RADICI. IL FESTIVAL DELL’IDENTITÀ, Cultura e tradizione


Nel prendere atto di questa interessante iniziativa (cfr.allegato a questo post: il programma verrà postato a parte), che, affrontando il tema a noi caro delle identità, segna un cambio di passo rispetto alle pur numerose manifestazioni tradizionali nella nostra città, invitiamo i nostri lettori a parteciparvi.
Riteniamo opportuno pubblicare anche una serie di nostre considerazioni sul tema oggetto della manifestazione e alcune osservazioni volte a possibili miglioramenti per gli anni a venire.


1.Resilienza delle identità
Il mondo sta veramente cambiando.

L’identità, che prima sembrava solo “una parolaccia”, è oggi tornata al centro del dibattito culturale e politico. E come potrebbe essere diversamente, se i grandi fenomeni storici che si sviluppano sotto i nostri occhi (rinascita di Israele e della Cina, individualismo democratico, panarabismo, femminismo, crollo dell’ Unione Sovietica e giganteggiare delle sue ex Repubbliche, movimento LGTB+, “fondamentalismi”), si sviluppano tutti nel nome delle identità: culturale, storica, collettiva, etno-nazionale, individuale, nazionale, sessuale, religiosa, di genere?
Come noto, la problematica dell’identità nasce con Hume, che, nel suo empirismo, negava il concetto classico di identità personale, ma poi solo per pervenire alla conclusione che l’identità e necessaria, in quanto è la sola cosa che rimane nell’incessante divenire dei fenomeni. Quest’idea fu poi sviluppata dai Romantici, per i quali l’identità era un necessario contrappeso alle illusioni dell’esistenza (un’autenticità che spezza la banalità borghese). Tutto ciò portò all’esaltazione dell’Eroe (Carlyle), e, poi, del Superuomo (Nietzsche).
La ricerca della propria identità personale è stata poi alla base della psicanalisi, e la difesa delle identità collettive ha costituito la motivazione prima dei Risorgimenti, delle lotte anti-coloniali e delle guerre civili post-sovietiche.
A partire, infine, dal tentativo di omologazione mondiale avviato con la globalizzazione e la pretesa “Fine della Storia”, la difesa delle identità è divenuta la parola d’ordine di tutti i nuovi movimenti, e di quasi tutti gli Stati, ché, altrimenti, gli uni e gli altri, a causa della “Fine della Storia” non avrebbero più neppure avuto una ragion d’essere.
Se io ho, o affermo, un’identità, sono costretto, per affermarla, a combattere la globalizzazione, l’omologazione, l’egualitarismo, l’apolidismo. Invece, l’informatica e l’Intelligenza Artificiale stanno facendo temere concretamente la prossima perdita della soggettività umana, rendendo così urgente una generalizzata rivolta identitaria.
2.L’identità quale strumento della politica
Oramai, chi non padroneggia la materia delle identità non può avere un peso politico nel XXI Secolo, perché in ogni contesto la politica consiste ormai in ultima analisi nel fronteggiarsi di identità contrapposte: quella tradizionalista e quella “liquida”; quella WASP e quella Woke; quella spagnola e quella catalana; quella pan-serba e quella grande-albanese; quella pan-russa e quella ucraina; quella ebraica e quella palestinese…(anche se nel contesto di un conflitto “identitario” più vasto: tecnocrazia contro umanesimo).
Molti vorrebbero svolgere il ruolo di mediatori, ma non ne sono capaci, perché le loro culture non sono così “universali” da permettere loro di comprendere le ragioni delle opposte identità e di comporle in un’unità superiore. Nonostante la sua presunzione, la cultura “progressista”, fondata sullo sviluppo di idee astratte e di un’impersonale “Ragione” è del tutto aliena dall’ empatia con le diverse “Identità”, e, al contrario, finisce per favorire solo l’omologazione universale.In tal modo, si è auto-esclusa dai necessari sforzi di mediazione.

3.I casi post-sovietici e post-jugoslavi

Tra l’altro, le opposte identità che si fronteggiano sono spesso molto più simili di quanto non appaia, perché si riallacciano in ultima analisi al substrato istintuale comune dell’Umanità, alle grandi civiltà ancestrali, alle tradizioni regionali e macro-regionali, ad una convivenza millenaria sui territori…. Per esempio, Russi ed Ucraini condividono quella “etnografia degli Slavi Orientali” ben studiata nell’ era sovietica: hanno in comune eroi (Ol’ga, Vladimir, Razin, Pugaciov), letterature (Il Canto della Schiera di Igor, le Bylyne, Gogol’), uomini politici (Khruscev, Brezhniev). Le loro lingue sono intercambiabili, al punto che, tradizionalmente, la maggior parte della popolazione ucraina parlava il Surzhyk,un miscuglio di lingue slave-orientali, mentre Cakavo, Stokavo, Kajkavo, Ikavo, Jekavo ed Ekavo “se ne fregano” delle frontiere fra le Repubbliche e delle lingue “nazionali” artificiali inventate nell’ultimo quarantennio (Serbo, Croato, Bosniaci, Montenegrino).

Infine, Palestinesi ed Israeliani sono ambedue un miscuglio di popoli diversissimi, ma ambedue accomunati da una lingua e cultura semitica, dal legame con le tradizioni dei Popoli del Libro, dalla centralità della cultura religiosa come fatto dentitario.

E’ solo la modestissima cultura dell’ establishment, “appiattita” sui luoghi comuni e sulle ideologie degli ultimi secoli a non vedere, per esempio, gli aspetti di continuità fra Yamnaya, la Civiltà Danubiana, i Popoli delle Steppe, la Federazione Linguistica Balcanica, il Canto della Schiera di Igor, i Cosacchi, la Guerra di Crimea, l’Ostalgie, come pure gl’Imperatori Illirici, il Glagolitico, i monasteri ortodossi e islamici, Fortis, Tommaseo, Mestrovic, Andric, Kadaré, e, infine, le descrizioni che gli antichi Egizi facevano dei conflitti nell’ Antica Palestina, oppure le figure intermedie dei Samaritani e dei Cristiani arabi orientali.

L’ interesse comune delle diverse identità sarebbe quello di combattere insieme contro l’omologazione mondiale, che sta trovando il suo sbocco nel progetto nichilistico della “Singularity Tecnologica”, ma gli opposti “establishment” non lo comprendono perché già parzialmente obnubilati da quella cultura della globalizzazione che credono di osteggiare.
Così, con la “Guerra Mondiale a Pezzi” accelerano la transizione alla Società delle Macchine Intelligenti (AI, droni, sistemi autonomi, cyberguerrieri), le quali prosperano in un contesto di guerra totale.

Il conflitto russo-ucraino costituisce una delle prove più schiaccianti del fallimento della politica sovietica delle nazionalità, studiata e applicata, all’ interno di una formale cornice marxista, dallo stesso Stalin (inviato appositamente a Vienna da Lenin per studiare l’austro-marxismo dell’ Impero Austro-Ungarico), il quale pensava di giocare tanto le nazionalità quanto l’internazionalismo per fare dell’ URSS un Paese veramente federale (attraverso la dialettica “korenizacijai/slijanijeii”). Tuttavia, proprio l’austro-marxismo, a cui i comunisti si ispiravano, non forniva una base sufficiente per fondare un “patriottismo sovietico”, che avrebbe trovato ben più valide ragioni nell’eurasiatismo, concependo quest’ultimo l’URSS come un lontano erede dell’impero mongolo (Trubeckoj, Gumiliov),a sua volta massima incarnazione delle federazioni di popoli delle steppe da sempre esistite, come quelle Unnica, Göktürk, Uigurica, Avarica, Khazara, in continua evoluzione secondo le modalità dell’ “Etnogenesi” teorizzata da Gumiliov.

Come si vede, questa era la ragione profonda per il crollo dell’ Unione Sovietica e della Jugoslavia, e le attuali convulsioni sono dovute essenzialmente allo sforzo per realizzare una radicale inversione di rotta, dall’ austro-marxismo, all’ eurasiatismo. Anche l’idea di due Stati in Palestina soffre della stessa concezione rigida delle nazionalità. Non per nulla, anche Herzl e Buber provenivano dall’ Impero Austro-Ungarico, che nonostante le sue positive premesse, era stato travolto dalla mancata soluzione della questione nazionale.

Nello stesso modo, Tito aveva costruito una federazione sulla falsariga di quella sovietica, esasperando, come in URSS, la “korenizacija” dei popoli “titolari”, così facendo perdere di vista il carattere “pan-europeo” delle Krajine, della costa dalmata, dell’Euroislam, della Macedonia e del Kosovo, e fornendo carburante all’esplosione piccolo-nazionalistico delle guerre jugoslave.

In che modo la consapevolezza delle comunalità fra identità contrapposte possa contribuire alla riduzione delle conflittualità può essere illustrato dall’ approccio da noi adottato nel libro “De Illyrico et Moesia”, dove, facendo leva sulla “federazione linguistica balcanica”iii e sulle tradizioni illiricaiv, cirillo-metodianav, bogumilavi e morlaccavii, abbiamo cercato di ritrovare elementi di continuità fra l’Impero Romano, le presenze slava, neo-latina e islamica. In questo contesto, un approccio macro-regionale e cantonale, lungi dal costituire un’aborrita soluzione di emergenza, potrebbe permettere di mettere in luce la vera identità dei Balcani Occidentali.


3.I limiti del Festival
Il Festival dell’1-5 novembre ci pare percorrere finalmente la strada giusta, anche se è ancora caratterizzato da due dimenticanze: l’Identità Europea, mai citata in nessuno dei titoli né dei programmi, e le identità degli altri Continenti che si stanno affermando prepotentemente in questi anni, prime fra le quali quelle islamica e quella cinese. Vi è solo un timido accenno all’ identità “dell’ Occidente”(Cardini), Mancano però le “Identità Continentali”, protagoniste della grande trasformazione in corso nel sistema mondiale, le uniche che, proprio per questa loro attualità. riescano a suscitare riflessioni pertinenti e l’entusiasmo di intellettuali e opinioni pubbliche.
Certo, l’identità europea sarà presente, seppure indirettamente, attraverso la presentazione, da parte di Cardini, del suo libro “La deriva dell’ Occidente” ( che per altro è dedicato prioritariamente, più che all’approfondimento di ciò che è specifico dell’ Europa, alla critica a un Occidente a guida americana); quella ebraica ,nel colloquio con Ruth Dureghello; quelle russa e balcanica con Kusturica,che parlerà di Peter Handke.Tutte identità più vaste o più ristrette di quella europea.
Eppure, è l’Identità Europea la questione centrale del nostro tempo, perché, nell’”epoca planetaria” dominata dalla competizione per il controllo dell’ Intelligenza Artificiale, non soltanto il potere politico, la prosperità economica e la sicurezza militare, ma la stessa possibilità di sopravvivere nonostante la tirannide del Complesso Informatico-Digitale, dipende dall’ appartenenza a grandi Stati-Civiltà, che non soltanto dispongano delle risorse politiche, tecnologiche, militari ed economiche, per trattare da pari a pari con i colossi del web e con le altre Superpotenze, ma incarnino anche un loro modello specifico di uomo e di società, capace di contribuire in modo originale allo sforzo collettivo per il controllo dell’ Intelligenza Artificiale. Nel caso nostro, l’”Europe-Puissance” quale immaginata a suo tempo da Coudenhove Kalergi e da Giscard d’Estaing.
Invece, un’Europa che si concepisca solo come un sottoinsieme all’ interno di un Occidente di cultura americana (nazioni borghesi, millenarismo immanentistico, tecnocrazia travestita da “liberal-democrazia”) non potrà incidere in alcun modo sulla formazione dell’ auspicato Umanesimo Digitale, che non potrebbe sostanziarsi se non in un’industria digitale “sovrana”, in una pedagogia fondata sull’ eccellenza individuale secondo i modelli classici e delle “Religioni del Libro”, in una mobilitazione culturale a tutti i livelli, e in un dialogo serrato con il resto del mondo. L’Occidente attuale persegue invece un millenarismo tecnocraticom ostile alle tradizioni umanistiche, e, come aveva dimostrato la vicenda Olivetti, non permette la nascita in Europa di un Umanesimo Digitale.
Un’ “Europa Sovrana” non potrebbe fare a meno d’interrogarsi su che cos’abbiano da insegnarle le culture degli altri Continenti, come per esempio forme attualissime di ascesi intramondana (come quella delle “arti marziali” estremo-orientali); una logica “fuzzy”viii radicata, per esempio, nella struttura di lingue isolanti e di scritture pittografiche come quella cinese (cfr. i Classici Confucianiix); il culto delle tradizioni ancestrali, religiose e familiari (come nell’ Hindutvax); il senso, nel contempo, della comunità e delle gerarchie (Dumontxi). Né di coalizzarsi con loro contro l’egemonia mondiale dei GAFAMxii.
Questo proprio nell’ ottica, citata anche nel programma di “Radici” , dello sforzo per controllare l’ Intelligenza Artificiale, che è, prima ancora che un fatto politico, giuridico e tecnologico, una questione di educazione del carattere per un’era, come la nostra (la “Guerra Mondiale a Pezzi”), in cui la resilienza dell’ Umano sarà messa a dura prova, non meno che in epoche passate che noi consideriamo particolarmente difficili per l’Umanità (dalla preistoria, alle Invasioni Barbariche, al Medioevo, alle Guerre Mondiali).
Tutto ciò sembra assente (ma potremmo sbagliarci) dalla manifestazione di Novembre , come da quasi tutte le attuali manifestazioni culturali: un po’ per l’ignoranza generalizzata delle culture extraeuropee, un po’ per quel clima di mobilitazione bellica che si è voluto instaurare negli ultimi decenni, ben prima delle guerre in Ucraina e a Gaza, con gli attacchi culturali e polizieschi a tutto quanto è fuori dell’ “Occidente”, un po’, infine, per il tacito consenso fra le diverse forze sociali per evitare di allarmare la popolazione.
Nonostante queste lacune, il Festival costituisce comunque un deciso passo in avanti rispetto agli standard torinesi del passato. Cerchiamo perciò di apprezzare tutto il buono della manifestazione, partecipandovi e apportando il nostro contributo.
Segnaliamo in particolare gl’interventi di Veneziani, Dureghello, Cardini e Kusturica, sui quali ci ripromettiamo di ritornare.
Porgiamo quindi, all’ Assessore Marrone , al direttore della manifestazione Culicchia e ai vertici del Circolo dei Lettori e del Salone del Libro i migliori auguri di successo per “Radici”, cominciando a programmare per il prossimo Salone qualcosa sul tema delle identità, sulla falsariga delle pubblicazioni di Alpina/Dialexis, e, in particolare, di “100.00 anni di Indentità Europea”xiii , di “Intorno alle Alpi Occidentali”xiv e, infine, di “De Illyrico et Moesia”

ALLEGATO

RADICI. IL FESTIVAL DELL’IDENTITÀ

CULTURA & TRADIZIONE

01/11/2023 – 05/11/2023

La Fondazione Circolo dei lettori inaugura Radici, il festival dell’identità (coltivata, negata, ritrovata), in programma dal 1 al 5 novembre, un progetto a cura di Giuseppe Culicchia sostenuto dall’Assessorato all’Emigrazione della Regione Piemonte.

Con ispirazione pirandelliana, il festival chiama grandi artisti e voci a interrogarsi su una nessuna e centomila identità: l’identità individuale e l’identità dei popoli, l’identità di una comunità e quella di una nazione; l’identità come idea che un individuo ha di sé stesso all’interno di una società, a partire da quelle caratteristiche che dovrebbero teoricamente renderlo unico e inconfondibile, ma che il consumismo ha omologato in stili di vita e modelli culturali, come denunciò per primo Pier Paolo Pasolini già, negli anni

Sessanta del Novecento.

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