UN FALLIMENTO PREANNUNZIATO
Riportiamo qui di seguito il commento del Movimento Europeo in Italia sul voto del Parlamento Europeo circa il documento AFCO sul futuro dell’ Europa (all.1), e un commento della stampa americana (all.2).
Intanto, mettiamo in evidenza l’atteggiamento sempre più sconsolato dell’ME di fronte alla palese indifferenza per la riforma dell’Unione perfino da parte del Parlamento Europeo, atteggiamento che emerge, in particolare, da questi passaggi:
“Al di là di dichiarazioni retoriche di chi ha sostenuto questo lavoro del Parlamento europeo, noi riteniamo che si debba fare una riflessione accurata sulle ragioni per cui si è arrivati a questo risultato che purtroppo non ha nulla di storico e sulla strada che debba essere percorsa da qui alle elezioni europee e dopo di esse per far cambiare rotta all’Unione europea in una situazione in cui appare chiaro a tutti che l’Unione europea non è in grado di far fronte alle sfide interne ed esterne e che i Trattati di Lisbona firmati nel 2007 non sono lo strumento adeguato per far fronte a queste sfide.
Se gli attuali deputati europei non sono stati capaci di dare una risposta adeguata, dovremo rivolgerci alle opinioni pubbliche, alla società civile, alle cittadine e ai cittadini europei per avviare una mobilitazione che spinga i partiti politici europei a svolgere quel ruolo che gli è stato affidato dal Trattato di Lisbona per formare la coscienza europea delle nostre opinioni pubbliche.”
L’Associazione Diàlexis ha avviato da tempo questa riflessione sulla “deriva” dell’ Europa, e ha già espresso il proprio punto di vista in tutta la sua pubblicistica, sintetizzandola in particolare nell’ ultimo suo libro “Verso le elezioni europee” (acquistabile presso StreetLib cfr https://store.streetlib.com/novita/verso-le-elezioni-del-2024-i-partiti-europei-nella-tempesta-738251/).
Tale punto di vista può riassumersi come segue:
1.La creazione di una vera statualità europea che (pure all’ interno della “multilevel governance europea e mondiale) costituisca il punto focale della lealtà dei cittadini verso la cosa pubblica (un’aspirazione che attraversa i millenni a partire dalla Tetrarchia dell’ Impero Romano, per passare al Sacro Romano Impero e ai progetti europeistici medievali e moderni), è divenuta della massima urgenza a causa dell’ avvicinarsi della trasformazione dell’Umanità in una mostruosa megamacchina per effetto dell’ Intelligenza Artificiale che sta surclassando quella umana, preconizzata per i prossimi decenni (2025, 2045, 2049?) dai guru dell’ informatica (Kurzweil, Zuckerberg, Schmidt, Musk e Altman) e che potrà essere contrastata solo da un’alleanza di scala planetaria.
2.Costituisce infatti l’oggetto stesso della “Missione dell’ Europa” quella di costituire l’estremo baluardo contro l’ “elusione della filosofia” (Cornell West) insita nella concezione funzionalistica dell’ uomo e dell’ Europa sostenuta da Mitrany e Haas ed evidentemente contraria al cosiddetto “Articolo Segreto della Pace Perpetua”(Kant) , che, cioè, il politici “si attengano alle massime dei filosofi”. Per fare ciò, essa deve finalmente costituirsi in soggetto autonomo di storia, cosa che, nell’era della “Terza Guerra Mondiale a Pezzi”, non può farsi senza aggregare un minimo di massa critica indipendente in campo culturale, politico, militare, tecnologico, sociale ed economico, tale da renderla un interlocutore credibile nel dialogo fra le Grandi Potenze susseguente all’ incontro di San Francisco fra Biden e Xi (il “Trendsetter of the Global Debate” sull’informatica e l’Intelligenza Artificiale, come pretenderebbe Ursula von der Leyen).
3.La linea politica perseguita dalle Istituzioni dalla Dichiarazione Schuman e fino ad ora è stata sempre più inficiata dal funzionalismo, e quindi controproducente, seguendo essa una narrazione culturale aberrante (la “Grande Narrativa Whig”), che ignora deliberatamente buona parte della storia culturale europea(“Cancel Culture”) , dalla Civiltà Danubiana al Medio Oriente e al Barbaricum, per passare al nesso segreto Gesuiti-Illuministi, alla Dialettica dell’ Illuminismo, alla genesi del nazionalismo dalle Rivoluzioni Atlantiche e ai ruoli centrali che l’Est Europa (Coudenhove Kalergi, dissenso, neo-conservatorismo) e soprattutto l’America, hanno esercitato nella nascita, nello sviluppo e nel controllo dell’ integrazione europea (Fulbright, ACUE, Endowment for Democracy, Prism, Inflation Reduction Act).Le ragioni dell’ostilità americane all’ulteriore allargamento sono riassunte nell’ articolo di Andrew Michta dell’ Atlantic Council (all.2).
4.La riforma istituzionale necessaria e urgente per permettere all’ Europa di compiere la missione di cui sopra non può compiersi per via puramente giuridica, bensì deve svilupparsi preventivamente attraverso più fasi: dibattito culturale sull’ Identità Europea; azione politica di aggregazione delle forze veramente europeiste intorno al Movimento Europeo; azione organizzativa all’ interno dei Partiti Europei per porre al centro del discorso pubblico il ruolo dell’ Europa nel contrasto alla Singularity; funzione costituente per ristrutturare l’intera “multi-level governance”, dal diritto internazionale, alle Organizzazioni Internazionali, alle Istituzioni Europee, alle Macro-Regioni, alle Regioni, alle Città e alle imprese; azione politica per infondere nuova vita alle Istituzioni così rinnovate.
5.E’ errato credere che questa ristrutturazione dell’Europa possa farsi intorno al patto franco-tedesco, o al raggruppamento genericamente “centrista” che, in tutti questi anni, non hanno saputo (o voluto) avviare nessuna delle azioni di cui sopra, perché potenzialmente lesive del loro potere; essa potrà realizzarsi invece solo con un movimento spontaneo al di sopra degli Stati Nazionali, nell’ambito, non già in opposizione, di un “mondo à la carte” (Garton Ash, ECFR) ,quale quello conformato dai BRICS;
6.Data l’imperdonabile perdita di tempo intervenuta in questi anni con la Conferenza sul Futuro dell’Europa, la vera e propria rifondazione dell’ Europa potrà attuarsi solo nel corso della prossima legislatura, sperando, certo, che si riesca a inviare a Bruxelles un certo numero di deputati che condividano quanto sopra, ma non disdegnando di svolgere un lavoro capillare di persuasione, anche e soprattutto sui “sovranisti”, che possono e debbono essere guadagnati al “sovranismo europeo”,sottraendoli alla tentazione di quell’azione di boicottaggio a cui sembra invitare l’articolo di Michta.
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ALLEGATO 1.
AI MEMBRI DELLA “PIATTAFORMA ITALIANA PER LA CONFERENZA SUL FUTURO DELL’EUROPA”
Nel quadro di una sessione carica di discussioni e di voti che hanno suscitato forti divisioni fra le forze politiche, il Parlamento europeo ha votato sul rapporto elaborato da 5 relatori della Commissione AFCO in un anno di lavori senza trasparenza e senza dibattito pubblico, ignorando anche la necessità di coinvolgere in questo lavoro società civile e cittadini che erano stati coinvolti nella Conferenza sul futuro dell’Europa.
Il risultato del voto, al di là dei contenuti del testo emerso delle decisioni del Parlamento europeo, indica purtroppo che l’orientamento degli attuali deputati eletti nel Parlamento europeo è ostile o nutre molti dubbi su un’ampia riforma del Trattato di Lisbona.
Su 702 parlamentari, un centinaio ha deciso di non partecipare al voto, 44 si sono astenuti, 274 hanno votato contro e 291, cioè una minoranza dell’Assemblea pari al 40%, ha votato a favore calcolando che i deputati dei cinque gruppi che si erano espressi a favore nella commissione affari costituzionali sono 440.
Una analisi dei voti individuali ci indicherà anche gli orientamenti dei gruppi politici nell’Assemblea.
Al di là di dichiarazioni retoriche di chi ha sostenuto questo lavoro del Parlamento europeo, noi riteniamo che si debba fare una riflessione accurata sulle ragioni per cui si è arrivati a questo risultato che purtroppo non ha nulla di storico e sulla strada che debba essere percorsa da qui alle elezioni europee e dopo di esse per far cambiare rotta all’Unione europea in una situazione in cui appare chiaro a tutti che l’Unione europea non è in grado di far fronte alle sfide interne ed esterne e che i Trattati di Lisbona firmati nel 2007 non sono lo strumento adeguato per far fronte a queste sfide.
Se gli attuali deputati europei non sono stati capaci di dare una risposta adeguata, dovremo rivolgerci alle opinioni pubbliche, alla società civile, alle cittadine e ai cittadini europei per avviare una mobilitazione che spinga i partiti politici europei a svolgere quel ruolo che gli è stato affidato dal Trattato di Lisbona per formare la coscienza europea delle nostre opinioni pubbliche.
Il Movimento Europeo intende proseguire su questa strada e lancerà nelle prossime settimane un appello ad un’ampia mobilitazione che abbia come sbocco l’avvio di una processo democratico costituente.
Pier Virgilio Dastoli
PRESIDENTE
ALL.2
ANDREW A. MICHTA IS SENIOR FELLOW AND DIRECTOR OF THE SCOWCROFT STRATEGY INITIATIVE AT THE ATLANTIC COUNCIL OF THE UNITED STATES. VIEWS EXPRESSED HERE ARE HIS OWN.
There’s a sea change coming to Europe, and its consequences for America’s relations with key allies haven’t yet registered in Washington.
Predominantly driven by pressure from Berlin and Paris, the European Union is moving at speed to undergo the most dramatic systemic transformation since its inception. It’s about to centralize power in a way that will change the bloc’s very nature, impacting the Continent’s politics and economics. It will also fundamentally alter how Europe interacts with the United States.
The changes currently under consideration would transform the EU from a confederation of sovereign countries into a unitary federal entity, with its central government presiding over partially self-governing nation states. And the key argument put forward by proponents of this is that without it, the bloc’s planned enlargement would soon render it ungovernable.
These proposed treaty revisions rest on three fundamental changes: the introduction of majority voting; the elimination of the veto by individual member countries, which will end the principle of unanimity; and limiting the number of EU commissioners.
If implemented, these changes will radically realign power in the EU, concentrating it in Berlin and Paris, as the largest countries will essentially be able to impose their wills on the bloc at large. The scope of these proposed changes would be comparable to the U.S. eliminating the Electoral College and shifting its electoral processes to simple majority voting, effectively allowing the country’s largest states to drive its politics unhindered.
But while the U.S. appears unaware of this pending shift, in Europe, the treaty revision process is already underway with fundamental changes in 10 key areas, including EU foreign, security and defense policy. And as a concrete step toward such changes, a Committee on Constitutional Affairs report, which will form the European Parliament’s inputat a treaty revision convention, was recently approved — an event that went largely unnoticed in U.S. media. Next, all MEPs are set to vote on the report during their plenary session this week.
However, U.S. President Joe Biden’s administration has appeared relatively indifferent to this shift, perhaps assuming a more unified EU would become a more effective partner, with Berlin and Paris (via Brussels) emerging as Washington’s principal interlocutors. And given Germany is Europe’s largest and most dominant member country since the United Kingdom’s Brexit, on its surface this policy seems like an obvious default position.
But while U.S. supporters of the EU’s further centralization like to trot out the famous remark: “Who do I call if I want to speak to Europe?” — a question often misattributed to former Secretary of State Henry Kissinger — Europe’s upcoming reality doesn’t correspond with how the administration of then President Richard Nixon had engaged with the Continent at the time.
Moreover, this view of EU federalism misses the central point that, first and foremost, America’s Europe policy should be driven by its national interests, and that Washington should tailor a particular institutional framing according to its own preferences.
The idea that a “federalized” Europe would be easier for the U.S. to deal with isn’t borne out from any evidence — especially one driven by the Berlin-Paris tandem, as German and French positions on key foreign and security policy issues have, time and again, diverged from America’s. And as in any alliance, the U.S. should prioritize the countries with threat perceptions and national interests that align most closely with its own.
Here, the most recent U.S.-led effort to assist Ukraine should serve as a guide for the countries Washington should, in fact, call in Europe.
Throughout, it has been the nations along NATO’s eastern flank — from Finland through the Baltic States, Poland and Romania — that have shown the greatest determination to stand alongside the U.S. in support of Ukraine, as Germany and France follow suit with reluctance and, more often than not, fail to deliver.
And as the U.S. continues to push its European allies to move forward on rearmament and building the requisite capabilities to implement NATO’s three new regional plans, it is these flank countries that are leading the way once more.
Germany, by contrast has failed to meet even the agreed-upon minimum 2 percent of GDP target on defense spending, while France is focusing its spending on power projection in the Mediterranean and beyond. Thus, the notion that a federalized Europe led by Berlin and Paris would be more, and not less, responsive to U.S. requests for meaningful contributions to deterrence and defense is wishful thinking.
The EU’s unfolding political transformation deserves far closer attention in Washington than it has received. The proposed changes to the EU treaties raise fundamental questions about how the U.S. intends to lead NATO going forward, and how it can best leverage the commonality of interests across the Continent to reduce its security burden across the Atlantic.
Of course, decisions on the EU’s future belong in Europe and are for Europeans to make. But as the key provider of the Continent’s security, the U.S. shouldn’t be a mere bystander — especially when these choices will impact its collective defense burden in NATO.