1.PERCHE’ NON ESISTE UNA STATUALITA’ EUROPEA?
Il Movimento Europeo aveva sostenuto fin dall’ inizio che una Federazione Europea non si sarebbe potuta costituire attraverso accordi fra gli Stati, bensì solo attraverso un atto fondativo rivoluzionario del Popolo Europeo. Nel Manifesto di Ventotene si era accennato addirittura che questo momento rivoluzionario avrebbe potuto avere inizio addirittura con un movimento armato, erede della Resistenza.
Anche l’idea che, per realizzare una “Federazione Europea”, si passasse attraverso a un “Congresso del Popolo Europeo” e a un referendum paneuropeo era stata proposta da Spinelli, ma però mai perseguita seriamente.
Il Prof. Cardini l’ha qualificata giustamente come “irrealizzabile”.Concordiamo per due motivi:
-in primo luogo perché nessuno dei numerosi grandi predecessori aveva mai veramente, né pensato, né proposto, una vera statualità europea in sostituzione dei dispersivi eredi dell’Impero Romano(Sacro Romano Impero, Bisanzio, Impero Ottomano,Impero Francese…) , né tantomeno una vera “civiltà paneuropea”, alternativa tanto all’ Occidente quanto ai grandi Stati-Civiltà, bensì solo elementi altrettanto sparsi, attinenti ora a questo, ora a quell’aspetto(militare, giuridico, culturale, politico, religioso..). Non i primi teorici di crociata; non i primi progetti fra sovrani, non Novalis, non Mazzini, non Coudenhove-Kalergi, neppure Ribbentrop, Spinelli o Schuman; neppure Napoleone o la Santa Alleanza. Anche la pretesa “Costituzione Europea” bocciata dagli elettori francesi e olandesi era solo un collage di trattati. Forse il solo progetto organico era stato la Costituzione Italiana ed Europea di Galimberti, anche se priva di una base culturale adeguata. Che cosa avrebbe dunque potuto ratificare il referendum paneuropeo?
-in secondo luogo perché, nonostante le pretese ideologiche “democratiche”, la politica è oggi più elitaria che mai nella storia. Le stesse emozioni fondamentali dei popoli, a cominciare dalle loro pretese idiosincrasie “di pancia” (l’ opposizione all’ “Oriente”, per passare ai cosiddetti “diritti di ultima generazione”, fino ad arrivare all’ idea del “popolo-nazione” e ai “valori non negoziabili”) sono semplicemente l’effetto di ben orchestrate campagne occulte che partono dal sistema educativo, continuano nella politica e nei media e si concretizzano in movimenti pretesi “spontanei”, come per esempio il ‘68, gli Anni di Piombo, Tangentopoli, le “Rivoluzioni Colorate”, i “populismi”, ecc…Perfino i migliori intellettuali cadono vittime di quelle “mode intellettuali”. Quindi, se nessuno organizza sotterraneamente un’esplosione di Identità Europea (così come le “Nazioni” furono organizzate a suo tempo dalle Grandi Potenze e dalla Massoneria), non si vedrà nascere nessun movimento “spontaneo” a favore dell’Europa.
L’esemplificazione più plastica si questa inanità si è vista recentemente con la “Conferenza sul Futuro dell’ Europa”, a cui non ha fatto seguito alcun movimento politico concreto.
Si tratta invece di raccattare i pezzi sparsi presenti in Ippocrate e in Platone, in San Paolo e in Dante, in Podiebrad e in Sully, in St-Pierre e nella Santa Alleanza, in Novalis e in Nietzsche, in Dostojevskij e in Coudenhove-Kalergi, in Ivanov e in Simone Weil, in Galimberti e in Spinelli, per creare un nuovo quadro organico e operativo, che non si chiamerà, né Impero, né Repubblica, né Federazione, né Confederazione, né Stato, né Nazione. Forse, “Stato-Civiltà Europeo”.
Il professor Cardini ha proposto a qusto scopo la creazione di un apposito comitato pan-europeo, che chiameremo qui “Comitato Paneuropeo di Resistenza e Resilienza”. Noi, con questo articolo, tentiamo di disegnarne i tratti distintivi.
2.PERCHE’ ABBIAMO BISOGNO ANCHE NOI DI UN NOSTRO “STATO CIVILTA”?
Nonostante ciò, la trasformazione dell’Europa, da un coacervo disorganizzato di Stati-Nazione, in uno Stato-Civiltà” come la Cina, l’India e gli Stati Uniti è oramai improrogabile per: (i) guidare il nostro Continente fuori dalla Terza Guerra Mondiale; (ii) farlo tornare veramente protagonista delle grandi scelte mondiali, in particolare quelle sul Post-Umano.
Infatti:
-La “guerra mondiale a pezzi” si è oramai trasformata in una vera guerra mondiale, sui fronti ucraino, siriano, libanese, palestinese, saheliano, sì che sono saltate tutte le strategie novecentesche basate sull’ipotesi della “Pace Perpetua”, sostituite da una battaglia all’ interno dell’Apocalisse;
-Con l’elezione di Trump, si è realizzata la fusione fra lo Stato Americano e i GAFAM (Musk, Thiel, Zuckerberg), i quali ultimi saranno gli unici possibili vincitori di una guerra giocata sulle armi autonome, sui droni assassini, sulla cyber-intelligence, sui trolls e sugli androidi resistenti alla guerra Nucleare, Chimica e Batteriologica (NBC). Innanzitutto perché, come scritto nell’ ultimo numero di Foreign Affairs, è la rapidità delle attuali guerre totali a rendere imprescindibile, contrariamente a quanto sostenuto da Kissinger nell’ ultima fase della sua vita, il comando delle operazioni dei vari contendenti da parte dell’ Intelligenza Artificiale, e, quindi, impossibile una regolamentazione pervasiva della stessa, che riguardi anche gli usi bellici.
Questa guerra costituisce dunque, a meno di un’azione rapida e incisiva, il momento cruciale della presa di potere da parte del “Philum Macchinco”, come l’ha chiamato Manuel De Landa.
L’Europa, intesa, non quale complesso giuridico incompiuto e intrinsecamente debole, bensì come un’ élite portatrice di una visione del mondo, potrebbe e dovrebbe intervenire:
-sia come guida morale dei popoli lasciati senza progetto in mezzo a nuove stragi come quelle dell’Ucraina e del Medio Oriente;
-sia quale catalizzatrice di un percorso olistico di ricostruzione che parta dalla filosofia e dalla storia per arrivare alla teologia e alla scienza, alla politica e alla società, alla tecnologia e all’ economia, alla cultura e alla difesa del nostro Stato-Civiltà, fino alla regolamentazione dell’ Intelligenza Artificiale. Quello che un tempo l’Europa pretendeva di essere (per esempio, con il Manifesto di Ventotene) come modello di civiltà, o almeno quale “Trendsetter of the Worldwide Debate”.
3.GLI STATI-CIVILTA’
Uno Stato-Civiltà è un’aggregazione geopolitica caratterizzata da una continuità storica millenaria, da uno scacchiere specifico di dibattiti e di conflitti, da un centro e da delle periferie, e da un’organizzazione atta a permetterle d’influire sulle scelte del mondo.
Per esempio, la Cina, nata con gl’Imperatori Mitici e gli Stati Combattenti, caratterizzata dai caratteri “Hanzi” e dall’ egemonia congiunta dei “San Jiao” (“Le Tre Scuole”=Taoismo, Confucianesimo e Buddhismo), dalla coesistenza degli Han (i“Figli del Fiume Giallo”) con 56 diverse “nazionalità”, e dall’egemonia del Partito Comunista Cinese, si propone come potenza anti-millenaristica (un nuovo Katèchon?), ponendosi un obiettivo storico apparemente modesto, vale a dire lo “Xiaokang” (“una società moderatamente prospera”). Sua lingua unificante: il Mandarino
L’India, fondata sulla sintesi fra induismo, buddhismo e islam, è caratterizzata dal pluralismo etnico, linguistico, religioso e cetuale intorno agli Hindustani della valle del Gange, circondati da altri popoli indo-ariani (kashmiri, punjabi, gujarati, marathi, oriya e assamesi) e dravidici (tamil, malayali, telugu, kannada), e caratterizzati dal ritorno, propugnato da Modi, allo Yoga e alla devozione al (semi)dio Rama. Sua lingua unificante, il Sanscrito.
Gli Stati Uniti, nati, secondo Huntington, dalla “Dissidenza nel Dissenso”(la Congregazione di Scrooby), sarebbero caratterizzati, secondo Dan Brown, dall’ egemonia congiunta di puritanesimo, massoneria e liberalismo, e fanno oggi oggetto di un conflitto fra suprematismo bianco (“WASP”) e cultura “woke”. Loro lingua unificante: l’ Inglese.
Non hanno (ancora) un loro Stato-Civiltà, l’Islam, l’Africa, il Pacifico e l’America Latina.
I mitici protagonisti del “federalismo mondiale” sono proprio gli Stati-Civiltà, che di fatto disputano sul futuro del mondo, non certo i 200 Stati-Nazione sperduti nel mare magnum dell’assemblea Generale delle Nazioni Unite.
Uno “Stato-civiltà” europeo capace di dialogare alla pari con gli altri tre (otto) dovrebbe anch’esso ricercare non solo le sue radici (come si dice oggi)in Roma, Atene e Gerusalemme, ma, al di là di ciò, concepire la propria identità permanente nella sintesi fra Est ed Ovest (“respirare con i due polmoni”di Viaceslav Ivanov). Infatti, buona parte della storia e cultura europee sono a Oriente: in Anatolia, in Mesopotamia, in Egitto (l’”Atena Nera”), nelle steppe pontiche (gli Yamnaya, i Goti, i Bulgari, i Turchi, i Magiari, i Cosacchi), nei Balcani (i Greci, Bisanzio), in Russia (Gogol, Chechov, Ciaikowski, Dostojevski, Stravinski, Sol’zhenitsyn). Anche la questione della lingua dovrebbe fare oggetto di uno sforzo di ricerca e di sintesi, poiché l’Europa possiede più lingue storiche di cultura, dal Greco, al Latino allo Slavo Ecclesiastico (oltre all’ Ebraico e all’ Arabo).L’Europa è uno Stato-civiltà incompiuto. Pur avendo, come la Cina, una sua continuità millenaria, questa continuità (la “Translatio Imperii”) è più frazionata di quella cinese(un po’ come quella indiana), partendo essa dall’Egitto, dalla Mesopotamia, per passare alla Persia e Israele, e, di qui, agl’imperi romano, romano-germanico, ottomano, inglese, francese, russo e inglese. In fondo, anche USA, Russia, Turchia e Israele pretenderebbero tutti di rappresentare l’ultimo avatar della Translatio Imperii.
Ricostruire questa continuità è stato da sempre una sfida defatigante per storici e politici. Oggi, questo compito è reso più possibile dallo sviluppo della comparazione fra le culture, ed è diventato una priorità (cfr. Riccardo Lala, 10.000 anni d’identità europea).
Gli Stati-civiltà vivono oggi immersi in un universo tecnologico, comprendente il Post-Umano e le guerre tecnologiche. La Cina ha sfidato l’Occidente sul piano dell’innovazione tecnologica ed economica e del controllo politico sulle grandi piattaforme (il “Crackdown sui BAATX”). L’India è divenuta il Paese più popoloso del Pianeta e un’area di punta del settore ICT. Gli Stati Uniti tentano in tutti i modi di preservare ed accrescere la loro egemonia, attraverso il complesso informatico-militare, le “covert operations”, le guerre per procura, i dazi e le sanzioni.
4.IL PERCORSO PER COSTRUIRE IL NOSTRO STATO-CIVILTA’
L’Europa si trova ad affrontare insieme tutte queste sfide. Perciò, non potrà divenire uno Stato-civiltà se non gradualmente, trasformando, eventualmente, in un’opportunità la sfida costituita dalla guerra dell’Occidente contro la “Maggioranza del Mondo” (“Mirovoe Bol’shinstvo”).Infatti, le grandi guerre costituiscono da sempre un momento di riorganizzazione degli equilibri mondiali. Questa, in particolare, sta già conseguendo vari risultati, come ad esempio l’epifania di tendenze di lungo periodo, come il ribaltamento dei rapporti di forza fra est e ovest, la ri-nazionalizzazione, la redistribuzione delle culture politiche, una maggiore attenzione per discorsi innovativi…. Così come la Prima e la Seconda Guerra Mondiale, anche questa potrebbe portare a novità importanti, prima fra le quali una possibile inversione di fronti (come a suo tempo l’Italia dagl’Imperi Centrali all’ Intesa e dall’Asse alle Nazioni Unite, e, oggi, la convergenza fra islamismo e Occidente), e la nascita di nuovi soggetti politici (come, a suo tempo, gli Stati dell’
Europa Centrale e del Medio Oriente, e la stessa Unione Sovietica).
Lo sforzo per costruire lo Stato-Civiltà europeo potrebbe inserirsi appunto in un contesto simile.
3.UNA GUIDA NELLA FASE BELLICA
Nella guerra civile europea che sta ri-cominciando, il popolo europeo manca di una guida morale, capace di sorreggerlo in un periodo di grandi difficoltà.
In questa fase, un “Comitato Pan-europeo di Resistenza e Resilienza” avrebbe come primo compito quello di dare, al popolo europeo, la sicurezza psicologica derivante dal fatto di avere, alle proprie spalle, un cervello pensante, che, pur non disponendo di alcun potere, studiasse e proponesse soluzioni che, a termine, possano prevenire le origini di questa conflittualità e, in generale, della debolezza del’ Europa. Ciò che era mancato nelle due precedenti guerre mondiali, e continua a mancare per la debolezza dell’ Unione Europea.
In primissimo luogo, la maggioranza della popolazione nei vari Paesi è contraria alla prosecuzione della guerra, ma i meccanismi giuridici e politici sono tali, che essi non hanno modo di esprimere in concreto questa loro contrarietà, e neppure di sviluppare progetti alternativi. Innanzitutto, le decisioni concernenti la guerra sono centralizzate, sostanzialmente, nel Presidente degli Stati Uniti, mentre i governi europei le recepiscono senza discuterle. Ancor peggio, gli “establishment” hanno interiorizzato a tal punto l’ideologia “occidentalistica”, da operare con l’obiettivo di rendere difficili eventuali soluzioni pacifiche che fossero sostenute da Trump dopo il suo insediamento, e da rimangiarsi continuamente i timidi accenni alla pace fatti da questo o da quel politico.
Più che combattere per il conseguimento della pace, che, ammesso che arrivi, sarà dovuta soprattutto alle scelte della futura presidenza americana e/o alla superiorità militare russa, e/o all’ intervento della Cina e della Turchia, una guida europea servirebbe dunque per incanalare la partecipazione della popolazione disorientata verso la politica, anche e soprattutto nel caso in cui si impongano scelte drammatiche, come in quello di guerra campale sui nostri territori. Infine, la guerra potrebbe, e dovrebbe, costituire un momento di maturazione degli Europei sui temi della pace e della guerra, così come lo avvenne con Kant, Novalis, De Maistre, Coudenhove-Kalergi, Spinelli, Simone Weil, Galimberti e Drieu La Rochelle.
Tema centrale: la lotta ai condizionamenti culturali anti-europei, come il millenarismo materialistico, il Postumanesimo, la”cancel culture”, la russofobia e la sinofobia.
In particolare, occorrerebbe fare pressione affinché il richiesto maggiore contributo dell’Europa agli sforzi della NATO si traducesse in una maggiore influenza degli Europei, soprattutto investendo in attività che accrescano l’autonomia europea, per esempio in un’Accademia Militare e Strategica Europea, in un’Intelligence Europea, in un software duale europeo, in un’arma missilistica e spaziale europea.
Infine, a tendere, il ritorno all’ idea di una “Casa Comune Europea”, di cui le steppe pontiche, con il loro spirito “passionale” (Mickiewicz, Pushkin, Lermontov, Gogol, Herceg)tornino ad essere la cerniera, senza più guerre fratricide, ma, anzi, con un reciproco riconoscimento, come nelle “Danze Polovesiane”.
4.IN PREPARAZIONE DELLA STATUALITA’ EUROPEA
Come detto prima, l’obiettivo delle attività del Comitato si dovrebbero articolare in due fasi: la prima, durante la guerra, e, la seconda, dopo.
Questa seconda fase dovrebbe avere come obiettivo di costituire quella base umana, concettuale, organizzativa, che oggi manca agli Europei per poter creare la propria statualità
Essa dovrebbe rispondere innanzitutto a una serie di domande:
1)quali sono le sfide a cui sono esposti oggi tutti i Paesi del mondo?
2)quali di esse sono specifiche dell’Europa?
3)quali sono le possibili risposte?
4)in particolare, quali sono le trasformazioni nella teologia, nell’antropologia, nella filosofia, nella società, nella geopolitica, nell’economia, nella difesa e nella cultura indotte dall’ Intelligenza Artificiale?
5)quali sono il possibile contributo dell’ Europa e i suoi reali interessi?
6)quali sono le caratteristiche (rilevanti per quanto sopra) che accomunano l’ Europa con i grandi Stati-Civiltà?
7)Le risposte delle diverse culture possono convergere?
8)Cosa può esserci di comune, e quanto deve rimanere distinto?
9)Alla luce di quanto precede, le tendenze in corso nei diversi ambiti umani sono accettabili o debbono essere cambiate?
10)In che cosa sarebbe possibile cambiarle?
11)Come potrebbe l’Europa contribuire a cambiare queste tendenze?
12)Quale struttura dovrebbe darsi l’Europa per contribuire a quei cambiamenti? In campo culturale, politico, militare, economico?
13)In che modo le attuali organizzazioni sovrannazionali possono essere utilizzate come componenti di questa futura struttura dell’Europa?
14)Come pervenire a trasformare l’Europa in tale senso?
15)Come strutturare il Comitato?
Purtroppo, a oggi ci sembra che pochissimi intellettuali europei siano sensibili a questi temi, sicché pensiamo che il comitato dovrebbe essere inizialmente abbastanza ristretto, senza poter arrivare a una rappresentanza su base“nazionale”(anche perché le “nazioni” attuali non sempre sono molto rappresentative). Un’attenzione particolare dovrebbe essere dedicata a momenti seminariali, miranti a sviluppare una “scuola” di giovani europeisti “passionali”.