BASE DEL DIALOGO MULTIPOLARE PER LA PACE
Mattarella sull’ amicizia al Meeting di Rimini
« Finito che fu, si levorno le tavole et il re mi pigliò per la mano e disse: ‘Tutte le volte che alcuna persona honorata di virtù e di opre viene a questa mia terra mai lascio di invitarlo, far amicitia seco et honorarlo. Il grande regno di Europa è regno di discorsi fondati nelle ragioni: desidero sapere quello che loro sentono della amicitia’. Io, Matteo, mi raccolsi per alcuni giorni in luogo secreto e raccolsi tutto quanto avevo udito di questa materia desde la mia fanciullezza e feci il seguente libretto» (dal Proemio del “Dell Amicizia” di Matteo Ricci).
Una delle tante contraddizioni dell’ attuale “mainstream” culturale e politico è quella fra una conclamata e plateale apertura a tutti i popoli e le loro culture, e l’isteria da crociata che invece anima il discorso pubblico occidentale sulle principali aree del mondo: Islam, Cina, Russia (sostanzialmente, quelle che si riconoscono nei BRICS, che rappresentano il 41% della popolazione mondiale), ma anche tutte le altre, che arrivano a comprendere i 4/5 dell’umanità.Basti pensare alla recentissima messa al bando in Francia dell’ “abaya”, una tunica femminile moderna di moda in Medio Oriente. Si giungerà a vietare anche il Sari indiano, lo Han Fu cinese e il colbacco pan-russo?
Non si dica che questa isteria nasce solo con i venti di guerra che ormai soffiano fra Est ed Ovest, perché si tratta di un fenomeno che si trascina da ben tre secoli:innanzitutto, l’”Esquisse d’un tableau historique des progrès de l’esprit humain” (“Abbozzo di un ritratto storico dei progressi dello spirito umano”), che narra la storia della civilizzazione (occidentale), sostenendo una stretta interconnessione tra il progresso scientifico e lo sviluppo dei diritti umani e della giustizia , per passare al Testamento di Giorgio Washington, ai discorsi di Victor Hugo e all’epistolario di Mazzini, e venire, più recentemente, alla propaganda antisovietica dei maccartisti, a quella anti-islamica, fino al “Russia Bashing” e al “China Bashing”.
Invece, se si pretende di rispettare tutti i popoli della terra, bisogna poi anche accettare, e anzi studiare, le loro culture, addirittura nell’ottica di trarne degl’insegnamenti sulle questioni che noi non riusciamo a risolvere con le nostre logiche, non già condannarli a priori in base a nostri specifici schemi mentali. Primo fra i quali, la priorità della politica, per cui i popoli non occidentali vengono condannati in blocco come “autocrazie”, assumendo come determinante solo un lato delle loro caratteristiche, che noi consideriamo politico (rifiuto della “democrazia”), ma non per loro, è piuttosto, antropologico (atteggiamenti esistenziali e sociali, costumi).
Questi ultimi, nei BRICs, sono tutt’altro che omogenei. Quale sostanza accomunerebbe infatti, sotto il concetto di “Autocrazia”, la democrazia plebiscitaria russa e quella presidenziale turca, quella federale e cetuale indiana e quella clericale iraniana, il socialismo con caratteristiche cinesi e il latino-americanismo?Soltanto il rifiuto del sistema culturale “occidentale”, basato sul mito del progresso, l’ipocrisia puritana e la “passione per l’eguaglianza” di cui parlava Tocqueville. Questo diffuso rifiuto non è fine a se stesso, bensì l’espressione, quasi inconscia, della rivolta dell’ “homo hierarcicus” extraeuropeo contro l’egemonia dell’ “homo aequalis”euro-americano (Dumont). Per motivi diversissimi, tutti questi sistemi credono fortemente nelle diversità: fra intelligenze (Cina); fra tradizioni ancestrali (India, Russia); fra gruppi umani(Africa); fra carismi (Sudamerica); fra teologie (Israele e Islam).Più che autocratici, sono esistenzialmente differenzialistici. Proprio per questo, essi, secondo il “mainstream” occidentale, sarebbero “il Male”, e andrebbero perciò semplicemente “convertiti” ai riti dell’omologazione ipermodernista, dove “uno vale uno”.
Per tutto questo, è stato apprezzabile l’approccio del Presidente della Repubblica al Festival di Rimini,finalmente incentrato sull’ “Amicizia” verso il diverso , anche se poi, anche nelle sue parole, al posto del sano relativismo dell’opuscoletto di Matteo Ricci citato in exergo,è riaffiorata una visione manichea di “noi” che siamo “il Bene” e degli “altri” che sono “il Male”perché ispirati dall’ “odio”.
Paradossalmente, proprio gl’”ipermodernisti”, che pretenderebbero di rappresentare la maturità “adulta” dell’ Umanità, emancipata dai dogmatismi , non si rendono conto che il “dubbio moderno”, che attraversa Montaigne e Matteo Ricci, Cartesio e Pascal, Kant e Nietzsche, Rensi e Wittgenstein, De Finetti e Feyerabend, ha reso impossibile concepire valori veramente “fondati”,e che perciò possano essere applicabili “dall’ esterno” a tutte le civiltà, e mediante i quali queste possano essere catalogate e giudicate (come sarebbero, appunto, la “democrazia”,l’”uguaglianza” e lo “Stato di diritto”). Dopo avere criticato un po’ tutti per le loro presunte visioni “essenzialistiche”, sono proprio essi le prime vittime della credenza in “valori non negozoiabili”. Oggi, come diceva Nietzsche, viviamo un un’”era comparatistica”, in cui i pochi giudizi che si possono ancora emettere sono basati su una comparazione fra realtà esistenziali diverse.S’impone invece un approccio basato piuttosto su esigenze esistenziali, come la fede e l’amicizia, capaci di sopravvivere anche nel mondo della complessità, e attraversare più mondi, superando, col “Pari” pascaliano, il “Dubbio sistematico cartesiano.
Proprio in tema di amicizia, non si può perciò dimenticare che esiste anche il polo opposto, l’inimicizia (chiamata da Mattarella impropriamente “odio”), e che proprio sulla dialettica fra questi opposti si fonda la storia(Carl Schmitt). Pensare che uno di essi possa essere abolito significa aggregarsi, anche senza saperlo, alle schiere (oggi fortunatamente decrescenti) dei “fanatici dell’ Apocalisse”, che credono seriamente di poter abolire la Storia senza per ciò stesso abolire l’Uomo.
Certo, oggi come ai tempi di Matteo Ricci,per l’azione civile e sociale, bisogna partire dall’amicizia fra gli uomini, e, in particolare, fra Est e Ovest, ma senza dimenticare che è in corso la Guerra al Tempo delle Macchine Intelligenti, con cui le macchine stanno tentando di sostituire l’Umanità. E’ intorno a questa guerra uomini-macchine che le grandi civiltà del mondo debbono essere solidali, come giustamente chiedono il Papa e il Presidente della Repubblica.
Nel fare ciò, esse debbono però mantenere intatte le loro virtù guerriere, perché questa nuova guerra a difesa dell’ Umano non è meno drammatica e cruenta delle precedenti.E’ consolante questo rinnovato interesse per la figura del combattente capace d’incarnare istanze costruttive, che ha trovato una recentissima espressione nel film “Il Comandante”, che rappresenta l’Italia alla Biennale di Venezia.
Ma vediamo in concreto quali sono queste culture “altre” con cui dialogare.
1.La lingua cinese e i “San Yao”
La più vasta delle comunità culturali del mondo è costituita dalla Sinosfera, unificata dall’uso millenario dei caratteri cinesi e dalle culture taoista, confuciana e buddhista (le “Tre Scuole”=”San Yao”). Ne fanno parte, oltre alla Cina, le due Coree, il Giappone, il Sud Est Asiatico.
Esse sono caratterizzate dal sincretismo – appunto, i “San Yao”-,
lo spirito gerarchico, l’epistocrazia (il governo dei più istruiti),
Grazie a queste loro caratteristiche, rimaste intatte in 5000 anni di storia, questi Paesi hanno costituito duranti millenni, una serie di imperi fra loro simili, legati da un concetto simile di legittimità (il “Madato del Cielo”=“Tian Ming”), che oggi si sono trasformati in Stati Nazionali (salvo la Cina, che si autodefinisce “Stato-Civiltà”).
Il carattere sincretico della civiltà sinica le ha permesso di assorbire, oltre ai proverbiali San Yao, anche le religioni popolari del popolo Han e delle molte minoranze etniche, lo sciamanesimo,lo Shintoismo, il “Cristianesimo con caratteristiche cinesi”, l’Islam, e, infine, la modernità occidentale, sotto la forma del “Socialismo con caratteristiche cinesi”.
Mentre gli Occidentali criticano la Cina per il suo centralismo, il suo profondo solidarismo e il suo autoritarismo, i Cinesi ribattono giustamente che, al di là della forma giuridica ricalcata su quella di uno Stato occidentale, in realtà la Cina è estremamente decentrata attraverso vari livelli gerarchici: villaggio, prefettura, città, metropoli, provincia, senza contare le province autonome, le aree metropolitane e l’Area della Grande Baia, con Hong Kong e Macau aventi un loro status speciale. Quanto al solidarismo, esso non è un male, bensì ciò che ha permesso alla Cina di risollevarsi, tornando a prima dei “100 anni di umiliazione”, dalle Guerre dell’ Oppio, ai Taiping, al sacco di Pechino, alla spartizione in sfere d’influenza, ai Signori della Guerra, all’ Occupazione Giapponese, alla Guerra Civile. Quanto all’ autoritarismo, esso costituisce un tratto caratteristico dei “valori asiatici”, dell’ “Homo hierarcicus”, comune con l’india e il Giappone, e si giustifica anche con la situazione di conflittualità con l’Occidente in cui questi Paesi hanno dovuto sopravvivere dopo le Guerre dell’Oppio, il Sacco di Delhi e la Seconda Guerra Mondiale.
Le capacità della Cina di indicare nuove vie al resto del mondo, si sta già ora manifestando in modo spettacolare con l’approvazione, da parte del Congresso Americano, dell’”IRA” (“Inflation Reduction Act”), che è una politica industriale ricalcata, secondo le parole del suo promotore (Schmidt)proprio su quella cinese, per non parlare dei treni ad alta velocità e dell’auto elettrica,tecnologie ultramoderne tipiche della transizione ecologica, in cui la Cina sta dimostrando la propria leadership mondiale.
Tuttavia, il settore in cui la Cina ha più da insegnare è la filosofia, e, in particolare, la filologia. Infatti, la lingua cinese, e il modo magistrale in cui Confucio (o chi per lui) l’ha forgiata, permette di risolvere problemi che, con la logica rigida delle filosofie occidentali, e, in particolare, delle lingue indoeuropee, non sarebbero conseguibili. Il precipitare a valanga del mondo globalizzato verso la Fine della Storia diviene, in Cina, la prospettiva molto più soft di “uno Xiaokang”, una “società moderatamente prospera”, e perfino la “Grande Armonia “(“Da Tong”), supremo ideale politico del Confucianesimo, si rivela essere, se confrontata con le utopie occidentali, solo la sobria realizzazione della gestione secondo giustizia dell’esistente, in modo né deterministico, né irreversibile.
Anche per questi motivi, Fenollosa e Pound consideravano le lingue cinese e giapponese come le più adatte alla poesia, e, nei “Cantos”di quest’ultimo, che si professava confuciano, abbiamo la presenza massiccia di citazioni dagli Analecta.
Ora, si dice anche che la Cina è minacciosa, perché la sua pretesa di centralità, espressa addirittura dal suo nome (“Zhong Guo”=”Paese di Mezzo”) sarebbe incompatibile con la sua pretesa di creare un mondo multipolare. Premettiamo subito che tutte le civiltà hanno una pretesa di centralità: quella egizia, quella indù, quella persiana, quella greca, quella romana, quella islamica, quella europea, quella americana. Ciò che distingue dalle altre la nozione cinese di “Tian Xia” (“Ecumene”) è il “Soft power”, il governare “senza fare” (“wei wu wei”) del saggio taoista, che comanda alla natura e agli uomini attraverso l’influenza della sua saggezza e con pratiche che definiremmo “magiche”.Un concetto simile alla Satyagraha o Ahimsa indiana, impropriamente tradotta com “non violenza”.
Nello stesso senso, la civiltà sinica è tradizionalmente pacifista, non già nel senso che non conosca la guerra (ché, anzi, fu l’inventrice dell’ Arte della Guerra), bensì in quello che punti a una guerra che minimizza i costi umani. Secondo l’Arte della Guerra di Sun Zu, l’obiettivo del condottiero è “Conquistare il Tian Xia senza uccidere nessuno”, che è precisamente ciò che ispira le Nuove Vie della Seta e l’”allargamento dei BRICs” oggi in corso.
2.L’India, all’ origine di molte cose in Occidente.
L’India pare avere già superato la popolazione della Cina. Essa è stata sempre un paese di una tale vastità, da avere esportato, come la Cina, un po’ di tutto: dalla matematica al monachesimo(buddhista), dalla Religione Universale (Din-i-Ilahi), al mito del’Età dell’ Oro vedica (Tilak), fino all’ antimodernismo radicale di Gandhi (“Hind Swaraj”), simboleggiato dall’ arcolaio che è figura della sfera del mondo che l’Imperatore del India (Cakravartin) faceva girare, e che ora ogni Indiano ha potuto fare girare sotto la guida di Gandhi. Si distinguono:
-Chakravala chakravartin, sovrano che regna su tutti i continenti come previsto nella cosmografia indiana (monarca universale)
-dvipa chakravartin, sovrano che regna su un solo continente
-pradesha chakravartin, sovrano locale, che regna su una parte del continente
Ma l’India, che ha appena inviato un veicolo sulla Luna, aveva inventato anche, con Mawlana Mawdudi, il moderno Islam politico.
Anche l’India, seppure per motivi diversi dalla Cina, appare come l’opposto dell’ Occidente. Infatti, essa conserva integralmente, unica fra le grandi civiltà moderne:
-l’integralità dei suoi culti politeistici, appena mitigati dall’ influsso buddhistico;
-un sistema di caste ben più complesso e indistruttibile di quello dell’ Ancien Régime europeo. Attualmente, le caste (jiati) sono circa 7500, ed hanno un significato economico e sociale enorme, soprattutto per ciò che riguarda le strategie matrimoniali delle famiglie. La stessa Costituzione indiana, teoricamente contraria alle caste, parla di “caste protette”, e lo sforzo dei ceti deboli è stato, in questi decenni, non già quello di abolire le caste, bensì di inserirsi fra le “caste protette”.
Tanto Guénon, quanto Evola, avevano assunto l’India quale modello prioritario per ricostruire le Società Tradizionali, anche se il primo si convertì invece all’ Islam, e il secondo non fu insensibile al fascino nella cultura cinese.
3.L’Islam globale
Con circa 2,07 miliardi di fedeli, ossia il 25% della popolazione mondiale, l’islam è la seconda religione del mondo per consistenza numerica (dopo il cristianesimo) e vanta un tasso di crescita particolarmente significativo ( è considerata la religione col tasso di crescita più alto).Il 13% dei musulmani vive in Indonesia, che è anche il paese musulmano più popoloso, il 25% nell’Asia meridionale, il 20% in Vicino Oriente, Maghreb e Medio Oriente e il 15% nell’Africa subsahariana E’ suddiviso in varie denominazioni (sunniti, sciiti, ismaeliti,ma anche alawiti, ahmadiyya, drusi), e varie scuole di pensiero giuridico Hanafismo, Malikismo, Sciafeismo, Hanbalismo e confraternite Sufi (Mawdudiyya,Qadiriyya, Naqsbandiyya, Beqtashiyya, Senussiyya, Salafiyya).
Nonostante la grande differenza di culture e costumi, derivanti dalla cronica assenza di unità geopolitica e statuale, ma anche dalla dispersione su tre continenti e su una cinquantina di Stati, gli Islamici hanno comunque delle caratteristiche comuni, in primis la fede nel Corano in lingua araba (al-Qur’an al-‘Arabi), le cinque preghiere quotidiane, il divieto dell’ alcol, il velo femminile (pure nelle infinite varianti locali), l’assenza di clero e la commistione fra diritto civile e religioso.
L’Islam è forse il credo che suscita maggiore scandalo negli Occidentali, innanzitutto per il regime consuetudinario differenziato applicato alle donne, e, poi, per il ruolo fortissimo dei teologi ( ‘Ulamà, Fuqahà, che, di badi bene, non sono sacerdoti, bensì semmai giuristi), nella vita politica, sociale e individuale.
A causa della sua fortissima coerenza interna e per la sua conservazione di molti aspetti delle società tradizionali, anche pre-islamiche (costumi tribali), l’islam costituisce tuttora un forte polo di aggregazione, anche in Occidente, per coloro che non accettano la globalizzazione occidentale
4.”Africa torna a noi”
L’umanità proviene dall’ Africa (“out of Africa”), ed è naturale che questa mantenga più forte l’imprinting dell’uomo primitivo. Ciò costituisce una grande ricchezza, non solo per gli studiosi della storia umana, ma anche per i tentativi di restaurazione di un’umanità più autentica. Per questo, è illusorio tentare di fare della società africana una copia conforme di quellaoccuidentale, ivi compreso il concetto di Stato centralizzato. Certo, per alcune funzioni geopolitiche, esiste l’Organizzazione dell’ Unità Africana; per certe funzioni centrali, esistono degli Stati che sono talvolta importanti federazioni (Nigeria, Sudafrica), ma, al di sotto e con grande resilienza , esistono le etnie (Wolof, Malinke, Dioula, Fulani, Bamileke, Ewe, Hausa, Youruba, Ibo, Zulu, Xhosa, Sotho, ecc…), le tribù, i clan familiari….La politica e la società sono ancora organizzate in base a queste strutture intermedie. Nello stesso tempo, gli Africani non hanno ancora perduto la loro ancestrale energia vitale, ed oggi aspirano
ad espandere questa loro vitalità a livello internazionale, da un lato con le migrazioni, dall’ altro con uno sforzo di ulteriore decolonizzazione, contro la tutela dell’ Occidente e a fianco dei BRICS. E’ di questi giorni una serie di insurrezioni nell’ Africa Occidentale contro la tutela occidentale che potrebbero segnare una svolta nella storia dell’ Africa.
5.L’America Latina di Papa Francesco
Nonostante che il Sudamerica costituisca il più grande esperimento d’ ibridazione fra popoli, con la sua intatta base etnica vetero-americana (soprattutto in Messico e nelle Ande), con una potente iniezione di Europei, per lo più neolatini (soprattutto intorno al Rio de la Plata),e con i suoi molti nazionalismi, essa si considera come una sola grande nazione, che va dal West statunitense fino alla Terra del Fuoco (“la Patria Grande” di Urarte), e, addirittura, come una “Razza” a parte, tant’è vero che annualmente si celebra in tutta la Latinoamerica, compresi gli USA, “el Dia de la Raza”, una “razza” che i Nordamericani chiamano “Latinos”.
E’ difficile dire che cosa costituisca lo specifico del Sudamerica. Forse, il substrato di costumi e di credenze pre-colombiame; forse la forte impronta cattolica; forse ancora la rivalità mimetica con gli USA (Yanquis, Gringos).
Certo, l’America Latina sta acquisendo via via un peso maggiore sulla scena internazionale, grazie anche all’elezione di Papa Bergoglio, orgoglioso sostenitore di una specifica via cattolica americana (i Sinodi di Aparecida, Medellin e Puebla, e l’enciclica “Querida Amazonia”), e, infine, con la recentissima adesione di Brasile e Argentina ai BRICS.
6.Il Ruskyj Mir
Personalmente credo che la Russia faccia parte dell’Europa perché il suo carattere ibrido (al contempo europeo e asiatico, sedentario e nomade), è in realtà comune a tutta l’Europa Centro-Orientale, con le forti presenze un po’ ovunque di Ashkenazim, Rom, Ugro-Finni ed Uralo-Altaici, islamici e caucasici; con le origini iraniche degli Slavi del Sud, quelle turciche dei Bulgari e quelle uraliche dei Magiari. In questa commistione, le differenze fra gli Slavi Orientali e gli altri popoli dell’Europa centro-orientale sono quantitative, non qualitative.
Ciò detto, molti, a cominciare da molti pensatori russi, hanno sottolineato una qualche forma di alternatività fra Russia ed Europa, chi per escludere la Russia, considerata un Paese arretrato, per sua natura ostile all’ Europa (l’”Eredità di Cinggis Khan” del Principe Trubeckoj), chi per vederne un ruolo messianico (la Santa Russia), salvatrice dell’Europa corrotta, sulla falsariga delle vittorie su Napoleone e su Hitler.
Il comportamento reciproco di Russia e Europa negli ultimi 35 anni ha portato alle estreme conseguenze questa seconda visione, esasperando l’orientamento anti-tradizionale dell’Europa occidentale-divenuta così a buon titolo oggetto degli strali della Chiesa ortodossa-,mentre la Russia, perduta la missione messianica dell’ era sovietica, ne ha ritrovata una nuova nella dostojevskiana “salvezza dell’ Europa”. La guerra in Ucraina è divenuta così sempre più una guerra di religione fra l’ortodossia russa e la “teologia politica” occidentale.
Per questo motivo, questa guerra non potrà cessare fino a quando il dibattito culturale non permetterà di dissolvere “a monte” gli stereotipi degli uni e degli altri:
-quello della Modernità quale terra della libertà, che occulta in realtà la presa del potere da parte delle Macchine Intelligenti;
-quello dell’ Ortodossia che mantiene intatto l’autentico insegnamento cristiano.
In questo senso la cultura potrà avere un ruolo determinante non solo per il Cristianesimo e per l’Europa, ma addirittura per il futuro del mondo.
7.La Civiltà Ebraica
Neppure Israele si considera del tutto parte dell’ Occidente. A parte il fatto che Eisenstadt credeva nell’ esistenza di un’autonoma “civiltà ebraica” nel significato dato da Spengler e Toynbee al termine civiltà, e Buber che Israele darebbe divenuto il centro del mondo, soprattutto oggi le tendenze nazional-religiose hanno assunto un peso tale, che l’idea dell’ assimilazione ad un’altra parte del mondo ha perduto in Israele la sua attrattività (cfr. Hazori).
8.Gli “Stati Disuniti d’ America“
In quanto “Paese di emigranti”, gli Stati Uniti hanno avuto la pretesa di “assimilare”,nobilitandole, tutte le culture del mondo, così come assimilavano emigranti da tutto il mondo. L’esempio più tipico di quest’ assimilazione sarebbe costituito dalla cultura pop: dagli “spirituals” al “Jazz”; da”West Side Story” a Woodi Allen; da Exodus a Ben Hur; da Quo Vadis a “I 10 Comandamenti”; da Spartaco a Robin Hood, da Santa Klaus a Barry Lyndon: tutti personaggi eminenti nelle rispettive culture, ma restituiti “americanizzati” dalla cultura pop americana; immagini concrete di ciò che ciascuno di noi dovrebbe diventare.
E, tuttavia, questa pretesa si sta incagliando di frante all’ incapacità del nocciolo duro WASP di accettare di trattare su un piede di parità le altre componenti della società americana, in primo luogo gli afro-americani, “immigrati” contro la loro volontà e mantenuti da sempre in uno stato di inferiorità. La pretesa di assimilare le più diverse culture viene oggi attaccata propro dalle principali culture minoritarie come “appropriazione culturale”, mentre quella dei WASPs di affermare una loro autonoma esistenza quali Americani di origine europea viene attaccata dalla “Cancel Culture”, che dipinge l’eredità europea degli USA come la rappresentanza estrema delle epoche passate dedite all’ autoritarismo, al machismo, allo schiavismo, al colonialismo e alla guerra.
Gli Stati Uniti sono oggi un Paese molto diviso, fra chi lo vorrebbe unito, ma sempre più lontano dalla sua identità settecentesca, e chi lo vorrebbe nettamente diviso su base etnica.
E’ paradossale che questo Paese diviso stia ancora pretendendo di imporre al resto del mondo una propria cultura, quando, al suo interno, non è capace di darsene una ( “Who we are?”di Huntington).
Questo costituisce la maggiore debolezza degli USA, che emergerà con ancora maggior forza alle prossime elezioni presidenziali.
9.L’Europa, “Trendsetter of the Global Debate”?
L’Europa è ancora più spaesata dell’ America dinanzi a questo mondo che cambia.Intanto, pure di fronte a situazioni storiche palesemente diverse, fa paradossalmente proprie diatribe tipicamente endoamericane, come quella sul razzismo.
In secondo luogo, vi è una tensione evidente fra un inedito filo-occidentalismo, comprendente soprattutto la sinistra, e un altrettanto inaspettato convergere di simpatie per i BRICS da parte di tradizioni politiche tanto “di destra”, quanto “di sinistra”.
In definitiva, l’Europa è demoralizzata e priva di nerbo: non ha il coraggio di dibattere sulla propria identità, ma preferisce dividersi in opposte partigianerie a favore di altre parti del mondo.
Eppure, questa situazione potrebbe costituire l’occasione per un ritorno in grande stile dell’ Europa sul proscenio mondiale, facendosi essa interprete proprio di quella “comparazione” che, secondo Nietzsche, caratterizzerebbe la Modernità. L’Europa ha inaugurato, con i Gesuiti, lo studio comparatistico delle grandi civiltà, e, in primo luogo, la filologia comparata, la sinologia lo studio dei popoli sudamericani.
Essa ha posto per prima le questioni che concernono l’’Uebermensch (=Superuomo, Oltre-uomo?), e ha intravisto la sua biforcazione fra una rivisitazione dei valori assiali (Nietzsche) e la Mega-Macchina (Huxley, Anders, Teilhard de Chardin).L’Europa ha tentato, anche se con un approccio macchinoso, supponente e inconcludente, di darsi un corpus Juris che governi e disciplini l’informatica. Con un rinnovato taglio culturale e politico, potrebbe veramente guidare il più che mai necessario cambiamento.
11.Il dialogo internazionale sul cyberspazio
Già alla luce di questo esame “comparatistico” delle principali aree di oggi della civiltà mondiale risulta evidente come sia incredibilmente presuntuosa e fanatica la pretesa degli Occidentali di “convertire” il mondo intero ai loro credi, ai loro valori, alla loro logica e alle loro istituzioni, pretesa sconfitta sistematicamente nella storia (al Cyber Pass come in Palestina, in Corea come in Vietnam, a Cuba come in Iran, in Turchia come in Afghanistan,in Cina come in Crimea), e meno sostenibile che mai oggi, di fronte all’ auto-affermazione sempre più assertiva dei BRICS.
Visto dunque che si è rivelata impraticabile la strategia della “debellatio” preconizzata da Condorcet e ripresa nel secolo successivo da Emerson e Whitman , occorre ricercare un’altra forma di convivenza mondiale, che viva proprio nella comparazione fra le varie civiltà per trarne soluzioni concrete alle più scottanti questioni dell’oggi.
Il che presuppone innanzitutto un nuovo ceto d’intellettuali mondiali, che parta dallo studio della filologia generale e comparata, delle religioni, filosofie e letterature comparate, dalla storia mondiale, dal diritto comparato, dall’ibridazione fra educazione fisica, arte, scienza e politica, fino a pervenire allo stabilimento di un dialogo continuo fra tutti gli ecosistemi, cominciando dal rapporto uomo-macchina.
Paradossalmente, mentre non si avvia, e, anzi, si tende piuttosto a chiudere, il dialogo culturale multipolare(per esempio, quello avviato intorno agli Istituti Confucio), le Grandi Potenze si sono rese conto della necessità di un dialogo mondiale almeno sul controllo del Cyberspazio.
Nonostante che quest’ultimo non si presti a meccanismi di controllo come quelli adottati a suo tempo per le armi nucleari, per molte ragioni, fra le quali il suo carattere duale ed invisible, nonché la sua gestione da parte di soggetti privati, gli USA e la Cina hanno messo in opera diverse piattaforme formali per il cyber-dialogo (China-U.S. Law Enforcement and Cybersecurity Dialogue; discussioni and cooperazione nell’ ambito dell’ASEAN Regional Forum, l’Interpol Asia and South Pacific Working Party on IT Crime; UNGGE; Guanchao Forum).
Non è poi del tutto vero che l’Europa non abbia partecipato, in un qualche modo, a questo trend. Nel corso degli ultimì decenni, l’Unione ha elaborato faticosamente, sulla base delle negative esperienze avute in campo informatico, come per esempio gli scandali Echelon e Prism, in cui le aspettative di tutela della privacy degli Europei erano state grossolanamente violate dalla Intelligence Community, una complessa e macchinosa legislazione in materia, che in teoria permetterebbe una tutela almeno formale dei cittadini, se non fosse che i soggetti che dominano l’informatica europea sono in America e godono di un’impunità di fatto (grazie anche alla connivenza delle Istituzioni) dalla giurisdizione della Corte di Giustizia, che pure le avrebbe sanzionate con le Sentenze Schrems. Ancora recentissimamente è entrato in vigore un ennesimo regolamento europeo che, in violazione delle sentenze Schrems, permette il trasferimento in blocco dei dati degli Europei
negli Stati Uniti, dove è certo ch’essi non godono dei diritti europei sulla privacy.
Sta di fatto che, dal punto di vista formale, la legislazione europea, elaborata come reazione e come paravento di questa incresciosa impunità, è oggi la più completa in materia, anche se resta deliberatamente inattuata.
Ebbene, l’intero “pacchetto” di questa legislazione europea sul digitale, sfrondato del barocchismo della legislazione UE e ridotto all’essenziale, è stato trasformato in legge dalla Repubblica Popolare Cinese, la quale ha riscontrato immediatamente che neppure le multinazionali cinesi dell’ informatica (i BAATX) rispettavano i principi universamente ammessi dell’etica digitale. Tuttavia, visto che i BAATX sono in Cina e sono pienamente soggetti alla legge cinese, immediatamente dopo l’approvazione del pacchetto, i BAATX hanno subito pesanti sanzioni, che per poco non distruggevano perfino l’impero di Jack Ma. Tuttavia, superata questa fase conflittuale, e accettata la supremazia della legge sulla tecnocrazia, i BAATX così “purificati” sono ora stati rilanciati sui mercati internazionali, quale modello di imprese informatiche di orientamento legalitario e umanistico.
Nessuno di questi trend è, di per sé, particolarmente positivo, proprio perché manca una base culturale che li unifichi al di là delle difficoltà e contingenze politiche, conferendo ad essi la forza di un reale movimento sociale. Tuttavia, questa è la sola trama oggi avviata che, se s’instaurasse il dovuto clima di dialogo, potrebbe portare a un reale dibattito sul futuro del mondo, che potrebbe evitare il pericoloso baratro di disumanizzazione e di guerra verso cui siamo oggi avviati.