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IL MANIFESTO DI VENTOTENE NON BASTA PIU’ (Andrea Malaguti )

Le Retoriche dell’Idea di Europa, già scosse dalla caduta del Muro di Berlino e attaccate frontalmente dai nuovi protagonisti eurasiatici, stanno letteralmente cadendo a pezzi sotto il peso delle politiche americane di Trump e da Musk, che hanno stracciato il velo di ipocrisia sugli obiettivi, la storia e i progetti dell’America (a partire dalle sue radici eretiche e schiavistiche, per proseguire con il suo spirito teocratico e imperiale, e per poi finire con il suo legame strettissimo con il postumanesimo), ma anche sulla storia dell’ Europa.
Tutto ciò che ci è stato raccontato negli ultimi 80 anni su America e Europa si sta rivelando radicalmente falso. Falso che, prima con l’Illuminismo, e, poi, con la IIa Guerra Mondiale, la razionalità abbia vinto sull’irrazionalismo (basti leggere Horkheimer e Adorno, e, oggi, gli autori americani del Dark Enlightenment). Falso che la ragion d’essere dell’integrazione europea sia òla Pace Perpetua, e che questa sia stata teorizzata la prima volta da Kant. Falso (tanto per le motivazioni, quanto per i risultati) che le truppe alleate, a Est come a Ovest, siano venute per “liberare” l’Europa. Falso che le Comunità Europee e, poi, l’Unione Europea, abbiano garantito 80 anni di pace (visto che non hanno mai avuto competenze, né capacità militari – queste essendo attribuite alla NATO-). Falso che l’”Occidente” abbia mai avuto “valori comuni”, mentre Europa ed America si sono in realtà sempre contrapposte nella storia (per esempio, su monarchia e repubblica, sullo schiavismo, sul trattamento delle minoranze, sulla cultura). Falso che l’economia europea sia stata favorita dal Piano Marshall (che non è stato neppure attuato, né dagli Europei, né dagli Americani), e dalla sudditanza a quella americana (che è stata, ed è ancora, pesante anche e soprattutto in campo economico). Falso che l’economia americana sia (o sia stata mai) liberista, ché, anzi, è stata sempre dominata dallo straordinario potere di acquisto del Dipartimento della Difesa, dall’”advocacy” a favore delle proprie multinazionali dal potere esorbitante di queste ultime. Falso che l’Europa abbia “approfittato” della difesa americana, quando questa ha prosperato solo grazie al “contingentamento” (come scriveva Trockij) dell’economia europea; l’Europa ha concesso gratuitamente per ottant’anni l’uso di centinaia di basi e ha acquistato sistematicamente armamenti in America…Se è ora di fare i conti, il risultato sarà probabilmente l’opposto di ciò che tutti si aspettano.
Falso che ciò che esiste oggi di organizzazione europea sia figlio prevalentemente del Manifesto di Ventotene, e non, invece, da un lato, delle tradizioni giuridiche dell’”Ancien Régime” (la “Pace Petpetua”), e, dall’altra, come sosteneva, suo malgrado, Spinelli, dell’ideologia “funzionalista” di Mitrany e Haas (che voleva fare dell’Europa una delle consuete “Organizzazioni Internazionali”, inserite nella “ragnatela” di organizzazioni funzionali all’ egemonia americana -cfr. Ikenberry).
Se, poi, il Manifesto di Ventotene parlava di una “rivoluzione” e di una “dittatura”(come ha detto in Parlamento Giorgia Meloni) era perché prevedeva proprio l’”impasse” in cui l’ Europa si è cacciata ora con il Funzionalismo, e anticipava proprio il trend accentratore che oggi si sta realizzando con il ricorso all’ art.122 del Trattato di Lisbona e con la violazione, da parte del Consiglio, della regola costituzionale dell’ unanimità, per reagire all’ accentramento dei poteri dei nostri concorrenti. Non si trattava, poi, di una “dittatura comunista”, come vuole lasciare intendere Giorgia Meloni, bensì di una dittatura nazional-europeista, necessaria a creare una identità comune, come furono la Rivoluzione Americana e la dittatura di Garibaldi in Sicilia. Spinelli accomunava comunisti e democratici nell’ accusa di non essere capaci di costruire l’ Europa. Se allora si fosse dato retta a Spinelli e non ai funzionalisti, oggi forse avremmo la Politica Estera e di Difesa di cui tutti sentono la mancanza, ma che non si sa da dove cominciare. Per fortuna il trumpismo costringe ciascuno a mettere le carte in tavola sull’ Europa che vogliono, rivalutando così anche il decisionismo di Spinelli!
Tentiamo ora di dimostrare, punto per punto, che il disorientamento generalizzato che traspare dalla cultura, dalla politica e dalla pubblicistica in Europa dopo l’elezione di Trump in America può essere superato solo sostituendo, alle falsità dette prima, una visione più obiettiva della realtà, che permetta finalmente agli Europei di compiere scelte ben informate.


a.Presupposti gnoseologici
Intanto, si tratta di fare chiarezza sulle pretese di “verità” delle diverse fazioni che si contrappongono nell’ attuale guerra culturale. Dalle religioni maggioritarie, che continuano (senza convinzione) le loro schermaglie sulle loro rispettive “verità assolute”, all’ “Establishment”, che bolla come “disinformazione”, e censura e condanna, ogni punto di vista differente dalla “Grande Narrazione” occidentale, ai pretesi fautori del pluralismo delle idee, che per altro negano buona parte dei filoni culturali dell’ Occidente, e praticamente tutti quelli dell’ Oriente.
Dopo Confucio, Buddha, Pirrone, Tertulliano, Averroè, Cartesio, Pascal, Berkeley, Hume, Kant, Schopenhauer, Nietzsche, Wittgenstein, Heisenberg, De Finetti, Heidegger, Feyerabend, Vattimo, chi può ancora parlare di una “verità obiettiva”? Tutti ci dobbiamo accontentare, per dirla con Kant, di “verità trascendentali” o ancor meglio, per dirla con Leopardi, di “Illusioni”. E, in ciò, le culture del resto del mondo sono state, da sempre, più “avanzate” di quella europea, perché le loro stesse lingue, e, in particolare, quelle siniche, sono caratterizzate da uno “Esprit de finesse” ben superiore a quello delle nostre. Esse non hanno mai dubitato del fatto che ciò che l’uomo vede (e/o intravvede) sia un’illusione, il “Velo di Maya”.


b.Relativismo etico

Dalla generale distruzione delle diverse fedi nell’ “obiettività” deriva anche la relatività degl’imperativi etici. Basta una lettura attenta delle opere letterarie, filosofiche, e perfino religiose, di luoghi e tempi diversi, per comprendere questa relatività. A partire dalla ben nota scena dell’Esodo, in cui Mosè, alla vista del Vitello d’Oro, spezza le tavole della legge scritte da Dio e ne scrive delle altre, di sua creazione; poi, incita i Leviti a prendere la spada, per sterminare, in spregio al “non uccidere” appena proclamato, i 3000 Ebrei che avevano adorato il vitello. Oppure gli infiniti brani in cui Dio esige lo sterminio dei popoli nemici, o ancora l’intero “corpus” omerico, tutto fondato su una guerra pretestuosa e genocida, e, poi, sulla sanguinosa vendetta di Ulisse. Per non parlare del Jihad e delle Crociate, del Satee, della schiavitù, praticata ed esaltata dalle società cristiane, della “doppia morale” delle società democratiche, dell’Enola Gay, finalmente demonizzato nelle scuole americane, ma solo perché contiene la parola “Gay”…A è vuota retorica anche “la coscienza morale dentro di me e il cielo stellato sopra di me”.
Se c’è qualcosa che fonda la morale non è, né un precetto divino, anch’esso quanto mai ondivago nel tempo, né la storia, che è sempre muta, né l’utilità (di chi?), bensì la “pietas”, il senso istintivo e irrazionale di legame fra gli uomini.


c.Storicità dei sistemi politici
Così come la morale, anche i sistemi politici variano nel tempo e nello spazio, senza che si possa stabilire una vera superiorità (basti leggere la Politica di Aristotele), sicché occorre guardare a ciò che più è adatto a un determinato popolo in un determinato tempo, senza tabù, preconcetti né etnocentrismi.
Il sistema politico perfetto (la Polis, la Repubblica, la Monarchia, la Democrazia, la Liberal-democrazia, il Liberalismo, il Liberismo, il Socialismo, la Socialdemocrazia, il Fascismo, il Socialismo Nazionale, il Corporativismo?) non esiste. Questi sistemi si succedono, si sovrappongono e si confondono l’uno con l’altro.


d.Difesa dell’umano
Pure di fronte a questa incessante mutevolezza del pensiero, dell’ etica e della politica, vi è qualcosa che resta comune all’ Umanità, o, almeno, all’Umanità che possiamo conoscere (gli ultimi 7.000 anni), a partire dai graffiti, dalle leggende, dalle scritture, dai riti e dai miti, fino alle filosofie, alle leggi, alle arti…
Quest’ uomo conoscibile, che corrisponde a quel breve periodo che ha come culmine l’”Epoca Assiale”, è ciò che accomuna anche oggi tutti i popoli, e permette loro di interagire, soprattutto in quell’ area condivisa che il teologo Hans Kueng ha chiamato “valori sottili”, comuni a tutti: “Homo sum, nihil humani mihi alienum puto”.
Ed è proprio questo Uomo dell’Epoca Assiale ch’è messo in discussione, in modo sempre più penetrante, dalla deriva tecnologica che porta al dominio delle Macchine Intelligenti e alla Singularity Tecnologica, che ora si è materializzata nei GAFAM, e, in primo luogo, nel potere esorbitante di Elon Musk.


e.L’ Alleanza fra le Grandi Civiltà
La difesa dell’Uomo dell’Epoca Assiale contro il dilagare del Postumanesimo potrebbe costituire un punto d’incontro fra popoli anche molto diversi. L’esempio più eclatante è costituito dalla famosa legislazione europea sul digitale (GDPR, Digital Service Act, AI Act), giustamente vantati come un’opera di avanguardia nella regolamentazione della tecnologia, e copiata (e anzi migliorata), senza clamore, dalla legislazione cinese, e finalmente attuata in Cina. Questo esempio dimostra come siano possibili convergenze su questo tema su scala planetaria.
Prima di morire, Henry Kissinger aveva scritto un libro, in cui proponeva di adottare una regolamentazione internazionale sull’ intelligenza artificiale parallela a quella sull’ energia atomica. A nostro avviso, si dovrebbe andare ancor oltre, creando occasioni di studio e di formazione comuni sui valori e le tecniche che servono per rendere le nuove tecnologie compatibili con l’Umano, inteso come sopra.


f.Leggere Ventotene
Nella pubblicistica e nella polemica politica delle ultime settimane, che hanno riportato nell’ attualità i discorsi di 90 anni fa sull’ Europa, è stato anche sollevato il ruolo che, nella costruzione europea, ha avuto il Manifesto di Ventotene, che, come ha giustamente sottolineato Giorgia Meloni, contiene anche idee in netto contrasto con la vulgata dell’ Establishment. Ma anche il direttore della Stampa, Andrea Malaguti, aveva già scritto pochi giorni prima: “Perché il Manifesto di Ventotene non basta più”: “Oggi, dopo essersi detti un po’ enfaticamente, quanto fosse bello il Manifesto di Ventotene, ne occorre uno nuovo, incardinato su ideali condivisi.”
A mio avviso, è necessario fare luce anche su questo punto, e, più in generale, sulle fonti a cui attinge il movimento d’integrazione europea, che sono molteplici perché gli Europei, come gli altri uomini, sono imperfetti, e quindi non è possibile che alcuno riesca ad interpretare, e fissare, al di là della geografia e della storia, tutti gli aspetti della vita culturale e politica di un Paese. Perfino i più monolitici Stati-civiltà, e perfino il loro massimo esempio, la Cina, si fondano su fonti disparate, dai Classici Confuciani, al Buddhismo Hinayana, agli Annali imperiali, al “Socialismo con caratteristiche cinesi”.
Come tentava di dimostrare il nostro “10.000 anni d’Identità Europea”, anche l’ Europa non comincia certo, come vorrebbe il Mainstream, con la IIa Guerra Mondiale, con il Manifesto di Ventotene o con i Trattati di Roma, bensì con l’ingresso nel Continente delle sue meta-etnie, ancor oggi riscontrabili nella genetica europea, quelle dei Cacciatori-Raccoglitori, degli Agricoltori Medio-Orientali, dei Popoli delle Steppe e degli Agricoltori Nord-Africani. Erano già “Europei” i guerrieri descritti da Ippocrate e da Erodoto, i Romani “alti e schietti” degli Annali degli Han Anteriori, i sovrani dei Trattati della Pace Perpetua (Filippo l’Arabo, Giustiniano),la Paneuropa di Coudenhove-Kalergi.
Abbiamo avuto la teorizzazione dell’ identità degli “Europaioi” da parte di Ippocrate, di Strabone, di Dione Cassio e perfino da parte degli Annali degli Han Anteriori; il De Monarchia e il De Vulgari Eloquentia di Dante; i Progetti di Crociata e di Pace Perpetua; la Nazione Cristiana della Santa Alleanza e di Novalis; la Paneuropa di Coudenhove Kalergi, con le sue riflessioni sul federalismo mondiale, sulle élites, su una religione civile comune..; le tesi storico-politiche del Manifesto di Ventotene; la Costituzione Federale Italiana ed Europea di Duccio Galimberti, vera espressione della Resistenza; la progressiva edificazione di un Diritto Europeo…Ciascuno di questi costituisce un elemento dell’ Identità Europea, che, rimontati tutti insieme in funzione delle sfide storiche che andiamo affrontando di volta in volta, costituiscono l’”Identità Europea”, la base culturale per la costruzione dell’ Europa Unita.
Considero il Manifesto di Ventotene perfettamente attuale , anche e soprattutto per i caratteri “nietzscheani” (quelli respinti da Meloni) dello “Spinelli notturno”, che giudicava inadatti a fare l’ Europa, non solo i comunisti, ma anche i democratici, a cui contrapponeva i federalisti europei, e inoltre propugnava (come del resto Galimberti, Olivetti e Giustizia e Libertà), il divieto dei partiti e la nazionalizzazione delle industrie strategiche.
Di converso, la recente ossessione dell’ “Establishment” per il Manifesto di Ventotene e la beatificazione dei suoi autori costituisce una forma blasfema d’idolatria come la rappresentazione dell’Apoteosi di Washington nel Capitol, e la mummia di Lenin sulla Piazza Rossa, oltre che un insulto a coloro (da Ippocrate a Strabone, da Podiebrad a Sully, da Saint-Pierre ad Alessandro I, da Coudenhove-Kalergi a Galimberti, da Jean Monnet a Gorbaciov), che hanno contribuito in modo altrettanto sostanziale all’ edificazione e rinnovamento dell’ Identità Europea.
Infine, la costruzione europea postbellica prescindeva dai partiti di sinistra, che avevano espulso Spinelli (revisionista di destra), perché erano filosovietiche e staliniste. Quando negli anni 50 si votarono le leggi di ratifica dei tre trattati istitutivi, il PCI votò sempre contro, mentre il PSI si astenne. Erano le leggi “pro Europa” volute da quel gigante di De Gasperi e per le quali votò a favore anche l’ MSI… Quindi, gli attuali eredi di quei partiti storici della sinistra, che oggi si riempiono la bocca di europeismo, possono farlo anche grazie al voto favorevole dei missini.


g.Oltre gli Stati Uniti d’Europa
A mio avviso, se il progetto d’ integrazione europea postbellica ha un limite, è quello di aver voluto imitare pedissequamente gli Stati Uniti d’America, una realtà oramai invecchiata, creata in un mondo completamente diverso, con pochi insediamenti di lingua inglese sulla costa Est del Nord-America, retti per lo più in modo feudale e, oligarchico e spesso teocratico, con pochissimi abitanti, la maggior parte dei quali schiavi: il tutto facente parte dell’ Impero Britannico. Nulla a che fare con i 500 milioni di Europei del XXI secolo, con 50 lingue diverse e storie e geografie diversissime, dalle steppe ai ghiacci eterni, dalle coste con storie millenarie al mondo alpino, dalle metropoli tentacolari alle isole incontaminate…
Sotto questo punto di vista, avevano ragione Mitrany e Haas a contestare l’imitazione degli Stati Uniti da parte di Spinelli. I due, peròtemevano, in realtà, che gli Stati Uniti d’Europa potessero competere (la cosiddetta “rivalità mimetica”) con gli Stati Uniti, da essi prediletti e prescelti, così come teme oggi Giorgia Meloni, ai quali è legata anch’essa a filo doppio con gli USA. Io temo invece che, quand’anche gli Stati Uniti d’ Europa si facessero, non potrebbero riuscire a fare un’adeguata concorrenza agli USA, perché la loro ambizione è quella di imitarli, non già di superarli. Per fare questo, ci vorrebbe un’idealità superiore, che, ad oggi, non c’è nell’ “establishment” europeo.
Questa volontà di omologare l’Europa all’ America si spiega benissimo con l’origine del Movimento Europeo postbellico, che partì da un’iniziativa americana (Fulbright, Dulles, Sullivan, Acheson, Allen and Overy), mirante, come scriveva Brzezinski, a costituire un avamposto dell’ America in Eurasia. Il Movimento Federalista Europeo entrò solo in modo trasversale in un Movimento Europeo creato da una lobby americana (l’”American Committee for a United Europe”).Come ha dimostrato per ultimo il brusco avvicendamento fra Biden e Trump, l’eterodirezione dell’ Europa da parte dell’ America è foriera, al di là delle scelte ideologiche di ciascuno, di risultati catastrofici per l’ Europa, sì che s’impone con urgenza un approfondimento sulle nostre caratteristiche peculiari e sui nostri diversi obiettivi. In primis, quello di neutralizzare l’influenza anti-umana di Musk e dei GAFAM, che ha trovato in America una base operativa efficace e temibile, e di cui invece qui non parla nessuno (perché infiniti sono i legami sia con gl’interessi di Musk, sia con l’ideologia transumanista).
Sono invece, secondo me, secondarie e discutibili le critiche di tipo settario, come quella secondo cui l’UE sarebbe troppo militarista, neo-liberista, woke o laicista. Uno Stato-civiltà che, come la Cina o l’India, deve superare i millenni sarà per forza, di volta in volta, militarista e pacifista, neo-liberista o statalista, woke o suprematista, laicista o ortodosso, perché vive non nell’ utopia, bensì nella Storia, e a questa reagisce.
In questo senso si giustifica una lettura critica del Manifesto di Ventotene, che non può certo essere invocato quale fondamento unico dell’ integrazione europea, in primis, perché esso stesso non ha mai preteso di esserlo, essendo limitato a un discorso storico-politico situato storicamente, e non comprendendo nessun aspetto religioso, filosofico, artistico, giuridico o economico, sì ch’esso ha un senso solo se affiancato con le alte fonti da noi citate, ciascuna per la parte di sua competenza, il tutto attualizzato al 2025.
Mentre ci rallegriamo del fatto che finalmente, nel Parlamento italiano, si sia discusso almeno una volta animatamente sul Manifesto di Ventotene, lamentiamo che esso continui impropriamente ad essere citato come fonte unica. Anche perché, come detto in precedenza, esso non è stato minimamente utilizzato dai padri fondatori delle Comunità Europee(i famosi Monnet, De Gasperi e Adenauer ), che si attennero invece di fatto alle indicazioni dei “Funzionalisti” Mitrany e Haas. Peccato che il Funzionalismo sconfinava già allora nel postumanesimo, sostenendo che le “funzioni” umane possono essere trasferite alle macchine. La “Dichiarazione Schuman”, scritta a due mani da Monnet e dall’ Americano Acheson, non fu altro che la formulazione ufficiale delle idee dei Funzionalisti, e i Trattati di Parigi, Roma, Bruxelles, Maastricht, Amsterdam, Nizza, Lisbona, le Comunità Europee e l’Unione Europea, la messa in pratica di quelle idee. Nessuna sorpresa quindi per gli esiti disumani e per la convergenza di fatto con Musk. Giorgia Meloni ha ragione, dal suo punto di vista “nazional-democratico”, a riallacciare il proprio nazionalismo e le proprie idee di “alleanza europea“ e di “Patriottismo transatlantico” alla scuola funzionalistica del “Maistream” europeo. Ma è proprio quella scuola che occorre, a mio avviso, superare per fare fronte efficacemente alla transizione fra Post-Modernità e Post-Umanesimo, rovesciando quest’ultimo con uno scatto volontaristico come quello ipotizzato dal primo Spinelli con la sua “Rivoluzione Europea”.
Invece di difendere o condannare Ventotene, occorrerebbe studiarla per attuarla, attualizzandola.


h.Oltre la Nazione Italiana
Quanto all’ ossessione del nostro Primo Ministro per “la Nazione Italiana”, ricordiamo che già ai tempi di D’Annunzio e di Mussolini essa era considerata superata, tant’è vero che si erano create organizzazioni fiancheggiatrici (come la Lega dei Popoli Oppressi e i Comitati per l’Universalità di Roma di Coselschi), che propugnavano l’unificazione europea, organizzando ottimi congressi su questo tema, come quelli di Montreux, di Roma e di Parigi, con la partecipazione di fior di intellettuali di tutta Europa, che avevano certamente anticipato quelli di fondazione del Movimento Europeo (non a caso, a Montreux). Perfino gli “Anticonformistes des Années Trente” e i “collaborateurs intellectuels” dei Paesi dell’Asse avevano elaborato, durante la IIa Guerra Mondiale, una loro visione dell’ Europa, non coincidente con quella dei loro governi, ed espressa in altri convegni, a Lipsia e a Vienna.
L’attuale ossessione per i piccoli nazionalismi europei (“Kleinstaaterei” di Kaja Kallas) piace invece a Washington perché è comodo giocare sulle rivalità fra le piccole nazioni europee per impedire agli Europei (dell’ Est o dell’ Ovest) di contare nel mondo.
Che poi l’Europa di Bruxelles, per distinguersi dall’ America, stia divenendo “più realista del re”, riprendendo le guerre per procura dei democratici americani, è un altro paio di maniche. Ambedue queste tendenze sono anti-europee e colpevoli di servilismo. Al massimo, andrebbero strumentalizzate, come un’astuzia per riuscire ad ottenere quell’ “autonomia strategica” di cui, fino a poco tempo fa, non si poteva nemmeno parlare.
Noi sosteniamo una linea politica non allineata, né sulla “guerra alle autocrazie” cara ai democratici americani e filo-americani, né sulla proliferazione di sempre nuove micronazioni, come pretenderebbe Kaja Kallas.
L’idea di una Nazione Italiana è un’idea progressista, sulla scia di Herder, subordinata alla missione mondiale dell’America. Essa risale ai tempi dell’occupazione napoleonica dell’Italia, quando la Francia inventava, nei Paesi conquistati, delle “Repubbliche Sorelle”, destinate a forgiare delle nazioni borghesi sul modello americano, che combattessero a fianco della Francia contro le monarchie europee. La bandiera bianco-rosso-verde, che era quella che si credeva erroneamente fosse la bandiera della Rivoluzione Francese, era quella delle truppe ausiliarie italiane, e fu inaugurata a Parma durante l’occupazione dei Ducati da parte delle truppe napoleoniche di Dąbrowski, che lì cantarono per la prima volta l’inno polacco, la Mazurk Dąbrowzkiego: “Marsz, marsz, Dąbrowski do Polski ze ziemi włoski” (“Marcia, Marcia, Dąbrowski, dalle terre d’Italia alla Polonia”). Più tardi, Mazzini scriverà a Lincoln offrendogli semplicemente la leadership dell’Europa purché gli USA si mettessero a capo della lotta dei repubblicani contro le monarchie europee .In effetti , in tutti questi eventi, l’idea era già semplicemente di replicare pedissequamente in ogni nazione, la Nation Building americana, e, poi, francese.


i.La bandiera europea, simbolo di tradizione
Oggi, alla luce della transizione postumanistica in corso, vi è in tutti i Paesi un movimento di insofferenza contro le conseguenze delle Rivoluzioni Atlantiche (Janata Party, Islam politico, Socialismo con Caratteristiche Cinesi, Neo-Ottomanesimo, Eurasiatismo, Dark Enlightenment). Logico che anche in Europa si manifesti un siffatto movimento, che, a dire il vero, qui non è ancora veramente cominciato, ma che sicuramente verrà propiziato anche qui dallo Zeitgeist mondiale, come dimostra la vicenda della bandiera con le 12 stelle.
Quest’ultima, che oramai domina le piazze, è molto più tradizionalista dei vari tricolori delle “nazioni” europee. Essa è nata infatti come un simbolo mariano. A dichiararlo è stato Arsène Heitz, il grafico che partecipò e vinse il bando del Consiglio d’Europa nel 1950. Egli è rimasto poco noto, ma il suo disegno parla di Maria, ispirato dal passo dell’Apocalisse in cui si parla delle dodici stelle: «Nel cielo apparve poi un segno grandioso: una Donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle».
Per disegnare il bozzetto, il giovane designer si ispirò alla medaglietta miracolosa che portava al collo, che riproduce le stelle in circolo, e scelse lo sfondo azzurro mariano. Il bozzetto vinse il concorso presieduto dal responsabile dell’ufficio stampa del Consiglio, Paul M. G. Lévy. Gli Stati europei all’epoca erano solo sei, ma Arsène Heitz, senza rivelare la fonte che lo ispirò, spiegò che il dodici è «un simbolo di pienezza». Rappresentano le dodici tribù di Israele, ma 12 sono anche gli apostoli, insomma nella Bibbia il numero che rappresenta la diversità nell’unità, la differenza tra quanti si riconoscono nell’unico Signore e creatore. È per questo che Arsène Heitz chiese esplicitamente nel progetto che la bandiera non la si dovesse ritoccare se i membri avessero superato quel numero.Ultima “coincidenza” significativa: i Capi di Stato la approvarono in un giorno “particolare”: l’8 dicembre 1955, il giorno dell’Immacolata Concezione.
Il culto della Grande Madre risale al Neolitico e forse addirittura al Paleolitico, se si leggono in questo senso le numerose figure femminili steatopigie (cosiddette veneri paleolitiche) ritrovate in tutta Europa. Figure accostabili alla Grande Madre sono rinvenibili ad esempio in: Ninhursag, nell’area mesopotamica;Iside in Egitto; Durga e Avalokitesvara in India; Guanyin in Cina; Ashtoreth, in Fenicia;Cibele, nell’area anatolica;Asherà e Ester in Israele; Gea e Rea nell’area greca;Mater Matuta nell’area etrusca; Bona Dea o Magna Mater nell’area romana; Freya in Germania.
Anche le 12 stelle hanno un’origine antichissima, perché ricordano i 12 grandi dei del pantheon mediterraneo, che nel Mondo Greco-Romano sono gli abitatori dell’ Olimpo, e oggi sono venerati dalla religione “dodecateica”, riconosciuta recentemente dalla Repubblica Greca.

UN'”EUROPA VIVENTE?” Forse qualcosa si muove

I simboli dell’ Europa nel tempo

Nel post precedente, prendevo atto con soddisfazione del fatto che l’establishment fosse oramai obbligato a riflettere sulle questioni centrali per il nostro momento storico. Oggi, noto anche con piacere che vengono pubblicate sempre nuove opere che, seppure in modo a mio avviso non sufficientemente radicale, mettono in discussione le Retoriche dell’ Idea d’Europa,  su  questioni centrali come quelle dell’ identità, dei simboli, delle passioni, dell’ autonomia.

L’ Europa ha tanti altri simboli ed eroi, che non sono solo la bandiera con le dodici stelle, l’Inno alla Gioia , Spinelli, Monnet, Schuman…Come tutti i Paesi con una storia millenaria, essa ha memorie sue specifiche che risalgono alla preistoria, al mondo classico, al Cristianesimo e alla Modernità, e simboli che si proiettano nella Post-modernità. L’Unione Europea, con i suoi simboli e i suoi avatar, non è se non una fra le infinite tappe della sua storia, e, speriamo, non sarà l’ultima.

Non per nulla gli autori più prolifici sul tema dell’identità europea sono oggi i coniugi Assmann (Jan e Aleida), cultori della “memoria culturale”. Questa memoria culturale non può certamente essere inventata “à la carte” (come invece hanno fatto tutti, ma proprio tutti, a partire da Coudenhove-Kalergi per continuare con Dawson, passando per De Rougemont e continuando con Duroselle…). Occorre invece seguire tutti i filoni della storia culturale europea, certo tentando una sintesi e stabilendo paragoni con gli altri continenti.

Passiamo rapidamente in rassegna le iniziative più significative.

 

Le grandi cuture del’ Epoca Assiale: i politeismi occidentali,  lo Zoroastrismo, il San Jiao

  1. Jan e Aleida Assmann:memoria culturale e Europa

Partiamo dunque dai più recenti libri degli Assmann, “Achsenzeit”, di Jan, e “Der europaeische Traum”, di Aleida (premio per la pace dei librai tedeschi per il 2018).

Nell’introduzione al mio primo volume della trilogia “10.000 anni d’identità europea”, dichiaravo d’ ispirarmi espressamente all’approccio della “memoria culturale” degli Assmann, vale a dire di non guardare alla storia, né come a una semplice sequenza di eventi, né come alla realizzazione di un disegno, bensì come ad un insieme di fenomeni di difficile interpretazione, da spiegarsi per quanto possibile attraverso un’opera di confronto e di riflessione. In quest’ottica, essa, lungi dal venire piegata alle esigenze propagandistiche delle forze via via dominanti, serve per ricostruire la logica nascosta dei comportamenti sociali, e, in particolare, l’origine, il divenire e la progettualità dei soggetti collettivi.

Jan Assmann, partendo dall’idea di Jaspers dell’“Epoca Assiale” e da quella spengleriana sull’ indipendenza delle varie storie, ma anche da quella di Toynbee del loro parallelismo, giunge a definire ciò che distingue la memoria culturale mondiale da quelle specifiche dei singoli Continenti. Aleida si concentra sulla memoria culturale dell’Unione Europea.

Con “Achsenzeit”, Jan Assmann svolge ora uno studio filologico degli autori che si sono dedicati a sviluppare l’idea di un’“Epoca Assiale”, costituendo così le basi di questa conoscenza delle identità collettive. Con “Der europaeische Traum”, Aleida spiega l’attuale, crescente, divergenza politica fra la parte orientale e quella occidentale del nostro Continente con il diverso modo che esse hanno di rapportarsi all’eredità storica della IIa Guerra Mondiale.

In ambo i casi, una riflessione profonda e stimolante su quelli che sono temi centrali per il dibattito politico e culturale oggi in Europa.

 

2.Ulrike Guérot: la Repubblica Europea e  la nuova Guerra Civile

Quando, in tempi non sospetti, affermavo che all’Europa mancavano l’entusiasmo e la passione, venivo preso per un esaltato. Eppure, ciò che l’establishment cerca oggi disperatamente di recuperare per arginare l’euroscetticismo è propri questo: l’entusiasmo, la passione. Ma, per poter fare questo, non basta proclamarlo, né imitare, in modi spesso ridicoli, concorrenti, avversari o soggetti esotici, che una passione invece ce l’hanno (per esempio, portando la mano al cuore come nel “Balch Salute” americano, ma ignorando che il “Balch Salute” è stato l’avvio del saluto romano).

Per avere dell’entusiasmo, bisogna essere vivi, educati alla vita e non al meccanicistico vegetare di oggi. Bisogna avere cultura, e ricordarci le glorie europee del passato: i Greci e i Troiani; l’Odissea e l’Orestea; le Odi e il Carmen Saeculare; i Carmina Burana e Mozart; Napoleone e Beethoven; Baudelaire e St. Exupéry; Kieslowki e Tarkovskij….Ricordiamo (con tutti i limiti del caso) l’entusiasmo di cui i popoli erano stati capaci nel XX° secolo anche per cause che oggi giudichiamo non commendevoli…

Ciò premesso, tanto di cappello a Ulrike Guérot, che, a essere entusiasta, ci prova ancora, nonostante tutto, con la sua “Repubblica Europea”, che vuole ricostruire l’”estetica politica” dell’Europa. Tema che ha illustri precedenti, da Romain Rolland a Coudenhove-Kalergi, ma che  ha trovato pochi e deboli seguaci (vedi, per tutti, Luisa Passerini, Il Mito d’ Europa). I nostri “50 anni d’Europa, immagini e riflessioni” di Jean-Pierre Malivoir, pubblicato da Alpina nel 2007, avevano voluto costituire un esempio di questa “estetizzazione della politica europea”.

Altra provocazione (che, per altro, giudico salutare): quella della “nuova guerra civile” che dovrebbe scuotere le certezza consolidate sull’ Europa, usando i populisti come una sorta di ariete per distruggere gli Stati Nazionali, veri nemici dell’ Europa (la “Nuova Guerra Civile”). La “Repubblica Europea” a cui pensa Ulrike Guérot risale all’anarchismo proudhoniano, all’austromarxismo di Bruno Bauer, agli “anticonformistes des Années Trente”, al Federalismo Integrale di Alexandre Marc e alla Carta delle Minoranze di Maribor.  Certamente, avrebbe il vantaggio di distruggere le false identità degli attuali Stati Membri, dietro le quali si cela solamente la volontà di potenza delle burocrazie nazionali, che costituiscono il maggiore ostacolo alla creazione di un’Identità Europea. Tuttavia, le Regioni autonome europee sarebbero troppo numerose (da 150 a 200) per poter essere vitali, e senz’altro darebbero vita, per reazione a uno Stato europeo molto centralizzato, conseguenza a cui Ulrike Guérot sembra non pensare. Inoltre, non sono delineate le strategie, né per il rafforzamento dello Stato europeo, né delle identità regionali (cosa per altro non impossibile)

Ovviamente, già solo queste due parole d’ordine, “Repubblica Europea” e “Nuova Guerra Civile” hanno fatto gridare allo scandalo da parte di molti, cosicché non vi è stata una grande copertura di stampa per le iniziative di Ulrike Guérot. Iniziative che non si esauriscono in quest’attività editoriale, ma comprendono anche iniziative di mobilitazione pubblica, come Eutopia, Europe Balcony e la proclamazione della Repubblica Europea.

Jean-Claude Juncker e Angela MerkelFine corsa per la mentalità eurocratica

  1. Robert Menasse e “la capitale”.

Buona parte delle sue iniziative, Ulrike Guérot le ha condivise con Robert Menasse, Premio dei Librai Tedeschi ma nel 2017.

Anch’egli ha compiuto un gesto iconoclastico con la sua “Capitale”, tradotto anche in Italiano, dedicato all’ambiente degli Eurocrati.

Debbo dire che, avendo io stesso fatto parte di questo ceto, ed avendo volontariamente deciso di uscirne  35 anni fa, sono rimasto abbastanza stupito dal quadro che ne risulta. Non tanto dal quadro politico e professionale, quanto, invece, dal quadro umano. Probabilmente a causa dei decenni trascorsi, che hanno deteriorato proifondamente il tessuto sociale ed etico dell’ intera società europea.

Mentre la Bruxelles e la Lussemburgo a cui appartenevo erano caratterizzate soprattutto dalla loro vivacissima vita sociale e culturale, in cui spiccava in particolar modo la vita familiare, i funzionari descritti da Menasse sono individui soli, senza famiglia ma anche senza amici, che si trascinano fra l’ufficio e squallidi di appartamenti d’affitto, dove i loro principali interlocutori sono, a parte, ovviamente, i colleghi, le segretarie e le donne di servizio. Non vi è, in essi, un minimo d’interesse per le grandi questioni alla cui soluzione sono chiamati a collaborare, nelle quali essi s’impegnano solo nella misura in cui esse siano funzionali alle loro personali strategie burocratiche.

Questa critica è particolarmente spietata là dove essa si rivolge all’attività della Direzione Generale “Cultura” della Commissione, di cui si mette in satira soprattutto la scarsa attenzione ch’essa riesce ad ottenere da parte delle Istituzioni in generale. L’occasione intorno a cui ruota la storia, la commemorazione dei 50 anni di vita della Commissione, e, in particolare, il tentativo di incentrarla intorno alla memoria della Shoah, dà il destro per mettere in luce una mancanza di fantasia, d’informazione, di concordia e di decisione, che frustra qualsivoglia iniziativa che si discosti dal solito “tran-tran”.

Un quadro sconsolato, che ben giustifica i propositi barricadieri della Guérot.

Come ben sa chi ha lavorato nelle Istituzioni, la colpa non è certo dei funzionari, che normalmente sono diligenti, motivati e con una grande cultura, e riescono in 30.000 a compiere un lavoro che, negli Stati membri, viene svolto da milioni di funzionari, quanto del personale politico che dirige ciascuna Istituzione e che, provenendo dalla politica nazionale, dove non ha, normalmente, acquisito una grande familiarità con le questioni europee, ha però il diritto d’ impartire ordini, spesso incomprensibili, a funzionari che hanno dedicato, all’ Europa, tutta la vita.

In pratica, affinché l’integrazione europea possa continuare, occorre, come suggeriscono Guérot e Menasse, che tutto ciò cambi.

 

Arianespace: l’unico orgoglio dell’ Europa

4.Mercedes Bresso : un’Europa forte e sovrana, con coraggio e passione.

L’agile e.book di Mercedes Bresso fa tesoro di questo nuovo clima anticonformistico. Senza soffermarsi anacronisticamente sui presunti meriti di quest’ Unione Europea, si concentra su alcuni aspetti che, non solo condivido, ma che hanno costituito addirittura il leitmotiv di questi miei  ultimi dodici anni di vita e di attività:

-la centralità acquisita dalla questione europea in tutti i dibattiti, a tutti i livelli, a cui fa riscontro, paradossalmente, un’ignoranza generalizzata sull’ Europa;

-la necessità di una nuova narrativa, contro un discorso politico fondato solo su slogan che si alimentano dell’obsoleta dialettica destra-sinistra, e che parta  dalla constatazione dell’obsolescenza delle vecchie ideologie politiche;

-la constatazione che l’Europa è, per la Presidenza americana, un nemico perché potenzialmente concorrente, il che porta alla necessità di difenderci da soli -militarmente ed economicamente- dal resto del mondo che si sta appropriando dei nostri dati e del nostro gettito fiscale,e innanzitutto con la creazione di piattaforme digitali europee, tanto per difenderci dai giganti dell’economia digitale, quanto per creare lavoro.

 

Festeggiare i Santi Protettori dell’ Europa

  1. L’ appello di Prodi a esporre la bandiera europea il 21 marzo

A questo stesso spirito si riallaccia l’appello di Romano Prodi per l’esposizione della bandiera europea il 21 maggio. Proposta che per altro è stata poco propagandata e poco spiegata, anche perché non è chiaro che cosa si celebri il 21 marzo.

Ci riserviamo poi di approfondire il significato mitoòlogico e storico tanto della data del 21 marzo, quanto della bandiera dalle 12 stelle.

Per intanto, pubblichiamo qui di seguito l’appello di Romano Prodi:

“C’è molto in gioco nelle prossime elezioni europee, alle quali troppi cittadini si avvicinano con un senso di smarrimento e di frustrazione, dimenticando la nostra storia e, insieme ad essa, i contributi che, se camminiamo insieme, possiamo dare per affrontare i problemi di oggi e per riaccendere le speranze per il domani del nostro pianeta così affaticato.

Nel passato l’Europa ha affrontato, attraverso drammi e conflitti, tutti i grandi scontri che insanguinano e dividono il mondo d’oggi, trovando le mediazioni e preparando i passi in avanti che più hanno fatto progredire la nostra tribolata umanità. Ci sorprendiamo delle lotte religiose fra sciiti e sunniti che oggi infiammano il mondo islamico e non pensiamo alla faticosa convivenza che i Paesi europei hanno raggiunto dopo secoli di lotte religiose fra i cristiani. Non ripensiamo al nostro faticoso cammino verso la democrazia intervallato dalle esperienze dittatoriali e dalle guerre che hanno devastato il nostro continente per tutto il secolo scorso, ma alle quali l’Unione Europea ha potuto fare seguire il più lungo intervallo di pace mai esistito nella storia. Senza dimenticare il benessere che abbiamo potuto raggiungere costruendo (caso unico nella storia) un mercato comune che ha unito tra di loro Paesi ripetutamente devastati da guerre commerciali e dalle barriere al libero movimento di uomini e di beni.

Nella frustrazione nella quale siamo immersi dimentichiamo persino la fatica con cui abbiamo costruito lo stato sociale che, pur con i suoi limiti e le sue imperfezioni, resta la più grande conquista della politica mondiale e non riesce ad essere riprodotto nella sua universalità perfino nel più ricco Paese del mondo e non sembra essere un obiettivo prioritario nemmeno per la Cina, astro nascente della politica mondiale.

Sappiamo benissimo che, di fronte alla potenza americana e all’ascesa cinese nessuno Stato europeo potrà da solo conservare quanto è stato conquistato in passato: eppure ci stiamo illudendo che il ritorno alle frontiere nazionali possa essere la soluzione dei problemi e il superamento degli ostacoli che rendono faticoso il progresso del cammino europeo. Facciamo finta di ignorare che i grandi cambiamenti o vengono imposti con le armi o esigono tempo e fatica. Eppure, invece di dedicarci a preparare il futuro, lottiamo per dividerci il presente, pur sapendo che anche il presente non potrà essere conservato se non rafforzando la nostra unità.

Se siamo incapaci di interpretare il ruolo che l’Europa unita può giocare nel mondo, una grande responsabilità grava certamente anche sui responsabili dei governi e dei partiti che più si dichiarano europeisti. I governi hanno sistematicamente anteposto gli interessi elettorali di breve periodo alla politica di coesione necessaria ad assicurare all’Europa il ruolo di protagonista nell’economia e nella politica mondiale.

I secondi hanno regolarmente usato le elezioni europee per garantire un posto ai perdenti delle elezioni nazionali, contribuendo quindi anch’essi a sminuire il ruolo delle istituzioni comunitarie che, dopo avere fatto grandi cose in passato, si sono ridotte a giocare un ruolo sempre minore, senza più avere la forza e il coraggio di affrontare i grandi temi oggi sul tavolo: dalle regole della globalizzazione alle migrazioni, dalle disuguaglianze economiche alle conseguenze delle nuove tecnologie.

Tutti questi limiti, uniti alla sciagurata gestione della lunga crisi economica, hanno allontanato il nostro cuore dalla grandezza e dalla necessità della missione europea. Noi tutti comprendiamo che non vi è alternativa al destino comune: il nostro cervello ci fa capire che le nostre energie si indeboliscono ogni giorno di fronte a superpotenze sempre più forti ma il cervello non basta. Credo proprio (e vi prego di perdonare questa per me inusuale espressione retorica) che occorra qualcosa che riscaldi il cuore e che ci faccia anche visibilmente capire che l’Unione Europea è il nostro destino e non l’oggetto di piccoli disegni politici.

Mi piacerebbe quindi che il 21 marzo noi tutti, nel nostro e negli altri Paesi dell’Unione, esponessimo dalle nostre finestre e sventolassimo nelle nostre strade e nelle nostre piazze milioni e milioni di bandiere europee. Penso al 21 marzo perché quel giorno deve simbolicamente richiamare il primo giorno della primavera europea e perché ci ricorda San Benedetto, che non solo è il patrono d’Europa ma che, nel secolo più buio del disfacimento dell’impero romano, ha fatto appello ai nostri valori comuni per ricostruire l’anima e la stessa economia dell’Europa di allora.
Per scaldare i nostri cuori abbiamo anche bisogno di simboli: la bandiera è il simbolo più comprensibile e immediato che noi possediamo.

Non è un compito facile perché anche la bandiera deve essere fabbricata, distribuita da mille e mille associazioni, accolta da milioni e milioni di persone (#uneuropapernoi) e spiegata a tutti nel suo significato etico, politico, economico e sociale. Non sarà questo un gesto rivoluzionario ma sarà certo utile per capire quanto la scelta o il rifiuto dell’Europa saranno decisivi per il nostro destino futuro. E quindi quanto saranno importanti le prossime elezioni europee.”

Un’Europa senza preconcetti, tutta da farsi

5.Preparare la Festa dell’ Europa

A me, tutto questo riemergere del simbolico, dell’estetico, del passionale, non può fare altro che piacere.Ciò che è fondamentale, però, è che, dietro ai simboli, vi sia anche della sostanza. Non si può, infatti, confondere, né la ragione, né la passione, con il semplice buon senso, né , peggio ancora, con il velleitarismo.

Oggi, questa sostanza resta tutta da costruire, perché le seppur giuste idee di Dante e di Podiebrad, di Sully e di Saint Pierre, di Coudenhove-Kalergi e di Spinelli, hanno, come minimo, 80 anni. Nel frattempo ci sono stati la Shoah e Hiroshima, l’Impero Sovietico e la Perestrojka, l’informatica e la Nuova Via della Seta, la religione di Internet e l’America First di Trump. L’umanità di oggi non ha più nulla a che vedere con quella del 1941: figuriamoci l’Europa! Ma nessuno ha potuto, saputo o voluto, dire nulla di nuovo. E tutti si ostinano a voler riproporre le idee che hanno clamorosamente fallito: quella di un progresso illimitato, al contempo materiale e spirituale; quella della “vox populi vox Dei”; quella del ruolo salvatore dell’ Occidente; quella dell’estinzione degli Stati; quella dell’ informatica quale regno della libertà….

Dire che si tratta di un compito trasversale è dire poco. Contrariamente a quanto l’establishment, pro domo sua, ha voluto farci credere, qui non c’è nulla di solido su cui costruire: occorre costruire ex novo delle realtà che, a oggi, non ci sono:

-una filosofia che si distingua da quelle “occidentali”. Fino a qualche anno fa, c’erano almeno i “filosofi continentali”, contrapposti a quelli “analitici”anglosassoni, ma, dopo, ci si è dispersi, addirittura, fra una “French theory”(Francois Cusset) e un’”Italian Theory”(Roberto Esposito), ambedue molto vaghe e deboli;

-una teologia europea che non scimmiotti, né la Teologia della Liberazione, né il puritanesimo, né il Silenzio del Buddha di Panikkar.  Papa Francesco aveva incitato, a Strasburgo, le Chiese nazionali a svolgere questo compito, ma non pare che nessuno abbia raccolto, fino ad ora, questa sfida;

-una classe dirigente europea, non divisa da campanilismi populistici o vetero-ideologici, bensì accomunata dalla sua cultura “alta”, trasversale e interlinguistica. Infatti, la sedicente “élite” si è oramai sgretolata e non è stata capace di proporre un’alternativa credibile al populismo (cfr. Baricco, Orsina, Mauro…);

-un movimento europeo forte, che si faccia carico dell’”unità di comando politica” nonostante, e attraverso, le infinite autonomie territoriali e sociali: quello che doveva essere il Congresso del Popolo Europeo di Spinelli;

-un nucleo duro iniziale d’ informatica europea, capace di padroneggiare innanzitutto gli aspetti culturali e antropologici della rivoluzione digitale, prima ancora di quelli tecnologici, finanziari, militari, imprenditoriali, di intelligence, sociali e commerciali: quello che avrebbero dovuto fae la Olivetti e il Minitel, ambedue misteriosamente stroncati quando invece l’informatica stava decollando in America e in Cina. Come scrive, su “la Stampa”, Marta Dassù, “senza investire risorse più rilevanti nelle tecnologie dell’intelligenza artificiale e senza creare una capacità industriale high tech in grado di competere realmente sul piano globale, il Vecchio Continente resterà schiacciato dalla competizione fra Stati Uniti e Cina”.

Per questo, pur prendendo atto dell’ottima idea di Prodi, proponiamo di attuarla in modo più ponderato e integrale, soprattutto in connessione con il Salone del Libro di Torino, il quale quest’anno, per una fortunata coincidenza, inizierà il 9 maggio, Festa dell’Europa, e sarà aperto da una lectio magistralis sull’ Europa di Antonio Savater.

Vorrei ricordare che Alpina e Diàlexis sono state le due uniche entità che a Torino abbiano organizzato sistematicamente la Festa dell’ Europa negli ultimi 12 anni. Questo la dice lunga su quanto a tanti sedicenti europeisti, che sono sempre intenti a fare discorsi e a tagliare nastri,  interessi veramente l’ Europa.

Intorno a quelle scadenze, stiamo organizzando, come tutti gli anni e più ancora degli altri anni, la celebrazione del 9 maggio, anche con “cantieri” di lunga durata (“Baustellen Europas”), e, intanto, un momento di riflessione sul significato, tanto del 21 marzo, quanto della bandiera con 12 stelle.

Speriamo che queste attività non rimangano fini a se stesse, ma, al contrario, assumano (almeno nella forma di “Baustellen Europas”), un carattere permanente.