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“L’IDENTITA’EUROPEA”

DI MARCELLO CROCE,

Ottima base di riflessione per un piano formativo europeo

La travolgente evoluzione (o involuzione) storica dell’ Europa, in corso sotto i nostri occhi, rivela sempre più l’esigenza -anzi, l’urgenza imprescindibile-, di un’approfondita azione culturale di rinascita del Continente, che parta dalla demistificazione della storia “mainstream”, prosegua con la rivisitazione alla luce del presente di tutte le branche del sapere e della creatività umane, e sfoci in un progetto pedagogico di un livello adeguato per poter subentrare ai sistemi educativi nazionali – ben consolidati ma oramai sorpassati, da un lato, dal carattere sempre più pluriculturale del sapere, e, dall’ altro, dal sopravvento dell’ Intelligenza Artificiale-.

Si richiede pertanto, da parte degl’intellettuali europei, un’opera veramente ciclopica, di ricerca e di creatività, per opporre, alla “società globalizzata”, una cultura poliedrica adatta all’ Europa del XXI Secolo.

Leonida alle Termopili

1.La cultura italiana ed europea a cui siamo stati educati

Il pregevole libro di Marcello Croce si pone nella prospettiva  della fase iniziale di questo processo, “fotografando” per così dire, il nocciolo duro della tradizione culturale europea, quale espresso, in particolare, dal liceo classico di matrice gentiliana, che, nonostante le molte pretese riforme avviate già in epoca fascista (la “Riforma Bottai”), è rimasto essenzialmente lo stesso da ben un secolo, dimostrando, come minimo, una incredibile solidità di impianto, capace di attraversare regimi ed epoche storiche.

La visione che ci ha dato il liceo classico era essenzialmente letteraria, costruita innanzitutto intorno alle letterature greca e romana, poi anche, in minor misura, alla filosofia europea e ai “Grandi” della letteratura italiana, con qualche modestissimo sprazzo di culture europee, tutto ciò accomunato dall’ iniziale afflato “classicistico”. Pur rappresentando questa cultura solo una parte assai limitata delle infine correnti che formano l’identità europea, essa può comunque essere considerata come una buona posizione intermedia fra il subconscio ancestrale indoeuropeo e il modernismo, fra le radici medio-orientali e il mondo atlantico, fra il politeismo e messianesimo immanentistico (chiliasmo) della Postmodernità.

Nel libro di Croce, come si faceva nelle scuole ancora cinquant’anni fa, la storia della letteratura  (ma anche la storia tout court) , si arrestavano alla Prima Guerra Mondiale, quando l’immagine unitaria della cultura europea fondata sull’umanesimo incominciava a incrinarsi, sotto le spinte del relativismo, del culto dell’azione e del progresso: Nietzsche e Dostojevskij, con i quali significativamente anche Croce arresta la sua narrazione.

E’il “Mondo di Ieri” esaltato da Stefan Zweig, a cui alcuni dei Padri Fondatori dell’ Europa si ispiravano, anche se già a cavallo della Guerra Civile Europea s’ imponevano prepotentemente altre istanze (appunto, il nietzscheanesimo, il futurismo, i totalitarismi, i progressismi..), alle cui sirene alcuni di tali Padri Fondatori non erano indifferenti. Assolutamente azzeccata, quindi, l’idea di chiudere il libro con Nietzsche e Dostojevskij, che hanno espresso con efficacia ineguagliata (anche se ancora all’ interno del vecchio culto della forma “classica”), le inquietudini del tempo nuovo, ponendosi, così, come cerniere fra il XIX e il XXI secolo.

Per questo, il libro, così come la cultura “liceale” che lo ispira, costituisce una base ineguagliabile per confrontarsi con il presente, inteso come l’ultimo secolo – appunto, quello successivo alla Riforma Gentile-. Secolo in cui è accaduto tutto e il contrario di tutto, spezzando l’apparente armonia della “Welt von Gestern”, già sotterraneamente incrinata. Ci è così possibile valutare appieno la distanza fra la scuola gentiliana e la cultura ufficiale di oggi, al fine di trarne insegnamenti per il futuro, non solo della scuola, bensì anche della società, italiana come europea.

I whistleblowers, una nuova forma di erosismo

2.Una Paideia per il XXI secolo

Aprirsi a rami nuovi della cultura, dalla storia della scienza alla paleontologia comparata, dalle religioni orientali alla cibernetica, non dovrebbe significare dimenticare quella cultura classica europea, bensì integrarla in modo fattivo nelle realtà attuale e in fieri, così come hanno fatto il Giappone e la Cina sotto lo slogan: “tecnologia occidentale, valori orientali”.

Operazione riuscita, almeno parzialmente, in tutte le aree “non Occidentali” (la maggioranza del mondo: Asia, Africa, America Latina, vale a dire 7 miliardi di persone), dove si sono rivalutati buddismo, induismo, Islam, taoismo, confucianesimo, scintoismo, indigenismo, sciamanesimo… Solo  in  Occidente qualcosa di simile non sta invece accadendo, perché questo è lacerato dalla divisione interna alla sua potenza egemone, gli USA, fra l’”eccezionalismo Americano”, da un lato, e i “non-whites”,dall’ altro, che già Tocqueville vedeva come foriera di una futura disgregazione, che paralizza ogni rinnovamento culturale.

La cultura classica veicolata dal liceo classico si riallacciava essenzialmente all’ idea ateniese di Paideia, che, attraverso un adeguato bilanciamento di “gymnazein” e “philosophein”, mirava alla formazione di un cittadino “optimo iure” della Repubblica, “kalos kai agathos”, vale a dire sano e valente nell’arte della guerra, ma al contempo saggio e capace di partecipare attivamente alla vita della polis: come si evince dal libro di Croce, una sintesi fra  Achille e Ulisse. Un sincretismo  come quello degli altri Continenti vorrebbe dire, per l’ Europa, rivalutare la classicità europea, come altri hanno fatto con le loro “classicità”, aggiungendovi il Cristianesimo:  una forma di “sincretismo” ben presente in Cina e in India.

Inutile invece ricordare quanto le pedagogie occidentali dell’ultimo secolo si siano allontanate dall’ ideale classico, e poi liceale, di educazione “elitaria” (l’armonia raggiunta attraverso la disciplina, lo sforzo e l’esercizio),  a causa della visione traumatica della Modernità da esse coltivata, che sfocia nella Società delle Macchine Intelligenti.

Per contrastare le rigidità della società borghese, si era perseguito in un primo tempo  l’ideale romantico dell’ “autenticità”(Steiner, Montessori). Dopo di che si era passati alla critica delle culture classica e cristiana  in nome del pragmatismo e della democrazia (la Riforma Bottai, la Scuola di Barbiana). Si arrivava così all’ educazione antiautoritaria (Reich, Fromm), con i suoi corollari della fluidità di genere  (Marcuse) e della “cancel culture”(Chakravarti Spivak, Bhabha), la quale mira proprio a cancellare,  a favore della maggioranza americana “non WASP”, quella cultura classica europea che i WASPs avevano originariamente  imposto in America come dominante. Operazione  che ha certamente un senso compiuto, di critica alla Modernità,  nelle Americhe, nate dalla colonizzazione europea, dalla Leyenda negra, dalla Tratta Atlantica e dal “Trail of Tears”. Essa però, in Europa, ha il significato opposto: la sostituzione,  a quel che resta della cultura europea tradizionale, di un misto di culture WASP e Woke, ma pur sempre americane, e quindi estranee alle nostre tradizioni.

Imporci gli effetti indiretti di una diatriba intestina americana aggiunge così, per noi, il danno alle beffe. La nuova cultura europea dovrebbe essere indifferente a queste contraddizioni, che le sono estranee, salvo, semmai, utilizzarle strumentalmente per sfuggire alla cappa delle retoriche occidentalistiche.

Purtroppo, non è materialmente possibile imporre con la bacchetta magica il ritorno puro e semplice alla scuola di Gentile, né alla civiltà contadina delle “lucciole” esaltata da Pasolini, né tanto meno ad epoche e climi culturali più lontani, come dimostrato anche, indirettamente, da esperienze di altri Continenti, come il congresso culturale di Kyoto durante la Seconda Guerra Mondiale.

Vanno però fatti salvi i principi di base, i paradigmi “immutabili” o, almeno, plurisecolari della Tradizione europea (e, più in generale, dell’Epoca Assiale: spirito, ordine, armonia, eccellenza, famiglia, cultura), mentre i contenuti non possono non variare: cultura contemporanea e comparatistica, Intelligenza Artificiale…

La casa di Nietzsche a Sils Maria

3.Dostojevkij e Nietzsche

Impossibile estrarre, dall’ enorme massa delle opere di questi due autori, pochi, ma inequivoci, elementi, che permettano d’ individuare esattamente la loro posizione e funzione nel passaggio fra Ottocento e Novecento. In effetti, essi sono così cruciali proprio perché esprimono a tal punto i diversi volti della Modernità, che nessun movimento culturale importante del XX e del XXI secolo ha potuto prescindere da essi.

In genere , si suol dire banalmente che essi condividono il concetto che “se Dio non esiste, tutto è permesso” -frase che per altro avrebbe formulato per primo Stirner, e che comunque non è che la riformulazione in chiaro della tematica cartesiana e pascaliana del “dubbio sistematico”-. Cartesio infatti postulava l’esistenza di Dio quale garanzia di una verità obiettiva. Ma, con ciò, apriva la strada all’ abbandono della “Ragion Pura”, che dovrebbe valere di per sé, indipendentemente dalle esigenze gnoseologiche degli umani. Se, però, la “Ragion Pratica” è solo “trascendentale”, l’Umanità è libera di forgiarsi quella verità che più le si confa’. A quel punto, “non esistono più fatti, ma solo interpretazioni”, sospinte dalla “Volontà”. Volontà che non può essere solo “di vita”, bensì di qualcosa di più, “Volontà di Potenza”. Anche le scelte umane, e ciò che a quelle scelte sottende, i “Valori”, sono aspetti della Volontà di Potenza. Perciò, non è possibile formulare un sistema di valori stabile e condiviso: tutto è in movimento, nello spazio e nel tempo (“panta rhei”). Coloro che pretendevano che il sistema dei valori fosse stabile nel tempo e nello spazio affermavano che questo era stato stabilito da Dio (o dagli Dei), e fosse stato dato da questo (o da questi) agli uomini, come nella Stele di Hammurabi, o per i 10 Comandamenti. Ma tanto il Codice di Hammurabi, quanto i Dieci Comandamenti, erano precisamente il contrario di un sistema stabile. Proprio il Genesi narra che le originarie Tavole della Legge furono distrutte da Mosè per sdegno del fatto che gli Ebrei adorassero il Vitello d’Oro, e sostituite con tavole scritte di suo pugno, dove il primo comandamento suonava, come oggi ”Io sono il Signore Dio Tuo, non avrai altro Dio all’ infuori di me”. E, come prima cosa, Mosè fece una strage di Israeliti, colpevoli di avere adorato il vitello, infrangendo  così il comandamento “non uccidere!”.

La storicità dei valori esisteva dunque già prima di Nietzsche e Dostojevskij(pensiamo per esempio a Erodoto o a Gioacchino da Fiore), sicché il “relativismo etico” non è certamente un ‘invenzione moderna. Ciò che è invece nuovo è che questo relativismo non viene più affermato in forma implicita (“obiter dictum”), bensì sottolineato in modo polemico. La teoria della diversità dei valori fra l’aristocrazia e  gli schiavi, che già esisteva, per esempio, nelle opere della “rivincita aristocratica” dei primi del ‘700, ma solo in Nietzsche diventa un vero e proprio motore della Storia, a partire dall’affermarsi degli Indoeuropei, attraverso l’Induismo, l’Ebraismo, e il Cristianesimo, fino al moralismo progressista contemporaneo a Nietzsche. Parallela alla visione di Nietzsche è la visione della degenerazione del Cristianesimo in Dostojevskij, dove il messianesimo laico del progressismo viene identificato con il mito dell’ Anticristo, una pseudo-salvezza materialistica che pretenderebbe (con i risultati catastrofici che oggi si vedono) di negare il carattere drammatico dell’ esistenza umana.

Per ambedue questi autori, l’Apocalisse non è un incidente di percorso, bensì un destino ineluttabile. Ambedue non propongono veramente una soluzione, perché non riescono ad uscire veramente dal pessimismo e dal determinismo da cui vorrebbero liberarci. I loro epigoni continueranno perciò a dibattersi negli stessi problemi. Tra l’altro, Nietzsche avrebbe voluto tradurre in pratica le proprie idee, fondando un “partito della vita”, che avrebbe dovuto travolgere tutte le classi dirigenti d’Europa, dalle Chiese agl’Imperi Centrali ai socialisti. La pazzia interruppe però fan dall’ inizio questo progetto.

In Dostojevskij, la progettualità politica consisteva nell’adesione all’idea ortodossa della Terza Roma, che avrebbe sconfitto l’Anticristo, salvando l’ Europa.

Nonostante le difficoltà di realizzazione pratica delle idee dei nostri due autori, non si può negare che la loro capacità di esprimere nel modo più efficace la tensione apocalittica della Modernità abbia fatto sì che ad essi si siano ispirati buona parte degli autori più significativi del Novecento, da Thomas Mann a D’Annunzio, da Martin Buber a Ahad haHam, da Tsiolkovskij a Stefan Heim, da Lu Xun a Heidegger, da Wittgenstein a Spinelli, da De Finetti a Saint Exupéry.

Sono quindi i nostri autori  corresponsabili della Guerra Civile Europea e delle sue stragi? Probabilmente sì, perché anche i politici, e, in particolare, i politici totalitari, hanno fatto ampio ricorso a concetti tratti dalle loro opere. Nessuno ha ancora proposto di bandirli in nome della Cancel Culture, perché non hanno avuto importanti effetti pratici in America e nei confronti dei popoli di colore, sui quali si basa la cultura “Woke”. Nessuno è andato ancora a ripescare, per esempio, il giudizio di Nietzsche sull’ eccidio degli Herero. Perfino quando, nell’ ondata russofoba, si è tentato di boicottare Dostojevskij, come nel caso delle conferenze di Nori, la reazione è stata così violenta che si è rinunziato a procedere oltre.

Anche in questo l’Europa è diversa dall’ America. Un’ eventuale damnatio memoriae degl’intellettuali che, nel corso dei millenni, hanno incarnato punti di vista diversi da quelli attuali eliminerebbe tutte le basi della civiltà europea, da Sinliqiunnini alla Bibbia, da Omero a Ippocrate,da a Cesare a Orazio,da Sant’Agostino ai poeti provenzali, da Lutero, a Machiavelli, da Voltaire a Wagner, da Florenskij a Schmitt…

Proprio per questo, la storia della cultura europea dopo il 1914 è così difficile da scrivere. Per questo occorrerebbero, al contempo, un enorme coraggio e un’inesauribile acribia. Se, però, vogliamo che quello sforzo serva a qualcosa, dovremmo affrontare proprio questo tema, che è quello che dovrebbe distinguerci dall’ America, giustificando l’esistenza di un’Identità Europea che non sia se non una brutta copia di quella americana. Secondo il “canone occidentale”, l’America, attraverso la conquista e l’occupazione dell’Europa avrebbe provvidenzialmente liberato  quest’ultima dalle sue pericolose tendenze: identitarismo, spiritualismo, elitarismo, cetualismo, estetismo. Per questo, contraddicendo a tutti gl’insegnamenti della storia, l’occupazione e la subordinazione dell’ Europa dovrebbero durare in eterno. Se l’Europa vuole sopravvivere, deve uscire da questa trappola concettuale.

Per fortuna, provvidenzialmente, la Cancel Culture sta travolgendo anche il moralismo puritano: l’America non è più la Fine della Storia: dalla nuova Guerra Civile Americana sta scaturendo una visione problematica della missione dell’America, in cui anche la cultura europea potrà inserirsi per rivendicare una propria autentica legittimità.

Un aspetto notevole dell’opera di Croce è la sua inalterata affermatività. Per dirla con Nietzsche, il sui “dire sì” (“bejahen”).Per questo, essa si limita, ed efficacemente, a “dire sì” a tutto ciò ch’essa considera come facente parte dell’ Identità Europea, senza mai soffermarsi su ciò che ad essa è estraneo, o ne costituisce un limite. Il che è importante in un’era esclusivamente critica come la nostra, in cui è così difficile infondere negli Europei una qualche forma di entusiasmo, di “volontà di vita”. E, tuttavia, spesso quest’obliterazione del negativo fa perdere anche di vista ciò che è specificamente europeo, e, soprattutto, rende difficile scrivere l’ultima parte di questa storia, quella dopo il 1914..

Intanto, viene sfumata l’ormai abituale contrapposizione fra Greci e Persiani . Poi, Roma e i Barbari, Roma, Bisanzio, l’Euroislam, la Terza Roma. Infine, le pretese della modernità americana e tecnocratica. Tutte cose che ancora incidono, eccome, sull’ identità degli Europei e sui loro sforzi per costituirsi quale autonomo Stato-civiltà. In un momento in cui il recupero, grazie alla politica, delle tradizioni culturali europee permette finalmente un discorso più obiettivo sulla nostra storia, si richiede, a nostro avviso, anche un’adeguata messa in rilievo dell’ aspetto dialettico di questa identità. Certo, ciò renderà più sofferta la costruzione di una “memoria condivisa”. Ma è quest’ultima necessaria, o non è piuttosto sinonimo di un totalitarismo “soft”?

Infatti, quando parliamo di “Identità Europea” non pensiamo a una sorta di “Evangelo del popolo” come quello di Michelet, né a un testo di “educazione civica”, e nemmeno alla sostituzione di un’”Egemonia culturale patriottica” a un’”Egemonia Culturale della sinistra”. Pensiamo alla creazione, da parte di una minoranza attiva, di una nuova tematica, se necessario dialettica e variegata, da immettere sul mercato a condizioni di parità con  quelle oggi comunque dominanti a causa della vischiosità delle istituzioni organizzatrici del consenso: vertici politici e accademici, media, scuola, e della onnipervasività della cultura “Mainstream” globalizzata.

Oggi ci si preoccupa tanto della creazione di un’”Identità Nazionale”, che bene o male già c’è, mentre latita una vera cultura europea, con la quale non va confusa la pasticciata narrazione “occidentale” che oscilla (in attesa di ordini precisi sa Oltre Oceano), fra il suprematismo occidentale e la cultura Woke.

La prigione di Pound in Italia: materializzazione della “Gabbia di Acciaio” di Weber

5.Contributo della cultura classica alla formazione dell’ uomo dell’ Era delle Macchine Intelligenti (l’Identità Europea del XXI Secolo)

Confesso la mia reticenza ad occuparmi di quest’ultimo soggetto, a causa della mia incompetenza, teorica e pratica, in materie così distanti come  la pedagogia, la cultura fisica, la genetica, la psicologia, la cibernetica, la storia delle tecnologie,  l’interfaccia uomo-macchina, l’ Intelligenza Artificiale. Ed è proprio su questi temi che competenze ed esperienze di persone come Croce dovrebbero essere appropriatamente valorizzate. Eppure, l’”Enhancement” (“Accrescimento”) dell’Umano di fronte all’ onnipresenza dell’ Intelligenza Artificiale è così centrale nelle questioni dell’ oggi, che ciascuno di noi dovrebbe fare ogni sforzo per reperire idee e risorse per poter rispondere a domande come:

-qual è il residuo di umanità che occorre preservare dalla grande ibridazione in corso, e perché?

-esistono tecnologie (come il “Block-chain”) che possono contrastare la necessaria centralizzazione nel sistema macchinico indotta dalla logica dell’ Intelligenza Artificiale?

-data la debolezza dell’ “uomo medio” nei confronti dell’ ecosistema digitale, non è forse necessario ricreare un “ecosistema umano” che supplisca alle insufficienze genetiche con una visione “gerarchica” delle competenze?

la predestinazione sociale  resa possibile dall’editing genetico (quale preconizzata da Huxley nel “Mondo Nuovo”) è veramente aberrante come generalmente si pensa, o non costituisce un’attualizzazione di quella logica castale che caratterizzava l’Ancien Régime, e ancora caratterizza l’Homo Hierarcicus in quasi tutti i Paesi del mondo (Dumont)?

-è possibile una scelta politica fra la Singularity Tecnologica e l’Umanesimo Digitale, o il destino dell’ Umanità è oramai scritto, così come  risulterebbe da talune interpretazioni dell’ Apocalisse, quali ad esempio quelle di Teilhard de Chardin, Anders e  Kurzweil?

Una volta data una risposta a queste domande, ed eventualmente accertata la possibilità di una scelta, come utilizzare la cultura classica per realizzare l’ “Enhancement”?:

-rifare i Kaloi kai Agathoi  accoppiando, alle classiche “agogé” e “schole”, anche l’editing genetico?;

-ristrutturare l’intero curriculum di studi, dall’asilo nido alle più elevate accademie, in modo da poter fare fronte all’esigenza sempre maggiore di conoscenze teoriche e pratiche, che dovranno accompagnare una profonda ristrutturazione della società;

-riprendere la scrittura di opere “classiche”, se necessario rivalutando l’uso attivo delle lingue classiche, con l’aiuto dell’ Intelligenza Artificiale?;

-estendere il concetto di “classico” ai classici di altre culture, da Confucio a Laotse, a Sun Tsu, a Buddha, Valmiki, Firdauwsi..;.

-creare un “canone europeo” che comprenda anche la parte nascosta della cultura europea, come le culture di al-Andalus e dell’ Impero Ottomano, l’epica nordica e russa, i Progetti Europei di Crociata, le “lettere curiose e divertenti” dei Gesuiti dalla Cina, il Romanticismo dell’ Europa Orientale, il Cosmismo russo, l’Eurasiatismo.

E’ nell’ ottica di quest’azione che varrebbe la pena di tentare di riempire la lacuna circa l’ultima fase della storia dell’ identità europea, se del caso con intenti e accenti diversi dalla prima, dato il necessario intreccio di fatti, interpretazioni ed azione.

SCRIVERE UNA STORIA POLIEDRICA DELL’UMANITA’

commenti all’articolo di  Federico Rampini sul Venerdì di Repubblica dell’11 giugno.

Federico Rampini

Le urgenze dell’attualità  politica (il diktat anti-cinese e anti-russo di Biden; la Conferenza sul Futuro dell’ Europa), pongono con forza la questione del se la “memoria condivisa” europea, quale  comunicataci dall’accademia, dal discorso pubblico, dalla scuola, dall’ editoria politica sia coerente con le esigenze vitali degli Europei nel nostro secolo,  quando essi sembrano  condannati a prendere posizione nella lotta fra la tecnocrazia occidentale e le grandi civiltà dell’ Eurasia.

La cultura di Yamaya, antenata degli Indoeuropei

1.La presa di posizione di Rampini

Per parte nostra, abbiamo già risposto nei post precedenti che così non è. Ora, prendiamo atto con piacere che Federico Rampini ha preso autorevolmente posizione sostanzialmente  nello stesso nostro senso.

Il noto articolista, prendendo come pretesto recenti scoperte archeologiche avvenute in Egitto e in Cina, parte dall’ ovvia constatazione che tutto ciò che proviene dall’Estremo Oriente ha, da noi, troppo poco rilievo rispetto a ciò che accade in “Occidente” (includendovi anche l’ area mediterranea), e giungendo alla conclusione che:“Perfino il modo con cui accogliamo le scoperte archeologiche risente ancora della nostra auto-referenzialità.”

Gli Europei di oggi vivono infatti all’ interno di una “bolla” conoscitiva, costruita essenzialmente in America, dalle lobbies “democratico-radicali”, da Hollywood, dalle grandi università anglosassoni, dal mainstream culturale del Dopoguerra (espressionismo astratto, fondazioni delle Grandi Famiglie, GAFAM,  Politicamente Corretto, controculture californiane, “giornaloni” filo-americani,…).

Dopo l’Esistenzialismo, l’Europa non ha più creato creato nessuna nuova corrente culturale, e le stesse istituzioni culturali che pretendono di essere “Europee”, come il Collegio d’Europa e l’Istituto Universitario di Studi Europei, non fanno che amplificare correnti culturali americane (sono, per dirla con “Le Monde Diplomatique”, “bibéronnées dans les campus américains”.

Come scrive Rampini,”..la storia e la geografia non sono discipline neutre. Riflettono una visione del mondo, un sistema di valori, l’idea che ci facciamo del nostro posto nel cammino delle civiltà umane”. Perciò, stante il ruolo subordinato dell’Europa all’ interno del microcosmo “occidentale”, è naturale che il modo in cui i libri di scuola europei descrivono la storia mondiale derivi in ultima analisi  dall’ orientamento impresso alla lettura della storia, dai corsi di “Western Studies” inaugurati alla Columbia University durante la Prima Guerra Mondiale: “tradizione giudeo-cristiana, civiltà greco-romana” appropriate dal Mainstream per farli divenire la premessa della Riforma, delle Rivoluzioni Atlantiche, della Liberal-democrazia e della Fine della Storia, cioè di una loro Storia mitizzata degli Americani  quali popolo eletto a salvatore del mondo.

Lo spazio dedicato alle civiltà extra-europee, ma  anche alla maggior parte della storia europea (preistoria, Barbaricum, Euro-islam, Europa Orientale, dispotismo illuminato, decadentismo, “Dissenso” nell’ Est) è veramente modesto rispetto a ciò che “serve” al discorso euro-atlantico (la “democrazia” ateniese, il “monoteismo” ebraico, le “libertà germaniche”, il “capitalismo” dei Comuni italiani, i “Dibattiti di Putney”…).

Le grandi civiltà dell’ Epoca Assiale

2.Una prospettiva post-moderna

L’idea stessa di “storia” ha fatto fatica ad affermarsi nel tempo, rispetto al rito, al mito, alla genealogia, all’archivistica, alla poesia, all’ annalistica, all’ epigrafia. I primi. albori della storia possono essere rintracciati, infatti, negli annali, nel disegno, nella contabilità, nelle epopee.

All’ apogeo dell’ Era Assiale, con l’invenzione della scrittura, vengono redatte la Bibbia, le storie di Erodoto e di Sima Qian. Queste narrazioni, per quanto grandiose, raccontano  la storia dell’ Umanità attraverso la lente di una sola civiltà privilegiata: a seconda dei casi, quella ebraica, , quella ellenica, quella cinese. Nel Medioevo, la storiografia per eccellenza  sarà la Grande Narrazione biblica (ripresa, in fondo, anche dall’ Islam).

Hegel per primo tentò di scrivere una storia universale che andasse al di là di quella della civiltà cristiana, inverando, così, il programma di Lessing del “Cristianesimo quale educazione dell’ Umanità”. Sulla base del modello hegeliano, Kang You Wei, Spengler e Toynbee tentarono l’opera, veramente ciclopica, di una “storia universale”.

Oggi, nonostante gl’intensi sforzi per  scrivere storie di aree sempre più vaste, per realizzare comparazioni, per smitizzare la centralità della storia occidentale, quest’ultima è rimasta  lo standard  intorno a cui hanno ruotato le storiografie di tutti i Paesi, anche quando esse sottolineano il ruolo di aree del mondo diverse dalla propria. Tuttavia, in un momento in cui dunque ancora manca una storia veramente universale, permangono più che mai i difetti di impostazioni anche solo parzialmente etnocentriche.

Innanzitutto, i problemi più urgenti dell’oggi, come la transizione verso le macchine intelligenti, gli scontri di civiltà, le grandi migrazioni e la crisi ambientale non possono essere compresi soltanto all’ interno della cultura “occidentale” (né di nessun’altra cultura particolare). L’idea di un unico ciclo, che va dalla Creazione all’Apocalisse, è specificamente cristiana e islamica, mentre l’Ebraismo ortodosso non conosce una vera Apocalisse, e conserva invece tracce di una doppia creazione, particolarmente evidente, questa,  nello Zoroastrismo, quale eredità occulta dello Zurvanismo “duodecimano”, che a sua volta mantiene una traccia dei 44.000 kalpa della tradizione vedica. Ora, è  chiaro che il significato dell’attuale transizione risulta diverso nelle diverse tradizioni apocalittiche, e ancora diverso nella cultura sinica, dove non esistono, né Creazione, né Apocalisse. Per questo è certamente utile confrontarsi con queste diverse visioni, per vedere quanto, del “mainstram”, non sia che un riflesso occulto di paradigmi etnocentrici che si pretenderebbero superati, e dove, invece, sia possibile utilizzare paradigmi comuni.

In secondo luogo, i robots hanno un significato diverso, rispetto agli archetipi cristiani,  nello Shintoismo o nell’ Ebraismo. Infine, le migrazioni sono una cosa completamente diversa se viste dai singoli Paesi: per gli Stati Uniti, esse sono una continuazione dell’appropriazione coloniale delle terre degli Indios, dei Canadesi, dei Messicani, oltre che della Tratta Atlantica;per gli Europei, sono un sequel degl’Imperi coloniali; per gl’Indiani e per i Centro-Asiatici, sono legate alle  antiche catastrofi atmosferiche di cui parlano i Veda e le Muqaddimat di Ibn Haldun, e, infine, sono da sempre un fenomeno tipicamente cinese, con le periodiche migrazioni dei popoli delle Steppe verso le Piane Centrali e il continuo  spostamento verso il mare dei Cinesi meridionali  (i “Nanren”), ancor oggi il principale movimento migratorio del Pianeta.

In una fase di tumultuosa riscoperta ovunque delle proprie radici (in USA,le ricerche genealogiche; in Cina, il movimento Han Fu e il “turismo rosso”; in Europa Orientale, nell’ Islam e in India, il revival religioso…) è difficile trattare con Paesi di altri Continenti se non si conoscono e rispettano le loro tradizioni.

Inoltre, conoscere le tradizioni e le culture degli altri popoli è oggi più che mai indispensabile per comprendere le proprie. Come comprendere gl’influssi asiatici e mediterranei sul mondo classico senza studiare il Medio Oriente e gli antichi Indoeuropei? come comprendere il Cristianesimo fuori dal contesto dell’intera Epoca Assiale, delle sue varianti orientali, della sua presenza in India, in Cina, in Sudamerica e in Africa?

Come capire la storia dell’Europa Moderna senza il colonialismo e le Nazioni di Emigranti, senza la rinascita d’Israele, India, Cina ed Islam? Senza confrontarsi con la storia e la politica degli Stati Uniti, né con la guerra tecnologica in corso?

Sima Qian, “il Grande Storico”

3.La storia: per chi e per che cosa?

A nostro avviso, la storia dovrebbe servire innanzitutto per farci comprendere come siamo arrivati fin qui, quali forze sono state e sono in azione, quali dilemmi ci attendono. Fondamentali sono, da un lato, le vicende della tecnica, e, dall’ altra, l’essenza delle tradizioni storiche.

Dal primo punto di vista, è essenziale comprendere come e perchè la vita delle diverse società sia stata sempre intessuta di tecnica, e,  sotto il secondo, che cosa le civiltà del passato abbiano avuto in comune, che può essere definito come tipicamente umano, e vada confrontato e giudicato nel rapporto con la tecnica. La tecnica va vista quindi nelle sue radici materiali, psicologiche e sociali, nel suo intreccio con le vicende sociali, che partono da una ricerca di senso.

La tecnica influenza certo le diverse società (di cacciatori-raccoglitori; di agricoltori; le civiltà gerarchiche, con capi, sacerdoti, guerrieri, lavoratori, mercanti; la società industriale, della conoscenza e della sorveglianza. Nello stesso tempo, le società si sviluppano intorno al linguaggio, alla religione, alla cultura, all’ etica.

La “storia” per eccellenza, fondata sull’inconscio collettivo dei popoli e sulla scrittura, raggiunge il suo apogeo all’inizio dell’“Epoca Assiale” dominata dalla cultura scritta mesopotamica dell’ Epopea di Gilgamesh e del Codice di Hammurabi, dalla Bibbia, da Omero e delle filosofia greca e cinese e della cultura indica e buddhista.

Già allora, i legami fra le diverse culture sono onnipresenti: fra  Elam, Persia, India, Cina,Tibet, Mesopotamia, Canaan, Egitto. Gl’imperi dell’Epoca Assiale sono collegati fra di loro dalla Via della Seta, lungo la quale corrono i manufatti, le religioni e le filosofie. Le letture della storia sono basate sulla dialettica fra le tendenze delle diverse aree.

L’era dei viaggi transoceanici si apre con le esplorazioni del cinese, tartaro e mussulmano Zheng He, con l’importazione in Europa d’invenzioni orientali e con la grande fioritura  degl’imperi orientali sotto i Ming, i Qing, i Mughal e gli Ottomani. I Gesuiti fungono da mediatori culturali, mentre  l’imperialismo forgia le identità europea, americana, latino-americana e cinese.

Lo sviluppo della tecnica rende poi possibile l’espansione dell’egemonia europea e americana, ma anche la rivalità fra gl’imperi occidentali e le guerre mondiali, che permettono la creazione dei “due blocchi” e la decolonizzazione.

La caduta del Muro di Berlino scatena l’espansionismo tecnologico americano, ma risveglia anche i popoli dell’Eurasia, prima paralizzati da ideologie troppo rigide. Si scatena la lotta per l’egemonia mondiale, non solo fra USA e Cina, ma anche con la Russia e l’Islam politico; fra, da un lato,  il progetto apocalittico delle Macchine Spirituali, portato avanti dall’”America-Mondo” sotto la spinta dei guru dell’ informatica, e, dall’ altro, una coalizione di fatto della maggior parte dei popoli del mondo, uniti dalla difesa delle tradizioni dell’ Epoca Assiale. La storia oggi dovrebbe permetterci  innanzitutto di rilevare i profili determinanti dell’ uno e dell’ altro schieramento.

La nozione ciclica del tempo nei Veda

4.Articolare i profili degli studi storici

Una notevole confusione negli studi storici è provocata dall’incapacità, nonostante i “Processi di Bologna”, da parte delle competenti istanze decisionali in materia scolastica, di articolare livelli adeguati e differenziati di studio della storia, a livello accademico, di scuola dell’ obbligo e secondaria, anche in modo diverso a seconda dell’orientamento degli studi.

Premesso che, in Europa,  l’attenzione per l’Identità Europea dovrebbe portare ad un peso molto maggiore degli studi storici nei curricula di tutti i cittadini, occorrerà anche trovare il modo di far coesistere lo studio della storia mondiale con quelle europea, nazionale, regionale e locale.

Mentre, poi, nella scuola dell’ obbligo non si pone un bisogno particolare di un’introduzione alla studio della storia, nella scuola media superiore e all’ Università quest’esigenza si pone imperiosa.

Infatti, nel grande disorientamento che regna in tutti i settori della cultura, e in considerazione, in particolare, delle grandi differenze di orizzonti che dovrebbero essere presi in considerazione per uno studio veramente transcontinentale, un’ introduzione metodologica è d’obbligo. Essa dovrebbe essere dedicata allo studio della filologia generale e comparata, della bibliografia, delle commistioni fra biologia, linguistica, archeologia, antropologia…

Una storia poliedrica

3.Lineamenti di massima di un programma di storia mondiale.

Anziché raccontare la storia come una vicenda unitaria, però basata paradossalmente solo sulla storia europea e poi americana, la nuova storia dovrà  basarsi sugli elementi comuni alle civiltà medio-orientale, vetero-europea, indica, sinica e precolombiana, seguendo l’iter simile del loro sviluppo, dalle prime presenze neolitiche, agli antenati mitici, alle città-Stato, agl’Imperi, alle religioni universali, fino al ravvicinarsi fra le grandi aree, a partire dall’impero mongolo e dai grandi viaggi oceanici.

Dovranno essere messe in evidenza le tendenze comuni, come quella alla nascita di Stati burocratici capaci di espansione transcontinentale; di culture eclettiche, come il Din-i-Ilahi della Corte di Akbar e la cultura gesuitica; la formazione delle società coloniali; il carattere “mondiale” delle guerre del ‘700 e dell’ ‘800; il rapporto fra Europa e resto del mondo; la crescita dell’America, della Russia, del Giappone; le lotte d’indipendenza di India e Cina.

Contrariamente a oggi, quando si tende a ricostruire la storia come un continuo passaggio da civiltà “inferiori” a “civiltà superiori”, si dovrà tendere a una narrazione quanto più possibile a-valutativa, e basata invece in grandissima misura sui punti di vista degli stessi protagonisti, e addirittura sulla lettura diretta dei testi che esprimono le concezioni storiche delle diverse culture, da Ippocrate a Confucio, da Virgilio a San Paolo, dal Bhagavad Gita a Sant’Agostino, da Ibn Haldun a Vico, da Hegel a Marx, da Nietzsche a Kang You Wei, da Mao a Spengler, da Toynbee a Eisenstadt, da Huntington a Kurzweil.

Alla luce di tutto questo, appare assolutamente appropriata lac questione del se non divenga necessaria una scienza storica più policentrica. Esagerata sembra invece la preoccupazione (frutto delle ossessioni ideologiche occidentali) che, in futuro, i nostri libri di storia li scriveranno degli autori cinesi.

Infatti, non va considerata certo una costante, bensì un’aberrazione contemporanea, che la storia venga scritta dal “Paese Guida” pro-tempore. I libri di storia dovrebbero essere scritti e pubblicati senza costrizioni in tutto il mondo, senza “memorie condivise”, e, soprattutto, senza imposizioni straniere.

I libri di storia futuri ce li scriveremo noi, in base alla nostra cultura, europea e mondiale.