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UNIONE INDIANA E UNIONE EUROPEA: DUE ELEZIONI PARALLELE

Pellegrinaggio in Polonia

Il caso ha voluto che le elezioni indiane e quelle europee si siano svolte a pochi giorni l’una dall’ altra, permettendo così (a quei pochi che lo volessero) di cogliere parallelismi e diversità.

Primo fra i quali, che l’era della laicizzazione della politica sta finendo in tutto il mondo: da qualche parte, come nelle Americhe o in Cina, in modo discreto; da qualche altra, come nel Medio Oriente, in Polonia, e, appunto, in India, in modo plateale. Contrariamente a quanto sembra ai più, non si tratta tanto di una questione di dogmatismo o di moralismo: soprattutto in India, si tratta innanzitutto della rivalutazione della tradizione culturale del Paese. Per esempio, nel discorso di commento della vittoria elettorale, Modi ha definito se stesso “faqir”, espressione tipica del Sufismo islamico, e ha citato il Mahabharata. Anche il programma del Bharatiya Janata Party parte con due righe in Sanscrito, dopo di che cita tutte le molteplici tradizioni religiose e culturali dell’ India (ivi compreso il Cristianesimo indiano, che, come molti non sanno, rivendica le proprie origini dall’ apostolo Tommaso, se non da una predicazione in India dello stesso Gesù Cristo).

Shiva consegna ad Arjuna

Pashupata, l’ arma assoluta,

1.La maggiore democrazia del mondo

Un altro aspetto che salta agli occhi è che l’India, ex colonia britannica, costituisce un modello di successo, mentre l’Unione Europea, e soprattutto l’ Inghilterra,  si trovano più che mai alle prese con le loro secolari contraddizioni.

Nel suo discorso dopo la schiacciante vittoria elettorale, che gli ha dato la maggioranza assoluta nel Parlamento Indiano, Narendra Modi ha definito iperbolicamente tale risultato come “il più grande evento della storia”, in quanto massima affermazione storica della democrazia. Infatti, non si era mai verificato che una maggioranza così schiacciante si manifestasse con numeri di quest’importanza (più di 200 milioni di voti per un solo partito), nel secondo Paese del mondo e nell’area ex coloniale, mentre invece il Paese ex colonizzatore per eccellenza, l’Inghilterra, è scosso da una crisi senza precedenti per non aver voluto accettare di restare  all’interno di una labile confederazione come l’Unione Europea. Oltre al progetto federale nella sua forma più trasparente, si sono realizzate in India tutte le aspirazioni dei democratici più radicali: voto universale diretto ( XIX Emendamento della Costituzione americana); eguaglianza di tutti i ceti dinanzi alla legge (Dichiarazione dei Diritti dell’ Uomo e del Cittadino); liberazione e sviluppo dei popoli coloniali (i 14 punti di Wilson);federalismo (Proudhon); democrazia rappresentativa (Constant)…

Se i risvolti pratici di questa vittoria democratica non piace ai nostri…”democratici”, questi ultimi dovrebbero porsi la questione del se sciovinismo, integralismo religioso e personalizzazione della politica non costituiscano forse l’esito ultimo obbligato di qualunque processo di radicale democratizzazione della società. Se il governo deve preoccuparsi sempre più prioritariamente del benessere del popolo (a scapito di altre priorità), verrà pure un momento in cui, all’incremento delle aspettative, corrisponderà una stagnazione dell’economia, sì che la sola soluzione sarà il competere con altri popoli per la suddivisione delle ricchezze (“America first”). Se si distruggono sempre più le tradizioni e le gerarchie, resta soltanto l’inconscio collettivo, legato a fasi arcaiche della storia. Se si destruttura deliberatamente la disciplina mentale imposta dalla “cultura alta”, l’unica forma di comunicazione efficace resta il carisma personale. Il ritorno del rimosso resta l’“ultima ratio” contro l’entropia generalizzata.

Questo è confermato per esempio da quanto sta accadendo in Inghilterra, dove le recenti elezioni europee hanno incoronato il partito “Brexit” quale maggiore partito britannico, davanti ai liberali (antichissimo partito inglese), i laburisti e (ultimi) i conservatori, che da tempo hanno tradito le loro tradizioni culturali “alte”, confondendosi con i loro storici avversari, i liberisti e i cripto-americani.

Di fronte a questo scenario, non stupisce che la comunicazione “mainstream” abbia fatto passare in sordina (o comunque dopo la politica nazionale ed europea, il festival di Cannes, i sovranisti, la Champions’League, ecc…) i risultati delle elezioni indiane. Nella maggior parte dei casi, poi, gl’impressionanti dati numerici sulla democrazia indiana, sull’elettorato del Bharatiya Janata Party e sulla ricchezza del panorama partitico indiano vengono lasciati in secondo piano, mentre si sottolineano un preteso autoritarismo di Modi (che deriverebbe paradossalmente dall’ aver ricevuto molti voti), il suo carattere illiberale (che deriverebbe dalla sua forte connotazione religiosa), e il suo nazionalismo (che renderebbe difficile la convivenza con confessioni religiose diverse da quella indù).

Nonostante la cronica inefficacia di tutto ciò che si sta facendo da gran tempo in Europa in ogni campo, la cieca arroganza  generalizzata continua a vedere, dei continenti fuori del nostro, solo i lati negativi: l’umoralità di Trump, la retorica sudamericana; la povertà africana, il terrorismo medio-orientale;, l’autoritarismo cinese…

Mai nessuno parla della potenza dell’America, del senso d’indipendenza dei latinoamericani, della crescita del PIL dell’Africa, della ricchezza araba, della tenacia israeliana o del progresso tecnologico e organizzativo dei Cinesi.

 Gl’Inglesi giustiziano i leader dei Sepoys

colpendoli con i cannoni

 2.L’India come modello di successo

A me sembrerebbe intanto prioritario soffermarsi a studiare l’India come modello di successo: un Paese che, caduto fra il 700 e l’800 sotto un dominio coloniale che ne aveva fiaccato la straordinaria forza culturale ed economica(cfr. Choudhury, Goody), ha saputo, in 200 anni, animare un movimento di rinascita culturale,e, poi, di liberazione politica, che l’ha portato  a divenire la più grande democrazia del mondo. Si noti che, per l’India come per la Cina, questa crescita spettacolare ha cominciato a manifestarsi non appena il Paese è uscito completamente dalla tutela straniera, vale a dire quando, il  17 agosto 1947, le truppe inglesi avevano iniziato a  lasciare l’intero Subcontinente, con un’evacuazione che durò fino al febbraio 1948, e senza che esse  fossero sostituite da quelle americane, come invece successe in molte altre aree. Certo, anche lì il guaio maggiore, la “Partition” con il Pakistan, l’avevano preparato gli USA. Però, l’idea di ri-occupare militarmente il Paese non era mai venuta in mente a nessuno, anche perché, nello stesso tempo, l’Inghilterra aveva già segretamente dato in uso agli USA l’Isola  di Diego Garcia (fra le Maldive e Mauritius), ancor oggi una delle maggiori basi militari americane, avendone prima deportato gli abitanti.

Dalla partenza degl’Inglesi, la prima vera Brexit, con tante assonanze con quella di oggi, ricominciò la rimonta dell’India, la quale, pure se meno brillante di quella della Cina, l’ha portata ad essere una delle prime potenze mondiali. Invece, l’ Unione Europea, nata anch’essa, come ha recentemente confermato la documentatissima opera di Philippe de Villers, sotto una pesante ipoteca americana, non è mai riuscita ad emanciparsi dal principio dell’ “America First”. Così, si è giunti alla presente assurda situazione, in cui non c’è nessuno che esprima seriamente un “sovranismo europeo”. Macron si era inizialmente sbilanciato timidamente in tal senso, ma le continue sconfitte hanno ridimensionato le sue velleità.

Eppure, l’India, con l’ Himalaya e le Maldive, con i Tibetani del Ladakh e del Sikkim e i “neri” del Tamil Nadu e del Kerala, con i Mussulmani, i Parsi, i Sikh, i Cristiani  e i Buddisti, con gli Shivaiti e i Visnaiti, non  è certo meno diversificata dell’ Europa. Essa ha però il vantaggio di avere ereditato un popolo imperiale (quello hindustano), e uno Stato (seppur federale), e, soprattutto, ha avuto, fino dai tempi del governo diretto britannico, un potente esercito, che, ai tempi della IIa Guerra Mondiale, flirtava con i Giapponesi, e, oggi, dispone tra l’altro di un’arma missilistica e nucleare.

Certo che i politici europei imitano anche l’India, ma lo fanno di soppiatto e in modo minimalistico, con una grande paura di essere scoperti. Per esempio, l’idea di Matteo Salvini di ostentare in ogni occasione il rosario potrebbe essere una lontana derivazione della retorica elettorale di Modi, infarcita di preghiere e di citazioni del Mahabharata.

Gli Stati e le province dell’ India Britannica

3.Basta con l’“India Bashing”

Contro l’India si agitano continuamente una serie di miti negativi arretratezza; autoritarismo; intolleranza. Certo, problemi vi sono dovunque, e soprattutto in Paesi di quelle dimensioni. E, tuttavia, proprio i problemi che in genere si ama sottolineare sono i meno gravi.

Essendo un grande Paese agricolo, l’ India ha tutte le caratteristiche che sono state tipiche, anche da noi, di una civiltà contadina (familismo, tradizionalismo, laboriosità, risparmio). Lungi dall’ essere una prova di barbarie, esse costituiscono l’humus di tutte le grandi culture, ivi compresa quella europea. Inoltre, in questo momento di (molto relativo) revival dei Verdi, ricordiamoci che l’ unica vera “Rivoluzione Verde” l’ha realizzata l’ India, risollevando le sorti del suo mondo contadino.

Il programma del Bharatiya Janata Party, lungi dal predicare l’intolleranza religiosa, rivendica invece con orgoglio il contributo culturale dato da tutte le religioni dell’India, ivi comprese quelle non autoctone, come l’Islam, l’ Ebraismo, il Parsismo e il Cristianesimo, e soprattutto l’eredità vedica, intrinsecamente universale e a-confessionale. D’altronde, il sincretismo è sempre stato una caratteristica dell’India, dai tempi del Gandhara  e di Kebir  per arrivare a Akbar e alla Società Teosofica, alla quale dobbiamo, tra l’altro, la conversione di Gandhi alla causa indiana. Quanto alla presunta intolleranza verso le altre comunità, l’anti-islamismo non è certo più forte in India che, per esempio, in Germania, Polonia, Ungheria, Israele, Myanmar o Cina. Quanto all’ anti-cristianesimo (piuttosto, anti-protestantesimo), esso è certamente meno spiccato di quello degli Islamisti dei Paesi limitrofi (Pakistan, Sri Lanka).

Concludendo, l’India può essere un modello per l’Europa almeno per tre sue caratteristiche. Innanzitutto, la struttura costituzionale federale, fondata su un certo numero di Stati etno-nazionali non rigidi, che possono essere adattati secondo le mutevoli esigenze della politica. In secondo luogo, per la sua capacità di attualizzazione dei principi antropologici tradizionali. Basti pensare al “Ministero dell’ A.Y.U.SH.”, incaricato di coltivare le diverse tradizioni mediche dell’ Asia Meridionale, dove, all’ Ayurveda e allo Yoga, si affianca anche la medicina “Unani”, vale a dire la medicina greca antica (“yunani”), quale fondata da Ippocrate (inventore dell’ identità europea), e tramandata attraverso Avicenna e le monarchie islamiche indiane. In terzo luogo, per l’avanzamento, tecnico e politico, dell’ India nel campo dell’informatica (con Bangalore come capitale), e culminato nella recente proposta di legge sull’immagazzinamento in India dei dati degli Indiani. Tutti temi da studiare urgentemente anche in Europa.

Lingue e Stati nell’ India contemporanea

Allegato: Estratto del programma del BJP

Our Vision, Our Will, Our Way

Sarvebhavantu Sukhinah Sarvesantu Niramayah Sarvebhadrani Pasyantu Ma Kaschitdukha Bhagbhavet Om Shanti! Shanti! Shanti!

May all live happily. May all enjoy good health. May all see auspiciousness. May none experience distress. May peace prevail everywhere!
Universal happiness and peace is the heritage of the ancient Indian civilization, which assumed the character of Bharatvarsha in Bharat Khand.  About India, Megasthanes said that “never invaded others and was never invaded.”
As per Maharishi Aurobindo, the nation is enshrined in the concept of Sanatana Dharma, which assumes an integral concept of VasudhaivaKutumbakam, which means world as a family. This idea is an exclusive contribution from India to world peace.
The nation has evolved a world view based on the motto “Lokasamastasukhinabhavantu (Let the entire world be happy). The nation as achieved this motto not by marching its armies and conquering the rest and offering peace, but by the inner-directed pursuit of universal values by the Rishis living in the forests and mountains of India.
India has received faiths from all people like the Jews, Parsis, Muslims or Christians. Israeli society has openly acknowledged that out of over a hundred nations in which Jews sought refuge, only in Bharat they were received and treated well.
It is because religion in ancient India meant faith in general and not any particular faith. It is this ancient Indian mind that formulated the Constitution of India, guaranteeing equal treatment to all faiths and their adherents and it is not the Constitution that shaped the Indian mind.
Diversity is an inseparable part of India’s past and present national tradition. The BJP not only respects but celebrates India’s regional, caste, credal, linguistic and ethnic diversity, which finds its true existence and expression only in our national unity.
This rich tradition comprises not only the Vedas and Upanishads, Jainagamas and Tripitaka, Puranas and Guru Granth Sahib, the Dohas of Kabir, the various social reform movements, saints and seers, warriors and writers, sculptors and artists, but also the Indian traditions of the Muslims, Christians and Parsis.
The BJP is the true inheritor of the Indian tradition while all other political parties have branded everything associated with this great tradition as sectarian, unworthy of being followed. BJP believes in the saying of Swami Vivekananda that “It is out of the past that the future is moulded. It is the past that becomes the future”.

 

CANTIERI D’ EUROPA: GIORNATA 13 MAGGIO (SALONE IN E SALONE OFF)

 

PROGRAMMA DELLA MATTINATA

 

Lunedì 13 maggio Ore 10.30 Salone del Libro – Sala Avorio Cantieri d’Europa: Le lingue e l’identità europea. Presentazione del libro “Es patrida gaian, Le lingue per un ritorno all’ Europa” (Alpina)

Con Federico Gobbo, Lucio Levi, Anna Mastromarino, Elisabetta Palici di Suni, Alfredo Papadakis, Stefano Piano,  Dario Elia Tosi

Modera Riccardo Lala

A cura di Alpina, in collaborazione con il Movimento Europeo – Italia (progetto “Academic agorà for the future of Europe”, co-finanziato dall’Unione europea nell’ambito del programma Erasmus+ – Azione Jean Monnet) e con il Centro Einstein di Studi Internazionali.

 

Con il rimescolamento delle carte seguito all’avanzata dell’Intelligenza Artificiale, all’allargamento della UE, alla Brexit e all’emergere della Cina, anche le prassi consolidate nell’ uso delle lingue vengono messe in discussione: ruoli delle lingue classiche e dell’Inglese; lingue minori e orientali. Linguisti, classicisti, medievisti, giuristi e orientalisti discutono di politiche linguistiche, dell’Europa, ma non solo.

Questo, delle lingue, è uno dei casi in cui esigenze diverse, d’identità, geopolitiche, di educazione, d’ingegneria sociale, di comunicazione, di uso, di estetica, di praticità, di business, si fondono in un groviglio inestricabile. E’ inevitabile che, in questa situazione, si sviluppino diversi punti di vista e diverse opzioni, che questo libro, e quest’incontro, mirano a porre a confronto senza privilegiarne a priori nessuna, ma mirando comunque a un ritorno in termini di dibattito e di propositività.

 

ATTENZIONE:

LA LOCATION DEL POMERIGGIO (CONVEGNO SULLE INFRASTRUTTURE) E’ SPOSTATA DALL’HOTEL NH AL POLO DEL NOVECENTO

Per eventuali dubbi, telefonare a 335  77615346.

Nell’ ambito del multiforme progetto dei “Cantieri d’Europa”, non potevamo certamente esimerci dal trattare del più rilevante elemento nuovo che si presenta sullo scenario europeo. Dopo un secolo di sterili diatribe fra filosovietici e antisovietici, fra occidentalisti e multiculturalisti, fra liberisti e keynesiani, compare sulla scena mondiale, quasi inavvertito, un soggetto veramente nuovo, che non ha certo molto a che fare con l’ex URSS (essendone stato forse il più accanito avversario); che è il simbolo stesso del multiculturalismo pur essendo un soggetto con un’identità millenaria, ed è, al contempo, liberista, socialista e keynesiano, scompaginando così tutte le narrazioni imposte dalle contrapposte sette europee.

Un Paese che si dichiara socialista ed è in tumultuosa crescita; un Paese non occidentale molto più ricco di quelli occidentali, e la cui principale “colpa” sarebbe quella di voler comprare ogni cosa dai capitalisti (i quali per altro sono felicissimi di vendere le loro aziende, e magari di diventare dipendenti delle imprese di Stato cinesi).

Ma alla Cina non basta comprare le cose: vuole comprarsi le idee: il libero mercato, la globalizzazione, il lusso…

Infine, mentre l’Occidente, che aveva predicato globalizzazione e mobilità, in realtà fa di tutto per bloccare ogni tipo di scambio e di trasformazione, la Cina ha preso in parola  gli apologeti occidentali dello sviluppo e diffonde connettività ai quattro angoli della terra, realizzando quello che prussiani e zaristi, americani ed europei, avevano sempre fantasticato, ma mai avviato: la rete mondiale delle infrastrutture, stradali, ferroviarie e marittime (Worldwide Rail Land Bridge). Quelle strade romane perfettamente lastricate e manutenute che facevano invidia, nel Regno di Da Qin, agli Han Anteriori, adesso le realizzano i Cinesi, che installano in tutto il mondo quelle “concessioni” che il resto del mondo aveva loro imposto con i “Trattati Ineguali”.

Nel caso dell’ Europa, gli effetti di questo tornado non hanno tardato a farsi sentire:  i Paesi dell’ Europa Centrale e Orientale, da sempre frustrati dall’ Unione ma timorosi della Russia, hanno trovato un protettore lontano e perciò non temibile; la UE, qualcuno che finanzia e realizza quelle Reti pan-europee che si erano arrestate con il languire delle politiche di vicinato; l’ Italia qualcuno che le dà importanza quando invece tutti vorrebbero isolarla, e che decide al posto suo sulle diatribe fra le diverse città portuali e i territori ospiti delle linee ad Alta Velocità, diatribe sulle quali le nostre forze politiche non osano pronunziarsi…

Fotografare questa complessissima realtà in tumultuosa evoluzione è tutt’altro che facile, ma noi, come al solito, non ci tiriamo certo indietro. Abbiamo, così, realizzato un libro essenzialmente documentale, attraverso il quale siamo in grado di “fotografare” i diversi segmenti di questa complessa realtà:  le sue  basi storiche e culturali; il contesto geo-politico; gli accordi della Cina con l’Italia e con la Francia; i documenti programmatici dell’Unione sulla Via della Seta; i documenti comuni euro-cinesi; lo stato di avanzamento delle infrastrutture nel Nord Italia.

Il tutto preceduto da note esplicative della sempre attivissima Associazione Culturale Diàlexis, e, soprattutto, dell’Ambasciatore Bradanini e del filosofo sino-americano Peimin Ni, che riesce, nel giro di poche pagine, a spiegare come il “socialismo con caratteristiche cinesi” riesca ad essere, al contempo, marxista e confuciano. Tema su cui ben pochi hanno saputo dare, fino ad ora, risposte precise.

Il libro viene presentato oggi alle 18 al Salone deel Libro in Sala Avorio.

Domani, al Polo del Novecento, un seminario ben più vasto, che spazierà, dal concetto confuciano di ordine mondiale, attraverso gli accordi in via di negoziazione, fino alle opportunità di business con l’ Asia, fino all’ impatto che tutto ciò possa avere sullo sviluppo delle infrastrutture nel Nord Italia, e, in particolare, in Piemonte. Qui di seguito il programma della manifestazione:

ATTENZIONE!

Cambiamento di programma:

 

Lunedì 13 maggio, ore 15

Polo del Novecento,

Sala Voltoni,

Via del Carmine 14

(anziché Hotel NH Centro).

 

Cantieri d’Europa: Le infrastrutture del Nord-Ovest e le Nuove Vie della Seta

Dibattito fra Alberto Bradanini, Mino Giachino, Giovanna Giordano, Comitato “La Nuova Via della Seta”, Alfonso Sabatino

 

Modera Riccardo Lala

 

A cura di Alpina, in collaborazione con il Movimento Europeo – Italia (progetto “Academic agorà for the future of Europe”, co-finanziato dall’Unione europea nell’ambito del programma Erasmus+ – Azione Jean Monnet),

 

Le Nuove Vie della Seta permettono di mettere in contatto un’Europa in difficoltà con il mondo asiatico in piena espansione. Le modalità con cui il nostro territorio si inserirà in questa dialettica determineranno il nostro successo o insuccesso. Ne discutono intellettuali e imprenditori, diplomatici e politici, partendo da alcune considerazioni sul rapporto Italia Cina ed Europa Cina, per passare agli accordi in via di negoziazione, muoversi, poi, attraverso le diverse posizioni circa la collocazione e le tempistiche dei diversi corridoi, giungendo, infine, alle considerazioni di carattere geopolitico e alle concrete modalità per partecipare a questo complesso progetto.