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“IL CUORE SANGUINA ANCORA”.

Al pettine tutti i nodi della crisi europea

Senza il “Tea Party”, non ci sarebbero state le “Rivoluzioni Atlantiche”

Voi – milioni. Noi – nugoli agguerriti.
Fateci guerra, o ardimentosi!
Sì, noi – gli asiatici! Sì, noi – gli Sciti,
Con gli occhi a mandorla e bramosi!

Noi – solo un’ora, voi secoli aveste.
Noi, servi docili e ubbidienti,
Fummo lo scudo tra le razze avverse
Dell’Europa e delle barbare genti!

Il vostro martello i secoli forgiava,
Coprendo il rimbombo della lavina,
E per voi una fiaba diventava
La distruzione di Lisbona e Messina!

Voi per centenni guardavate a Oriente,
Ammassando e fondendo i nostri ori,
E aspettavate il momento conveniente
Per puntarci contro i vostri cannoni!

E’ ora. Batte le ali la sventura,
E ogni giorno aumenta l’offesa,
E il momento verrà in cui nessuna
Traccia di Paestum resterà illesa!

O vecchio mondo! Finché non perirai,
Finché proverai un tormento amaro,
Rifletti, sii saggio, come Edipo vai
Davanti alla Sfinge col mistero arcano!

La Russia è la Sfinge. Esultante e afflitta,
Pur piangendo nero sangue con furore,
Essa ti guarda, ti guarda, ti fissa,
Con tutto il suo odio e tutto il suo amore!…

(Aleksandr’ Blok, “Gli Sciti”)

I Cosacchi scrivono al Sultano

Ancora una volta, oportet ut scandala eveniant. Proprio dagli eccessi della propaganda di guerra, di ambo le parti, potrebbe, e dovrebbe, nascere finalmente un dialogo senza pregiudizi e di alto profilo sull’autentica Identità Europea. Che non è affatto lineare, come vorrebbe il “mainstream” occidentale,  e come in fondo non vuole riconoscere nessuno (cfr. il nostro libro “10.000 anni d’identità europea”). Essa non comprende solo la “coscienza europea” occidentale, bensì anche, necessariamente, le culture dell’ Europa Centrale e Orientale.

Essa costituisce, a mio avviso, quella chiave per una “Nuova Architettura di Sicurezza”,  che  resterà introvabile  finché nessuno , né a Est, né ad Ovest, vorrà cercarla, mentre noi la stiamo indicando da ben 15 anni.

Ne posso parlare con coscienza di causa perché, contrariamente all’ attuale “establishment”, dell’Europa Centrale e Orientale, me ne sono sempre interessato, da molti decenni, impegnandomi per tante cause secolari che praticamente tutti  stanno scoprendo solo ora. Al tempo dei disordini studenteschi (‘68 e successivi), ero stato veramente uno dei pochi, o, meglio, l’unico, ad avere organizzato in Italia grandi manifestazioni di giovani contro ciascuna delle massime prevaricazioni del regime sovietico:

nel  1968, contro l’invasione di Praga;

-nel 1971, contro l’arresto a Danzica, dei sindacalisti del  Komitet Obrony Robotników  e, nel 1972, a Kiev, di Ivan Dziuba, (divenuto anni dopo  Ministro della Cultura), per il suo samizdat (in Ucraino)“Internacijonalizm czy Rusifikacija. In particolare, avevo affisso al portone dell’ Università di Torino un “Dazebao” in cui chiedevo (in tempi non sospetti) la liberazione  di Dziuba, arrestato per essersi occupato proprio del tema di oggi: “russità” e/o “ucrainità” dell’ Ucraina. Ne era seguita una rissa.

Quando noi facevamo quelle manifestazioni, nessuno si sognava neppure lontanamente di applaudirci, ché, anzi, eravamo stati ostacolati e minacciati, tanto dai partiti, quanto dalle istituzioni, quanto dai sedicenti “movimenti studenteschi”. Ricordo perfino che, avendo affisso uno striscione sul Palazzetto dello Sport chiedendo la liberazione della Cecoslovacchia durante una rappresentazione del Circo di Mosca, eravamo stati inseguiti con intenzioni minacciose dalla stessa polizia locale, oggi ovviamente impegnata nell’ assistenza agli Ucraini.

La verità è che l’attuale “establishment” non si è mai interessato dell’ Europa, bensì solo delle  sue obsolete ideologie, e, al massimo, dei rapporti fra le grandi potenze, in base ai quali i suoi membri  hanno orientato le loro carriere. E ciò ancor più ora, quando, con il suo appiattimento sulle posizioni americane, ha perso ogni residua legittimità ad esprimersi sul futuro del nostro Continente, o a pretendersi “europeista”.

Improvvisamente, quell’”establishment” e quelle persone (politici, giornalisti, intellettuali), che non volevano si protestasse contro eventi ben più inequivoci, adesso esigono un unanimismo “bulgaro”   circa le loro inutili lamentazioni sulle sorti di un’Ucraina che, allora, non sapevano neanche che cosa fosse.

Cito alcune frasi in Ucraino della sentenza contro Dziuba, praticamente simili, mutatis mutandis,  a quanto oggi l’ “establishment” divce di chi non si allinea con il “Pensiero Unico”: “L’”opera” di Dziuba ‘Internazionalismo o russificazione” è stata scritta  con un approccio non scientifico. Essa utilizza i classici del marxismo-leninismo, i documenti del Partito ed altre fonti, falsificandole e deformandole per sostenere la ‘concezione’ dell’ autore cherieccheggia le idee del nazionalismo borghese ucraino.’

Comunque, sempre con lo stesso risultato di allora: nessun miglioramento dell’insoddisfacente corso  degli avvenimenti, e solo l’avanzamento nella carriera  di quegl’interessati agitprop (sempre gli stessi sotto diverse bandiere)

Svolgiamo qui intanto alcune considerazioni, partendo da Dostojevskij, tirato in ballo inopinatamente dalla polemica fra l’Università “Bicocca” di Milano e lo scrittore Nori(autore del libro su Dostojevskij “Il cuore sanguina ancora”), per poi tornare a riproporre quella che era stata sempre la nostra posizione: l’Europa da Brest a Vladivostok, unica soluzione che eliminerebbe alla radice tutti i problemi, culturali, militari, economici e militari, che oggi ci tormentano, a Ovest come a Est.

Primavera di Praga

1.La battaglia intorno a  Dostojevskij

Ci associamo intanto all’articolo della coraggiosa Donatella di Cesare, che attaccava su “La Stampa” il conformismo russofobico imperante, citando giustamente Anna Netrebko, che, opponendosi al boicottaggio di Gergijev, ha scritto:«’Non è giusto costringere gli artisti ad esprimere pubblicamente le proprie opinioni politiche e a denunciare la propria terra d’origine’. Così chi ha la colpa di essere russo viene ovunque estromesso a priori da eventi artistici, organizzazioni sportive, tornei di calcio. Fifa e Uefa decretano l’espulsione della Russia, mentre il Comitato Olimpico esclude a priori cittadini russi e bielorussi, a meno che non si svestano dei loro panni di russi e bielorussi gareggiando come apolidi o neutrali. Ma la discriminazione si diffonde perfino nelle università e nelle accademie. Ricercatori che avevano scritto mesi fa articoli scientifici si vedono adesso rifiutare i propri contributi dalle riviste non con ragioni di merito, bensì per il semplice motivo di essere russi. Coinvolgere l’arte, lo sport, la scienza e la ricerca nella guerra non è una scelta saggia. Dovrebbe semmai essere l’esatto contrario: lasciare aperti proprio questi spazi al dialogo e alle prove di pace”. “Che chi è russo debba essere qui improvvisamente additato a nemico appare non solo inconcepibile, ma anche indegno di un Paese civile. È vero che i venti di guerra soffiano forti ormai anche per le nostre strade e nelle nostre piazze, e che c’è chi fa di tutto per accendere gli animi, ma forse occorrerebbe fermarsi prima di compiere gesti di cui pentirsi e vergognarsi”…. “Ha compiuto in tal senso un gesto più che discutibile Beppe Sala, primo cittadino di Milano, capitale dell’ospitalità, che ha portato Valerij Gergiev, sospetto di essere putiniano, a lasciare la direzione del Teatro alla Scala. Ma dirigere un’orchestra non è comandare una truppa militare. Questo significherebbe accettare solo gli artisti che, sotto intimidazione, abiurino pubblicamente”.

Il culmine di questa frenesia è la pretesa dell’autocritica. Bisogna dichiarare, non solo di essere contrari a questa guerra, bensì anche di essere contrari alla Russia (o almeno al suo Governo). Metodi cari al socialismo reale, di cui tutti accusano (poco logicamente) Putin, e alla cui realtà il “mainstream” europeo è in effetti molto più vicino. In generale, il “mainstream” occidentale è più l’erede dell’egemonia culturale marxista di quanto non lo siano i Paesi “sovranisti” dell’est (i quali sono semmai culturalmente gli eredi dei vecchi “dissidenti” come Florenskij, Gumilëv, Bahro, Amal’rik o Sol’zhenitsin). Era infatti il “socialismo reale” quello che credeva, come l’attuale “mainstream”, in una marcia trionfale del Progresso verso la Fine della Storia, pretendendo  che ogni evento fosse giudicato secondo questo metro, e deformando fatti e giudizi per farli coincidere con la “linea del partito”. Ora, quell’atteggiamento è stato “girato” semplicemente  nel senso che la “Fine della Storia” sarà costituita dalla Singularity Tecnologica, e che tutto ciò che serve a quello scopo (e in primis l’”Occidente”) va sottolineato ed esaltato, e tutto il resto va ostracizzato “senza se e senza ma”. Senza neppure documentarsi sui fatti, come fa il nostro “establishment”, che risponde oramai soltanto a riflessi pavloviani indotti da alcune lobby.L’iter provvidenziale verso la Singularity passa dunque, per gli attuali zhdanovisti, attraverso la “Missione dell’ Occidente”, la rivoluzione tecnologica, il mondo unipolare, i GAFAM, “lotta delle democrazie contro le autocrazie” e, soprattutto, l’ossequio allo Stato-guida americano.

I vecchi “dissidenti” e i “riformisti” dei Paesi comunisti, pur essendo diversissimi fra di loro, erano accomunati, nella loro diversità,  proprio dal rifiuto sostanziale di quella Modernità che accomunava sovietici e americani. Kadaré era un “nazionalcomunista” cultore dei miti ancestrali albanesi del Kanun e della Bessa; Sol’zhenitsin un nostalgico dell’ Impero Russo che teorizzava l’unità degli Slavi Orientali; Wałesa portava “la Madonna sul bavero della giacca”, ecc…E’ ovvio che i loro eredi intellettuali di oggi continuino a non apprezzare l’omologazione tecnocratica occidentale.

Di converso, le attuali paranoie piccolo-nazionaliste della Russia (e dell’ Ucraina) nascono proprio dalla pluridecennale repressione delle autentiche culture.

Sarebbe ora che si lasciasse “respirare con  i due polmoni dell’ Europa” un pensiero indipendente ed autentico, radicato nella nostra eredità culturale.

Ivan Dziuba, professore, patriota ucraino e ministro della cultura

2.”Filosofija Obśćego Diela”( “La Filosofia del Compito Comune”)

E’ paradossale che l’ideologia segreta dell’ attuale “mainstream” occidentale (il postumanesimo) prenda le mosse proprio da un ascetico e geniale bibliotecario di Mosca, Fëdorov, che, con la sua enorme personalità, era riuscito a trasformare, alla fine dell’ Ottocento, il suo modesto ufficietto in un cenacolo da cui passarono i massimi intellettuali russi del’ epoca: Dostojevskij, Tol’stoj, Berdiajev, Tsiolkovskij, Vernadskij…(i quali per altro sin gran parte si rivoltarono contro il suo insegnamento, ponendo le basi di quel “Pensiero Russo” che oggi sembrerebbe il nemico per eccellenza dell’ “Occidente”).

Secondo Fëdorov, l’Uomo doveva  innalzarsi dal suo stato di entità alle mercé di cieche forze naturali, e vittima di un’entropia dissolutrice, a quello di una realtà capace di controllare razionalmente i processi evolutivi e cosmici, al fine di risolvere definitivamente il problema della morte, che è alla radice di ogni male.

Nella concezione fedoroviana, la Natura è la nostra “nemica temporanea”, data la sua tendenza disgregatrice ed entropica; solamente una volta che avremo invertito il corso naturale che va dalla vita alla morte e reindirizzato tutto verso la “vita eterna”, essa diventerà la nostra “amica permanente”.

Se la Disintegrazione è infatti la regola universale, se la morte è il male più grande che affligge universalmente tutti gli uomini — un vero e proprio “crimine” che ha accompagnato l’uomo fin dalla sua comparsa — allora la Reintegrazione, la resurrezione dei morti, è il bene più alto e oggetto del compito umano. Ciò implica non solo raggiungere un’immortalità per coloro che nasceranno, ma ripristinare alla vita eterna tutte le persone che ci hanno preceduto, affinché possano condividere quel mondo perfezionato dalla ragione umana dove noi tutti vivremmo nella fraternità per sempre. La Resurrezione è la trasformazione dell’universo — dal caos verso il quale si sta muovendo — nel cosmo, in una grandezza di incorruttibilità e indistruttibilità.

Il Cristianesimo, secondo il filosofo russo, rimane l’unica religione “vivente ed attiva” che ha saputo trasformare fino in fondo il problema della vita e della morte in problema religioso, ma sarebbe sbagliato intendere la fede cristiana come una mera “commemorazione della vita” in quanto essa è anche, e soprattutto, “un compito di redenzione” che comprende  salvezza di tutto il cosmo.

Come nel “Primo Programma Sistemico dell’ idealismo tedesco”, la soluzione fedoroviana al problema della vita e della morte richiede l’unione delle due forme di ragione, teorica e pratica, e delle due classi, dotti e ignoranti.

Il “Compito Comune”, indicato dalla filosofia ‘supramoralista’ di Fiodorov, non farebbe altro che attuare ciò che Dio vuole da noi, ossia un progresso incessante delle conoscenze e un’applicazione continua delle stesse, in modo che l’uomo si avvicini in misura sempre maggiore alla perfezione divina.Fëdorov anticipava, tanto Teilhard de Chardin, quanto Ray Kurzweil.

Le Vie della Seta passano da Kiev

3. La “scienza della rianimazione”

L’uomo, grazie ai mezzi scientifico-tecnici, deve imparare non solo a migliorare se stesso, creando organi artificiali (protesi) adatti a nuovi ambienti ed estendendo ad infinitum la sua durata vitale, ma deve anche imparare a rianimare i suoi Antenati dalla polvere e dalle tracce che hanno lasciato. Tutta quanta l’attivitá scientifica dev’ essere dunque subordinata allo scopo finale di rintracciare gli atomi e molecole degli Antenati sparsi per il mondo, dato che “tutta la materia è la polvere degli Antenati”, per la loro ricostruzione in un nuovo glorioso corpo (come quelli degli estinti dinosauri che abbiamo visto rinascere miracolosamente in “Jurassic Park”.

E’ l’obiettivo perseguito implicitamente con le analisi dei reperti biologici in corso “a tappeto” da parte della scienza paleontologica, ed esplicitamente, dagli scienziati bolscevichi, con la mummificazione dei leader sovietici, con le ricerche sulla “quasi immortalità”, sulla criogenetica e sulla clonazione umana.

Fiodorov giunge a immaginare che, quando i discendenti dell’umanitá odierna, i ‘figli dell’uomo’, colonizzeranno tutto l’universo, trionferà la bellezza, tutto l’ordine cosmico diventerà così capolavoro artistico, prodotto adamantino e imperituro della creatività umana: l’estetica dell’astronautoica sovietica

La capacità di vivere in tutto l’Universo, consentendo alla razza umana di colonizzare tutti i mondi, ci darà il potere di unire  questi mondi  in un tutto artistico, in un’opera d’arte, della quale gli innumerevoli artisti, come nell’immagine del Creatore Uno e Trino, sarà l’intera razza umana, la totalità delle generazioni risorte e ricreate ispirate da Dio, dallo Spirito Santo, che non parleranno più attraverso certi individui, i profeti, ma agirà attraverso tutti i figli dell’uomo nella loro (supramorale) totalità etica o fraterna, attraverso i figli dell’uomo raggiungerà la perfezione (per Teilhard de Chardin, il “Punto Omega”; per Kurzweil, la “Singularity”).

I guerrieri “Yamnaya”
fra Russia e Ucraina

4.La leggenda del grande Inquisitore e il Racconto dell’ Anticristo

L’escatologia di Dostojevskij costituisce l’esatto opposto di quella del suo mentore, ed è questa la ragione per cui quest’autore può essere assunto come il lontano ispiratore della “Russia Sovrana”, e il nemico dell’ attuale “mainstream” occidentale. Il senso della Leggenda del Santo Inquisitore de “I Fratelli Karamazov” era stato  colto già da Rozanov, quando descriveva il viaggio dello scrittore  a Londra, in visita dell’esposizione universale del 1863. Nella folla raccolta a visitare i prodigi della scienza e dell’industrializzazione, egli riconosce …un quadro biblico, qualcosa della Babilonia, non so che profezia dell’Apocalisse che si va compiendo definitivamente” .

Secondo Dostojevskij, il socialismo ateo aveva trasformato il cristianesimo nei tre grandi miti di massa della società moderna: la moltiplicazione dell’avere, il valore eminente del fare e la sottomissione universale alla forza organizzativa del potere. Cristo aveva rifiutato l’invito di Satana a cambiare le pietre in pane rispondendogli che l’uomo non vive di solo pane. Ma le moltitudini affamate di beni da consumare non vorranno invece vivere soltanto per ciò che hanno o esigono di avere? L’uomo diventa così schiavo di ciò che possiede o di ciò che vuol possedere. Il secondo rifiuto di Cristo a Satana, che l’invita a gettarsi dal pinnacolo del Tempio per provare con un miracolo la propria divinità, significa la negazione che l’esorbitante potenza del fare sia la prova della grandezza dell’uomo. L’ultimo dono che il Tentatore offriva a Gesù nel deserto, tutti i regni della terra, viene sdegnosamente rifiutato.

L’interpretazione dell’omologazione modernistica come l’avvento dell’Anticristo sarà ripresa da Soloviov  nel Racconto dell’ Anticristo, una parabola ancor più esplicita del carattere ingannatore del mito del progresso universale, e della necessità dell’alleanza, contro di esso, di tutte le Chiese e religioni, ripreso dal “Ludus de Antichristo” di Ottone di Frisinga..

E’appunto a queste tendenze  di lungo periodo che si è riallacciato il Patriarca Kirill nelle sue recenti, contestatissime,  omelie, in cui ha ripreso il tema, classico nella cultura russa, della salvezza dell’ Europa per opera della Russia. Questo background è utile anche  per comprendere le passioni in gioco nella guerra di informazione in corso sulla guerra in Ucraina, che si sovrappone a due conflitti ben più globali e radicali, con cui non deve però essere confuso:

-quello fra la pressione globalizzatrice dell’ Occidente (“ogromnoje davlenije Zapada”), e la visione della Russia come Katèchon, ereditata dal Patriarca Filofej, autore dell’”Epistola sulla Terza Roma”, e ribadita, nei secoli,  da von Bader, da Dostojevskij, dai Neo-Eurasiatisti, e, da ultimo, dal Patriarca Kirill;

-quello fra gli antichi Imperi Eurasiatici (Cina, Russia, India, Iran, Pakistan), fautori di un Nuovo Ordine Mondiale multipolare, e la difesa a oltranza, da parte della NATO, di una sua pretesa superiorità -etica, esistenziale, economica, politica e militare-, contraddetta, però, tanto dai fatti, quanto dai numeri.

Ambo i conflitti debbono essere tenuti ben presenti nello studiare, valurtare e risolvere la guerra in corso. Invece, purtroppo,  a noi pare che le infinite forze che, in tutti i Continenti, si muovono contro il Post-umanesimo non riescano mai ad assurgere a un punto di vista più alto, in cui si comprendano veramente le cause di quanto accade, permettendo così l’elaborazione e la gestione di una strategia unitaria. Solo così questa battaglia potrebbe essere vinta.

Dopo la battaglia fra i Kievani
e i Polovesiani

4.L’Ucraina non è “Occidentale”

Le opposte propagande sono volte ad accreditare l’idea che l’Ucraina costituisca, come voleva già Brzezinskij, “la punta di diamante dell’ Occidente”contro la barbarie asiatica. In realtà, a mio avviso, l’Ucraina ha rappresentato in passato, e ancora rappresenta oggi, come dice il suo stesso nome, una terra di transizione fra Oriente e Occidente, e sarebbe un peccato se fosse costretta a scegliere, oggi, fra Russia e Occidente.

L’Ucraina ha condiviso con la valle del Don le prime civiltà indoeuropee; è stata il paese degli Sciti, dei Sarmati, dei Goti, dei Bulgari. dei Magiari, dei Khazari, dei Cumani, dei Peceneghi, dei Mongolo-Tartari, degli Ottomani, dei Cosacchi, dei Karaim e degli Askhenzaim. I Polacchi chiamavano l’Ucraina “Campi Selvaggi”, perché ivi cavalcavano senza freni i popoli nomadi delle steppe.

La stessa strenua resistenza dimostrata oggi contro l’Armata Russa dimostra il carattere guerresco degli Ucraini, non diverso in ciò da quello dei Russi, e non alieno dagli aspetti più severi dei costumi di guerra, dai poteri assoluti del Presidente, al divieto di tutti i partiti, all’ unificazione forzata delle reti televisive, agli omicidi dei “traditori”, alle deliberate eccezioni alla Convenzione di Ginevra, all’ uso di potenti milizie private fortemente ideologizzate. In realtà, il pericolo della cosiddetta “autocrazia” denunziato dalla retorica occidentale è un fenomeno universale, derivante dalla transizione digitale, dalla “guerra senza limiti” e dalla “Società del Controllo Totale”, che conferiscono ai Governi poteri sempre più estesi in qualunque ambito territoriale e geopolitico.

Comunque, nella narrazione ucraina, il Paese sarebbe l’erede culturale soprattutto dei selvaggi Cosacchi, il cui nome stesso è turco, e significa “cavalieri erranti”. Quindi, per definizione,ancora i popoli guerrieri e nomadi delle steppe, il cui prototipo è costituito dal Taras Bul’ba messo in scena del russo-ucraino  Gogol’. L’immagine più classica dell’antica Ucraina, quella che rappresenta i Cosacchi di Zaporozhe, che, incominciado a propendere per il Gran Principe di Mosca, scrivono collettivamente una provocatoria lettera di contumelie al Sultano, li rappresenta come un branco di selvaggi mongoli.

Tra parentesi, è grottesco come i nostri media i sforzino di minimizzare le caratteristiche “neonaziste” del battaglioni speciali dell’esercito ucraino, caratteristiche che sono evidenti a tutti, a partire dalla loro origine storica, per passare alla loro simbologia, e  finire alla storia dei loro collegamenti con vari eserciti occidentali, da quello austro-ungarico, passando da quello nazista, ed arrivare, alla fine, a quello americano. Nel Dopoguerra, i battaglioni speciali occidentali sono nati da organizzazioni politiche di “rivoluzionari di professione” filo-americani attivi su tutti i fronti delle guerre post-sovietiche (difesa del Parlamento di Vilnius, guerre ex Jugoslave, Cecenia), condividendo la parabola delle analoghe formazioni baltiche. Prima ancora, essi si riallacciavano all’ UPA e al tentativo di Rosenberg (stroncato da Hitler) di favorire la nascita di un’Ucraina indipendente alleata con la Germania. Prima ancora, i fondatori dell’ UPA erano stati legati alla Repubblica ucraina fondata da ufficiali austro-ungarici al comando dell’ “Atamano” Skoropadski.

La loro simbologia è altamente significativa a questo proposito: il loro emblema risulta dalla sovrapposizione della runa “Wolfsangel”, usata da varie divisioni di SS, al “Sole Nero” che troneggiava nella sala delle riunioni del Wewelsburg, la roccaforte delle SS. Se ci si chiede perché il Governo ucraino abbia inserito queste unità nell’esercito regolare, e non sia parco neppur oggi di riconoscimenti, né per il leader dell’ UPA Bandera, né per gli attuali comandanti del Battaglione Azov, la risposta è che, senza unità così motivate e determinate, non sarebbero stati possibili, né l’Euromaidan (un caso di scuola di insurrezione di piazza), né la riconquista e la attuale difesa di Mariupol, città fondamentale dal punto strategico e simbolico. D’altronde, anche quelle dei separatisti del Donbass sono milizie volontarie, che combattono nello stesso spirito.

Credo che non sia irrilevante, a questo proposito, ricordare che il Donbass è vicinissimo a Stalingrado: è la “Sacca del Don” dove sono morti tanti Italiani, proprio a Doneck, allora chiamata “Stalino”(per via delle acciaierie).E che il Battaglione Azov è stato fondato a Mariupol, dopo una prima occupazione dei separatisti. Certamente, nella memoria collettiva, tanto dei Russi, quanto degli Ucraini, questo ricordo è tutt’altro che irrilevante.

L’insieme di questa vicenda appare caratterizzato fin dalle origini da un uso abnorme della propaganda di guerra e della disinformazione, non solo da parte dei soggetti implicati direttamente nel conflitto, ma da parte di tutti. Non parliamo qui delle polemiche sulla strage di Bucha, che dimostrano, se non altro, l’assurdità di questa guerra, dove tutti possono essere tutto e il contrario di tutto: le vittime sono “ucraine” o “Russe”? Le hanno uccise i Russi, i Siberiani, gli Ucraini,, i “nazisti”? Ma situazioni di questo genere possono e debbono essere valutate adeguatamente solo da tribunali internazionali (che per lo più non ci riescono neppur essi), perché perfino le Nazioni Unite se ne stanno rivelando incapaci

Osserviamo solo un al fatto veramente imbarazzane: che tutti, nei filmati degli “Ucraini”, soprattutto quelli  più anti-russi, parlano fra di loro inRusso, e non ne fanno neppure mistero. Basti guardare la versione originale della serie televisiva “Sluga Narodu”, che ha come protagonista Zelenskij, e che ha costituito base delle sue fortune elettorali, dove l’unico a parlare , sempre in Russo, ma con accento ucraino, è un politico che viene ridicolizzato e isolato da tutti i membri del governo (fittizio) di Zelenskij. Si badi bene, non un accenno di accento ucraino, e neppure russo-meridionale, neanche una “G” o una “o” all posto di una “a” aspirata: purissimo Russo moscovita (tant’è vero che Zelenskii era stato scambiato per un “filo-russo”.Anche il doppiaggio in Italiano  ha suscitato corrispondenti critiche.Ma ciò che è più impressionante che, anche  sul sito del famigerato “Battaglione Azov” ,  i colloqui sono anche qui in purissimo Russo, in particolare quelli che mostrano l’addestramento dal vivo dei miliziani. Hanno un accento più “meridionale” i comandanti dei separatisti. Dal che si evince con tutta evidenza che non siamo in presenza, come si dice in Occidente, di uno scontro fra opposti nazionalismi (o patriottismi), bensì di una guerra civile inter-russa per procura, fra “eurasiatisti” e ”atlantisti”, che procede dal 2008, ma ha le sue radici ben prima. Cosa che non stupirebbe nessuno, dopo le rivolte cosacche, gli scontri fra Bianchi e Rossi, le Repubblichette rivoluzionarie, l’Holodomor, la guerra partigiana e i “Fratelli della Foresta”. Tra l’altro, come riuscire a comunicare, fra tanti “volontari” e “mercenari”, in una lingua così sconosciuta come l’Ucraino? Nello stesso modo che nell’Assedio di Vienna, i soldati di Sobieski avevano dovuto, per distinguersi dai Turchi, usare bracciali colorati, così accade oggi in Ucraina fra i bracciali azzurri e gialli degli Ucraini e quelli bianchi dei Russi.

Se scadente è la qualità delle messe in scena ucraine, altrettanto  non convincenti i propagandisti russi. Come si farebbe, anche potendo e volendo, a “denazificare”, e perfino a “de-ucrainizzare”l’ Ucraina?Qui non siamo nel 1945, non ci sono i “Tedeschi” da “convertire”. Russi e Ucraini si confondono veramente, come si confondono fra loro un po’ tutti i popoli d’ Europa, che sono un continuum di civiltà, di culture, di lingue, dialetti, paesaggi, idee, da Gibilterra alla Čukotka, già feudo di Abramović. Anche nel rapporto della politica ufficiale verso la Russia vi è una transizione impercettibile, con l’”establishment” occidentale sempre più ostile, proprio mentre Ungheria e Serbia  confermano a schiacciante maggioranza i loro leaders pro-russi.

L’“internazionalità” della guerra è per altro comprensibile a causa dell’inaudita posta in gioco, che coinvolge da un lato, la sopravvivenza stessa dei Paesi belligeranti, ma, dall’ altra, anche l’intera struttura ideologica ed economica degli equilibri mondiali.

Colin Powel mostra alle Nazioni Unite una fiala di finta arma batteriologica

4.L’Ucraina, centro dell’Europa sulla Via della Seta.

Per tutti questi motivi, non avrebbe senso, né che l’Ucraina venisse annessa, totalmente o parzialmente, alla Russia, né che divenisse un membro ordinario della UE, né, infine,  che le fosse semplicemente attribuito uno “status” di neutralità. La sua forza deriva proprio dall’essere essa un elemento di equilibrio fra Est e Ovest, con eccezionali rapporti con l’Europa, la Cina e, soprattutto, la Turchia, che infatti è stata ben lieta di ospitare le trattative addirittura nel palazzo imperiale ottomano di Dolmabahce. Ricordiamoci, infatti, che buona parte dell’Ucraina era appartenuta, fino al 1700, direttamente o indirettamente, all’ Impero Ottomano, e Maidan è una parola persiana (mediata dal Turco e dal Tataro di Crimea).

Durante il colloquio annuale fra Cina e Ue tenutosi un paio di giorni fa a Bruxelles, la Cina ha affermato di stare lavorando per la pace in Ucraina, “ma a modo suo”. Prima dell’inizio della guerra, Wang Yi aveva già affermato che il ruolo dell’Ucraina era quello di costituire un ponte fra Est ed Ovest.

Questa tesi era quella che avevamo già sostenuto nel Quaderno n. 3 dei nostri Quaderni di Azione Europeista, che stiamo per ripubblicare come Quaderno 1-2022, con qualche correzione della tempistica, giacché esso appare ancor oggi attualissimo.

Infatti, indipendentemente dall’ esito del conflitto russo-ucraino, sta procedendo il progetto della Via della Seta, che non è solo cinese. Tra l’altro, sono stati terminati, o in via di completamento, i ponti di Pamukkale, sull’ Ellesponto/Dardanelli) e di Pelješac (fra la Dalmazia e Dubrovnik), e il tunnel sotto il Bosforo.

L’integrazione dell’ Eurasia procede,dunque,  nonostante tuti i “decoupling” (e gli embargo e le sanzioni con cui li si mettono in pratica).Dopo il recente incontro con i vertici UE, il Presidente Xi  ha affermato che la Cina and  l’Unione Europea  devono respingere la rinascita della “mentalità dei blocchi e della Guerra Fredda”. Perciò, la Cina accoglie con calore gl’investimenti europei  e vorrebbe esplorare una accresciuta complementarietà fra questo suo atteggiamento aperto e un’ autonomia strategica aperta, come si addice a “due grandi civiltà”.Peccato che, fra embarghi e sanzioni, alle imprese europee non lasciamo più fare commercio estero.

Quanto all’ Ucraina, Xi ha citato: l’urgenza che tutte le parti favoriscano le  trattative, anziché boicottarle; lavorare concretamente contro l’aggravarsi dell’ emergenza umanitaria; ricercare, con il supporto della Cina, un quadro di sicurezza europea equilibrato, efficace e sostenibile e completo.

A nostro avviso, tale “quadro equilibrato” potrà essere raggiunto solo se l’”Europa  da Brest a Vladivostok” diverrà, come la Cina, uno Stato-Civiltà, con una sua chiara e distinta identità, un suo Governo autorevole ed efficace, un suo esercito autonomo, quale reso possibile già dall’ attuale elevatissimo livello di spesa militare, se del caso ulteriormente rafforzato nelle direzioni di una comune cultura militare, della messa in comune delle armi nucleari e spaziali e della digitalizzazione a tappeto.

Oltre a ciò, l’ Europa e la Cina dovrebbero farsi portatori, a livello mondiale, di serie trattative per un’Organizzazione Mondiale di Difesa del Principio di Precauzione, che assorba AIEA, UNESCO, OMS e Agenzia per la lotta contro le armi chimiche e biologiche, che sostituisca gli obsoleti trattati in campo missilistico, per stabilire un controllo a tappeto sulle nuove tecnologie per impedire il superamento degli uomini da parte dei robot, lo scatenamento a sorpresa di guerre totali, la diffusione di propaganda di guerra, la gestione politica delle epidemie, la dipendenza dal web, ecc…