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9 MAGGIO 2023 GIORNATA DELL’ EUROPA

I partiti europei dinanzi alle elezioni del 2024

Nonostante molte obiettive difficoltà che ci hanno impedito di organizzare, come tutti gli anni, la tradizionale manifestazione per il 9 maggio, abbiamo voluto comunque dare il nostro contributo a ricordare quest’ importante ricorrenza, che abbiamo ogni anno celebrato con spirito critico, ben consapevoli del fatto che la Dichiarazione Schuman ha costituito, come non ci stanchiamo di ricordare, il momento del trionfo del Funzionalismo sul Federalismo, e, con ciò, l’inizio dei problemi di un’integrazione europea concepita fin dal principio come monca, vale a dire mancante di nerbo politico e culturale, e, come tale, destinata inevitabilmente a confluire nel progetto tecnocratico di omologazione occidentale,che sta sfociando nella Società del Controllo Totale

Abbiamo scelto perciò di diffondere un set di filmati, in cui illustriamo come la politica sia chiamata, in Europa, ad affrontare temi decisivi, a partire dalla Terza Guerra Mondiale, già in corso in Ucraina e in preparazione nel Mar della Cina. Di conseguenza, si pone, prima, al Movimento Europeo, poi, ai partiti politici (che stanno avviando le manovre per le elezioni europee del 2024), la necessità di una profonda rivisitazione di tutte le basi su cui si sono appoggiati fino ad oggi, per essere in grado di riflettere sulla Fine dell’ Uomo, sulla Società delle Macchine Intelligenti, sulla Guerra Totale, e di posizionare l’Europa di conseguenza.

Diàlexis ha pubblicato, a questo proposito, il libro“Verso le elezioni 2024: i partiti europei nella tempesta”

Pubblichiamo qui di seguito un ciclo di 6 filmati su questi temi, e di seguito i testi scritti di commento.

CICLO DI FILMATI SUI PARTITI EUROPEI DINANZI ALLE ELEZIONI DEL 2024

VIDEO 0 – 9 MAGGIO 2023 || GIORNATA DELL’ EUROPA || 0 – LIBRO “VERSO LE ELEZIONI EUROPEE DEL 2024″, Link: https://www.youtube.com/watch?v=HzPrtZAHHIA&t=3s

VIDEO 0 – 9 MAGGIO 2023 || GIORNATA DELL’ EUROPA || 0 – LIBRO “VERSO LE ELEZIONI EUROPEE DEL 2024″, Link: https://www.youtube.com/watch?v=HzPrtZAHHIA&t=3s

VIDEO 1 – 9 MAGGIO 2023 || GIORNATA DELL’ EUROPA || 1 – L’INVOLUZIONE DELL’UNIONE, Link: https://www.youtube.com/watch?v=LFtF2joOHKU&t=4s

VIDEO 2 – 9 MAGGIO 2023 || GIORNATA DELL’ EUROPA || 2 – CRISI DELL’UNIONE E CRISI DELL’ ORDINE MONDIALE, Link: https://www.youtube.com/watch?v=xFYcJQVb8zk&t=7s

VIDEO 3 – 9 MAGGIO 2023 || GIORNATA DELL’ EUROPA || 3 – RITROVARE I VALORI ALL’ ORIGINE DELL’UE, Link: https://www.youtube.com/watch?v=45RNC71wU5Q&t=59s

VIDEO 4 – 9 MAGGIO 2023 || GIORNATA DELL’ EUROPA || 4 – SUL RUOLO DEL MOVIMENTO EUROPEO, Link: https://www.youtube.com/watch?v=GbSHUrD13Yc&t=10s

VIDEO 5 – 9 MAGGIO 2023 || GIORNATA DELL’ EUROPA || 5 – CONTRO LA TERZA GUERRA MONDIALE, Link: https://www.youtube.com/watch?v=fgRyz–tgLg

I partiti politici europei di fronte alle sfide della legislatura 2024-2029

1.IL LIBRO “VERSO LE ELEZIONI EUROPEE DEL 204: I PARTITI EUROPEI NELLA TEMPESTA” (QUADERNO n. 1/2023 DI AZIONE EUROPEISTA).

Non potendo organizzare, per motivi di salute, la tradizionale manifestazione  del 9 maggio, Associazione Diàlexis e Rinascimento Europeo hanno ritenuto comunque di predisporre la seguente serie di filmati, postati sul canale Youtube www.alpinadialexis .com, quale avvio dell’urgente dibattito che si richiede per preparare una legislatura che, in pendenza della guerra in Ucraina e (si teme) anche nel Mar della Cina, sarà decisiva per l’ Europa e per il mondo.

Questi filmati costituiscono, da un lato, la risposta all’editoriale di Lucio Levi s “The Federalist Debate” sullo stesso argomento, e, dall’altra, una sintesi del libro in oggetto, che verrà esposto al Salone 2023 del Libro di Torino.

1.IL LIBRO “VERSO LE ELEZIONI EUROPEE DEL 204: I PARTITI EUROPEI NELLA TEMPESTA” (QUADERNO n. 1/2023 DI AZIONE EUROPEISTA).

Non potendo organizzare, per motivi di salute, la tradizionale manifestazione  del 9 maggio, Associazione Diàlexis e Rinascimento Europeo hanno ritenuto comunque di predisporre la seguente serie di filmati, postati sul canale Youtube www.alpinadialexis .com, quale avvio dell’urgente dibattito che si richiede per preparare una legislatura che, in pendenza della guerra in Ucraina e (si teme) anche nel Mar della Cina, sarà decisiva per l’ Europa e per il mondo.

Questi filmati costituiscono, da un lato, la risposta all’editoriale di Lucio Levi s “The Federalist Debate” sullo stesso argomento, e, dall’altra, una sintesi del libro in oggetto, che verrà esposto al Salone 2023 del Libro di Torino.

Riteniamo fondamentale continuare al più presto e in modo sistematico il dibattito su questi temi.

2.L’INVOLUZIONE DELL’UNIONE

Il processo d’integrazione europeo ha oramai dietro di sé  una storia millenaria. Già l’Impero Romano, il Sacro Romano Impero e gl’imperi asburgico e napoleonico, oltre che la Santa Alleanza, avevano prefigurato, infatti, forme d’ integrazione europea.

L’integrazione postbellica era nata sotto il segno di molte contraddizioni, prima fra le quali il conflitto fra:

-FUNZIONALISMO;

-FEDERALISMO.

Il funzionalismo (Mitrany, Haas, gli stessi Schuman e Monnet) concepiva l’integrazione europea come una delle articolazioni dell’ordine internazionale occidentale, che muoveva verso la Fine della Storia e l’unità del mondo. Esso costitituiva  l’applicazione in campo politico di un movimento più vasto, che comprende l’informatica (la “trasfusione senza spargimento di sangue”, dell’ intelligenza, dall’uomo alle macchine), l’architettura (Futurismo, Bauhaus, Le Corbusier), ed altre branche della cultura. Attraverso  un trasferimento di funzioni, dagli Stati, ad organismi sovrannazionali, si sarebbe realizzato un ordine mondiale armonico e centralizzato.

Il federalismo (Spinelli, Galimberti, Coudenhove-Kalergi, De Rougemont) puntava invece a fare dell’ Europa un autonomo soggetto politico, con un proprio progetto di società, anche se, a causa del suo pluralismo, lasciava aperta una vasta gamma di soluzioni pratiche, comunque alternative a capitalismo e comunismo).

La costruzione concreta dell’Europa attraverso i Trattati di Parigi, di Roma, di Maastricht e di Lisbona, ha realizzato in pratica il progetto funzionalista, pur sfruttando le tematiche del federalismo per dissimulare occidentale, sotto le “Retoriche dell’ Idea di Europa” (pace, democrazia internazionale),la natura passiva del progetto funzionalista, finalizzato allo sviluppo tecnocratico

Oggi, questo gioco delle parti  fra funzionalismo e federalismo ha perduto di credibilità, a causa del sempre maggiore coinvolgimento degli Europei nelle guerre dell’ Occidente,  del relativo declino delle società europee rispetto alla crescita del resto del mondo e della diminuita fede nella capacità degli USA di esercitare un ruolo protettivo, tre cose  che contraddicono le promesse di pace, sicurezza e prosperità fatte dalle Retoriche dell’ Idea di Europa .

Ciò ha eroso anche la credibilità dell’Unione Europea, e la sta forzando ad una qualche, seppur confusa, forma di rinnovamento, che si sta materializzando nello sforzo del PPE, asse portante del Parlamento europeo, di stringere un’alleanza con le opposizioni di destra, che più di altri hanno canalizzato le critiche contro le derive mondialistiche dell’Unione.

Ma, come si è lasciata sfuggire Ursula von der Leyen (che comunque sarebbe sacrificata da questa manovra), si tratterebbe di applicare la formula gattopardesca “cambiare tutto perché nulla cambi”.

3. CRISI DELL’UNIONE  E CRISI DELL’ ORDINE MONDIALE

Le stesse contraddizioni in cui si dibatte l’Europa coinvolgono l’intero Occidente, che ha sposato totalmente le ragioni delle tecnocrazie digitali, finanziarie e farmaceutiche  che puntano alla trasformazione dell’Umanità, prima, nella società del controllo totale, e, poi, in un complesso macchinico, smentendo così  le sue promesse di umanità e di libertà.

Anche se si è fatto tutto per farlo dimenticare, il primo, in un contesto europeistico,  a parlare  di Crisi della Civiltà Moderna, era stato proprio il Manifesto di Ventotene. Ma, se si vuole comprendere questa crisi, occorre andare indietro nel tempo, ristudiando gli autori che hanno parlato di questa crisi: Rousseau, , Saint-Simon, De Maistre, Kierkegaard, Nietzsche, Guénon, Spengler, Huxley, Evola,  Heidegger, Anders..

L’Unione Europea, che aveva preteso, ancora pochi anni or sono,  di ergersi sopra gli altri Continenti quale “Trendsetter del dibattito mondiale”, cioè maestro di saggezza e di virtù, ha assistito impotente all’escalation della Terza Guerra Mondiale che si combatte anche per sua mancanza di preveggenza, di magnanimità e di coraggio, nel cuore stesso dell’ Europa, ma che si sta preparando anche sul Mar della Cina, nonché ad uno sviluppo tentacolare dei GAFAM, oramai denunziato dai loro stessi fondatori, ma di fronte al quale le migliaia di norme tanto esaltate emanate dall’ Unione Europea si rivelano sempre più delle grida manzoniane, perché inapplicabili a casa dei GAFAM: cioè, negli USA.

Per questo, la crisi della politica europea, che ha prodotto una formidabile spinta a destra in Polonia, Ungheria, Italia, Spagna, Finlandia, Svezia, non si potrà risolvere semplicemente associando all’establishment i vittoriosi partiti di destra, bensì solo con una profonda riflessione sull’avvenire del mondo, stretto nella morsa tra la guerra nucleare e il dominio dell’ Intelligenza Artificiale, prodotti tutti dell’ opzione prometeica contenuta nel Primo Programma Sistemico dell’Idealismo Tedesco, secondo cui l’uomo si sarebbe salvato da sé  grazie a una nuova ideologia e una nuova scienza.

Le sempre più convulse prese di posizione, da un lato, dei guru informatici sui pericoli dell’ Intelligenza Artificiale, e, dall’ altro, dei leaders dell’alleanza dell’Est sulla prossimità della guerra nucleare, dimostrano che siamo vicini all’esito finale  di quelle scelte prometeiche degli ultimi tre secoli.

I limiti dello sviluppo sono oramai noti a tutti, tanto che Sir Martin Reed ha parlato del XXI Secolo come “il Secolo Finale”. L’avvicinarsi del Secolo Finale, scandito dalla guerra nucleare e dalla Singularity,ha trasformato tutte le pretese conquiste dell’ Occidente in trappole mortali.E’ impressionante ritrovare in ogni momento tracce di quest’ideologia messianica : a partire dalla bandiera arcobaleno, che è quello dell’eresia anabattista (combattuta innanzitutto da Lutero)alla battaglia di Falkenheim e simboleggia l’ Apocalisse, a cui la maggior parte  dell’ establishment occidentale sembra anelare, travolta dalla mistica dell’autodistruzione.

Lo straordinario sviluppo dei Paesi asiatici si spiega invece, a nostro avviso, non tanto e non soltanto  con la loro massa critica e con la loro etica del lavoro, bensì anche e soprattutto con la loro capacità di affrontare in modo olistico le sfide delle nuove tecnologie, non dimenticando, bensì addirittura incrementando, il ruolo della cultura, delle tradizioni, delle gerarchie. Così si spiega che in Cina, contrariamente che in Europa e negli Stati Uniti, lo sviluppo delle locali imprese digitali (i BAATX) è stato accompagnato con attenzione ed efficacia dallo Stato in tutte le sue fasi: studio, sviluppo, superamento dei concorrenti, informatizzazione della società, regolamentazione. Nel 2021, la Cina si è data una legislazione sul digitale simile a quella europea (anche se più lineare), ma l’ha anche fatta immediatamente applicare, sanzionando inflessibilmente quasi tutte le imprese digitali nazionali e i loro stessi fondatori (il “crackdown sui BAATX”).

Invece, l’Europa, dopo la morte di Olivetti e di Zhu, ha delegato sistematicamente da 60 anni ai GAFAM americani tutte le sue attività digitali, al punto che essi hanno il monopolio perfino sui servizi digitali delle Istituzioni europee (affidati da sempre alla Microsoft). Le sentenze della Corte di Giustizia vengono sistematicamente disapplicate, con la connivenza del Garante Europeo.

Ne consegue anche il continuo ritardo nell’ upgrading digitale delle nostre economie e il conseguente declassamento dei nostri giovani più qualificati, con  la risultante disoccupazione giovanile.

4. RITROVARE I VALORI ALL’ ORIGINE DEI PARTITI POLITICI EUROPEI

Il liberalismo e il nazionalismo  erano nati a metà del 18° secolo; il socialismo nell’800 circa; il comunismo a metà dell’Ottocento; l’ambientalismo negli anni ’60 del Novecento. E’ normale ch’essi siano divenuti obsoleti, travolti dal processo storico ch’essi pretendevano di guidare, ma da cui invece sono stati trascinati.

Nel  processo di adeguamento all’omologazione occidentale, i partiti europei hanno infatti perso di vista gli obiettivi per cui essi erano stati creati : liberare i cittadini dall’ingerenza di Stati sempre più centralizzati; evitare le ingerenze straniere nella vita dei popoli; fornire un ruolo nella società ai vari tipi di lavoro resi necessari dall’ organizzazione tecnica dell’economia; conciliare la vita spirituale con le esigenze della società moderna; difendere la natura dalle attività predatorie della tecnica scatenata. Al contrario, i “liberali” sono diventati fautori dei colossi tecnologici e della militarizzazione della società; i “socialisti” hanno agevolato di fatto lo smantellamento delle imprese europee e dello Stato sociale; i partiti “cristiani” hanno abbandonato la difesa dell’ umano, accettando  la diffusione di valori disgregatori dell’ordine sociale e del messianesimo tecnocratico dei GAFAM, che spianano la strada al controllo totalitario delle tecnologie, e, in particolare, delle biotecnologie; i “patrioti” sono divenuti gli zelanti esecutori degli ordini del complesso informatico-militare occidentale.

Di fronte a questa ritirata generalizzata, solo il conservatorismo, il più antico dei movimenti politici , che risale alla Fronda e alla Rivincita Aristocratica dell’inizio del 700, mantiene un proprio “appeal”. Non per nulla si sta cercando, per esempio, da parte di Fratelli d’Italia, di recuperare i discorsi del “conservatorismo”, che, per altro, in buona parte d’ Europa, non ha radici, se non molto lontane. Perfino il Paese in cui il conservatorismo è nato, l’Inghilterra, ha vissuto un processo di svuotamento dello stesso, che, da partito della difesa tradizioni, è divenuto, con la Thatcher,  un partito liberista e americaneggiante.

Certamente, dinanzi allo strapotere della rivoluzione digitale (controllo totale, social, censura digitale, bioingegneria, guerra digitale) e dell’”esportazione della democrazia”(Corea, Vietnam, Iran,  Kosovo, Irak, Afghanistan, Ucraina, Paesi Arabi), una sana reazione , etica prima che ideologica e giuridica, s’impone. Tuttavia, gli aspiranti “conservatori” hanno idee piuttosto confuse su “che cosa” conservare. Conservare il sistema teocratico basato sul Mito del Progresso e uno Stato rinunziatario che si fa prevaricare dalle lobbies significa continuare a tenerci legati mani e piedi mentre i GAFAM trasformano gli uomini in macchine.

Se vogliono recuperare le loro ragion d’essere, e, di conseguenza, la loro incidenza sulla realtà e la loro capacità di coinvolgere gli elettori, i partiti europei devono compiere una profonda riflessione che sbocchi su una “svolta a U” delle loro traiettorie culturali e politiche.

I liberali debbono tornare a condurre lotte di libertà, come quella per la liberazione di Assange, quelle contro i reati di opinione e la censura, quelle per un’applicazione rigorosa dell’ antitrust ai GAFAM. I socialisti devono volgere il crescente interventismo pubblico conseguente alla guerra, dalla  frenesia bellicistica (la produzione a ritmo frenetico di munizioni), alla difesa dell’ economia europea contro il contingentamento imposto dalla NATO, e al rafforzamento dei diritti dei lavoratori secondo il modello della Mitbestimmung tedesca; i partiti cristiani debbono riscoprire l’idea paolina di “Katechon”, cessando di essere le mosche cocchiere del livellamento sociale per spianare la strada ai GAFAM, e del Complesso Informatico-Digitale per una guerra senza limiti che, come il Papa non si stanca di denunziare, sta portando alla fine dell’ Umanità; i “patrioti” debbono diventare i difensori dell’ Identità Europea contro la sua dissoluzione nell’ Occidente; gli ambientalisti debbono smettere di fare i piazzisti per le industrie verdi, e difendere seriamente un rapporto naturale fra uomo e ambiente.

Infine, e soprattutto, i “conservatori” debbono difendere l’umano contro la disgregazione, nella cultura, nella politica, nel diritto, nell’ economia, ricercando un dialogo senza preconcetti  con i grandi movimenti conservatori che si trovano soprattutto  in Asia e in Europa Orientale.

5.SUL RUOLO DEL MOVIMENTO EUROPEO

Così come, e ancor più, che per i partiti europei,  il Movimento Europeo deve compiere una siffatta radicale riflessione, che gli permetta di rinascere, da movimento marginale e sconosciuto ai più, per divenire finalmente quello che immaginavano Coudenhove-Kalergi e Spinelli: il movimento egemone della politica europea, sul modello del Partito Indiano del Congresso. L’eredità che dobbiamo lasciare alle successive generazioni è quella di un europeismo consapevole e vigoroso, che non si confonda né con il Mito del Progresso, né con il messianesimo puritano, né con gl’interessi del Complesso Informatico-Digitale, ma, anzi, ad essi si opponga come principale alternativa.

Per fare ciò, esso dovrà riflettere profondamente sulla storia dell’integrazione europea e su quella delle altre integrazioni regionali: delle Americhe (Hamilton, ma anche Che Guevara), e anche quelle cinese (Taiping, Kang Youwei,Sun Yat Sen, Mao) , indiana (Tilak, Gandhi, Modi) ed islamica (Mawlana, Aflaq). Solo così essa potrà cogliere il ruolo della cultura, la ricerca dell’eccellenza, la difesa delle differenze, in particolare contro le tendenze livellatrici della globalizzazione (le Rivoluzioni Atlantiche, le guerre coloniali e post-coloniali, la “cancel culture”..), riconoscendo il valore positivo dei movimenti di liberazione continentale dei BRICS, a cui anche l’ Europa dovrebbe riallacciarsi, come suggeriva per esempio Simone Weil.

Solo così esso potrebbe tornare ad essere un elemento propulsivo della ricerca culturale e politica, e, in tale qualità, tornare ad essere un interlocutore autorevole dei partiti europei.

Per potere fare ciò, esso deve uscire dal suo ghetto, e ricomprendere tutti coloro che, sotto diverse bandiere o etichette, riflettono sull’ Europa e di danno da fare per essa. Penso ad esempio a pensatori come Cardini, Brague e Delsol, e a quel che resta di Paneuropa. Questo anche e in considerazione del fatto che i dibattiti decisivi sull’ Europa si stanno svolgendo in questo momento fra il PPE e Fratelli d’ Italia, FIDESZ e il Vaticano., in aree culturali finora inesplorate dai Federalisti.

6.IN 5.IN PARTICOLARE, CONTRO LA TERZA GUERRA MONDIALE.

Non v’è dubbio che, oramai da molti anni, tutte le potenze mondiali stiano preparando la Terza Guerra Mondiale fra Cina e USA, già implicita nella idea di “fusione” dei Taiping: con le guerre dell’ Irak e dell’ Afghanistan; con le Rivoluzioni Colorate e Arabe; con la corsa agli armamenti; con le continue guerre civili in quasi tutti i Paesi ex-sovietici; con la militarizzazioine dell’Artico, dello spazio e dell’Oceano Pacifico. Una guerra mondiale condotta con l’Intelligenza Artificiale sarà particolarmente catastrofica, perché le macchine sono più idonee degli uomini a sopravvivere in condizioni di guerra totale, cosicché la prossima guerra sarà la migliore occasione per il potere macchinico per prendere il controllo del mondo e quel che resta dell’Umanità.

E colpirà in primo luogo l’ Europa: Russia, Georgia, Ucraina, Moldova, ex Jugoslavia, ma anche l’Italia, dove stazionano un centinaio di testate nucleari americane.

Mi chiedo come facciano le sinistre alternative e i cattolici, oltre, ovviamente, ai Federalisti Europei, che da sempre proclamano fragorosamente la Pace Perpetua, a collaborare oggi entusiasticamente alla preparazione culturale, ideologica, politica, tecnologica, poliziesca e militare della Terza Guerra Mondiale e del Secolo Finale. Guai a voi, scribi e farisei ipocriti!

Questo è il momento di svegliarsi e di agire risolutamente, al di là degli schemi del XX° Secolo, inapplicabili alla guerra delle Macchine Intelligenti.

Il dibattito all’ interno del Movimento Europeo, e, dei partiti europei, non può che avere come punto qualificante la fuoriuscita dalla guerra mondiale in corso.Le strategie per questa fuoriuscita sono di difficile agibilità, perché si tratta di uno scontro effettivo, fra due potenze a vocazione universale, e fra due concezioni del mondo -l’una ciclica e atemporale, l’altra orientata alla Fine della Storia-, che non ammettono la neutralità.

Eppure, visto che la Guerra Senza Limiti non è che l’ennesimo avatar dell’ Arte della Guerra di SunZu, l’intelligenza (umana) potrebbe avere la meglio sui due contendenti: facendo leva sulle risorse culturali, che “vanno a monte” delle motivazioni dei contendenti (Apocalisse vs. DaTong), disinnescandole. Si tratta del “disarmo culturale” predicato da Raimon Panikkar.

LA DECRESCITA INFELICE IN EUROPA, ITALIA E TORINO

Il piano degli orari della Via della Seta disegnato dall’ osservatorio Tav come se fosse un metrò

Siamo stati educati, almeno a partire dalla 2° Guerra Mondiale, a pensare che l’unico obiettivo seriamente perseguibile da parte di una società fosse l’incremento della disponibilità di beni materiali. Certo, vi erano profonde differenze fra coloro che proponevano questo benessere come realizzabile attraverso un ordinato sviluppo dei ceti produttivi in base alle leggi consolidate nella storia, e quelli che sostenevano, invece, che il pieno sviluppo delle energie produttive si sarebbe potuto ottenere soltanto con una rigida organizzazione economica diretta da un partito progressista; fra coloro che sostenevano che il benessere dovesse essere distribuito sal mercato o dallo Stato. Tuttavia, l’obiettivo finale restava lo stesso: “case, scuole, ospedali”, ottenuti attraverso l’industrializzazione: in una parola, “il Progresso” (Taguieff, “Le sens du Progrès”). Tanto il “miracolo economico” occidentale quanto la “costruzione del socialismo” ad Est furono alimentati da questo obiettivo. Fu un periodo di duro lavoro, e anche di repressione, ma che suscita tutt’ora, in coloro che l’hanno vissuto, un ricordo positivo, in primo luogo come reazione agli orrori e alle privazioni della 2° Guerra Mondiale, e, in secondo, per l’apparente successo della ricostruzione, confrontato con la “stagnazione” che seguì, in tempi diversi, all’ Est e all’ Ovest. Non per nulla le televisioni di tutta Europa continuano a propinarci ancor oggi spettacoli che richiamano i fasti provinciali di Sanremo e dei cori dell’ Armata Rossa, del Commonwealth e dell’ Ostalgie.

Oggi, però, dopo mezzo secolo di sotterranea erosione dell’economia europea, dalla morte di Olivetti allo shock petrolifero, dal debito polacco alla “Stagnazione” brezhneviana, dalle delocalizzazioni ai “defaults”, dalle sanzioni ai dazi, nessuno crede più che il futuro prometta all’ Europa un mondo di ricchezza crescente. Le statistiche sono lì a dimostrare che la quota dell’economia mondiale che si muove al di fuori dell’ Europa aumenta costantemente. Anzi, sono tutti convinti che la nostra situazione continuerà a peggiorare, almeno rispetto alla Cina, all’ India e all’ America (anche se nessuno dice veramente perché). Una spiegazione implicita, anche se detta a mezza bocca, è quella della “middle class trap”: quando un Paese raggiunge un certo livello di benessere, non sarebbe più competitivo e perderebbe anche l’incentivo a migliorare. Spiegazione che reggerebbe solo all’ interno della “Teoria dello Sviluppo” di Rostow, che presuppone che sempre e dovunque si debba seguire l’iter storico che ha caratterizzato gli Stati Uniti, mentre invece la storia sta dimostrando che l’iter dell’economia segue strade diverse a longitudini e latitudini diverse. Ed è questo che sta mettendo in crisi filosofia e religione, politica e società. Basta che certe aree non siano sotto l’influenza politica degli Stati Uniti, e le “leggi dello sviluppo” perdono di valore: basta guardare la Cina.

A mio avviso, per capire la crisi dell’Europa, dell’Italia e di Torino, occorre cumulare almeno tre effetti: l’indebolimento della tempra degli Europei er effetto educazione anti-identitaria post-bellica; il ruolo direttivo degli Stati Uniti; la scelta della decolonizzazione, fatta  accettando, direttamente o indirettamente, la Carta Atlantica.

L’“educazione antiautoritaria”,  che trova le sue radici nell’etica kantiana, che si è sviluppata (seppure con ripensamenti) con la Scuola di Francoforte e si completa con il consumismo, ha tolto agli Europei quel piglio polemico che è necessario per qualunque azione seria, anche per fondare imprese, dirigere i collaboratori, sconfiggere la concorrenza ed invadere lontani mercati. La subordinazione agli Stati Uniti ha fatto sì che si accettasse la programmazione di fatto della società da parte americana, istituzionalizzata con il Piano Marshall, con l’implicita condizione di subire sempre le priorità dell’America (“America First”), e sacrificando di conseguenza quelle europee. Come si vide con i successivi obiettivi dell’allargamento dei consumi, della democratizzazione, delle liberalizzazioni, delle privatizzazioni, della deregolamentazione, dei “diritti”, delle guerre umanitarie, della lotta al terrorismo, della “politica di internet”, del blocco all’ immigrazione, ecc…La decolonizzazione, portata fino in fondo, ha portato anche a una diversa ripartizione delle funzioni sociali nella divisione internazionale del lavoro, dove i ruoli meglio pagati (imperiali, imprenditoriali, politici, finanziari, intellettuali, manageriali) sono passati gradualmente dall’ Europa all’America, alla Russia, alla Cina, all’India, al Medio Oriente, restando in Europa sempre più quelli gregari,  meramente esecutivi. Lo stesso Aiuto allo Sviluppo  è stato una forma di restituzione di ricchezza , preconizzata già da De Las Casas, per compensare gli effetti del colonialismo, alla fine del quale si dovrebbe a rigore ipotizzare che il PIL pro-capite dei Paesi donatori e dei Paesi recipienti dovrebbe risultare eguale (già oggi si è molto ravvicinato).

A meno che, nel frattempo, non fossero state inventate nuove forme di eccellenza, che ci permettessero di emergere nella competizione internazionale in modo diverso. Che è quello che ha fatto l’America con l’informatica, la Russia con l’esercito e la Cina con la Via della Seta.

Ciò avrebbero dovuto esserlo, per l’ Europa, i cosiddetti “valori post-materialistici”. Era in sostanza ciò che l’ Unione Europea ci prometteva quando parlava dell’ “Europa potenza gentile”, propositrice del federalismo, un nuovo esperimento di convivenza internazionale che avrebbe fato di noi un modello da imitare. E quello che diceva anche Jeremy Rifkin, americano immigrato in Europa che sosteneva che il “sogno europeo” avrebbe surclassato il “sogno americano”.

Nulla di tutto ciò è avvenuto. L’Europa non sta più inventando nulla, mentre, invece, l’America continua a inventare Internet e la Singularity, e la Cina la Via della Seta. Probabilmente, la nostra via ai valori post-materialistici era sbagliata.

Certo, una forma di “restituzione” ai Paesi coloniali era dovuta. L’aveva già scritto Bartolomé de Las Casas nella sua “Relaciòn sobre la destrucciòn de las Indias”. Tuttavia, a me sembra che tale restituzione sia già abbondantemente avvenuta, con l’abnorme trasferimento di ricchezza in America, e negli altri “Paesi di immigrati”, da almeno un secolo, e con 70 anni di aiuto allo sviluppo. L’Europa ha avuto in passato delle colpe, ma non si può fargliele pagare in eterno, soprattutto quando sono 500 anni che si permette invece di prosperare senza rimorsi e senza scuse ai cosiddetti “Paesi di emigranti”, che in realtà sono i veri Paesi dei genocidi e delle spoliazioni. Infine, fin qui nessuno ha considerato l’ulteriore trasferimento transnazionale di risorse che sta avvenendo comunque, verso i Paesi artici, per effetto del surriscaldamento atmosferico.

Comunque sia, si diceva, crollate le non motivate speranze di una ricchezza comparabile a quella di  epoche irripetibili, figlie indirette della mobilitazione bellica, ci sarebbero rimasti almeno i “valori” di pace, libertà e democrazia, ma anche questi, dopo decenni di partitocrazia, spionaggio, smantellamento delle imprese e dei diritti, guerre umanitarie, sembrano sempre meno realizzati, e perfino non più credibili.

Oggi, si parla solo più di “stabilità”, di “risparmio” e di aiuto ai più deboli, ma anche queste sono parole vuote, perché è evidente a tutti che l’economia europea ci sta franando sotto i piedi, che viviamo di rendita e che fra breve nulla dei “diritti sociali” resterà in piedi. Il nostro relativo benessere nesce soltanto dalla scarsa fecondità, che fa sì suddiviso che un PIL decrescente per un numero decrescente di abitanti, il PIL pro-capite resti invariato, in modo che tutti possano continuare a vivere di rendita fin che muoiono, senza lasciare eredi.

Sarebbe ora che si compisse una seria riflessione sui veri “valori post-materialistici”, che oggi vengono in realtà repressi, per esempio distruggendo il patrimonio naturale e storico, attaccando le religioni, minimizzando il ruolo della cultura classica e tagliando i fondi alla cultura.

Nel terzo trimestre del 2018, non soltanto l’economia italiana, ma anche quella europea, si sono attestate sulla “crescita 0”, quel mitico obiettivo che paradossalmente il Club di Roma, Serge Latouche e Beppe Grillo hanno indicato come positivo, e necessario da raggiungere, ma che certamente non fa piacere alla gran parte degli Europei, anzi li inquieta a tal punto da spingerli a disertare il voto (e/o a votare per i “populisti”).

Sui giornali si afferma che l’opinione pubblica (per esempio, a Torino) rifiuta la “decrescita felice”, ma nessuno (men che mai economisti e politici) è in grado di dirci come si potrà conseguire una crescita reale (vale a dire superiore all’ inflazione e all’ obsolescenza tecnologica), dato che tutte le ricette delle scuole economiche ufficiali (protezionismo e liberismo, assistenzialismo e deregulation, keynesismo e socialismo), sono già state tentate senza successo. Non sarà certo (ammesso che si faccia) la TAV, ultimo rametto ancora incompiuto della Via della Seta, a fare per noi  una reale differenza.

Sarà pure che l’opinione pubblica rifiuta la “decrescita felice”, ma questo significa solo che l’opinione pubblica non conta nulla. In realtà, l’”establishment” ha sposato da sempre la decrescita felice, vale a dire la rinunzia, da parte dell’ Europa, a rivendicare un suo peso nella divisione mondiale del lavoro, e del potere. Questo perché da sempre è partita dall’ idea che noi dovessimo essere i “followers” dell’ America, e che le cose più ambiziose (ideologia, spazio, guerra, scienza) non fossero fatte per noi. Ora, dopo un secolo di rinunce, è evidente che il gap tecnologico fra noi e le Grandi Potenze è divenuto così incolmabile, che esercita effetti pesantissimi anche sull’economia e sulla vita di tutti i giorni (per esempio, attraverso le multinazionali dell’ informatica).

Quanto, poi, all’ economia di Torino, essa va, certo, verso la decrescita più spaventosa del mondo intero, ma per nulla felice. E come potrebbe essere diversamente se abbiamo perso, nel tempo, la Corte, l’aristocrazia, la cinematografia, i computer, la moda, l’editoria, la formazione, l’aeronautica, le automobili, la finanza? Di che cosa si potrebbero occupare oggi coloro che prima erano cortigiani, ufficiali, rivoluzionari, progettisti, dirigenti d’azienda, bancari, tecnici, operai, editori, sindacalisti, e, soprattutto, i loro figli? Certo, possono sempre emigrare, ma, in un’era di “familismo amorale”, di micronazionalismi e di lottizzazioni ideologiche, quante “chances” hanno i nostri giovani qualificati di fare carriera  contro gli emigranti dal Sud e dell’ Est, contro i Tedeschi o gl’Inglesi?

E’ giunto dunque il momento di riflettere seriamente, a livello “filosofico”, su che cosa conti veramente per noi e su che cosa ci stia veramente accadendo.

1.Critica della ragione economica

Intanto, c’è del vero nelle esternazioni di Beppe Grillo, che riprendono una polemica di lunga data di ampi settori della cultura e della politica. Dopo settant’anni passati a studiare accanitamente per trovare un lavoro, a investire per il futuro, a spendere il nostro tempo in fumosi uffici, in  maleodoranti officine e su infermali autostrade; a batterci per poterci realizzare nella società; a litigare per imporre una determinata condotta aziendale o di economia nazionale, incominciamo a chiederci se il nostro errore non sia consistito proprio in questa frenetica ossessione per l’ economia. Questa fissazione ci ha istupiditi, ci ha alienati, ci ha indeboliti, ci ha impedito di comprendere come vadano veramente le cose, di dedicarci quanto conviene alla cura di noi stessi – il che significa anche alla lotta civile per fare valere le nostre ragioni, anche in campo economico-.

E i risultati di questo istupidimento si vedono: l’Europa fanalino di coda della crescita mondiale; l’ Europa senza industrie informatiche, culturali, della difesa; l’Europa protettorato dell’ America e colonizzata economicamente dall’ Asia. Non passa giorno senza che le nostre imprese siano acquisite, quale dagli Americani, quale dai Cinesi, chi dagli Arabi, chi dai Giapponesi, chi dagl’Indiani, chi dai Turchi, chi dai Russi. Noi invece non acquisiamo mai nulla in quei Paesi.

Bel risultato dopo settant’anni di sedicenti governanti europeisti, che a Lisbona avevano promesso che l’Europa sarebbe divenuta nel 2010 l’area economica più competitiva del pianeta.

La fine della politica è stata, dunque, anche la fine dell’autoaffermazione dell’Europa.

2.Guerra senza limiti

Ha ragione Grillo: in una società ben ordinata, l’economia dovrebbe costituire soltanto una parte delle nostre preoccupazioni, le altre essendo la spiritualità, la salute, la comunità, la natura, la cultura…Ma noi non viviamo affatto in una società ben ordinata, bensì in una società decerebrata, che corre deliberatamente verso l’autodistruzione.

Fermare questa corsa costituisce la nostra ragion d’essere oggi. Quale dunque l’ordine delle priorità in questo “stato di guerra” permanente contro le macchine intelligenti e un establishment traditore e suicida?

“Primum vivere, deinde philosophari”. Ma è veramente un “vivere” il sopravvivere in questo limbo in cui da decenni vediamo lo sfacelo, lo denunziamo, cerchiamo di raddrizzarlo, ci battiamo, ma non serve a nulla? Forse non abbiamo proprio riflettuto abbastanza, e non abbiamo combattuto abbastanza, o almeno non in un modo strategicamente efficace. Occorre dunque ritornare ai massimi principi, alle ragioni per cui vale la pena vivere e di combattere.

 3.Una classe dirigente perduta

E’ vano attendersi che, senza essere stata debellata sul campo di battaglia, una classe dirigente riconosca apertamente che la propria visione del mondo è sbagliata, e che, quindi, la propria leadership è inutile e dannosa. Quindi, dovremo assistere ancora per lungo tempo all’agonia di questo “establishment”, che, pur cambiando continuamente cappelli ed etichette (fascismo, Occidente, democrazia, progresso, sinistra, liberalismo, 2° Repubblica, populismo), non riesce a cambiare nella sostanza, salvo declinare ininterrottamente al ribasso, come i gamberi, le proprie rivendicazioni ideologiche: prima, il “primato morale e civile degl’Italiani”,poi, l’ eguaglianza universale, e, via via, la “democrazia”, ”, il miracolo economico, il progresso tecnico, l’ antiautoritarismo, l’ “innovazione”, i “diritti”, il costituzionalismo, la ricostruzione, almeno, la “ripresa”, la “ripresina”…

Continueranno così ancora un bel po’, trovando sempre nuovi camuffamenti per impedire di vedere i problemi e impedire una trasformazione effettiva.

Intanto , diviene possibile comprendere il filo rosso della logica di potere che ha dominato questi decenni. Ha ragione anche Chiara Appendino a difendersi dalle accuse da destra e sinistra, affermando che sono state queste ultime, e non il Movimento Cinque Stelle, a coprire il progressivo declassamento della città, coprendo con parole antisonanti come Patria e “Roma o Morte”, atlantismo e libera competizione; consolidamento,  apertura dei mercati e globalizzazione, la realtà vera di una città che si arrendeva senza combattere.

 4. L’economia quale strumento d’indipendenza

Il dibattito sul “reddito di cittadinanza” ci permette di comprendere quale sia la funzione più importante  dell’economia nella società postmoderna. Se la maggior parte della popolazione dovesse veramente essere mantenuta dallo Stato, come ormai quasi tutti credono,e alcuni, addirittura, propugnano,  la prima sconfitta sarebbe quella della libertà: lavoro e ricchezza sono infatti due forme fondamentali dello “jus activae civitatis”. Esse non sono valori fini a se stessi, bensì due strumenti con cui le persone libere possono condizionare la società, e, in tal modo, contribuire a fare la storia. Se si tolgono loro queste due forze, divengono ciechi strumenti di una volontà impersonale: il Servo Arbitrio, la Volontà Generale, il General Intellect, la Singularity.

Ma, come dicevo, noi non viviamo in una società normale, bensì in uno stato di guerra civile mondiale: abbiamo una ben precisa guerra da combattere (la “Guerra senza Limiti”), quella contro il dominio, sulle persone, delle macchine intelligenti. Orbene, come in tutte le guerre, ci vogliono i combattenti e i soldi. Per questo l’economia continua ad essere importante: serve, o, meglio, dovrebbe servire, innanzitutto, per  addestrare i lavoratori/cittadini a controllare le macchine intelligenti e per generare quelle risorse che ci permettano di fronteggiare l’escalation tecnologica che si sta sviluppando a livello mondiale. L’Europa è oggi purtroppo all’ultimo posto nella società digitale mondiale, dopo USA, Cina, Russia e India.

 5.Che cosa non va dunque nell’ economia europea?

Ho scritto spesso in questo blog circa i limiti dell’economia europea. Oggi, due anni dopo l’elezione di Trump, le nostre analisi si sono rivelate più esatte di quanto mai avessimo osato immaginare: si tratta del cosiddetto “contingentamento dell’ Europa” profetizzato da Trockij e realizzato in esito alle due Guerre Mondiali. Affinché si perpetui il mito dell’America quale guida dell’ Umanità, occorre, occorre che nessuno ne offuschi il primato simbolico, soprattutto nessuno in Occidente. Altrimenti, nessuno crederà più, non solo alla sua missione provvidenziale, ma, alla fine, neppure alla Modernità quale sbocco finale e necessario della Storia.

Con le due guerre mondiali, l’ America si è garantita dunque il controllo dei “rubinetti” con cui può regolare a suo piacimento lo sviluppo dell’Europa: l’ideologia; le lobby; la finanza; i media; la tecnologia; la bomba atomica; le basi militari; il dollaro; le multinazionali. Grazie a tutto questo, ha potuto trasferire le contrattazioni finanziarie da Londra a New York,  l’arte astratta da Parigi a New York, le industrie militari dalla Germania e le prime tecnologie digitali dall’Ungheria e dalla Polonia; ha potuto programmare l’economia europea con il Piano Marshall; stroncare Olivetti, Concorde, Minitel; comprare le multinazionali europee; scremare tutti i business con il web e i paradisi fiscali; strangolare il business con la Russia e l’ Iran e rendere più care le nostre esportazioni; prelevare una tassa maggiore per la difesa nonostante le nostre difficoltà economiche.

Ancora oggi, l’America condiziona perfino il nostro modo abnorme di essere filo-russi, sotto la pesante ombra di Trump.

6.Dal contingentamento americano allo svuotamento dell’ economia novecentesca

Potrebbe andare peggio? Certo che può andare peggio; in un certo senso, va  già peggio.

E’ brutto essere un protettorato contingentato, ma è ancora più brutto essere contingentati da un Paese che sta diventando a sua volta una colonia. Ora, come osserva Foer nel suo “I nuovi poteri forti”, le Big Five stanno svuotando delle sue prerogative lo stato americano, conducendo una loro politica autonoma con la Cina; manipolando le elezioni, l’editoria e i media; imponendo un succube conformismo agli intellettuali; sovrapponendosi ai servizi segreti; imponendosi al presidente; declassando le multinazionali. Fra breve, lo Stato americano sarà una semplice colonia delle Big Five, e noi il protettorato di una colonia.

Peggio ancora è l’essere il protettorato di una colonia quando il colonizzatore va verso la guerra contro una coalizione invincibile: quella eurasiatica ( il Comitato di Difesa di Shanghai).

 7.Gli scambi con l’ Eurasia: una “leva” per riequilibrare i poteri con gli USA

Per uscire dalle prospettive, assai prossime, della recessione, aggravata dalla certezza dell’impossibilità del rilancio, per mancanza di idee, dell’economia europea, ma soprattutto dall’ affermarsi della Società delle Macchine Intelligenti e ancor più dal rischio incombente di guerra fra l’America e il resto del mondo per difendere la propria egemonia, l’unico salvagente a cui aggrapparsi è un possibile contrasto all’ egemonia americana appoggiandosi alla crescente influenza dell’Eurasia.

Fortunatamente, nell’elogiare la TAV, i promotori della manifestazione torinese hanno pronunziato le fatidiche parole “Eurasia” e “Via della Seta”, che oggi costituiscono le uniche uscite di salvataggio dal declino. E, in effetti, ben pochi sanno che la TAV è una delle ultime maglie della Via della Seta: una delle poche ancora non completate.

Se la politica è, come diceva Bismarck, un “parallelogramma delle forze”, allora è un fatto obiettivo che la “ragnatela” che avvolge il mondo a partire dall’ America si sta lacerando in vari punti: nel Mar della Cina, in Medio Oriente, in Africa. Emergono punte avanzate della Cina in Pakistan, Kenya, Etiopia,Grecia, Serbia, Ungheria, Italia. La Russia ha i propri agganci in tutta Europa, in Siria, in Iran, ma anche in Israele.

Tutto ciò non può non avere il proprio impatto anche a Bruxelles e negli Stati Uniti, e infatti lo ha. Suoi prodotti: i “4 di Visegrad”, i “16+1”, l’ ASEM, Trump. Per ora, si tratta di una trasformazione infinitesimale: nessuno di questi fenomeni ha ancora realizzato il “sorpasso” della Cina sugli USA, né la fuoriuscita di nessun Paese dalla visione del mondo scientista e messianica nata da Cristoforo Colombo e da Bacone. Tuttavia, s’incominciano a sentire i primi scricchiolii dell’impianto puritano e atlantico in cui siamo ingabbiati: il ritorno, nel discorso pubblico, delle antiche religioni e dei classici delle filosofie orientali e occidentali; una certa qual maggiore confidenza in se stessi di molti popoli; la ripresa, da parte di molti governanti europei, della “politica dei due forni” cara ai vecchi governi democristiani (cfr. p. es., Tsipras, Orban,Salvini, Di Maio, Heiko Maas, Macron….).

Certo che Macron ha effettivamente detto che la politica europea di difesa è diretta anche contro gli Stati Uniti. Ma è quello che diceva sempre anche De Gaulle, quando affermava che la “Force de Frappe” dev’essere “à tous les azimuths”. Ma perché mai non dovrebbe esserlo, quando Trump stesso considera gli Europei come dei nemici e lo dice anche?

Comunque sia, queste prime avvisaglie potrebbero annunziare una trasformazione reale se anticipassero una politica unitaria dell’ Europa. Lo stanno intuendo tanto l’attuale “establishment” , quanto i sedicenti “sovranisti”. Nessuno dei due ha però un progetto strategico convincente, perché nessuno dei due osa affrontare il tabù che è alla base dell’ attuale sistema: la subordinazione culturale, storica, ideologica, politica, militare, economica e sociale all’ America, che viene documentata da sempre nuovi, ponderosi libri in tutti i campi dello scibile, dalla storia(Israel), all’economia (Eichengreen, Steil), alle relazioni internazionali (Hathaway,Shapiro).

Se, nell’ analisi delle ragioni remote della crisi, si partisse dallo studio approfondito della subordinazione complessiva dell’ Europa,   quest’ultima farebbe poi relativamente in fretta a darsi un’autonoma cultura, a organizzare una “sovranità digitale europea”, a  creare una leadership coerente, a organizzare dei “campioni europei” in sostituzione degli ormai pochi e obsoleti “campioni nazionali”.

E si riuscirebbe anche a rispondere a Trump:

-che non c’è alcuna ragione per cui l’America debba spendere per la difesa più di 700 milioni di dollari l’anno, cioè la metà della spesa militare mondiale, che costituisce obiettivamente una minaccia per tutti i Paesi del modo, e il maggior incentivo per la corsa agli armamenti;

-che, se Europa e Usa vogliono restare alleate, occorrerà ridimensionare gli obiettivi militari, dall’ offesa alla difesa;

-che, ammesso che l’Europa aumenti le proprie spese, non lo dovrà fare in modo funzionale alla difesa americana, bensì fornendosi di ciò in cui essa è oggi carente (intelligence, cyberguerra, nucleare, missili ipersonici, armi spaziali), e favorendo la propria industria della difesa.

Solo in quell’ atmosfera avrebbe senso parlare di “valori non materialistici”, che non sono quelli della società dei consumi o del livellamento verso il basso, bensì quelli tradizionali dai tempi dell’Epoca Assiale: spiritualità, eccellenza, estetica, libertà, patriottismo, cultura…., che l’ Europa condivide con gli altri popoli dell’ Eurasia.

Solo così si potrebbero realizzare veramente gli obiettivi conclamati a vuoto dalla destra e della sinistra: una vera sovranità, la ripresa del nostro ruolo nel mondo, il rilancio del PIL;occupazione, investimenti sociali e infrastrutturali, diritti dei lavoratori).

Il fatto che nessuno ne voglia nemmeno sentir parlare dimostra invece che, non soltanto la sinistra europea come denunziato dal Presidente della RAI Foa, riceve, cospicui finanziamenti dall’ America, bensì anche i sovranisti, per esempio nelle elezioni olandesi. E, a parte ciò, quante sono le “connections” con fondazioni, università, ecc…? Due esempi per tutti: l’attuale Presidente della Commissione, Juncker, è stato il grande architetto delle agevolazioni fiscali che, negli ultimi 40 anni, hanno permesso alle big five di sottrarre all’Europa la quasi totalità del loro reddito.

Quanto al suo predecessore, Barroso, non aveva esitato, dopo il pensionamento, neppure un mese a entrare a pieno servizio presso il suo vero padrone: la Lehman Brothers.

 

Lo schema fiscale con cui le multinazionli americane hannno svuotato l’ Europa