DI MARCELLO CROCE,
Ottima base di riflessione per un piano formativo europeo
La travolgente evoluzione (o involuzione) storica dell’ Europa, in corso sotto i nostri occhi, rivela sempre più l’esigenza -anzi, l’urgenza imprescindibile-, di un’approfondita azione culturale di rinascita del Continente, che parta dalla demistificazione della storia “mainstream”, prosegua con la rivisitazione alla luce del presente di tutte le branche del sapere e della creatività umane, e sfoci in un progetto pedagogico di un livello adeguato per poter subentrare ai sistemi educativi nazionali – ben consolidati ma oramai sorpassati, da un lato, dal carattere sempre più pluriculturale del sapere, e, dall’ altro, dal sopravvento dell’ Intelligenza Artificiale-.
Si richiede pertanto, da parte degl’intellettuali europei, un’opera veramente ciclopica, di ricerca e di creatività, per opporre, alla “società globalizzata”, una cultura poliedrica adatta all’ Europa del XXI Secolo.
1.La cultura italiana ed europea a cui siamo stati educati
Il pregevole libro di Marcello Croce si pone nella prospettiva della fase iniziale di questo processo, “fotografando” per così dire, il nocciolo duro della tradizione culturale europea, quale espresso, in particolare, dal liceo classico di matrice gentiliana, che, nonostante le molte pretese riforme avviate già in epoca fascista (la “Riforma Bottai”), è rimasto essenzialmente lo stesso da ben un secolo, dimostrando, come minimo, una incredibile solidità di impianto, capace di attraversare regimi ed epoche storiche.
La visione che ci ha dato il liceo classico era essenzialmente letteraria, costruita innanzitutto intorno alle letterature greca e romana, poi anche, in minor misura, alla filosofia europea e ai “Grandi” della letteratura italiana, con qualche modestissimo sprazzo di culture europee, tutto ciò accomunato dall’ iniziale afflato “classicistico”. Pur rappresentando questa cultura solo una parte assai limitata delle infine correnti che formano l’identità europea, essa può comunque essere considerata come una buona posizione intermedia fra il subconscio ancestrale indoeuropeo e il modernismo, fra le radici medio-orientali e il mondo atlantico, fra il politeismo e messianesimo immanentistico (chiliasmo) della Postmodernità.
Nel libro di Croce, come si faceva nelle scuole ancora cinquant’anni fa, la storia della letteratura (ma anche la storia tout court) , si arrestavano alla Prima Guerra Mondiale, quando l’immagine unitaria della cultura europea fondata sull’umanesimo incominciava a incrinarsi, sotto le spinte del relativismo, del culto dell’azione e del progresso: Nietzsche e Dostojevskij, con i quali significativamente anche Croce arresta la sua narrazione.
E’il “Mondo di Ieri” esaltato da Stefan Zweig, a cui alcuni dei Padri Fondatori dell’ Europa si ispiravano, anche se già a cavallo della Guerra Civile Europea s’ imponevano prepotentemente altre istanze (appunto, il nietzscheanesimo, il futurismo, i totalitarismi, i progressismi..), alle cui sirene alcuni di tali Padri Fondatori non erano indifferenti. Assolutamente azzeccata, quindi, l’idea di chiudere il libro con Nietzsche e Dostojevskij, che hanno espresso con efficacia ineguagliata (anche se ancora all’ interno del vecchio culto della forma “classica”), le inquietudini del tempo nuovo, ponendosi, così, come cerniere fra il XIX e il XXI secolo.
Per questo, il libro, così come la cultura “liceale” che lo ispira, costituisce una base ineguagliabile per confrontarsi con il presente, inteso come l’ultimo secolo – appunto, quello successivo alla Riforma Gentile-. Secolo in cui è accaduto tutto e il contrario di tutto, spezzando l’apparente armonia della “Welt von Gestern”, già sotterraneamente incrinata. Ci è così possibile valutare appieno la distanza fra la scuola gentiliana e la cultura ufficiale di oggi, al fine di trarne insegnamenti per il futuro, non solo della scuola, bensì anche della società, italiana come europea.
2.Una Paideia per il XXI secolo
Aprirsi a rami nuovi della cultura, dalla storia della scienza alla paleontologia comparata, dalle religioni orientali alla cibernetica, non dovrebbe significare dimenticare quella cultura classica europea, bensì integrarla in modo fattivo nelle realtà attuale e in fieri, così come hanno fatto il Giappone e la Cina sotto lo slogan: “tecnologia occidentale, valori orientali”.
Operazione riuscita, almeno parzialmente, in tutte le aree “non Occidentali” (la maggioranza del mondo: Asia, Africa, America Latina, vale a dire 7 miliardi di persone), dove si sono rivalutati buddismo, induismo, Islam, taoismo, confucianesimo, scintoismo, indigenismo, sciamanesimo… Solo in Occidente qualcosa di simile non sta invece accadendo, perché questo è lacerato dalla divisione interna alla sua potenza egemone, gli USA, fra l’”eccezionalismo Americano”, da un lato, e i “non-whites”,dall’ altro, che già Tocqueville vedeva come foriera di una futura disgregazione, che paralizza ogni rinnovamento culturale.
La cultura classica veicolata dal liceo classico si riallacciava essenzialmente all’ idea ateniese di Paideia, che, attraverso un adeguato bilanciamento di “gymnazein” e “philosophein”, mirava alla formazione di un cittadino “optimo iure” della Repubblica, “kalos kai agathos”, vale a dire sano e valente nell’arte della guerra, ma al contempo saggio e capace di partecipare attivamente alla vita della polis: come si evince dal libro di Croce, una sintesi fra Achille e Ulisse. Un sincretismo come quello degli altri Continenti vorrebbe dire, per l’ Europa, rivalutare la classicità europea, come altri hanno fatto con le loro “classicità”, aggiungendovi il Cristianesimo: una forma di “sincretismo” ben presente in Cina e in India.
Inutile invece ricordare quanto le pedagogie occidentali dell’ultimo secolo si siano allontanate dall’ ideale classico, e poi liceale, di educazione “elitaria” (l’armonia raggiunta attraverso la disciplina, lo sforzo e l’esercizio), a causa della visione traumatica della Modernità da esse coltivata, che sfocia nella Società delle Macchine Intelligenti.
Per contrastare le rigidità della società borghese, si era perseguito in un primo tempo l’ideale romantico dell’ “autenticità”(Steiner, Montessori). Dopo di che si era passati alla critica delle culture classica e cristiana in nome del pragmatismo e della democrazia (la Riforma Bottai, la Scuola di Barbiana). Si arrivava così all’ educazione antiautoritaria (Reich, Fromm), con i suoi corollari della fluidità di genere (Marcuse) e della “cancel culture”(Chakravarti Spivak, Bhabha), la quale mira proprio a cancellare, a favore della maggioranza americana “non WASP”, quella cultura classica europea che i WASPs avevano originariamente imposto in America come dominante. Operazione che ha certamente un senso compiuto, di critica alla Modernità, nelle Americhe, nate dalla colonizzazione europea, dalla Leyenda negra, dalla Tratta Atlantica e dal “Trail of Tears”. Essa però, in Europa, ha il significato opposto: la sostituzione, a quel che resta della cultura europea tradizionale, di un misto di culture WASP e Woke, ma pur sempre americane, e quindi estranee alle nostre tradizioni.
Imporci gli effetti indiretti di una diatriba intestina americana aggiunge così, per noi, il danno alle beffe. La nuova cultura europea dovrebbe essere indifferente a queste contraddizioni, che le sono estranee, salvo, semmai, utilizzarle strumentalmente per sfuggire alla cappa delle retoriche occidentalistiche.
Purtroppo, non è materialmente possibile imporre con la bacchetta magica il ritorno puro e semplice alla scuola di Gentile, né alla civiltà contadina delle “lucciole” esaltata da Pasolini, né tanto meno ad epoche e climi culturali più lontani, come dimostrato anche, indirettamente, da esperienze di altri Continenti, come il congresso culturale di Kyoto durante la Seconda Guerra Mondiale.
Vanno però fatti salvi i principi di base, i paradigmi “immutabili” o, almeno, plurisecolari della Tradizione europea (e, più in generale, dell’Epoca Assiale: spirito, ordine, armonia, eccellenza, famiglia, cultura), mentre i contenuti non possono non variare: cultura contemporanea e comparatistica, Intelligenza Artificiale…
3.Dostojevkij e Nietzsche
Impossibile estrarre, dall’ enorme massa delle opere di questi due autori, pochi, ma inequivoci, elementi, che permettano d’ individuare esattamente la loro posizione e funzione nel passaggio fra Ottocento e Novecento. In effetti, essi sono così cruciali proprio perché esprimono a tal punto i diversi volti della Modernità, che nessun movimento culturale importante del XX e del XXI secolo ha potuto prescindere da essi.
In genere , si suol dire banalmente che essi condividono il concetto che “se Dio non esiste, tutto è permesso” -frase che per altro avrebbe formulato per primo Stirner, e che comunque non è che la riformulazione in chiaro della tematica cartesiana e pascaliana del “dubbio sistematico”-. Cartesio infatti postulava l’esistenza di Dio quale garanzia di una verità obiettiva. Ma, con ciò, apriva la strada all’ abbandono della “Ragion Pura”, che dovrebbe valere di per sé, indipendentemente dalle esigenze gnoseologiche degli umani. Se, però, la “Ragion Pratica” è solo “trascendentale”, l’Umanità è libera di forgiarsi quella verità che più le si confa’. A quel punto, “non esistono più fatti, ma solo interpretazioni”, sospinte dalla “Volontà”. Volontà che non può essere solo “di vita”, bensì di qualcosa di più, “Volontà di Potenza”. Anche le scelte umane, e ciò che a quelle scelte sottende, i “Valori”, sono aspetti della Volontà di Potenza. Perciò, non è possibile formulare un sistema di valori stabile e condiviso: tutto è in movimento, nello spazio e nel tempo (“panta rhei”). Coloro che pretendevano che il sistema dei valori fosse stabile nel tempo e nello spazio affermavano che questo era stato stabilito da Dio (o dagli Dei), e fosse stato dato da questo (o da questi) agli uomini, come nella Stele di Hammurabi, o per i 10 Comandamenti. Ma tanto il Codice di Hammurabi, quanto i Dieci Comandamenti, erano precisamente il contrario di un sistema stabile. Proprio il Genesi narra che le originarie Tavole della Legge furono distrutte da Mosè per sdegno del fatto che gli Ebrei adorassero il Vitello d’Oro, e sostituite con tavole scritte di suo pugno, dove il primo comandamento suonava, come oggi ”Io sono il Signore Dio Tuo, non avrai altro Dio all’ infuori di me”. E, come prima cosa, Mosè fece una strage di Israeliti, colpevoli di avere adorato il vitello, infrangendo così il comandamento “non uccidere!”.
La storicità dei valori esisteva dunque già prima di Nietzsche e Dostojevskij(pensiamo per esempio a Erodoto o a Gioacchino da Fiore), sicché il “relativismo etico” non è certamente un ‘invenzione moderna. Ciò che è invece nuovo è che questo relativismo non viene più affermato in forma implicita (“obiter dictum”), bensì sottolineato in modo polemico. La teoria della diversità dei valori fra l’aristocrazia e gli schiavi, che già esisteva, per esempio, nelle opere della “rivincita aristocratica” dei primi del ‘700, ma solo in Nietzsche diventa un vero e proprio motore della Storia, a partire dall’affermarsi degli Indoeuropei, attraverso l’Induismo, l’Ebraismo, e il Cristianesimo, fino al moralismo progressista contemporaneo a Nietzsche. Parallela alla visione di Nietzsche è la visione della degenerazione del Cristianesimo in Dostojevskij, dove il messianesimo laico del progressismo viene identificato con il mito dell’ Anticristo, una pseudo-salvezza materialistica che pretenderebbe (con i risultati catastrofici che oggi si vedono) di negare il carattere drammatico dell’ esistenza umana.
Per ambedue questi autori, l’Apocalisse non è un incidente di percorso, bensì un destino ineluttabile. Ambedue non propongono veramente una soluzione, perché non riescono ad uscire veramente dal pessimismo e dal determinismo da cui vorrebbero liberarci. I loro epigoni continueranno perciò a dibattersi negli stessi problemi. Tra l’altro, Nietzsche avrebbe voluto tradurre in pratica le proprie idee, fondando un “partito della vita”, che avrebbe dovuto travolgere tutte le classi dirigenti d’Europa, dalle Chiese agl’Imperi Centrali ai socialisti. La pazzia interruppe però fan dall’ inizio questo progetto.
In Dostojevskij, la progettualità politica consisteva nell’adesione all’idea ortodossa della Terza Roma, che avrebbe sconfitto l’Anticristo, salvando l’ Europa.
Nonostante le difficoltà di realizzazione pratica delle idee dei nostri due autori, non si può negare che la loro capacità di esprimere nel modo più efficace la tensione apocalittica della Modernità abbia fatto sì che ad essi si siano ispirati buona parte degli autori più significativi del Novecento, da Thomas Mann a D’Annunzio, da Martin Buber a Ahad haHam, da Tsiolkovskij a Stefan Heim, da Lu Xun a Heidegger, da Wittgenstein a Spinelli, da De Finetti a Saint Exupéry.
Sono quindi i nostri autori corresponsabili della Guerra Civile Europea e delle sue stragi? Probabilmente sì, perché anche i politici, e, in particolare, i politici totalitari, hanno fatto ampio ricorso a concetti tratti dalle loro opere. Nessuno ha ancora proposto di bandirli in nome della Cancel Culture, perché non hanno avuto importanti effetti pratici in America e nei confronti dei popoli di colore, sui quali si basa la cultura “Woke”. Nessuno è andato ancora a ripescare, per esempio, il giudizio di Nietzsche sull’ eccidio degli Herero. Perfino quando, nell’ ondata russofoba, si è tentato di boicottare Dostojevskij, come nel caso delle conferenze di Nori, la reazione è stata così violenta che si è rinunziato a procedere oltre.
Anche in questo l’Europa è diversa dall’ America. Un’ eventuale damnatio memoriae degl’intellettuali che, nel corso dei millenni, hanno incarnato punti di vista diversi da quelli attuali eliminerebbe tutte le basi della civiltà europea, da Sinliqiunnini alla Bibbia, da Omero a Ippocrate,da a Cesare a Orazio,da Sant’Agostino ai poeti provenzali, da Lutero, a Machiavelli, da Voltaire a Wagner, da Florenskij a Schmitt…
Proprio per questo, la storia della cultura europea dopo il 1914 è così difficile da scrivere. Per questo occorrerebbero, al contempo, un enorme coraggio e un’inesauribile acribia. Se, però, vogliamo che quello sforzo serva a qualcosa, dovremmo affrontare proprio questo tema, che è quello che dovrebbe distinguerci dall’ America, giustificando l’esistenza di un’Identità Europea che non sia se non una brutta copia di quella americana. Secondo il “canone occidentale”, l’America, attraverso la conquista e l’occupazione dell’Europa avrebbe provvidenzialmente liberato quest’ultima dalle sue pericolose tendenze: identitarismo, spiritualismo, elitarismo, cetualismo, estetismo. Per questo, contraddicendo a tutti gl’insegnamenti della storia, l’occupazione e la subordinazione dell’ Europa dovrebbero durare in eterno. Se l’Europa vuole sopravvivere, deve uscire da questa trappola concettuale.
Per fortuna, provvidenzialmente, la Cancel Culture sta travolgendo anche il moralismo puritano: l’America non è più la Fine della Storia: dalla nuova Guerra Civile Americana sta scaturendo una visione problematica della missione dell’America, in cui anche la cultura europea potrà inserirsi per rivendicare una propria autentica legittimità.
Un aspetto notevole dell’opera di Croce è la sua inalterata affermatività. Per dirla con Nietzsche, il sui “dire sì” (“bejahen”).Per questo, essa si limita, ed efficacemente, a “dire sì” a tutto ciò ch’essa considera come facente parte dell’ Identità Europea, senza mai soffermarsi su ciò che ad essa è estraneo, o ne costituisce un limite. Il che è importante in un’era esclusivamente critica come la nostra, in cui è così difficile infondere negli Europei una qualche forma di entusiasmo, di “volontà di vita”. E, tuttavia, spesso quest’obliterazione del negativo fa perdere anche di vista ciò che è specificamente europeo, e, soprattutto, rende difficile scrivere l’ultima parte di questa storia, quella dopo il 1914..
Intanto, viene sfumata l’ormai abituale contrapposizione fra Greci e Persiani . Poi, Roma e i Barbari, Roma, Bisanzio, l’Euroislam, la Terza Roma. Infine, le pretese della modernità americana e tecnocratica. Tutte cose che ancora incidono, eccome, sull’ identità degli Europei e sui loro sforzi per costituirsi quale autonomo Stato-civiltà. In un momento in cui il recupero, grazie alla politica, delle tradizioni culturali europee permette finalmente un discorso più obiettivo sulla nostra storia, si richiede, a nostro avviso, anche un’adeguata messa in rilievo dell’ aspetto dialettico di questa identità. Certo, ciò renderà più sofferta la costruzione di una “memoria condivisa”. Ma è quest’ultima necessaria, o non è piuttosto sinonimo di un totalitarismo “soft”?
Infatti, quando parliamo di “Identità Europea” non pensiamo a una sorta di “Evangelo del popolo” come quello di Michelet, né a un testo di “educazione civica”, e nemmeno alla sostituzione di un’”Egemonia culturale patriottica” a un’”Egemonia Culturale della sinistra”. Pensiamo alla creazione, da parte di una minoranza attiva, di una nuova tematica, se necessario dialettica e variegata, da immettere sul mercato a condizioni di parità con quelle oggi comunque dominanti a causa della vischiosità delle istituzioni organizzatrici del consenso: vertici politici e accademici, media, scuola, e della onnipervasività della cultura “Mainstream” globalizzata.
Oggi ci si preoccupa tanto della creazione di un’”Identità Nazionale”, che bene o male già c’è, mentre latita una vera cultura europea, con la quale non va confusa la pasticciata narrazione “occidentale” che oscilla (in attesa di ordini precisi sa Oltre Oceano), fra il suprematismo occidentale e la cultura Woke.
5.Contributo della cultura classica alla formazione dell’ uomo dell’ Era delle Macchine Intelligenti (l’Identità Europea del XXI Secolo)
Confesso la mia reticenza ad occuparmi di quest’ultimo soggetto, a causa della mia incompetenza, teorica e pratica, in materie così distanti come la pedagogia, la cultura fisica, la genetica, la psicologia, la cibernetica, la storia delle tecnologie, l’interfaccia uomo-macchina, l’ Intelligenza Artificiale. Ed è proprio su questi temi che competenze ed esperienze di persone come Croce dovrebbero essere appropriatamente valorizzate. Eppure, l’”Enhancement” (“Accrescimento”) dell’Umano di fronte all’ onnipresenza dell’ Intelligenza Artificiale è così centrale nelle questioni dell’ oggi, che ciascuno di noi dovrebbe fare ogni sforzo per reperire idee e risorse per poter rispondere a domande come:
-qual è il residuo di umanità che occorre preservare dalla grande ibridazione in corso, e perché?
-esistono tecnologie (come il “Block-chain”) che possono contrastare la necessaria centralizzazione nel sistema macchinico indotta dalla logica dell’ Intelligenza Artificiale?
-data la debolezza dell’ “uomo medio” nei confronti dell’ ecosistema digitale, non è forse necessario ricreare un “ecosistema umano” che supplisca alle insufficienze genetiche con una visione “gerarchica” delle competenze?
–la predestinazione sociale resa possibile dall’editing genetico (quale preconizzata da Huxley nel “Mondo Nuovo”) è veramente aberrante come generalmente si pensa, o non costituisce un’attualizzazione di quella logica castale che caratterizzava l’Ancien Régime, e ancora caratterizza l’Homo Hierarcicus in quasi tutti i Paesi del mondo (Dumont)?
-è possibile una scelta politica fra la Singularity Tecnologica e l’Umanesimo Digitale, o il destino dell’ Umanità è oramai scritto, così come risulterebbe da talune interpretazioni dell’ Apocalisse, quali ad esempio quelle di Teilhard de Chardin, Anders e Kurzweil?
Una volta data una risposta a queste domande, ed eventualmente accertata la possibilità di una scelta, come utilizzare la cultura classica per realizzare l’ “Enhancement”?:
-rifare i Kaloi kai Agathoi accoppiando, alle classiche “agogé” e “schole”, anche l’editing genetico?;
-ristrutturare l’intero curriculum di studi, dall’asilo nido alle più elevate accademie, in modo da poter fare fronte all’esigenza sempre maggiore di conoscenze teoriche e pratiche, che dovranno accompagnare una profonda ristrutturazione della società;
-riprendere la scrittura di opere “classiche”, se necessario rivalutando l’uso attivo delle lingue classiche, con l’aiuto dell’ Intelligenza Artificiale?;
-estendere il concetto di “classico” ai classici di altre culture, da Confucio a Laotse, a Sun Tsu, a Buddha, Valmiki, Firdauwsi..;.
-creare un “canone europeo” che comprenda anche la parte nascosta della cultura europea, come le culture di al-Andalus e dell’ Impero Ottomano, l’epica nordica e russa, i Progetti Europei di Crociata, le “lettere curiose e divertenti” dei Gesuiti dalla Cina, il Romanticismo dell’ Europa Orientale, il Cosmismo russo, l’Eurasiatismo.
E’ nell’ ottica di quest’azione che varrebbe la pena di tentare di riempire la lacuna circa l’ultima fase della storia dell’ identità europea, se del caso con intenti e accenti diversi dalla prima, dato il necessario intreccio di fatti, interpretazioni ed azione.