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LA CULTURA EUROPEA DELLA  SOCIALITA’:

SUE RADICI PREMODERNE

Il giudice costituzionale tedesco Boeckenfoerde aveva affermato che l’Europa vive grazie a premesse ch’essa non è in grado di garantire.

In effetti, il cosiddetto “Miracolo Europeo” che, secondo la “vulgata” dell’establishment, sarebbe nato come per caso dall’ incontro fra illuminismo e dottrina sociale della Chiesa , va ricondotto in realtà a millenni di tradizioni europee, che, una volta ridotte, come si fa, a semplici “radici”, senza più alcun “élan vital”, non riescono ad evitare il nichilismo, cosa che sta ora accadendo sotto la pressione, prima, della globalizzazione occidentale, poi, delle Macchine Intelligenti. Ciò è vero in particolare per ciò che concerne il modello sociale europeo e il diritto sociale, fino a poco tempo fa baluardo di un modo di vivere europeo che si distingueva all’ interno stesso dell’ Occidente.

L’idea  di Gianni Alemanno di rilanciare, in alternativa all’ attuale linea politica del Governo, l’area della  “Destra Sociale”, messa nella giusta evidenza da parte dei media, costituisce un’ eccezionale occasione  per una rapida rassegna storica delle radici culturali dell’ idea europea di “socialità”, e della conseguente evoluzione del diritto sociale. Una rassegna quanto mai necessaria, tanto per dare un fondamento solido all’ipotesi della rinnovata “Destra Sociale”, quanto per rilanciare il progetto europeo di società  in quanto modello alternativo a quello “occidentale” (cfr., p.es, Michel Albert, “Capitalismo contro capitalismo”).Una rassegna cui mi sono dedicato fino dagli anni dell’ Università, quando dedicai la mia tesi di laurea alle “Fonti del Diritto del Lavoro nell’ Europa Occidentale”, e che è continuato con l’Associazione Diàlexis, con l’opera “Il ruolo dei lavoratori nell’ era dell’intelligenza artificiale”.

Ezio Mauro, su, “La Repubblica” ha avuto una bella intuizione nel segnalare la presenza, nell’aria, del desiderio di elaborare una “dottrina sociale della destra”, che ambirebbe a sostituire la propria egemonia a quella, pluridecennale, della sinistra, che, dopo due secoli”si muove spaesata  davanti alla divaricazione tra sviluppo e occupazione”. Divaricazione che, tra l’altro, Marx aveva già previsto, concludendone che non vi sarebbe stato vero  sviluppo al di fuori del socialismo. La sinistra è vittima di proprie contraddizioni intrinseche e ancestrali, messe definitivamente a nudo dal suo superamento da parte del post-umanesimo dell’ ideologia californiana. Il marxismo prevedeva un’evoluzione quasi automatica, il cui esito finale sarebbe stata una società opulenta grazie all’organizzazione centralizzata dell’ economia. In questo quadro, il ruolo delle forze di sinistra non era poi così determinante.

Noi non crediamo che una“dottrina sociale della destra” quale quella abbozzata di fatto dal Centro-Destra, e descritta, anche se confusamente, da Mauro, possa conseguire l’obiettivo dell’acquisizione dell’ egemonia sociale, proprio perché colpita, non meno della sinistra,da alcune contraddizioni, appena accennate da Mauro, quali l’assenza di una visione non settoriale della crisi epocale in corso e la politica del “ressentissement”.

Certo che s’impone  una “Dottrina Sociale della Destra” veramente nuova. E,in realtà, questa c’è già, ma è stata deliberatamente occultata per più di un secolo, proprio mentre s stava realizzando, da establishment, accademia e politica partitica.

Il luddismo: primo esempio di lotta di classe operaia contro la Modernità

1.Le radici premoderne delle politiche sociali

Occorre ora portare alla luce, con una ricerca nel profondo e una battaglia culturale, le vere radici degl’ideali e degl’istituti sociali europei.

Contrariamente a quanto si è ritenuto per lungo tempo, l’idea moderna di socialità è legata, non già alle culture antitradizionali della Modernità (in particolare, al positivismo e al marxismo), bensì soprattutto a radici premoderne, quando non antimoderne (classiche, medievali, d’Ancien Régime, cattoliche, monarchiche, fascistiche, democristiane). Seifert distingue le idee della Rivoluzione Francese, che sarebbero quelle dei tre ordini dell’ Ancien Régime, dalle “sette idee slave”, che sarebbero quelle all’ origine del Marxismo. Del resto, lo stesso Marx aveva colto l’esistenza di una specifica idea europea di socialità, diversa da quella americana, ma anche dalla sua propria,  di cui il maggiore esponente sarebbe stato il Barone von Stein, caratterizzata dal fatto che il capitalismo europeo si era sviluppato in un ambiente ancora profondamente intriso di feudalesimo (cfr. i Grundrisse, citati da Luciana Castellina in “50 anni d’ Europa”).

Soprattutto in Inghilterra enei Paesi tedeschi, il diritto del lavoro presenta profonde tracce  della cultura feudale. Basti pensare alla denominazione del diritto del lavoro quale “Law of Master and Servant” (=“Legge del padrone e del servo”) e del contratto di lavoro come “Treuedienstvertrag” (=“Contratto di fedeltà e servizio”). La Rivoluzione Francese, con la Legge Le Chapelier,  segna in Francia, almeno ufficialmente, la fine del sistema corporativo, mentre, per esempio, in Austria, le corporazioni  si trasformano in Camere di Commercio e Camere del Lavoro.

Contrariamente all’idea conservatrice di socialità intesa come solidarietà, la motivazione primaria di Marx non era stata la questione sociale, bensì l’aspirazione al superamento delle religione (cfr. “La Sacra Famiglia”) come testimoniato dalla sua opera giovanile “Oulanem”, deliberatamente satanistica,  ispirata alla retorica libertaria del Prometeo di Goethe.

Da queste sue radici nello Sturm und Drang, Marx fu spinto, prima, all’adesione alla Sinistra Hegeliana -la quale tentava di attualizzare gli obiettivi del “Primo Programma Sistemico dell’ Idealismo Tedesco” (realizzare nell’immanenza le promesse escatologiche delle religioni occidentali)-, e, poi, all’elaborazione del Materialismo Storico, una teoria del Progresso che si pretendeva scientifica, opponendosi  alle premesse spiritualistiche e organicistiche del Socialismo Utopistico (la ricerca di una “Nuova Società Organica”-cfr. Saint Simon-). In tutto ciò, la questione sociale si poneva, per Marx, sostanzialmente  solo come un passaggio strumentale, una fase necessaria della transizione automatica, meccanicistica, dal capitalismo al socialismo. Il proletariato  avrebbe realizzato la necessità storica di questa fase attraverso la sua rivoluzione e la sua dittatura; le sue rivendicazioni economico-sociali avrebbero  costituito  semplicemente un’astuzia della Ragione per favorire il corso del  Progresso. Il socialismo sarebbe non già più etico, bensì tecnicamente superiore al capitalismo, e quindi destinato a sostituirlo, per il semplice fatto che, incarnando l’intelligenza collettiva (“General Intellect”) sarebbe più razionale, e, pertanto, economicamente più efficiente. Un siffatto “socialismo” avrebbe anche  ben poco a che fare con l’assistenzialismo: esso era semplicemente il controllo sociale sui mezzi di produzione, in vista di un’evoluzione tecnologica illimitata, destinata a rendere superfluo, alla fine, il controllo sociale esercitato storicamente dallo Stato e dal diritto (e di conseguenza lo stesso socialismo, superato dal “comunismo”, una sorta di anarchia tecnologica). Nel socialismo, l’automazione avrebbe permesso di produrre in abbondanza e senza sforzo, sì che, ad un certo momento (il comunismo)  l’umanità avrebbe potuto dedicarsi quasi esclusivamente al tempo libero. Quest’ anarchia finale, la ”trascendenza pratica” di cui parlava Nolte, avrebbe realizzato il progetto chiliastico del Primo Programma Sistemico dell’ Idealismo Tedesco(sostanzialmente, il paradiso in terra).Infatti, essendo la cultura una “sovrastruttura” della struttura economica, la soluzione del problema delle risorse materiali avrebbe comportato quasi automaticamente il venir meno delle contraddizioni della società: potere, violenza, ingiustizie…

Il problema della sinistra è che questo obiettivo sembra ora realizzarsi non già grazie agli sforzi della politica marxista, bensì per effetto della dialettica intrinseca al Complesso Informatico-militare. E, per giunta, come potevasi prevedere sin dall’inizio, questa società della sovrapproduzione appare, vista da vicino, così poco attraente!

Per Lenin, il socialismo sarebbe stato “i soviet più l’elettrificazione”, vale a dire la dittatura del proletariato organizzato sotto la guida del Partito Bolscevico, per il compimento della rivoluzione industriale, fino alla fase in cui “le macchine produrranno altre macchine”, come accennato nel cosiddetto “Maschinenfragment” di Marx.  Purtroppo, il proletariato sarebbe naturalmente riformista,  perché non solo non condivide, ma non comprende neppure, gli obiettivi della rivoluzione. Perciò, dev’ essere assoggettato alla rude guida del Partito.

Stalin si sottrae al dibattito sul socialismo imponendo il dogma secondo cui esso, anziché essere un obiettivo di lungo periodo, sarebbe già stato realizzato nell’ URSS attraverso il capitalismo di Stato (il “socialismo reale”), mentre, nei Paesi satelliti, si avvia la “costruzione del socialismo” mediante le politiche di fronte popolare sotto l’egemonia del Partito Comunista (la “Blockpolitik”). L’approssimarsi del Comunismo renderebbe particolarmente violenta la lotta di classe,  e, quindi, necessario il terrore rosso (come sostenuto da procuratore generale Vysinskij, regista dei “Processi di Mosca”).

Per i marxisti revisionisti, poi, il socialismo si sarebbe potuto realizzare anche solo attraverso un’interpretazione elastica dei “fronti popolari”, in cui  la guida  del Partito Comunista si manifestasse gramscianamente nella forma di un’”egemonia culturale”, capace di gestire “democraticamente” una temporanea collaborazione di classe con la borghesia, in modo da indirizzarla verso riforme in senso socialista, mantenendo così l’orientamento finale verso il socialismo e il comunismo. Era questo tra l’altro il senso del “Compromesso Storico”. Per l’ideologia socialdemocratica, ciò non implicherebbe l’uso della violenza, ma solo di un “soft power”, grazie a cui, per esempio, come avviene ancor oggi oggi, sono vietati i partiti di ispirazione fascista (ma non quelli postfascisti), e il sistema dei media è controllato da lobbies invisibili, laicistiche e pacifiste.

La società europea idealizzata da Mauro sarebbe infine l’”Eredità del Novecento”, cioè dell’ idea maritainana, secondo cui la Democrazia Cristiana sarebbe stata “un partito di centro che guarda a sinistra”,”che aveva benedetto la solidarietà, la responsabilità, la sussidiarietà m e il bene comune della dottrina sociale della Chiesa, e aveva fissato nelle Costituzioni del Dopoguerra la dimensione sociale e solidale dello Stato.”Tutte belle parole che però, come veremo, non corrispondono alla realtà, molto più complessa, e articolata nello spazio e nel tempo.

L’attuale “ideologia californiana” va ancora oltre, ritenendo che il “deperimento dello Stato” profetizzato da Marx nella fase storica del Comunismo, riprendendo precedenti miti nichilistici, stia già avvenendo grazie al “Trust Socialism” delle multinazionali (Burnham) e allo strapotere dei GAFAM (i giganti dell’ informatica).

In tutta questa vicenda, “i poveri” e “i lavoratori” hanno svolto un semplice ruolo di comparse, mentre il pathos solidaristico delle Chiese e del sindacalismo è stato bollato come la peggiore tentazione del movimento progressista, così come predicava Brecht attraverso opere quali “Santa Giovanna dei Macelli” e “L’anima buona del Sechuan”.

In definitiva, la tradizione marxista, in tutte le sue sfaccettature, s’inserisce perfettamente in un elitarismo tecnolatrico di origine alchemica, cabbalistica, massonica e sansimoniana, radicalmente opposto alle tradizioni cetuali, corporative ed etiche europee, dove il “popolo” e le sue aspirazioni non hanno alcun peso, anzi, vengono repressi.

La differenza di base fra, da un lato, le tradizioni europee di socialità e la Grande Narrazione progressista del “sociale”( sia essa marxista, tecocratica o populista) è una divergenza teologica. Per i progressisti, la “vera” socialità è quella che nasce, con una cesura netta con l’Antichità, con le eresie, i Comuni, la Riforma, il marxismo, la rivoluzione industriale e tecnologica: essa costituisce l’inveramento delle profezie sul Millennio, che si adempiono ora con il Postumanesimo. Per i conservatori, o, meglio, i “conservazionisti”, la socialità è invece una costante dell’ Epoca Assiale, un”ideale normativo” mai interamente realizzato (come il Da Tong cinese, che, come la lingua  Cinese, ignora i tempi occidentali del verbo, e quindi può realizzarsi, o scomparire, in qualunque momento).

La pretesa dei progressisti occidentali d’imporre una “Fine della Storia” si tramuta, per via dell’Eterogenesi dei Fini, nella Fine dell’ Uomo, che, infatti, sta per intervenire a causa dell’ipertrofia della tecnica e della sua prevaricazione su uomo e natura. Il conservazionismo contiene una risposta adeguata alla Società del Controllo Totale, e il suo discorso pubblico sta già sostituendosi, per mille diversi rivoli (pessimismo tecnologico, socialismo di guerra, umanesimo digitale,revivals religiosi,  sovranismo) al “mainstream” progressista.

Solidarnosc, un grande esempio di sindacalismo solidarista, dileguatosi dopo avere vinto il Blocco dell’ Est

2.Il solidarismo, dai Romani all’islamismo

Se vogliamo trovare una radice dello spirito solidaristico che ha ispirato la creazione del diritto sociale in Europa, e ispira ancora gran parte delle attuali retoriche europee, lo troviamo piuttosto nelle società cetuali del passato, ben anteriori all’ “Eredità del Novecento” di cui parla Mauro.

In esse, i poveri erano visti come un ceto sociale come gli altri, con particolari diritti e doveri, come i “Proletarii” nella costituzione repubblicana romana, che avevano un loro status giuridico -uno jus activae civitatis-, sotto la protezione dei tribuni della plebe.

Quanto al Discorso della Montagna, letto attentamente,  esso sembra volto non tanto a promuovere una generica solidarietà  sociale, bensì a stabilire una nuova gerarchia basata su valori ascetici (i “poveri nello spirito”). Esso ha contribuito potentemente alla saldatura fra religione e socialità. In generale, Le religioni di salvezza, condannando l’attaccamento alle cose materiali, esaltavano la solidarietà fra gli uomini, e quindi il senso di misericordia. Di qui, l’orientamento  degli ordini monastici verso le opere sociali, come pure l’inserimento della “Zakat” (la beneficienza) fra i 5 Pilastri (Arkan) dell’ Islam.

Anche le corporazioni, che nascono, nella società classica, da un’ispirazione religiosa (pagana), trovano la loro massima fioritura nel Medioevo cristiano, e vengono incorporate nelle politiche colbertistiche dello Stato Assoluto, che prendevano come modello l’Impero cinese pubblicizzato dai Gesuiti, ispirato all’ ideale dell’”Armonia”.

A questo ideale si ispira anche l’istituzione originalissima delle “Reducciones”, Enti autonomi costituiti in America Latina sempre dai Gesuiti (cfr. in particolare le lettere di Dom Antonio Vieira al Re del Portogallo), quale baluardo della libertà degl’indigeni contro lo schiavismo dei conquistadores, e organizzate secondo il sistema comunitario ch’ era stato proprio dell’ Impero Inca.

Più che contro l’aristocrazia, la Rivoluzione Francese si accanì  contro i ceti lavoratori. Intanto, la maggior parte delle 500.000 vittime della Rivoluzione Francese furono membri delle corporazioni, mentre, in Inghilterra, si scatenava la repressione contro i Luddisti, che si opponevano alla meccanizzazione del lavoro nell’industria tessile, con un dispiegamento di truppe superiore a quello delle Guerre Napoleoniche. Anche in Scandinavia, l’abolizione, più tarda, delle corporazioni, porterà a violenti scontri sociali.

Nel frattempo, le Chiese cristiane prendevano posizione sulla “Questione Sociale”. All’interno del Calvinismo olandese, Abraham Kuyper dedicò tutta la sua vita di teologo, di pastore, di pubblicista e ministro, alla creazione di un intero sistema di pensiero sociale neo-corporativo (“Organisch Gedachte”), che fu poi ripreso dall’ Anti-Revoltionair Partij. Nella Chiesa Cattolica, i Pontefici adottarono una decina di Encicliche Sociali, mentre teorici e organizzatori come von Ketteler, Vogelsang e Toniolo, gettavano le basi del pensiero sociale cattolico.

Tutta l’ideologia e la prassi del Principio di Sussidiarietà, tanto invocata da tutti soprattutto nell’Unione Europea, deriva dalla scoperta, da parte di Tocqueville, dei “corpi intermedi” quale contrappeso agli aspetti totalitari ella democrazia; concetto ripreso dalle Encicliche Sociali come difesa della società civile contro la pervasività dello Stato laicista ottocentesco, e poi base teorica per l’associazionismo cattolico, che rivendicava dal basso quel ruolo centrale che la Chiesa aveva assunto nell’assistenza sociale ai tempi dell’ Ancien Régime. Fiorivano allora , soprattutto in Piemonte, i Santi Sociali: Don Bosco, Cottolengo, Faà di Bruno.

Di qui la nascita del Terzo Settore, una società solidaristica come quella delle Reducciones, alternativa tanto al capitalismo quanto al socialismo, che sostiene in modo autonomo la vita della società, quasi fino a sostituirsi all’ economia commerciale e perfino allo Stato. Lo stesso principio solidaristico, tratto però dalle radici tribali, lo si ritrova nelle società africane, con movimenti come Njamaa o Ubuntu Mobuntu, e in quelle estremo-orientali (la “Mura Mentality”, eternata nei “Sette Samurai” di Kurosawa).

Sempre nell’ Ottocento, il Barone von Stein studiava in Austria la questione sociale. Tra l’altro, fu lui a inaugurare l’espressione “movimenti sociali”. Nasceva il Socialismo della Cattedra e II Reich inaugurava il Reichsversicherungsamt (L’Ente Imperiale delle Assicurazioni Sociali), a cui si affiancò ben presto una parallela legislazione austro-ungarica, non priva di connessioni con lo studio delle società contadine slave (in particolare, della “zadruga” balcanica),da parte di riformatori conservatori germanici Il Kaiser  qualificava i  lavoratori come “Soldaten der Arbeit“. Pochi anni dopo, Spengler parlerà di un “socialismo prussiano”.

All’inizio del ‘900, Sorel rivendicava, contro l’inerzia del movimento socialista, il movimentismo quale motore dell’azione sociale.  Ne nasceva il “Cercle Proudhon”, luogo d’incontro fra anarco-sindacalisti e l’Action Francaise, aspirante a restaurare l’ordine cetuale dell’ Ancien Régime. Nello stesso tempo, il movimento sionista coniugava aspirazioni nazionali e religiose con un’ethos socialista, attraverso istituzioni quali il sindacato Histadruth e Enti quali i Kibbutzim.

A cavallo della 1° Guerra Mondiale, l’interventismo di sinistra, e, in particolare, Mussolini, propugnavano la sintesi fra socialismo e nazionalismo, che troverà la sua pratica espressione nel Programma di Sansepolcro.

In Germania, nel 1920, il  Reichswirtschaftsrat univa lavoratori e datori di lavoro. Nel 1922,colla  Gesetz über die Entsendung von Betriebsratsmitgliedern in die Aufsichtsräte der Kapitalgesellschaften, veniva avviata la cogestione e la socializzazione delle imprese, che i Sindacati cristiani salutavano come la “costituzione dei lavoratori quale nuovo ceto”.Tuttavia, il sopraggiungere della crisi del 29 e el nazismo interruppero questi tentativi.
La Carta del Quarnaro di D’Annunzio e di De Ambris introdusse in Italia, riallacciandosi agli statuti delle antiche città adriatiche, l’idea, presente anche nell’art. 165 della Costituzione di Weimar, di una partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese e dello Stato, ricalcata sull’ idea di Toniolo, di associazione fra capitale e lavoro.

Il fascismo sviluppò nella sua massima estensione il concetto corporativo, a cui aderirono pensatori e sindacalisti di tutta Europa, facendone uno dei cardini del proprio sistema. In occasione del congresso corporativo di Ferrara, Ugo Spirito lanciò la sua idea della Corporazione Proprietaria, che costituì poi la base occulta del modello socialista jugoslavo.

Nella sua fondamentale opera “Der Arbeiter” (“L’Operaio”), Ernst Juenger teorizzò, espandendo idee del marxismo e del “socialismo prussiano”, la nascita, con la “Mobilitazione Totale” industriale   bellica, di un nuovo tipo di uomo, un gigante mezzo uomo e mezzo macchina, il “Post-Uomo” che avrebbe dominato la nuova era. A questa specie di cyborg corrispondeva, sul piano politico, un nuovo tipo di Stato, lo “Stato Nazionale del Lavoro”, incarnato, nel 1927, dai due modelli sovietico e italiano. E, in effetti, nell’ immaginario collettivo, bolscevismo e fascismo furono accomunati nella loro idea di “nazionalizzazione delle masse” attraverso il completamento della rivoluzione industriale e la creazione dello Stato sociale.

Nel Manifesto di Verona venne proclamato il principio della socializzazione delle imprese, poi realizzato legislativamente negli ultimi giorni della Repubblica Sociale.

Buona parte delle classi dirigenti della sinistra postbellica furono allevate dai “fascisti di sinistra” operanti nel campo del sindacalismo (come De Ambris), e intorno al Ministro Bottai, e, in particolare, la sua rivista “Primato”, o a Cinecittà. Basti pensare a Malaparte, Ingrao, Pajetta,  a Napolitano, a Fo. Anche i  teorici del federalismo europeo, come tutta Giustizia e Libertà, e, in particolare, Adriano Olivetti, furono ispirati dal corporativismo, proprio nella sua forma della Corporazione Proprietaria e della Socializzazione. I progetti della Resistenza (come quelli di Galimberti, Spinelli, Het Parool e Libérer e Fédérer), contenevano accenni al corporativismo (avversione per la partitocrazia, socializzazione delle imprese strategiche).

Subito dopo la IIa Guerra Mondiale,nonostante la sconfitta dell’ Asse, le corporazioni vennero introdotte in  Olanda, Spagna e Portogallo, mentre la Jugoslavia socialista adottava in pratica,  sotto i nome di “autogestione sociale”, tutti i principi della Corporazione Proprietaria (OOUR, Federazione di Organizzazioni di Lavoro Associato), della rappresentanza corporativa e del Federalismo Integrale, poi imitati in altri Paesi ”socialisti”, come per esempio l’Algeria.

In Olanda, l’ordinamento corporativo si fondava su un’organizzazione complessa, avente al vertice la Fondazione del Lavoro (“Stichting van de Arbeid”), e il Consiglio Economico e Sociale (“Sociaal- Economisch Raad”), sulla falsariga del Reichswirtschaftsrat in dem Arbeitgeber und werkschaften vertreten sind e, alla base, le Corporazioni (“Bedrijf- en Produktschappen”).

Molti principi del diritto del lavoro contenuti nella Costituzione Italiana, e in gran parte mantenuti nel diritto del lavoro postbellico,  provengono dalla Carta del Lavoro fascista, di cui riprende la terminologia (“lavoro”; “giusto salario”;”contratto collettivo valido erga omnes” “responsabilità sociale dell’ impresa”, “lex favorabilis”).

Nel 1952, in Germania, per evitare l’acquisizione forzata delle aziende da parte delle imprese dei Paesi vincitori, venne introdotta, dal Governo democristiano, una cogestione delle imprese estremamente pervasiva, simile a quella del Manifesto di Verona, che è tutt’ora in vigore, e che è stata imitata praticamente in tutta Europa (paradossalmente, salvo che l’Italia, madre della socializzazione, ma che, nel dopoguerra, non ne ha più neppure voluto parlarne).

La Democrazia Cristiana fu particolarmente attiva nelle politiche sociali, allineandosi così sulle Encicliche Sociali. Basti ricordare lo Statuto dei Lavoratori, votato dalla DC e approvato con l’astensione dei Comunisti.

Anche la politica del lavoro gollista fu basata  sul principio della cogestione delle imprese, oltre che su altri simili principi “corporativi”.

Non parliamo dei moti del ’68, che non furono solamente progressisti, bensì conobbero anche, soprattutto nelle università di Roma, di Perugia di Messina e Reggio Calabria, un’ampia gamma di espressioni alla tradizioni della Destra Sociale, in particolare con le riviste “L’Orologio” di Luciano Lucci Chiarissi e “Nuova Repubblica” di Giano Accame, nata dall’omonima ala scissionista filo-gollista del Partito Repubblicano,  quella di Randolfo Pacciardi.

Buona parte del diritto sociale europeo è dipendente storicamente dai principi della cogestione, della partecipazione e del sindacalismo. D’altronde, dobbiamo le assicurazioni sociali e l’Ordinanza sull’Orario di Lavoro,  al II° Reich; l’Opera Maternità e Infanzia, al fascismo; i Contratti Collettivi validi erga omnes, alla Carta del Lavoro; le Case INA, a Fanfani,  i Comitati Economici e Sociali all’ Anti-Revolutionair Partij olandese; la cogestione ad Adenauer e De Gaulle. Senza contare il peso che il Peronismo ha esercitato sul pensiero sociale di Papa Francesco.

Lo stesso discorso vale per l’ambientalismo,nato con Thoreau, Ruskin, Arnold  e i Wandervoegel, come protesta contro le brutture dell’ industrializzazione, proseguito sotto il Nazismo, come ritorno al Sangue e alla Terra, e ripreso da intellettuali conservatori, come Améry, Bahro, Jonas, Lorenz e Eibl-Ebersfeld, e, infine, teorizzato dall’Enciclica “Laudato sì”.

La riunificazione dell’ Europa dopo la caduta del Muro di Berlino avvenne innanzitutto sotto la spinta del sindacato polacco Solidarnosc, fortemente influenzato da Papa Giovanni Paolo II e dalla Chiesa polacca.Nello stesso modo, la nascita   di un  Islam politico democratico, e, quindi, dell’ Euroislam,   ha conosciuto la spinta sociale di partiti come i Fratelli Mussulmani e l’AKP, fortemente radicati nei corpi intermedi.

La dottrina politica dell’Unione Europea si fonda sui concetti conservatori di “stabilità” , “pluralismo”, ”sussidiarietà” e “solidarietà”; la sua legislazione comprende direttive sulla partecipazione dei lavoratori e sui Consigli di Fabbrica Europei, tratti dalle tradizioni del corporativismo cristiano e dalla prassi della Mitbestimmung tedesca.

Si può dire così che buona parte del patrimonio ideale, concettuale, politico e legislativo del “sociale”, vantato come proprio dalla sinistra, e divenuto parte integrante della sua egemonia, sia in realtà oggetto di un’appropriazione culturale rispetto a preesistenti culture politiche. E, ancor oggi, le retoriche delle istituzioni nazionali ed europee, ivi comprese quelle del pensiero unico e del post-umanesimo, non  sono altro che una scimmiottatura riduttiva, dogmatica ed ossessiva dei temi storici della “Destra Sociale”: ambientalismo, solidarismo, interclassismo, elitarismo, stabilità sociale, Stato etico…

Per questo, la “Destra Sociale”, anziché rappresentare, come vorrebbero i luoghi comuni, una forma di “estremismo”, costituirebbe il reale “mainstream” della cultura europea del sociale, se non fosse oscurata dalle convergenti narrative di diverse lobbies antieuropee: quella post-marxista, quella post-umanista quella californiana…

La paradossale storia della città di Togliatti:costruita dalla FIAT con tanta fatica; ceduta da Stellantis per 1 rublo per evitare grane con l’ America.

3.La politica sociale non può neppure cominciare senza una “difesa del lavoro nazionale”

Esula da tutte le tradizioni sociali europee, ivi comprese quelle marxiste,l’idea dell’ assistenzialismo (centrale invece nel dibattito sul Reddito di Cittadinanza e sul Salario Minimo), ovvio corollario dell’accettazione del principio liberistico dell’inevitabilità della disoccupazione, che, invece, gli Stati Nazionali del Lavoro non ammettevano, poiché il lavoro era, per essi, non già un diritto, bensì un dovere, in vista della Mobilitazione Totale.

Né le politiche sociali marxiste, né quelle antimoderne, hanno perciò mai posto al loro centro l’assistenzialismo, che è solo l‘effetto indiretto di una cattiva gestione dell’ economia (le “market failures”, a cui, perfino secondo i liberisti, lo Stato deve rimediare con il proprio intervento).  Si è condannati a fare assistenza quando non ci sono, come oggi, né lavoro, né partecipazione, sicché i cittadini si trasformano tutti gradualmente in “nuovi poveri” e, poi, in potenziali “Gilets Jeaunes”.

L’economia è stata mal gestita per molti decenni, non soltanto in Italia, ma in tutta Europa, per effetto di ideologie e politiche mistificatorie, come il liberismo e la lotta di classe, impostesi in Europa dopo la IIa Guerra Mondiale, paradossalmente proprio in un’era di gestione politica dell’ economia in tutto mondo (e in primis negli Stati Uniti, che si pretendono liberisti), a partire dal Piano Marshall, per arrivare al DARPA, all’aiuto allo sviluppo, all’ antitrust, dalle tecnologie duali, al Trading with the Enemy Act, alle sanzioni, al “de-risking”, al “friend-shoring” (senza contare le politiche del blocco socialista e dei Paesi in Via di Sviluppo)….Solo l’Europa postbellica aveva sempre sdegnosamente rifiutato di condurre questo tipo di politiche. Ora le conduce “perché ce lo chiede la NATO”, per contrastare le “influenze maligne” delle “Autocrazie”. 

La Terza Guerra Mondiale oramai avviata ha portato comunque alla rivalutazione dei vecchi concetti (mai abbandonati nella sostanza) dell’ Economia Nazionale, del controllo politico e militare sull’ economia, dei sussidi e dei divieti, delle collaborazioni pubblico-privato e civile-militare, delle politiche industriali nazionali, dei  consorzi obbligatori : nella terminologia di Lenin, il”socialismo di guerra”, in quello di Kalecki, il “keynesismo militare”. In questo contesto , anche le politiche sociali non possono non assumere una connotazione “nazionale”: i posti di lavoro si creano sostenendo la competitività del “sistema Paese” nei confronti del resto del mondo. Per esempio, favorendo una cultura tecnologica nazionale, la nascita di nuove imprese nazionali in aree strategiche e la difesa di quelle esistenti. Nella presente fase, ciò deve avvenire in un contesto europeo, come avvenuto in passato con l’Ariane, l’Eurojet, l’Eurofighter,  i Corridoi Europei, l’Airbus, Galileo…

IL Governo Meloni si è fatto recentissimamente portatore di questo keynesismo militare, attraverso lo stravolgimento dei patti parasociali della Pirelli, la tassazione degli extra-profitti delle banche e l’intervento diretto del Ministero delle Finanze nella rete telefonica nazionale per controbilanciare l’azionariato francese ed americano.

Purtroppo, abbiamo assistito negli ultimi decenni a operazioni catastrofiche di segno opposto, come la distruzione dell’ Olivetti e del Concorde, il boicottaggio di Eurofighter e EADS, la difesa oltre i limiti del ragionevole dei monopolisti americani dell’ informatica, la cancellazione della FIAT..

Queste attività di sabotaggio antieuropeo continuano tutt’ora, con la svendita ai Russi di Togliattigrad e con l’acquisto, da parte di ESA, del lanciatore  SpaceX di Elon Musk in luogo della paneuropea  Ariane. Per non parlare degli effetti catastrofici per l’ Europa delle sanzioni contro mezzo mondo e del “decoupling” dalle economie russa e cinese, effetti che si stanno vedendo in questi giorni con la decrescita in Germania, colpiti dalla riduzione degli affari con la Cina e con la Russia.

Poi ci si stupisce della scarsità di posti di lavoro altamente qualificati e del dilagare di attività da terzo mondo (l’”economia da bar”), come i balneari (in cui vorremmo fare concorrenza sui prezzi all’ Albania) e il bracciantato agricolo, principale stimolo all’immigrazione clandestina! I posti da grande finanziere internazionale, un tempo ambiti dai “capitani di ventura” italiani; di supermanager come Mattei, Romiti, Marchionne; di scienziati internazionali come Marconi e Fermi; di grandi imprenditori come Olivetti, Versace, Armani, lo stesso Berlusconi; quelli di intellettuali internazionali come Puccini, Toscanini, Montessori, Fellini, Visconti, Antonioni, Eco, sono oramai prerogativa di quei Paesi che sostengono maggiormente i loro talenti, con un’adeguata “advocacy”, più necessaria che mai in un mondo di lobby internazionali, di “soft power”, di disinformazione e di trolls: America, Cina, India, Israele..L’Europa non è più un posto per giovani, né tanto meno per giovani laureati.

Siamo stati testimoni di questo progressivo declassamento, avendo lavorato all’ internazionalizzazione dell’ industria italiana per i gruppi CIR e FIAT, su progetti come Togliattigrad, FIAT Polski, Eurojet, Eurofighter, Airbus, Ariane, Vega.., gradualmente liquidati da politiche antinazionali ed antieuropee, come la cessione dell’ Olivetti alla General Electic, l’acquisto dei  F35 americani, lo smantellamento dell’EADS…

In questa situazione, nessuno, né la sinistra, né la destra, è in grado di offrire concretamente ai nostri giovani dei posti di lavoro all’ altezza delle nostre tradizioni, della nostra cultura, delle ambizioni e dei sacrifici delle nostre famiglie. Esistono solo più posti da entertainer, baristi, camerieri, bagnini.

Stupisce solamente che movimenti come quello dei “Gilets Jaunes” non siano più frequenti.

Una destra veramente sociale dovrebbe quindi cominciare dalla creazione, con una politica proattiva, di posti di lavoro nei settori strategici. E’ tanto bello parlare di un nuovo “Piano Mattei”, ma Mattei andava in giro per il mondo a combattere per l’economia italiana, per dare, come egli diceva, “un posto al sole” all’ Italia, e per questo fu ucciso. I nostri attuali governanti sono disposti a rischiare la loro vita per il futuro dei nostri giovani, difendendo le nostre aziende nel mondo, applicando coerentemente l’antitrust e la legislazione fiscale, sostenendo la tecnologia nazionale con  adeguate politiche interventiste? Parliamo di industrie informatiche, di finanza internazionale, delle stesse industrie culturali.

Invece, si preoccupano di aggiungere le beffe al danno, accettando di fare, del patrimonio culturale nazionale, lo scenario di una pagliacciata quale il preannunziato incontro di arti marziali fra Musk e Zuckerberg. Ma “oportet ut scandala eveniant”: così si metterà in scena lo spettacolo realistico di un’Italia di “superbe ruine” pura scenografia, sullo sfondo del quale si scontrano i veri poteri del mondo:”il disprezzo insito nella richiesta di umiliare l’Italia a set di polistirolo”, come scrive Gianni Riotta, il quale conclude giustamente:”Passeggiare nelle nostre città, da  Venezia a Siracusa, lascia già temere che un modello di sviluppo affidato solo al turismo svuoti per sempre i centri storici di cittadini, artigiani, artisti, famiglie lasciando solo fast food, Airbnb, bancarelle, kitsch”.

Di fronte alle crisi del capitalismo,
torna di attualità l’economia mista

4.Quali programmi  per una Destra Sociale?

Nel nostro opuscoletto, ci siamo permessi di suggerire a tutti gli schieramenti presenti nel Parlamento Europeo per riprendere vitalità, ritornando ai fondamentali, vale a dire alle esigenze per cui, secoli fa, essi erano nati. Questo vale a più forte ragione per una “Destra Sociale”, le cui radici (Classicità, Medioevo, corporazioni, Encicliche Sociali, Gaullismo, partecipazione) si confondono con la storia stessa dell’ Identità Europea.

Una volta rovesciate le politiche economiche antinazionali e antieuropee degli ultimi 50 anni, occorrerebbe, per l’Italia, accingersi anche a raggiungere gli altri Paesi d’Europa nel campo del diritto sociale, avvicinandoci a quel “modello renano” -di origine corporativa, democristiana e gollista-, dominante in tutta Europa, e di cui i partiti socialisti, in assenza di idee proprie, si erano arditamente appropriati per un certo periodo, e che è stato poi abbandonato anche da questi ultimi negli ultimi decenni: Commissariat au Plan, salario minimo, politica dei redditi, dialogo sociale, federalismo integrale, partecipazione alla gestione e agli utili delle imprese.

Gli esempi legislativi non mancano in tutta Europa: Comitato Economico e Sociale, Centre d’Analyse StratégiqueFrance Stratégie, Institut fuer Wiederaufbau, Betriebsverfassungsgesetz, Mitbestimmungsgesetz…

In campo ambientale, occorrerebbe mettere in pratica quanto accennato nella “Laudato sì”, in particolare un’ecologia che non fosse il puro e semplice “greenwashing” di interessi finanziari internazionali, di cui la propaganda ecologistica costituisce troppo spesso una semplice funzione di marketing, bensì una “ecologia profonda”, o “ecologia dell’ anima”.Certo, non una politica ecofobica quale caldeggiata da taluni nelle destre europee.

Sul piano della prassi politiche, ciò dovrebbe passare attraverso la presa sotto controllo dei movimenti sociali di contestazione del sistema, a partire dal Movimento Europeo, da quelli studenteschi, dai sindacati e dai movimenti ecclesiali, per rivendicare la trasformazione dell’Unione Europea in un vero Stato-civiltà; l’introduzione di sistemi capillari di partecipazione a tutti i livelli; la difesa da parte dell’ Unione, dell’economia continentale, e, in particolare, la creazione di Campioni Europei nei “settori di punta”. Insomma, per usare un’espressione cara  un tempo  all’ On.le Alemanno: “Italia, Europa, Rivoluzione!”

Come tutto ciò possa sposarsi con le politiche parlamentari italiana ed europea, e, in particolare, con le tattiche elettoralistiche dei partiti di destra in vista delle elezioni europee (cfr. nostro volumetto”Elezioni 2024, I partiti europei nella tempesta”),  è ancora tutto da vedere.

Tuttavia, proprio se, come afferma l’on.le Alemanno, questo rilancio vuol essere più ambizioso che non una pura manovra pre-elettorale, esso non può prescindere da un preliminare lavoro  culturale, che dipani questa complicata matassa di radici e di rapporti, per renderla utilizzabile oggi, nell’ era delle macchine intelligenti.E questo lavoro dovrebbe interessare intellettuali di tutto l’attuale e fatiscente “arco politico”: infatti, il diritto sociale costituisce una parte importante della identità, tradizione, storia, società ed economia europee, senza il quale non si può progettare alcuna politica seria, nessuna uscita dall’ attuale palude!

Se e nella misura in cui questo sforzo ci sarà, siamo interessati a parteciparvi, contribuendo a riscoprire quest’intero mondo sommerso, su cui poggiano comunque le basi delle nostre società europee. 

LA RIVINCITA DELLA MITBESTIMMUNG

Battiamoci per un vero piano industriale europeo

Volkswagen in Cina

Le ormai prossime elezioni amministrative dovrebbero cvostituire (ma non lo sono) un momento di approfondito  ripensamento sul futuro dei nostri territori.

La perdita, da parte  di Torino, di quasi tutte le prerogative tradizionali che la caratterizzavano  almeno nell’ immaginario collettivo costituisce un caso estremo del più generale fenomeno di deindustrializzazione dell’Italia e dell’Europa, che non può essere metabolizzato se non mediante un radicale rovesciamento delle vocazioni economiche dei nostri territori. Contrariamente a quanto annunziato un anno fa in un eccesso di entusiasmo, il Recovery Plan non sta realizzando nulla in questo senso, dato il suo carattere d’urgenza, i limiti dei trattati europei e quelli delle culture dominanti. La politica europea si rende forse oggi conto che, subito dopo il “Recovery Plan”, insufficiente e tardivo, occorre un secondo, ben più energico, intervento (la “Strategia Industriale Europea”), ma dubitiamo che saprà veramente lanciarlo.

In questo post, vediamo in primo luogo come si possano emendare gli errori attuali, indotti dalle limitazioni culturali e antropologiche della classe dirigente, per poi arrivare a parlare di un vero e proprio “progetto economico europeo” che dovrebbe, a nostro avviso, costituire il nocciolo duro della suddetta “Strategia Industriale Decennale Europea”, già anticipata, e perfino rivista, dall’ Unione, che la Francia vorrebbe proporre energicamente nel suo semestre europeo, che inizia il 1° Gennaio 2022, ma che, a causa dei fallimenti del passato, si presenta fin dall’ inizio come troppo limitativa.

Partiamo, per fare questo, dalla situazione di Torino e del Piemonte, che consideriamo paradigmatica di quella europea, per terminare, come usiamo fare, con una visione comparativa delle diverse situazioni di Europa, USA e Cina.

I miei 4 lettori mi perdoneranno se, nel fare ciò, farò qua e là riferimento alle mie esperienze di lavoro, a Torino e in Europa, che mi hanno permesso di constatare in prima persona quali siano stati gli effettivi , trasparenti, meccanismi  attraverso i quali la situazione dei Torino, dell’ Italia e dell’ Europa si è deteriorata nel corso degli ultimi 50 anni.

  1. L’eutanasia dell’Olivetti e della Fiat

Dovrebbe stupire innanzitutto che, in tutte le analisi che vengono pubblicate sul declino del Piemonte, non si riveda mai la dinamica concreta della sua de-industrializzazione, basata sulle catastrofi parallele e complementari dell’industria metalmeccanica, di quella informatica e di quella culturale, e causata, in tutti e tre i casi, dalla mancanza di progettualità da parte delle autorità europee, e, innanzitutto, italiane. Il cosiddetto “corporativismo democratico” teorizzato da Fanfani, incarnatosi nella difesa “a pioggia” dei soggetti di fatto esistenti ha fatto sì che si gonfiassero a dismisura automotive ed occupazione operaia a scapito di altre attività produttive (per esempio, informatica, aerospaziale, cultura e servizi), molto più promettenti nella prospettiva della Quarta Rivoluzione Industriale.

A cavallo della IIa Guerra Mondiale, erano stati inventati, tra l’altro, l’energia atomica, la cibernetica, il motore a reazione, la missilistica, la televisione, tutte tecnologie decisive per la divisione internazionale del lavoro nell’ era industriale. Tuttavia, per ragioni legate essenzialmente all’ esito della guerra e alla successiva Guerra Fredda, l’applicazione in Europa di quelle tecnologie strategiche sarebbe tardata, o ben presto abortita. Si svilupparono invece le industrie destinate ai prodotti di largo consumo, fabbricate, come al Lingotto e a Mirafiori, in stabilimenti prima prevalentemente militari, e, come tali, finanziati, durante la guerra, essenzialmente dal settore capitale pubblico, e poi “ereditate” dagli imprenditori.

Questo tipo di sviluppo dell’economia europea  non aveva fin dall’ inizio la capacità di reggersi nel lungo periodo, perché fondato, essenzialmente, sulla non ripetibile situazione post-bellica, caratterizzata dall’impressionante base industriale creata dall’ Asse per fini bellici e dalla copiosa offerta di mano d’opera qualificata e sottopagata in seguito alla smobilitazione, situazione anticipata dagl’incontri durante la guerra fra la FIAT e il dipartimento americano dell’ Industria.

Nei successivi 75 anni, l’Europa, trincerandosi dietro una retorica iperliberista incompatibile con le sue dichiarate ambizioni di potenza economica subcontinentale, si è sempre rifiutata di adottare le contromisure contro questa situazione di programmato sottosviluppo tecnologico, denunziata da rari teorici come Servan Schreiber, e, anzi, ha boicottato, dietro le pressioni americane documentate come nei casi di ENI, Olivetti ed Airbus,  le proprie imprese che tentavano di uscirne. I lamentati interventi “statalisti” hanno avuto anch’essi un carattere “a pioggia”, non atti a sostenere la sovranità tecnologica delle nostre imprese, condannate ad essere eterne “followers” di quelle americane.

Ancor oggi, i documenti dell’Unione sono basati sull’ insostenibile presupposto che, per rilanciare l’economia europea, bastino una politica monetaria espansiva,  il supporto alla ricerca e sviluppo e l’incoraggiamento delle “alleanze” fra piccoli produttori europei, senz’ affatto considerare che certi tipi di attori (come le piattaforme di Internet) sono in Europa totalmente assenti, sì che il mercato (non solo digitale) è interamente dominato dai GAFAM americani. Non solo, ma questi ultimi stanno accrescendo ulteriormente il loro potere sul mercato, da un lato entrando in nuovi settori strategici come l’industria spaziale, e, dall’altro, ottenendo continui dilazionamenti, di anno in anno, delle misure già predisposte contro di essi dalle autorità americane e soprattutto europee (divieto di esportazione dei dati, web tax, fine degli abusi di posizione dominante).

Questo è particolarmente grave perché, come aveva rivelato già Milward, fin dal principio era stato chiarito al nostro mondo industriale che il boom trainato dalla conversione, in industria dei trasporti, dell’industria bellica, concentrato su vetture di bassa gamma, come consigliato dal dipartimento americano dell’Industria, non avrebbe potuto durare in eterno, proprio a causa del prevedibile successo di tale boom e della conseguente “trappola del reddito medio”. Inoltre, come dichiarato a suo tempo alla stampa dal compianto Ing. Chou dell’ Olivetti,  era stato anche soffocato il tentativo, veramente innovativo, dell’azienda di Ivrea  di entrare da leader nel mercato e nella cultura dell’informatica, la quale ultima domina oggi ogni aspetto dell’economia e della politica mondiali. Anche l’industria culturale torinese (Einaudi, Loescher, IPSOA, ISVOR)  avrebbe potuto svilupparsi solo seguendo l’approccio multidisciplinare favorito da Olivetti, mentre invece il suo ossequio ai dettati del “mainstream” politico ne aveva decretato l’insostenibilità nel lungo periodo.

Ne consegue che l’idea di cedere a un partner estero il controllo della FIAT e, di conseguenza, di disinvestire anche dal vastissimo indotto auto (cioè, in sostanza, da tutta l’economia del Piemonte), non è di oggi. Fin dagli inizi, nel 1971,  della mia vita lavorativa nell’ industria metalmeccanica cittadina, avevo assistito al prevalere di  quell’ orientamento, inaugurato dalla cessione della maggioranza italiana in  prestigiose aziende  componentistiche come RIV e Way-Assauto, per le quali avevo lavorato. Dopo di allora, a quante dismissioni avevo dovuto assistere! Sono stato perfino preposto all’ Ente “Dismissioni” della SEPIN.

Ricordo però che quando, nel 1985, si era profilato l’accordo FIAT-Ford, l’opposizione del management torinese, di cui facevo parte, era stata determinante, perché, a dispetto della retorica della “fusione fra eguali”, era chiaro a tutti già fin da allora che l’accordo avrebbe significato la subordinazione di Torino a Detroit. Cosa che, allora, la tecnostruttura FIAT giustamente rifiutava, e l’Avvocato Agnelli era restio a imporre, conscio che la vera forza della sua famiglia consisteva nel catalizzare le energie culturali, politiche, tecnologiche e professionali del Piemonte, che non era certo il caso di alienarsi :”Alla fine la Ford era pronta a cedere il controllo della nuova società alla Fiat, ma solo per un periodo transitorio da 5 a 7 anni. Ghidella avrebbe dovuto guidare la società per questo periodo o almeno per la prima parte di questi anni. Quindi la nuova società sarebbe stata posseduta al 51% dalla Fiat e al 49% dalla Ford per i primi anni e dopo il controllo sarebbe passato nelle mani degli americani”.

Il progetto era però, come dicevamo, in preparazione da tempo (forse dalla Seconda Guerra Mondiale). E infatti esso,  alla prima occasione, fu ritentato, questa volta con General Motors, nel 2000. Ma qui era stata la stessa proprietà a voler rescindere l’accordo già firmato, approfittando delle favorevoli clausole di uscita previste nel contratto:”Esso prevedeva che GM sottoscrivesse una partecipazione del 20% in Fiat Auto, in cambio di azioni della stessa GM per una quota pari a circa il 5,1% (percentuale tale da far diventare Fiat il primo azionista industriale in GM) della capitalizzazione della società di Detroit equivalente ad un valore di 2,4 miliardi di dollari (www.fiatgroup.com). L’intesa ha portato alla creazione di due joint venture paritetiche, una negli acquisti e l’altra nei motori e nei cambi. L’accordo è stato firmato per Fiat dal presidente di allora Paolo Fresco e dall’amministratore delegato Paolo Cantarella. Per GM, invece, erano presenti l’ad John Smith e il presidente Richard Wagoner. Nell’area degli acquisti Fiat Auto e GM sfrutterebbero le proprie capacità specifiche, compresi il team interfunzionale “piattaforma componenti” di Fiat Auto e i “creativity teams” di GM. Il volume totale di acquisti delle due società consentirebbe importanti possibilità di sinergie. Inoltre, Fiat Auto e GM, con il suo partner nei motori diesel Isuzu, intendono sfruttare le proprie risorse per incrementare l’offerta di motori e cambi, migliorare le prestazioni e ridurre i costi. Gli accordi prevedevano anche il riconoscimento a favore del Lingotto di un diritto d’opzione per cedere il restante 80% a General Motors, nel periodo tra il 24 gennaio 2004 (spostata poi al 2 febbraio 2005) e il 23 luglio 2009 (24 luglio 2010)”.

Del resto, era stato lo stesso Avvocato Agnelli, in un libro-intervista, a teorizzare una sorta di “nazionalismo economico” di Torino incentrato sul ruolo internazionale della FIAT. In quel libro, Agnelli usciva dal solito schema della città operaia, per includere, fra i beneficiari dell’ egemonia torinese, i fornitori, i professionisti e il ceto medio (gli “stakeholders”).

In effetti, a dispetto della retorica “mainstream” sul preteso carattere impersonale e a-nazionale delle concentrazioni industriali internazionali, queste sono rette invece da una ben “localizzata” volontà di potenza, che si manifesta attraverso i tre capisaldi del controllo unitario, della nazionalità e della politicità (basti pensare a tutta la politica attuale delle “Golden Shares”).

Nel 2012, la crisi della Chrysler (già ceduta alla Mercedes, ribattezzata Daimler, ma poi rimessa sul mercato per via giudiziaria grazie al sostanzioso supporto politico di Obama) aveva dato a qualcuno l’illusione di poter acquisire il gruppo americano mantenendo il controllo in Italia. Una’illusione infondata, visto che il precedente accordo Daimler-Chrysler era fallito proprio per la pretesa del socio americano Cerberus che la promessa di Schremp di un “merger among equals” venisse poi veramente mantenuta dai Tedeschi, che non lo potevano invece fare a causa della partecipazione dei lavoratori alla gestione dell’impresa (Mitbestimmung), che non avrebbe potuto essere preservata con una fusione alla pari. La politica dell’ “America First” non aveva mai mancato, fino da allora, d’incidere pesantemente anche sulle fusioni societarie internazionali, con pesanti pressioni affinché fosse mantenuta sempre almeno una funzione di controllo americana (cosa poi realizzatasi soprattutto con la complessa legislazione  fiscale su quelle transatlantiche)

Fu così che, per prevenire le suscettibilità americane, fu necessario rendere labile e irriconoscibile, non solo la nazionalità degli Elkann, ma anche il reale centro di FCA (con una spartizione di fatto fra Dearborn, Londra e Amsterdam, e l’esclusione di Torino).

Il “Patriottismo industriale torinese” di Giovanni Agnelli
  • 2. In Stellantis, comanda la Francia

Questa dinamica “geopolitica” dei M&A (Mergers and Acquisitions) è stata confermata, nel caso della recente “fusione” tra Fiat-Chrysler (FCA) e il Gruppo Peugeot Sa (PSA), dal ruolo determinante dell’industria di Stato francese (supportata dalla “participation”, corrispettivo francese della Mitbestimmung), e dal “portage” di azioni da parte di prestanomi.

Anche qui l’illusione del “merger among equals” (alimentata questa volta dai Francesi) non si è potuta mantenere, perché in realtà c’è sempre qualcuno che, grazie ai patti parasociali, comanda, e le autorità di banca e borsa lo vogliono sapere. La risposta ufficiale è stata che comanda la “PSA”, vale a dire il Gruppo francese il cui azionista di riferimento (come anche nella Renault) è il Governo francese (unico soggetto politico ed economico smanioso di estendere il proprio controllo sull’ industria europea, mentre Stati e famiglie imprenditoriali sembrano fare a gara per cedere il controllo ad estranei).

Come da accordi, ognuno dei due gruppi ha nominato cinque membri, con l’undicesima poltrona assegnata a Carlos Tavares, già presidente del consiglio di gestione di PSA, il quale ha ottenuto la carica di amministratore delegato. Proprio questa nomina è il peso che fa pendere l’ago della bilancia dalla parte transalpina, concedendo di fatto la maggioranza assoluta, nel cda, a PSA, mentre la presidenza affidata a John Elkann è più di rappresentanza che non decisionale. Del resto, per capire chi comanda, basta vedere che Tavares guadagna 4 volte più di Elkann.E sarebbe assurdo se così non fosse, dato che la quota aggregata di John Elkann, grazie ad un sistema di scatole cinesi oggi messa in discussione dalla madre Margherita, è appena dell’ 1,75%.

Come si può vedere, nonostante tutte le retoriche ufficiali, siano esse liberistiche o statalistiche, l’industria automobilistica è sempre stata  politicamente determinante e determinata, e il controllo ultimo, la “golden share” appartiene da sempre a un Governo o qualche oligarca legato a un Governo. Con tutto quello che si dice di Cina e Russia, sono poi invece sempre i Paesi europei quelli che si riservano maggiormente il controllo (anche se discreto) delle loro grandi imprese. Solo l’Italia sembra essere un’eccezione, perché la FIAT è stata da sempre, più che sotto il controllo italiano, sotto quello di governi “amici”. Infatti, il Governo italiano  si è sempre rifiutato di influenzare direttamente le scelte strategiche delle sue grandi imprese, a tal punto che sono state spesso le imprese stesse (e perfino quelle di Stato) a dare ordini al Governo, e non viceversa, come nel caso della legge fiscale modificata in concomitanza con il trasferimento all’ estero della sede della FIAT.

Non è un caso  che, mentre le bombe alleate radevano al suolo mezza Torino, e in particolare chiese e monumenti, la FIAT, massima industria militare del Paese, per giunta  presidiata dalla Wehrmacht, fosse sopravvissuta indenne a tutta la guerra. Né che Raffaele Mattioli avesse affermato di avere pilotato egli stesso, dagli uffici della Comit di Milano, l’intera transizione da Mussolini a Badoglio,  passando niente po’ po’ di meno che attraverso la rivolta del Gran Consiglio del Fascismo, il colpo di Stato del Re, l’Armistizio di Cassibile e il Processo di Verona.

Non stupisce allora neanche che oggi, nel Consiglio di Amministrazione di  Stellantis, non sieda alcun rappresentante dei lavoratori italiani, mentre sono rappresentati quelli del gruppo PSA. Infatti, politici e sindacati italiani hanno sempre rifuggito ogni discorso sulla rappresentanza societaria degli stakeholders (oggi pressoché universale in Europa), unico (anche se misconosciuto) reale baluardo contro l’alienazione de controllo sulle imprese strategiche (come ha dimostrato la storia delle imprese tedesche e francesi, ambedue all’ avanguardia nel campo della cogestione).

Singolare il meccanismo di rappresentanza dei lavoratori che nella sostanza aggira le prescrizioni delle leggi francesi, tedesche ed europee sulla partecipazione di quelle italiane. Nel board di Stellantis non c’è alcun rappresentante dei dipendenti italiani e tedeschi mentre c’è Jacques de Saint-Exupery (che non è un sindacalista operaio) a rappresentare (ma solo formalmente) quelli francesi. Fiona Clare Cicconi, nominata da FCA quale rappresentante dei suoi lavoratori, è  invece l’ex responsabile delle risorse umane della contestatissima Astrazeneca (anglo-svedese). I sindacati italiani lamentano che: «Fca ha deciso di fare da sé nell’individuare il componente che dovrebbe, simmetricamente a quello già presente in PSA, rappresentare i lavoratori in Stellantis».

Abbiamo così il paradosso di una Stellantis che vpotrebbe essere un modello perfetto di “società europea” e invece ha lo statuto di una Naamloze Vennootschap olandese, è dominata dal Governo Francese e non ha una rappresentanza europea dei lavoratori.

Mercedes in Cina

3.Torino deliberatamente umiliata

Non può quindi infine stupire in alcun modo il drastico ridimensionamento, non solo economico, ma, anche e soprattutto, sociale e culturale, della Città di Torino, città simbolo di questa cultura “anti-partecipazione” dei Governi, dei sindacasti e degl’imprenditori.

Gli effetti di questa cultura sono eclatanti soprattutto se confrontati alla storia della capitale della Volkswagen, Wolfsburg, oggi più che mai centrale nel mondo dell’ auto anche quando la maggior parte delle auto Volkswagen viene prodotta e venduta in Cina.

Intanto, coerentemente con i piani dell’accordo messo nero su bianco lo scorso dicembre fra FCA e PSA (il “Combination agreement”), sono saliti a 800 gli esodi incentivati nell’area metropolitana. Coinvolte la Teksid di Carmagnola e l’ ex TEA di Grugliasco. Pensione anticipata anche per 350 dipendenti del settore impiegatizio. Solo cento i nuovi assunti. L’ha reso noto la FIOM dopo la firma dell’accordo alla Carrozzeria di Mirafiori per l’uscita incentivata di 160 addetti e quello per i 100 della Maserati di Grugliasco. Sin qui i circa 300 esodi volontari già comunicati per quanto riguarda il polo torinese che comprende Mirafiori e l’ex Bertone.

Agli inizi di settembre, inoltre, verrà perfezionato l’accordo per gli impiegati degli Enti Centrali, che prevede 350 uscite e un centinaio di ingressi.

Intanto, non è stata assegnata a Torino la cosiddetta “Gigafactory” della Stellantis per le batterie elettriche (la quale per altro neppure a Termoli compenserà gli attuali licenziamenti).La Maserati si trasferisce a Mirafiori e l’ex stabilimento Bertone di Grugliasco rischia di diventare presto un pezzo di archeologia industriale, con la chiusura definitiva di quello che era nato come “polo del lusso”, con la Maserati, che oggi lavora a singhiozzo, e in cui le ore di cassa integrazione superano quelle di attività.  Si tratta dell’accorpamento di tutta la produzione torinese a Mirafiori, con l’affiancamento alla Levante delle produzioni di Gran Cabrio e Gran Turismo, tutti modelli Maserati. A Grugliasco resterà un’attività residuale legata a Ghibli e Quattroporte.

Situazione ulteriormente aggravata dalla chiusura di Melfi e Pomigliano.

Tutto ciò ammesso che le politiche della transizione ecologica accelerata non portino di fatto (come alcuni paventano) alla chiusura di tutte le fabbriche europee di auto di lusso.

Tutto ciò nonostante che la FCA abbia contratto un prestito COVID-19 con lo Stato Italiano, che proteggerebbe l’occupazione dei siti italiani. Sebbene il prestito ricevuto da FCA nel 2020, erogato da Banca Intesa Sanpaolo e garantito dalla società pubblica SACE, contenga clausole legate al reinvestimento esclusivamente in Italia dei fondi ricevuti,  Stellantis da allora ha cessato le attività in ben 4 stabilimenti italiani e continua a ridurre l’occupazione.

La cogestione è attualissima anche nella società delle macchine intelligenti

4.Ci  sarebbe voluta anche in Italia la cogestione

Ribadiamo che la chiave di lettura di questa  vera e propria cancellazione del nucleo originario della FIAT va ricercata, non tanto in un processo ineluttabile di crisi del mercato automobilistico e di delocalizzazione, né in una cattiva volontà della proprietà, bensì nelle scelte autolesionistiche della politica, dei sindacati e degli stessi lavoratori.

Nella generale trasformazione del mercato veicolistico in seguito al “middle income trap” in Occidente e alla crescita dell’ Asia, l’industria veicolistica europea può essere salvata (almeno temporaneamente, in attesa di cambiamenti più radicali) proprio con la strategia adottata dai Gruppi tedeschi, basata sulla partecipazione dei lavoratori, sull’ altissima qualità, sull’ automazione e sul presidio diretto del mercato cinese, forte di 30 milioni di vetture all’ anno. Il loro contesto societario, dominato dalla cogestione dei lavoratori e dalla separazione della proprietà dal management, era stato concepito, a partire dal caso Volkswagen negli anni 50,  come una formula per evitare la cannibalizzazione dell’industria tedesca,  allora più che mai possibile per via del regime di occupazione e delle epurazioni. Ricordiamo che la Volkswagen apparteneva originariamente al sindacato nazista “Front der Arbeit”.

In Italia, gl’insostenibili miti dell’insuperabilità della lotta di classe e dell’inaccettabilità di limitazioni ai diritti della proprietà hanno prodotto una debolezza tanto delle direzioni aziendali, che dei lavoratori, di fronte alle inevitabili pressioni delle grandi potenze, dei partiti, della finanza e della concorrenza,  e allo smantellamento delle nostre imprese.

E’ ben vero che, in un’Europa unita con un miliardo di abitanti, non avrebbe probabilmente senso che tutti i Paesi abbiano tutti i tipi di produzione, e quindi l’ Europa del Sud avrebbe dovuto comunque “barattare” con il Nord e con L’Est la manifattura con la cultura, l’ecologia e i servizi,   ma ciò avrebbe dovuto essere deciso dall’ Europa e negoziato fra i Paesi, non già essere il risultato di una serie di fatti compiuti imposti dai più furbi.  In pratica, nulla vieta che le holding dei grandi gruppi siano collocate in Europa Centrale, né che le fabbriche siano in Cina, purché i centri di ricerca, gli uffici finanziari e commerciali, l’indotto del terziario, siano sparsi in tutta Europa, e che, in cambio, vengano collocati nell’ Europa mediterranea istituti e industrie culturali.

Questo per dire che la pur necessaria ristrutturazione, anche territoriale, dell’ economia europea è stata non solo iniqua, ma anche e soprattutto inadatta a combattere efficacemente la concorrenza internazionale.

In conclusione, l’infausta sorte della nostra “Città dell’Auto” era scritta da molti decenni, da quando tanto la  politica, quanto l’imprenditoria, quanto il sindacato avevano rifiutato di seguire il modello tedesco, basato sulla cogestione, sull’ alta qualità e su delocalizzazioni controllate. Oggi, le imprese tedesche, seguendo la clientela,  producono e vendono la maggior parte delle loro auto all’ estero, però la “testa” è sempre più fermamente a Wolfsburg, a Stoccarda e a  Monaco, con la partecipazione alla gestione e agli utili del Governo, del management, delle Autorità locali e dei lavoratori. Addirittura, il Governo cinese ha loro permesso nel 2020, in anticipazione del Trattato UE-Cina poi “congelato”, di acquisire il 100% della proprietà delle fabbriche cinesi loro partner. Le imprese cogestite tedesche sono più forti, non solo della loro dispersa “proprietà”, bensì dei Governi, cinese, tedesco e perfino americano.

Come risultano cocenti, alla luce di questo confronto internazionale, gli ultimi smacchi delle Autorità, managers, lavoratori, torinesi, avvezzi da decenni a prendere schiaffi da proprietà e governo, costituiscono il naturale esito dell’ autolesionismo della strategia fino ad oggi perseguita. Basti pensare al trasferimento all’ estero della sede della FIAT, poi alla scomparsa del marchio, e ora alla chiusura  (e addirittura, vendita all’asta) dello storico edificio del Lingotto, simbolo, non solo della FIAT, ma anche dell’architettura razionalistica italiana, e perfino della tradizione del movimento operaio. A parte il fatto che, contemporaneamente, si stanno vendendo anche le Cartiere Burgo, e perfino la Galleria del Romano, su cui affacciava la stanza del Nietzsche “torinese”. Infine, è stato praticamente azzerato l’ Istituto Italiano per l’Intelligenza Artificiale, senza che le nostre Istituzioni siano riuscite ad ottenere nulla dal Governo.

Altro che “fare squadra” per la città! Siamo di fronte a una sommatoria di carenze, errori e tradimenti che hanno portato a una sconfitta totale. Colpa di Chiamparino o di Cota, di Ghigo o della Bresso, di Fassino, dell’ Appendino o di Ghigo? In realtà, sembra che le colpe risalgano ancor più indietro, e vadano equamente condivise. La colpa è fondamentalmenten degli elettori torinesi, che hanno votato quei politici e continuano a votare gli stessi partiti.

Senza l’ Istituto Italiano per l’ Intelligenza Artificiale, il futuro di Torino è più difficile

5.Il futuro di Torino, dell’ Italia e dell’ Europa

Fino a qualche giorno fa, tutti parlavano ancora di un futuro di Torino nel settore autoveicolistico. Perfino dopo quest’ultima doccia fredda, in piena vigilia elettorale, i politici reclamano ancora una rinegoziazione con Stellantis e con il Governo per una (o due )nuova/e “gigafactory” di batterie. Questo gran parlare è  semplicemente grottesco, per una serie di ragioni, prima fra le quali è che il ridimensionamento, in questi 50 anni, dell’industria metalmeccanica piemontese, è oramai talmente macroscopico, che ne restano solo le briciole, che riguardano al massimo qualche decina di migliaia di operai, su quasi un milione di abitanti di Torino (quando, come noto, un tempo  già soltanto i quadri della FIAT erano 40.000). E’ quest’ultima la classe sociale più penalizzata.Comunque, è oramai evidente che a Torino non vi sarà nessun’attività direzionale, né progettuale, e che anche l’occupazione operaia sarà ridotta ai minimi termini.

Il peggio è che neppure le attività alternative all’automobile sono state gestite meglio di questa. L’enorme patrimonio naturale e storico non viene valorizzato se non in minima parte. Non si studia sufficientemente la nostra storia antica e medievale, né  gli agganci con le diverse culture europee (i Poeti Provenzali, De Maistre,  Nietzsche, Michels..).Ne deriva la  mancanza di “appeal” della nostra offerta culturale e politica.

Neppure il carattere fondamentalmente “museale” della città è stato rispettato, inserendo , in un contesto  di valore architettonico unico, due banali grattacieli (di cui uno -costruito sulle macerie del mio ufficio alla gloriosa FIAT Avio- e mai terminato). Non parlamo poi dell’ industria spaziale, distrutta dallo spezzatino della FIATV AVIO e dall’ assenza dell’ Europa dai più avanzati settori dell’ industria spaziale.

Tutto questo lo scrivo a ragion veduta perché:

-da più di 50 anni ho detto e scritto che ciò sarebbe inevitabilmente avvenuto se non si fosse perseguito un progetto alternativo di città, sulle orme di Adriano Olivetti, fondato sulla sinergia fra cultura, politica, finanza ed europeizzazione programmata delle industrie di alta tecnologia;

-mi ero dedicato appositamente allo studio del lavoro comparato perché vedevo chiaramente che solo un sistema di partecipazione del lavoro a tutti i livelli sul modello tedesco avrebbe potuto ovviare (seppure parzialmente), alle catastrofiche tendenze di lingo periodo dell’”establishment” italiano;

-ancora nel 2019 avevo presentato al Salone del Libro di Torino un libro (“Il ruolo dei lavoratori nell’ era dell’ Intelligenza Artificiale”), esito di un convegno presso l’ Unione Industriale, nel quale tentavo di dimostrare che il modello tedesco di Mitbestimmung è più che mi attuale nell’ era delle Macchine Intelligenti;

-fin dal 1977, mi ero attivato, nell’ ambito del Gruppo CIR, e, più tardi, di quello FIAT, per promuovere una delocalizzazione dell’industria piemontese verso i Paesi in Via di Sviluppo ed ex socialisti basata sul mantenimento sul territorio del controllo e sull’ “upskilling” della società piemontese,   con il rafforzamento delle funzioni politiche, finanziarie e manageriali di Torino, intesa quale centro dell’ economia europea e mondiale;

-anche l’attività di promozione culturale svolta negli ultimi 16 anni da parte di Alpina è andata in questa direzione, puntando tutto sull’ europeizzazione e sul rafforzamento dell’identità della città, come nel caso del progetto di Torino Capitale Europea della Cultura;

-ho appena pubblicato, per il marchio “Alpina”, un nuovo libro bianco sull’Istituto Italiano per l’ Intelligenza Artificiale, che pubblicheremo al prossimo Salone del Libro (14-18 ottobre);

Purtroppo, tutti questi sforzi pluridecennali sono stati inutili, di fronte alla palese volontà di una città di suicidarsi.

6.Il velleitarismo: copertura ideologica delle responsabilità dell’establishment

Purtroppo, sta prevalendo, in quei residui di classe dirigente che ancora sopravvivono a Torino, inaudite retoriche, secondo cui il fatto di essere stata, la nostra Città, fino al 1990, il centro di un impero industriale – come si diceva un tempo, ”Terra, mare cielo”- legittimerebbe la stessa a pretendere che le Autorità europee e nazionali e perfino Stellantis  concentrino qui alcune (per altro marginali), loro attività. In particolare, a proposito di batterie, vorrei ricordare che appena 5 anni fa la FIAT (oggi Stellantis) aveva venduto ai Giapponesi una delle più importanti imprese nel settore batterie per auto: la Magneti Marelli, di cui mi onoro di essere stato, fra il 1986 e il 1988, il responsabile dei Servizi Legali. Perché allora nessuno era venuto fuori con appelli per il mantenimento in Piemonte della manifattura? Avevamo ancora il bastone di comando anche in questo campo, in un colosso presente in tutto il mondo, e ora veniamo a piatire dalla Stellantis la creazione di una fabbrica che, nella migliore delle ipotesi, ci porterebbe in 10 anni 500 posti di lavoro da operaio. Perfino Termoli, che riceverà già a prima di queste fabbriche, si è lamentata del fatto ch’essa non compenserà certo i licenziamenti in corso pure laggiù.

Esemplare (in senso negativo), l’articolo di Salvatore Tropea su “La Repubblica” dell’8 agosto, che titolava con un’ affermazione già a prima vista insostenibile:”Il rilancio di Torino si fonda sull’ eccellenza del passato”. Ma quale eccellenza, se, nel giro di 50 anni, abbiamo ceduto tutte le nostre posizioni industriali alla Silicon Valley, a Milano, alla Motor Valley emiliana,  a Roma, a Parigi, a Detroit, a Shenzhen,  a tutte le province cinesi che, producono, ciascuna, anche con marchi tedeschi, più auto delle singole nazioni europee.

L’eccellenza industriale della Torino del passato era fondata innanzitutto sulle virtù politiche e militari dei Savoia e dei sudditi sabaudi, sulla grinta del sindaco Luserna di Rorà, di Gramsci,  del Senatore e dell’ Avvocato Agnelli, così come  sulla creatività di Adriano Olivetti. Una volta finite quelle generazioni, né la politica, né la cultura, né l’imprenditoria, né il management, si sono rivelati all’altezza di un passato sempre più lontano. Hanno prevalso la ristrettezza di orizzonti, il conformismo professionale e ideologico, gl’incesti fa politica ed economia, il servilismo dei gate-keepers, la mentalità burocratica del management,  la debolezza di carattere delle nuove generazioni, un’interpretazione quietistica del “pensiero unico” che incita all’ accettazione passiva di un presunto “corso della storia”.

Non vedo poi come Tropea possa affermare, con un riferimento criptico al recentissimo ridimensionamento dell’Istituto Italiano di Tecnologia, che quella sarebbe stata una “scorciatoia”, mentre invece Torino dovrebbe continuare a fare ciò che ha fatto in passato (anche se gliene sono stati tolti i mezzi). Ma si rende conto Tropea che, in questi 75 anni, nel resto del mondo le vocazioni economiche prevalenti sono cambiate molte volte, con l’avanzare trionfale, prima, del terziario, e, ora, del digitale?che le multinazionali americane “tradizionali” hanno ceduto alla Big Tech i primi posti nelle classifiche del Dow Jones? che la Cina non è più, né un Paese in via di sviluppo, né un Paese agricolo, né la “fabbrica del mondo”, bensì il “cervello del mondo”, e non importa più, bensì esporta, tecnologia? E noi invece aspiriamo solo a tornare ad essere, molto in piccolo, ciò che eravamo, in grande, nel secolo scorso?

Purtroppo, di questi grandi temi non sentiamo parlare nella campagna elettorale oggi in corso, e ci chiediamo se qualcuno abbia una qualunque, seppur misera, idea da proporre in proposito agli elettori.

Un Progetto Economico Europeo non può avere al centro se non la programmazione della transizione digitale

7.Un  Progetto Economico Europeo al di là della “Strategia Industriale Europea”

Situazioni come quelle di Torino sono presenti ovunque in Europa, anche se in modo meno drammatico. Esse dipendono dall’ assenza di un qualunque serio accenno di capacità programmatica. Come abbiamo viso, il processo di specializzazione e riqualificazione delle varie aree dell’Europa, lasciato senza “paletti” a un mercato d’ imprese sub-marginali esposte a concorrenti enormi, agguerriti e liberi di muoversi, ha portato a risultati assurdi, come il concentrarsi di fatto del controllo dei grand gruppi europei nell’Europa Centrale, il predominio nell’ Europa Meridionale di manifatture obsolete e di una pletora d’ imprese familiari nei settori commerciale e dei servizi alle persone. Non sono state presidiate le aree, oggi determinanti, della cultura, dell’informatica, dell’aerospazio, oggi completamente in mano agli USA e alla Cina.

L’attuale Unione Europea, anziché porsi, come sarebbe  nelle sue ambizioni,  quale il “Trendsetter del Dibattito Globale”, insegue faticosamente i nuovi scenari mondiali. Per esempio, la “Strategia Industriale Europea” era stata annunziata il 20 marzo 2020, vale a dire il giorno prima che l’OMS dichiarasse iniziata la pandemia di Covid. Ma la Cina aveva già fornito ben tre mesi prima le famose informazioni sul Covid, che qualcuno pretenderebbe “ritardate”. Com’è possibile che, a Bruxelles, nessuno si fosse ancora accorto che la pandemia avrebbe modificato profondamente lo scenario economico mondiale?

E, infatti, un anno dopo, la Commissione si è vista costretta a emettere una rettifica alla strategia dell’anno scorso, focalizzata sulla ricerca di rimedi contro le cosiddette “dipendenze” dell’Europa. Ma anche questa rettifica è monca: essa non tratta in alcun modo del problema più grave dell’Europa: la mancanza di  industrie digitali europee. La quale costituisce la più spettacolare fra le nostre dipendenze, in quanto lascia cultura, difesa, politica ed economia europee in balia dei GAFAM, che ci sottraggono continuamente dati, risorse, intelletti e materia imponibile, trasferendoli  fuori della UE.

I provvedimenti previsti dal documento della Commissione affrontano poi la questione in un modo così indiretto, da condannare l’iniziativa all’ insuccesso.

Innanzitutto, vi sono l’”Alliance on Processors and Semiconductor Technologies” ,l’ “Alliance for Industrial Data, Edge and Cloud “, l’”Alliance on Space Launchers” e l’”Alliance on Zero Emission Aviation”. Come si era però visto nel settore aerospaziale, queste “alleanze” sono paralizzanti, tant’è vero che tanto Arianepace, quanto Airbus, sono state poi trasformate, per renderle efficienti, in società di capitali , come avevo potuto constatare personalmente in qualità di responsabile del servizio legale della FIAT Avio, partner e fornitrice strategica di ambedue. Non per nulla era stato creato appositamente vlo strumento della “Societas Europaea”

Questa inefficienza si è vista ancora pochi giorni fa coll’annullamento, per l’opposizione spagnola, dell’ assegnazione dell’ appalto per il centro di supercomputer di Barcellona, alla ditta franco-americana ATOS (di cui il Commissario Breton era stato fino a poco fa il presidente), quando invece gli Spagnoli ritenevano più competitiva quella  di un consorzio sino-americano.

Il bello è che, mentre gli Stati Uniti godono (forse ancora per poco), di una posizione dominante a livello mondiale nei settori di alta tecnologia, ma sono riluttanti ad applicare, alle proprie imprese in posizione dominante, i principi della libera concorrenza da essi tanto decantati, e applicati così rigorosamente fino a un secolo fa (casi Standard Oil e AT&T), e l’Europa, che pur stando appena emettendo, in questo campo, i primi vagiti, pretenderebbe di costituire il modello mondiale della governance digitale, la Cina, che solo in questo secolo ha raggiunto gli Stati Uniti, non solo li sta superando industrialmente, ma sta anche applicando, con la precisione di un manuale, ai propri BATX, tutte le regolamentazioni  previste dai prolifici legislatori americani ed europei, ma completamente disapplicate dai relativi Enti regolatori. In tal modo, la Cina sa proponendo a mondo un modello di mercato digitale continentale retto sulla concorrenza perfetta fra molti produttori nazionali e controllato attentamente da regolatori di mercato retti dalle migliori norme europee  e americane (il vero “Trendsetter del Dibattito Mondiale”), togliendo all’ Europa anche questo primato.

I riferisco in particolare a:

a) l’Antitrust: L’Amministrazione Statale per la Regolamentazione del Mercato (ciò che è in USA la Federal Trade Commission), creata appena nel 2018, ha incriminato, e, in molti casi, multato, 35 aziende informatiche nazionali per fusioni non dichiarate, contratti di esclusiva vietati e tattiche commerciali non trasparenti;

b)la Protezione dei Dati:L’Amministrazione Cinese del Ciberspazio, creata nel  2014, ha sospeso la quotazione negli Stati Uniti della società cinese Didi per violazione dei protocolli di sicurezza;

3) “Espansione disordinata”.Altre imprese sono state penalizzate per altre violazioni delle regole del mercato.

Secondo alcuni commentatori, la  Cina starebbe abbandonando il modello americano, incentrato sull’ high tech, per abbracciare quello “tedesco” fondato sulla “fabbrica intelligente”, anche per controbilanciare le pressioni americane per sabotare le filiere di fornitura cinesi; secondo altri, queste misure sarebbero state adottate per venire incontro al desiderio dei cittadini cinesi di vedersi maggiormente tutelati contro le multinazionali, come promesso da tutti i Governi del mondo, ma attuato seriamente solo dalla Cina. Ambedue obiettivi assolutamente legittimi, e che a parole sarebbero comuni anche ai legislatori e regolatori europei, che però in realtà non li perseguono per nulla , lasciando  i nostri concittadini, le nostre imprese e i nostri lavoratori,  assolutamente indifesi, con i risultati che vediamo nella nostra Città.

Soprattutto, l’attuazione di quelle politiche rende  il sistema industriale cinese un modello completo e avanzato, tanto dal punto di vista strutturale che da quello dei diritti, superando dunque, nel primo caso, i monopoli tecnologici americani, e, nell’ altro, le pretese di leadership dell’ Unione Europea quale Trendsetter del Mercato Globale.

Speriamo che si possano criticare tutte queste “défaillances” nella Conferenza sul Futuro dell’Europa, con l’obiettivo di una “perestrojka” radicale del sistema economico del nostro Continente e della rinascita delle nostre Città.

10 MAGGIO SALONE DEL LIBRO: GIORNATA SU ECONOMIA, TECNOLOGIA E LAVORO

10 MAGGIO SALONE DEL LIBRO: GIORNATA SU ECONOMIA, TECNOLOGIA E LAVORO (e rettifica orario del 9, cfr infra in amaranto)

Mai dibattito sui temi dell’economia è stato più attuale di oggi, quando lo stesso Trump sostiene che la crescita del PIL americano è la diretta conseguenza dei dazi ch’egli ha imposto sui prodotti del resto del mondo, e quando le sue parole hanno fatto precipitare le borse mondiali e le previsioni di crescita per Germania e Italia.

Nell’ambito del progetto “Cantieri d’Europa”, abbiamo organizzato, per Martedì 10, due iniziative attinenti al rapporto fra lavoro e impresa:

-al mattino, la presentazione congiunta del libro di Enzo Mattina  “Europa Contro” (Edizioni Rubbettino), e del libro di Riccardo Lala “Il ruolo dei lavoratori nella società delle macchine intelligenti”(Alpina);

-al pomeriggio, la presentazione, da parte del Presidente del CNEL, Professor Tiziano Treu, del sondaggio sull’ Europa condotto dalla sua Istituzione, seguito dall’ illustrazione, da parte del responsabile dell’ Ufficio Studi della Confindustria, Fontana, del manifesto congiunto sull’ Europa di Confindustria e sindacati (vedi infra, in verde).

Riportiamo qui di seguito il programma dettagliato di Cantieri d’ Europa con evidenziato in arancione il programma del 10, e con un’ulteriore rettifica (in amaranto)dell’ orario del 9 pomeriggio

Giovedì 9 maggio

Ore 13,30 Salone del Libro – Sala Internazionale

Cantieri d’ Europa: un percorso attraverso le sfide e i dubbi del presente

Presentazione dell’iniziativa

Con Pier Virgilio Dastoli,  Ulrike Guérot (autrice di La nuova guerra civile, Edizioni Alpina), Eric Joszef, Davide Mattiello, Roberto Santaniello.

Presenta Riccardo Lala

 

A cura di Alpina, in collaborazione con il Movimento europeo – Italia (progetto “Academic Agorà on the future of Europe”, co-finanziato dall’ Unione Europea nell’ambito del programma Erasmus+ – Azione Jean Monnet), con la Rappresentanza a Milano della Commissione europea, ADD, Benvenuti in Italia e Ullstein

 

Nella Giornata dell’Europa, autori ed editori presentano il percorso “Cantieri d’Europa”, per comprendere ciò che siamo, attraverso le tendenze attuali della politica, della cultura e della tecnologia.

 

Giovedì 9 maggio

 

RETTIFICA ORARIO DEL 9 POMERIGGIO

Officine Grandi Riparazioni, C.so Castelfidardo, 22

Ore 16,30

All’interno della Mostra “Cuore di tenebra – Castello di Rivoli@OGR.1”, Opera “The Nature of the Beast” Di Goshka Macuga

 

Cantieri d’ Europa: Poliedricità e attualità di Spinelli*

@Presentazione dell’ edizione spagnola di Come ho tentato di diventare saggio (Como traté de hacerme sabio) Icaria Editorial

Con Marcello Belotti, Renata Colorni, Pier Virgilio Dastoli, Ulrike Guérot, Eric Jozsef, Roberto Palea, Davide Mattiello, Roberto Santaniello

Modera Riccardo Lala,

A cura di Alpina, in collaborazione con OGR,  con Movimento Europeo – Italia (progetto “Academic Agorà on the future of Europe” , co-finanziato dalla Unione Europea nell’ambito del programma Erasmus+ – Azione Jean Monnet),  Il Mulino e Icaria Editorial

Nell’ambito della presenza della lingua spagnola come ospite d’onore del Salone, intellettuali di diversa estrazione e specializzazione affrontano uno dei personaggi centrali della storia dell’integrazione europea.

 

Posti limitati; richiesta la conferma (e informazioni) al numero 3357751536 o all’e.mail info&alpinasrl.com

 

Giovedì 9 maggio

 

Centro Studi San Carlo  Via Monte di Pietà 2

Ore 21,00

 

Cantieri d’Europa:  Film “l’Europa non cade dal cielo”, di Italo Spinelli: proiezione e dibattito

 

Con Stefano Commodo, Ulrike Guérot, Pier Virgilio Dastoli, Eric Jozsef,Roberto Santaniello,  Italo Spinelli

 

Modera: Riccardo Lala

 

A cura di: Alpina, in collaborazione con Rinascimento Europeo e Movimento Europeo – Italia (progetto “Europe Day 2019” co-finanziato dal Movimento Europeo Internazionale nel quadro del Programma Europa per i cittadini).

 

In un momento in cui è forte la tentazione di fare, dei Padri Fondatori dell’Europa, delle icone disincarnate e inoffensive, occultandone il forte carattere e l’indipendenza di pensiero, può essere istruttivo un confronto senza pregiudizi con il vissuto di quei personaggi, pienamente inseriti nei conflitti del loro tempo e nondimeno pienamente attuali

 

 

Venerdì 10 maggio

Ore 10,30 Salone del Libro – Sala Avorio

Cantieri d’ Europa: Lavoro e tecnologia nell’ Europa di domani

Dialogo fra Enzo Mattina, autore di Europa Contro (Edizioni Rubbettino) e Riccardo Lala , autore di Il ruolo dei lavoratori nell’intelligenza artificiale (Edizioni Alpina)

Con Pier Virgilio Dastoli

A cura di Alpina, in collaborazione con il Movimento Europeo – Italia (progetto “Academic Agorà for the future of Europe” cofinanziato dall’Unione Europea nell’ambito del programma Erasmus+ – Azione Jean Monnet), e Rubbettino Editore

 

Solo l’Europa è in grado guidare una trasformazione delle nostre società  che permetta al lavoro di vivere da protagonista  la nuova era dell’intelligenza artificiale e del pluricentrismo


Venerdì 10 maggio

Officine Grandi Riparazioni, C.so Castelfidardo, 22

Ore 16,30

All’interno della Mostra “Cuore di tenebra – Castello di Rivoli@OGR.1”, Opera “The Nature of the Beast” Di Goshka Macuga

 

Cantieri d’ Europa: “L’Europa e il mondo del lavoro”, Presentazione della Consultazione Pubblica sul Futuro dell’ Europa, a cura del CNEL (Consiglio Nazionale dell’ Economia e del Lavoro)

Con Pier Virgilio Dastoli, Alessandro Fontana, Enzo Mattina, Massimo Richetti,  Tiziano Treu

Modera Riccardo Lala

A cura di Alpina, in collaborazione col CNEL e con il Movimento Europeo – Italia, con il suo progetto “Academic Agorà for the future of Europe”, cofinanziato dall’Unione europea nell’ambito del programma Erasmus+ – Azione Jean Monnet),

In una fase così delicata per le istituzioni, il CNEL, nell’ambito delle sue prerogative costituzionali, ha predisposto una Consultazione pubblica sul futuro dell’Europa, con particolare riferimento agli iscritti a tutte le organizzazioni sociali e produttive del Paese rappresentate. Il Presidente ne discute in anteprima, anche in relazione al recentissimo appello per l’Europa della Confindustria ev dei sindacati.

 

Posti limitati; richiesta la conferma al numero 3357751536 o all’e.mail info&alpinasrl.com

 Domenica 12 maggio

Ore 18,30 Salone del Libro – Sala Avorio

Cantieri d’ Europa: Sulle vie della Seta, Quale strategia?

Colloquio con Alberto Bradanini sull’opera collettiva “L’Europa sulle Vie della Seta, Documenti e riflessioni sul rapporto con la Cina”

Con Riccardo Lala e Giuseppina Merchionne

a cura di Alpina, in collaborazione con Movimento Europeo (progetto “Academic agorà for the future of Europe”, cofinanziato dall’Unione Europea nell’ambito del programma Erasmus+ – Azione Jean Monnet), ed EGEA

L’adesione dell’Italia alla Via della Seta è al centro del dibattito politico ed economico: quali i vantaggi e i rischi? Esiste una strategia, in Italia o in Europa?

Lunedì 13 maggio

Ore 10.30 Salone del Libro – Sala Avorio        

 Cantieri d’Europa: Le lingue e l’identità europea.

Presentazione del libro “Es patrida gaian, Le lingue per un ritorno all’ Europa” (Alpina)

Con Federico Gobbo, Lucio Levi, Anna Mastromarino, Elisabetta Palici di Suni, Alfredo Papadakis, Stefano Piano,  Dario Elia Tosi

Modera Riccardo Lala

A cura di Alpina, in collaborazione con il Movimento Europeo – Italia (progetto “Academic agorà for the future of Europe”, co-finanziato dall’Unione europea nell’ambito del programma Erasmus+ – Azione Jean Monnet) e con il Centro Einstein di Studi Internazionali.

Con il rimescolamento seguito all’avanzata dell’Intelligenza Artificiale, all’allargamento della UE, alla Brexit e all’emergere della Cina, anche le prassi consolidate nell’ uso delle lingue vengono messe in discussione: ruoli delle lingue classiche e dell’Inglese; lingue minori e orientali. Linguisti, classicisti, medievisti, giuristi e orientalisti discutono di politiche linguistiche.

Lunedi 13 maggio

Ore 15,00

Hotel NH Torino Centro

Sala Deledda

Corso Vittorio Emanuele 104

 

Cantieri d’Europa: Le infrastrutture del Nord-Ovest e le Nuove Vie della Seta

Dibattito fra Alberto Bradanini, Mino Giachino, Giovanna Giordano, Comitato “La Nuova Via della Seta”, Alfonso Sabatino

Modera Riccardo Lala

A cura di Alpina, in collaborazione con il Movimento Europeo – Italia (progetto “Academic agorà for the future of Europe”, co-finanziato dall’Unione europea nell’ambito del programma Erasmus+ – Azione Jean Monnet),

Le Nuove Vie della Seta permettono di mettere in contatto un’Europa in difficoltà con il mondo asiatico in piena espansione. Le modalità con cui il nostro territorio si inserirà in questa dialettica determineranno il nostro successo o insuccesso. Ne discutono intellettuali e imprenditori, diplomatici e politici.

 

Contatti:  Tel. 3357761536     www.alpinasrl.com    info@alpinasrl.com

 

APPELLO PER L’EUROPA

 

Perché un appello per l’Europa?

Perché l’Unione europea ha garantito una pace duratura in tutto il nostro continente e ha unito i cittadini europei attorno ai valori fondamentali dei diritti umani, della democrazia, della libertà, della solidarietà e dell’uguaglianza.

Perché l’UE è stata decisiva nel rendere lo stile di vita europeo quello che è oggi. Ha favorito un progresso economico e sociale senza precedenti con un processo di integrazione che favorisce la coesione tra Paesi e la crescita sostenibile. Continua a garantire, nonostante i tanti problemi di ordine sociale, benefici tangibili e significativi, nella comparazione internazionale, per i cittadini, i lavoratori e le imprese in tutta Europa.  Perché gli interessi economici nazionali, oggi, possono essere perseguiti, in una dimensione continentale, solo attraverso politiche europee.

Di fronte ai giganti economici, i paesi europei presi singolarmente, avranno sempre minore peso politico ed economico. Perché stiamo affrontando enormi sfide, una globalizzazione senza regole, il risorgere di nazionalismi, tensioni internazionali, ridefinizione delle relazioni UE-Regno Unito, migrazioni,disoccupazione, prospettive per il futuro dei nostri giovani, cambiamenti climatici, trasformazione digitale, crescita costante delle diseguaglianze economiche e sociali. Perché la risposta non è battere in ritirata ma rilanciare l’ispirazione originaria dei Padri e delle Madri fondatrici, l’ideale degli Stati Uniti d’Europa.

Per queste ragioni esortiamo i cittadini di tutta Europa ad andare a votare alle elezionieuropee dal 23 al 26 maggio 2019 per sostenere la propria idea di futuro e difendere la democrazia, i valori europei, la crescita economica sostenibile e la giustizia sociale. Sono tempi incerti, instabili, travagliati per l’Europa e per il mondo. Le conseguenze economiche e sociali della crisi degli anni recenti e delle politiche di rigore pesano ancora sui cittadini, sui lavoratori e sulle imprese. Quelli che intendono mettere in discussione il Progetto europeo, vogliono tornare all’isolamento degli Stati nazionali, alle barriere commerciali, ai dumping fiscali, alle guerre valutarie, richiamando in vita gli inquietanti fantasmi del novecento

Il progetto dell’UE deve, al contrario, essere rilanciato nitido e forte in tutta la sua portata di civiltà e noi, Parti Sociali italiane, crediamo sia cruciale per affrontare le sfide e progettare un futuro di benessere per l’Europa, ancora uno dei posti migliori al mondo per vivere, lavorare e fare impresa.Abbiamo molto di cui essere orgogliosi e da questo dobbiamo partire per migliorare lavorandoinsieme.

1.L’Europa deve proseguire il processo di integrazione, deve andare avanti, completare l’Unione economica, accelerare la convergenza sui diritti e sulle tutele sociali, rafforzare la prospettiva dell’Unione politica. Guai a pensare che le conquiste raggiunte siano sufficienti: significherebbe noncomprendere le preoccupazioni, le frustrazioni, il disagio e la sofferenza sociale dei tanti milioni dieuropei che non sono in grado di gestire autonomamente la complessità dei nostri tempi. Non diversamente si potrà interpretare lo slancio di partecipazione dei giovani di tutta Europa con il rinnovato impegno sull’ambiente, ormai drammaticamente ineludibile, e con un modello di crescitache restituisca ai giovani il diritto al futuro.Urge accelerare il processo di integrazione europea, da perseguire anche se sarà necessario coinvolgere i Paesi membri in tappe e tempi diversi avviando un percorso costituente, comunque necessario. È già accaduto nel 1957 con i sei paesi fondatori; è successo nel 1998 con la creazione dell’’euro. Con questo spirito, continueremo a contribuire ad un progetto europeo di successo e ad un’Europaunita che garantisca una crescita sostenibile ed inclusiva, un contesto di benessere a lavoratori e imprese, proponendo iniziative che migliorino le condizioni di vita e di lavoro ed offrano un futuromigliore a tutti i cittadini europei.Le Parti sociali ritengono importante che i deputati italiani che verranno eletti al Parlamento Europeosi occupino prioritariamente di:

1.Unire persone e luoghi.

Si tratta di rafforzare le maglie del tessuto connettivo dell’Unione Europea attraverso:

a)ilpotenziamento delle politiche di coesione economiche, sociali, territoriali nell’ambito delQuadro finanziario pluriennale 2021/2027.

b)Ilpotenziamento degli strumenti di studio e di lavoro all’estero, offrendo la possibilità ad ogniadolescente europeo tra i 15 e i 17 anni di passare 15 giorni in un altro a Paese dell’Unione. Per il mondo del lavoro va sviluppato l’Apprendistato Europeo associato al conseguimento di un titolo di studio comunitario, progettato su standard condivisi, per permettere ai giovani di formarsi in una sorta di “Erasmus in azienda”, sviluppando oltre a nuove competenze tecniche, anchecapacità linguistiche, consapevolezza e coscienza europea.

c)UnPiano straordinario per gli investimenti in infrastrutture ed in reti che rappresentano un forteelemento di inclusione perché uniscono territori, città, paesi, assicurando sviluppo, occupazionee coesione sociale. I maggiori investimenti devono essere orientati a promuovere un modello dicrescita e di vita socialmente responsabile ed ambientalmente sostenibile, rispettosodell’equilibrio naturale e meno energivoro, puntando a obiettivi di riduzione delle emissioni nocivee di riconversione modale, secondo i principi e gli obiettivi dell’Accordo di Parigi del 15 dicembre2015. Il piano straordinario di investimenti può incrementare la crescita potenziale del continente,guardando al Mediterraneo come a una grande opportunità di scambio e di sviluppo, erispondere alla concorrenza degli altri grandi player mondiali nei confronti dei quali l’Europa èdecisamente in ritardo.Per finanziare il piano straordinario di investimenti proponiamo di ricorrere a:

➢Eurobond per la crescita:emissioni di titoli di debito europei, “garantiti” da un capitale inizialeversato dai Paesi membri. Nel medio-lungo termine, il debito verrebbe rimborsato con ilgettito di nuove imposte gestite a livello europeo che andrebbero a sostituire impostenazionali. A titolo esemplificativo, un debito europeo del 3 per cento del PIL genererebbe350 miliardi di euro di risorse addizionali.

➢Esclusione della spesa nazionale di cofinanziamento dei progetti europei dai vincoli del Patto di Stabilità e Crescita.

1.Dotarsi degli strumenti per competere nel nuovo contesto globale.“America first”, la “Nuova via della seta”, la polarizzazione dei baricentri economici e degli equilibrigeopolitici esigono un deciso rafforzamento degli ormeggi europei. Per questo riteniamo urgente:

a)Il completamento del mercato unico: dal mercato dei capitali, decisivo per il rilanciodell’industria europea, che rimane estremamente frammentato; al mercato digitale, che è ancorapresidiato da 28 sistemi di regole diversi e non permette alle aziende europee di raggiungeredimensioni comparabili a quelle americane; al mercato dell’energia, le cui importazionirappresentano un quinto delle importazioni del continente e il cui costo rimane decisamente altonella comparazione internazionale.

b)Una politica industriale europea con due obiettivi prioritari: migliorare la competitività,stimolando gli investimenti in ricerca e innovazione per rilanciare la leadership industrialeeuropea ed affrontare le sfide della trasformazione digitale e della sostenibilità ambientale,rafforzare la contrattazione e la partecipazione nelle imprese come fattore competitivo econdizione del lavoro di qualità; rivedere le regole sulla concorrenza, per creare dei veri campionieuropei che diventino attori globali in grado di competere con i colossi americani e asiatici.

c)Una effettiva politica estera comune capace di esprimere il peso politico internazionaledell’Unione, potenzialmente ben maggiore rispetto alla somma dei pesi dei singoli paesi. Nel 2030 solo tre stati membri europei resteranno tra i primi otto paesi al mondo per livello di PIL e nel 2050 solo la Germania. Considerando l’aggregato UE, il terzo posto è confermato al 2030 dopo Cina e USA e il quarto nel 2050 dopo l’India. Ciò significa che tutti gli stati europei presisingolarmente sono marginali. Solo un’Europa politicamente unita può aspirare ad avere un ruolo nella governance economica mondiale contribuendo alla convergenza multilaterale ed alla stabilità globale.

d)Un rafforzamento istituzionale che assicuri il primato del Parlamento europeo e renda il modello di governante più efficace, anche attraverso un trasferimento di sovranità.

2.Potenziare la rete di solidarietà sociale europea Una delle lezioni più rilevanti dell’ultimo, travagliato decennio ha riguardato l’insufficienza della strumentazione europea per affrontare crisi finanziarie e recessioni globali. Riteniamo, pertanto,necessario superare quel deficit politico ed istituzionale mediante:

a)Una funzione di stabilizzazione del ciclo economico, complementare ai meccanisminazionali, in grado di supportare il reddito e la domanda interna in tempi di crisi con l’obiettivo difinanziare:

3.Uno strumento di sostegno europeo, finanziato senza pesare sulle imprese, per rispondere inoccasione di crisi di uno o più paesi membri, alle ricadute sulla disoccupazione, presidiandoinvece la coesione sociale e prevenendo rischi di contagio

Investimenti pubblici, ad alto moltiplicatore, con funzione anti ciclica.

b)Una effettiva politica comune dell’immigrazione in grado di governare i processi migratori,determinati da dinamiche demografiche, economiche, sociali ed ambientali, come un fenomenostrutturale di lungo periodo, nel rispetto dei diritti universali della persona, dei Trattati e delleConvenzioni internazionali di accoglienza solidale dei migranti, dei richiedenti asilo, dei profughi.L’ampia eterogeneità nelle regole di ammissione, nelle politiche di accoglienza e di integrazionee nelle pratiche di respingimento creano caos, inefficienze, conflitti e, soprattutto, non sonocompatibili con l’esistenza di uno spazio di libera circolazione. Una politica dell’immigrazionecomune è il necessario presupposto per presidiare e rendere effettiva la libertà di circolazionenell’U.E. In materia di immigrazione sarebbe, inoltre, importante replicare in Italia il modello di partenariatoeuropeo per l’integrazione sottoscritto nel 2017 tra la Commissione europea, la Confederazionesindacale europea e Business Europe per i richiedenti asilo.

c) L’armonizzazione e la convergenza dei sistemi fiscali e dei sistemi di protezione del lavorodei paesi membri, oggi quanto mai differenziati. Nell’ambito di un mercato unico, se questedivergenze sono significative alterano la concorrenza, diventano strumento di lotta commerciale e creano forme di dumping sociale e salariale. Per questo occorre uniformare i sistemi fiscali e definire standard comuni di protezione del lavoro all’interno dell’UE secondo i principi del Pilastro Europeo dei Diritti Sociali.

3.Sviluppare il dialogo sociale e la contrattazione  Relazioni sindacali partecipative e partecipazione creativa delle lavoratrici e dei lavoratori aiprocessi di innovazione continua sono elementi costitutivi di una strategia vincente nelle imprese edi una Governance politica lungimirante e di successo nei Paesi. A tal fine intendiamo favorire:

a)un rinnovato protagonismo delle Parti Sociali nei singoli Paesi e a livello europeo attraversoconfronti stringenti preventivi alle decisioni governative, confermando il Dialogo Sociale qualestrumento democratico efficace di confronto.

b)Il contrasto ai processi di dumping sulle condizioni di lavoro attraverso l’avvio di percorsi chetendano all’armonizzazione europea a partire dai diritti e dalle tutele fondamentali, nonché daitrattamenti salariali delle lavoratrici e dei lavoratori, ispirandosi alle finalità indicate nei 20 principidel Pilastro dei diritti sociali europei.

c)La promozione e la definizione di un quadro normativo europeo certo di sostegno alle relazionisindacali e alla contrattazione collettiva.

d)La valorizzazione il ruolo dei Comitati di Azienda europei per rafforzare relazioni industrialiorientate a definire soluzioni efficaci e innovative, che favoriscano anche processi diarmonizzazione e di estensione della contrattazione a livello europeo.

e)La creazione di un percorso di livello europeo di politiche attive del lavoro e di long lifelearning adeguate alla straordinaria fase di cambiamento epocale determinata dal passaggiodalle fonti energetiche fossili alle fonti rinnovabili e dalla innovazione dell’economia digitale, cosìda affrontare in modo sostenibile ed efficace i cambiamenti legati alla globalizzazione, alletransizioni energetiche, alla digitalizzazione, all’invecchiamento della popolazione, con leconseguenti riorganizzazioni produttive, ridisegno della manifattura e dei servizi, creazione,

innovazione, riconversione degli skill professionali, mobilità occupazionali, cambiamenti nei consumi e negli stili di vita. Per queste ragioni noi Parti Sociali italiane siamo più che mai convinte che il colpo d’ala europeo siastoricamente maturo, necessario, possibile. Esso rappresenta la risposta coerente ed efficace perpreservare e sviluppare, nella complessità del nostro tempo, il patrimonio di civiltà costruito nei secoli dall’Europa nel quale trovano compendio gli ideali di progresso economico, giustizia sociale,democrazia, pace

 

LA SOCIETA’ DELLE MACCHINE INTELLIGENTI: urgenza di un’alleanza fra capitale e lavoro

Si è svolto Sabato 23 febbraio, presso l’Unione Industriale di Torino, il convegno, moderato da Ezio Ercole, Vice-Presidente dell’ Ordine dei Giornalisti del Piemonte, dedicato all’ Industria 4.0: partecipazione e cogestione dei lavoratori nell‘era dell‘intelligenza artificiale, organizzato dall’ associazione Europa Nazione Cristiana in collaborazione con l’ UCID, l’ Ordine dei Giornalisti, Alpina e Poesia Attiva.

Riportiamo qui di seguito una breve sintesi degli interventi dei partecipanti e il testo integrale del discorso di Riccardo Lal

1.IL CONVEGNO DEL 23.

Dopo i saluti , a nome dell’ Unione Industriale di Torino, di Massimo Richetti, responsabile del Servizio Sindacale dell’Unione, sono intervenuti il Sottosegretario al Lavoro  Claudio Durigon, in teleconferenza da Verona, Alberto Sacco, Assessore al Lavoro Comune di Torino, che ha letto un messaggio della Sindaca Chiara Appendino e Gianna Pentenero, Assessore al Lavoro della Regione Piemonte, che ha parlato delle interconnessioni fra la crisi demografica e l’automazione.

Alberto Acquaviva, presidente dell’associazione Europa Nazione Cristiana: ha aperto i lavori facendo alcuni  cenni storici sulla Dottrina Sociale della Chiesa e proponendo la convocazione degli Stati Generali del Lavoro, mentre il presidente di Diàlexis, Riccardo Lala, ha  delineato un panorama legislativo, tecnico e giuridico, nazionale ed europeo.

Ezio Sciarra, ordinario di Metodologia delle Scienze Sociali, Università degli Studi “Gabriele d’Annunzio” di Chieti e Pescara, ha proposto soluzioni per salvare il lavoro al tempo della robotica. Riccardo Ghidella, presidente nazionale dell’UCID (Unione Cristiana Imprenditori e Dirigenti), ha indicato, fra le priorità per lo sviluppo in Italia, un’innovazione tecnologica più efficace e più realistica di quella ch’è stata effettivamente, ma tardivamente, perseguita con i provvedimenti governativi in vigore.

Nel corso di una tavola rotonda con i rappresentanti del mondo dell’impresa e del sindacato,Erminio Renato Goria, presidente regionale dell’UCID Piemonte e Alberto Carpinetti, presidente  torinese, hanno presentato il risultato dei lavori della sua associazioni in materia di valorizzazione a bilancio del capitale umano delle imprese, mentre

Alessandro Svaluto Ferro, direttore Pastorale Sociale e del Lavoro dell’Arcidiocesi di Torino,ha invocato il superamento della narrativa basata sulla conflittualità fra capitale e lavoro.

Sono poi intervenuti i rappresentati delle organizzazioni sindacali: Cinzia Maiolini, responsabile nazionale Ufficio Progetto Industria 4.0 della CGIL;Antonio Sansone, segretario regionale Fim Piemonte; Dario Basso, Segreteria della UIL-UGL con delega Industria 4.0  e Luigi Ulgiati, vice-segretario generale dell’UGL.

2.L’INTERVENTO DI RICCARDO LALA

Per progredire in qualunque genere di riflessione sul futuro del lavoro, occorre gettare uno sguardo trasversale su materie apparentemente diversissime:(i) l’informatica; (ii)il diritto del lavoro; (iii)l’innovazione.

Questo sguardo permette innanzitutto di osservare empiricamente che:

-in un’ottica storica, la partecipazione dei lavoratori non risulta essere stata di ostacolo, ma, anzi, ha da normalmente favorito, il rafforzamento delle imprese nella competizione internazionale;

-in particolare, l’esigenza di partecipazione non viene frustrata, bensì esaltata, dall’introduzione delle nuove tecnologie, le quali, accrescendo la qualità e la responsabilità del lavoro, hanno, quale implicito corollario, che i lavoratori diventino più importanti nei processi produttivi, e debbano perciò essere ascoltati anche sulle strategie aziendali.

Per comprendere quest’ importanza accresciuta della partecipazione nell’era delle macchine intelligenti, ritengo essenziale compiere preliminarmente una carrellata sull’intera materia, da un lato, dell’automazione, e, dall’ altro, della partecipazione, per poi vedere, alla fine, come esse si congiungano, e/o possano, e/o debbano, congiungersi oggi.

Quest’intervento si articolerà quindi in quattro parti:

-la prima sarà dedicata a un rapido excursus sulle prospettive dell’automazione, non solo quella limitata al mondo della fabbrica, nei prossimi decenni;

-la seconda, a far comprendere quanto variegate possano essere le forme di partecipazione dei lavoratori nei vari Paesi e nei vari tipi d’impresa.

-passerò poi ad esaminare come i due fenomeni -automazione e partecipazione- interagiscano, e/o possano, e/o debbano, interagire fra di loro nella presente fase storica, caratterizzata dalla rivoluzione digitale, in Italia e in tutta l’Europa.

-infine, qualche parola sulle prospettive di azione comune in direzione del futuro, che è l’obiettivo per il quale abbiamo concepito questo incontro.

A.VERSO L’ AUTOMAZIONE TOTALE?

1.E’ possibile prevedere i prossimi anni?

Per comprendere la meccanica dell’introduzione delle nuove tecnologie, occorre innanzitutto situarla nel tempo e nello spazio. Giacché non accetto per altro una visione deterministica dell’evoluzione tecnologica, la quale ultima mi pare invece intrinsecamente legata alle libere scelte umane, condivido anche lo scetticismo circa le periodizzazioni, che sono state proposte, dell’evoluzione dell’Intelligenza Artificiale. Tuttavia, dalla lettura incrociata dei programmi dichiarati da Stati Uniti e Cina e delle esternazioni dei leaders dell’industria informatica, a cominciare da Ray Kurzweil, direttore tecnico di Google, si ottengono comunque dei grandi orientamenti  circa gli eventi futuri, fondati sulle aspettative di quei soggetti circa la propria capacità di sviluppare e diffondere le nuove tecnologie. Queste fasi sogliono essere definite, usando la terminologia consueta nel campo della progettazione, con le sigle 1.0, 2.0, 3.0, 4.0, 5.0…. Oggi, siamo giunti oramai ad un momento di transizione fra le fasi “4.0” e  “5.0”.

a.Fase “4.0”

Sintetizzando, nella fase attuale della storia delle macchine intelligenti:

-da un lato sono già presenti, almeno sul piano sperimentale, molte delle tecnologie determinanti della rivoluzione digitale (spaziale, nanotecnologie, quantistica, big data, intelligenza artificiale, reti neuronali, clonazione, fecondazione assistita, uomo in provetta, robot, androidi, droni, veicoli e armi autonomi “hair trigger alert”, missili ipersonici);

-dall’ altro, però, esse sono utilizzate ancora in modo discreto. Invece, sono utilizzati per ora soltanto in modo molto generico la sorveglianza di massa, gli smartphone, internet, i social networks, i droni….

-Fase ”5.0”.

Questa sarà caratterizzata dall’”internet delle cose e dei servizi”, dal credito sociale, dal popolamento dello spazio, e, inoltre dalla generalizzazione del diritto dell’informatica, nelle sue varie aree, come le norme sulla privacy, il codice etico per i robot, la responsabilità civile delle macchine autonome, il voto digitale…Il tutto favorirà l’unificazione fra le varie tecnologie.

-Fase delle “Macchine Spirituali”

Nella visione di molti teorici dell’informatica, in una fase finale (che sempre Ray Kurzweil chiama “delle “Macchine Spirituali”) si dovrebbe realizzare l’unificazione di tutti i sistemi di controllo in un unico sistema digitale.

2.Il ruolo dell’Italia e dell’Europa

Per comprendere come le nuove tecnologie influenzino, e influenzeranno sempre più, le nostre vite, occorre anche rendere conto degli effetti dell’attuale arretratezza tecnologica dell’Italia e dell’Europa.

Come quest’arretratezza incida sul PIL nazionale (crescita 0,2% nel 2019), ed europeo (1,3%) è relativamente facile da spiegare:

a)in modo diretto: una grande quantità di profitti, che prima rimanevano nel Paese dov’era situata l’unità produttiva, e/o il centro direzionale, e/o il domicilio della proprietà, e/o quello dei massimi dirigenti, oggi si spostano verso paradisi fiscali all’estero, verso intermediari digitali di varia natura, difficilmente tassabili, e che comunque i legislatori esitano fortemente a tassare, o, infine, verso le stesse case madri situate nella Silicon Valley, a Hanzhou, Shenzhen, ecc…

b)in modo indiretto: erosione o elusione fiscale; diminuzione del gettito complessivo; fuga di dati sensibili o addirittura segreti; spostamento dei ruoli apicali; tecnici e specialistici dell’impresa e delle pubbliche amministrazioni, all’ estero; dipendenza degli  Stato dalle multinazionali; indebolimento del patrimonio nazionale di competenze, ecc…

3.Migliorare la catena del valore

A parte, quindi, l’ovvia necessità di una difesa sul piano legislativo contro queste forme di svuotamento dell’ economia nazionale ed europea, l’unica altra contromisura effettiva è costituita da una trasformazione della struttura economica del Paese, che permetta di elevare, nella catena del valore, tutti i tipi di attività, e, in particolare, le attività economiche, attraverso l’incremento dell’ integrazione digitale del sistema (fra P.A. e imprese; fra produttori finali, clienti, fornitori e intermediari; fra fornitori e rispettive filiere; fra imprese, lavoratori e comunità), riportando nel Paese non tanto e non soltanto la manifattura, bensì soprattutto la redditività della stessa, riprendendoci il controllo sui flussi finanziari e di comando, attraverso la creazione di un’industria digitale italiana ed europea. Come intuibile, questa trasformazione richiederebbe un salto qualitativo importante da parte di tutti: accademia, pubblica amministrazione, imprese, lavoratori, cittadini, ma, soprattutto, Unione Europea e Stati membri…La tecnologia blockchain, permettendo una registrazione decentrata dei flussi di dati, potrebbe permettere la tassazione personalizzata dei trasferimenti internazionali di dati e l’applicazione di imposte nazionali e/o europee sulle multinazionali del web.

In questo contesto, risulta fondamentale una rinnovata solidarietà fra capitale e lavoro, per ideare strategie, proporle al mondo politico e attuarle a livello di azienda.

Un utilizzo efficace delle nuove tecnologie implica infine un enorme sforzo di formazione per tutti i ruoli, a cominciare da quelli più elevati. Non tanto e non solo per permettere a ciascuno di fare meglio il suo mestiere con i nuovi strumenti, ma anche per la portabilità delle competenze, cioè la possibilità di transitare verso ruoli diversi, e, in generale, più elevati. Questo sforzo non può avere successo se non sarà maggiormente coordinato a livello europeo. Farò qualche esempio di come questo sforzo possa articolarsi ai diversi livelli:

a)”Upskilling”

Sembrerebbe ovvio che le nuove tecnologie rendano possibile svolgere con minore sforzo gli stessi compiti, oppure svolgere, con lo stesso sforzo, più compiti, cosa che tradizionalmente equivaleva a un una crescita di grado e di responsabilità. Questo fatto sta avendo un impatto immediato sulla struttura dell’occupazione, con la scomparsa progressiva dei tradizionali “operai”, e la loro sostituzione con “operatori digitali”, spesso diplomati presso gli ITI, o, addirittura, laureati.

b)”Upgrading”:

L’elasticità richiesta dalle nuove tecnologie richiede un’accresciuta attenzione per le materie umanistiche. Infatti, specie ai livelli più alti, la possibilità per un solo operatore di gestire più attività (per esempio, un’intera officina, un intero studio legale, un’intera clinica), implica l’accumularsi anche di maggiori responsabilità (etiche, legali, sociali, amministrative, finanziarie, di rappresentanza), per le quali non bastano più le competenze tecniche e informatiche.

4.”Enhancement”

Per questo, la formazione permanente non dovrebbe essere limitata ai ruoli esecutivi: anzi, dovrebbe essere diretta soprattutto ai ruoli direttivi, che saranno i più coinvolti dall’Intelligenza Artificiale, e anche i più a rischio (direttori, commercialisti, analisti finanziari, capi-fabbrica…), concretizzandosi in un vero e proprio “aumento” della loro capacità di leadership, capace di controbilanciare l’influenza dei gestori multinazionali delle reti.

B.COS’È MAI LA PARTECIPAZIONE DEI LAVORATORI?

Concetto fluido tanto circa ai contenuti, quanto al suo stesso perimetro, la partecipazione è un’esigenza che si pone da sempre, in quanto il lavoro è un’attività umana che richiede uno sforzo congiunto di tutti. Per esempio, abbiamo avuto forme di partecipazione nelle corporazioni medievali, nei sindacati, nelle cooperative e nel diritto del lavoro in generale.

Nel mondo contemporaneo, vi sono diverse forme di partecipazione, nell’impresa e nella società. Queste differenze si riferiscono, tanto alla forma giuridica, quanto alla realtà effettuale, sociale e/o politica, della partecipazione. Dal punto di vista giuridico, possiamo distinguere:

a)forme di partecipazione nell’ ambito dell’ “ordinamento intersindacale”

E’ il sistema tipico dell’Italia, dell’Inghilterra e dei Paesi scandinavi. La partecipazione è garantita più dall’azione delle parti sociali più che dalla legge. Inoltre, i lavoratori possono influenzare l’organizzazione dell’impresa solo dall’ esterno. Ciò non significa che non ci siano forme, spesso anche molto penetranti, di partecipazione alle strategie aziendali e all’organizzazione del lavoro. E’ questo tipo di partecipazione ad essere in crisi, perché sono in crisi gli elementi sociologici che ne erano alla base: la prevalenza dell’industria sul terziario, le grandi fabbriche tayloriste e fordiste, il rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato;

b)i diritti d’informazione e consultazione: i diritti d’intervento dei lavoratori nelle materie di cui sopra sono stati rafforzati dalle direttive europee, ponendosi, così, a mezza strada fra il sistema italiano e quello tedesco;

c)lo statuto d’impresa e la cogestione: è il modello vigente , per legge, in Germania, il quale comprende tre set distinti di norme: quelle sulla rappresentanza nel consiglio di sorveglianza, quello sulla partecipazione dei comitati d’impresa  alle decisioni che riguardano i lavoratori, e quello relativo all’“Arbeitsdirektor”, un membro del consiglio di gestione responsabile per le questioni di personale. L’approccio della cogestione esce, in Germania, dall’ ambito  puramente aziendale, e si estende, invece, a una concertazione generalizzata nella società civile (“Selbstverantwortung der Wirtschaft”).

-Società europea e comitati aziendali europei: Sono delle anticipazioni di un’organizzazione aziendale di tipo “tedesco” introdotte in tutta Europa attraverso l’armonizzazione del diritto societario e del lavoro dell’Unione Europea;

-la partecipazione finanziaria: si articola, a sua volta, attraverso svariati istituti, presenti in modo diverso nei vari Paesi: la partecipazione agli utili (l’86% delle grandi imprese europee);le “stock options” per i dirigenti; i piani di azionariato per i dipendenti (come il Piano LECOIP 2.0 di Banca Intesa).

1)Argomenti a favore del sistema tedesco di cogestione:

I modelli della cogestione e dell’”ordinanamento interconfederale” (tradeunionismo) sono diffusi in modo ineguale in Europa, con una prevalenza di quello della cogestione, concentrata prevalentemente nell’ Europa Centrale e Settentrionale. Solo all’interno della UE, i Paesi  senza cogestione sono veramente pochi. L’Unione Europea persegue da sempre un’opera lentissima di armonizzazione legislativa, volta ad estendere, attraverso direttive raccamandazione, gl’istituti della cogestione.

a)identitari: la cogestione corrisponde al “Modello sociale europeo” (tradizioni comunitaristiche; democrazia economica; coesione sociale, efficienza)

b)religiosi:dottrina sociale della Chiesa/ «organische gedachte calvinista» (dignita’ del lavoratore, solidarieta’);

c)sovranisti:protezione dell’industria nazionale (casi Volkswagen, Pirelli-Continental e Daimler-Chrysler);

d)economici: l’economia tedesca, grazie anche e soprattutto all’interpretazione estensiva della cogestione quale „autogestione dell‘ economia“, è riuscita  a registrare, in controtendenza rispetto al resto dell‘ Europa , e soprattutto all‘ Italia, una drastica crescita del PIL proprio in un perido di crisi generalizzata. Anche se questo periodo di grazia sembra essere alla fine.

2.La situazione in Italia

L‘ Art 46 della Costituzione  afferma: “Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende”.

Per quanto nessuno l’abbia abolito, quest‘articolo è rimasto fino ad ora inattuato. A ciascuna nuova legislatura sono stati presentati vari disegni di legge che non sono mai stati attuati integralmente, sicché, come abbiamo visto, la partecipazione nelle imprese è affidata piuttosto all‘ ordinamento intersindacale, nonché a sporadiche forme di partecipazione contrattuale, come quella ch‘ è stata vissuta per un breve periodo dall‘ Alitalia..

Questi esempi episodici di cogestione sono costituiti dalla governance dell‘ INPS, dalla partecipazione al capitale, per esempio in alcune banche, e agli effetti indotti dalle direttive europee (Comitati aziendali europei;Statuto della società europea, diretto a rendere possibili forme di partecipazione collettiva dei dipendenti all’interno dell’impresa societaria; diritti di informazione; raccomandazione CEE che promuove la partecipazione dei lavoratori ai profitti e ai risultati dell’impresa, compresa la partecipazione al capitale tramite l’azionariato).

C.LA PARTECIPAZIONE NELL’INDUSTRIA 4.0

L’introduzione dell’industria 4.0 sta comportando cambiamenti strutturali dell’occupazione, come osservato nel  Progetto Lavoro 4.0 della CGIL: «I criteri di inquadramento previsti dai contratti collettivi pensano a una realtà ormai superata. Presupponevano figure statiche, ruoli più esecutivi, mentre i nuovi modelli organizzativi richiedono altre competenze, come l’autonomia, il lavoro in team». In generale, «c’è un’evoluzione reale del mondo del lavoro che le regole ancora ignorano».

Inoltre, «La diffusione dell’intelligenza artificiale sta portando sempre più gli algoritmi a modificarsi autonomamente, sulla base degli obiettivi programmati. Per questo è sempre più urgente conoscere e contrattare i principi di base del software impiegato. L’algoritmo va verificato e modificato sulla base di un equilibrio tra necessità dell’impresa e diritti del lavoro. Esattamente come si è fatto nei confronti della tecnologia fordista e dell’organizzazione del lavoro taylorista rispetto alle presunte oggettività del sistema ‘Tempi e Metodi’»

1)In Italia

Anche il sistema giuridico italiano ha conosciuto recentemente qualche piccolo, e sperimentale, passo in avanti.

In particolare:

a)il “contratto 4.0”, che  passa attraverso la valorizzazione  della contrattazione territoriale e aziendale.

b)il «coinvolgimento paritetico».

La Legge di Stabilità del 2016 aveva introdotto la possibilità d’ importanti sgravi fiscali e contributivi.             Le limitazioni legate agl’importi massimi (fino a 4.000 euro) potevano essere  superate nel caso in cui l’azienda prevedesse forme di coinvolgimento paritetico dei lavoratori.Con la circolare n. 28/E del 2016, l’Agenzia delle Entrate aveva precisato che, al fine di beneficiare  di tale incremento su cui applicare l’imposta sostitutiva, era necessario che i lavoratori intervenissero, operassero ed esprimessero  opinioni che, in quello specifico contesto, erano considerate di pari livello, importanza e dignità di quelle espresse dai responsabili aziendali che vi partecipavano con lo scopo di favorire un impegno “dal basso” che consentisse di migliorare le prestazioni produttive e la qualità del prodotto e del lavoro

2)La “cogestione alla tedesca”(Mitbestimmung) e l’industria 4.0

In Germania, l’esigenza di una collaborazione fra Stato, Regioni, Imprese e sindacati per  fare fronte alle rapide trasformazioni tecnologiche ha portato alla formazione di  «alleanze», come quelle del        Nordrhein-Westfalen e del Baden-Württemberg per l’industria 4.0.

Molta attenzione viene posta al trattamento giuridico delle innovazioni tecnologiche alla luce della normativa sulla cogestione. Il che ha tra l’altro l’effetto collaterale che esse vengono monitorate con grande attenzione da parte di tutti, con il particolare obiettivo di prevenirne eventuali effetti nocivi e abusi (principio di precauzione). Quest’attenzione è stimolata innanzitutto dal fatto che le decisioni aziendali necessarie per introdurre una nuova tecnologia sono classificate dal legislatore in un modo diverso a seconda della loro natura. Perciò, è necessario innanzitutto, nelle relazioni sindacali e negli organi aziendali, procedere alla loro qualificazione giuridica, per poi decidere con quale procedura debbono essere gestite.

Ecco i diversi livelli di decisionalità attribuiti alla rappresentanza dei lavoratori per le varie categorie di decisioni:

      a)Cogestione «piena» (Orario di lavoro; metodi retributivi; premialità; controlli elettronici; normativa di sicurezza; formazione; modifiche delle competenze; ferie; lavoro di gruppo)

    b)Ruolo consultivo (investimenti; chiusura e ridimensionamento di  unità produttive; cambiamenti organizzativi; introduzione di nuovi processi; programmi di produzione; concezione e configurazione delle postazioni di lavoro)

     c)Diritti d‘ informazione (privacy; piani di carriera; situazione economica)

D.PREPARARE IL FUTURO

Nel corso delle passate legislature, erano stati fatti sforzi in varie direzioni per introdurre nella legislazione italiana forme di partecipazione e di cogestione coerenti con il dettato costituzionale, inattuato dopo ben 71 anni.

-Per ciò che concerne la partecipazione agli utili, Marco Biagi aveva lasciato al Ministero del Lavoro, poco prima della sua morte, un’ottima bozza di proposta di legge, e, in particolare, un dettagliato studio preliminare;

-Per ciò che concerne la partecipazione alla gestione, i vari progetti di legge erano stati unificati dal senatore Ichino in un’unica proposta di legge, il cui principio centrale era che:«1. Le imprese possono stipulare con le organizzazioni sindacali un contratto collettivo volto a istituire una delle forme seguenti di informazione, consultazione, partecipazione, o coinvolgimento dei lavoratori nell’andamento azienda:

  1. a) obblighi di informazione o consultazione a carico dell’impresa stessa nei confronti delle organizzazioni sindacali stesse, dei lavoratori, o di appositi organi individuati dal contratto medesimo, in conformità con il diritto comunitario laddove esso ponga disposizioni vincolanti in proposito;
  2. b) procedure di verifica dell’applicazione e degli esiti di piani o decisioni concordate, anche attraverso l’istituzione di organismi congiunti, paritetici o comunque misti, dotati delle corrispondenti prerogative»

Come dicevamo, questi progetti non hanno conosciuto neppure un iter legislativo completo.

1)Esigenza di un’ azione coordinata per la difesa del lavoro.

I dati sull’ andamento dell’ economia in Italia ed Europa rispetto al resto del mondo indicano una situazione emergenziale, in cui la coesione sociale deve far premio sulla conflittualita’, come dimostrato dal fatto che, il 14 dicembre scorso, la giunta della Regione Piemonte ha addirittura approvato la proposta di candidatura per il riconoscimento di area di crisi industriale complessa dei 112 Comuni del sistema locale del lavoro di Torino.

Come illustrato sopra, la situazione attuale renderebbe necessario un coordinamento di tutte le forze per organizzare la difesa del lavoro in Europa, in Italia e in Piemonte. Un processo di queste dimensioni non riesce a  essere completamente «autodiretto» da imprese e sindacati, perché:

-i capitali provengono ormai in gran parte dal di fuori dell’ Europa;

-il management e i lavoratori (salvo che nelle maggiori imprese) sono     impreparati, tant’è vero che la maggior parte delle imprese italiane non ha neppure usufruito dei vantaggi dell’Industria 4.0.

C’è stata una progressiva riduzione delle risorse disponibili per l’ Industria 4.0

Finora, le legislazioni nazionali, e soprattutto quella europea, non hanno affrontato i nodi più scottanti dell’ Upskilling e dell’ Enhancement

Perciò, trattandosi chiaramente di un fallimento del mercato, tutto il  settore pubblico dovrà  strutturarsi per supportare quest’immane massa di nuove attività, e, in particolare, investimenti europei nei settori di punta e la tutela deoi dati di cittadini, imprese ed Enti pubblici.Tuttavia, il Piano Juncker non ha dato indicazioni significative a questo riguardo, mentre, come noto, la manovra finanziaria italiana ha tutt’altre priorità. Nel 2014, in occasione della elaborazione, da parte di Jean-Claude Juncker, dell‘ omonimo piano, gli avevamo inviato una lettera aperta, poi divenuta il Quaderno „RE-starting EU Economy via Tecnology-Intensive Industries“

Certamente, L’Unione Europea si è attivata recentemente con delle attività a livello europeo, e, in primo luogo, con la formazione di  un’ «Alleanza per l’ Intelligenza Artificiale» sul modello tedesco, e, poi, una  dichiarazione fra gli Stati Membri per la cooperazione nell’ Intelligenza Artificiale, una Tavola Rotonda fra le Istituzioni sullo stesso argomento, e, infine, con la Comunicazione della Commissione sull’ Intelligenza Artificiale.

Tuttavia, nessuna risposta concreta è  pervenuta alla nostra lettera aperta al Presidente Juncker, e, dopo cinque anni,siamo ancora fermi appena a una formulazione di principio e allo stanziamento di fondi senza indicazioni precise di strategie. In particolare, mancano:

-un Ente europeo sul modello del DARPA americano, preposto alle nuove tecnologie;

-un Ente di programmazione;

-una struttura coordinata di  formazione;

-dei gruppi finanziari/industriali dedicati;

-nuove forme di partecipazione adeguate al settore informatico, e alle collaborazioni fra i campioni nazionali e le piccole e medie imprese.

2)Rivendicare un ruolo per la nostra citta’

Torino possiede una tradizione importante nel settore del diritto sociale. Nell’ Ottocento, essa aveva rivestito un ruolo importante nel campo del cristianesimo sociale, con Giulia di Barolo, Don Bosco e Faà di Bruno. Nel ‘900, divenuta la più industrializzata delle città italiane, fu teatro di  violente lotte sociali, vide la firma dell’accordo sulle 8 ore e l’occupazione delle fabbriche, fece oggetto dei dibattiti di Gramsci e Gobetti. Nel 2° Dopoguerra, a Torino fu firmata la Carta Sociale Europea e fu creato il Centro di Formazione dell’Ufficio Mondiale del Lavoro. In Piemonte, avevamo un’Olivetti che costituiva un modello di impresa impegnata nella società per il coinvolgimento dei lavoratori e del territorio, e, allo stesso tempo, un polo di avanguardia dell’ industria informatica.A Torino si verificarono gli scontri di Corso Traiano, ma si ebbe anche la manifestazione dei 40.000. Attualmente, Torino è il palcoscenico su cui si confrontano No Tav e Sì TAV.A Torino si svolge da alcuni anni l’esposizione “A&T”, in cui vengono presentate le più recenti innovazioni nel settore dell’innovazione.

Torino avrebbe tutte le carte in regola, ma anche tutto l’interesse, a ridivenire un polo di elaborazione di proposte per il diritto sociale nelle nuove condizioni socio-economiche.

Per quanto riguarda la Casa Editrice Alpina, la nostra proposta molto concreta è quella di inserire il tema della partecipazione nella società digitalizzata fra i “Baustellen Europas” che stiamo organizzando, d’accordo con la Direzione del Salone, il Movimento Europeo, il Comitato Economico e Sociale e la Confederazione Europea dei Sindacati, al Salone del 2019. Manifestazione a cui invitiamo tutti a partecipare.