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MAI PIU’GUERRE?

Considerazioni su Trump come “pacificatore”

Se c’è un tema che accomuna buona parte del mondo politico e culturale di oggi, è la pretesa ricerca della pace.

Tuttavia, la fragilità della tregua di Gaza mostra l’eccesso di retorica che ancora una volta ha caratterizzato la pretesa “Pace Perpetua” mediata questa volta dal Presidente Trump, dimostrando un’ennesima volta l’impossibilità della Pace Perpetua nell’immanenza.

1.Pacifismo e imperi

Come abbiamo spiegato in precedenti post, quella ricerca è stata presente, nel discorso culturale e politico, fino dall’ antichità, specie nei grandi Imperi (persiano, cinese, romano, islamico) e nelle religioni universali  ad essi legate (mazdea, buddista, cristiana, Islam), ma il suo significato reale è sempre stato intrinsecamente ambiguo. Tutti d’ispiravano alla formula, fatta propria da Trump, “Piece through force”,, vale a dire che il potere esorbitante dell’ impero avrebbe reso impossibile, fa i popoli conquistati, una guerra divenuta, dopo la conquista, intestina all’ Impero stesso, e quindi vietata dall’ Imperatore (anche se l’Impero Persiano fu presto sconfitto da Alessandro e l’impero macedone fu spartito  fra i Diadochi).

Attraverso l’imposizione della pace, l’Imperatore voleva dimostrare la propria superiorità (quasi divina), e la propria funzione storica.

La pace vantata dagli imperatori achemenidi era quella ottenuta soggiogando i regni e le città del Medio Oriente e trascinando in catene a Persepoli i loro governanti, come raffigurati sulle tombe imperiali e nei palazzi della capitale. Quella dei profeti ebraici prevedeva che Gerusalemme divenisse la capitale del mondo, e quella dei Romani si concretizzava nel “parcere victis et debellare superbos”. La “Trewa Dei” era, come dice il nome stesso, una tregua fra i potenti cristiani, sponsorizzata dalla Chiesa, per poter meglio combattere gl’infedeli per la “Dilatatio Christanitatis” auspicata da Sant’Agostino, mentre l’ “Ewiger Landfrieden” era la pace fra i feudatari tedeschi imposta dall’ Imperatore, sotto severe sanzioni.

Anche la Pace di Westfalia consistette essenzialmente nell’imposizione ai vari Stati, dopo la guerra dei Trent’Anni, della confessione religiosa dei rispettivi principi (“cuius regio, eius religio”). La Pace Perpetua di Podiebrad e di St-Pierre era una pace fra gli Europei  per meglio gestire la colonizzazione degli altri Continenti, mentre i Trattati di Versailles, Trianon e Santo Stefano  sancivano la distruzione degl’imperi tedesco, austriaco, russo e ottomano, preparando il terreno alla guerra totale e agli stermini del nazionalismi scatenati.

La Guerra Fredda si reggeva sulle bombe di Hiroshima e Nagasaki e sull’ occupazione dell’ Europa: la Pax americana si fonda  sulle basi NATO e sulla Società del Controllo Totale. L’”Ordine Mondiale Basato sulle Regole” mira ad imporre il mantenimento in piedi  di un equilibrio culturale, sociale, demografico, economico e militare egemonico intorno agli Stati Uniti (l’”Impero Nascosto”), sì che ogni attentato a tale equilibrio viene inquadrato come un delitto, e, come tale, esposto a sanzioni (che vanno dalla bomba atomica, al napalm, ai colpi di Stato, ai dazi, ai processi e le esecuzioni contro i leader sconfitti).

In queste condizioni, vale quanto scritto a suo tempo da Tacito: “fecero un deserto e lo chiamarono pace”.E il testo più realistico sulla guerra resta il  “Bhagavad Gita”, parte del Mahabharata contenente gl’insegnamenti di Krishna. Nel primo capitolo, il principe-guerriero Arjuna si trova sul campo di battaglia di Kurukshetra, pronto a combattere contro i suoi stessi parenti e maestri. Di fronte alla prospettiva della guerra fratricida, è sopraffatto dal dolore e dal dubbio morale. Dice:“O Krishna, dopo aver visto tutti i miei parenti riuniti qui con ansia di combattere uno contro l’altro, sento le mie membra perdere forza e la mia bocca seccarsi.”Krishna  lo esorta a compiere il proprio dharma (dovere) di guerriero, insegnandogli che l’anima è immortale e che la morte nel corpo non è la fine. La guerra diventa così un simbolo del dovere spirituale e della lotta contro l’ignoranza.

2.Guerra e natura umana

La guerra fa parte della “natura umana”, come scrissero Eraclito, De Maistre e De Landa, ed è  ben riassunto in un recente saggio di Sadun Bordoni. Non solo e non tanto come un residuo di animalità, ma anche e soprattutto per il trauma della finitezza – cognitiva, temporale e pratica- (la “Geworfenheit”, per dirla con Heidegger), che provoca, nell’ uomo, un senso incessante di frustrazione e rivalsa.

Nella condizione della Geworfenheit, la pace perpetua significherebbe accettazione dell’ inutilità della vita, mentre la guerra (in tutte le sue forme) viene sentita invece come garanzia di libertà, cioè di movimento, di cambiamento (la “rivolta”). Oggi la pace fra gli uomini è forse possibile attraverso  il trasferimento delle loro qualità alle macchine (le quali, semmai, si faranno poi la guerra fra di loro, così come, in parte, sta già accadendo), mentre gli uomini, finché esisteranno, saranno sottoposti alla disciplina mondiale imposta dal sistema macchinico ( Big Data, Intelligenza Artificiale, Cyberintelligence).

Prendere atto di quanto precede significa forse favorire e fomentare le guerre?Al contrario, significa, a nostro avviso, tentare di  riportare i conflitti umani entro limiti sopportabili, evitando che la loro estremizzazione porti al passaggio del controllo alle macchine, come sta avvenendo attraverso sistemi digitali come “Dead Hand”, che contengono un comando di autodistruzione dell’Umanità.Richiede anche una lotta concorde dell’ Umanità contro il predominio delle macchine.

Oggi, i discorsi concilianti sulla pace e sulla guerra da parte di potenti, Chiese, cultura, politica e comunicazione, sono pura propaganda a favore  questo o per quell’altro gruppo di potere. A sentire tutti costoro, infatti,  la pace sarebbe raggiunta non appena il nemico si arrendesse (il disarmo di Hamas, la “denazificazione” dell’ Ucraina, il “Régime Change” in Russia o in Iran). Nessuno pensa neppure lontanamente a un disarmo reciproco, e neppure a forme più blande dello stesso, come il controllo degli armamenti e della ricerca in campo digitale, come suggerito da Kissinger e Yudkowsky.E, soprattutto, nessuno pensa minimamente a un “Disarmo culturale”(Raimon Panikkar), ove venga riconosciuta l’eguale legittimità di tutte le civiltà (precolombiana e cinese, africana e delle steppe, medio-orientale e americana, indiana ed europea), come invocato da tempo da Spengler e Toynbee. Solo su questo presupposto si potrebbe evitare il protrarsi in eterno di conflitti che sono radicati nell’identità stessa dei vari popoli e nel loro senso di “eccezionalità”(dall’ arroganza romano-germanica al conservatorismo russo, dal messianesimo americano a quello sionista, dal jihad islamico al Bharat Akhand indiano..).

Venendo ora a Palestina e Ucraina, quei territori sono stati da sempre i punti di partenza dei maggiori conflitti: dagli Yamnaya agli Argonauti; da Attila ai Magiari; dal Principe Igor a Chinggis Khan; dai Cosacchi ai Tartari; da Chmelnicki a Mazeppa; dalla Guerra di Crimea all’UPA; dalla stele di Merneptah ai bassorilievi di Medinat Habu; dalle Guerre Giudaiche alla rivolta di Zenobia; dalle Crociate a Lawrence d’ Arabia…

I testi egizi erano già pieni di riferimenti a infiniti popoli in competizione nel “Levante Meridionale” (cfr.Ida Oggiano, “Dal terreno al divino”: oggi, la “Palestina”), agli Hyksos, ai Popoli del Mare, agli Habiru, agli Aperu, agli Ya’su, agli Yahu, ai Pelest, i Zeker, I Shekelesh, gli Sherdana…per non parlare degli Egizi a Ashdod, degli Aramei, dei Samaritani, dei Fenici , degli Assiri e dei Greci, che anticipano di millenni l’attuale conflitto.

Il “Sarmatismo”, importato dall’ Italia alla corte di Bona Sforza a Cracovia, ha legittimato l’enorme regno di Polonia (comprendente l’Ucraina Occidentale), e ancor oggi ispira le politiche espansioniste dell’ Occidente sotto l’influenza di politici di origine ucraina, Brzezinski, Nuland e  Blinken       .Anche  il Sionismo fu fatto avanzare dagli Ebrei ucraini, e i maggiori fautori della Grande Israele (come Žabotinskij, Golda Meir, e, ora, Nethanyahu -da parte di madre-, Smotrich, dal nome di una cittadina ucraina)provengono da quell’ area. Non parliamo poi di Zelenskij.

Jihad e Crociate si sono scontrate proprio in Palestina, così come la Guerra di Crimea nacque per la rivendicazione, da parte dei vari Paesi Europei, del diritto di fungere da protettori dei Cristiani di Terrasanta.

3.I “Costruttori di Pace”

Quindi, nella storia, la pace non è stata mai una realtà, ma piuttosto solo un tentativo. Anche le pretese grandi paci, come per esempio la Pax Romana, la Pax Mongolica, la Pace di Westfalia, la Belle Epoque e la Pax Americana, sono state costellate da guerre terribili, come quella con Antonio e Cleopatra e quella con i Germani, oppure l’invasione di Siria, Palestina, Russia, Ungheria e Polonia; come le Guerre di Successione;  le Guerre Balcaniche e quelle in Palestina, Grecia, Corea, Vietnam. Afghanistan, Iraq…

Questa è la ragione per cui, una volta messa in luce l’ipocrisia che sta dietro alle retoriche pacifiste degli imperi, questa critica non si estende all’invocazione della pace da parte delle religioni, che svolgono, ciò facendo, un loro compito, purché siano consapevoli del fatto che, fino all’ Ora Ultima, questo sarà sempre e soltanto confinato al ruolo di un tentativo.Al massimo, ciò che spetterebbe ad esse, e, innanzitutto, per la sua posizione inequivocabilmente eminente, al Sommo Pontefice,  sarebbe il ruolo di un altissimo mediatore, come veniva riconosciuto nei progetti medievali di “Pace Perpetua”. La pretesa dei Presidenti degli Stati Uniti di occupare questo spazio è obiettivamente una forma di hybris, che  non cesserà di avere conseguenze negative.

Insomma, la Civitas Dei e la Civitas Homini si incontreranno solo alla fine.

Intanto, in contrasto con le retoriche europeistiche sulla “Pace Perpetua”, le guerre in corso stanno plasmando addirittura il panorama politico dell’ Europa, creando fronti contrapposti proprio sull’atteggiamento da tenersi sulle guerre. Basti pensare a Giorgia Meloni, a Orbàn, a Kallas, a Albanese, a Fico, a Merz, a Babiš. Così, si è creato un “Fronte dell’Intermarium”, favorevole alla guerra con la Russia, che monopolizza gli incarichi rilevanti dell’ Unione (Kallas, Kubilius, Dombrovkis), contro  un “Fronte di Visegrad” (Orbàn, Fico, Babiš, Vučić), favorevole al dialogo con la Russia. Quant’è lontano il tempo in cui l’ Europa Centrale e Orientale era un territorio lontano e sconosciuto!

4La corsa dell’Europa per costruire  il suo “Scudo Aereo”

Altrettanto temeraria di quella di Trump è perciò la pretesa dell’ Unione Europea di costituire l’avanguardia della pace mondiale.

In effetti, mentre gli Stati premoderni avevano almeno tentato in concreto (con i “Due Soli”)di costruire un organismo, se non unitario, almeno coerente, che potesse interfacciarsi con l’Impero Islamico, con quello mongolo e con la Cina, l’Unione Europea è partita fino dall’ inizio sotto una forte spinta americana (Fulbright, Sullivan, la CIA), e ha continuato per decenni a coltivare solo una limitata politica commerciale, ancillare agli USA (la concorrenza, il management), mentre l’Arabia, Israele e la Cina emergevano quali poli effettivi del potere mondiale; infine, proprio alla caduta dell’ Impero Sovietico, quando avrebbe potuto ergersi a nuova potenza indipendente, si è appiattita su un occidentalismo che le ha tolto ogni capacità di proposta e di iniziativa.

Ora, come scrive, su Euractiv, Miriam Saenz de Tejada, quando i leader dell’Unione europea si sono riuniti a Copenaghen all’inizio di ottobre, la presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha sottolineato l’urgenza di costruire una “muraglia di droni” europea – una rete coordinata di radar, sistemi di disturbo e intercettori anti-drone per neutralizzare le minacce prima che raggiungano spazi aerei sensibili. Allo stesso tempo, sta prendendo forma un piano ben più ambizioso, che potrebbe integrare la cosiddetta “muraglia di droni” in una rete difensiva su scala continentale, lo Scudo Aereo Europeo (European Air Shield).

Le recenti incursioni di droni russi – considerate un modo per testare la difesa aerea e la tenuta politica della NATO, ma soprattutto gli annunzi sui missili ipersonici e sul siluro nucleare Poseidon, – hanno messo a nudo alcune scomode verità:la guerra moderna non si misura più con i numeri, ma con la precisione su larga scala. Costruire uno Scudo Aereo Europeo non sarà né facile né economico. L’UE dovrà superare differenze politiche, problemi di approvvigionamento e costi elevati. Inoltre, non può semplicemente replicare l’Iron Dome israeliano: quel sistema protegge un territorio ristretto e densamente popolato da minacce a corto raggio. L’Europa, invece, ha popolazioni sparse su un’area immensa e deve affrontare l’intero arsenale russo, dai missili Iskander a corto raggio agli ipersonici Avangard a lungo raggio, fino a Oreshnik, Burevestnik e Poseidon..

L’industria della difesa europea resta frammentata. “Berlino sostiene IRIS-T e Patriot attraverso la European Sky Shield Initiative, mentre Parigi e Roma puntano sul SAMP/T, e Oslo e altri Paesi si affidano ai NASAMS”. La sfida, dunque, non è solo tecnologica, ma politica. Un sistema di difesa credibile e multilivello richiede non solo miliardi di investimenti, ma un grado di coordinamento che l’Europa ha storicamente faticato a raggiungere.

5.Etica dell’Intelligenza artificiale nella difesa

In realtà, l’Europa sta affrontando la difesa del XXI° Secolo con una mentalità da XX° Secolo.

Mentre, nel XX° Secolo, dominavano l’aviazione e la missilistica, nel XXI° domina l’Intelligenza Artificiale. Ai problemi, oramai risalenti, dell’”eticità” dell’ Intelligenza Artificiale, si aggiunge il rapido avanzare delle tecnologie di difesa.

I problemi sono assolutamente nuovi. Una potenza che, come l’Europa “parta da 0”, dovrebbe incominciare con l’AI. Qui confluiscono  tante questioni irrisolte. Come possa la guerra essere etica? Se esista una “guerra giusta?;  Come applicare alla guerra tecnologica moderna i principi “tradizionali” dello “jus in bello” (quelli antichi, greco-romani, cristiani, islamici, hindu, quelli relativamente recenti)?.

Secondo le culture guerriere dell’ antichità (pensiamo al Bhagavad Gita, a Sant’Agostino, al Jihad, alla Regula Novae Militiae, allo Jus ad Bellum e allo Jus in Bello della Dottrina della Chiesa e del Diritto internazionale), la guerra era non solo etica, ma era una delle attività più nobili. Pensiamo che Ramses, Pericle, Augusto, Carlo V, Washington, Napoleone, Vittorio Emanuele II, Stalin, Mao, Castro e Che Guevara (per non dire Mussolini e Hitler), sono sempre stati rappresentati in tenuta militare.

Tuttavia, questo era già contestato dal jainismo, dal Buddhismo, dai primi Cristiani, dagli anarchici. Oggi, sembra che il pacifismo sia divenuto “mainstream”, anche se si vede che, quando c’è una guerra concreta, dalla destra alla sinistra, nessuno si tira indietro a stanziare miliardi e a spedire missili.

Il punto è che molte guerre, e tutte quelle contemporanee, sono “guerre culturali”. Sono combattute per affermare la superiorità di una cultura sull’ altra: “democrazia” contro “autocrazia”; “Occidente” contro “il Resto”; “Mondo Russo” contro Occidentalismo; Islam contro Sionismo, ecc…Quindi, esse sono “giuste” per ciascuna delle parti combattenti. Anche i concetti di “aggressore” e “aggredito” sono soggettivi, perché all’origine c’è sempre una prevaricazione reciproca: il colonialismo, l’imperialismo, la Guerra Santa, le Guerre del Signore…

Le guerre erano sempre state  “non etiche”, non soltanto per il principio in sé, ma perché le difficoltà tecniche e logistiche rendevano normali il saccheggio, lo stupro, la distruzione di città, perfino il genocidio (pensiamo alla Guerra di Troia, alle conquista di Canaan, della Gallia o dalle Americhe).Tuttavia, proprio quando, con il diritto internazionale bellico, si è tentato di mettere un rattoppo su tutto ciò, e le condizioni tecniche renderebbero possibile un controllo come in tempo di pace, sono sopravvenuti i bombardamenti a tappeto, la bomba atomica e l’Intelligenza Artificiale. Si tenta di usare un “approccio basato sull’ analogia”, cioè di applicare il diritto internazionale bellico alle guerre digitali (il cosiddetto “Manuale di Tallinn” della NATO).

Inrealtà, è più facile pervenire a un’idea di “Cyberguerra etica” partendo dalle concezioni orientali dell’ Arte della Guerra (p.es. Sun Zu, Mo Zi o l’Arthashastra). Per SunZu, l’obiettivo del condottiero dovrebbe essere quello di conquistare il mondo senza uccidere nessuno. Com’è possibile questo? Attraverso la conoscenza: se conosci te stesso e il tuo nemico, vinci; se non conosci te stesso e il tuo nemico, perdi. Come in una partita di “Go”, basata sugli “stratagemmi”.

Tutto ciò è esemplificato dall’ apologo di Mozi, che fa togliere un assedio semplicemente illustrando al re assediante la perfezione del proprio sistema difensivo.

Per fortuna le potenze orientali, eredi di questa antica saggezza, stanno acquisendo un sempre maggior peso nell’ arena internazionale, influenzando sempre più le trattative sulla pace e sulla guerra.

“IL CUORE SANGUINA ANCORA”.

Al pettine tutti i nodi della crisi europea

Senza il “Tea Party”, non ci sarebbero state le “Rivoluzioni Atlantiche”

Voi – milioni. Noi – nugoli agguerriti.
Fateci guerra, o ardimentosi!
Sì, noi – gli asiatici! Sì, noi – gli Sciti,
Con gli occhi a mandorla e bramosi!

Noi – solo un’ora, voi secoli aveste.
Noi, servi docili e ubbidienti,
Fummo lo scudo tra le razze avverse
Dell’Europa e delle barbare genti!

Il vostro martello i secoli forgiava,
Coprendo il rimbombo della lavina,
E per voi una fiaba diventava
La distruzione di Lisbona e Messina!

Voi per centenni guardavate a Oriente,
Ammassando e fondendo i nostri ori,
E aspettavate il momento conveniente
Per puntarci contro i vostri cannoni!

E’ ora. Batte le ali la sventura,
E ogni giorno aumenta l’offesa,
E il momento verrà in cui nessuna
Traccia di Paestum resterà illesa!

O vecchio mondo! Finché non perirai,
Finché proverai un tormento amaro,
Rifletti, sii saggio, come Edipo vai
Davanti alla Sfinge col mistero arcano!

La Russia è la Sfinge. Esultante e afflitta,
Pur piangendo nero sangue con furore,
Essa ti guarda, ti guarda, ti fissa,
Con tutto il suo odio e tutto il suo amore!…

(Aleksandr’ Blok, “Gli Sciti”)

I Cosacchi scrivono al Sultano

Ancora una volta, oportet ut scandala eveniant. Proprio dagli eccessi della propaganda di guerra, di ambo le parti, potrebbe, e dovrebbe, nascere finalmente un dialogo senza pregiudizi e di alto profilo sull’autentica Identità Europea. Che non è affatto lineare, come vorrebbe il “mainstream” occidentale,  e come in fondo non vuole riconoscere nessuno (cfr. il nostro libro “10.000 anni d’identità europea”). Essa non comprende solo la “coscienza europea” occidentale, bensì anche, necessariamente, le culture dell’ Europa Centrale e Orientale.

Essa costituisce, a mio avviso, quella chiave per una “Nuova Architettura di Sicurezza”,  che  resterà introvabile  finché nessuno , né a Est, né ad Ovest, vorrà cercarla, mentre noi la stiamo indicando da ben 15 anni.

Ne posso parlare con coscienza di causa perché, contrariamente all’ attuale “establishment”, dell’Europa Centrale e Orientale, me ne sono sempre interessato, da molti decenni, impegnandomi per tante cause secolari che praticamente tutti  stanno scoprendo solo ora. Al tempo dei disordini studenteschi (‘68 e successivi), ero stato veramente uno dei pochi, o, meglio, l’unico, ad avere organizzato in Italia grandi manifestazioni di giovani contro ciascuna delle massime prevaricazioni del regime sovietico:

nel  1968, contro l’invasione di Praga;

-nel 1971, contro l’arresto a Danzica, dei sindacalisti del  Komitet Obrony Robotników  e, nel 1972, a Kiev, di Ivan Dziuba, (divenuto anni dopo  Ministro della Cultura), per il suo samizdat (in Ucraino)“Internacijonalizm czy Rusifikacija. In particolare, avevo affisso al portone dell’ Università di Torino un “Dazebao” in cui chiedevo (in tempi non sospetti) la liberazione  di Dziuba, arrestato per essersi occupato proprio del tema di oggi: “russità” e/o “ucrainità” dell’ Ucraina. Ne era seguita una rissa.

Quando noi facevamo quelle manifestazioni, nessuno si sognava neppure lontanamente di applaudirci, ché, anzi, eravamo stati ostacolati e minacciati, tanto dai partiti, quanto dalle istituzioni, quanto dai sedicenti “movimenti studenteschi”. Ricordo perfino che, avendo affisso uno striscione sul Palazzetto dello Sport chiedendo la liberazione della Cecoslovacchia durante una rappresentazione del Circo di Mosca, eravamo stati inseguiti con intenzioni minacciose dalla stessa polizia locale, oggi ovviamente impegnata nell’ assistenza agli Ucraini.

La verità è che l’attuale “establishment” non si è mai interessato dell’ Europa, bensì solo delle  sue obsolete ideologie, e, al massimo, dei rapporti fra le grandi potenze, in base ai quali i suoi membri  hanno orientato le loro carriere. E ciò ancor più ora, quando, con il suo appiattimento sulle posizioni americane, ha perso ogni residua legittimità ad esprimersi sul futuro del nostro Continente, o a pretendersi “europeista”.

Improvvisamente, quell’”establishment” e quelle persone (politici, giornalisti, intellettuali), che non volevano si protestasse contro eventi ben più inequivoci, adesso esigono un unanimismo “bulgaro”   circa le loro inutili lamentazioni sulle sorti di un’Ucraina che, allora, non sapevano neanche che cosa fosse.

Cito alcune frasi in Ucraino della sentenza contro Dziuba, praticamente simili, mutatis mutandis,  a quanto oggi l’ “establishment” divce di chi non si allinea con il “Pensiero Unico”: “L’”opera” di Dziuba ‘Internazionalismo o russificazione” è stata scritta  con un approccio non scientifico. Essa utilizza i classici del marxismo-leninismo, i documenti del Partito ed altre fonti, falsificandole e deformandole per sostenere la ‘concezione’ dell’ autore cherieccheggia le idee del nazionalismo borghese ucraino.’

Comunque, sempre con lo stesso risultato di allora: nessun miglioramento dell’insoddisfacente corso  degli avvenimenti, e solo l’avanzamento nella carriera  di quegl’interessati agitprop (sempre gli stessi sotto diverse bandiere)

Svolgiamo qui intanto alcune considerazioni, partendo da Dostojevskij, tirato in ballo inopinatamente dalla polemica fra l’Università “Bicocca” di Milano e lo scrittore Nori(autore del libro su Dostojevskij “Il cuore sanguina ancora”), per poi tornare a riproporre quella che era stata sempre la nostra posizione: l’Europa da Brest a Vladivostok, unica soluzione che eliminerebbe alla radice tutti i problemi, culturali, militari, economici e militari, che oggi ci tormentano, a Ovest come a Est.

Primavera di Praga

1.La battaglia intorno a  Dostojevskij

Ci associamo intanto all’articolo della coraggiosa Donatella di Cesare, che attaccava su “La Stampa” il conformismo russofobico imperante, citando giustamente Anna Netrebko, che, opponendosi al boicottaggio di Gergijev, ha scritto:«’Non è giusto costringere gli artisti ad esprimere pubblicamente le proprie opinioni politiche e a denunciare la propria terra d’origine’. Così chi ha la colpa di essere russo viene ovunque estromesso a priori da eventi artistici, organizzazioni sportive, tornei di calcio. Fifa e Uefa decretano l’espulsione della Russia, mentre il Comitato Olimpico esclude a priori cittadini russi e bielorussi, a meno che non si svestano dei loro panni di russi e bielorussi gareggiando come apolidi o neutrali. Ma la discriminazione si diffonde perfino nelle università e nelle accademie. Ricercatori che avevano scritto mesi fa articoli scientifici si vedono adesso rifiutare i propri contributi dalle riviste non con ragioni di merito, bensì per il semplice motivo di essere russi. Coinvolgere l’arte, lo sport, la scienza e la ricerca nella guerra non è una scelta saggia. Dovrebbe semmai essere l’esatto contrario: lasciare aperti proprio questi spazi al dialogo e alle prove di pace”. “Che chi è russo debba essere qui improvvisamente additato a nemico appare non solo inconcepibile, ma anche indegno di un Paese civile. È vero che i venti di guerra soffiano forti ormai anche per le nostre strade e nelle nostre piazze, e che c’è chi fa di tutto per accendere gli animi, ma forse occorrerebbe fermarsi prima di compiere gesti di cui pentirsi e vergognarsi”…. “Ha compiuto in tal senso un gesto più che discutibile Beppe Sala, primo cittadino di Milano, capitale dell’ospitalità, che ha portato Valerij Gergiev, sospetto di essere putiniano, a lasciare la direzione del Teatro alla Scala. Ma dirigere un’orchestra non è comandare una truppa militare. Questo significherebbe accettare solo gli artisti che, sotto intimidazione, abiurino pubblicamente”.

Il culmine di questa frenesia è la pretesa dell’autocritica. Bisogna dichiarare, non solo di essere contrari a questa guerra, bensì anche di essere contrari alla Russia (o almeno al suo Governo). Metodi cari al socialismo reale, di cui tutti accusano (poco logicamente) Putin, e alla cui realtà il “mainstream” europeo è in effetti molto più vicino. In generale, il “mainstream” occidentale è più l’erede dell’egemonia culturale marxista di quanto non lo siano i Paesi “sovranisti” dell’est (i quali sono semmai culturalmente gli eredi dei vecchi “dissidenti” come Florenskij, Gumilëv, Bahro, Amal’rik o Sol’zhenitsin). Era infatti il “socialismo reale” quello che credeva, come l’attuale “mainstream”, in una marcia trionfale del Progresso verso la Fine della Storia, pretendendo  che ogni evento fosse giudicato secondo questo metro, e deformando fatti e giudizi per farli coincidere con la “linea del partito”. Ora, quell’atteggiamento è stato “girato” semplicemente  nel senso che la “Fine della Storia” sarà costituita dalla Singularity Tecnologica, e che tutto ciò che serve a quello scopo (e in primis l’”Occidente”) va sottolineato ed esaltato, e tutto il resto va ostracizzato “senza se e senza ma”. Senza neppure documentarsi sui fatti, come fa il nostro “establishment”, che risponde oramai soltanto a riflessi pavloviani indotti da alcune lobby.L’iter provvidenziale verso la Singularity passa dunque, per gli attuali zhdanovisti, attraverso la “Missione dell’ Occidente”, la rivoluzione tecnologica, il mondo unipolare, i GAFAM, “lotta delle democrazie contro le autocrazie” e, soprattutto, l’ossequio allo Stato-guida americano.

I vecchi “dissidenti” e i “riformisti” dei Paesi comunisti, pur essendo diversissimi fra di loro, erano accomunati, nella loro diversità,  proprio dal rifiuto sostanziale di quella Modernità che accomunava sovietici e americani. Kadaré era un “nazionalcomunista” cultore dei miti ancestrali albanesi del Kanun e della Bessa; Sol’zhenitsin un nostalgico dell’ Impero Russo che teorizzava l’unità degli Slavi Orientali; Wałesa portava “la Madonna sul bavero della giacca”, ecc…E’ ovvio che i loro eredi intellettuali di oggi continuino a non apprezzare l’omologazione tecnocratica occidentale.

Di converso, le attuali paranoie piccolo-nazionaliste della Russia (e dell’ Ucraina) nascono proprio dalla pluridecennale repressione delle autentiche culture.

Sarebbe ora che si lasciasse “respirare con  i due polmoni dell’ Europa” un pensiero indipendente ed autentico, radicato nella nostra eredità culturale.

Ivan Dziuba, professore, patriota ucraino e ministro della cultura

2.”Filosofija Obśćego Diela”( “La Filosofia del Compito Comune”)

E’ paradossale che l’ideologia segreta dell’ attuale “mainstream” occidentale (il postumanesimo) prenda le mosse proprio da un ascetico e geniale bibliotecario di Mosca, Fëdorov, che, con la sua enorme personalità, era riuscito a trasformare, alla fine dell’ Ottocento, il suo modesto ufficietto in un cenacolo da cui passarono i massimi intellettuali russi del’ epoca: Dostojevskij, Tol’stoj, Berdiajev, Tsiolkovskij, Vernadskij…(i quali per altro sin gran parte si rivoltarono contro il suo insegnamento, ponendo le basi di quel “Pensiero Russo” che oggi sembrerebbe il nemico per eccellenza dell’ “Occidente”).

Secondo Fëdorov, l’Uomo doveva  innalzarsi dal suo stato di entità alle mercé di cieche forze naturali, e vittima di un’entropia dissolutrice, a quello di una realtà capace di controllare razionalmente i processi evolutivi e cosmici, al fine di risolvere definitivamente il problema della morte, che è alla radice di ogni male.

Nella concezione fedoroviana, la Natura è la nostra “nemica temporanea”, data la sua tendenza disgregatrice ed entropica; solamente una volta che avremo invertito il corso naturale che va dalla vita alla morte e reindirizzato tutto verso la “vita eterna”, essa diventerà la nostra “amica permanente”.

Se la Disintegrazione è infatti la regola universale, se la morte è il male più grande che affligge universalmente tutti gli uomini — un vero e proprio “crimine” che ha accompagnato l’uomo fin dalla sua comparsa — allora la Reintegrazione, la resurrezione dei morti, è il bene più alto e oggetto del compito umano. Ciò implica non solo raggiungere un’immortalità per coloro che nasceranno, ma ripristinare alla vita eterna tutte le persone che ci hanno preceduto, affinché possano condividere quel mondo perfezionato dalla ragione umana dove noi tutti vivremmo nella fraternità per sempre. La Resurrezione è la trasformazione dell’universo — dal caos verso il quale si sta muovendo — nel cosmo, in una grandezza di incorruttibilità e indistruttibilità.

Il Cristianesimo, secondo il filosofo russo, rimane l’unica religione “vivente ed attiva” che ha saputo trasformare fino in fondo il problema della vita e della morte in problema religioso, ma sarebbe sbagliato intendere la fede cristiana come una mera “commemorazione della vita” in quanto essa è anche, e soprattutto, “un compito di redenzione” che comprende  salvezza di tutto il cosmo.

Come nel “Primo Programma Sistemico dell’ idealismo tedesco”, la soluzione fedoroviana al problema della vita e della morte richiede l’unione delle due forme di ragione, teorica e pratica, e delle due classi, dotti e ignoranti.

Il “Compito Comune”, indicato dalla filosofia ‘supramoralista’ di Fiodorov, non farebbe altro che attuare ciò che Dio vuole da noi, ossia un progresso incessante delle conoscenze e un’applicazione continua delle stesse, in modo che l’uomo si avvicini in misura sempre maggiore alla perfezione divina.Fëdorov anticipava, tanto Teilhard de Chardin, quanto Ray Kurzweil.

Le Vie della Seta passano da Kiev

3. La “scienza della rianimazione”

L’uomo, grazie ai mezzi scientifico-tecnici, deve imparare non solo a migliorare se stesso, creando organi artificiali (protesi) adatti a nuovi ambienti ed estendendo ad infinitum la sua durata vitale, ma deve anche imparare a rianimare i suoi Antenati dalla polvere e dalle tracce che hanno lasciato. Tutta quanta l’attivitá scientifica dev’ essere dunque subordinata allo scopo finale di rintracciare gli atomi e molecole degli Antenati sparsi per il mondo, dato che “tutta la materia è la polvere degli Antenati”, per la loro ricostruzione in un nuovo glorioso corpo (come quelli degli estinti dinosauri che abbiamo visto rinascere miracolosamente in “Jurassic Park”.

E’ l’obiettivo perseguito implicitamente con le analisi dei reperti biologici in corso “a tappeto” da parte della scienza paleontologica, ed esplicitamente, dagli scienziati bolscevichi, con la mummificazione dei leader sovietici, con le ricerche sulla “quasi immortalità”, sulla criogenetica e sulla clonazione umana.

Fiodorov giunge a immaginare che, quando i discendenti dell’umanitá odierna, i ‘figli dell’uomo’, colonizzeranno tutto l’universo, trionferà la bellezza, tutto l’ordine cosmico diventerà così capolavoro artistico, prodotto adamantino e imperituro della creatività umana: l’estetica dell’astronautoica sovietica

La capacità di vivere in tutto l’Universo, consentendo alla razza umana di colonizzare tutti i mondi, ci darà il potere di unire  questi mondi  in un tutto artistico, in un’opera d’arte, della quale gli innumerevoli artisti, come nell’immagine del Creatore Uno e Trino, sarà l’intera razza umana, la totalità delle generazioni risorte e ricreate ispirate da Dio, dallo Spirito Santo, che non parleranno più attraverso certi individui, i profeti, ma agirà attraverso tutti i figli dell’uomo nella loro (supramorale) totalità etica o fraterna, attraverso i figli dell’uomo raggiungerà la perfezione (per Teilhard de Chardin, il “Punto Omega”; per Kurzweil, la “Singularity”).

I guerrieri “Yamnaya”
fra Russia e Ucraina

4.La leggenda del grande Inquisitore e il Racconto dell’ Anticristo

L’escatologia di Dostojevskij costituisce l’esatto opposto di quella del suo mentore, ed è questa la ragione per cui quest’autore può essere assunto come il lontano ispiratore della “Russia Sovrana”, e il nemico dell’ attuale “mainstream” occidentale. Il senso della Leggenda del Santo Inquisitore de “I Fratelli Karamazov” era stato  colto già da Rozanov, quando descriveva il viaggio dello scrittore  a Londra, in visita dell’esposizione universale del 1863. Nella folla raccolta a visitare i prodigi della scienza e dell’industrializzazione, egli riconosce …un quadro biblico, qualcosa della Babilonia, non so che profezia dell’Apocalisse che si va compiendo definitivamente” .

Secondo Dostojevskij, il socialismo ateo aveva trasformato il cristianesimo nei tre grandi miti di massa della società moderna: la moltiplicazione dell’avere, il valore eminente del fare e la sottomissione universale alla forza organizzativa del potere. Cristo aveva rifiutato l’invito di Satana a cambiare le pietre in pane rispondendogli che l’uomo non vive di solo pane. Ma le moltitudini affamate di beni da consumare non vorranno invece vivere soltanto per ciò che hanno o esigono di avere? L’uomo diventa così schiavo di ciò che possiede o di ciò che vuol possedere. Il secondo rifiuto di Cristo a Satana, che l’invita a gettarsi dal pinnacolo del Tempio per provare con un miracolo la propria divinità, significa la negazione che l’esorbitante potenza del fare sia la prova della grandezza dell’uomo. L’ultimo dono che il Tentatore offriva a Gesù nel deserto, tutti i regni della terra, viene sdegnosamente rifiutato.

L’interpretazione dell’omologazione modernistica come l’avvento dell’Anticristo sarà ripresa da Soloviov  nel Racconto dell’ Anticristo, una parabola ancor più esplicita del carattere ingannatore del mito del progresso universale, e della necessità dell’alleanza, contro di esso, di tutte le Chiese e religioni, ripreso dal “Ludus de Antichristo” di Ottone di Frisinga..

E’appunto a queste tendenze  di lungo periodo che si è riallacciato il Patriarca Kirill nelle sue recenti, contestatissime,  omelie, in cui ha ripreso il tema, classico nella cultura russa, della salvezza dell’ Europa per opera della Russia. Questo background è utile anche  per comprendere le passioni in gioco nella guerra di informazione in corso sulla guerra in Ucraina, che si sovrappone a due conflitti ben più globali e radicali, con cui non deve però essere confuso:

-quello fra la pressione globalizzatrice dell’ Occidente (“ogromnoje davlenije Zapada”), e la visione della Russia come Katèchon, ereditata dal Patriarca Filofej, autore dell’”Epistola sulla Terza Roma”, e ribadita, nei secoli,  da von Bader, da Dostojevskij, dai Neo-Eurasiatisti, e, da ultimo, dal Patriarca Kirill;

-quello fra gli antichi Imperi Eurasiatici (Cina, Russia, India, Iran, Pakistan), fautori di un Nuovo Ordine Mondiale multipolare, e la difesa a oltranza, da parte della NATO, di una sua pretesa superiorità -etica, esistenziale, economica, politica e militare-, contraddetta, però, tanto dai fatti, quanto dai numeri.

Ambo i conflitti debbono essere tenuti ben presenti nello studiare, valurtare e risolvere la guerra in corso. Invece, purtroppo,  a noi pare che le infinite forze che, in tutti i Continenti, si muovono contro il Post-umanesimo non riescano mai ad assurgere a un punto di vista più alto, in cui si comprendano veramente le cause di quanto accade, permettendo così l’elaborazione e la gestione di una strategia unitaria. Solo così questa battaglia potrebbe essere vinta.

Dopo la battaglia fra i Kievani
e i Polovesiani

4.L’Ucraina non è “Occidentale”

Le opposte propagande sono volte ad accreditare l’idea che l’Ucraina costituisca, come voleva già Brzezinskij, “la punta di diamante dell’ Occidente”contro la barbarie asiatica. In realtà, a mio avviso, l’Ucraina ha rappresentato in passato, e ancora rappresenta oggi, come dice il suo stesso nome, una terra di transizione fra Oriente e Occidente, e sarebbe un peccato se fosse costretta a scegliere, oggi, fra Russia e Occidente.

L’Ucraina ha condiviso con la valle del Don le prime civiltà indoeuropee; è stata il paese degli Sciti, dei Sarmati, dei Goti, dei Bulgari. dei Magiari, dei Khazari, dei Cumani, dei Peceneghi, dei Mongolo-Tartari, degli Ottomani, dei Cosacchi, dei Karaim e degli Askhenzaim. I Polacchi chiamavano l’Ucraina “Campi Selvaggi”, perché ivi cavalcavano senza freni i popoli nomadi delle steppe.

La stessa strenua resistenza dimostrata oggi contro l’Armata Russa dimostra il carattere guerresco degli Ucraini, non diverso in ciò da quello dei Russi, e non alieno dagli aspetti più severi dei costumi di guerra, dai poteri assoluti del Presidente, al divieto di tutti i partiti, all’ unificazione forzata delle reti televisive, agli omicidi dei “traditori”, alle deliberate eccezioni alla Convenzione di Ginevra, all’ uso di potenti milizie private fortemente ideologizzate. In realtà, il pericolo della cosiddetta “autocrazia” denunziato dalla retorica occidentale è un fenomeno universale, derivante dalla transizione digitale, dalla “guerra senza limiti” e dalla “Società del Controllo Totale”, che conferiscono ai Governi poteri sempre più estesi in qualunque ambito territoriale e geopolitico.

Comunque, nella narrazione ucraina, il Paese sarebbe l’erede culturale soprattutto dei selvaggi Cosacchi, il cui nome stesso è turco, e significa “cavalieri erranti”. Quindi, per definizione,ancora i popoli guerrieri e nomadi delle steppe, il cui prototipo è costituito dal Taras Bul’ba messo in scena del russo-ucraino  Gogol’. L’immagine più classica dell’antica Ucraina, quella che rappresenta i Cosacchi di Zaporozhe, che, incominciado a propendere per il Gran Principe di Mosca, scrivono collettivamente una provocatoria lettera di contumelie al Sultano, li rappresenta come un branco di selvaggi mongoli.

Tra parentesi, è grottesco come i nostri media i sforzino di minimizzare le caratteristiche “neonaziste” del battaglioni speciali dell’esercito ucraino, caratteristiche che sono evidenti a tutti, a partire dalla loro origine storica, per passare alla loro simbologia, e  finire alla storia dei loro collegamenti con vari eserciti occidentali, da quello austro-ungarico, passando da quello nazista, ed arrivare, alla fine, a quello americano. Nel Dopoguerra, i battaglioni speciali occidentali sono nati da organizzazioni politiche di “rivoluzionari di professione” filo-americani attivi su tutti i fronti delle guerre post-sovietiche (difesa del Parlamento di Vilnius, guerre ex Jugoslave, Cecenia), condividendo la parabola delle analoghe formazioni baltiche. Prima ancora, essi si riallacciavano all’ UPA e al tentativo di Rosenberg (stroncato da Hitler) di favorire la nascita di un’Ucraina indipendente alleata con la Germania. Prima ancora, i fondatori dell’ UPA erano stati legati alla Repubblica ucraina fondata da ufficiali austro-ungarici al comando dell’ “Atamano” Skoropadski.

La loro simbologia è altamente significativa a questo proposito: il loro emblema risulta dalla sovrapposizione della runa “Wolfsangel”, usata da varie divisioni di SS, al “Sole Nero” che troneggiava nella sala delle riunioni del Wewelsburg, la roccaforte delle SS. Se ci si chiede perché il Governo ucraino abbia inserito queste unità nell’esercito regolare, e non sia parco neppur oggi di riconoscimenti, né per il leader dell’ UPA Bandera, né per gli attuali comandanti del Battaglione Azov, la risposta è che, senza unità così motivate e determinate, non sarebbero stati possibili, né l’Euromaidan (un caso di scuola di insurrezione di piazza), né la riconquista e la attuale difesa di Mariupol, città fondamentale dal punto strategico e simbolico. D’altronde, anche quelle dei separatisti del Donbass sono milizie volontarie, che combattono nello stesso spirito.

Credo che non sia irrilevante, a questo proposito, ricordare che il Donbass è vicinissimo a Stalingrado: è la “Sacca del Don” dove sono morti tanti Italiani, proprio a Doneck, allora chiamata “Stalino”(per via delle acciaierie).E che il Battaglione Azov è stato fondato a Mariupol, dopo una prima occupazione dei separatisti. Certamente, nella memoria collettiva, tanto dei Russi, quanto degli Ucraini, questo ricordo è tutt’altro che irrilevante.

L’insieme di questa vicenda appare caratterizzato fin dalle origini da un uso abnorme della propaganda di guerra e della disinformazione, non solo da parte dei soggetti implicati direttamente nel conflitto, ma da parte di tutti. Non parliamo qui delle polemiche sulla strage di Bucha, che dimostrano, se non altro, l’assurdità di questa guerra, dove tutti possono essere tutto e il contrario di tutto: le vittime sono “ucraine” o “Russe”? Le hanno uccise i Russi, i Siberiani, gli Ucraini,, i “nazisti”? Ma situazioni di questo genere possono e debbono essere valutate adeguatamente solo da tribunali internazionali (che per lo più non ci riescono neppur essi), perché perfino le Nazioni Unite se ne stanno rivelando incapaci

Osserviamo solo un al fatto veramente imbarazzane: che tutti, nei filmati degli “Ucraini”, soprattutto quelli  più anti-russi, parlano fra di loro inRusso, e non ne fanno neppure mistero. Basti guardare la versione originale della serie televisiva “Sluga Narodu”, che ha come protagonista Zelenskij, e che ha costituito base delle sue fortune elettorali, dove l’unico a parlare , sempre in Russo, ma con accento ucraino, è un politico che viene ridicolizzato e isolato da tutti i membri del governo (fittizio) di Zelenskij. Si badi bene, non un accenno di accento ucraino, e neppure russo-meridionale, neanche una “G” o una “o” all posto di una “a” aspirata: purissimo Russo moscovita (tant’è vero che Zelenskii era stato scambiato per un “filo-russo”.Anche il doppiaggio in Italiano  ha suscitato corrispondenti critiche.Ma ciò che è più impressionante che, anche  sul sito del famigerato “Battaglione Azov” ,  i colloqui sono anche qui in purissimo Russo, in particolare quelli che mostrano l’addestramento dal vivo dei miliziani. Hanno un accento più “meridionale” i comandanti dei separatisti. Dal che si evince con tutta evidenza che non siamo in presenza, come si dice in Occidente, di uno scontro fra opposti nazionalismi (o patriottismi), bensì di una guerra civile inter-russa per procura, fra “eurasiatisti” e ”atlantisti”, che procede dal 2008, ma ha le sue radici ben prima. Cosa che non stupirebbe nessuno, dopo le rivolte cosacche, gli scontri fra Bianchi e Rossi, le Repubblichette rivoluzionarie, l’Holodomor, la guerra partigiana e i “Fratelli della Foresta”. Tra l’altro, come riuscire a comunicare, fra tanti “volontari” e “mercenari”, in una lingua così sconosciuta come l’Ucraino? Nello stesso modo che nell’Assedio di Vienna, i soldati di Sobieski avevano dovuto, per distinguersi dai Turchi, usare bracciali colorati, così accade oggi in Ucraina fra i bracciali azzurri e gialli degli Ucraini e quelli bianchi dei Russi.

Se scadente è la qualità delle messe in scena ucraine, altrettanto  non convincenti i propagandisti russi. Come si farebbe, anche potendo e volendo, a “denazificare”, e perfino a “de-ucrainizzare”l’ Ucraina?Qui non siamo nel 1945, non ci sono i “Tedeschi” da “convertire”. Russi e Ucraini si confondono veramente, come si confondono fra loro un po’ tutti i popoli d’ Europa, che sono un continuum di civiltà, di culture, di lingue, dialetti, paesaggi, idee, da Gibilterra alla Čukotka, già feudo di Abramović. Anche nel rapporto della politica ufficiale verso la Russia vi è una transizione impercettibile, con l’”establishment” occidentale sempre più ostile, proprio mentre Ungheria e Serbia  confermano a schiacciante maggioranza i loro leaders pro-russi.

L’“internazionalità” della guerra è per altro comprensibile a causa dell’inaudita posta in gioco, che coinvolge da un lato, la sopravvivenza stessa dei Paesi belligeranti, ma, dall’ altra, anche l’intera struttura ideologica ed economica degli equilibri mondiali.

Colin Powel mostra alle Nazioni Unite una fiala di finta arma batteriologica

4.L’Ucraina, centro dell’Europa sulla Via della Seta.

Per tutti questi motivi, non avrebbe senso, né che l’Ucraina venisse annessa, totalmente o parzialmente, alla Russia, né che divenisse un membro ordinario della UE, né, infine,  che le fosse semplicemente attribuito uno “status” di neutralità. La sua forza deriva proprio dall’essere essa un elemento di equilibrio fra Est e Ovest, con eccezionali rapporti con l’Europa, la Cina e, soprattutto, la Turchia, che infatti è stata ben lieta di ospitare le trattative addirittura nel palazzo imperiale ottomano di Dolmabahce. Ricordiamoci, infatti, che buona parte dell’Ucraina era appartenuta, fino al 1700, direttamente o indirettamente, all’ Impero Ottomano, e Maidan è una parola persiana (mediata dal Turco e dal Tataro di Crimea).

Durante il colloquio annuale fra Cina e Ue tenutosi un paio di giorni fa a Bruxelles, la Cina ha affermato di stare lavorando per la pace in Ucraina, “ma a modo suo”. Prima dell’inizio della guerra, Wang Yi aveva già affermato che il ruolo dell’Ucraina era quello di costituire un ponte fra Est ed Ovest.

Questa tesi era quella che avevamo già sostenuto nel Quaderno n. 3 dei nostri Quaderni di Azione Europeista, che stiamo per ripubblicare come Quaderno 1-2022, con qualche correzione della tempistica, giacché esso appare ancor oggi attualissimo.

Infatti, indipendentemente dall’ esito del conflitto russo-ucraino, sta procedendo il progetto della Via della Seta, che non è solo cinese. Tra l’altro, sono stati terminati, o in via di completamento, i ponti di Pamukkale, sull’ Ellesponto/Dardanelli) e di Pelješac (fra la Dalmazia e Dubrovnik), e il tunnel sotto il Bosforo.

L’integrazione dell’ Eurasia procede,dunque,  nonostante tuti i “decoupling” (e gli embargo e le sanzioni con cui li si mettono in pratica).Dopo il recente incontro con i vertici UE, il Presidente Xi  ha affermato che la Cina and  l’Unione Europea  devono respingere la rinascita della “mentalità dei blocchi e della Guerra Fredda”. Perciò, la Cina accoglie con calore gl’investimenti europei  e vorrebbe esplorare una accresciuta complementarietà fra questo suo atteggiamento aperto e un’ autonomia strategica aperta, come si addice a “due grandi civiltà”.Peccato che, fra embarghi e sanzioni, alle imprese europee non lasciamo più fare commercio estero.

Quanto all’ Ucraina, Xi ha citato: l’urgenza che tutte le parti favoriscano le  trattative, anziché boicottarle; lavorare concretamente contro l’aggravarsi dell’ emergenza umanitaria; ricercare, con il supporto della Cina, un quadro di sicurezza europea equilibrato, efficace e sostenibile e completo.

A nostro avviso, tale “quadro equilibrato” potrà essere raggiunto solo se l’”Europa  da Brest a Vladivostok” diverrà, come la Cina, uno Stato-Civiltà, con una sua chiara e distinta identità, un suo Governo autorevole ed efficace, un suo esercito autonomo, quale reso possibile già dall’ attuale elevatissimo livello di spesa militare, se del caso ulteriormente rafforzato nelle direzioni di una comune cultura militare, della messa in comune delle armi nucleari e spaziali e della digitalizzazione a tappeto.

Oltre a ciò, l’ Europa e la Cina dovrebbero farsi portatori, a livello mondiale, di serie trattative per un’Organizzazione Mondiale di Difesa del Principio di Precauzione, che assorba AIEA, UNESCO, OMS e Agenzia per la lotta contro le armi chimiche e biologiche, che sostituisca gli obsoleti trattati in campo missilistico, per stabilire un controllo a tappeto sulle nuove tecnologie per impedire il superamento degli uomini da parte dei robot, lo scatenamento a sorpresa di guerre totali, la diffusione di propaganda di guerra, la gestione politica delle epidemie, la dipendenza dal web, ecc…

IL FUTURO DELLA “GRANDE EUROPA” DOPO L’INTERVENTO RUSSO IN UCRAINA

Commento agli articoli di Massimo Cacciari (La Repubblica della Domenica del 20 febbraio 2022), di Ezio Mauro “Il fronte dell’ Est”(La Repubblica del 21 febbraio) e di Silvia Ronchey (“La Repubblica” del 24 febbraio).

La situazione sul campo oggi

La crisi in corso fra Russia e NATO dimostra che l’attuale approccio alla geopolitica non è in grado di risolvere i problemi emergenti, sì che si rende urgente la ricerca, da noi sempre perseguita, di approcci nuovi.

Contrariamente a quanto avvenuto fino al 1991 con gli Stati Uniti e con l’Unione Sovietica, che pretendevano entrambi di essere i Paesi Guida nella marcia universale verso il Progresso, ed in base a questo vivevano la loro “Coesistenza Pacifica” che bloccava lo sviluppo intellettuale del mondo, un nuovo patto mondiale   nell’ era della transizione digitale potrebbe, e dovrebbe, essere organizzato su base paritaria fra le diverse aree del mondo (il vero “multilateralismo”). Trattandosi infatti essenzialmente di una battaglia culturale nell’ interesse prioritario comune, per vincerla ci sarà senz’altro bisogno di tutte le energie intellettuali e morali del mondo intero, al di là degli attuali conflitti.

Paradossalmente,  quello in corso intorno all’ Ucraina, riportando un po’ più di equilibrio tra l’ Occidente e il resto del mondo, potrebbe essere prodromico, se ci impegniamo tutti energicamente, a questo nuovo patto, come tentiamo di illustrare qui di seguito.

E, di fatto, tutte le grandi aree del mondo hanno al loro interno energie che, se adeguatamente orientate, possono contribuire a superare questa drammatica fase della storia:

-gli Stati Uniti posseggono una cultura digitale impareggiabile, e sono il Paese in cui il problema è più sentito. Inoltre, il fatto che siano così forti, nel Paese, correnti (seppure reciprocamente escludentisi) così attive nella critica alle tradizioni modernistiche del Paese (movimenti “woke” e suprematisti bianchi), fa sperare ch’ essi non restino per sempre così passivi come oggi nella resistenza ai GAFAM, e che si affermino anche e soprattutto  lì politiche fortemente ostili agli sviluppi in corso, fino al crollo dell’ egemonia dei GAFAM;

l’India, in quanto Paese che ha inventato gran parte delle matematiche, nonché molte idee che sottostanno alla transizione digitale, ha (soprattutto attraverso i Bramini del Tamil Nadu, primo fra i quali Sundar Pichai) una competenza tecnica e culturale generale, che le permette di raggiungere ai massimi livelli nei GAFAM, pure restando fedele (almeno a quanto si dice), alle pratiche religiose ed etiche dell’induismo;

la Cina, nella sua generale ed efficace resistenza al tentativo di omologazione mondiale, costituisce oggi la forza trainante contro l’egemonia mondiale dell’“Impero Nascosto” americano (Immerwahr), o “Impero Sconosciuto”( Laudato sì);

-l’ Europa pretenderebbe di stare dando il contributo più determinante  alla creazione di un’”Intelligenza Artificiale Umanocentrica”. Obiettivo lodevole, ma, in precedenti post, abbiamo dimostrato che ancora non si è fatto nulla di serio in questa direzione.

Ora, con la sua risoluta azione per la riscrittura delle regole del sistema internazionale, la Russia si è inserita prepotentemente fra i leaders mondiali. Come scriveva bene Ezio Mauro nel suo articolo del 21, la Russia sta rivendicando “una preminenza culturale, o, addirittura… un destino della storia”.

Che questo non sia una vana affermazione è dimostrato dalla vicenda del Donbass. La determinazione della Russia dimostra che, alla base, vi è una radicale scelta identitaria, che Silvia Ronchey riconduce giustamente a Bisanzio, ma, a mio avviso, dovrebbe andare ancora indietro nel tempo, come illustrato nei successivi paragrafi.

Scriveva ancora Mauro: “il nuovo ordine ha bisogno di una nuova gerarchia di valori”. Orbene, secondo i fautori del nuovo corso,  “Per milioni di persone – ha aggiunto – i valori della tradizione sono più stabili e più importanti  di questa concezione liberale che sta morendo”.Tuttavia, una visione del mondo capace di attualizzare le tradizioni dell’ Epoca Assiale nell’ Era delle Macchine Intelligenti ancora non si vede, né, tanto meno, la stessa Russia ha tentato di articolarla.

I reperti della prima civiltà “Yamnaya” (Proto-Indo-Europei) sono stati trovati in Russia, nell’ Oblast di Samara, fra il Volga e il Don, a pochi chilometri dal Donbass

1.”Democrazia” vs. “Liberalismo” e “oclocrazia”

I commentatori occidentali sbagliano, come sempre,  a ridurre  la dialettica centrale della geopolitica attuale alla contrapposizione “di stile” fra “democrazia” e “autocrazie”, quando il tema centrale è il rapporto fra uomo e nuove tecnologie.

Non che quella distinzione non abbia un qualche aspetto credibile, ma, certo, non solo non è quella dirimente,  ma neppure è concettualmente significativa. Non è da essa che si può partire per individuare le priorità del mondo.

Come già scritto, proprio il  termine “democrazia” è stato  da sempre espressione di una fondamentale ipocrisia: in quella tradizione “mainstream” che parte dalla Grecia e arriva ai GAFAM, l’esaltazione del ruolo della  maggioranza ha celato da sempre una prassi oligarchica, mascherata dalla retorica ufficiale (la “Democrazia dei Signori” di Luciano Canfora). Basti pensare allo schiavismo degli Ateniesi, al genocidio dei Meli, alle motivazioni della Dichiarazione d’Indipendenza americana, al “Trail of Tears”

Inoltre, fino alle Rivoluzioni Atlantiche (XVIII-XIX Secolo), nella dottrina politologica, “democrazia” aveva designato sempre e soltanto un regime degenerato, governato dalla plebaglia (l’“oclocrazia” dei Greci), imposto dai Persiani alle città della Ionia – quello che oggi viene chiamato “populismo”-. La forma corretta di governo, per Platone e Aristotele, era invece quella della “patrios politeia” (la “Repubblica”), un regime cetuale misto.Unica -ma solo apparente-, eccezione a questa damnatio memoriae, il discorso attribuito da Tucidide a Pericle per la commemorazione dei morti nelle Guerre Peloponneso, in cui il “Protos Anér” (principe)affermava che gli Ateniesi “chiamano” il loro regime “democrazia”, implicando così che si tratta di un nome ingannatore, visto, appunto, che il potere viene esercitato da “un uomo solo al comando”. In ogni caso, questo regime sarebbe stato presto abbattuto dai “Trenta Tiranni”.

Tocqueville, che, con la sua opera “La Democrazia in America” aveva rimesso in circolo il termine, apprezzava molto di più l’”antica costituzione europea”, vale a dire il regime cetuale dell’Ancien Régime quale descritto da Montesquieu, e corrispondente alla “Patrios Politeia” di Platone. In questi stessi anni, fra le due Americhe e alcuni Paesi europei si muoveva, con lo slogan della “democrazia” un vasto ambiente di cospiratori “repubblicani”(p.es., Mazzini e Garibaldi) accomunati, più che da un’ideologia precisa, dal reducismo dalle guerre napoleoniche (Bonvini,  Risorgimenti italiani e lotte internazionali per la libertà).

In buona parte d’Europa, di “democrazia” in senso moderno, per un motivo o per l’altro, si è cominciato a parlare solo dopo la vittoria americana del 1945, perchè il Continente era stato diviso, fino ad allora,  fra aristocrazie onnipervasive, come quelle inglese, polacca e ungherese, repubbliche plutocratiche, come quelle francese e svizzera, e dittature di destra e di sinistra.

L’attuale ibrido sistema chiamato  “democrazia” o “democrazia liberale” non ha nulla a che fare con il “liberalismo” ottocentesco. Intanto, seguendo la terminologia americana, “liberale” è diventato sinonimo di “egualitario”, “omologatore”, perdendo del tutto il significato originario di difesa delle differenze contro le imposizioni, sia del potere, che della massa, e identificandosi invece con il determinismo storico e il conformismo. Questa denominazione “omnibus” serve soltanto a caratterizzare in senso positivo coloro che sono allineati all’ agenda del livellamento tecnocratico a guida americana, e a demonizzare tutti gli altri.

I regimi instaurati nel 1945 sotto l’influenza americana in parte dell’Europa Occidentale (con l’esclusione dei Paesi iberici e del Sud-Est), furono chiamati piuttosto “partitocrazie”, perché i ricostituiti partiti esercitavano di fatto collettivamente quella funzione di chiusura al dibattito politico (la “Serrata del Gran Consiglio”), prima esercitata dal fascismo con le sue diverse correnti (che infatti si sono tutte praticamente riproposte nei “partiti democratici” : i fascisti di sinistra nel PCI -Ingrao, Pajetta, Napolitano-; i legionari fiumani nel sindacalismo -de Ambris-;  i clerico-fascisti, nella DC-Fanfani-; i fascisti repubblicani nel MSI-Almirante-……).

“Last but not least”, il ruolo degli Stati Uniti quale Paese-guida dell’ Europa Occidentale, esclude la possibilità che i Paesi Europei potessero scegliere autonomamente i loro orientamenti culturali, la loro collocazione internazionale, la loro forma costituzionale, la loro organizzazione economica, le loro politiche governative…,come dimostrano i casi delle  centinaia di basi militari in Europa  a 77 anni dalla guerra, di Gladio, della messa fuori legge del BdJ, dei moltissimi “cadaveri eccellenti”, delle Extraordinary Renditions, nonché l’impossibilità di venire a capo delle organizzazioni segrete, criminali e settarie con agganci oltre Oceano che dopo Ottant’anni riemergono periodicamente (Caso Banco Ambrosiano, Gelli, “Loggia Ungheria”, Mafia, Camorra, Ndrangheta, Sacra Corona Unita…).Nel XXI secolo, questi  superfluità e mendacio dei meccanismi cosiddetti “democratici” europei sono stati esaltati dal sovrapporsi, al preesistente attuale controllo ideologico, militare, poliziesco ed economico, di quello digitale (Echelon, Wikileaks, Prism..), rivelandosi così essi sempre più come una semplice copertura del piano inclinato verso la Singolarità Tecnologica pilotata dai GAFAM.

Tutto ciò concorre a configurare un regime ipocrita, il cui la vera linea di comando passa dai GAFAM, all’ Intelligenze, alla diplomazia, alla NATO, e in cui s’ impongono, come ossequi obbligatori, i mantra del “newspeak”: egualitarismo, politically correct, antirazzismo, vere “armi di distrazione di massa” contro la legittima rabbia  per l’eterodirezione da parte del Complesso Informatico-Militare occidentale.

I Protobulgari provenivano dalla Ciscaucasia e dal DonbassI

2.Autocrazia, sovranità, epistocrazia, teocrazia, aristocrazia.

L’espressione “autocrazia” può forse essere accettabile per definire la Russia, che ha ereditato, tramite la Translatio Imperii,  da Bisanzio , il concetto di “autokratia” (che significa “sovranità”, “indipendenza”-“Samoderzhavlje”-,cfr. Ronchey). Essosignifica che il potere, sul proprio territorio, non è soggetto a potestà terze, né civili, né religiose (“Russia Sovrana”). Con l’avvertenza che, anche in questi limiti, la Russia di oggi è comunque una democrazia rappresentativa -anzi, più rappresentativa di quelle occidentali, perché c’è una reale competizione fra molti partiti, e soprattutto nessuna ingerenza da parte delle lobby occidentali.-

Invece, il termine “autocrazia” non si adatta bene a tanti altri Paesi, come la Cina, l’Islam e la Repubblica Polacca, che hanno diversissime tradizioni culturali.

La Cina non ha un problema di “sovranità”, bensì di centralità (Zhong Guo=Paese di Mezzo). Essendo stata da sempre il Paese più antico, più grande e più avanzato del mondo (Zhong Guo), essa ha da sempre attirato in modo spontaneo verso di sé l’interesse di uomini ed energie da ,moltissimi altri Paesi (da Bodhidharma a Chinggis Khan, da Marco Polo a Matteo Ricci, dall’ambasciatore Mcartney a Leibniz, da Voltaire a Jung, da Malraux a Pound), e l’ Imperatore, “Figlio del Cielo”, assegnava annualmente gli obiettivi e i compiti a uomini e dei. La “sovranità” dell’ Imperatore era più che altro un fattore culturale (egli era soprattutto un grande sacerdote e un grande intellettuale).Sotto di lui, pochi (relativamente alle dimensioni del Paese) “letterati”, che incarnavano l’ordine morale confuciano e lo applicavano alla gestione del Paese (l’”epistocrazia” di cui parlano Daniel A.Bell e Zhang Weiwei. Nulla di arbitrario, né di forzato, ché, anzi, i Confuciani aborrivano i sistemi coercitivi propugnati dai “Legisti”. Oggi, la Cina è all’ avanguardia nella legislazione per la protezione dei cittadini dagli abusi delle piattaforme digitali.

Nell’ Islam, la sovranità (“Hakimiyya”)è di Dio. I leaders politici possono solo sforzarsi di interpretare la volontà di Dio espressa dalle Sacre Scritture, ma senza mai raggiungere la perfezione. Però, l’unità della Umma è impensabile perfino per il Corano, e vi sono assenza di Chiesa e pluralità  di “scuole”. Prevale una continua anarchia (“fitna”). Una democrazia islamica è possibile eccezionalmente  in qualche caso nazionale come l’ autogestione del clero sciita, o come democrazia rappresentativa confessionale della Turchia.

Nell’ Europa Orientale abbiamo repubbliche rappresentative di tipo occidentale,  le quali però sono abitate da cittadini che non condividono totalmente gli orientamenti culturali del “mainstream” europeo occidentale, restando invece fedeli all’ambiente culturale tradizionale delle loro rispettive identità (cattolicesimo, aristocrazia, nazionalismo): come si fa a qualificarli come “democrazie autoritarie”? Essi sono  democrazie rappresentative più propriamente di quelle occidentali, perché non condizionate dall’ esterno, solo che al governo ci sono partiti diversi da quelli occidentali (certo non più “autoritari” dei loro omologhi, anche se con diverse preferenze culturali, religiose o etiche).La “Repubblica Polacca”, che era stata storicamente il più grande Paese d’Europa, era un connubio fra un regno elettivo e una repubblica aristocratica, che aveva anticipato, con le sue costituzioni, quelle dell’ Europa Occidentale.. Lungi dall’ incarnare il dispotismo monarchico, essa era caratterizzata dall’”aurea libertas” dell’ aristocrazia (“Nie rządem Polska Stoi”=La Polonia si regge sull’assenza di governo). 

Oggi, in Europa Centro-Orientale, ad essere contestati non sono i “valori della democrazia”, bensì quel  “sistema di credenze” (la “religione civile dell’ Occidente” di cui parla Ezio Mauro) che, secondo quell’Autore,  l’Unione Europea (o meglio alcune sue élites), si è sforzata di trasformare in regole (i cosiddetti “valori europei”), vale a dire:

-materialismo pratico: ciò che conta è l’economia (o al massimo il benessere), il resto (quelle “vocazioni naturali” e “vincoli metafisici”citati da Mauro) sono delle pure metafore;

-determinismo storico (la “teoria dello sviluppo” di Rostow);

-la transizione di fatto fra Cristianesimo e scientismo (Lessing, Saint-Simon, Comte);

-il livellamento generale (culturale, geopolitico, professionale, cetuale, sessuale, lavorativo);

-l’uso  deviato del termine “Stato di Diritto”, perché semmai i meno rispettosi del diritto sono proprio gli Stati occidentali, che violano le loro stesse leggi (Extraordinary Renditions, Guantanamo, intercettazioni, sentenze Schrems..), mentre tutti i grandi Paesi del mondo funzionano oggi di fatto attraverso un sofisticato meccanismo giuridico, non già (o non solo) attraverso l’arbitrio amministrativo;

-censura generalizzata (reati memoriali e di opinione, fake news, hate speech, cancel culture);

-dipendenza dal Complesso Informatico-Militare;

-buonismo retorico senza basi fattuali.

Non possiamo aspirare ad imporre ad altri questa nostra pretesa “religione civile”, se non altro perché, da un lato, noi non la viviamo veramente,  e, dall’ altro, il resto del mondo ha ben altro da pensare. Ad esempio:

-gli Stati Uniti sono sull’ orlo della guerra civile per un conflitto estremistico fra i valori tribali del Sud del mondo (“Cultura Woke”), il suprematismo bianco della middle class WASP (“European Traditionalism”) e le pretese dittatoriali dei GAFAM (vedi Commissione NSCAI);

-in Cina, il “Socialismo con caratteristiche cinesi”, che s’ ispira, tra l’altro, al conservatorismo confuciano, punta soprattutto a superare le prestazioni economiche dell’America;

-nei Paesi Islamici è in corso un violento confronto fra diverse interpretazioni dell’ Islam Politico: monarchie teocratiche, repubbliche sciite, repubbliche familiste, repubbliche rappresentative ma confessionali, regimi tribali…

Purtroppo, la “religione civile” occidentale di cui parla Mauro impedisce ai propri fedeli di cogliere queste diversità fra le pretese “autocrazie”, perchè essendo, la “democrazia”stessa, un “Dio geloso”, essa considera tutte le alternative a se stessa come “il Male Assoluto”(la “Mosäische Unterscheidung” di Jan Assmann), a cui è vietato perfino pensare nel foro interiore (i sogni del Diavolo di cui è ricca la storia dell’ Inquisizione).

Essa impedisce anche di prendere in considerazione un fatto elementare: nonostante 200 anni di egemonia occidentale, e nonostante l’incredibile apparato bellico, ideologico ed economico americano presente capillarmente nel mondo, il modello occidentale è ancora minoritario, e sta ulteriormente perdendo terreno: “A colpire è questo dato: il 38% della popolazione globale vive in Paesi “Non Free” (una delle tre categorie del Report), la più alta percentuale dal 1997. Nei Paesi “Free” invece abita il 20% delle persone. Il restante è nei Paesi definiti “Partly Free”, (parzialmente liberi). Se una volta i Paesi autoritari erano meno e più isolati, oggi invece hanno capacità di sostenersi reciprocamente per sostenere le pressioni dei Paesi democratici. Un esempio sono le sanzioni, il cui impatto viene così diluito. La conclusione di Freedom House è se i paesi democratici non riusciranno a fare fronte comune, il modello autoritario alla fine prevarrà. —”(rapporto 2022 di Freedom House).

La Rus’ di Kiev è antica quanto il Sacro Romano Impero

3.Radici storiche dell’ arroganza romano-germanica

E’ vero, c’è in Europa una faglia culturale fra Est ed Ovest, che va sanata perché altrimenti lo scontro, già oggi elevato, diverrà insostenible.

Essa c’è sempre stata, perché deriva addirittura dalle quattro grandi componenti etno-culturali del Paleolitico:

-cacciatori-raccoglitori nell’ area alpina e carpatica;

-civiltà megalitiche lungo il fronte atlantico

-agricoltori medio-orientali nei Balcani;

-cultura  “Yamnaya” (dei Kurgan) dalla Russia fino al Mare del Nord.

I popoli di cultura “Yamnaya” hanno portato verso sud la tecnologia del cavallo (Anthony) e il patriarcato (sono gli antenati dei Cosacchi); gli agricoltori medio-orientali hanno costruito i primi villaggi nell’ area anatolica e danubiana (Göbekli Tepe, Çatal Hüyük, Lepenski Vir, Vinča); i popoli megalitici (maltese, nuragico)  hanno introdotto il commercio marittimo.

Attraverso il Mediterraneo, i popoli agricoltori hanno conosciuto le civiltà più antiche , mentre i  discendenti degli “Yamnaya” hanno dato origine alle élites medio-orientali (Hurriti, Mittanni, Hittiti, Micenei, Popoli del Mare).

Dal Mediterraneo sono partite le civiltà greco-romana e cristiana, mentre  dai poli “Yamnaya” si è sviluppato il “Barbaricum” (Germani, Unni, Slavi, Avari, Balti, Bulgari, Magiari. Mongoli). La divisione fra Impero Romano d’Oriente e di Occidente ha portato alla nascita di due diversi Cristianesimi, mentre le eresie ne hanno prodotti altri. Ciascuno dei due imperi ha convertito una parte del Barbaricum (a Occidente, i Goti, i Burgundi, i Visigoti, i Franchi, gli Alemanni, i Bavaresi, i Sassoni, gli Anglo-Sassoni, i Vikinghi, i Magiari); a Oriente: gli Egizi, gli Etiopi, i Caucasici, i Mongoli, i Bulgari, gli Slavi).

Ed è di qui che è partita la distinzione fra l’Est ortodosso e mussulmano e l’Ovest cattolico e protestante: gli uni si sono sviluppati con l’idea della “Symphonia” fra i Impero e Chiesa, gli altri all’interno del conflitto Chiesa-Regno/Impero(Lotta per le Investiture, Thomas-à-Beckett, Jan Nepomuk).

Disintegrazione del Khanato di Crimea

5.Le missioni della Russia e dell’ Ucraina: Oriente e Occidente

L’Occidente ha sdegnato i Bizantini (giungendo fino all’ oltraggio della presa di Costantinopoli) come  pure i Barbari, e l’Oriente ha preferito gli Ottomani ai Latini, mandando a monte la riunificazione con il Concilio di Firenze (con la conseguente Translatio Imperii verso Mosca).

Il “Russia Bashing” è cominciato allora, spargendo false informazioni sulla Moscovia di Ivan il Terribile, per poi continuare dopo la fallita rivolta degli Octiabristi. Ma, nello stesso tempo, sciamavano alla corte dello Zar molti “proto-Europeistidelusi dall’ incapacità della Casa d’Austria di unificare l’ Europa, come tentato da Carlo V e Filippo II (Križanić; Bandeiras, e perfino Leibniz, Herder, De Maistre, von Bader e von Krüdener).

Ivan III e Ivan IV avevano recepito da Zoe (Sofia)  Paleologo la missione escatologica della Terza Roma. Da allora, era nata la contrapposizione fra due versioni della storia della Russia: era nata dai Germani (Vikinghi, consiglieri di Pietro il Grande, Baltici, dinastia Romanov), o dai Mongoli e dai Tartari (l’Eredità di Chingghis Khan)?La polemica  Slavofili-Occidentalisti si riverbera anche sul Congresso Pan-Slavista di Praga,e  sulle opere di Mickiewicz, Tjutčev, Dostojevskij, Herceg, Sienkiewicz, Trubeckoj, Gumilëv.

Secondo Fëdorov, la Russia avrebbe portare a termine il disegno divino della Terza Roma attraverso la conquista dello Spazio e la resurrezione dei morti, studiate poi attentamente dal fondatore dell’ingegneria spaziale, Teodor Ciolkovski. Molto opportunamente, perciò,  Mauro cita l’impresa di Gagarin, degno completamento delle teorie di Fëdorov e di Ciolkovski. La sua navicella spaziale si chiama infatti “Vostòk”, perché il “compito comune”, la “missione” di cui parlava Gagarin con Khruśčëv, è  quella dell’ Oriente misconosciuto e represso dall’ “Arroganza Romano-germanica”(Trubeckoj).

La missione escatologica della Russia si contrapponeva così all’ eccezionalismo americano.

Secondo la teleologia hegeliana, il corso della civiltà andrebbe da Est a Ovest. Alla morte del filosofo, questo corso era giunto, non sorprendentemente, in Germania. Nel frattempo, essendo passati due secoli, avrebbe senso ipotizzare che questo corso sia ancora proseguito verso l’America, e di nuovo l’Eurasia.

Di qui la necessità si stabilire che cosa intendiamo per “Occidente”, e, soprattutto, “Oriente”.

Se “Occidente” è un termine generico, che ha potuto andar bene per le Isole dei Beati, l’ Impero Romano, per l’America e per la NATO, “Oriente” è un termine ancor più vago, applicabile, di volta in volta, ai Persiani, all’ Impero d’Oriente, ai Cristianesimi orientali, alle Vie delle Spezie, alla Civiltà Tradizionali, al Socialismo Reale, all’ alleanza Russia-Cina-Iran-Pakistan….Nulla sintetizza tutto questo meglio delle Nuove Vie della Seta, le quali vogliono riportare al centro del mondo  gli scambi all’ interno dell’Eurasia, agli Oceani Indiano e Artico e al Mediterraneo, togliendoli dagli oceani Atlantico e Pacifico, seguendo, in ciò. le orme di Alessandro Magno, Bodhidharma, Xuanzang, Ibn Battuta, Chingghis Khan, Marco Polo, Matteo Ricci…

Orbene, Russia e Ucraina si collocano proprio su una delle “Vie della Seta”, quella che congiunge la Cina con l’ Europa attraverso le molte ferrovie che già da ora stanno alimentando il traffico euro-cinese. A questo ruolo di unione, non già di conflitto, che spetterebbe all’ Ucraina ha richiamato il ministro cinese degli Esteri Wang Yi alla Conferenza di Monaco del 2022.

Euromaidan 2014

4.”De-komunizacija”

Nel discorso del 21 febbraio, volto ad illustrare le ragioni del riconoscimento delle Repubbliche separatiste del Donbass, il Presidente Putin ha esposto le sue ben note critiche alla politica sovietica delle nazionalità, spiegandola, da un lato, con la situazione insostenibile della dirigenza bolscevica dopo Brest-Litovsk, e, dall’ altra, con la capacità di Stalin di mantenere in vita, ma solo con il terrore, un sistema istituzionale ingestibile. In realtà, occorrerebbe andare più a fondo, ricordando che  lo stesso nome Ucraina (“al confine”) deriva dal fatto che il Paese è stato da sempre oggetto di violenti scontri fra centri di potere contrapposti (Persiani e Sciti; Goti e Anti; Bulgari e Khazari; Kievani e Polovesiani; Mongoli e Cumani; Polacchi e Moscoviti; Cosacchi e Turchi; lo Stato Ucraino dei nazionalisti filo-tedeschi a Kiev, i russi bianchi nel Sud, gli anarchici della Makhnovsina (anarchici), nel Donbass del Sud;e i bolscevichi a Kharkov; stalinisti e nazional-comunisti; nazisti e UPA; intelligencija e PCU….)..0

Questo spiega perché l’Ucraina è così importante per tutti.

Con quel discorso, Putin ha compiuto un  passo ulteriore nella concretizzazione del suo progetto politico, che non ha definito  affatto come ”ricostituire l’Unione Sovietica”,  bensì (con stupore generale) come portare fino in fondo la “dekomunizacija” invocata dal Governo di Kiev, vale a dire eliminando i residui “anti-russi”  della politica sovietica delle nazionalità. A cui si aggiunge anche la “de-nazifikacija” dell’ Ucraina. Al che, si direbbe, dovrebbe seguire il ritorno all’ impero. A nostro avviso, però, non bisogna sempre cercare solo di rifarsi al passato. Certo, la Russia (come l’Europa) non è atta a sopravvivere se non divenendo più grande, perché altrimenti resterebbe, per dirla con Cacciari, “prigioniera dei propri confini”. Coerentemente con le tendenze dell’ era delle macchine intelligenti, la Russia aspira però ora, secondo Cacciari, a divenire una “grande area non spazializzabile”, cioè una “potenza in grado si svolgere un ruolo planetario” (in termini cinesi, uno “Stato-Civiltà”).Come non bastano i 50 milioni dell’ Italia, così non ne bastano i 150 di Russi, ma neanche i  450 “in ordine sparso” come gli Europei.

Bisogna anche superare l’identificazione meccanica con fenomeni del XX Secolo, il comunismo o il nazionalismo. Imitando anche qui la Cina, Putin vorrebbe costituire uno “Stato-civiltà”.Il parallelismo con la Cina è scioccante: come lì ci sono i “Cento Anni di Umiliazione”, qui ci sono i  100 anni di errata politica bolscevica delle nazionalità, volta a indebolire il mondo russo (“Russkij Mir”).

Formazione dell’ Ucraina

5. L’insufficienza del “Russkij Mir” (mondo russo)

Per quanto grandioso/ambizioso/preoccupante possa sembrare il piano di Putin, il suo punto debole è che uno Stato-Civiltà non può aspirare all’ omogeneità etno-culturale (Russia e Ucraina quali unico popolo). Ci hanno provato per esempio gli Stati Uniti, con la politica di integrazione degli inizi del ‘900. Tuttavia, con il passare degli anni, questa politica si è rivelata sempre più difficile. Dall’ iniziale impossibilità di integrare gli Afro-Americani, per passare alla discriminazione di latinos, tedeschi, italiani, ebrei, asiatici, fino all’ Anti Defamation League, alle lotte per la parità di diritti, the Nation of Islam, el Dìa de la Raza, il Black Power,l’ Affirmative Action,  Black Lives Matter, la Critical Race Theory, la Cancel Culture, il movimento Woke…

Oggi, alla soglia del “sorpasso” dei “non-whites” sui “whites”, gli Stati Uniti sono rigidamente divisi in tribù etno-culturali in guerra fra di loro.

Uno Stato-Civiltà deve riuscire a convivere con la diversità, gestendo in modo intelligente la dialettica maggioranze-minoranze. Qui, una ricetta universale non esiste. Ad esempio, nel caso della Cina c’è stato un “melting pot” plurimillenario concentrato sugli Han Zi. Certo, i Cinesi sono molto diversi fra di loro. Però, la maggior parte di loro si riconosce almeno in quel metodo di scrittura, che permette di scrivere in modo eguale lingue diversissime (anche non siniche, come dimostrano i casi del Giapponese, del Coreano e del Vietnamita), e, in tal modo, di leggere la letteratura di tutta l’ area, costituendo così un’unica civiltà.

Invece, l’uso di formule giuridiche sofisticate, come la politica sovietica delle nazionalità o l’ “acquis communautaire”, non risolve il problema, bensì rischia di aumentarlo, cercando “quadrare il cerchio”, forzando in schemi rigidi una realtà estremamente fluida.

Sarebbe quindi intanto da capire come Putin, se ne avesse la possibilità, intenderebbe unificare gli Slavi Orientali: in forma federale o accentrata; con lingue nazionali o con il Russo ovunque?

Il punto è che Putin, contrariamente a quanto sostiene il Movimento Europeo, non muove affatto da un approccio etno-nazionalista, bensì dal progetto gaulliano dell’ Europa dall’ Atlantico  a Vladivostok (Grande Europa),  che risale a Gorbačëv e Mitterrand e riproposto personalmente (in Tedesco) davanti al Bundestag nel 2011, ma neppure preso in considerazione dagli Europei, come dimostremo nei paragrafi successivi.

Secondo un articolo di Karaganov per RT, “Il problema è: come ‘unire’ le nazioni in modo efficente e utile per la Russia, alla luce delle esperienze zariste e sovietiche, quando la sfera d’influenza russa fu estesa oltre ogni limite ragionevole?”

L’Ucraina è il baricentro fra Unione Europea e Unione Eurasiatica

6.Russkij Mir ed Europa

Il punto cruciale è: può uno Stato Civiltà avere solo le dimensioni di “tutte le Russie” o dell’ Europa? Coudenhove Kalergi aveva risolto il problema ipotizzando che la Paneuropa unita unificasse anche le proprie colonie. Ma non sembra essere questa, oggi, la soluzione.

In realtà, questo tema era stato affrontato da molti e da molto tempo. I “Proto-Europeisti” (Bandeiras, Leibniz, von Bader) pensavano in sostanza che, dato che la dinastia degli Asburgo (che pure era riuscita ad unire con il Sacro Romano Impero la Spagna, il Regno di Napoli e un vasto impero coloniale, non era riuscita ad unificare l’Europa, ed anzi si era divisa in due (Spagna ed Austria), questo ruolo unificatore dovesse spettare a una Russia con imperatori e consiglieri occidentali. Per esempio, Sofia Paleologo discendeva, oltre che dagl’imperatori bizantini, da mercanti genovesi e dagli zar bulgari.

Quell’ idea è stata nuovamente al centro della politica estera russa a partire da Gorbačëv. E’ in quel contesto che si era proposta nel 1991 (Gorbačëv, Mitterrand, Giovanni Paolo II), l’idea di una Confederazione fra Europa e Russia. Quest’idea, riproposta successivamente da Elcin e soprattutto da Putin, è alla radice dell’attuale conflittualità, perché, nonostante tutte le offerte e i sacrifici della Russia per ottenerla, essa era stata costantemente rifiutata in modo subdolo. La ragione dell’ esasperazione russa consiste proprio nell’ arroganza da “parvenus” con cui gli Stati d’Europa hanno continuato a snobbare da 30 anni tutte le proposte del maggiore fra di essi, per obbedire ciecamente a una potenza extraeuropea.

Secondo Karaganov, si trattava di “una fase di debolezza e di illusioni, quando si credeva che la democrazia occidentale ci avrebbe salvati”.Purtroppo, nel 1993, Boris Yeltsin  aveva firmato un documento in cui affermava che “capiva il progetto della Polonia di aderire alla NATO.” , e, nel 1994, Kozyrev aveva iniziato una negoziazione in proposito. La Russia aveva firmato con la NATO l’Atto Fondativo della Cooperazione Sicurezza reciproca, in cui l’Occidente s’impegnava a non trasferire sistemi d’arma complessi nei nuovi Stati membri. Impegno ovviamente non rispettato.

Al Vertice del Consiglio d’ Europa di  Strasburgo del 1997, Elcin aveva dichiarato:“Stiamo ora per costruire insieme una nuova Grande Europa senza frontiere, nella quale nessuno stato  potrà imporre la propria volontà ad altri; un’Europa in cui Paesi grandi e piccoli saranno partners paritetici uniti da comuni principi democratici.” “Questa Grande Europa può divenire una potente comunità di nazioni con un potenziale non raggiungibile da altre aree del mondo e la capacità di garantire la propria sicurezza, approfittando dell’esperienza e dell’ eredità culturale, nazionale e storica di tutti i popoli d’Europa. La strada verso la Grande Europa è lunga e difficile ma è nell’ interesse di tutti gli Europei. La Russia aiuterà a creare quest’unione.”

Nel giugno del 2008, Medvedev aveva proposto una conferenza pan-europea per creare un nuovo sistema di sicurezza basato su un Trattato sulla Sicurezza Europea. Tuttavia, il ritiro degli USA dal Trattato ABM segnalava  già la volontà americana di rompere l’equilibrio strategico, il che costrinse anche la Russia al riarmo.

L’idea di un’ Europa dall’ Atlantico agli Urali (originariamente del Generale De Gaulle) era stata ripresa da Putin nel suo discorso in Tedesco al Bundestag del 25 settembre 2011:
“sono  convinto che l’Europa si riaffermerà seriamente e permanentemente quale centro forte e veramente indipendente della politica mondiale se riuscirà a fondere le proprie risorse umane, territoriali e naturali, e il proprio potenziale economico, culturale e di difesa, con quelli della Russia.”Ma è proprio la prospettiva di questo centro forte e indipendente della politica mondiale ciò che l’ America aborre con tutte le sue forze.

Nell’ articolo pubblicato su Le Figaro il 7 maggio 2005, Putin scriveva fra l’ altro:“Gli Europei possono fare pieno affidamento sulla Russia per perseguire quest’opportunità di un futuro pacifico, prospero e degno, nello stesso modo in cui lo avevano fatto per la lotta contro il nazismo. Crediamo anche che gli sforzi della Russia per sviluppare l’integrazione con gli Stati dell’ EU e con quelli della CSI costituiscano un unico, organico, processo volto all’espansione di uno spazio armonico di sicurezza, democrazia e cooperazione economica in quest’area gigantesca.”

Nell’articolo del 25 Novembre 2010 sulla Süddeutsche Zeitung, Putin scriveva:

“L’Europa ha bisogno di una visione sua propria del futuro. Proponiamo di configurarla insieme, con una partnership Russia-Europa, un progetto comune di successo e competitività  per il mondo moderno….”

Purtroppo, la “grigia conclusione” della Conferenza sul Futuro dell’Europa di cui ha parlato Mattarella dimostra che tale visione veramente europea del futuro non è ancora stata trovata perché gli Europei sono succubi intellettualmente, moralmente, politicamente e militarmente degli Stati Uniti, che vedono nell’ Europa il loro massimo concorrente.

Nell’ articolo  Putin presentava addirittura un programma completo della Grande Europa, quale nessuno nella UE ha mai avuto il coraggio d’immaginarla:

”1.Una comunità economica armonica , da Lisbona a Vladivostok..

2.Una politica industriale comune, fondata sulle sinergie fra i potenziali tecnologici e le risorse dell’UE e della Russia..

3.Un unico complesso energetico europeo…

4.Cooperazione nella scienza e nell’ educazione..

5.Eliminazione degli ostacoli ai contatti umani e commerciali.”

Come si può vedere, dopo 30 anni, tutti questi sforzi della Russia, e in particolare di Putin, per creare un’integrazione fra UE e Russia sono falliti. Come aveva dichiarato l’ex presidente della Commissione, Romano Prodi, gli Europei (come gli Americani) temono follemente che, cooperando con la Russia (e con la Turchia) emerga la loro pochezza (demografica, territoriale, culturale, politica e militare): basti vedere che cosa succederebbe delle regole europee  se ci fossero, fra gli Stati  membri, Russia, Turchia, Ucraina, Bielorussia, Balcani Occidentali e Caucaso (il 40% degli Europarlamentari sarebbe costituito da Europei Orientali).

Secondo Karaganov, la fase che si sta aprendo con l’ “Operazione Speciale” in Ucraina  dovrebbe essere definita come “di distruzione creativa(Schumpeter), una fase non aggressiva, salvo che sul confronto con la NATO per la sua espansione ad Oriente.A questo proposito, la Russia aveva scritto nel 2021 una nota agli Stati Uniti e alla NATO, con cui richiedeva di fermare lo sviluppo delle infrastrutture militari  vicino alle frontiere della Russia. La risposta negativa a questa richiesta è stata la ragione dell’ intervento in Ucraina, che, secondo Karaganov, avrebbe l’obiettivo di costruire, nel corso del prossimo decennio, un nuovo sistema di sicurezza e cooperazione per tutta la Grande Eurasia.

La Repubblica dei Calmucchi in Russia Europea

7.Ma esiste un “messaggio dell’ Oriente”?

Il punto numero uno è  l’imperativo di una maggiore obiettività ed umiltà dell’Occidente, che deve accettare la realtà di essere solo una parte dell’ Umanità, e che la sua presunta eccezionalità è un semplice mito (Cacciari).

Le famose tre invenzioni che, secondo Bacone, avrebbero rivoluzionato il mondo – la  bussola, la polvere da sparo e la stampa, furono fatte in Asia molto prima che in Europa. L’Europa semplicemente le utilizzò al meglio per conquistare il resto del mondo. Ma anche l’egemonia europea sul modo durò meno di un secolo, dal 1850 al 1945, non essendo in grado di cancellare le civiltà preesistenti, le quali tutte, dopo un periodo di crisi, sono emerse più potenti che mai, ed essendo comunque superata dagli USA e dall’ URSS.

Anche la pretesa superiorità del protestantesimo quale motore della Storia si è rivelata un bluff, con l’incredibile e rapidissima crescita della Cina. Ma lo stesso Max Weber aveva già riconosciuto la forza del Confucianesimo e della Shi’a quali molle per lo sviluppo economico.

Ma, al di là di ciò, è proprio la struttura mentale dell’ Oriente, la “logica fuzzy” (non per nulla riscoperta da un matematico iraniano) a rendere l’oriente superiore concettualmente a un Occidente che, con una lettura deformata di Cartesio, ha imposto la supremazia delle cosiddette “Idee chiare e distinte”, portando la cultura occidentale sul binario morto del determinismo storico e della Singularity.

In un momento in cui l’Umanità sta per superare il paradigma dell’ Epoca Assiale, tornano di attualità aspetti come l’indeterminatezza dei Veda e del Cinese classico, gli esperimenti  di bioingegneria citati nelle epopee assirobabilonesi e indù, la contrapposizione cinese fra la Virtù confuciana e le rigide leggi dei legisti, le arti marziali…

Anche all’ interno dell’ Europa, i messaggi dell’ Oriente tornano indispensabili, per superare quell’ abisso che Trubeckoj aveva visto crearsi fra Europei orientali e occidentali, e che Blok voleva scongiurare.

Noi non siamo capaci di comprendere gli Europei Orientali perché non abbiamo studiato la loro storia. Essi sono  gli eredi più prossimi dei Popoli Originari, da cui discendono gli Europei di oggi, siano essi Indo-Europei, Uralo-altaici o Semiti: Yamnaya, Proto -Trans-Europei, Proto-Semiti, le cui sedi si trovavano nelle steppe della Russia e dell’Arabia. Come scriveva Ibn Haldun, i nomadi creano gl’imperi e i cittadini li distruggono. L’Europa Occidentale ha esaurito la sua fase creativa: è ora il momento dell’ Europa Orientale, senza perdere il contatto con l’Estremo Oriente.

In un momento in cui, come scrive giustamente Cacciari, l’Europa è “una balena spiaggiata sulle spiagge dell’ Asia”, l’Europa stessa, se vuole sopravvivere, non può non sforzarsi di comprendere gli Europei Orientali e gli Estremo-Orientali, certamente non come dei nemici metafisici (o “rivali sistemici”)a cui è perfino vietato pensare.

Il centro geografico dell’ Europa è in Ucraina

8.Qual’è il posto dell’ Europa nel mondo?

Come scrive Cacciari su “L’Espresso” del 20 Febbraio 2022, essa si deve collocare“Nella divisione del mondo in grandi aree non spazializzabili, formate da terra, mare, cielo, -erano due, e ora sono almeno cinque o sei – e al  loro interno vivono due terzi della popolazione mondiale – e entità statali prigioniere dei propri confini-“

Tuttavia, di fronte al sempre maggiore accrescersi dei conflitti e della confusione culturale e politica, è lecito chiederci: “Potrà un nuovo Nomos della terra uscire ‘pacificamente’ da quest’opera di semplice impedimento dell’ aperto conflitto bellico?” Purtroppo, ”A Questo Nomos nessuno oggi pensa e tantomeno qualcuno ci lavora…”

Orbene, il nostro compito è proprio quello di pensarci e di lavorarci, ed a questo abbiamo dedicato, e continuiamo a dedicare la nostra pubblicistica. Citiamo solo, a titolo di esempio, il libro DA QIN, tredici ipotesi di lavoro per un’Europa sovrana in un  mondo multipolare.

Ritornando all’inizio di questo post, il principio dominante di  un siffatto nuovo “Nomos della Terra” dovrà essere il controllo sulle macchine intelligenti. Per esprimerci in termini cari a Cacciari, occorrerà  “andare oltre la linea”, esercitando un energico “contraccolpo” contro l’autonomizzazione delle macchine.

Occorre cioè muoversi lungo due direttive parallele:

-da un lato, far nascere un nuovo tipo di cultura che rafforzi l’umano nei confronti della macchina;

-dall’ altro, favorire il dialogo fra gli Stati perché, attraverso un sistema di autolimitazioni e di controlli incrociati (come sull’ energia nucleare), evitare che il livello d’incisività dell’intelligenza artificiale autonoma la porti a sopravanzare le capacità decisionali dell’uomo.

Questi due compiti dovrebbero partire da una semplice osservazione: più la gioventù si integra nel sistema digitale, meno essa riesce ad affrontare autonomamente le difficoltà della vita; s’impigrisce; si trasforma in “bamboccioni”.

Tutto ciò non è inevitabile, a condizione che si abbandonino le visioni irrealistiche della società, che hanno fatto ritenere che non fosse più necessaria, come parte integrante dell’educazione, la formazione del carattere, con l’esempio, con lo studio, con l’esercizio fisico…

A ciò si aggiunga che, per fronteggiare l’enorme potere di calcolo e l’incredibile efficacia delle macchine, i giovani dovranno essere istruiti a lungo sulle basi teoriche, sulla tecnica e sulla gestione delle macchine intelligenti. In questo contesto, anche l’uso moderato dell’ “enhancement” potrebbe avere un senso.

Una società che, invece  di subire passivamente un sempre più esteso uso delle macchine intelligenti senza alcun controllo e programmazione, si ponga come primo compito quello di progettare e guidare lo sviluppo tecnologico, come, in parte, stanno facendo i maggiori paesi, ma incrementandolo ancora quantitativamente, e, soprattutto, qualitativamente.

Nella corsa sfrenata di USA, Cina, Russia e Israele per incrementare l‘efficacia bellica dell’ Intelligenza Artificiale, l’Europa è l’unica che si sia concentrata, per altro fino ad oggi irrealisticamente, a perseguire un’”Intelligenza Artificiale antropocentrica”. Irrealisticamente non soltanto perché l’Europa è inesistente dal punto di vista dell’ Intelligenza Artificiale, ma anche perché il tipo di “etica digitale” che l’Unione pensa d’iniettare nel sistema è pura retorica, eredità delle vecchie, fallimentai ideologie occidentali.

Basti pensare all’ ossessione per la “privacy”, che non è mai riuscita, né a fornire una protezione efficiente dei cittadini, né a fare rispettare i principi dai principali attori, che sono i GAFAM e le agenzie di intelligence americane, ma anche gli Enti pubblici nazionali (come le Poste Italiane), e perfino le Istituzioni Europee e i giudici europei e nazionali.

Basti pensare anche alle opere distopiche della fantascienza, e, in primis, a quelle di Asimov, dove la supremazia dei robot sull’ umanità si rivela proprio nell’ essere divenuti questi più umani dell’umanità stessa (arrivando perfino a ingannare a fin di bene).

Orbene, se vogliamo che l’Umanità vada oltre a queste situazioni tutt’altro che improbabili, occorre uno Stato che si ponga come missione prioritaria quella di essere veramente “the Trendsetter of Global Debate” come presume la Commissione.Alle Istituzioni europee un siffatto programma sembra facile, ed, anzi, lo dichiarano già perfino conseguito. Invece, esso è caratterizzato da un’inaudita complessità, perchè si tratta niente meno che di costringere le Grandi Potenze a discutere su questo tema, di cui sono così gelose, e a disfarsi dei GAFAM, che già oggi ci dominano.

Se l’Europa vuole veramente essere, in mezzo al bailamme del conflitto per la supremazia fra di loro, il “Golden Standard” della società digitale, deve diventare quel modello di efficienza amministrativa, politica economica e militare, che oggi non è.

Avendo noi assistito agli inutili sforzi di tutti gli Stati del mondo (e d’ Europa), per fare discutere USA, Russia e Ucraina, possiamo renderci conto di quanto sia difficile fare, dell’ Europa, un simile Stato.

Per questo motivo, “oportet ut scandala eveniant”; che l’attuale equilibrio si rompa, e che forze nuove ed energiche possano nascere, prosperare ed affermarsi.

Tanto per cominciare, mentre concordiamo pienamente con la proposta del Movimento Europeo di convocare una Conferenza Internazionale sulla sicurezza e sulla pace in Europa sotto l’egida dell’OSCE e delle Nazioni Unite con l’obiettivo di sottoscrivere un Trattato Internazionale fra tutti gli attori coinvolti sul continente europeo (Europa dall’ Atlantico a Vladivostok-“Grande Europa”-progetto presentato  già da Putin nel 2011 al Bundestag-).

Aggiungiamo anche la contemporanea proposta di discutere un Trattato Internazionale per il controllo dell’ Intelligenza Artificiale, che dovrebbe essere l’obiettivo fondamentale della “Grande Europa”.

COMMEMORAZIONE DELLE TERMOPILI E SALAMINA (480 a.C.-2020 d.C.)

Ugo Foscolo nasce a Zacinto

“Il navigante

Che veleggiò quel mar sotto l’Eubea,

Vedea per l’ampia oscurità scintille

Balenar d’elmi e di cozzanti brandi,

Fumar le pire igneo vapor, corrusche

D’armi ferree vedea larve guerriere

Cercar la pugna; e all’orror de’ notturni

Silenzi si spandea lungo ne’ campi

Di falangi un tumulto e un suon di tube

E un incalzar di cavalli accorrenti

Scalpitanti su gli elmi a’ moribondi,

E pianto, ed inni, e delle Parche il canto”.

(Ugo Foscolo, I Sepolcri)

2500 ANNI DALLE TERMOPILI:IL MODELLO IDEALE DI FOSCOLO

Quest’anno ricorre il 2500 anniversario delle battaglie delle Termopili e di Salamina, che costituiscono una delle fonti più antiche dell’identità europea.

Purtroppo, a causa della recrudescenza del Coronavirus, in Grecia non è stato possibile organizzare le previste manifestazioni, sicché anche il previsto webinar del 29 è stato cancellato. Speriamo di poter riprendere il tutto dal vivo nel corso del Salone del Libro di Torino, che, secondo le ultime voci, si terrà in forma ibrida a cavallo dell’Immacolata Concezione dell’ 8 dicembre.

Contiamo di riunire tutte le attività dei Cantieri d’Europa Virtuali 2020 in quell’ occasione. Vi terremo informati.

Venendo alle Guerre Persiane, non per nulla, ne “I Sepolcri”, Foscolo cita le tombe erette di fronte all’Eubea ai caduti delle Termopili e di Maratona, come modello  per il culto degli eroi, al centro del pensiero suo e di molti autori romantici europei. È infatti innanzitutto a questo ch’egli, italo-greco, pensa come fonte d’ispirazione per la religione civile degl’Italiani (e, aggiungiamo noi,  degli Europei).

Gli fa eco Byron, che morì giovanissimo a Missolungi combattendo nella Guerra d’Indipendenza greca:

“the voices of the dead/Sound like a distant torrent’s fall,

And answer, ’Let one living head,/But one, arise,?we come, we come!’/’Tis but the living who are dumb.”(“Le voci dei morti risuonano come il lontano rimbombo d’un torrente, e rispondonoSorgerà un capo vivente, uno solo? Ma i vivi, sordi sono”).

E, di fatto, all’aristocratico guerriero, discendente di Eracle, fedele alla religione e alle leggi patrie, ricercante l’”apothéosis” attraverso la morte in battaglia, penseranno tutti i letterati europei, da Turoldo a Schiller, da Gogol’ a Herceg, fino alla Spigolatrice di Sapri(“Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti”).

Quanto all’ europeismo del secondo Dopoguerra, anche il comandante partigiano e storico dell’ identità europea Federico Chabod fa partire l’identità europea dalle Guerre Persiane. Il fatto che oggi la quasi totalità dei politici e degl’intellettuali in Europa sia invece fondamentalmente contraria all’etica eroica delle Termopili costituisce invece un obiettivo problema, perché, come dimostra la crisi del Coronavirus, il carattere tragico della vita e della storia è oggi più evidente che mai, e l’appello (anche solo retorico) all’ eroismo è inevitabile in situazioni come quella presente.

In definitiva, contrariamente a quanto pensava Brecht, non è felice il paese che non ha bisogno di eroi, perché l’eroismo ci vuole anche già soltanto per affrontare la vita di tutti i giorni. Ma, quando qualcuno evoca quest’etica eroica, ammesso che ci creda almeno lui, pochissimi lo seguono Questo anche perché si è fatto di tutto per cancellare negli Europei le tracce  di quell’etica. Le Istituzioni e l’ accademia lamentano costantemente l’assenza di un pathos patriottico negli Europei, ma dovrebbero riconoscere onestamente ch’essi sono alla radice di questa pretesa carenza dei cittadini, perché sono essi quelli che hanno negletto, criticato, svuotato e perfino attaccato lo spirito eroico degli Europei, chi in ossequio al quietismo di Constant, chi alla “cultura del sospetto”, chi al sociologismo pragmatista, chi al postumanesimo, ecc… Basti pensare al rapido abbandono, da parte della sinistra, del mito di Garibaldi. D’altra parte, quanti degli esaltatori della Resistenza avevano realmente combattuto, e quanti erano rimasti in Svizzera a discutere sugli assetti post-bellici, o avevano semplicemente continuato le loro occupazioni, per poi svegliarsi “resistenti”?

Già l’Ariosto aveva osservato indispettito che, con l’avvento delle armi da fuoco, l’eroismo dei “cavalieri antiqui” andava perso dinanzi alla callida premeditazione degli artificieri. Oggi, questo è niente rispetto alle auto-bombe nei mercati, alle bombe atomiche,  all’ “hair trigger alert”, ai droni assassini…Se poteva dirsi eroico un combattente individuale omerico, che, come Achille o Ulisse (o anche Stargaard o Cù Chùlainn), affrontava da solo decine o centinaia di nemici, non così si può dire di un operatore che, da una base di Stoccarda, stermina coi droni intere famiglie in Medio Oriente standosene tranquillamente seduto a una consolle.

Che non si tratti più (almeno nei Paesi altamente sviluppati) dello stesso tipo di eroismo che caratterizzava gli eroi classici (per esempio, in Medio Oriente, la situazione è ancora simile a quella di allora) non cambia molto circa le qualità umane necessarie per la sopravvivenza di una società in generale.

Lord Byron a Missolungi

1.L’eroismo oggi

Anche oggi, c’è un eroismo: quello giustamente esaltato dei medici, degl’infermieri e dei volontari, ma anche quello di chi, anche nel cuore dei meccanismi infernali ideati dalla tecnica, ha la determinatezza, le capacità e il coraggio di fermarle, come Vanunu, Petrov, Assange, Snowden e Manning.  Nessuno invece celebra questi moderni eroi, che, o muoiono abbandonati da tutti come Petrov, o passano lunghi anni di prigionia come Vanunu, Manning e Assange, o sono costretti all’ esilio come Snowden. Proprio in questi giorni assistiamo al silenzio assordante dei media sul processo ad Assange. Un eroismo forse più cerebrale, addirittura interiore, come la figura dell’ eroe in Jung.

Per questo, credo che l’Europa debba tornare a valorizzare molte fra le sue più importanti fonti culturali, come l’Iliade, l’Odissea,  il Beowulf, la Laudatio Novae Militiae, i poemi cavallereschi, i romanzi di Walter Scott e di Sienkiewicz, la Paideia di Jaeger;  le mura di Troia, i monumenti delle Termopili e di Maratona, il Limes, Santa Croce, Les Invalides, lo Hösök Tere, il monumento della Vittoria di Volgograd, la piazza delle croci a Vilnius, che ricordano tutti, sotto angolature diverse, le virtù guerriere degli Europei.

Gli Achei sotto Troia

2.  Il “vero” spirito dell’ Ellade antica

Nessuno è riuscito a definire in modo univoco e convincente la “natura” della grecità: una civiltà che, nell’ arco di 5.000 anni, ha espresso società estremamente diverse. Dalla pacifica civiltà egea all’ opulenta talassocrazia cretese; dai signori della guerra micenei all’ agreste Ellade di Esiodo; dalla corrusca Sparta alla raffinata Ionia; dalla repubblica ateniese alla tirannide siracusana; dell’ ideocrazia di Pitagora alla monarchia di Filippo; dall’impero universale di Alessandro ai regni greco-orientali dei Diadochi; dall’ellenofilia dei Romani alla patristica orientale; dall’ Impero d’Oriente all’apostolato degli Slavi; dalle guerre d’indipendenza alla monarchia; dai colonnelli all’Unione Europea.

Anche le “letture” che se ne diedero nell’ Europa Occidentale nel corso dei secoli furono le più svariate: dai “Graeculi” dei Romani ai “Rhomaioi” dei Bizantini; dal neo-platonismo fiorentino al biblismo protestante; dalla visione apollinea di Winckelmann a quella dionisiaca di Nietzsche; dalla Grecia “ariana” di Hitler  a quella “democratica” di oggi.

Pur non potendomi evidentemente qui addentrare in queste controversie (per la quale rimando alla versione online di “10.000 anni d’identità europea”, appena pubblicata), osservo che, a mio avviso, la visione più falsata è proprio la più recente. Credo infatti che la cultura greca sia, fra tutte, la più critica del principio democratico. Non si trova in tutta la storia della letteratura greca antica (ma nemmeno romana) neppure un autore che elogi apertamente la democrazia. Perfino il famoso discorso attribuito da Tucidide a Pericle in onore dei caduti nella Guerra del Peloponneso, e che Giscard d’Estaing avrebbe voluto citare in exergo alla Costituzione Europea, contiene, come ben messo in evidenza da Luciano Canfora, molti elementi di reticenza. Pericle non è stato il fondatore della democrazia, bensì sostanzialmente l’anticipatore di Augusto e dell’impero romano. “Princeps”, il titolo di Augusto, è la semplice traduzione del  “Protos anèr”, il “Primo uomo”: la prima fase dell’ evoluzione imperiale, e l’erede del contemporaneo termine greco “tyrannos”, che non era affatto dispregiativo, bensì la semplice traslitterazione del “seren” anatolico, che, a sua volta, altro non sarebbe se non una volgarizzazione dello “Šarru Šarrani”, il re assiro-babilonese. E, dopo Pericle, verrà Alessandro, che si credeva addirittura un faraone e un’incarnazione di Amon Ra.

L’antica costituzione europea

3. La Grecia antica, quintessenza dell’ Antichità

Certamente, il modo di vivere e di pensare degli Antichi era diverso dal nostro, e non sarebbe oggi accettabile. La distruzione di Troia, quale descritta ne “Le Troiane” è il prototipo della “debellatio” antica: dai costumi del primitivo popolo di Yamnaya alla distruzione di Cartagine: passare a fil di spada i maschi, anche bambini, e fare schiave le donne. Per altro, nelle “Guerre del Signore” della Bibbia si fa ancora di peggio. Gli eroi omerici ritengono normale spartirsi le prigioniere ridotte a schiave, in proporzione al loro rango dinastico; Ulisse bastona Tersite perché, non essendo re, ardisce esprimere opinioni personali in assemblea; Ulisse e Oreste, al ritorno in patria, fanno strage di loro concittadini ribelli; equanimemente, gli Spartani massacravano gl’iloti così come, gli Ateniesi, i Meli; gl’Israeliti, i Cananei, e, i Romani, i Galli.

Quanto poi alle diverse voci della cultura greca antica, nessuna ha preso radicalmente congedo da quel duro substrato arcaico: Ippocrate esalta gli “autonomoi”, vale a dire i guerrieri possidenti, non già il popolo; Erodoto (ionico) sostiene che la democrazia è stata imposta , agli Ioni, dai Persiani (che la respingono  come inadatta a se stessi), per  garantirsi la loro arrendevolezza; Socrate sostiene il governo degli esperti, e Platone quello del “re filosofo”; Aristotele pensa che gli uomini si distinguano per natura fra liberi e schiavi, che la schiavitù derivi dalla resa dei guerrieri vinti,  i quali così dimostrano la loro inferiorità morale. Si potrebbe andare avanti all’ infinito.

Nonostante tutto questo, le Guerre Persiane sono state da sempre la vera base storica della cultura europea: per Eschilo e Federico Chabod sono l’inizio dell’idea di Europa; sono il momento dell’inizio della riflessioni filosofica e politica greca; sono la premessa storica per le guerre egemoniche fra i Greci e per la conquista dell’Oriente da parte di Alessandro. Sono il modello della contrapposizione fra Roma e l’ Egitto di Cleopatra e per le Crociate, sulle cui esigenze furono ricalcati i progetti di integrazione europea di Dubois, Podiebrad, Saint Pierre, Mazzini e Coudenhove-Kalergi. Possiamo non condividere al 100% questa veneranda impostazione, ma non possiamo certo costruire l’ Europa di oggi sull’ignoranza della stessa.

Oggi, le Guerre Persiane vengono usate (a mio avviso abusivamente, come prototipo della lotta fra Est e Ovest, fra “autocrazia” e “Democrazia”, fra “laicità” e “fondamentalismo”, perfino fra Grecia e Turchia). Basti pensare al celeberrimo film americano ”Trecento”. La scottante realtà  è invece che buona parte delle idee della Modernità derivano più dall’ Impero Persiano che non dall’ antica Grecia. Dall’imposizione della democrazia alle città ioniche da parte del generale persiano Mardonio, all’idea mazdea ed achemenide della guerra santa fra il Dio del Bene e il Male Assoluto, per fondare un millennio di pace,  passando poi all’ idea del Salvatore, della “Fortuna Principis”, del potere sacerdotale, del regno universale, del libro sacro onnicomprensivo, fino all’ idea della “Quinta Monarchia” iberica e poi americana e della Fine della Storia. Questo non fa che confermare che le Guerre Persiane sono ancora al cuore dell’ identità europea; quindi, come minimo, non si può non parlarne. Soprattutto oggi, quando lo stesso Fukuyama ha riconosciuto la fine della Fine della Storia, e sostiene un regno di Fiducia per capace di contrastare il Post-Umanesimo.

Solo che, almeno a mio avviso, l’Identità Europea è tutt’altro che semplice, o, addirittura, manichea: essa s’identifica con la Dialettica dell’ Illuminismo, che è una dialettica dell’ ambiguità.

Le lingue classiche come lingue veicolari dell’ Europa

4.Pàtrios Politeia e Antica Costituzione Europea

La primitiva costituzione ateniese, chiamata “pàtrios politèia”, l’Europa l’ha sostanzialmente ereditata e conservata per tutta la sua storia, tant’è vero che ancora Tocqueville la chiama “l’Antica Costituzione Europea”, dalla cui decadenza egli vede tanti problemi. Di qui il concetto, irrealizzato ancor oggi, di una “Costituzione Europea”, ispirata al  “principio di sussidiarietà”, che è il più coerente con l’idea di una dialettica: ciascuno svolge, in una società complessa come quella europea, il ruolo per cui è vocato : e, come ci dimostra la nostra quotidianità,  è già tanto se riesce a svolgere almeno quello.

Questa impossibilità della Costituzione Europea dimostra la forza degli elementi che ad essa vi si oppongono.

Ciò che gli antichi autori difendevano con il termine “Politèia” (Res pubblica) era, in realtà un “regime misto”, in cui avrebbero dovuto prevalere i “cittadini” con patrimoni medi (oggi diremmo la “piccola aristocrazia”, i Romani “equites”, e nel Medioevo la “gentry”, la “Szlachta”), ostile tanto alla plutocrazia quanto alla demagogia popolare (oggi diremmo “populista”). La situazione ideale era quindi quella dell’impero (alessandrino, romano o germanico), che teneva a freno le ambizioni, tanto dei magnati, quanto della plebe.

Ismail kadaré:Eschilo l’eterno perdente

4.Grecia antica e Romeossìni

Per ciò che concerne l’oggi, l’antica Grecia dovrebbe dunque ricordarci l’importanza, per la Città, da un lato,  dell’eccellenza, nelle sue varie forme (solidità di carattere, coraggio civico, educazione familiare, dedizione alla cultura, virtù positive, patriottismo, sano spirito di competizione), e, dall’ altra, dell’equilibrio, necessario per governare una realtà plurinazionale complessa.

Tutto ciò premesso, l’ Europa dovrebbe guardarsi dai riflessi pavloviani della propaganda che abusa delle reminescenze classiche. Anche i popoli delle steppe e l’Euro-Islam costituiscono una parte integrante ed essenziale della storia dell’identità europea, e balcanica in particolare, e, di conseguenza, occorre evitare di opporvisi “a prescindere”.

D’altra parte, il grande musicista greco Theodoràkis, per indicare la sua identità nazionale, si riferiva non già alla Grecia, bensì alla grande comunità culturale bizantino-ottomana: “I romeossìni mu”.

Al Salone del Libro di Torino del 2019, la Casa Editrice Alpina e l’ Associazione Culturale Diàlexis avevano presentato, tra l’altro, l’opera collettiva Es Patrìda Gaian (a cui avevano collaborato luminari di tutta Europa, fra cui la  specialista dell’ Unione Europea Catherine Vieilledent Monfort, lo storico turco della cultura Irvin Şik  e la latinista, decana dell’ Università di Atene, Stella Priòvolu), in cui si dibatteva del ruolo delle lingue nel futuro dell’ Europa dopo la Brexit.

Come si prevedeva, l’Unione, dopo l’uscita dell’ Inghilterra, non solo non ha diminuito il ruolo dell’ Inglese quale lingua veicolare, ma addirittura l’ha accresciuto, con la Presidente della Commissione che, pur essendo tedesca e nata a Bruxelles, si esprime normalmente in Inglese, anziché in Francese o in Tedesco.

Questa prassi non ha alcuna base normativa nell’ Unione, perché tanto l’Irlanda, quanto Malta, hanno registrato nella UE, quale lingua ufficiale, la loro lingua nazionale, vale a dire, rispettivamente, il gaelico e il maltese. Capiamo benissimo che esistano potenti forze politiche per forzare la situazione, ma a queste forzature va opposto un discorso altrettanto politico: Brexit ha non soltanto tolto la base giuridica per l’uso dell’Inglese, ma ha anche squalificato l’egemonia dell’anglosfera sull’ Europa. Almeno a medio termine, avrebbe senso riesaminare l’uso moderno delle lingue classiche (sulla falsariga dell’Ebraico, dell’Arabo Classico e del Sanscrito), come alternativa all’ egemonia culturale dell’Inglese.