti militari, essendo tra l’altro la maggior parte restata in Svizzera, senza partecipare neppure alle operazioni partigiane. Il potere alla fine della guerra spettò pertanto agli Alleati, e, in piccola parte, alle burocrazie prebelliche, i quali appoggiarono, alla fine, almeno il progetto funzionalistico, ma con grandi tentennamenti, e non avrebbero comunque approvato il progetto federalistico di Spinelli, che mirava a togliere peso all’ apparato statale nazionale, alle lobby ad esso collegate e soprattutto alle potenze vincitrici.
Infatti, difficilmente una federazione viene creata pacificamente, come dimostrato dai casi degli USA, del Sudafrica, dell’ URSS e dell’ India. Di qui il cosiddetto “machiavellismo” a cui furono costretti i padri fondatori delle Comunità Europee, e, in primis, di Spinelli, che tentarono di far passare comunque la loro impostazione, pur non avendo in mano delle grosse carte. Oggi, è escluso più che mai un colpo di mano di una parte di alcuni Europei nei confronti di altri, ma il temporaneo squilibrio di forza politica fra Macron, da un lato, la leadership tedesca azzoppata, dall’ altra, e, infine, quella degli altri Stati membri, è così ragguardevole, che Macron potrebbe anche tentare una forzatura, per esempio per ciò che concerne la politica estera e di difesa. Qui, Fabbrini, che pure teme, e giustamente, le solite rifritture, cade però anch’egli nel “déja vu”, quando paventa l’ipotesi che Macron “non la utilizzerà per avanzare la visione egemonica della Francia di De Gaulle”. Non capisco infatti in che altro modo si potrebbe fare avanzare una politica estera e di difesa europea in un mondo completamente digitalizzato, se non mettendo a disposizione dell’ Europa, attraverso un colpo di mano francese, un web autonomo da quello americano, così come De Gaulle aveva creato dal nulla (e messo a disposizione dell’ Europa), i missili balistici intercontinentali usati dall’ Ariane per i lanci civili e dall’Ente Spaziale Europeo e di Arianespace, i Treni ad Alta Velocità (TGV) per avviare le Reti Transeuropee, e, infine, l’ Airbus, per avviare un’industria europea aerospaziale e di difesa.
Per realizzare tutto ciò, Macron rilancia praticamente il decisionismo gollista :” Je suis en faveur d’une efficacité accrue, d’une décision plus rapide et plus claire, d’un changement du dogme et de l’idéologie qui nous animent collectivement aujourd’hui.”Macron conta di utilizzare, a questo fine, i cosiddetti “poteri impliciti” della Commissione, in particolare attraverso le deleghe attribuite a Thierry Breton: « Sur bon nombre de ces sujets, la Commission européenne est compétente: le numérique, le marché unique et maintenant la défense dans le cadre d’une coopération renforcée. C’est d’ailleurs le portefeuille français de la prochaine Commission ».
Ricordiamo che, se non ci fosse stato De Gaulle, non avremmo neppure quello straccio d’integrazione “funzionalistica” che oggi abbiamo attraverso i “caMPIONI EUROPEI”, anche se, qualitativamente, non si discosta dalle soluzioni del XIX Secolo: la Società della Navigazione sul Reno, il Treno Mitropa e l’Orient Express, voluti dai Sansimoniani.
I Whistleblowers
Un’occasione d’oro per dire la propria opinione
Certo, anche ora, nonostante la crisi dell’interventismo liberale, neanche un’America “realista e nazionalista” come la vorrebbe Mearsheimer, potrà non “stare a guardare”, come dimostrato dalle rappresaglie sulla Web Tax, ma è questo il momento più propizio per l’ Europa per ingaggiar battaglia. Tutti coloro i quali, da 70 anni, non fanno che lamentarsi dell’Europa, vuoi perché troppo tecnocratica, vuoi perchè lontana dai cittadini, vuoi perché poco sociale, vuoi infine perché poco sovrana, non possono permettersi di restarsene inattivi dinanzi all’occasione fornita dalla Conferenza. Altrimenti, si rivelerebbe troppo chiaramente che le loro proteste sono meramente strumentali, per far sfogare la giusta rabbia degli Europei senza modificare lo status quo e non attirarsi, così, le ire dei poteri forti. Concordo però con Fabbrini sul pericolo che la Conferenza si riveli un ennesimo giro a vuoto, anche perché già il documento preparatorio elude i temi più scottanti.
Eppure, se la classe politica non ascolterà mai proteste motivate e vibrate dei cittadini, continuerà a comportarsi come Don Ferrante: “sopire, troncare, troncare, sopire”, fingendo di attivarsi e in realtà bloccando ogni tentativo di soluzione. Fattivamente, Cardini chiede a tutti di commentare sul suo blog i post sulla NATO, cosa che noi stiamo già facendo con questo articolo. Invitointanto tutti a partecipare a questo dibattito, tramite il blog di Cardini e/o il mio.
Certo che ci sono varie soluzioni alternative alla NATO, e sono precisamente quelle di una difesa autonoma dell’Europa, come proposto, fra le righe, da Macron, e di una serie di accordi con i Paesi vicini per la prevenzione dei casi di guerra, come accennato fin dall’ inizio da Putin e, all’ ultimo vertice, perfino da Stoltenberg.
Intanto, mentre l’America è un’”ideocrazia”, o , come diceva Chesterton, ”una nazione con l’anima di una Chiesa”, che ritiene suo dovere religioso quello di imporre a tutto il mondo, non soltanto l’adozione dei suoi sistemi economici e sociali, ma addirittura l’adesione ai suoi valori, e, perfino, alle sue idiosincrasie, l’Europa dice invece di credere nella diversità delle grandi tradizioni culturali del mondo, come testimoniato dai suoi grandi autori, come De Las Casas, Ricci, Goethe, Schopenhauer….
Secondo Mearsheimer, l’identità americana, al di là della prevalenza attuale del liberalismo progressismo, ha comportato sempre una qualche necessità d’ ingegnarsi nella vita di tutti i paesi del mondo, imponendo loro il proprio controllo -culturale, ideologico, giuridico, economico e militare-, mentre invece l’Europa non sente tradizionalmente questo bisogno, perché essa è, come dice il Papa, “poliedrica”. Ci sono in Europa Lapponi e Turchi, Irlandesi e Ebrei, Inglesi e Russi, ciascuno con sue tradizioni, religioni, culture, abitudini, esigenze e interessi diversi. Perché mai questi Europei dovrebbero andare in giro per il mondo, come pretenderebbe Stoltenberg, a bombardare, occupare, reprimere, indottrinare, per attuare gli ordini, le idee e gli interessi di qualcun altro? Non riesco a trovare argomenti validi per contestare agl’Islamici le loro monarchie e repubbliche islamiche, così come noi abbiamo il Regno d’Inghilterra, con la Regina che è a capo, tanto della Chiesa ,quanto della Massoneria; né, ai Cinesi, di organizzare il loro impero, di dimensioni uniche nel suo genere, con gli stessi criteri collaudati con cui l’hanno gestito con successo da cinquemila anni, e che assomigliano moltissimo a quelli della Chiesa Cattolica.
In secondo luogo, “America First” significa come minimo “Europe Second”. Ammesso che esista un “Occidente” e che i due popoli vogliano veramente coesistere, non si capisce perché trecento milioni di Americani pretendano di guidare in eterno almeno seicento milioni di Europei.
Ne deriva che le esigenze di difesa dell’Europa sono in ogni caso sostanzialmente più modeste di quelle americane, e possono essere soddisfatte con un minore costo e dispendio di energie, soprattutto se non fossimo più costretti a disperdere le nostre forze per obiettivi che non sono i nostri.Quindi, secondo Ezio Mauro, oggi manca proprio il collante storico politico, storico, culturale di un’ideologia comune alle due sponde dell’Atlantico, quello che fino ad ora era stato costituito dalla fiducia nel progresso, che giustifichi la NATO: “L’alleanza è una pura, gigantesca sopravvivenza, che deve giustificare se sterssa in un mondo a-occidentale”.
Vorremmo impegnarci, come chiede Cardini, “a modificare questa situazione: ad essere più coscienti, più attivi, più presenti..” Nessuno s’illude che si tratti di un compito semplice. Come ha scritto Le temps, « bousculer la plus puissante coalition militaire mondiale ne suffit pas. Encore faut-il avoir un plan pour en modifier le cap. Et disposer des clés pour déverrouiller l’étreinte américaine”
Quello che i critici della NATO non fanno, e dovremmo o incominciare a fare noi, sarebbe proprio indicare dei punti di proposta alternativi, partendo dalla comprensione del ruolo della guerra nelle società del XXI Secolo, e, in particolare, del suo rapporto con i miti messianici come quelli del Progresso, dello Stato Mondiale e della Singularity. In secondo luogo, occorre effettuare uno studio dei possibili scenari geopolitici futuri, per comprendere quali siano le effettive esigenze di difesa dell’Europa nei prossimi decenni. Infine, occorre vedere quali strumenti esistano per fare fronte a queste esigenze. Solo allora si potrà effettuare un’analisi di dettaglio della NATO, nelle sue motivazioni, nella sua genesi, nel suo funzionamento. Infine, confrontando le esigenze dell’Europa con la realtà vera della NATO, occorrerà studiare una strategia per riuscire a svincolarsi dalla stessa, o a ridimensionarla, predisponendo per tempo un assetto alternativo che sia, nel contempo, possibile e necessario.
In sostanza, mettere in pratica la massima di Sun Zu“Se conosci te stesso e il tuo nemico, vincerai cento battaglie”.