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CRISI STELLANTIS/ CRISI DELLA MODERNITA’

“Un giorno, a Mirafiori torneranno a crescere i fiori”

(Edoardo Agnelli)

Gli attuali scontri e polemiche intorno all’eredità degli Agnelli e alla crisi di Stellantis, per quanto di per se stessi rilevantissimi e interessanti, costituiscono soprattutto un’ottima occasione per riflettere sui rapporti fra cultura e tecnica. In effetti, la FIAT ha avuto un ruolo così centrale nella configurazione di Torino e dell’Italia, che la sua vera e propria sparizione  non può non lasciare perplessi circa molte delle “Grandi Narrazioni” in cui siamo vissuti immersi: quella del Progresso, quella dell’industrialismo, quelle del Capitalismo e del Socialismo, quella dell’Imprenditore, quella della classe operaia, quella della società opulenta.

Ma prima occorre ripercorrere i momenti salienti della storia di Torino e della FIAT, nonché dell’ attuale crisi dell’ industria automobilistica in Europa, ai quali questo post è dedicato, riservandoci di svolgere in altra sede le nostre considerazioni più generali sui temi di cui sopra.

1.Duemilacinquecento anni di storia di Torino (cfr. il nostro “Intorno alle Alpi Occidentali/Autour des Alpes Occidentales”).

Nonostante che Torino sia oramai identificata, nei luoghi comuni, con l’industria automobilistica, in realtà la nostra “parentesi FIAT” è durata non più di un secolo, mentre le tradizioni millenarie della città sono soprattutto militari (Giulio Cesare, Emanuele Filiberto, Eugenio di Savoia, Vittorio Emanuele II), religiose (Claudio di Torino, i Valdesi, Don Bosco, Papa Bergoglio) e culturali (Alfieri, Nietzsche, Michels, Gramsci, Gobetti, Einaudi,Olivetti, Galimberti, Pavese, Del Noce). Anche senza la FIAT, Torino sarebbe quindi rimasta una grande città europea.

Intorno all’800, il vescovo Claudio di Torino sostiene tesi iconoclastiche.Dal 1280 al 1418, Torino  fa parte dei feudi degli Acaia. Nel 1404: Ludovico di Savoia-Acaia promuove la formazione di un centro di insegnamento superiore, su sollecitazione di alcuni “magistri” fuggiti dalle sedi universitarie di Pavia e Piacenza. Nel 1506, Erasmo da Rotterdam consegue a Torino la laurea in Teologia. 

Nel 1562, Emanuele Filiberto, vittorioso a San Quintino, trasferisce a Torino la capitale e dichiara l’Italiano lingua ufficiale nei feudi orientali del Ducato di Savoia.

Nel 1706, Torino sfugge, con l’apporto del Principe Eugenio, all’ assedio dei Francesi, e viene  a fare parte del Regno di Sardegna (la cui capitale resta però Sassari, mentre la corte risiede a Torino, almeno fino alla conquista francese).

Nel 1800, Torino viene annessa all’ Impero Napoleonico.

Nel 1854,il Regno partecipa alla Guerra di Crimea

Nel 1859: Seconda Guerra d’indipendenza, e,nel 1861, Torino diviene capitale del Regno d’Italia

Nel 1862, Luserna di Rorà diventa sindaco di Torino. Durante il suo mandato,  la città perde il ruolo di capitale, che nel 1864viene assegnato a Firenze. La notizia provoca accese proteste, che sfociano in una manifestazione in Piazza San Carlo, davanti alla sede della Prefettura, che vengono represse nel sangue, con ben 52 morti fra la popolazione civile.Per la città inizia un periodo difficile,paragonabile agli anni che stiamo vivendo ora, per  una perdita, non soltanto di prestigio, ma anche di posti di lavoro: solo nel primo anno, Torino perde 32.000 dei suoi 224.000 abitanti.

1888: Nietzsche a Torino scrive “L’Anticristo”, “Il crepuscolo degli idoli” ed “Ecce Homo” .Sempre a Torino, il 3 gennaio 1889 avviene il suo crollo mentale: mentre si trova nei pressi del suo alloggio in piazza Carignano,  vedendo un cavallo che traina una carrozza fustigato a sangue dal cocchiere, abbraccia l’animale, piangendo e baciandolo.

Il 9 gennaio 1889, l’amico Franz Overbeck, allarmato dai contenuti delle ultime lettere e preoccupato per il suo crollo psichico, lo porta in treno a Basilea.

2.Momenti salienti della storia della FIAT

La Fiat era divenuta, nel corso del XX Secolo, non solo il maggior gruppo economico italiano, ma anche il simbolo delle civiltà industriale. Per questo, la sua vera e propria scomparsa costituisce oggi un presagio del superamento della società industriale e delle sue mitologie.

Viene fondata a Torino l’11 luglio 1899 (sei mesi dopo la pazzia di Nietzsche), in un periodo di vivace espansione industriale della città. Il primo stabilimento viene inaugurato nel 1900 in Corso Dante; vi lavorano 35 operai e vi si producono24 autovetture. Il presidente della società è Ludovico Scarfiotti, mentre Giovanni Agnelli è segretario del Consiglio.
Giovanni Agnelli nel 1902 diviene amministratore delegato. Dal 1903 la Fiat viene quotata in borsa e sorgono nuove società con funzioni specifiche: Società Carrozzeria industriale, Fiat Brevetti, S.A. Garages Riuniti Fiat-Alberti-Storero. Gli stabilimenti Fiat, accanto alle auto per uso civile e per competizione, producono veicoli industriali, motori marini, autocarri, tram, taxi, cuscinetti a sfera.
Il 23 giugno 1908 Giovanni Agnelli  divenuto dal 1906, a seguito di un aumento di capitale, azionista di maggioranza della Fiat, venne denunciato dal questore di Torino per “illecita coalizione, aggiotaggio in borsa e falsi in bilancio”. Nel 1913, Agnelli sarà assolto.

Nel 1911: Guerra italo-turca.

1915: Prima Guerra Mondiale. Inizio della progettazione dello Stabilimento del Lingotto.

Con lo scoppio della guerra, grande sviluppo ha la produzione di camion militari, di aerei, di autoambulanze, di mitragliatrici e di motori per sommergibili. La FIAT crea a Mosca la FIAT-Izhorski, che fornisce carri armati allo Stato russo, prima impero, poi Repubblica sovietica, oltre ad altri diversi eserciti europei.

La fabbrica del Lingotto, la più grande d’Europa, diventerà rapidamente il simbolo dell’industria automobilistica italiana, un modello di architettura futuristica e una delle immagini più note della stessa città di Torino.In quegli anni, la Fiat amplia le proprie attività nel settore siderurgico e ferroviario, in quello elettrico e nel campo delle linee di trasporto pubblico

 Alla Grande Guerra segue un decennio di estrema complessità e di profonde trasformazioni. Ne viene coinvolta anche la Fiat, le cui fabbriche vengono occupate dagli operai nel settembre 1920 (il “Biennio Rosso”). Nel novembre dello stesso anno Giovanni Agnelli diviene presidente del consiglio di amministrazione.
Nel1922: Marcia su Roma

Nel 1923, entra in funzione il nuovo stabilimento del Lingotto.Fiat dà vita alla SAVA, società di credito al consumo, con lo scopo di favorire la vendita rateale delle automobili. Cresce la partecipazione a società italiane e straniere e nasce l’IFI (Istituto Finanziario Industriale) per coordinarne la fitta rete. Nel 1924 incominciano ad operare gli impianti di Mosca per la costruzione di automobili e di camion su licenza Fiat.
Per conto delle Ferrovie dello Stato viene organizzata, per la prima volta al mondo, la costruzione in serie di automotrici elettriche e diesel.
Nel 1928, Vittorio Valletta è nominato direttore generale.

Nel 1934 viene progettata una vettura di piccola cilindrata: la 508 chiamata “Balilla”. Ne saranno prodotte 113.000 unità, con una versione sportiva (508 S) ed una a quattro marce (71.000 unità).

Nel 1936, esce la Fiat 500 “Topolino”, disegnata da Dante Giacosa: da quell’anno al 1955 se ne produrranno 510.000 esemplari. A conferma dell’orientamento verso la produzione di massa, nel 1937 iniziano a Torino i lavori per la costruzione dello stabilimento di Mirafiori. Inaugurato da Mussolini il 15 maggio 1939, ospita 22.000 operai su due turni, i dipendenti Fiat in quegli anni sono circa 55.000.
Nel 1945 muore il senatore Giovanni Agnelli e nel luglio del ’46 Vittorio Valletta assume la presidenza della Fiat.
I finanziamenti del piano Marshall nel 1948 consentono di completare la ricostruzione degli impianti. Il personale passa da 55.674 a 66.365, gli utili, stazionari nel corso della guerra, azzerati dopo il 1943, e in perdita nel 1946, ricominceranno a crescere nel 1948.
La ripresa produttiva postbellica vede l’uscita della Fiat 500 B berlinetta e giardinetta, dei modelli 1100E e 1500E, e di una vettura a carrozzeria portante, la Fiat 1400. Continua la ricerca nel campo dei motori marini e aerei, e nel 1951 è prodotto dalla Sezione Velivoli il primo velivolo militare italiano a reazione : il G 80. Nel 1956, il G 91 di Fiat, progettato dal team dell’ Ingegner Gabrielli vince un concorso NATO per la produzione di un caccia tattico.

Nel 1955 è presentata la Fiat 600, utilitaria di cui saranno costruite oltre 4.000.000 di unità.
Segue due anni dopo, la Nuova 500 che raggiungerà i 3.678.000 esemplari.
Il numero complessivo dei dipendenti passa in questo decennio dai 70 agli 80.000, la produzione passa dalle 70.800 autovetture del 1949 alle 339.300 del 1958.

Tra il 1956 e il 1958, si conclude il raddoppio degli stabilimenti di Mirafiori, che alla fine degli anni 60 arriverà a toccare la cifra di oltre 50 mila lavoratori. Si sviluppa la produzione di trattori agricoli e di macchine movimento terra.
Nascono nuovi stabilimenti in Sudafrica, Turchia e Jugoslavia, Argentina e Messico.
Le attività di impianti e costruzioni edili di Fiat coordinate dalla Impresit conoscono un forte sviluppo internazionale: l’impianto elettrico di Kariba sullo Zambesi, la diga di Dez in Iran e quella di Roiseires sul Nilo blu in Sudan, il salvataggio dei tempi egizi di Abu Simbel, la galleria autostradale del Gran San Bernardo.

Nel decennio compreso tra il 1959 e il 1968 la produzione Fiat passa da 425.000 a 1.751.400 autovetture, e il rapporto tra numero di abitanti e numero di autovetture passa da 96 a 28 abitanti per ogni auto. Anche le esportazioni conoscono una forte crescita: da 207.049 autovetture a 521.534
Aumentano inoltre la produzione di veicoli commerciali, da 18.968 a 68.200, e quella di trattori, da 22.637 a 52.735. Il personale raddoppia: da 85.117 dipendenti, passa a 158.445, con un incremento più accentuato degli operai rispetto agli impiegati.

Nel 1964 nasce la Fiat 850, nuova utilitaria di vasta diffusione cui seguono ben presto altri modelli di cilindrata superiore: la 124 e la 125 che assumeranno nel 1968 il marchio Fiat a rombi, ancora oggi utilizzato.
1966: Costruzione di Togliattigrad, la città-fabbrica in URSS.
Nel 1966, Giovanni Agnelli, nipote del fondatore, diviene presidente della Società.

Viene deciso il potenziamento della presenza Fiat nel Sud, che già si era articolata attorno agli impianti di Reggio Calabria, Bari, Napoli. Si avvia così la realizzazione degli stabilimenti di Termini Imerese, Cassino e Termoli, per la produzione di autovetture, e di Sulmona, Lecce, Brindisi e Vasto.
Al boom economico fa seguito un lungo periodo di assestamenti sociali: il 1969 è l’anno in cui la conflittualità aziendale raggiunge il culmine, con un totale di 15 milioni di ore di sciopero.
L’ondata di conflittualità ha pesanti ripercussioni sui livelli di redditività aziendale.

Nasce nel 1971 la 127, la prima Fiat a trazione anteriore. La vettura incontra molto successo di mercato e alla fine del 1974 sarà prodotta la milionesima 127.
Crisi petrolifera e innovazione tecnologica spingono verso una crescente automazione dei processi produttivi: già nel 1972 entrano in funzione a Mirafiori i primi 16 robot nella linea di produzione del modello 132, e nel 1974 quelli di Cassino. Nel 1978 nasce “Robogate”, il nuovo sistema robotizzato e flessibile di assemblaggio delle scocche, attivo negli stabilimenti di Rivalta e di Cassino, realizzato da Comau che diventerà ben presto leader mondiale

Nel 1978 avviene la fusione per incorporazione della Lancia Spa in Fiat Spa, rimane il marchio Lancia per la commercializzazione. Nel 1979, il settore Auto si costituisce in società autonoma di cui Giovanni Agnelli è presidente e comprende i marchi Fiat, Lancia, Autobianchi, Abarth e Ferrari. Il marchio Ferrari era già stato acquisito nel 1969 al 50%, quota che salirà poi all’87%.

Alla fine degli anni ’70, Fiat si consolida in una struttura a holding. Le molteplici attività produttive, che nel lungo periodo di Valletta erano distribuite in sezioni, costituiscono società autonome che si ripartiscono in Settori. Nel 1980, Cesare Romiti, entrato alla Fiat come direttore finanziario nel 1974, diviene amministratore delegato del Gruppo.
Grandissimo sviluppo conoscono in questo periodo sia la Fiat Ferroviaria che l’Iveco. Fiat Ferroviaria progetta avanzate tecnologie con carrelli a ruote indipendenti e ad assetto variabile che porteranno alla produzione del Pendolino, treno ad alta velocità con cui si aggiudicherà importanti commesse in molte nazioni europee. Iveco diventa il marchio internazionale in cui confluiscono le attività di produzione dei veicoli industriali. Il marchio Iveco comprende Fiat, Om, Lancia, Magiruz, Unic e lo spagnolo Pegaso dal 1991.

 
Nel1980, “Marcia dei 40000” contro il predominio dei sindacati

Nel 1983 viene presentata la Uno. Ne saranno prodotte 6.272.796 unità. L’anno seguente la Fiat Auto Spa acquisisce l’Alfa Romeo Spa e le sue consociate, mentre nel 1993, con il prestigioso marchio Maserati, ai raggiunge l’attuale composizione dei marchi auto.
Continuano a crescere gli accordi internazionali per la produzione su licenza Fiat e le partecipazioni societarie, sviluppando in modo particolare le attività industriali nel campo delle telecomunicazioni e le attività industriali nella componentistica.
In quest’area, attraverso un programma di acquisizioni e scorpori, viene data attuazione ad un nuovo assetto organizzativo che porta Magneti Marelli ad assumere nel 1987, attraverso UFIMA,  il ruolo di holding industriale con funzioni di governo e controllo di oltre 60 imprese in tutto il mondo. Con la diffusione dell’elettronica, la componentistica viene o a giocare un ruolo determinante nello sviluppo del mezzo di trasporto privato.
Nel 1991 inizia la costruzione di nuovi stabilimenti a Pratola Serra e a Melfi. Il Gruppo Fiat affronta la crisi dei primi anni ’90 con l’ampliamento della presenza internazionale che le consente di realizzare più del 60% del fatturato fuori Italia.

Con l’acquisizione, nel 1991, delle attività trattoristiche ed agricole della Ford Motor Co, il settore delle macchine di movimento terra si internazionalizza assumendo il marchio New Holland.
Nel 1993 si accorda con la Hitachi Co Machinery Ltd ed estende le joint venture esistenti, giungendo così ad essere uno dei principali produttori mondiali con circa il 20% della produzione globale.
Iveco stabilisce joint venture e attività produttive in India e in Cina per la produzione dei veicoli leggeri Daily.
Il 28 febbraio 1996, Cesare Romiti subentra come presidente, funzione che svolgerà fino al 1998, quando gli succederà l’avvocato Paolo Fresco. Paolo Cantarella viene nominato amministratore delegato.
L’auto innovativa di questi anni è la Fiat Punto

A partire dal settembre 1997, la Capogruppo lascia corso Marconi per trasferirsi nella storica palazzina Fiat del Lingotto, nel comprensorio che nel frattempo si è trasformato in centro fieristico e congressuale.
Gli stabilimenti in Brasile e in Argentina vengono ampliati, viene lanciata la Palio, una world car studiata per adattarsi a usi diversi e molteplici mercati. Ben presto Fiat diviene il maggior produttore in Brasile, Argentina, Polonia e Turchia.


In quel momento, quando  la FIAT era un gruppo multidivisionale e multiprodotto di primaria importanza a livello mondiale, incomincia però un’opera di smantellamento dello stesso, assai più avanzata di quelli comunque in corso negli stessi anni nell’ industria europea a causa della posizione subordinata dell’ Europa sullo scenario geopolitico.

3.Lo smantellamento del Gruppo FIAT

Fra le due guerre mondiali, il motto della FIAT era stato, in coerenza con la politica imperialistica dell’ epoca: “terra, mare, cielo”.

Nel dopoguerra, anche in seguito a contatti riservati fra la direzione aziendale e il Governo americano, si operò con un profilo più dimesso, preparando perfino il terreno, con dismissioni come SIMCA, RIV e  Sezione Velivoli, ad un’opposta politica di ridimensionamento del gruppo.

Nel 1985, una disputa con Ford sul controllo azionario, al quale questa non vuole rinunciare, offre a Cesare Romiti ottimi argomenti per convincere l’avvocato alla rinuncia ad un previsto accordo.

Una storia destinata a ripetersi nel 2000 quando l’offerta della Daimler Chrysler per l’acquisto di una Fiat Auto già minata da una crisi che sarebbe esplosa in tutta la sua gravità solo pochi mesi più tardi, viene sdegnosamente rifiutata. ll costruttore tedesco è pronto a conferire alla holding torinese il 12% delle azioni.

Nel 2000, Accordo con la General Motors, che si tramuterà in una vittoria del Gruppo nel 2005 grazie ad un’abile gestione del contratto da parte di Sergio Marchionne.

2002.Cessione della Fiat Ferroviaria

2003 Morte dell’ Avvocato Agnelli

2007 Accordo FIAT-Chrysler

L’intesa iniziale prevede la possibilità per Fiat di acquistare una quota del 35% di Chrysler, accompagnata da un’opzione per prendere il controllo della società, ed arrivare cosi a detenere il 55% in un momento successivo.

2009-2014: creazione della FCA. La sede di FIAT Auto è spostata in Olanda e i suoi centri direzionali divengono Londra e Dearborn.

2004: Vendita della FIAT Avio al fondo Carlyle.

2012: Morte di Marchionne

2014: Estinzione di FIAT spa

2015 Dalla fusione fra FCA e, nasce Stellantis, a trazione francese.La sede operativa viene trasferita a Parigi e l’Amminstratore Delegato è Tavares.

2019: Cessione della Magneti Marelli

2022: Operazione Militare Speciale. Cessione da Stellantis allo Stato russo dello stabilimento di Togliattigrad

2024: Chiusura della Maserati e cessione  di Magirus (parte del gruppo IVECO)

4.Gli ultimi sviluppi

Nell’ambito della causa fra Margherita Agnelli e il figlio Alain Elkann, i difensori di Margherita hanno affermato che  il ruolo di Presidente della Stellantis (e il controllo della Exor) potrebbe essere sottratto a John Elkann, per effetto dell’azione penale promossa dallo Stato. Queste parole sono contenute in una lettera dell’avvocato Dario Trevisan, legale di fiducia di Margherita Agnelli.

Al centro delle critiche di Trevisan e della sua assistita, c’è soprattutto Dicembre, società che controlla Exor e quindi Stellantis, Ferrari e Juventus. L’avvocato di John, Clark, sostiene che il controllo della Dicembre sarebbe “blindato” grazie a un atto notarile, firmato allo studio Grande Stevens il 24 marzo 1999, in cui si legge rebbe: “Qualora il signor Giovanni Agnelli mancasse o per qualsiasi ragione fosse impedito, l’amministrazione nella sua identica posizione con gli stessi poteri e prerogative sarà assunta dal signor John Philip Elkann”».

2024 Sequestro da 74,8 milioni per frode fiscale ai fratelli Elkann. Nel  settembre 2024,la Procura di Torino, dopo un sopralluogo nelle case degli Elkann e nell’ufficio del commercialista Ferrero, ha emesso un provvedimento di sequestro nei confronti di John, Lapo e Ginevra Elkann Eredità Agnelli, sequestro da 74,8 milioni per frode fiscale ai fratelli Elkann. La difesa: «Ricostruzioni non condivisibili»

La Procura di Torino emette il provvedimento nei confronti di John, Lapo e Ginevra. Trovato memorandum per eludere il fisco: Irpef evasa per 42,8 mln

La presenza di un unico produttore su tutto il territorio nazionale aveva a rappresentato per mezzo secolo un’eccezione rispetto ad altri Paesi, come Germania e Francia, dove coesistono più gruppi. Tale anomalia è da ricondurre naturalmente al ruolo non solo industriale, ma anche e soprattutto politico che la Fiat aveva avuto in questo Paese. L’indotto che si è sviluppato intorno ai siti ex-Fiat è di conseguenza fortemente integrato con la produzione di questi stabilimenti, arrivando in molti casi a lavorare in monocommittenza per il gruppo italo-francese. Diventa quindi evidente che le dismissioni innescate da Stellantis non si fermano ai muri degli impianti della multinazionale, ma il loro  impatto ha dei risvolti negativi per le tutte aziende che producono componentistica.

Lo stabilimento di Mirafiori è al suo diciassettesimo anno consecutivo di cassa integrazione, mentre a Pomigliano d’Arco la cassa integrazione durata quindici anni si è conclusa solo a inizio 2024, ma senza certezza alcuna per i prossimi modelli allocati. 

Il crollo nella produzione di autovetture rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, -23,8%. A questo calo contribuiscono tutti gli stabilimenti di assemblaggio di auto, fatta eccezione per Pomigliano d’Arco, mentre Mirafiori e Melfi hanno dimezzato la produzione e Cassino registra un -40%.  

Che esista un trend di delocalizzazione verso l’est Europa non è una novità: gli stabilimenti in Polonia e in Serbia sono in diretta competizione con i siti italiani per l’allocazione dei modelli produttivi ormai da tempo. Sia lo stabilimento di Tychy che quello di Gliwice si trovano nella Zona Economica Speciale (ZES) di Katowice, che avrebbe dovuto avere un carattere temporaneo, ma invece continua ad esistere. Gli sgravi fiscali, uniti ad un costo del lavoro molto più esiguo – in Polonia un operaio Stellantis guadagna intorno gli €800 al mese – rendono particolarmente attrattivi questi due siti industriali. Si è molto parlato anche del caso di Kragujevac, lo stabilimento serbo dove è attualmente in produzione la 500L e dove è stata assegnata la nuova ‘Pandina’ elettrica, grazie a €190 milioni di investimenti di cui €48 messi dal governo serbo. Anche qui, oltre al contributo pubblico negli investimenti, va notato che un operaio serbo guadagna circa €600 al mese.  

La vera novità sembrerebbe rappresentata dal nuovo impulso di investimenti verso il Nord-Africa, nell’ottica di un’espansione nel mercato della regione. Nonostante i volumi dei siti in Algeria e in Marocco non siano ancora sostitutivi rispetto alle produzioni in Italia, gli investimenti sono stati ingenti, coerentemente con una politica di sfrenata compressione dei costi: lo stipendio medio di un operaio Stellantis in Marocco si aggira sui €320 al mese, mentre in Algeria €250 al mese. In Marocco, nella fabbrica di Kenitra, dove attualmente si produce la nuova Fiat Topolino e che in futuro vedrà la produzione della Fiat Multipla, Stellantis ha avviato €300 milioni di investimenti per allargare lo stabilimento con l’obiettivo di raddoppiare la capacità produttiva. Nello stabilimento algerino di Orano, aperto a fine 2023, si produce invece la Fiat 500 Hybrid, e sono stati di recente annunciati €200 milioni di investimenti.(cfr. Report Fim Cisl su dati produzione e occupazione 1° trimestre 2024, 5 aprile 2024. https://www.cisl.it/wp-content/uploads/2024/04/Stellantis-FIM-CISL-Report-produzione-I%C2%B0-Trimestre-2024).

5.La crisi della Volkswagen

Purtroppo, la crisi dell’ auto in Europa non è limitata, né alla FIAT, né al Gruppo Stellantis. Anche la VW, uno dei gruppi più forti del mondo, è in mezzo alla tempesta. I risultati economici sono deludenti, a causa del l’insieme della situazione geopolitica dell’ Europa: aumento del costo dell’ energia a causa delle guerre in corso; inflazione mondiale; blocco degli intercambi con i mercati più promettenti (Cina e Russia), su cui la Germania di Angela Merkel aveva scommesso, inadeguata programmazione delle transizioni ecologica e digitale, su cui la UE a traino tedesco aveva fortemente, ma maldestramente, puntato…

E’ in discussione non solo l’industria manifatturiera, bensì l’intero “Modell Deutschland”, di cui la Volkswagen, con la VW-Gesetz,  costituiva la punta di diamante.(video”Stimmung äußerst eisig”, Annette Deutskens, NDR, zu den Tarifverhandlungen bei VW

tagesschau24, 30.10.2024) video”Deutsche Standorte sind teurer”, Markus Gürne, HR, zu den Problemen bei Volkswagen)

6.L’arrivo in Europa  delle auto cinesi.

 Con o senza dazi, queste auto si faranno strada sulle strade europee perché il forte sostegno del governo centrale consente loro di proporre continuamente prodotti “freschi”.

Ma non tutto è perfetto neanche per questi marchi.L’immagine della Cina e dei suoi prodotti è ancora un problema in Europa e soprattutto negli Stati Uniti. Dopo aver prodotto per molti anni copie di bassa qualità di prodotti occidentali, i produttori cinesi stanno ora cercando di accaparrarsi una fetta dei mercati occidentali con prodotti di alta qualità. Tuttavia, molti consumatori sono ancora riluttanti perché associano la Cina alla bassa qualità.

I marchi provenienti dalla Cina sono così tanti che è impossibile fare un bilancio complessivo. Mentre alcuni puntano sul proprio know-how per esportare le loro auto (BYD è uno di questi), altri nascondono la loro vera identità creando nuovi marchi esclusivamente per i mercati occidentali.

Una di queste è DR Automobiles e i suoi sottomarchi EVO, Tiger, ICH-X e Sportequipe. I loro prodotti non sono diversi dai modelli di Chery, BAIC e JAC,tuttavia, per la maggior parte del pubblico si tratta di auto italiane o comunque non cinesi. L’operazione di “rebadge” consente a questi marchi cinesi di evitare problemi di percezione negativa e di guadagnare più facilmente terreno in mercati come l’Italia e la Spagna. Nel 2023, i marchi di DR Automobiles hanno immatricolato più di 34.000 unità, principalmente in Italia e Spagna. Nel 2023,  era il secondo produttore cinese in Europa, dietro solo a MG. Quest’ultimo è un altro esempio di come la Cina si nasconda utilizzando un marchio occidentale. Sebbene sia nato 100 anni come marchio britannico fa, MG, acquisito nel 2007 dalla cinese SAIC, è stato interamente progettato, prodotto e pianificato in Cina.

L’anno scorso, questo marchio ha venduto 840.000 nuovi veicoli a livello globale, di cui 248.000 unità sono state immatricolate in Europa. È di gran lunga il marchio cinese più venduto nella regione e rappresenta circa il 70% di tutte le auto cinesi vendute in Europa.  Paradossalmente, MG è estremamente impopolare in Cina,  perché, in un periodo di forte nazionalismo,  è considerato un marchio straniero.

Recentemente, la Cirelli Motor Company ha iniziato a vendere auto in Italia ribattezzando veicoli Dongfeng, BAIC, Seres e FAW. Nel primo trimestre di quest’anno sono state immatricolate in Italia 25 unità.EMC, che sta per Eurasia Motor Company, offre due SUV di Geely e Chery e un’utilitaria di Yudo. Poi c’è Elaris, che ribattezza prodotti di Hycan, AION e Skywell.Infine, altrte case automobilistiche, come Chery, hanno appena creato i propri marchi per i mercati esteri. Jaecoo e Omoda sono due di questi i. Omoda, ad esempio, fino a marzo ha registrato 330 unità del suo primo SUV in Europa. Lynk & Co è un altro marchio dal nome inglese. Questa strategia funzionerà?

NUMERO DI AUTO VENDUTE IN EUROPA CON I NUOVI MARCHI CINESI 
MG58.524
BYD7.602
DR Automobiles5.922
Lynk & Co1.711
GWM1.121
Xpeng1.036
Zeekr466
Nio401
Maxus338
Omoda330
EMC313
Sportequipe301
DFSK282
Ayways192
Beijing165
Leapmotor152
Hongqi112
Geely93
Jac88
Forthing66

“GIGAFACTORY”, INTELLIGENZA ARTIFICIALE, FACOLTA’ DI STUDI STRATEGICI

Continua il declassamento di Torino

Un legionario romano misura il territorio per la fondazione di una città

La notizia dell’assegnazione a Termoli della terza “gigafactory” per le batterie di Stellantis è stata accolta con atteggiamenti diversi da Autorità  e organizzazioni sindacali.

Premesso che quello di fare sempre commenti a caldo, pro o contro, è una sorta di malvezzo, perché i fenomeni sociali vanno valutati nel loro complesso, a noi sembra che comunque, per Torino e il Piemonte, le nuove notizie siano sempre più negative.

Infatti, la notizia della Gigafactory a Termoli è arrivata insieme a quella di un drastico ridimensionamento dell’ Istituto per l’ Intelligenza Artificiale (che non si chiamerà più così, ridotto a uno dei tanti hub, con soli 20 milioni di Euro, e limitato al trasferimentio di tecnologie ad auto, spazio e robotica).

Infine, non c’è più il progetto dei compressori, e, dulcis in fundo, si parla anche di abolire la Facoltà di Scienze Strategiche e di Sicurezza.

Bonifacio del Monferrato, conquistatore del Levante

1. Trasformazioni inevitabili

 Certo, è scontato che, con il passare del tempo, un mercato di beni di consumo, com’è quello dell’auto, si sposti sempre più verso i paesi di recente industrializzazione, dove ci sono miliardi di nuovi clienti. Basti dire che in Cina si producono oggi mediamente trenta milioni di veicoli all’ anno, di fronte ai quali anche i due milioni dell’ Italia nei tempi migliori non possono che impallidire.Per non parlare dei 400.00 dell’ Italia di oggi,  dei 40.000 di Torino-quantità assolutamente irrilevanti-.

E’ anche vero che le case automobilistiche decidono le strategie  in base alle loro convenienze, e che in Italia c’è ancora una politica per il Mezzogiorno, di cui la stessa FIAT aveva fruito a suo tempo ad abundantiam. E’ la FIAT, non Stellantis, né il Ministro Giorgetti, ad avere costruito Termoli.E’ la FIAT, non Stellantis, né Giorgetti, ad avere trasferito la propria sede all’ estero.  E’ anche vero che Stellantis è ormai, nella sostanza, un’impresa degli stakeholders, corrispondente agli standards europei di “public company” e al vecchio ideale mitteleuropeo dell’ “Unternehmen an sich” esaltato da Rathenau, ed è quindi logico che, semmai, guardi a un interesse generale europeo piuttosto che a interessi settoriali locali o cittadini (pensiamo al classico esempio della Società dei Battelli del Reno).

Tuttavia, resta il fatto che una politica locale democratica mantiene un qualche senso se essa persegue interessi a lungo termine degli specifici territori. Proprio gli stakeholders sono per natura “situati”(“geortet”). Interessi che dovrebbero essere coordinati con quelli generali, attraverso il concetto di “missione” e gl’istituti giuridici della partecipazione (dei lavoratori, del management, del Governo). Secondo un insegnamento tradizionale, le nazioni europee avrebbero ciascuna una loro “missione”, e, in ciascuna nazione, i singoli territori dovrebbero avere le loro specifiche missioni. Inoltre, in un’impresa cogestita secondo il modello mitteleuropeo, le rappresentanze dei vari settori aziendali e dei vari territori dovrebbero essere bilanciaste, come accade ad esempio nel Gruppo Volkswagen, ma non nel Gruppo Stellantis (dove la Francia è sovrarappresentata). E qui mi chiedo quale sia la responsabilità dei sindacati, che ora tanto si lamentano, ma non hanno mai voluto loro rappresentanti negli organi societari.

Torino nel 1706: la più grande fortezza d’Europa

2.Le vecchie missioni di Torino

In passato, l’idea di una “missione di Torino” era stata in un modo o nell’ altro perseguita, con l’idea del federalismo quale contributo dell’Italia all’ Europa (vedi per esempio il Movimento “Comunità”), e quella della FIAT quale fabbrica intelligente di Torino in Europa. Pensiamo alla Fondazione Agnelli, alle mostre organizzate al Lingotto e a Palazzo Grassi. Ma l’intero sistema Fiat andava molto al di là della Città dell’ Auto, con la finanza, il management, la cultura, i giornali, i sindacati, la Difesa, l’aerospazio, lo sport,…con una logica di “patriottismo cittadino” teorizzata dall’ Avvocato Agnelli.

Ora, tutte queste tradizioni sembrano spezzate. L’Europa non riesce a farsi valere nel mondo, anche perché non sa  diventare nemmeno una federazione (quando dovrebbe oramai essere uno Stato-civiltà), e Torino, dopo la distruzione dell’ Olivetti e il trasferimento  della CIR e della  holding FIAT, non è più (contrariamente a quanto si continua a millantare)una metropoli industriale.

Il che, di per sé, non sarebbe un problema se, negli ultimi 50 anni, i poteri forti della città avessero lavorato nel senso, a suo tempo promesso, di una conversione al settore dei servizi, quella conversione per cui noi avevamo lavorato, nella proprietà intellettuale, nel diritto del lavoro, nel business development, nei mergers  acquisitions: un centro d’innovazione tecnologica e sociale capace di irradiarsi nel  resto del mondo (come attraverso le infinite controllate che aveva il Gruppo FIAT, un centro di finanza internazionale, come aveva tentato di essere il gruppo CIR, la Città della Cultura promessa dalle amministrazioni locali). In realtà, nessuno di questi progetti è stato seriamente perseguito, né dal mondo imprenditoriale, né da quello politico,  i quali, incapaci d’incarnare idee forti e competitive,  hanno preferito inchinarsi ai trend dominanti, cedendo la leadership ad altri, siano essi la Silicon Valley, la piazza finanziaria di Londra, i paradisi fiscali, la Cina, la Francia, anche soltanto Milano.

Il Principe Eugenio di Savoia, comandante in capo delle armate imperiali, massimo condottiero d’Europa

3. Fine del progetto modernista europeo

Il tragico è che, anche in un mondo competitivo come quello attuale, tutti i territori sono costretti, volenti o nolenti, a reinventarsi continuamente una nuova missione. Chi l’avrebbe detto, quarant’anni fa, che Shenzhen sarebbe diventata la capitale dell’informatica o Dubai del turismo di lusso?)

Quindi, nonostante gli sconvolgimenti in corso negli scenari mondiali, è normale che i cittadini continuino ad attendersi, dalle loro classi politiche, se non delle soluzioni, almeno delle proposte in tal senso. Invece,  anche se forse loro malgrado, i politici locali riescono sempre meno a fare proposte sensate, perché è la società europea nel suo complesso che non ha progetti. E questo lo dicono oramai tutti, anche i vertici dell’ “establishment” locale, che non si rendono conto di essere loro la causa di tutti questi problemi.

Nell’Ottocento, gli Stati europei perseguivano  obiettivi di forza politico-militare perché questa permetteva la razionalizzazione delle infrastrutture e la partecipazione all’ impresa coloniale(i treni, la flotta); nel ‘900, essi si attribuirono una funzione sociale per trainare l’industrializzazione e i consumi (l’auto, le assicurazioni sociali, l’edilizia popolare,la televisione); alla fine del secolo scorso, si perseguirono progetti di promozione sociale (il welfare State europeo) per coinvolgere le masse nella globalizzazione. Oggi, av prescinere dal fatto che quelli precedenti avessero un senso, i Governi europei non hanno più progetti. Il Green New Deal è innanzitutto un progetto cinese (massimo produttore di attrezzature per l’economia “verde”). La digitalizzazione europea è stata subappaltata ai GAFAM. La leadership della globalizzazione è passata, prima all’America, poi alla Cina; il benessere si diffonde negli ex Paesi sottosviluppati; la pretesa dell’Europa di essere leader della società dell’ informazione è sempre meno credibile.

Il Next Generation EU e il PNRR, gli ultimi miti dell’Europa, si stanno rivelando per quello che sono: dei modesti rattoppi su una situazione compromessa. Intanto, essi rappresentano una quota infinitesimale  del PIL europeo e italiano. Inoltre, come ha rilevato il  Giorgio Metta, direttore scientifico dell’ Istituto Italiano di Tecnologia di Genova, essi considerano l’Intelligenza Artificiale, che è l’asset centrale del futuro, non come “una disciplina su cui investire a livello di ricerca” bensì come  “una commodity da acquistarsi da qualcuno”. In queste condizioni, è chiaro che l’Italia e l’Europa sono condannate a divenire delle colonie tecnologiche. Anche Torino, un tempo, con l’auto e il cinema, la moda e l’aeronautica, la cultura e la finanza, cuore pulsante dell’ economia italiana e una delle principali metropoli europee, non può fare altro che ripiegarsi su se stessa, rassegnandosi a una forma di musealizzazione. Una “Residenz”, come la chiamava Nietzsche, ma che aveva il suo stile (parzialmente conservato fino ad ora) solo grazie al fatto di essere ancora, dopo la perdita della capitale, la patria dei Grandi del Regno .

In Corso Marconi, dove c’era la Holding FIAT, s’erano incontrati nel 1821, gl’insorti della Cittadella di Alessandria e gli studenti rivoluzionari

4.Schizofrenia delle Autorità

Le Autorità locali hanno un bel gridare all’unisono al tradimento (da parte del Governo), finalmente in modo “bipartisan”, ma quale obbligo  avrebbero quelle nazionali di sostenere questa o quella città?

Secondo il Presidente Cirio e la Sindaca Appendino, la “gigafactory” doveva essere collocata a Torino per via della tradizione automobilistica  della Città “che ha inventato l’automobile”. Ma non è vero!L’auto fu inventata in Francia e in Germania da Cugnot, Lenoir e Benz.  E poi, chi l’ha detto che, anche cambiando totalmente l’economia mondiale, le città debbano continuare a produrre eternamente le stesse cose? Infine, già oggi c’è più automobile nel Sud Italia e in Emilia Romagna che a Torino. (400.000 auto prodotte in Italia contro le 40.000 a Torino).

Poi, non è neanche vero che la Gigafactory ha bisogno del Politecnico di Torino.500 dipendenti entro 10 anni,. Una cifra infinitesimale dei 7.000 managers degli ex “Enti centrali” che Stellantis si accinge a licenziare. E, poi, non si crederà mica che per fare andare avanti una fabbrica automatizzata di batterie ci vogliano tanti managers o progettisti locali? Basta andare a vedere la fabbrica modello della Lamborghini di Sant’Agata Bolognese, dove il capo progettista è Mitja Borkert, inviato dal Gruppo Volkswagen. Gli “operai” sono essenzialmente dei periti usciti dalle ITIS bolognesi e forniti di uno speciale training.

Non si può, né si deve, poi, arrivare, agli estremi di garantismo della cosiddetta “Embraco” (che in realtà è l’Aspera Frigo di Riva di Chieri),  ceduta al cliente  Whirpool, che la cedette a sua volta  alla sua controllata brasiliana Embraco, che a metà degli anni ’80 vantava 2500 lavoratori impiegati ed una produzione di 4 milioni e mezzo di compressori. Ma anche la Embraco venne ceduta dalla Whirlpool  ai Giapponesi, che di Riva di Chieri non ne vollero sapere. Il Governo italiano aveva tentato di riciclare lo stabilimento, con il trasferimento del ramo d’azienda alla Ventures Srl (israeliani e cinesi). Questa avrebbe dovuto diversificare la produzione (non più compressori ma robot) assicurando lavoro e reddito agli ultimi sopravvissuti di quella che fu una grande azienda, vale a dire più o meno 500 lavoratori in cassa integrazione. Invece giunsero la magistratura, la Guardia di Finanza, le perquisizioni e i sequestri: la Ventures fallì prima di iniziare l’attività, portando sulle spalle il peso di un’accusa di bancarotta fraudolenta.

Adesso è fallito l’ ennesimo progetto governativo: la fusione tra l’ Ex-Embraco e la ACC-Wanbao (entrambe in crisi): nome Italcomp; obiettivo, salvare 700 posti di lavoro in totale. Il tutto con l’intervento economico di soldi pubblici e privati.

Ma che senso ha che si sostenga per decenni un’attività che nessuno vuole (né la FIAT, né gli Americani, né i Brasiliani, né i Giapponesi, né gl’Israeliani, né i Cinesi) quando ce ne sarebbero cento altre da creare in Italia, molto redditive  richieste dai mercati di oggi?

Gli scontri di Piazza Castello nel 1864

5. Le missioni delle città sono sempre “polemiche”

D’altronde, la cosa non si è mai detta fino in fondo, ma la fortuna di Torino quale città della metalmeccanica è un’eredità della politica militaristica dei Savoia e del fascismo. La FIAT decollò con la guerra  italo-turca e divenne quel colosso che era grazie alla prima e alla seconda guerra mondiale. Anche dopo la seconda, la conversione all’ economia di pace fu facilitata dalle commesse militari. Con il diminuire delle guerre in Europa, e con la tecnicizzazione delle stesse, non c’è più bisogno di un’enorme industria meccanica nazionale. La “reindustrializzazione” è di moda negli USA perché essi si preparano a una guerra e non si fidano degli alleati. Ma, a parte il fatto che gli Europei sono più pacifisti, qui abbiamo bisogno di un’industria meccanica europea integrata, non già nazionale. Semmai, ci sarebbe bisogno di un’industria elettronica ed aerospaziale europea, a cui però gli Stati Uniti non ci vogliono dare accesso, come dimostrato già cinquant’anni fa dalla vicenda Olivetti.

E’per questo che l’Istituto Italiano per l’Intelligenza Artificiale  sarebbe stato così importante, ed è per questo ch’esso è stato “smontato”, trasformandosi in un innocuo “hub” per il trasferimento di tecnologia alle (scvarse) industrie esistenti.Infatti, le più recenti formulazioni di compromesso parlano di soli 20 milioni (contro gli 80 originari),  destinati solo al trasferimento di tecnologie alle industrie esistenti: automotive (che quasi non c’è più), robotica e aerospaziale.

Resterebbero la cultura e il turismo, ma anche queste non vengono coltivate come dovrebbero perché un loro approfondimento implicherebbe anch’ esso di evidenziare aspetti non “politicamente corretti”, quali le onnipresenti radici sabaude e cattoliche, il carattere polemico ed anticonformistico della cultura piemontese, da Alfieri a Salgari, da Nietzsche a Gramsci, da Burzio a Pavese.

Vogliamo ricordarlo che, a fasi alterne, sono stati tabù le lettere di Nietzsche, i Quaderni dal Carcere, il Demiurgo di Burzio e il diario segreto di Pavese?

Perfino l’enorme influenza del modello del Lingotto sull’ architettura razionalista è stata tenuta nascosta per le sue assonanze futuristiche e littorie. Non parliamo poi di quando si era scoperto che la Juergen Ponto Platz di Berlino era stata copiata da Via Roma.

Adesso vogliono togliere a Torino anche  qualcosa del corso di laurea di Scienze Strategiche e della Sicurezza, erede ultima delle tradizioni antiche delle “Regie Scuole Teoriche e Pratiche di Artiglieria e Fortificazione” volute da Carlo Emanuele III di Savoia.

L’occupazione delle fabbriche a Torino nel 1921

6. Che fare?

Perfino i giornalisti mainstream, come Luigi La Spina sui La Stampa, giungono a conclusioni sconfortanti: ”parole di cui abbiamo già sentito, di cui abbiamo già verificato i risultati e che non vorremmo più ascoltare nella loro genericità, e quindi, inutilità, il mistero delle concrete scelte  dei candidati alla poltrona di sindaco resta insondabile”.

Alla fine, la stessa Stampa invita all’ astensionismo alle prossime elezioni amministrative: ”E crescerà la voglia di sottrarsi a una così allettante competizione”.

Non crediamo che sia questa la soluzione. La tradizione storica di Torino è polemica come poche altre. Dal villaggio taurino incendiato da Annibale perché si opponeva all’ invasione dell’ Italia, ai legionari le cui centuriazioni si vedono ancora dal Bosco del Vai, alle lotte solitarie del dissidente vescovo Claudio di Torino, dell’autoproclamato Re d’Italia Arduino, di Bonifacio del Monferrato, che tentò di conquistare la Macedonia e del Colonnello Arnaud, fino alle vittorie geopolitiche di Emanuele Filiberto e il Principe Eugenio, comandanti in capo delle truppe del Sacro Romano Impero, fino alla più grande fortezza d’Europa, alle guerre risorgimentali, all’ occupazione gramsciana delle fabbriche (esaltata da Gobetti come “Rivoluzione Liberale”,  al programma “Terra, Mare, Cielo”, alla Resistenza, all’Autunno Caldo, alla produzione dell’F104, del Tornado e del Typhoon.

Perfino Mussolini, in un discorso a Torino, si era sentito in obbligo di scusarsi per il fatto che parlava di pace a un pubblico ch’egli riteneva particolarmente bellicoso.

A questo punto, c’è da chiedersi: ha senso che i Torinesi accettino ormai da gran tempo tutte queste “capitis deminutiones” senza mai reagire?

Certo, non sono più i tempi dell’insurrezione carbonara della Cittadella di Alessandria, né dei moti del 1864, quando i Carabinieri ammazzarono una cinquantina di Torinesi, né quelli di Nizza, dove lo stewsso fece la Guarde Nationale, né dei fatti di Piazza Statuto.

Tuttavia, ancor oggi, in tutto il mondo vi sono momenti di protesta corale nelle città, come per esempio ciò che continua a succedere in Catalogna, per non parlare di “Black Lives Matters”. Senza necessariamente chiedere a nessuno di scendere materialmente in piazza, s’imporrebbe da parte di tutti una maggior radicalità nel pensiero e nella prassi politica.