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MAI PIU’GUERRE?

Considerazioni su Trump come “pacificatore”

Se c’è un tema che accomuna buona parte del mondo politico e culturale di oggi, è la pretesa ricerca della pace.

Tuttavia, la fragilità della tregua di Gaza mostra l’eccesso di retorica che ancora una volta ha caratterizzato la pretesa “Pace Perpetua” mediata questa volta dal Presidente Trump, dimostrando un’ennesima volta l’impossibilità della Pace Perpetua nell’immanenza.

1.Pacifismo e imperi

Come abbiamo spiegato in precedenti post, quella ricerca è stata presente, nel discorso culturale e politico, fino dall’ antichità, specie nei grandi Imperi (persiano, cinese, romano, islamico) e nelle religioni universali  ad essi legate (mazdea, buddista, cristiana, Islam), ma il suo significato reale è sempre stato intrinsecamente ambiguo. Tutti d’ispiravano alla formula, fatta propria da Trump, “Piece through force”,, vale a dire che il potere esorbitante dell’ impero avrebbe reso impossibile, fa i popoli conquistati, una guerra divenuta, dopo la conquista, intestina all’ Impero stesso, e quindi vietata dall’ Imperatore (anche se l’Impero Persiano fu presto sconfitto da Alessandro e l’impero macedone fu spartito  fra i Diadochi).

Attraverso l’imposizione della pace, l’Imperatore voleva dimostrare la propria superiorità (quasi divina), e la propria funzione storica.

La pace vantata dagli imperatori achemenidi era quella ottenuta soggiogando i regni e le città del Medio Oriente e trascinando in catene a Persepoli i loro governanti, come raffigurati sulle tombe imperiali e nei palazzi della capitale. Quella dei profeti ebraici prevedeva che Gerusalemme divenisse la capitale del mondo, e quella dei Romani si concretizzava nel “parcere victis et debellare superbos”. La “Trewa Dei” era, come dice il nome stesso, una tregua fra i potenti cristiani, sponsorizzata dalla Chiesa, per poter meglio combattere gl’infedeli per la “Dilatatio Christanitatis” auspicata da Sant’Agostino, mentre l’ “Ewiger Landfrieden” era la pace fra i feudatari tedeschi imposta dall’ Imperatore, sotto severe sanzioni.

Anche la Pace di Westfalia consistette essenzialmente nell’imposizione ai vari Stati, dopo la guerra dei Trent’Anni, della confessione religiosa dei rispettivi principi (“cuius regio, eius religio”). La Pace Perpetua di Podiebrad e di St-Pierre era una pace fra gli Europei  per meglio gestire la colonizzazione degli altri Continenti, mentre i Trattati di Versailles, Trianon e Santo Stefano  sancivano la distruzione degl’imperi tedesco, austriaco, russo e ottomano, preparando il terreno alla guerra totale e agli stermini del nazionalismi scatenati.

La Guerra Fredda si reggeva sulle bombe di Hiroshima e Nagasaki e sull’ occupazione dell’ Europa: la Pax americana si fonda  sulle basi NATO e sulla Società del Controllo Totale. L’”Ordine Mondiale Basato sulle Regole” mira ad imporre il mantenimento in piedi  di un equilibrio culturale, sociale, demografico, economico e militare egemonico intorno agli Stati Uniti (l’”Impero Nascosto”), sì che ogni attentato a tale equilibrio viene inquadrato come un delitto, e, come tale, esposto a sanzioni (che vanno dalla bomba atomica, al napalm, ai colpi di Stato, ai dazi, ai processi e le esecuzioni contro i leader sconfitti).

In queste condizioni, vale quanto scritto a suo tempo da Tacito: “fecero un deserto e lo chiamarono pace”.E il testo più realistico sulla guerra resta il  “Bhagavad Gita”, parte del Mahabharata contenente gl’insegnamenti di Krishna. Nel primo capitolo, il principe-guerriero Arjuna si trova sul campo di battaglia di Kurukshetra, pronto a combattere contro i suoi stessi parenti e maestri. Di fronte alla prospettiva della guerra fratricida, è sopraffatto dal dolore e dal dubbio morale. Dice:“O Krishna, dopo aver visto tutti i miei parenti riuniti qui con ansia di combattere uno contro l’altro, sento le mie membra perdere forza e la mia bocca seccarsi.”Krishna  lo esorta a compiere il proprio dharma (dovere) di guerriero, insegnandogli che l’anima è immortale e che la morte nel corpo non è la fine. La guerra diventa così un simbolo del dovere spirituale e della lotta contro l’ignoranza.

2.Guerra e natura umana

La guerra fa parte della “natura umana”, come scrissero Eraclito, De Maistre e De Landa, ed è  ben riassunto in un recente saggio di Sadun Bordoni. Non solo e non tanto come un residuo di animalità, ma anche e soprattutto per il trauma della finitezza – cognitiva, temporale e pratica- (la “Geworfenheit”, per dirla con Heidegger), che provoca, nell’ uomo, un senso incessante di frustrazione e rivalsa.

Nella condizione della Geworfenheit, la pace perpetua significherebbe accettazione dell’ inutilità della vita, mentre la guerra (in tutte le sue forme) viene sentita invece come garanzia di libertà, cioè di movimento, di cambiamento (la “rivolta”). Oggi la pace fra gli uomini è forse possibile attraverso  il trasferimento delle loro qualità alle macchine (le quali, semmai, si faranno poi la guerra fra di loro, così come, in parte, sta già accadendo), mentre gli uomini, finché esisteranno, saranno sottoposti alla disciplina mondiale imposta dal sistema macchinico ( Big Data, Intelligenza Artificiale, Cyberintelligence).

Prendere atto di quanto precede significa forse favorire e fomentare le guerre?Al contrario, significa, a nostro avviso, tentare di  riportare i conflitti umani entro limiti sopportabili, evitando che la loro estremizzazione porti al passaggio del controllo alle macchine, come sta avvenendo attraverso sistemi digitali come “Dead Hand”, che contengono un comando di autodistruzione dell’Umanità.Richiede anche una lotta concorde dell’ Umanità contro il predominio delle macchine.

Oggi, i discorsi concilianti sulla pace e sulla guerra da parte di potenti, Chiese, cultura, politica e comunicazione, sono pura propaganda a favore  questo o per quell’altro gruppo di potere. A sentire tutti costoro, infatti,  la pace sarebbe raggiunta non appena il nemico si arrendesse (il disarmo di Hamas, la “denazificazione” dell’ Ucraina, il “Régime Change” in Russia o in Iran). Nessuno pensa neppure lontanamente a un disarmo reciproco, e neppure a forme più blande dello stesso, come il controllo degli armamenti e della ricerca in campo digitale, come suggerito da Kissinger e Yudkowsky.E, soprattutto, nessuno pensa minimamente a un “Disarmo culturale”(Raimon Panikkar), ove venga riconosciuta l’eguale legittimità di tutte le civiltà (precolombiana e cinese, africana e delle steppe, medio-orientale e americana, indiana ed europea), come invocato da tempo da Spengler e Toynbee. Solo su questo presupposto si potrebbe evitare il protrarsi in eterno di conflitti che sono radicati nell’identità stessa dei vari popoli e nel loro senso di “eccezionalità”(dall’ arroganza romano-germanica al conservatorismo russo, dal messianesimo americano a quello sionista, dal jihad islamico al Bharat Akhand indiano..).

Venendo ora a Palestina e Ucraina, quei territori sono stati da sempre i punti di partenza dei maggiori conflitti: dagli Yamnaya agli Argonauti; da Attila ai Magiari; dal Principe Igor a Chinggis Khan; dai Cosacchi ai Tartari; da Chmelnicki a Mazeppa; dalla Guerra di Crimea all’UPA; dalla stele di Merneptah ai bassorilievi di Medinat Habu; dalle Guerre Giudaiche alla rivolta di Zenobia; dalle Crociate a Lawrence d’ Arabia…

I testi egizi erano già pieni di riferimenti a infiniti popoli in competizione nel “Levante Meridionale” (cfr.Ida Oggiano, “Dal terreno al divino”: oggi, la “Palestina”), agli Hyksos, ai Popoli del Mare, agli Habiru, agli Aperu, agli Ya’su, agli Yahu, ai Pelest, i Zeker, I Shekelesh, gli Sherdana…per non parlare degli Egizi a Ashdod, degli Aramei, dei Samaritani, dei Fenici , degli Assiri e dei Greci, che anticipano di millenni l’attuale conflitto.

Il “Sarmatismo”, importato dall’ Italia alla corte di Bona Sforza a Cracovia, ha legittimato l’enorme regno di Polonia (comprendente l’Ucraina Occidentale), e ancor oggi ispira le politiche espansioniste dell’ Occidente sotto l’influenza di politici di origine ucraina, Brzezinski, Nuland e  Blinken       .Anche  il Sionismo fu fatto avanzare dagli Ebrei ucraini, e i maggiori fautori della Grande Israele (come Žabotinskij, Golda Meir, e, ora, Nethanyahu -da parte di madre-, Smotrich, dal nome di una cittadina ucraina)provengono da quell’ area. Non parliamo poi di Zelenskij.

Jihad e Crociate si sono scontrate proprio in Palestina, così come la Guerra di Crimea nacque per la rivendicazione, da parte dei vari Paesi Europei, del diritto di fungere da protettori dei Cristiani di Terrasanta.

3.I “Costruttori di Pace”

Quindi, nella storia, la pace non è stata mai una realtà, ma piuttosto solo un tentativo. Anche le pretese grandi paci, come per esempio la Pax Romana, la Pax Mongolica, la Pace di Westfalia, la Belle Epoque e la Pax Americana, sono state costellate da guerre terribili, come quella con Antonio e Cleopatra e quella con i Germani, oppure l’invasione di Siria, Palestina, Russia, Ungheria e Polonia; come le Guerre di Successione;  le Guerre Balcaniche e quelle in Palestina, Grecia, Corea, Vietnam. Afghanistan, Iraq…

Questa è la ragione per cui, una volta messa in luce l’ipocrisia che sta dietro alle retoriche pacifiste degli imperi, questa critica non si estende all’invocazione della pace da parte delle religioni, che svolgono, ciò facendo, un loro compito, purché siano consapevoli del fatto che, fino all’ Ora Ultima, questo sarà sempre e soltanto confinato al ruolo di un tentativo.Al massimo, ciò che spetterebbe ad esse, e, innanzitutto, per la sua posizione inequivocabilmente eminente, al Sommo Pontefice,  sarebbe il ruolo di un altissimo mediatore, come veniva riconosciuto nei progetti medievali di “Pace Perpetua”. La pretesa dei Presidenti degli Stati Uniti di occupare questo spazio è obiettivamente una forma di hybris, che  non cesserà di avere conseguenze negative.

Insomma, la Civitas Dei e la Civitas Homini si incontreranno solo alla fine.

Intanto, in contrasto con le retoriche europeistiche sulla “Pace Perpetua”, le guerre in corso stanno plasmando addirittura il panorama politico dell’ Europa, creando fronti contrapposti proprio sull’atteggiamento da tenersi sulle guerre. Basti pensare a Giorgia Meloni, a Orbàn, a Kallas, a Albanese, a Fico, a Merz, a Babiš. Così, si è creato un “Fronte dell’Intermarium”, favorevole alla guerra con la Russia, che monopolizza gli incarichi rilevanti dell’ Unione (Kallas, Kubilius, Dombrovkis), contro  un “Fronte di Visegrad” (Orbàn, Fico, Babiš, Vučić), favorevole al dialogo con la Russia. Quant’è lontano il tempo in cui l’ Europa Centrale e Orientale era un territorio lontano e sconosciuto!

4La corsa dell’Europa per costruire  il suo “Scudo Aereo”

Altrettanto temeraria di quella di Trump è perciò la pretesa dell’ Unione Europea di costituire l’avanguardia della pace mondiale.

In effetti, mentre gli Stati premoderni avevano almeno tentato in concreto (con i “Due Soli”)di costruire un organismo, se non unitario, almeno coerente, che potesse interfacciarsi con l’Impero Islamico, con quello mongolo e con la Cina, l’Unione Europea è partita fino dall’ inizio sotto una forte spinta americana (Fulbright, Sullivan, la CIA), e ha continuato per decenni a coltivare solo una limitata politica commerciale, ancillare agli USA (la concorrenza, il management), mentre l’Arabia, Israele e la Cina emergevano quali poli effettivi del potere mondiale; infine, proprio alla caduta dell’ Impero Sovietico, quando avrebbe potuto ergersi a nuova potenza indipendente, si è appiattita su un occidentalismo che le ha tolto ogni capacità di proposta e di iniziativa.

Ora, come scrive, su Euractiv, Miriam Saenz de Tejada, quando i leader dell’Unione europea si sono riuniti a Copenaghen all’inizio di ottobre, la presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha sottolineato l’urgenza di costruire una “muraglia di droni” europea – una rete coordinata di radar, sistemi di disturbo e intercettori anti-drone per neutralizzare le minacce prima che raggiungano spazi aerei sensibili. Allo stesso tempo, sta prendendo forma un piano ben più ambizioso, che potrebbe integrare la cosiddetta “muraglia di droni” in una rete difensiva su scala continentale, lo Scudo Aereo Europeo (European Air Shield).

Le recenti incursioni di droni russi – considerate un modo per testare la difesa aerea e la tenuta politica della NATO, ma soprattutto gli annunzi sui missili ipersonici e sul siluro nucleare Poseidon, – hanno messo a nudo alcune scomode verità:la guerra moderna non si misura più con i numeri, ma con la precisione su larga scala. Costruire uno Scudo Aereo Europeo non sarà né facile né economico. L’UE dovrà superare differenze politiche, problemi di approvvigionamento e costi elevati. Inoltre, non può semplicemente replicare l’Iron Dome israeliano: quel sistema protegge un territorio ristretto e densamente popolato da minacce a corto raggio. L’Europa, invece, ha popolazioni sparse su un’area immensa e deve affrontare l’intero arsenale russo, dai missili Iskander a corto raggio agli ipersonici Avangard a lungo raggio, fino a Oreshnik, Burevestnik e Poseidon..

L’industria della difesa europea resta frammentata. “Berlino sostiene IRIS-T e Patriot attraverso la European Sky Shield Initiative, mentre Parigi e Roma puntano sul SAMP/T, e Oslo e altri Paesi si affidano ai NASAMS”. La sfida, dunque, non è solo tecnologica, ma politica. Un sistema di difesa credibile e multilivello richiede non solo miliardi di investimenti, ma un grado di coordinamento che l’Europa ha storicamente faticato a raggiungere.

5.Etica dell’Intelligenza artificiale nella difesa

In realtà, l’Europa sta affrontando la difesa del XXI° Secolo con una mentalità da XX° Secolo.

Mentre, nel XX° Secolo, dominavano l’aviazione e la missilistica, nel XXI° domina l’Intelligenza Artificiale. Ai problemi, oramai risalenti, dell’”eticità” dell’ Intelligenza Artificiale, si aggiunge il rapido avanzare delle tecnologie di difesa.

I problemi sono assolutamente nuovi. Una potenza che, come l’Europa “parta da 0”, dovrebbe incominciare con l’AI. Qui confluiscono  tante questioni irrisolte. Come possa la guerra essere etica? Se esista una “guerra giusta?;  Come applicare alla guerra tecnologica moderna i principi “tradizionali” dello “jus in bello” (quelli antichi, greco-romani, cristiani, islamici, hindu, quelli relativamente recenti)?.

Secondo le culture guerriere dell’ antichità (pensiamo al Bhagavad Gita, a Sant’Agostino, al Jihad, alla Regula Novae Militiae, allo Jus ad Bellum e allo Jus in Bello della Dottrina della Chiesa e del Diritto internazionale), la guerra era non solo etica, ma era una delle attività più nobili. Pensiamo che Ramses, Pericle, Augusto, Carlo V, Washington, Napoleone, Vittorio Emanuele II, Stalin, Mao, Castro e Che Guevara (per non dire Mussolini e Hitler), sono sempre stati rappresentati in tenuta militare.

Tuttavia, questo era già contestato dal jainismo, dal Buddhismo, dai primi Cristiani, dagli anarchici. Oggi, sembra che il pacifismo sia divenuto “mainstream”, anche se si vede che, quando c’è una guerra concreta, dalla destra alla sinistra, nessuno si tira indietro a stanziare miliardi e a spedire missili.

Il punto è che molte guerre, e tutte quelle contemporanee, sono “guerre culturali”. Sono combattute per affermare la superiorità di una cultura sull’ altra: “democrazia” contro “autocrazia”; “Occidente” contro “il Resto”; “Mondo Russo” contro Occidentalismo; Islam contro Sionismo, ecc…Quindi, esse sono “giuste” per ciascuna delle parti combattenti. Anche i concetti di “aggressore” e “aggredito” sono soggettivi, perché all’origine c’è sempre una prevaricazione reciproca: il colonialismo, l’imperialismo, la Guerra Santa, le Guerre del Signore…

Le guerre erano sempre state  “non etiche”, non soltanto per il principio in sé, ma perché le difficoltà tecniche e logistiche rendevano normali il saccheggio, lo stupro, la distruzione di città, perfino il genocidio (pensiamo alla Guerra di Troia, alle conquista di Canaan, della Gallia o dalle Americhe).Tuttavia, proprio quando, con il diritto internazionale bellico, si è tentato di mettere un rattoppo su tutto ciò, e le condizioni tecniche renderebbero possibile un controllo come in tempo di pace, sono sopravvenuti i bombardamenti a tappeto, la bomba atomica e l’Intelligenza Artificiale. Si tenta di usare un “approccio basato sull’ analogia”, cioè di applicare il diritto internazionale bellico alle guerre digitali (il cosiddetto “Manuale di Tallinn” della NATO).

Inrealtà, è più facile pervenire a un’idea di “Cyberguerra etica” partendo dalle concezioni orientali dell’ Arte della Guerra (p.es. Sun Zu, Mo Zi o l’Arthashastra). Per SunZu, l’obiettivo del condottiero dovrebbe essere quello di conquistare il mondo senza uccidere nessuno. Com’è possibile questo? Attraverso la conoscenza: se conosci te stesso e il tuo nemico, vinci; se non conosci te stesso e il tuo nemico, perdi. Come in una partita di “Go”, basata sugli “stratagemmi”.

Tutto ciò è esemplificato dall’ apologo di Mozi, che fa togliere un assedio semplicemente illustrando al re assediante la perfezione del proprio sistema difensivo.

Per fortuna le potenze orientali, eredi di questa antica saggezza, stanno acquisendo un sempre maggior peso nell’ arena internazionale, influenzando sempre più le trattative sulla pace e sulla guerra.

ALEPPO, ORESHNIK, TAVARES:Apocalypse Now

Dai tempi della caduta del Muro di Berlino, siamo oramai avvezzi a continui roboanti annunzi circa l’avvento di un “nuovo ordine mondiale”, radicalmente diverso da quelli passati.
Oggi, si può forse dire che questa trasformazione sia veramente in corso, perché le novità riguardano un po’ tutte le aree della competizione/conflitto fra “Occidente” e “Maggioranza del Mondo”,facendo oggetto di eventi spettacolari, fra cui le sempre nuove armi, i sempre nuovi fronti e gl’ininterrotti terremoti nell’economia europea. In queste condizioni, risulta sempre meno sopportabile, assistere alla televisione alle continue apologie dell’ esistente da parte di politici, giornalisti, imprenditori e intellettuali di tutti i colori, sorridenti, eleganti e imbellettati mentre parlano di stragi, guerre, crisi, ecc..
Quanto agli scenari di guerra, secondo Molinari (La Repubblica del 2 Dicembre), “all’ interno dei singoli paesi, in Nord America come in Europa e in Estremo Oriente non c’è consenso sulla comprensione della grande guerra d’attrito: a prevalere sono spinte nazionaliste, isolazioniste e populiste che preferiscono ignorare o sminuire le minacce per non dover affrontare le conseguenze che comportano”.
Quanto al rapporto fra guerra e tecnologie, quella in corso sta mettendo in evidenza le nuove realtà con cui fare i conti: il riallinearsi dei GAFAM (Zuckerberg) con lo Stato americano anche dopo l’elezione di Trump; la disponibilità, nelle mani della “Maggioranza del Mondo”, di tecnologie belliche potenti, spesso più avanzate di quelle occidentali, a partire dal missile sperimentale Oreshnik, che ha centrato dimostrativamente il grande complesso industriale Yuzhmash di Dnipro, il maggior costruttore ucraino di missili.
Infine, per ciò che concerne la crisi dell’economia moderna, la “Guerra senza Limiti” in corso accelera la decadenza del modello economico e sociale europeo del secondo Dopoguerra, fondato sulla trasformazione dell’economia di guerra del 2° conflitto mondiale in società affluente; sullo sfruttamento parassitico dell’egemonia americana per realizzare prodotti di consumo all’ ombra della NATO; sul patto sociale socialdemocratico realizzato semplicemente rivitalizzando le politiche sociali corporative dei fascismi; sul “capitalismo renano” fondato su una cogestione che oggi sembra non tenere il passo con i tempi; sulla centralità dell’ autoveicolistica come via maestra verso la società dei consumi…


1.Allargamento degli scenari di guerra
La “Guerra Mondiale a Pezzi” di cui parlava Papa Francesco si è oramai trasformata nella “Guerra Senza Limiti” teorizzata dai generali cinesi.
Il Rapporto del futuro commissario dell’Unione Europea Niinistö, riprendendo una pubblicistica oramai classica in Scandinavia, propugna la diffusione in tutta Europa di un manuale militare sul modello di quello da sempre esistente in Svezia, dedicato a consigli pratici alla popolazione per il caso di guerra. Si tratta di raccomandazioni (per lo più banali) di sicurezza passiva, volte alla salvaguardia della sopravvivenza individuale. La parte attiva dell’originale svedese, dedicata alla resistenza civile (“Inte Samarbejde”, “Non collaborate”), che completava l’opera quando la Svezia era un paese neutrale, è stata lasciata cadere, forse perché potrebbe ritorcersi innanzitutto contro la NATO, affidando ai cittadini compiti bellici importanti.
In realtà, prima della caduta del Muro anche la dottrina militare di altri Paesi d’Europa, come quelle svizzera, jugoslava e albanese, prevedevano una resistenza partigiana dopo l’eventuale invasione e sconfitta (difesa nazionale totale, in serbo Opštenarodna odbrana),che dava alla popolazione civile il compito di mobilitarsi in forze di difesa territoriale dotate di grande indipendenza operativa, le quali, sfruttando la conoscenza del terreno e le tattiche della guerriglia, si sarebbero trasformate in un esercito di resistenza che avrebbe condotto azioni militari, continuato la produzione bellica e mantenuto l’amministrazione dello Stato nelle zone occupate, proseguendo così una guerra di logoramento contro l’invasore.
Con il passare dei decenni, anche queste modeste velleità “sovraniste” sono andate perdute, con Svezia, Finlandia, Slovenia, Croazia, Montenegro ed Albania nella NATO, e la Svizzera non più genuinamente neutrale.
Intanto, lo scenario del conflitto si è esteso all’oblast russa di Kursk, all’ordine pubblico in Romania e Georgia, alla guerra civile siriana, al Libano, allo Yemen…


2.La “maturità” dei missili ipersonici rende più realistica una guerra totale
Il missile “sperimentale” Oreshnik presenta varie caratteristiche che ne fanno lo sbocco naturale delle esigenze strategiche nella Guerra senza Limiti quale teorizzata dai generali cinesi.
Esso non è intercettabile perché è in sostanza una navicella di rientro di un lanciatore riutilizzabile, e, quindi, raggiunge Mac 11; inoltre, compie una traiettoria casuale e sgancia grappoli di proiettili; ottiene effetti distruttivi complessivi pari a una bomba atomica di grande tonnellaggio pur non avendo neppure una carica esplosiva, ma solo coni di alluminio leggero che si comportano come piccoli meteoriti, provocando profondi crateri. Di conseguenza, evita la contaminazione nucleare, come pure lo stigma collegato all’ arma atomica.
Essendo tale, esso si presenta come l’arma tattica ideale, perfetta per rispondere ai missili a medio raggio che l’Occidente (e forse anche l’Ucraina in Yuzhmash) hanno ricominciato a costruire.
Questo è un ulteriore tassello dell’escalation in corso nella Terza Guerra Mondiale, che ci fa comprendere ancor più quanto il nostro futuro sia sospeso a un filo, e quanto poco noi Europei e Italiani possiamo influenzarlo, soprattutto perché nessuno sembra curarsi della nostra particolare posizione geografica e, in particolare, del fatto che l’Italia ospiti più di 100 basi americane, che contengono, fra l’altro, varie decine di testate nucleari.
Solo un’azione culturale profonda, che smonti molti degli attuali riflessi pavloviani, potrebbe tirarci fuori dalla spirale bellicistica in corso, ricordando innanzitutto a tutti i nostri concittadini che i Russi, come tutti gli Slavi, sono culturalmente Europei, e che quindi non vi è alcuna ragione per condurre ininterrottamente una fratricida lotta (militare o di altro tipo) contro di loro, come invece stiamo continuando a fare a partire dalla Perestrojka (mentre quando c’era il PCUS andavamo, paradossalmente, d’amore e d’accordo).


3.Le dimissioni di Tavares pochi giorni prima di Barnier: ennesimo paradosso della vicenda FIAT.

Torino fu fondata da Giulio Cesare nel 58 a.C. Nel 1561, divenne la residenza di Emanuele Filiberto, il Duca di Savoia vincitore alla Battaglia di san Quintino. Nel 1713, divenne capitale del Regno di Sicilia, nel 1718, di quello di Sardegna; nel 1961, di quello d’ Italia.
Fra il 1888 e il 1889, ospitò Nietzsche fino al momento della sua pazzia: qui scrisse L’Anticristo, Il crepuscolo degli idoli ed Ecce Homo . Dal 29 aprile al 19 novembre 1911, si tenne a Torino l’ Esposizione internazionale dell’industria e del lavoro, Nel 1907, il politologo tedesco Roberto Michels, il grande teorico dei partiti politici, grazie all’intercessione di Einaudi e di Loria, ottenne una cattedra all’Università di Torino, dove insegnò Economia Politica e Sociologia Economica.
Torino era quindi una capitale politica e culturale europea già prima della FIAT, e avrebbe potuto benissimo prosperare senza di essa.
Tuttavia, essa vi dedicò tutte le sue forze, dalla costruzione del Lingotto e di Mirafiori, all’occupazione delle fabbriche diretta da Gramsci ed esaltata da Gobetti, e al primo contratto collettivo in Italia, alla costruzione delle infrastrutture militari per le due Guerre Mondiali, sotto lo slogan “Terra, Mare, Cielo”, fino al lavoro sotto i bombardamenti, all’Autunno Caldo e alla Marcia dei Quarantamila. Il quartier generale della società era a Torino, fra il Lingotto, Corso Marconi e Mirafiori, ma il Gruppo, con i suoi 188 stabilimenti, in cui erano occupati più di 190 000 dipendenti, era presente in 50 paesi del mondo e intratteneva rapporti commerciali con clienti in oltre 190 nazioni.
Produceva beni e servizi in almeno 12 differenti settori, dalla finanza all’editoria, dalla formazione alla consulenza, dalla ricerca all’industria di base, dall’autoveicolistico alle ferrovie, all’ aviazione, ai motori marini, agli elettrodomestici, dalla chimica agli armamenti, allo spazio. Gravitavano intorno ad essi famiglie, azionisti, fornitori, clienti, professionisti, che rappresentavano almeno mezzo milioni di persone in tutti i Paesi del mondo.
Un vero impero economico, capace di esprimere, nella sua dismisura, tutti i lati, positivi e negativi, della Modernità, e che ha richiesto l’impegno assillante di almeno cinque generazioni di Torinesi.
Nel 1974 Torino aveva raggiunto il record di 1.202.846 , mentre oggi ne sono rimasti soltanto 890.000.
Così come la FIAT è nata con la Modernità, non vi è dubbio che, con la fine della Modernità, essa sarebbe venuta meno. Cosa che si è puntualmente verificata, visto che Stellantis non ha praticamente più nulla in comune con FIAT: non il gruppo di controllo, che è francese, non la sede, che è a Parigi, non le fabbriche, dove l’unica torinese, Mirafiori, è praticamente chiusa.
Non possiamo passare il tempo a rimpiangere questo stato di fatto, che era praticamente ineluttabile, vista l’analoga sorte della Chrysler, della Leyland, della Saab e di altre, ma possiamo, e dobbiamo, invece, polemizzare su come ciò è avvenuto e sulle prospettive per il futuro. La fuoriuscita dall’ auto non è avvenuta mediante una strategia intelligente e concordata fra politica, impresa e lavoratori, bensì trasferendo surrettiziamente tutta l’eredità della FIAT, originata prima di tutto dagli sforzi e dai sacrifici dei Torinesi, e, poi, dagli aiuti dello Stato italiano, allo Stato francese e ai tre fratelli Elkann, i quali l’hanno reinvestita altrove, perfino in spregio al nostro diritto, costituendo uno dei massimi patrimoni privati del mondo e lasciando a Torino solo fabbriche obsolete e inquinanti e operai in cassa integrazione. Tutto ciò con la benedizione e la connivenza di tutti i Governi italiani e regionali, dei sindaci di Torino, dei partiti e dei sindacati (senza contare, a suo tempo, i Sovietici e Obama, fra i maggiori artefici delle fortune del gruppo di controllo).
Ora, le dimissioni di Tavares aggiungono a tutto ciò un ulteriore tocco di surrealismo. Un amministratore delegato di un’impresa controllata dallo Stato francese che guadagna centinaia di volte più di un operaio, che chiude fabbriche dovunque licenziando migliaia e migliaia di persone, e, alla fine, licenziato a sua volta per aver mandato in rovina la Stellantis (non solo quella italiana), ottiene dall’ azionista (lo Stato) una “buonauscita” miliardaria.
Certo, il caso della Stellantis non è unico, perché, contemporaneamente, sono in crisi tutti i grandi gruppi europei, tant’è vero che la UE sta già pensando a una nuova stagione di aiuti, ma anche questo non è un disastro naturale, bensì il risultato di una serie di errori politici.


4.La crisi Volkswagen
Infatti, le crisi degli altri gruppi, in primis quella della VW, potevamo vederla già a partire dal 2015, quando l’Agenzia statunitense per la protezione dell’ambiente aveva accusato la multinazionale tedesca di avere progettato i propri motori diesel Turbocharged Direct Injection (Tdi) in modo tale che attivassero i sistemi di controllo delle emissioni solamente durante i test di controllo.
Giacché la Casa di Wolfsburg non era la sola a truccare in tal modo i dati, molti osservatori ritengono che, dietro la deflagrazione delle accuse e dello scandalo mediatico che travolsero quell’unico marchio (lo stesso, guarda caso, finito spesso bersaglio delle critiche di Donald Trump), vi erano motivazioni politiche. Comunque sia, lo scandalo Dieselgate contribuì a mettere in moto quelle politiche green che hanno portato all’attuale crisi finanziaria del principale gruppo europeo.
Volkswagen, probabilmente proprio per scrollarsi di dosso l’onta del Dieselgate, è stata infatti tra le Case del Vecchio continente ad aver abbracciato con convinzione le nuove motorizzazioni elettriche, con una mossa tipica del mondo industriale tedesco, che spesso ha avuto la presunzione di mettere fuori mercato la concorrenza grazie alle sue scelte innovative. Molte Case erano invece rimaste a guardare, ritardando l’elettrificazione dei propri marchi: “VW si è ritrovata con una gamma di nuove auto elettriche che erano molto costose da acquistare senza che nessuno le volesse per davvero”. A ciò non sono certo estranee le politiche americane miranti ad accerchiare l’Europa:
-guerra in Ucraina e conseguente blocco dell’ importazione di idrocarburi a basso prezzo dalla Russia;
-boicottaggio delle Nuove Vie della Seta con conseguenti difficoltà nelle esportazioni e negli investimenti in Cina;
-dazi sempre più pesanti tanto verso la Cina quanto l’ Europa.
Tutto ciò mentre alle porte dell’Europa bussano ormai le rivali cinesi: “Per un milione di ovvie ragioni le auto elettriche possono essere prodotte in Cina a un prezzo molto più basso rispetto all’Europa”.
Tutto ciò è paradossale perché la Volkswagen è sempre stata altamente politicizzata, e, quindi, fortemente sensibile alle grandi trasformazioni del proprio tempo. Fondata da Hitler e da Porsche contro la volontà dell’imprenditoria tedesca, e perciò affidata al sindacato nazista (la prima grande azienda autogestita), poté sopravvivere dopo la guerra grazie al governatore inglese della Germania del Nord, e realizza nel modo più radicale il concetto tedesco di “cogestione”, che, nel suo caso, assomiglia all’ autogestione, perché l’azienda è protetta da un regime speciale detto “Volkswagengesetz”, che ne garantisce il controllo al Land della Bassa Sassonia.
Ora, è in corso uno sciopero durissimo contro la chiusura di varie fabbriche. La Presidentessa del Consiglio di fabbrica, Cavallo, figlia di un emigrato italiano, ha chiamato l’Amministratore Delegato “Vergogna della Nazione”.


5.Insufficienza delle politiche nazionali ed europee
La scelta dell’elettrico per garantirsi l’indipendenza economica ha senso per la Cina, che può permettersi di fare scelte autonome di lungo periodo, comprendenti tra l’altro la motorizzazione di centinaia di milioni di nuovi consumatori, le “smart cities”, le auto a guida autonoma e il dominio del solare eolico, non già un’Europa soggetto ai capricci degli USA, priva di terre rare e di deserti dove installare i pannelli solari, e tagliata fuori dal mercato della guida autonoma. Per un’Europa siffatta, purtroppo, il “time to market” è fondamentale, e può diventare fatale.
Anche in questo campo, o ci trasformiamo in uno Stato-Civiltà con centinaia di milioni di abitanti, con un budget enorme e la capacità di fare investimenti decennali, oppure saremo condannati ad uscire anche dall’ industria auto.
Come afferma il sito della Coface (assicurazione francese dei rischi export) il Governo cinese, investendo nell’auto elettrica più di 231 miliardi di dollari, ha fatto sì che, 2023, BYD abbia superato Tesla.
Secondo la Coface,i dazi all’ import decisi dall’ UE non bastano, anche perché, nell’ attuale situazione geo-politica, una UE sempre più debole (vedi dimissioni di Barnier) non ha un peso contrattuale sufficiente per negoziare con la Cina, gli USA e gli aggressivi gruppi multinazionali.