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L’ EUROPA CONTRO LA DITTATURA POSTUMANISTICA:L’unica chance di mantenere un senso al nostro Continente

Le trasformazioni in corso in tutto il mondo in connessione con la seconda vittoria elettorale di Trump avranno, sul nostro futuro, un tale impatto, che è, a nostro avviso, essenziale seguirle e studiarle con la massima attenzione per elaborare una strategia culturale e politica innovativa, adeguata ai tempi.
Infatti, nel giro di un mese, la nuova leadership americana intorno a Trump ha dimostrato un attivismo e una versatilità ideologica inaspettati, attaccando con indubbia abilità l’ideologia “mainstream” americana ed europea, in alcuni dei settori più importanti della società, con una strategia di “rottura dei tabù” che Carlo Caracciolo ha definito come “rivoluzione”. Questo sta comportando una radicale trasformazione anche nelle strategie delle altre grandi potenze e nella politica europea.

Alessandro Orsini, su “Il Fatto Quotidiano”, afferma che ciò corrisponde a una prima fase di elaborazione dello Choc: “E’ come se i leader europei scoprissero soltanto oggi che la Russia ha seimila testate nucleari che userebbero in caso di guerra con l’ Europa”. In realtà, si tratta in buona parte di missili ipersonici a traiettoria casuale, non intercettabili e più “letali” dei tradizionali missili nucleari.
Riteniamo pertanto necessario seguire il tutto con grande cura e obiettività, sempre tenendo presente le esigenze molto diverse dell’Europa e dell’ America, e la nostra pluridecennale dedizione alla causa europea.
Senza soffermarci troppo sugli aspetti folcloristici, che invece tanto solleticano i media, e concentrandosi invece sempre sul vero problema del nostro tempo: la dittatura dei GAFAM post-umanisti, rappresentati da Elon Musk.

Von der Leyen: una dinastia tedesca

1.Balch Salute; Bellamy Salute; Saluto Romano; Hitlergruss
Ha suscitato grande scandalo il fatto che due luogotenenti di Trump abbiano accennato, in fondamentali eventi pubblici governativi americani, qualcosa che assomiglia al saluto romano o all’ Hitlergruss nazista. E’ora di sfatare l’enorme coltre di disinformazione su quest’argomento: il cosiddetto “saluto romano” non è affatto romano, bensì fu inventato di sana pianta nell’ Ottocento da un solerte funzionario di New York, e poi imitato dai film “peplum” di Hollywood, da Gabriele d’Annunzio, e solo alla fine da Mussolini, Hitler e tutti i Paesi fascisti, a cominciare dalla Spagna, dalla Grecia, dalla Romania e dall’ Ucraina.
Più in generale, si è voluto nascondere il fatto che i Nazionalismi (o Patriottismi) europei (o in generale moderni) sono in realtà (come altre ideologie) epifenomeni della Rivoluzione Americana, che, attraverso di essi, con il processo di “Nation Building”, è riuscita ad esportare l’”Etica puritana” e a creare un’ “America-Mondo”(basti pensare a Lincoln inviato in Francia per preparare la Rivoluzione Francese, a Garibaldi che, prima dell’impresa dei Mille, lavora a New York, al supporto americano per il Sinn Féin irlandese, ai finanziamenti a Hitler di Ford e della Banca Schroeder..). Perfino il nazismo riconobbe implicitamente questo debito concettuale, inviando in America un intero transatlantico pieno di giuristi, per studiare e clonare le “Jim Crow Laws”, che governarono per più di un secolo la segregazione razziale e ancora conformano di sé l’habitus mentale dell’America.
Certo, la tradizionale critica federalista del federalismo è più che motivata. Occorre però non confondere il “nazionalismo”, sottoprodotto delle rivoluzioni atlantiche, che è l’esaltazione della sovranità di un’etnia, con l’”autoaffermazione delle identità collettive” (famiglia, clan, tribù, villaggio, popolo, città, Stato, Regno, impero, che è un elemento ineliminabile nella storia umana, dagli uomini primitivi fino ai grandi blocchi continentali di oggi.
Anche la critica al nazionalismo europeo ha un senso, in quanto coloro che lo proposero (Benda, Drieu la Rochelle, Moseley) erano ancora troppo influenzati dal nazionalismo borghese e poi socialista (le famose “Repubbliche Socialiste”) per comprendere il mondo contemporaneo.
In realtà, I grandi blocchi continentali (per usare un termine cinese, gli Stati Civiltà) sono espressione, non già di una nazione, bensì di una cultura. Per esempio, la Pan-Europa proposta da Coudenhove Kalergi era un tentativo di salvare le élites della Europa borghese (con una fusione fra aristocrazie mitteleuropee, Hofjuden e nomenklatura bolscevica. Essa sarebbe coesistita con una Pan-America, una Pan-Asia e un Commonwealth britannico.
Di fatto, gli Stati-Civiltà tendono alla pace, al multipolarismo e alla stabilità, mentre i blocchi di nazioni ideologizzate aspirano all’ unità mondiale sotto l’egida di ideologie livellatrici.

Il Pledge of Aiiance


2.Il “Pledge of Alliance”
In una forma semplificata (per non essere confuso con i più propagandati casi italiano e tedesco), il Bellamy Salute è ancora in vigore oggi, in quanto esso è il quotidiano saluto alla bandiera di tutti gli scolari americani. Normale che i nazionalisti americani, come Bannon e Musk, lo usino per salutare il loro presidente e in generale nei loro raduni. La provocazione sta nell’usarlo nella sua forma piena, vietata dal 1942 per l’evidente identità con il saluto dei “nemici” dell’ Asse. Meno normale che molti personaggi europei, da Zelenskij, a Nordio a Bocelli, lo usino (nella sua forma semplificata) quando ascoltano i rispettivi inni nazionali.
Esso era stato creato dal capitano George T. Balch, veterano della Guerra Civile e “professore di patriottismo” (un equivalente della “Mistica Fascista”) nelle scuole di New York City , sotto lo slogan” one country; one language; one flag!”( il corrispettivo di “ein Reich, ein Volk, ein Fuehrer”)“, per impulso delle DAR (Daughters of the American Revolution),e dei GAR (Grand Army of the Republic) (quello che sono oggi i “Proud Boys”).
Il saluto fu perfezionato da Francis Bellamy, un battista e socialista cristiano, nel 1892.
Il Pledge of Allegiance ( Giuramento alla Bandiera ), da pronunziare contemporaneamente al Bellamy Salute, fu pubblicato su “The Youth’s Companion”, nell’ ambito delle celebrazioni del 400° anniversario del Columbus Day; “I pledge allegiance to my Flag and the Republic for which it stands, one nation, indivisible, with liberty and justice for all,” Il 12 Ottobre 1892 cominciò ad essere recitato nelle scuole, come accade ancor oggi.
Il Balch Salute adottato nel 1887 consisteva nel tendere il braccio destro verso la bandiera, poi piegarlo verso la fronte, e infine posarlo sul cuore. Il successivo Bellamy Salute comprendeva solo il primo movimento (come il “Saluto Romano”). Dal 1942, fu sostituito dalla mano sul cuore, per distinguerlo dal saluto nazista
L’uso del saluto da parte di Musk e di Bannon è deliberatamente provocatorio, costituendo esso un invito all’estrema destra in Europa, dove il gesto è vietato, ad unirsi alla loro iniziativa MEGA, d’altra parte in sé contraddittoria, perché tanto la Germania nazista, quanto l’Italia Fascista, durante la Seconda Guerra Mondiale avevano coerentemente dichiarato guerra agli Stati Uniti, rientranti fra “le potenze plutocratiche e reazionarie dell’ Occidente”. Inversamente provocatoria Maria Zakharova che canta “Bella Ciao” alla televisione russa.
E’ il momento di affrontare un dibattito a tutto tondo sulle radici all’ interno delle destre europee, che non si riduca alle solite logore e strumentali diatribe sul nazifascismo e sui migranti.
Per esempio, Massimo Giannini, su “La Repubblica” si sofferma sul relativo mistero dell’ ideologia di Musk, lasciando intendere che, a suo parere, si tratta solo di dare un nuovo volto al fascismo. Invece, dimentica che tutte le idee espresse da Musk si ritrovano proprio in un preciso movimento storico, apparentemente diversissimo : il cosmismo russo (per Trockij, “la religione del proletariato”), con la sua fissazione per i voli spaziali, per Marte e il Pianeta Rosso effigiato infinite volte dal comunismo internazionale come una Stella Rossa (dal romanzo “Il Pianeta Rosso” di Bogdanov).
E’ quello l’ideale teo-tecnocratico verso cui convergono tutti i totalitarismi moderni e post-moderni.

Nietzsche: tutta la vita è una battaglia per i gusti

3.»De gustibus est disputandum »
Nella generale confusione culturale generata dai movimenti MAGA e MEGA, si è scatenata una caccia alle streghe priva di spessore culturale, in cui tutto viene reclutato maldestramente per sostenere le tesi dell’uno o dell’ altro dei contendenti.
Prendiamo il Bauhaus, imprudentemente richiamato da Ursula von Der Leyen quale memoria sacra dei “Valori dell’Europa”, tanto da battezzarvi una delle infinite campagne dell’Unione a cui non ha fatto seguito alcun interesse, né da parte degli architetti, né da parte dei cittadini.
Adesso, l’AfD, al potere in Sassonia-Anhalt, ha condannato il Bauhaus (nato in quel Land), quale simbolo delle aberrazioni del Modernismo. Modernismo che aveva fra i suoi fondatori i Futuristi italiani e Russi, poeti americani come Eliot e Pound, e le stesse sempre deplorate architetture piacentiniana e brutalista. Un’arte strettamente legata alla società (e ai totalitarismi) del ‘900, tra cui, il funzionalismo capitalistico (vedi fabbrica del Lingotto a Torino), il costruttivismo bolscevico (il famoso grattacielo della nomenklatura sulla riva della Moscova), l’edilizia monumentale fascista (la Casa del Fascio di Como, l’EUR), e perfino il Ponte Morandi e i campi di concentramento…
Come si fa ad arruolare un movimento così trasversale sotto questa o quella bandiera? Non casualmenteBarbara Carnevali finisce il suo articolo su La Stampa con un’indiretta citazione di Nietzsche : “come sarebbe che ‘de gustibus non est disputandum’, se tutta la vita non è che una lotta per i gusti!”
E, siccome i gusti sono molteplici, Nietzsche, con la sua prematura pazzia, ci ha lasciato da risolvere un bel rebus!

L’insegna araldica dei Von Der Leyen


4.L’Autonomia Strategica Europea
La questione ucraina sta facendo tornare di attualità anche il dibattito sulla difesa europea, che si trascina da 80 anni senza avere fatto, dai tempi della CED(1954), il seppur minimo passo in avanti, e forse non li può fare neppur oggi, a meno che l’Europa non subisca una drastica trasformazione esistenziale. Il punto è che le attività militari possiedono il requisito dell’ unità di comando, che poteva essere facilmente delegata in passato (come quando perfino gli Ateniesi delegarono allo spartano Leonida il comando delle operazioni contro la Persia), ma non oggi, quando la “guerra senza limiti” (culturale, digitale, nucleare, ibrida, tecnologica, economica..) richiede un grado di rapidità, imprevedibilità e di riservatezza, che mal si conciliano, tanto con una gestione collettiva, quanto con una dipendenza dall’esterno.
Tant’è vero che i due casi effettivamente verificatisi nella storia di un esercito europeo (ambedue, si noti, orientati contro la Russia): l’armata napoleonica e l’Operazione Barbarossa, avevano, nella potenza egemone, un comando comune, che qui non si intravvede (a meno di non riaffidarlo all’ America, che è proprio quel che tutti dicono oggi di voler evitare).
Inoltre, l’enorme distanza fra il livello quantitativo, ma soprattutto qualitativo, degli eserciti europei (in particolare, quelli francese e inglese) e quelli delle Grandi Potenze (in termini di intelligence, IA, arma spaziale, missili ipersonici..), fa sì che la deterrenza europea, per quanto possa essere coordinata, non potrà divenire paragonabile a quella americana. Ma poi, quale solidità avrebbe una garanzia congiunta franco-inglese dipendente da accordi contrattuali o momentanei, quando nessuno si fida più neppure della garanzia apparentemente solida fornita dall’ Art. 5 del Trattato NATO e delle centinaia di basi americane?
Il che è un peccato, perché, come dimostrato recentissimamente dall’ ultima analisi dell’ OCPI, diretta dal Professor Cottarelli, la spesa annua complessiva dell’ Europa è superiore del 58% a quella della Russia, sicché ci si chiede perché mai ci sia bisogno dell’ America.
Infine, come dimostrato dalla drammatica notte del 1983 in cui il Maggiore Popov bloccò la risposta nucleare automatica del sistema “OKO”, molte decisioni, in una guerra contemporanea, hanno un carattere esistenziale, che richiede la preesistenza di una solida cultura ed etica degli ufficiali, che oggi in Europa non esiste perché non esistono, né un’élite culturale europea, né un sistema di formazione specifico all’ Esercito Europeo. Purtroppo, gli ufficiali europei, formati alla scuola americana, pensano e parlano come i loro colleghi USA. Non si capisce come possano essere in grado di ideare ed attuare (come si dice) strategie di indipendenza dagli USA, o, addirittura, combattere contro gli USA, come potrebbe rivelarsi necessario per la difesa della Groenlandia.

Paneuropa, il vero inizio del federalismo mondiale


5.La Bomba Europea
Perciò, occorre qui innanzitutto richiamare alla mente i tentativi più recenti di difesa comune, e, in particolare, il progetto per realizzare la “bomba europea”.
La Francia voleva realizzare la sua atomica (cosa che effettivamente poi fece), e vennero coinvolte nell’iniziativa anche le Germania e Italia. In sette diverse occasioni – nelle cosiddette “riunioni del caminetto” – si ritrovano i tre ministri della difesa: il francese Jacques Chaban-Delmas, il tedesco Franz Joseph Strauss e l’italiano Paolo Emilio Taviani. Italia e Germania, potenze sconfitte, non avrebbero potuto dotarsi dell’arma atomica, ma, dopo due anni di discussioni, fu elaborato un progetto che avrebbe dovuto essere finanziato al 45% dalla Francia, al 45% della Germania e per il restante 10% dall’Italia. Il primo impianto per la realizzazione dell’atomica si sarebbe realizzato a Pierrelatte, in Francia. Ma, alla fine del 1958, il progetto, così come era nato improvvisamente, era tramontato.
Tre sono i fattori che ne determinano la fine. Non c’era una struttura di comando e controllo ben definita. Non si sapeva chi avrebbe avuto “le chiavi”. Il secondo era che il generale Charles De Gaulle, non appena diventato presidente, aveva iniziato a coltivare l’idea (poi realizzata) di allestire un arsenale interamente francese:la force de frappe “tous azimuts” (cioè anche contro gli Stati Uniti).
Il terzo motivo è l’opposizione manifestata da questi ultimi. Misteriosamente, in capo a pochi anni, Enrico Mattei viene ucciso da una bomba posta nel suo aereo, il leader del progetto nucleare civile italiano, Felice Ippolito, e il mentore della ricerca farmaceutica di punta, Domenico Marotta, vengono arrestati con accuse che molti ritengono vistosamente esagerate se non del tutto infondate, e infine la morte in un incedente stradale dell’ingegnere Mario Tchou, il capo del Dipartimento Elettronica dell’Olivetti di Ivrea che aveva realizzato il primo computer elettronico a transistor al mondo.
A questo punto, si capisce bene perché nessuno abbia più voluto occuparsi dell’ Autonomia Strategica Europea.


La morte di Tchou: l’inizio della fine per l’autonomia digitale europea


6.I requisiti minimi

r tutto quanto precede, nella situazione presente, la Difesa Europea potrebbe essere usata al massimo quale (seppure poco credibile) argomento per influenzare gli USA, ma non certo per sconfiggere la Russia. Come Zelenskij, gli Europei “non hanno le carte” per trattare (come dice Trump). Ciò non significa affatto che non si debba procedere per quanto possibile fin da ora a tutto quanto potrà servire un giorno (cambiato lo scenario) per una difesa dell’ Europa indipendente dall’ America
Per questo, bene ha fatto il Movimento Europeo in Italia a proporre 7 domande sulla politica estera e di difesa, come avvio di un dibattito. Tentiamo qui di rispondere ad alcune di esse:
“si tratta di fondare un esercito unico nonostante le differenze linguistiche con una organizzazione sovranazionale nel quadro di una sovranità condivisa e una rinuncia alle apparenti autonomie nazionali o mantenere gli eserciti nazionali con l’eccezione di limitate strutture comuni?”
Si possono affiancare contingenti europei e contingenti nazionali. La lingua non può essere l’Inglese. 0ccorre risolvere la Questione della Lingua, spinosa ovunque (prendiamo per esempio l’Hindi)
“gli uomini e le donne chiamati a svolgere un servizio militare avranno una educazione politica-militare europea o nazionale qualunque sia la scelta fra un unico esercito o più eserciti nazionali?”Ci vuole un’ Accademia Federale Europea, un’ Accademia Militare Europea e un’ Accademia Militare Europea (vedi infra)
“sarà costituita preventivamente o parallelamente una autorità politica sovranazionale agli ordini della quale la forza armata europea o le forze armate nazionali dovranno rispondere oppure gli Stati membri conserveranno il potere di constatare le aggressioni ad uno degli Stati membri, di ordinare la mobilitazione, di dichiarare la guerra o di fare la pace?”Oggi, tutte queste cose non si fanno più. Tutto è gestito informalmente dai Comandanti Supremi, che compiono infine Operazioni Militari Speciali.
Aggiungiamo alcune proposte squisitamente nostre:
a)l’”Unione del Civile e del Militare” (sul modello cinese), nei campi della cultura, della formazione, della ricerca, dell’ IA e dell’industria;
b)la creazione con fondi pubblici europei di imprese digitali europee comparabili Alphabet, Apple, Microsoft, Palantir, PayPal, TikTok, Meta, Tesla, Tencent, Baidu, Alibaba;
c) uno Stato Maggiore Europeo, con sue capacità di strategia e di pianificazione indipendenti dalla NATO;
d)servizi di intelligence europei;
e)un’arma missilistica, digitale, nucleare e spaziale, europea, con armi comparabili ai più recenti missili ipersonici russi, come il Kinzhal, il Sarmat e l’Oreshnik;
f)truppe europee di pronto intervento (come i Navy Seals, gli Spetsnazy e la Legione Straniera) da affiancarsi a contingenti nazionali.
Ma, più in fondo ancora, occorrerebbe liberarsi dal “pensiero unico” in cui siamo stati educati, un puzzle artificiale di tecnocrazia, di Selbsthass, di irrealismo, ipocrisia e utopismo, costruito artificialmente per giustificare l’innaturale egemonia dell’ America sull’ Europa, e per costringerci a combattere contro la Russia, che è europea come noi, per difendere gl’interessi e i valori dell’America, espressi, ieri, da Biden, Blinken e la Nuland, e, oggi, da Trump, Musk e Bannon.
Addirittura, occorre ritornare aipotizzare, con Gorbaciov, che l’unico pensabile “Federatore Esterno”(de Gaulle) di un’Automia Strategica Europea è proprio la Russia, nell’ ambito della vecchia “Casa Comune Europea”. Quindi, non un avversario, bensì un partner (come del resto lo è per Trump). Ma non è che non lo si pensi, ché altrimenti non vi sarebbe in giro tutta quest’isteria antirussa; solo, ci si vieta di dirlo. Però, il fatto stesso che Trump abbia accettato di discutere sulla proposta di Putin, che ha sempre incluso nel suo “pacchetto” una nuova architettura della sicurezza europea, lascia presagire che qualcosa di quel genere affiorerà ben presto.
Di questo si sta già discutendo fra Trump, Putin e Ji Xinping, in particolare sotto le voci “Architettura comune di difesa” e “Regolamentazione Internazionale dell’ IA”. Ed è lì che siamo veramente esclusi, mentre non dovremmo.


7.La dinastia dei Von der Leyen
Con l’articolo dell’ultimo numero di Politico (“Ursula von der Leyen tightens her grip on power”), la testata euro-americana ci informa che , silenziosamente, la Presidente della Commissione sta portando avanti quello stesso processo di centralizzazione che, in America, sta realizzando Trump, in Europa Orbàn e Fico, e altrove Erdogan, Modi, Putin e Xi Jinping. Questo trend ha portato al conflitto con il commissario Breton, costretto a dimettersi per avere pubblicato una lettera di diffida a Elon Musk senza previa concertazione con von der Leyen.
La realtà è che, in un mondo dominato dal conflitto di tutti contro tutti e dall’ economia di guerra, al vertice dello Stato ci vuole, in pratica, un leader militare, possibilmente inamovibile, come stabiliscono d’altra parte molte costituzioni. La stessa idea di Macron di rafforzare enormemente l’esercito per proporre la Francia come sostituto degli Stati Uniti parte dall’aspirazione a proporre se stesso quale capo militare degli Europei, forte della bomba atomica, dei caccia e della Legione Straniera.
D’altra parte, il personaggio “Ursula” rientra nell’idea della personalizzazione e rafforzamento del potere, anche grazie all’ “appropriazione culturale” del nome di un’antica e prestigiosa casata aristocratica.
Il ramo dei von der Leyen a cui appartiene il marito di Ursula, Heyko, di religione mennonita, discende dal mercante Peter von der Leyen, attestato nel 1579 in Westfalia, dove esiste un quartiere chiamato Leye. La nobilitazione della casata fu realizzata durante l’occupazione napoleonica. Un’altra famiglia Von der Leyen, di origine carattere cavalleresca, era esistita i fin dall’Alto Medioevo nel principato ecclesiastico di Treviri.
Nel 1828 , gli operai dei von der Leyen si ribellarono ad una riduzione di stipendio; questa era stata ricordata da Carlo Marx, anch’egli renano, come la prima insurrezione operaia nella storia tedesca.
Il trend “imperiale” della von der Leyen potrebbe per altro essere rallentato nel caso di un governo Merz in Germania, perché Merz mal sopporterebbe la preminenza della von der Leyen (come anche

UN'”EUROPA VIVENTE?” Forse qualcosa si muove

I simboli dell’ Europa nel tempo

Nel post precedente, prendevo atto con soddisfazione del fatto che l’establishment fosse oramai obbligato a riflettere sulle questioni centrali per il nostro momento storico. Oggi, noto anche con piacere che vengono pubblicate sempre nuove opere che, seppure in modo a mio avviso non sufficientemente radicale, mettono in discussione le Retoriche dell’ Idea d’Europa,  su  questioni centrali come quelle dell’ identità, dei simboli, delle passioni, dell’ autonomia.

L’ Europa ha tanti altri simboli ed eroi, che non sono solo la bandiera con le dodici stelle, l’Inno alla Gioia , Spinelli, Monnet, Schuman…Come tutti i Paesi con una storia millenaria, essa ha memorie sue specifiche che risalgono alla preistoria, al mondo classico, al Cristianesimo e alla Modernità, e simboli che si proiettano nella Post-modernità. L’Unione Europea, con i suoi simboli e i suoi avatar, non è se non una fra le infinite tappe della sua storia, e, speriamo, non sarà l’ultima.

Non per nulla gli autori più prolifici sul tema dell’identità europea sono oggi i coniugi Assmann (Jan e Aleida), cultori della “memoria culturale”. Questa memoria culturale non può certamente essere inventata “à la carte” (come invece hanno fatto tutti, ma proprio tutti, a partire da Coudenhove-Kalergi per continuare con Dawson, passando per De Rougemont e continuando con Duroselle…). Occorre invece seguire tutti i filoni della storia culturale europea, certo tentando una sintesi e stabilendo paragoni con gli altri continenti.

Passiamo rapidamente in rassegna le iniziative più significative.

 

Le grandi cuture del’ Epoca Assiale: i politeismi occidentali,  lo Zoroastrismo, il San Jiao

  1. Jan e Aleida Assmann:memoria culturale e Europa

Partiamo dunque dai più recenti libri degli Assmann, “Achsenzeit”, di Jan, e “Der europaeische Traum”, di Aleida (premio per la pace dei librai tedeschi per il 2018).

Nell’introduzione al mio primo volume della trilogia “10.000 anni d’identità europea”, dichiaravo d’ ispirarmi espressamente all’approccio della “memoria culturale” degli Assmann, vale a dire di non guardare alla storia, né come a una semplice sequenza di eventi, né come alla realizzazione di un disegno, bensì come ad un insieme di fenomeni di difficile interpretazione, da spiegarsi per quanto possibile attraverso un’opera di confronto e di riflessione. In quest’ottica, essa, lungi dal venire piegata alle esigenze propagandistiche delle forze via via dominanti, serve per ricostruire la logica nascosta dei comportamenti sociali, e, in particolare, l’origine, il divenire e la progettualità dei soggetti collettivi.

Jan Assmann, partendo dall’idea di Jaspers dell’“Epoca Assiale” e da quella spengleriana sull’ indipendenza delle varie storie, ma anche da quella di Toynbee del loro parallelismo, giunge a definire ciò che distingue la memoria culturale mondiale da quelle specifiche dei singoli Continenti. Aleida si concentra sulla memoria culturale dell’Unione Europea.

Con “Achsenzeit”, Jan Assmann svolge ora uno studio filologico degli autori che si sono dedicati a sviluppare l’idea di un’“Epoca Assiale”, costituendo così le basi di questa conoscenza delle identità collettive. Con “Der europaeische Traum”, Aleida spiega l’attuale, crescente, divergenza politica fra la parte orientale e quella occidentale del nostro Continente con il diverso modo che esse hanno di rapportarsi all’eredità storica della IIa Guerra Mondiale.

In ambo i casi, una riflessione profonda e stimolante su quelli che sono temi centrali per il dibattito politico e culturale oggi in Europa.

 

2.Ulrike Guérot: la Repubblica Europea e  la nuova Guerra Civile

Quando, in tempi non sospetti, affermavo che all’Europa mancavano l’entusiasmo e la passione, venivo preso per un esaltato. Eppure, ciò che l’establishment cerca oggi disperatamente di recuperare per arginare l’euroscetticismo è propri questo: l’entusiasmo, la passione. Ma, per poter fare questo, non basta proclamarlo, né imitare, in modi spesso ridicoli, concorrenti, avversari o soggetti esotici, che una passione invece ce l’hanno (per esempio, portando la mano al cuore come nel “Balch Salute” americano, ma ignorando che il “Balch Salute” è stato l’avvio del saluto romano).

Per avere dell’entusiasmo, bisogna essere vivi, educati alla vita e non al meccanicistico vegetare di oggi. Bisogna avere cultura, e ricordarci le glorie europee del passato: i Greci e i Troiani; l’Odissea e l’Orestea; le Odi e il Carmen Saeculare; i Carmina Burana e Mozart; Napoleone e Beethoven; Baudelaire e St. Exupéry; Kieslowki e Tarkovskij….Ricordiamo (con tutti i limiti del caso) l’entusiasmo di cui i popoli erano stati capaci nel XX° secolo anche per cause che oggi giudichiamo non commendevoli…

Ciò premesso, tanto di cappello a Ulrike Guérot, che, a essere entusiasta, ci prova ancora, nonostante tutto, con la sua “Repubblica Europea”, che vuole ricostruire l’”estetica politica” dell’Europa. Tema che ha illustri precedenti, da Romain Rolland a Coudenhove-Kalergi, ma che  ha trovato pochi e deboli seguaci (vedi, per tutti, Luisa Passerini, Il Mito d’ Europa). I nostri “50 anni d’Europa, immagini e riflessioni” di Jean-Pierre Malivoir, pubblicato da Alpina nel 2007, avevano voluto costituire un esempio di questa “estetizzazione della politica europea”.

Altra provocazione (che, per altro, giudico salutare): quella della “nuova guerra civile” che dovrebbe scuotere le certezza consolidate sull’ Europa, usando i populisti come una sorta di ariete per distruggere gli Stati Nazionali, veri nemici dell’ Europa (la “Nuova Guerra Civile”). La “Repubblica Europea” a cui pensa Ulrike Guérot risale all’anarchismo proudhoniano, all’austromarxismo di Bruno Bauer, agli “anticonformistes des Années Trente”, al Federalismo Integrale di Alexandre Marc e alla Carta delle Minoranze di Maribor.  Certamente, avrebbe il vantaggio di distruggere le false identità degli attuali Stati Membri, dietro le quali si cela solamente la volontà di potenza delle burocrazie nazionali, che costituiscono il maggiore ostacolo alla creazione di un’Identità Europea. Tuttavia, le Regioni autonome europee sarebbero troppo numerose (da 150 a 200) per poter essere vitali, e senz’altro darebbero vita, per reazione a uno Stato europeo molto centralizzato, conseguenza a cui Ulrike Guérot sembra non pensare. Inoltre, non sono delineate le strategie, né per il rafforzamento dello Stato europeo, né delle identità regionali (cosa per altro non impossibile)

Ovviamente, già solo queste due parole d’ordine, “Repubblica Europea” e “Nuova Guerra Civile” hanno fatto gridare allo scandalo da parte di molti, cosicché non vi è stata una grande copertura di stampa per le iniziative di Ulrike Guérot. Iniziative che non si esauriscono in quest’attività editoriale, ma comprendono anche iniziative di mobilitazione pubblica, come Eutopia, Europe Balcony e la proclamazione della Repubblica Europea.

Jean-Claude Juncker e Angela MerkelFine corsa per la mentalità eurocratica

  1. Robert Menasse e “la capitale”.

Buona parte delle sue iniziative, Ulrike Guérot le ha condivise con Robert Menasse, Premio dei Librai Tedeschi ma nel 2017.

Anch’egli ha compiuto un gesto iconoclastico con la sua “Capitale”, tradotto anche in Italiano, dedicato all’ambiente degli Eurocrati.

Debbo dire che, avendo io stesso fatto parte di questo ceto, ed avendo volontariamente deciso di uscirne  35 anni fa, sono rimasto abbastanza stupito dal quadro che ne risulta. Non tanto dal quadro politico e professionale, quanto, invece, dal quadro umano. Probabilmente a causa dei decenni trascorsi, che hanno deteriorato proifondamente il tessuto sociale ed etico dell’ intera società europea.

Mentre la Bruxelles e la Lussemburgo a cui appartenevo erano caratterizzate soprattutto dalla loro vivacissima vita sociale e culturale, in cui spiccava in particolar modo la vita familiare, i funzionari descritti da Menasse sono individui soli, senza famiglia ma anche senza amici, che si trascinano fra l’ufficio e squallidi di appartamenti d’affitto, dove i loro principali interlocutori sono, a parte, ovviamente, i colleghi, le segretarie e le donne di servizio. Non vi è, in essi, un minimo d’interesse per le grandi questioni alla cui soluzione sono chiamati a collaborare, nelle quali essi s’impegnano solo nella misura in cui esse siano funzionali alle loro personali strategie burocratiche.

Questa critica è particolarmente spietata là dove essa si rivolge all’attività della Direzione Generale “Cultura” della Commissione, di cui si mette in satira soprattutto la scarsa attenzione ch’essa riesce ad ottenere da parte delle Istituzioni in generale. L’occasione intorno a cui ruota la storia, la commemorazione dei 50 anni di vita della Commissione, e, in particolare, il tentativo di incentrarla intorno alla memoria della Shoah, dà il destro per mettere in luce una mancanza di fantasia, d’informazione, di concordia e di decisione, che frustra qualsivoglia iniziativa che si discosti dal solito “tran-tran”.

Un quadro sconsolato, che ben giustifica i propositi barricadieri della Guérot.

Come ben sa chi ha lavorato nelle Istituzioni, la colpa non è certo dei funzionari, che normalmente sono diligenti, motivati e con una grande cultura, e riescono in 30.000 a compiere un lavoro che, negli Stati membri, viene svolto da milioni di funzionari, quanto del personale politico che dirige ciascuna Istituzione e che, provenendo dalla politica nazionale, dove non ha, normalmente, acquisito una grande familiarità con le questioni europee, ha però il diritto d’ impartire ordini, spesso incomprensibili, a funzionari che hanno dedicato, all’ Europa, tutta la vita.

In pratica, affinché l’integrazione europea possa continuare, occorre, come suggeriscono Guérot e Menasse, che tutto ciò cambi.

 

Arianespace: l’unico orgoglio dell’ Europa

4.Mercedes Bresso : un’Europa forte e sovrana, con coraggio e passione.

L’agile e.book di Mercedes Bresso fa tesoro di questo nuovo clima anticonformistico. Senza soffermarsi anacronisticamente sui presunti meriti di quest’ Unione Europea, si concentra su alcuni aspetti che, non solo condivido, ma che hanno costituito addirittura il leitmotiv di questi miei  ultimi dodici anni di vita e di attività:

-la centralità acquisita dalla questione europea in tutti i dibattiti, a tutti i livelli, a cui fa riscontro, paradossalmente, un’ignoranza generalizzata sull’ Europa;

-la necessità di una nuova narrativa, contro un discorso politico fondato solo su slogan che si alimentano dell’obsoleta dialettica destra-sinistra, e che parta  dalla constatazione dell’obsolescenza delle vecchie ideologie politiche;

-la constatazione che l’Europa è, per la Presidenza americana, un nemico perché potenzialmente concorrente, il che porta alla necessità di difenderci da soli -militarmente ed economicamente- dal resto del mondo che si sta appropriando dei nostri dati e del nostro gettito fiscale,e innanzitutto con la creazione di piattaforme digitali europee, tanto per difenderci dai giganti dell’economia digitale, quanto per creare lavoro.

 

Festeggiare i Santi Protettori dell’ Europa

  1. L’ appello di Prodi a esporre la bandiera europea il 21 marzo

A questo stesso spirito si riallaccia l’appello di Romano Prodi per l’esposizione della bandiera europea il 21 maggio. Proposta che per altro è stata poco propagandata e poco spiegata, anche perché non è chiaro che cosa si celebri il 21 marzo.

Ci riserviamo poi di approfondire il significato mitoòlogico e storico tanto della data del 21 marzo, quanto della bandiera dalle 12 stelle.

Per intanto, pubblichiamo qui di seguito l’appello di Romano Prodi:

“C’è molto in gioco nelle prossime elezioni europee, alle quali troppi cittadini si avvicinano con un senso di smarrimento e di frustrazione, dimenticando la nostra storia e, insieme ad essa, i contributi che, se camminiamo insieme, possiamo dare per affrontare i problemi di oggi e per riaccendere le speranze per il domani del nostro pianeta così affaticato.

Nel passato l’Europa ha affrontato, attraverso drammi e conflitti, tutti i grandi scontri che insanguinano e dividono il mondo d’oggi, trovando le mediazioni e preparando i passi in avanti che più hanno fatto progredire la nostra tribolata umanità. Ci sorprendiamo delle lotte religiose fra sciiti e sunniti che oggi infiammano il mondo islamico e non pensiamo alla faticosa convivenza che i Paesi europei hanno raggiunto dopo secoli di lotte religiose fra i cristiani. Non ripensiamo al nostro faticoso cammino verso la democrazia intervallato dalle esperienze dittatoriali e dalle guerre che hanno devastato il nostro continente per tutto il secolo scorso, ma alle quali l’Unione Europea ha potuto fare seguire il più lungo intervallo di pace mai esistito nella storia. Senza dimenticare il benessere che abbiamo potuto raggiungere costruendo (caso unico nella storia) un mercato comune che ha unito tra di loro Paesi ripetutamente devastati da guerre commerciali e dalle barriere al libero movimento di uomini e di beni.

Nella frustrazione nella quale siamo immersi dimentichiamo persino la fatica con cui abbiamo costruito lo stato sociale che, pur con i suoi limiti e le sue imperfezioni, resta la più grande conquista della politica mondiale e non riesce ad essere riprodotto nella sua universalità perfino nel più ricco Paese del mondo e non sembra essere un obiettivo prioritario nemmeno per la Cina, astro nascente della politica mondiale.

Sappiamo benissimo che, di fronte alla potenza americana e all’ascesa cinese nessuno Stato europeo potrà da solo conservare quanto è stato conquistato in passato: eppure ci stiamo illudendo che il ritorno alle frontiere nazionali possa essere la soluzione dei problemi e il superamento degli ostacoli che rendono faticoso il progresso del cammino europeo. Facciamo finta di ignorare che i grandi cambiamenti o vengono imposti con le armi o esigono tempo e fatica. Eppure, invece di dedicarci a preparare il futuro, lottiamo per dividerci il presente, pur sapendo che anche il presente non potrà essere conservato se non rafforzando la nostra unità.

Se siamo incapaci di interpretare il ruolo che l’Europa unita può giocare nel mondo, una grande responsabilità grava certamente anche sui responsabili dei governi e dei partiti che più si dichiarano europeisti. I governi hanno sistematicamente anteposto gli interessi elettorali di breve periodo alla politica di coesione necessaria ad assicurare all’Europa il ruolo di protagonista nell’economia e nella politica mondiale.

I secondi hanno regolarmente usato le elezioni europee per garantire un posto ai perdenti delle elezioni nazionali, contribuendo quindi anch’essi a sminuire il ruolo delle istituzioni comunitarie che, dopo avere fatto grandi cose in passato, si sono ridotte a giocare un ruolo sempre minore, senza più avere la forza e il coraggio di affrontare i grandi temi oggi sul tavolo: dalle regole della globalizzazione alle migrazioni, dalle disuguaglianze economiche alle conseguenze delle nuove tecnologie.

Tutti questi limiti, uniti alla sciagurata gestione della lunga crisi economica, hanno allontanato il nostro cuore dalla grandezza e dalla necessità della missione europea. Noi tutti comprendiamo che non vi è alternativa al destino comune: il nostro cervello ci fa capire che le nostre energie si indeboliscono ogni giorno di fronte a superpotenze sempre più forti ma il cervello non basta. Credo proprio (e vi prego di perdonare questa per me inusuale espressione retorica) che occorra qualcosa che riscaldi il cuore e che ci faccia anche visibilmente capire che l’Unione Europea è il nostro destino e non l’oggetto di piccoli disegni politici.

Mi piacerebbe quindi che il 21 marzo noi tutti, nel nostro e negli altri Paesi dell’Unione, esponessimo dalle nostre finestre e sventolassimo nelle nostre strade e nelle nostre piazze milioni e milioni di bandiere europee. Penso al 21 marzo perché quel giorno deve simbolicamente richiamare il primo giorno della primavera europea e perché ci ricorda San Benedetto, che non solo è il patrono d’Europa ma che, nel secolo più buio del disfacimento dell’impero romano, ha fatto appello ai nostri valori comuni per ricostruire l’anima e la stessa economia dell’Europa di allora.
Per scaldare i nostri cuori abbiamo anche bisogno di simboli: la bandiera è il simbolo più comprensibile e immediato che noi possediamo.

Non è un compito facile perché anche la bandiera deve essere fabbricata, distribuita da mille e mille associazioni, accolta da milioni e milioni di persone (#uneuropapernoi) e spiegata a tutti nel suo significato etico, politico, economico e sociale. Non sarà questo un gesto rivoluzionario ma sarà certo utile per capire quanto la scelta o il rifiuto dell’Europa saranno decisivi per il nostro destino futuro. E quindi quanto saranno importanti le prossime elezioni europee.”

Un’Europa senza preconcetti, tutta da farsi

5.Preparare la Festa dell’ Europa

A me, tutto questo riemergere del simbolico, dell’estetico, del passionale, non può fare altro che piacere.Ciò che è fondamentale, però, è che, dietro ai simboli, vi sia anche della sostanza. Non si può, infatti, confondere, né la ragione, né la passione, con il semplice buon senso, né , peggio ancora, con il velleitarismo.

Oggi, questa sostanza resta tutta da costruire, perché le seppur giuste idee di Dante e di Podiebrad, di Sully e di Saint Pierre, di Coudenhove-Kalergi e di Spinelli, hanno, come minimo, 80 anni. Nel frattempo ci sono stati la Shoah e Hiroshima, l’Impero Sovietico e la Perestrojka, l’informatica e la Nuova Via della Seta, la religione di Internet e l’America First di Trump. L’umanità di oggi non ha più nulla a che vedere con quella del 1941: figuriamoci l’Europa! Ma nessuno ha potuto, saputo o voluto, dire nulla di nuovo. E tutti si ostinano a voler riproporre le idee che hanno clamorosamente fallito: quella di un progresso illimitato, al contempo materiale e spirituale; quella della “vox populi vox Dei”; quella del ruolo salvatore dell’ Occidente; quella dell’estinzione degli Stati; quella dell’ informatica quale regno della libertà….

Dire che si tratta di un compito trasversale è dire poco. Contrariamente a quanto l’establishment, pro domo sua, ha voluto farci credere, qui non c’è nulla di solido su cui costruire: occorre costruire ex novo delle realtà che, a oggi, non ci sono:

-una filosofia che si distingua da quelle “occidentali”. Fino a qualche anno fa, c’erano almeno i “filosofi continentali”, contrapposti a quelli “analitici”anglosassoni, ma, dopo, ci si è dispersi, addirittura, fra una “French theory”(Francois Cusset) e un’”Italian Theory”(Roberto Esposito), ambedue molto vaghe e deboli;

-una teologia europea che non scimmiotti, né la Teologia della Liberazione, né il puritanesimo, né il Silenzio del Buddha di Panikkar.  Papa Francesco aveva incitato, a Strasburgo, le Chiese nazionali a svolgere questo compito, ma non pare che nessuno abbia raccolto, fino ad ora, questa sfida;

-una classe dirigente europea, non divisa da campanilismi populistici o vetero-ideologici, bensì accomunata dalla sua cultura “alta”, trasversale e interlinguistica. Infatti, la sedicente “élite” si è oramai sgretolata e non è stata capace di proporre un’alternativa credibile al populismo (cfr. Baricco, Orsina, Mauro…);

-un movimento europeo forte, che si faccia carico dell’”unità di comando politica” nonostante, e attraverso, le infinite autonomie territoriali e sociali: quello che doveva essere il Congresso del Popolo Europeo di Spinelli;

-un nucleo duro iniziale d’ informatica europea, capace di padroneggiare innanzitutto gli aspetti culturali e antropologici della rivoluzione digitale, prima ancora di quelli tecnologici, finanziari, militari, imprenditoriali, di intelligence, sociali e commerciali: quello che avrebbero dovuto fae la Olivetti e il Minitel, ambedue misteriosamente stroncati quando invece l’informatica stava decollando in America e in Cina. Come scrive, su “la Stampa”, Marta Dassù, “senza investire risorse più rilevanti nelle tecnologie dell’intelligenza artificiale e senza creare una capacità industriale high tech in grado di competere realmente sul piano globale, il Vecchio Continente resterà schiacciato dalla competizione fra Stati Uniti e Cina”.

Per questo, pur prendendo atto dell’ottima idea di Prodi, proponiamo di attuarla in modo più ponderato e integrale, soprattutto in connessione con il Salone del Libro di Torino, il quale quest’anno, per una fortunata coincidenza, inizierà il 9 maggio, Festa dell’Europa, e sarà aperto da una lectio magistralis sull’ Europa di Antonio Savater.

Vorrei ricordare che Alpina e Diàlexis sono state le due uniche entità che a Torino abbiano organizzato sistematicamente la Festa dell’ Europa negli ultimi 12 anni. Questo la dice lunga su quanto a tanti sedicenti europeisti, che sono sempre intenti a fare discorsi e a tagliare nastri,  interessi veramente l’ Europa.

Intorno a quelle scadenze, stiamo organizzando, come tutti gli anni e più ancora degli altri anni, la celebrazione del 9 maggio, anche con “cantieri” di lunga durata (“Baustellen Europas”), e, intanto, un momento di riflessione sul significato, tanto del 21 marzo, quanto della bandiera con 12 stelle.

Speriamo che queste attività non rimangano fini a se stesse, ma, al contrario, assumano (almeno nella forma di “Baustellen Europas”), un carattere permanente.