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L’ORGANIZZAZIONE DI SHANGHAI

E LA PACE IN EUROPA

Gli eventi occorsi in questa settimana in Cina (il “vertice” della Shanghai Coordination Organisation) hanno confermato, se mai ve ne fosse bisogno, come i problemi che abbiamo qui in Europa (come i nostri rapporti con gli USA e la Russia) non possono essere compresi se non  da una prospettiva ancora più elevata di quella fino ad ora adottata, alla quale ci dovremo adattare.

Riassumendo:

– la risposta negativa di India e Cina alla pretesa imposizione, da parte di Trump, di “dazi secondari” come rappresaglia per l’acquisto (in valute locali) del gas russo,  ha confermato quanto scritto dalla Russia a USA e NATO prima dell’”Operazione Militare Speciale”, vale a dire che il vero movente di quell’ operazione sarebbe stato , non già una limitata (per quanto simbolicamente importante) controversia territoriale fra due ex-repubbliche dell’ URSS (per la Crimea e il Donbass), bensì la sfida globale alla pretesa americana di egemonizzare il pianeta. Infatti, vi si chiedeva, né più né meno, di arretrare gli asset militari USA e NATO nella stessa posizione in cui essi si trovavano al momento della famigerata promessa formulata in tal senso da Baker a Gorbachev per ottenere il suo consenso alla riunificazione tedesca;

-L’accerchiamento, da parte dell’Occidente, dell’ intero Heartland eurasiatico (da Warin nell’ Holstein, lontana patria di Rurik, a Taiwan; dall’isola birmana di Saint Martin, oggi rivendicata dagli USA, alla Carelia finlandese e russa; dal Golfo Persico al Kossovo; da Gaza al Caucaso), affiancato allo scadere senza rinnovo di tutti i preesistenti trattati di non-proliferazione nucleare, ha posto in essere uno scenario di possibile attacco occidentale contro la Russia e contro la Cina, mentre l’Iran e l’India sono già sottoposti a pressioni militari.

A dire il vero, proprio in questi giorni, tutte le grandi potenze hanno preso posizione, senza pubblicità,  circa  l’urgenza di ripresa delle trattative per rinnovare i trattati di non proliferazione scaduti, e questo spiega molte cose delle febbrili attività diplomatiche in corso. Trump ha proposto alla Russia di riavviare le trattative per rinnovare i trattati, includendovi anche la Cina. Putin ha risposto positivamente, ma ha chiesto il coinvolgimento anche della Francia e dell’Inghilterra (riconoscendo così l’importanza delle loro “forces de frappe”). Infine, la Cina si è dichiarata per il momento indisponibile a essere coinvolta,  per due motivi:

-la sua dottrina militare, contrariamente a quelle attuali di Russia e America, non permette il “First Strike”(primo colpo), cosicché buona parte delle possibili previsioni degli eventuali trattati sarebbero inapplicabili nella loro formulazione attuale;

-il suo arsenale nucleare è estremamente più ristretto di quelli dei suoi concorrenti, sicché la Cina si riserva di accrescerlo ulteriormente.

 Ciò detto, la fine effettiva della guerra in Ucraina potrà avvenire solo quando sarà stato affrontato questo tema  di una nuova nuova regolamentazione internazionale degli armamenti.

L’approccio europeo, basato su ipotetiche “garanzie” armate all’ Ucraina, non coglie invece il nocciolo del problema, perché lascia irrisolta la questione della minaccia nucleare reciproca in una situazione di mancato controllo comune e in presenza di obiettive ragioni per uno  “scontro di civiltà” fra le classi dirigenti dell’ Est e dell’ Ovest. In realtà, la UE, per simulare un’influenza a cui non crede più nessuno,  si ostina a fingere di ignorare che un accordo potrebbe basarsi solo  su una nuova articolazione dell’ “equilibrio” del terrore a cui essa è sostanzialmente estranea. Il Primo Ministro Cinese Wang Yi ha chiarito che il nuovo equilibrio dovrà inserirsi nella rinnovata governance mondiale a cui stanno lavorando la i BRICS e l’ Organizzazione di Shanghai, ponendosi un termine di 10 anni.

1.Come contribuire veramente alla pace?

Nonostante l’irrealismo dei vertici europei, una via da percorrersi per migliorare  la situazione esiste, purché, anche qui, si porti il dibattito  su un piano più elevato.

Intanto, come aveva affermato giustamente Trump, la guerra in Ucraina non avrebbe mai dovuto cominciare. Ucraina e Russia sono entrambe Paesi europei, che, nell’ era dell’ unificazione europea, non avrebbero mai dovuto giungere a una guerra che è, di fatto, una guerra civile. L’impostazione corretta era stata quella di Gorbachev e di Mitterrand, cioè quella della “Casa Comune Europea”: una confederazione fra Unione Europea e Unione Eurasiatica (e, aggiungiamo noi, con Kiev come capitale). Le differenze sociali e politiche fra Est e Ovest avrebbero potuto superarsi con un adeguato dispiegamento  congiunto dell’ ecumenismo di Giovanni Paolo II, dell’Eurocomunismo di Gorbachev e della cultura classica europea.

Ma ancor oggi non è ancora escluso che quella spirale di violenza possa venite fermata. Infatti, qualora, come sembrerebbe, le grandi potenze siano veramente intenzionate a discutere in modo obiettivo sui problemi della deterrenza, resterebbe, come motivo della guerra, solo la presunta opposizione ideologica fra una Russia neo-zarista e un’Ucraina piccolo-nazionalista. Quest’ opposizione è meno radicale di quanto potrebbe apparire a prima vista. Infatti, la tradizione dell’impero russo, perfino nei momenti di maggiore accentramento, non fu mai così centralizzatrice come è stata di fatto quella degli Stati Uniti, nati come espressione politica dell’esclusivismo  puritano WASP. Né l’Ucraina (da quando esiste) fu mai così nettamente anti-russa come ci si vuole fare credere. Basti pensare che fu Chmelnicky a volere il trattato di Perejaslav per avvalersi della protezione russa; che fu sostanzialmente l’ Impero Russo a popolare di “Ruteni” la “Nuova Russia”; che il grande sviluppo economico dell’ Ucraina con i progetti della diga sul Dniepr e dell’Impresa Missilistica Meridionale (Juzhmash/Pivdenne) fu imposto dall’ Unione Sovietica; che la “russificazione” dei giovani ucraini ai tempi dell’ URSS non dipendeva dal Governo (che, anzi, aveva imposto l’Ucrainizzazione), bensì dalla volontà dei genitori, che, attraverso l’apprendimento di una lingua più diffusa e prestigiosa, desideravano garantire ai figli un futuro migliore, e, infine che ben due segretari del PCUS (Khruscev e Brezhnev) erano nati in Ucraina, regalandole perfino la Crimea.

2.Un’identità eurasiatica

All’ interno di una Grande Europa, Russia e Ucraina apparirebbero dunque appena come due modeste varianti sullo stesso tema: i Popoli delle Steppe.

Se guardiamo, poi, all’ insieme del blocco eurasiatico che è riunito in Cina, esso appare sempre più come un’alleanza di antichi imperi che si uniscono per difendere insieme, dal Postumanesimo dei GAFAM diffuso dagli USA,  le loro antiche tradizioni: dall’ Islam sci’ita all’Induismo; dalla sintesi taoista-confuciano-buddhista, all’ “Eredità di Gengis Khan”. Perché mai esse dovrebbero essere ostili a degli Stati Uniti che oggi si richiamano al Cristianesimo, al classicismo, quando non alla Monarchia e all’ Impero Romano, e, ancor meno, a un’ Europa che (a suo dispetto) è tutta un monumento all’Epoca Assiale (Stonehenge, Cnosso), alla classicità (Micene, Delfi, Olimpia, Partenone, Colosseo, Pompei), al Medioevo (Granada, Mont Saint Michel, Notre Dame) e al Rinascimento (San Pietro, Venezia, Wawel)?

L’establishment europeo occidentalista vuole sottolineare la differenza fra il preteso “dispotismo orientale” della Russia e il preteso “libertarismo” degli Ucraini. Tuttavia, non vi sono basi storiche per sostenere questa distinzione, visto che l’Ucraina, e non la Russia,  fu per lunghi secoli la sede dei Turco-Tartari (Unni, Avari, Bulgari, Khazari, Cumani, Peceneghi, Polovesiani, Mongoli, Tartari, Circassi).”Russia” deriva dinvece a “Ruotsi”( Svezia in Finlandese), perché i primi “Rus’” venivano dalla Scandinavia (e si erano installati nella regione “nordica” e “finnica” di Novgorod e di San Pietroburgo). Infine, anche la presunta conflittualità fra “autoritari” e “libertari” sta svanendo sotto la spinta del trumpismo e dei suoi alleati come Meloni e Orbàn. Zelensky, che ha sciolto 11 partiti di opposizione, è più “democratico” della Russia, dove in Parlamento sono presenti da trent’anni almeno 5 importanti partiti? Ma gli stessi Stati Uniti, dove il Presidente governa con “Executive Orders”simili agli “Ukaze” russi, dove l’esercito è permanentemente nelle strade nelle città che votano per l’opposizione, dove le università non obbedienti al Governo sono private dei finanziamenti?

3.Il compito storico dell’ Europa

Noi Europei,dell’ Est e dell’ Ovest, abbiamo davanti a noi un lungo e faticoso percorso culturale, di educazione alla vera  pluralità culturale dell’ Europa (i “Due Polmoni” di Viaceslav Ivanov), che i “progressisti” non hanno saputo salvaguardare, ma, anzi, si ostinano a voler travolgere, ignorando la storia, la cultura e la geografia, sotto l’eccezionalismo occidentale (che in realtà è americano).

Basti pensare a quanto raccontano le antiche cronache sulla presenza di Anglosassoni nella Guardia Variaga; alla discendenza dei Variaghi stessi dagli Slavi Occidentali dello Juetland; alla partecipazione di Novgorod all’ Hansa tedesca; al ruolo della bizantina  Zoe Paleologa nel portare a Mosca le tradizioni dell’ Impero d’Oriente; al filo-germanesimo di Pietro il Grande e di Caterina II; all’idea di Nicola I dell’ Europa quale “Nazione Cristiana”; a “Les Soirées de Saint Petersbourg” del grande intellettuale e politico savoiardo Joseph de Maistre, come pure al romanzo “Le Prisonnier du Caucase “di suo fratello Xavier ; al ruolo di Gogol nella letteratura russa, e quello di Trockij nella rivoluzione bolscevica…

4.Gli Europei e il “Nuovo Conservatorismo”

Paradossalmente, gli Europei si sono messi nella situazione insostenibile di opporsi a un mondo intero che ha finalmente preso atto realisticamente della “Dialettica dell’ Illuminismo”, e che, conseguentemente, ritiene indispensabile ritornare alle proprie radici dopo l’ubriacatura “progressista”. Certo, lo fa per lo più in un modo “rozzo” e inautentico, “copiando” l’eccezionalismo americano, com’ è il caso della normalizzazione  sci’ita della poliedricità iranica, o della visione de-contestualizzata del Russkij Mir propria di Dugin.[LR1] 

Certo, tatticamente, nella presente situazione di soffocante dominio degli USA sul nostro Continente, la strategia di sopravvivenza adottata dalla UE, per esempio in relazione ai rapporti con Zelenskij (di essere “più realisti del re” americano ), è l’unica possibile, fingendo, con un “gioco delle tre carte”,  di difendere  quei pretesi “Valori Occidentali” che, in realtà, sono semplicemente quelli post-umanistici dei GAFAM e dei “Progressisti” americani, e a cui non crede neppure l’Amministrazione Trump. Solo così, forse, potremo darci quegli armamenti che ci servirebbero poi per divenire indipendenti. Anche se purtroppo alla fine ci ritroveremo  a subire (ingigantito) lo stesso smacco dell’ Afghanistan, quando gli USA decisero improvvisamente e unilateralmente di andarsene, e ci attaccarono violentemente perché noi  non volevamo andarcene contemporaneamente.

In realtà, la transizione “a ritroso” dal post-umano al neo-conservatorismo, in atto in tutto il mondo, e, in particolare, all’ interno delle Grandi Potenze che condizionano il nostro futuro, è destinata a “sfuggire di mano” anche  a queste ultime. Essa infatti non è il risultato di effimeri sbalzi di umore della “pancia” dell’ elettorato, bensì di una maturazione di lungo periodo della critica degl’intellettuali all’ insostenibilità della secolarizzazione delle Religioni abramitiche, trasformate in Religione dell’ Umanità, o meglio della Tecnica. Questa secolarizzazione ha infatti portato, via via,  all’ inautenticità (Kierkegaaard), alla ricerca alternativa di spiritualità orientali (Schopenhauer),  alla follia (Nietzsche), al dogmatismo (Lenin), al solipsismo (De Finetti), al totalitarismo (Mussolini), al prevalere della Ragion di Stato (Stalin), all’ “Eterogenesi dei fini” (Hitler), alla religione della tecnica (Teilhard de Chardin), alla mistica dell’informatica (Kurzweil); e, alla fine, al regno dei robot (Musk).Quindi,alla smentita proprio di tutti i pretesi Valori Umanistici della Modernità a cui siamo stati educati con uno zelo fanatico (culto della verità e della libertà, socialità, razionalità, pluralismo, libertarismo, distinzione fra religione e politica.

Giacché il progressismo, incarnato oggi dai GAFAM, proseguirà comunque il Progetto Incompiuto della Modernità anche qualora (per denegata ipotesi) l’Amministrazione Americana se ne chiamasse veramente fuori (anziché continuare a favorirlo), s’impone ora un nuovo umanesimo “di battaglia”, che, pur partendo dall’ indefinibilità della “realtà obiettiva” (Socrate, Pirrone, Tertulliano, Cartesio, Pascal, Kant, Nietzsche, Wittgenstein, Heisenberg, Feyerabend, Antiseri, Vattimo), sia comunque in grado di motivare i combattenti contro la Società delle Macchine Intelligenti. Infatti, solo da lì potrebbe venire una base logica del movimento conservatore in via di sviluppo in tutto il mondo, il quale non ha ancora trovato una sua propria filosofia unificante, al di sopra dei vari trend politici e ideologici di ciascun continente. Ed è qui che l’Europa potrebbe, e dovrebbe, fornire il proprio contributo. Ma, per fare questo, dovrebbero essere rimosse tutte le barriere intellettuali (diktat, totem o tabù ch’esse siano) che ci separano da una retta comprensione delle culture classiche e religiose, come pure degli infiniti grandi pensatori – europei, islamici, ebraici, russi, indù, cinesi e di tutto il resto del mondo – che se ne sono occupati.


UNIONE INDIANA E UNIONE EUROPEA: DUE ELEZIONI PARALLELE

Pellegrinaggio in Polonia

Il caso ha voluto che le elezioni indiane e quelle europee si siano svolte a pochi giorni l’una dall’ altra, permettendo così (a quei pochi che lo volessero) di cogliere parallelismi e diversità.

Primo fra i quali, che l’era della laicizzazione della politica sta finendo in tutto il mondo: da qualche parte, come nelle Americhe o in Cina, in modo discreto; da qualche altra, come nel Medio Oriente, in Polonia, e, appunto, in India, in modo plateale. Contrariamente a quanto sembra ai più, non si tratta tanto di una questione di dogmatismo o di moralismo: soprattutto in India, si tratta innanzitutto della rivalutazione della tradizione culturale del Paese. Per esempio, nel discorso di commento della vittoria elettorale, Modi ha definito se stesso “faqir”, espressione tipica del Sufismo islamico, e ha citato il Mahabharata. Anche il programma del Bharatiya Janata Party parte con due righe in Sanscrito, dopo di che cita tutte le molteplici tradizioni religiose e culturali dell’ India (ivi compreso il Cristianesimo indiano, che, come molti non sanno, rivendica le proprie origini dall’ apostolo Tommaso, se non da una predicazione in India dello stesso Gesù Cristo).

Shiva consegna ad Arjuna

Pashupata, l’ arma assoluta,

1.La maggiore democrazia del mondo

Un altro aspetto che salta agli occhi è che l’India, ex colonia britannica, costituisce un modello di successo, mentre l’Unione Europea, e soprattutto l’ Inghilterra,  si trovano più che mai alle prese con le loro secolari contraddizioni.

Nel suo discorso dopo la schiacciante vittoria elettorale, che gli ha dato la maggioranza assoluta nel Parlamento Indiano, Narendra Modi ha definito iperbolicamente tale risultato come “il più grande evento della storia”, in quanto massima affermazione storica della democrazia. Infatti, non si era mai verificato che una maggioranza così schiacciante si manifestasse con numeri di quest’importanza (più di 200 milioni di voti per un solo partito), nel secondo Paese del mondo e nell’area ex coloniale, mentre invece il Paese ex colonizzatore per eccellenza, l’Inghilterra, è scosso da una crisi senza precedenti per non aver voluto accettare di restare  all’interno di una labile confederazione come l’Unione Europea. Oltre al progetto federale nella sua forma più trasparente, si sono realizzate in India tutte le aspirazioni dei democratici più radicali: voto universale diretto ( XIX Emendamento della Costituzione americana); eguaglianza di tutti i ceti dinanzi alla legge (Dichiarazione dei Diritti dell’ Uomo e del Cittadino); liberazione e sviluppo dei popoli coloniali (i 14 punti di Wilson);federalismo (Proudhon); democrazia rappresentativa (Constant)…

Se i risvolti pratici di questa vittoria democratica non piace ai nostri…”democratici”, questi ultimi dovrebbero porsi la questione del se sciovinismo, integralismo religioso e personalizzazione della politica non costituiscano forse l’esito ultimo obbligato di qualunque processo di radicale democratizzazione della società. Se il governo deve preoccuparsi sempre più prioritariamente del benessere del popolo (a scapito di altre priorità), verrà pure un momento in cui, all’incremento delle aspettative, corrisponderà una stagnazione dell’economia, sì che la sola soluzione sarà il competere con altri popoli per la suddivisione delle ricchezze (“America first”). Se si distruggono sempre più le tradizioni e le gerarchie, resta soltanto l’inconscio collettivo, legato a fasi arcaiche della storia. Se si destruttura deliberatamente la disciplina mentale imposta dalla “cultura alta”, l’unica forma di comunicazione efficace resta il carisma personale. Il ritorno del rimosso resta l’“ultima ratio” contro l’entropia generalizzata.

Questo è confermato per esempio da quanto sta accadendo in Inghilterra, dove le recenti elezioni europee hanno incoronato il partito “Brexit” quale maggiore partito britannico, davanti ai liberali (antichissimo partito inglese), i laburisti e (ultimi) i conservatori, che da tempo hanno tradito le loro tradizioni culturali “alte”, confondendosi con i loro storici avversari, i liberisti e i cripto-americani.

Di fronte a questo scenario, non stupisce che la comunicazione “mainstream” abbia fatto passare in sordina (o comunque dopo la politica nazionale ed europea, il festival di Cannes, i sovranisti, la Champions’League, ecc…) i risultati delle elezioni indiane. Nella maggior parte dei casi, poi, gl’impressionanti dati numerici sulla democrazia indiana, sull’elettorato del Bharatiya Janata Party e sulla ricchezza del panorama partitico indiano vengono lasciati in secondo piano, mentre si sottolineano un preteso autoritarismo di Modi (che deriverebbe paradossalmente dall’ aver ricevuto molti voti), il suo carattere illiberale (che deriverebbe dalla sua forte connotazione religiosa), e il suo nazionalismo (che renderebbe difficile la convivenza con confessioni religiose diverse da quella indù).

Nonostante la cronica inefficacia di tutto ciò che si sta facendo da gran tempo in Europa in ogni campo, la cieca arroganza  generalizzata continua a vedere, dei continenti fuori del nostro, solo i lati negativi: l’umoralità di Trump, la retorica sudamericana; la povertà africana, il terrorismo medio-orientale;, l’autoritarismo cinese…

Mai nessuno parla della potenza dell’America, del senso d’indipendenza dei latinoamericani, della crescita del PIL dell’Africa, della ricchezza araba, della tenacia israeliana o del progresso tecnologico e organizzativo dei Cinesi.

 Gl’Inglesi giustiziano i leader dei Sepoys

colpendoli con i cannoni

 2.L’India come modello di successo

A me sembrerebbe intanto prioritario soffermarsi a studiare l’India come modello di successo: un Paese che, caduto fra il 700 e l’800 sotto un dominio coloniale che ne aveva fiaccato la straordinaria forza culturale ed economica(cfr. Choudhury, Goody), ha saputo, in 200 anni, animare un movimento di rinascita culturale,e, poi, di liberazione politica, che l’ha portato  a divenire la più grande democrazia del mondo. Si noti che, per l’India come per la Cina, questa crescita spettacolare ha cominciato a manifestarsi non appena il Paese è uscito completamente dalla tutela straniera, vale a dire quando, il  17 agosto 1947, le truppe inglesi avevano iniziato a  lasciare l’intero Subcontinente, con un’evacuazione che durò fino al febbraio 1948, e senza che esse  fossero sostituite da quelle americane, come invece successe in molte altre aree. Certo, anche lì il guaio maggiore, la “Partition” con il Pakistan, l’avevano preparato gli USA. Però, l’idea di ri-occupare militarmente il Paese non era mai venuta in mente a nessuno, anche perché, nello stesso tempo, l’Inghilterra aveva già segretamente dato in uso agli USA l’Isola  di Diego Garcia (fra le Maldive e Mauritius), ancor oggi una delle maggiori basi militari americane, avendone prima deportato gli abitanti.

Dalla partenza degl’Inglesi, la prima vera Brexit, con tante assonanze con quella di oggi, ricominciò la rimonta dell’India, la quale, pure se meno brillante di quella della Cina, l’ha portata ad essere una delle prime potenze mondiali. Invece, l’ Unione Europea, nata anch’essa, come ha recentemente confermato la documentatissima opera di Philippe de Villers, sotto una pesante ipoteca americana, non è mai riuscita ad emanciparsi dal principio dell’ “America First”. Così, si è giunti alla presente assurda situazione, in cui non c’è nessuno che esprima seriamente un “sovranismo europeo”. Macron si era inizialmente sbilanciato timidamente in tal senso, ma le continue sconfitte hanno ridimensionato le sue velleità.

Eppure, l’India, con l’ Himalaya e le Maldive, con i Tibetani del Ladakh e del Sikkim e i “neri” del Tamil Nadu e del Kerala, con i Mussulmani, i Parsi, i Sikh, i Cristiani  e i Buddisti, con gli Shivaiti e i Visnaiti, non  è certo meno diversificata dell’ Europa. Essa ha però il vantaggio di avere ereditato un popolo imperiale (quello hindustano), e uno Stato (seppur federale), e, soprattutto, ha avuto, fino dai tempi del governo diretto britannico, un potente esercito, che, ai tempi della IIa Guerra Mondiale, flirtava con i Giapponesi, e, oggi, dispone tra l’altro di un’arma missilistica e nucleare.

Certo che i politici europei imitano anche l’India, ma lo fanno di soppiatto e in modo minimalistico, con una grande paura di essere scoperti. Per esempio, l’idea di Matteo Salvini di ostentare in ogni occasione il rosario potrebbe essere una lontana derivazione della retorica elettorale di Modi, infarcita di preghiere e di citazioni del Mahabharata.

Gli Stati e le province dell’ India Britannica

3.Basta con l’“India Bashing”

Contro l’India si agitano continuamente una serie di miti negativi arretratezza; autoritarismo; intolleranza. Certo, problemi vi sono dovunque, e soprattutto in Paesi di quelle dimensioni. E, tuttavia, proprio i problemi che in genere si ama sottolineare sono i meno gravi.

Essendo un grande Paese agricolo, l’ India ha tutte le caratteristiche che sono state tipiche, anche da noi, di una civiltà contadina (familismo, tradizionalismo, laboriosità, risparmio). Lungi dall’ essere una prova di barbarie, esse costituiscono l’humus di tutte le grandi culture, ivi compresa quella europea. Inoltre, in questo momento di (molto relativo) revival dei Verdi, ricordiamoci che l’ unica vera “Rivoluzione Verde” l’ha realizzata l’ India, risollevando le sorti del suo mondo contadino.

Il programma del Bharatiya Janata Party, lungi dal predicare l’intolleranza religiosa, rivendica invece con orgoglio il contributo culturale dato da tutte le religioni dell’India, ivi comprese quelle non autoctone, come l’Islam, l’ Ebraismo, il Parsismo e il Cristianesimo, e soprattutto l’eredità vedica, intrinsecamente universale e a-confessionale. D’altronde, il sincretismo è sempre stato una caratteristica dell’India, dai tempi del Gandhara  e di Kebir  per arrivare a Akbar e alla Società Teosofica, alla quale dobbiamo, tra l’altro, la conversione di Gandhi alla causa indiana. Quanto alla presunta intolleranza verso le altre comunità, l’anti-islamismo non è certo più forte in India che, per esempio, in Germania, Polonia, Ungheria, Israele, Myanmar o Cina. Quanto all’ anti-cristianesimo (piuttosto, anti-protestantesimo), esso è certamente meno spiccato di quello degli Islamisti dei Paesi limitrofi (Pakistan, Sri Lanka).

Concludendo, l’India può essere un modello per l’Europa almeno per tre sue caratteristiche. Innanzitutto, la struttura costituzionale federale, fondata su un certo numero di Stati etno-nazionali non rigidi, che possono essere adattati secondo le mutevoli esigenze della politica. In secondo luogo, per la sua capacità di attualizzazione dei principi antropologici tradizionali. Basti pensare al “Ministero dell’ A.Y.U.SH.”, incaricato di coltivare le diverse tradizioni mediche dell’ Asia Meridionale, dove, all’ Ayurveda e allo Yoga, si affianca anche la medicina “Unani”, vale a dire la medicina greca antica (“yunani”), quale fondata da Ippocrate (inventore dell’ identità europea), e tramandata attraverso Avicenna e le monarchie islamiche indiane. In terzo luogo, per l’avanzamento, tecnico e politico, dell’ India nel campo dell’informatica (con Bangalore come capitale), e culminato nella recente proposta di legge sull’immagazzinamento in India dei dati degli Indiani. Tutti temi da studiare urgentemente anche in Europa.

Lingue e Stati nell’ India contemporanea

Allegato: Estratto del programma del BJP

Our Vision, Our Will, Our Way

Sarvebhavantu Sukhinah Sarvesantu Niramayah Sarvebhadrani Pasyantu Ma Kaschitdukha Bhagbhavet Om Shanti! Shanti! Shanti!

May all live happily. May all enjoy good health. May all see auspiciousness. May none experience distress. May peace prevail everywhere!
Universal happiness and peace is the heritage of the ancient Indian civilization, which assumed the character of Bharatvarsha in Bharat Khand.  About India, Megasthanes said that “never invaded others and was never invaded.”
As per Maharishi Aurobindo, the nation is enshrined in the concept of Sanatana Dharma, which assumes an integral concept of VasudhaivaKutumbakam, which means world as a family. This idea is an exclusive contribution from India to world peace.
The nation has evolved a world view based on the motto “Lokasamastasukhinabhavantu (Let the entire world be happy). The nation as achieved this motto not by marching its armies and conquering the rest and offering peace, but by the inner-directed pursuit of universal values by the Rishis living in the forests and mountains of India.
India has received faiths from all people like the Jews, Parsis, Muslims or Christians. Israeli society has openly acknowledged that out of over a hundred nations in which Jews sought refuge, only in Bharat they were received and treated well.
It is because religion in ancient India meant faith in general and not any particular faith. It is this ancient Indian mind that formulated the Constitution of India, guaranteeing equal treatment to all faiths and their adherents and it is not the Constitution that shaped the Indian mind.
Diversity is an inseparable part of India’s past and present national tradition. The BJP not only respects but celebrates India’s regional, caste, credal, linguistic and ethnic diversity, which finds its true existence and expression only in our national unity.
This rich tradition comprises not only the Vedas and Upanishads, Jainagamas and Tripitaka, Puranas and Guru Granth Sahib, the Dohas of Kabir, the various social reform movements, saints and seers, warriors and writers, sculptors and artists, but also the Indian traditions of the Muslims, Christians and Parsis.
The BJP is the true inheritor of the Indian tradition while all other political parties have branded everything associated with this great tradition as sectarian, unworthy of being followed. BJP believes in the saying of Swami Vivekananda that “It is out of the past that the future is moulded. It is the past that becomes the future”.