MAKE EUROPE GREAT AGAIN?

Avviato il Semestre Ungherese dell’ Unione.

La tanto discussa presidenza ungherese dell’ Unione per il secondo semestre del 2024 ha scelto, come proprio simbolo, il cubo di Rubik e, come slogan, il simil-trumpiano “Make Europe Great Again”. Non si vede in ciò, né nel programma per il semestre ungherese, nulla di anti-europeo, come invece vorrebbero in tanti. Anzi, sembrerebbe che il Governo ungherese voglia condurre delle tradizionali politiche europeiste, come quella per la pace, quella per la competitività globale, quella per le identità culturali e le minoranze, con pari, se non maggiore, determinazione, di altre, precedenti, presidenze.

D’altro canto, l’Ungheria ha tradizioni di “europeità” non inferiori a quelle di nessun altro Paese. Tradizionalmente, una monarchia multietnica, comprensiva di Slovacchi, Rumeni, Szekler, Turchi, Cumani, Peceneghi, Alani, Croati, Bosniaci, Dalmati, Valacchi, Ruteni, Tedeschi, Ebrei, governata da dinastie europee come gli Anjou e gli Asburgo, ha dato all’ Europa apporti culturali importanti, come Liszt e Herczeg, e ha contribuito alla caduta del sistema sovietico con la rivolta del 1956 e con le riforme del 1989.

Anche la fondazione al Parlamento Europeo di un nuovo gruppo politico sovranista con Austriaci, Sloveni e Slovacchi, da Capodistria a Uzhgorod, evoca le tradizioni pan-europee dell’ Austria-Ungheria.

“I Pagani” di Ferenc Herczeg

1.L’Europa-alternativa all’ America-

In un momento in cui gli USA difendono con le unghie e con i denti il loro eccezionalismo, la Cina pretende di divenire la prima potenza mondiale e la Russia sta combattendo da due anni una guerra fratricida pur di non essere tagliata fuori dal “Grande Gioco”, sembra assolutamente illogico che nessuna forza politica o Stato membro (salvo, solo inizialmente, Macron) abbia innalzato il vessillo di un  sovranismo europeo.

Si conferma sempre più l’impressione che l’integrazione europea, votata per primo dal Senato Americano (senatore Fulbright) e finanziata dall’ ACUE (vicino alla CIA), avesse veramente per obiettivo quello di fare accettare in modo soft il declassamento dell’Europa, soprattutto rispetto agli Stati Uniti, un declassamento profetizzato da Washington, Whitman, Mazzini, Kipling e Trockij, e realizzato in pratica con il Piano Marshall, il Sessantottismo e, in ultimo, con i GAFAM. Uno degli anelli della “ragnatela” di istituzioni guidate dall’ America (Ikenberry). La pretesa di “avere realizzato ottant’anni di pace” sarebbe dunque solo una metafora per dire che abbiamo accettato di diventare  innocui, rinunziando a una nostra propria identità.

Il problema è che non è affatto vero che l’Identità Europea sia solo una brutta copia di quella americana, così come, in fondo, ci si vorrebbe far credere. Al contrario, è l’America ad essersi allontanata nel ‘700 dal “mainstream” della millenaria cultura europea, con la sua “passione per l’ eguaglianza”, così temuta da Tocqueville, con la “Super-soul” di Emerson, anticipatrice della Singularity Tecnologica e controbilanciata dall’ Uerbermensch nietzscheano, con la sua massificazione condannata da Kafka e da Céline, con la censura ideologica smascherata da Sol’zhenitzin e da Kadaré (oggi, il Politicamente Corretto, la Cancel Culture e la cultura Woke).

D’altronde, come ricordato da Luciana Castellina in “50 anni d’Europa”, il “capitalismo europeo” si distingue da quello americano per essersi formato, come già osservava Marx nei “Grundrisse”, in un contesto non già capitalistico, bensì feudale.Nessuna contraddizione fra questa dimensione “comunitaria” e il rifiuto di quell’ approccio utopico che, mirando solo a distruggere i parametri esistenti, ha per effetto la distruzione della stessa coesione sociale.Esempio tipico, l’approccio sindacale fondato su una pretesa  “autonomia di classe”, che ha portato, in Italia, all’assenza di una solida partecipazione dei lavoratori, e, come conseguenza, alla spoliazione, da parte degli azionisti, della nostra base industriale (cfr. casi FIAT e Alitalia)

Sarebbe dunque ora che si parlasse maggiormente della sovranità europea, certo in termini militari, ma, prima ancora, in termini culturali, sociali, politici, ideologici, finanziari ed economici. Purtroppo, fino ad ora i pochi che hanno tentato questa strada, da Coudenhove Kalergi a Olivetti, da De Gaulle a  Servan-Schreiber,  hanno dovuto sempre abbandonare le loro ambizioni.

Pan-Europa del conte austro-ungarico Coudenhove Kalergi

3.Orban vs. Macron

Ciò detto, esiste una strategia orbaniana per “Make Europe Great Again”, più efficace del progetto macroniano, che sta così miseramente naufragando, e sostitutiva dello stesso? O non si tratta anche qui dell’ennesimo patetico sforzo di pochi volenterosi che si sacrificano inutilmente per una causa immaginaria, come i Ragazzi della Via Pàl?

Il programma del Secondo Semestre fa giustamente riferimento al Cubo di Rubik, che, secondo il Governo magiaro , è significativo dell’abilità ungherese nel risolvere problemi complicati (pensiamo anche alla “penna Birò”). Tuttavia, il problema è che la debolezza europea ha radici più lontane, nel rapporto irrisolto fra la “poliedricità” etnica e sociale europea (Papa Francesco) e una “Translatio Imperii” ben più evanescente del corrispondente “Tian Ming” cinese. Ancor oggi, l’eredità imperiale europea è contesa, come dopo Diocleziano,  fra l’”Impero Nascosto” americano, la Terza Roma russa, il “Mavi Vatan” turco, la pretesa di egemonia culturale “romano-germanica” di Bruxelles, e, non ultima, l’ambizione del Vaticano di rappresentare un potere universale. Per giunta, il Patriarca greco di Costantinopoli ha usato il termine “Konstantiniyye” al posto di “Istanbul”e firmando il progetto di pace ucraino usando il simbolo imperiale dell’ aquila bicipite.

Come si vede, questioni ben al di sopra delle attuali beghe fra i partiti “sovranisti” al Parlamento Europeo, che, anzi, anche per opera di Orbàn, sono oramai frammentati in ben quattro gruppi in competizione fra di loro. Come scrive La Repubblica,In questo modo svanisce il sogno di costituire un “supergruppo” di destra cui aspirava anche la premier italiana. E l’inquilina di Palazzo Chigi proverà ancora oggi a evitare la quadrupla spaccatura. Sta facendo buon viso a cattiva sorte cogliendo qualche aspetto positivo. In primo luogo allontanare il sospetto di poter essere associata al “putinismo” di Orbán. Pericolo che comprometterebbe l’unica vera bussola di Fdi in politica estera durante questi due anni, l’atlantismo.

E poi potrebbe marcare l’idea che i Conservatori essere definiti di estrema destra visto che alla loro destra ci sono altri due gruppi. Ma è solo una autoassoluzione. Resta il fatto che i sovranisti stanno perdendo la prova dell’unità e presentandosi così divisi non rappresentano nemmeno potenzialmente una alternativa.”

In realtà, l’idea stessa del “sovranismo europeo” è viziata dal richiamo a un’era mitica, che non è mai esistita. Se è chiaro che “l’America era grande” nel mondo unipolare subito dopo la caduta del Muro di Berlino, e la Cina “era grande” al tempo dell’Impero, quand’è che “l’Europa era stata grande”? Forse nella Belle Epoque, quando essa era travagliata dalle Guerre Balcaniche, la Spagna veniva sconfitta dagli USA e la Russia dal Giappone? Oppure al tempo del Maccartismo, quando semplicemente si trasformò l’industria militare dell’ Asse in industria produttrice di beni di consumo?

La nostra grandezza, se ci sarà, sarà nel futuro.

L’identità europea non è cominciata ieri

4.Le dialettiche storiche dell’ Europa

D’altronde, l’affermazione di un eccezionalismo europeo, per esempio in Nietzsche e in  Coudenhove Kalergi, è stata sempre limitata e aleatoria. Una buona base di riflessione, un punto di partenza. Certo, non un punto di arrivo. Il “Partito della Vita” di Nietzsche si perse per strada a causa della follia sopravvenuta del suo ideatore, mentre  Paneuropa perdette ogni credibilità dopo la Seconda Guerra Mondiale, venendo scavalcata dal progetto “funzionalistico” dei Governi, abilmente appropriatosi della retorica federalistica.

Una seria riaffermazione dell’Identità Europea presupporrebbe una riflessione  approfondita sulle dialettiche storiche  dell’Europa prima dell’ integrazione post-bellica, fra le radici orientali (nelle steppe e nel Medio-Oriente), e le tradizioni autoctone  dei Cacciatori-Raccoglitori e del Barbaricum, fra le “Migrazioni di Popoli” e i monoteismi mediterranei, fra la Pasionarnost’ orientale e il messianesimo occidentale.

Purtroppo, questa riflessione, avviata, nel corso del tempo, da una serie di autori, non ha avuto fino ad oggi seguito, né fra l’Intelligentija, né fra i politici, né nell’ opinione pubblica.

Kadaré ha sviluppato il rapporto fra Eschilo e l’identità europea

5.Kadaré e l’identità europea

Ad esempio, il primo giorno della presidenza ungherese è morto, quasi inosservato,  uno degli scrittori che più hanno contribuito al dibattito sull’ Identità Europea, l’albanese  Ismail Kadaré, autore, oltre che di tanti romanzi, anche di saggi come “L’identità europea degli Albanesi “ e “Eschilo il gran perdente” che ha come obiettivo quello di rintracciare la continuità fra lo spirito tragico della Grecità e la cultura popolare albanese, incentrata sui valori “tribali” della Besa (“fiducia”) e del Kanun (“legge tradizionale”).  

Si tratta di temi essenziali per l’identità europea, a cui avevamo dedicato anche il nostro libro “De Moesia et Illirico”, incentrato sulla ricerca di un’Identità Balcanica quale parte integrante ed essenziale di quella europea.

A causa del suo rapporto non facilissimo con il regime di Enver Hoxha, Kadaré era stato, e viene  tuttora descritto, come un “dissidente”, quando si dovrebbe parlare piuttosto di “emigrazione interna” come nel caso di Juenger. La realtà è che egli aveva espresso benissimo (per esempio in “Chi ha riportato Doruntina?” e “l’Inverno”) la cultura sostanzialmente nazionalista e tradizionalista della società comunista albanese, non dissimile per altro da quella di tutti gli altri regimi dell’ex blocco sovietico.

Quando Kadaré era venuto a Torino, gli avevo chiesto, paragonandolo a Sol’zhenitzin, perché, finito il socialismo reale, fossero finiti i grandi letterati dell’ Est. Nessuna risposta.

Purtroppo, il “Mainstream” attuale riesce a vedere tutti i fatti sociali solo attraverso le lenti deformanti dell’ideologia progressista-democratica, secondo cui esisterebbero  sempre e ovunque due sole posizioni: quella progressista, che vede ogni fatto umano come inserito in un progresso indefinito, dalla naturale irrazionalità,  a una fase finale retta dal razionalismo utilitaristico, che porterebbe alla fine di tutti i conflitti, ma, in realtà, consiste nel trasferimento del potere agli algoritmi, e quella dei “Conservatori”, che si sforzano inutilmente di rallentarlo, ma  alla fine restano sempre sconfitti. Tutti gli altri valori e punti di vista sono irrilevanti, e vengono schedati solo sulla base di quel metro. Così, non si comprendono i fenomeni più rilevanti della storia culturale, come, appunto, Kadaré. Il quale aveva reagito giustamente al colonialismo culturale delle critiche per la sua partecipazione al Parlamento albanese e all’ Associazione degli Scrittori.

Tanto i pretesi “Progressisti” quanto i pretesi “Conservatori” sono danneggiati da questo circolo vizioso, che non permette loro di conseguire nessuno degli obiettivi che essi sembrano proporsi, perdendo così sempre più di credibilità nei confronti degli elettori, che trovano, nell’ astensione, l’unico strumento per manifestare il loro desiderio di alternative radicali.

Come sempre, invitiamo i nostri quattro lettori a guardare al di là di questo schema semplificatore, cercando di vedere la reale complessità delle tradizioni culturali europee, come per esempio quella dei popoli pre-alfabetici, ancora presenti nelle aree uralica ed artica; dei popoli delle steppe, ai margini della Russia, dell’Ungheria, dell’ Ucraina, della Turchia; quella cattolica-romana; quella slavo-ortodossa; quella euro-islamica; quella mitteleuropea; quelle atlantica e iberica…

Alla luce di questa prospettiva, le forze che a torto o a ragione vengono considerate alternative allo stato attuale delle cose dovrebbero preoccuparsi su come divenirlo davvero, esprimendo veramente le tendenze più profonde dei nostri popoli, delusi dalle promesse di pace e prosperità dell’Occidente (l’”Alba Bugiarda”di Grey)così come dall’utopia irrealizzabile del comunismo (“il Dio che ha fallito”di Silone).

Non per riesumare, come dice il “mainstream”, il “nazifascismo”, bensì per permettere finalmente alla cultura europea di esprimere liberamente le proprie aspirazioni proibite, come nelle visioni geopolitiche eurasiatiche dei Gesuiti e di Leibniz (i “Novissima Sinica”); nella critica di Nietzsche e di Simone Weil contro la deculturazione dell’Occidente; nelle idee sociali di Toniolo, d’ Annunzio e Ugo Spirito concretizzatesi nel “Modello Renano” teorizzato da Michel Albert(la “partecipazione” , la “cogestione”)…Vedi il nostro libro “Verso le elezioni europee”.

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Tutte cose che c’erano negli originali progetti europei, e che sono andate misteriosamente perdute per quella colpevole “Eterogenesi dei Fini”,  che dobbiamo smettere di tollerare.

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