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“CRESCITA 0”, l’ultima occasione per ripensare la nostra cultura economica

 

I        media,e l’establishment in generale. continuano a sparare a zero sul “populismo”, colpevole, certamente, di una “grande semplificazione”. Tuttavia, questa semplificazione dei populisti è semplicemente lo stadio terminale di una semplificazione interminabile, che prosegue oramai da secoli, allontanando sempre più le stesse classi dirigenti dalla comprensione delle realtà economiche e sociali,e allineandole sui luoghi comuni che circolano fra gl’incolti, secondo un trend che gli autori classici avrebbero definito “verso l’oclocrazia”.

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1.Le “grandi narrazioni”

Siamo passati infatti dal materialismo volgare dell’illuminismo radicale, all’utilitarismo di Bentham, al “materialismo dialettico” di Engels, alla teoria dello sviluppo di Rostow, e, giù giù, attraverso il “deficit spending” keynesiano, la “decrescita felice” di Latouche, le “riforme” condivise da tutti e mai realizzate…La falsa alternativa fra liberismo e keynesismo ha paralizzato il dibattito politico ed economico degli ultimi 70 anni, non permettendo a nessuno di vedere la realtà vera delle società contemporanee, con la sopravvivenza di elementi feudali e schiavistici, la permanenza della guerra, uscita dalle trincee mitteleuropeee e dalle città bombardate, per spostarsi verso Hiroshima e Nagasaki, la Grecia, i Carpazi, la Corea, il Vietnam, il Subcontinente Indiano, l’Africa, la Jugoslavia, l’ ex Unione Sovietica, e, soprattutto con una società mondiale dominata dal Complesso Informatico-militare e dagl’intrecci fra i vertici degli Stati e le grandi imprese innovative, e fra criminalità organizzata, politica ed economia.I modelli più appropriati per spiegare questa realtà restano,m a mio avviso, quelli, da tutti negletti, di List, Hilferding e Kalecki.

Non avendo compreso come funziona veramente l’economia, né nazionale, né internazionale, è ovvio che poi non si riesca a “manovrare” l’economia stessa per ottenere  gli obiettivi pur tanto conclamati.

 

2.Le ricette inutili e dannose

Così, ne abbiamo viste di tutte, dal “richiamo all’ordine” del fascismo, al corporativismo, all’ economia di guerra, alla “politica della lesina” einaudiana, alla programmazione economica nazionale, al “salario come variabile indipendente”, al “welfare State”, alle liberalizzazioni, alle privatizzazioni,all’obbligo costituzionale di  pareggio di bilancio, alla “spending review”. Ora abbiamo anche il reddito di cittadinanza e la “flat tax”, e l’economia va sempre peggio, indifferente alle ricette di economisti, politici, capitani  d’industria e sindacalisti.

 

  1. Cambiare discorso

L’ultimo studio presentato dalla Confindustria è perentorio: per tutto il 2019, crescita 0. Prima delle elezioni europee, questa sarebbe un’occasione d’oro, anche per la Confindustria, per proporre soluzioni precise e innovative.

Infatti, tutte le misure studiate, proposte, difese, votate e implementate da fascisti, liberali, democristiani, repubblicani, socialisti,tecnici,berlusconiani, democratici, 5 stelle e leghisti,  hanno toccato sempre e soltanto la distribuzione della ricchezza, non già la sua creazione. Che non nasce, né dalle fantasie anarchiche dei capitalisti (“gli spiriti animali” di Schumpeter), né dall’immissione casuale di moneta (gli “elicotteri che buttano dollari alla folla”), bensì da un supporto mirato alle attività strategiche, come per esempio l’assegnazione di terre nel Far West o nelle Paludi Pontine, le ferrovie del XIX secolo, Cinecittà, la Volkswagen, il Progetto Manhattan, il DARPA, la NASA, l’Alta Velocità Cinese, la Via della Seta…

Tuttavia, come hanno dimostrato gl’incontri di questa settimana di Italiani, francesi, tedeschi e lussemburghesi con Xi Jinping, questo tipo di stimoli può essere dato solo da realtà statuali grandi e coese, come l’America di Giorgio Washington (lui stesso un agrimensore e un promotore immobiliare) di Roosevelt, di Truman e di Eisenhower, i Paesi dell’Asse, la Cina di Xi Jinping, non già dalla miriade di staterelli europei, né da un’organizzazione debole e dispersiva come l’ Unione Europea.

 

4.Dall’ “Europe Puissance” al “Soverainisme Européen »

Gli Europei, siano essi la Commissione o la Germania, la Francia e l’Italia, hanno ben poco da offrire alla Cina in cambio del suo mercato, dei suoi Yuan, dei suoi treni, delle sue nuove tecnologie. La colonizzazione è nei fatti stessi, non già nella volontà “predatrice” della Cina. I porti non si ammodernano se i Cinesi non portano decisioni, clienti e soldi; l’Airbus (l’unico colosso “europeo”) si ferma se la Cina non compra i suoi aerei; il “made in Italy” non si promuove senza i buoni uffici di Alibaba, ecc..

L’unico modo per fare ripartire l’economia è creare un’“Europe Puissance” (come diceva Giscard d’Estaing), capace di centralizzare gl’investimenti dei fondi sovrani nelle nuove tecnologie e nei campioni nazionali, di imporre una precisa strategia pan-europea, di negoziare da una posizione di forza con le grandi potenze.

Macron aveva inizialmente promesso di andare verso un “souverainisme Européen”, ma ha ben presto cambiato idea, ricalcando le orme dei suoi predecessori. Il Trattato di Aquisgrana è un pallido succedaneo di quello dell’Eliseo. L’Europa non si costruisce così.

Più che una colonizzatrice, la Cina appare nelle vesti di quello che De Gaulle chiamava “il federatore esterno”. Solo che, tanto l’America, quanto la Russia sembrano avere rinunziato a questo ruolo (da esse ambito e tanto deprecato da De Gaulle), preferendo, in ultima analisi, un’Europa divisa.

Sta ora a noi, i cittadini europei, liberatici dai diktat ideologici e dai complessi d’inferiorità, attivarci a questo fine, se del caso sfruttando le opportunità che ci offrono le grandi potenze.